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Archive for the ‘Senza Categoria’ Category

Gustavo CastroOmicidio Berta Cacéres: anche il testimone è a rischio 

Gustavo Castro Soto, attivista messicano, fondatore e direttore della ong Otros Mundos Chiapas, si trovava nella casa di Berta Cáceres quando è stata uccisa, nella notte tra il 2 e il 3 marzo scorsi. Ferito, non può lasciare l’Honduras: il 6 marzo è stato bloccato all’aeroporto di Tegucigalpa, ed ora è protetto all’interno dell’Ambasciata del Messico. Alcune organizzazioni per i diritti umani temono per la sua vita. http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=5557

Questo è l’indirizzo e-mail del consolato dell’Honduras a Roma, per esprimere la vostra preoccupazione info@consuladohondurasroma.it

 

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GIUSTIZIA PER BERTA CACERES! Inviare la vostra firma all’indirizzo: campaign@stopcorporateimpunity.org

Una relazione molto stretta lega Berta Cáceres e il COPINH a molte realtà sociali del nostro Paese. La dirigente indigene Lenca uccisa il 3 marzo a La Esperenza, Intibicá, è stata per molti un’amica, oltre che una guida fondamentale per comprendere ed analizzare le dinamiche sociali, politiche, economiche ed ambientali dell’Honduras.

Il mondo perde una delle menti più lucide nella lotta contro il capitalismo turbo-finanziario. Chi ha a cuore i beni comuni, invece, sa che da oggi dovrà lottare con una forza ancora maggiore.

Nell’invitarvi a firmare questo documento, noi del Collettivo Italia Centro America siamo ancora increduli di fronte a ciò che è successo. Chiediamo giustizia per Berta, e siamo profondamente preoccupati per il Copinh e per il futuro dell’Honduras: se sono arrivati ad uccidere la dirigente più in vista dei movimenti sociali, teniamo che l’impunità sia una certezza per chi ha commesso questo delitto.

Grazie per inviare la vostra firma all’indirizzo: campaign@stopcorporateimpunity.org

COMUNICATO

Profonda indignazione internazionale per l’omicidio della leader indigena Berta Cáceres in Honduras

4 marzo 2016, Pianeta Terra

Berta Cáceres, leader indigena, rappresentante da oltre vent’anni del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH), è stata assassinata all’alba di giovedì 3 marzo mentre dormiva nella sua casa di La Esperanza, Intibucá, a circa 188 km da Tegucigalpa, per mano di uomini armati “sconosciuti”.

Oltre ad essere stata una ferrea patrocinatrice dei diritti del movimento campesino e indigeno onduregno, Berta Cáceres, è stato un’attivista sociale rilevante e fonte di ispirazione, a livello regionale e continentale, a difesa della giustizia sociale ed ambientale, in particolare nell’opposizione ai megaprogetti minerari e idroelettrici.

Oltre a denunciare con lucidità i Trattati di Libero Commercio come parte di uno stesso ingranaggio che assicura l’impunità delle imprese transnazionali, Berta lottava per la salute, per la terra e contro il patriarcato e la violenza. Si era opposta al colpo di Stato del 28 giugno 2009, poiché per il COPINH il Golpe forniva lo strumento di violenza al servizio delle imprese transnazionali per il saccheggio dei beni comuni e la repressione delle organizzazioni sociali all’opposizione. Inoltre, è stata ferma nel rifiuto dell’installazione delle basi militari statunitensi nel territorio Lenca.

Nell’aprile del 2015 Berta Cáceres ha ricevuto il premio Goldman, uno dei più prestigiosi al mondo sui temi ambientali, conferitole per la sua collaborazione nella difesa del territorio Lenca minacciato dalle conseguenze nefaste e la violenza dovute alla costruzione della diga del Proyecto Hidroeléctrico Agua Zarca, della multinazionale cinese SINOHYDRO e dell’impresa onduregna Desarrollo Energético Sociedad Anónima (DESA). Da anni il popolo Lenca denunciava la violazione del diritto all’acqua come fonte di vita e di cultura e le vessazioni e le minacce di imprese, paramilitari e governo.

Per Berta Cáceres, madre di quattro figlie, la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) aveva stabilito l’adozione di misure cautelari, per questo doveva godere di protezione speciale da parte del governo onduregno. Ciononostante, Berta è stata assassinata da uno Stato che protegge gli interessi del capitale locale, delle imprese multinazionali che si sono impadronite dei territori e dei beni comuni; a causa della sua lotta a favore della vitae dei più bisognosi, in diverse occasioni è stata portata a giudizio, perseguita, minacciata.

La leader onduregna in ripetute occasioni aveva denunciato di ricevere minacce di morte nel contesto della violenza che ha generato: 111 attivisti ambientalisti assassinati in Honduras tra il 2002 e il 2014, secondo il rapporto la relazione”¿Cuántos más?” pubblicata nel 2014 dalla ONG inglese Globale Witness. Questo fa dell’Honduras il paese con il più elevato indice di violenza dei 17 paesi analizzati e dimostra l’architettura di violenza e impunità del settore minerario, del business idroelettrico, tra altri, a beneficio del capitale privato e del governo complice. Secondo la ONG onduregna ACI-PARTICIPA (Associazione per la partecipazione dei cittadini in Honduras), più del 90% degli omicidi e degli abusi dei diritti umani contro gli attivisti in Honduras, rimangono irrisolti.

Esigiamo dal governo dell’Honduras:

  • Che metta fine all’impunità e che si indaghi sull’assassinio di Berta Cáceres e di tutte le compagne e compagni che hanno lottato per la giustizia sociale e l’ambiente.
  • Che lo Stato onduregno assicuri l’integrità, la libertà e i Diritti Umani di Gustavo Castro de Soto e di Aureliano Molina, compagno di Berta Cáceres.
  • Che si sospendano tutti i progetti denunciati dai difensori dei diritti umani; tra questi i progetti Hidroeléctricos Agua Zarca sul fiume Blanco e Blue Energy sul fiume Cangel.
  • Che vengano espulse le imprese e gli enti costruttori o finanziatori di progetti in cui si denunciano violazioni dei DDHH e dove non ci sia stata una consultazione previa delle popolazioni, secondo la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
  • Che cessi la persecuzione e criminalizzazione di coloro che difendono i diritti umani e che si applichino le necessarie misure cautelative e di protezione.

Esprimiamo le nostre più profonde condoglianze ai familiari di Berta Cáceres, a tutte le sue compagne di lotta ed al popolo Lenca per questi orribili fatti.

Invitiamo alla mobilitazione civica ed alla denuncia immediata davanti alle ambasciate e consolati dell’Honduras nel mondo, per dimostrare il nostro ripudio di fronte a questo crimine e la nostra richiesta di giustizia.

Per ulteriori informazioni sulle mobilitazioni: Enlace a las convocatorias de movilizaciones de protesta

Alla pagina facebook evento en el Facebook de la Campaña Global invitiamo a postare le mobilitazioni che si terranno nei prossimi giorni.

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La Commissione Sesta dell’EZLN e le basi d’appoggio zapatiste convocano artisti, scienziati di discipline formali e naturali, le compagne ed i compagni della Sexta Nazionale e Internazionale, il Comngresso Nazionale Indigeno e qualsiasi essere umano che si senta interpellato, al Festival e Condivisione: “CompARTE POR LA HUMANIDAD” che si terrà dal 17 al 30 luglio 2016.

CONVOCAZIONE ZAPATISTA ALLE ATTIVITÀ 2016

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

29 febbraio 2016

Considerando:

Primo: Che la grave crisi che scuote il mondo intero e che si acutizzerà, mette a rischio la sopravvivenza del pianeta e di tutto ciò che lo popola, inclusi gli esseri umani.

Secondo: Che la politica di sopra non soltanto è incapace di ideare e costruire soluzioni, ma che è anche una delle responsabili dirette della catastrofe in atto.

Terzo: Che le scienze e le arti riscattano il meglio dell’umanità.

Quarto: Che le scienze e le arti rappresentano ormai l’unica opportunità seria di costruzione di un mondo più giusto e razionale.

Quinto: Che i popoli originari e chi vive, resiste e lotta nei bassifondi di tutto il mondo possiede, tra le altre cose, una cognizione fondamentale: quella della sopravvivenza in condizioni avverse.

Sesto: Che lo zapatismo continua a scommettere, in vita e morte, per l’Umanità.

La Commissione Sesta dell’EZLN e le basi d’appoggio zapatiste:

CONVOCANO ARTISTI, SCIENZIATI DI DISCIPLINE FORMALI E NATURALI, LE COMPAGNE E I COMPAGNI DELLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE, IL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E QUALSIASI ESSERE UMANO CHE SI SENTA INTERPELLATO, ALLE SEGUENTI ATTIVITÀ:

UNO. – AL FESTIVAL E CONDIVISIONE “CompARTE POR LA HUMANIDAD” CHE SI SVOLGERÀ DAL 17 al 30 luglio 2016.

Potranno partecipare coloro che pratichino l’ARTE. Per lo zapatismo, artista è qualsiasi persona che rivendichi la sua attività come arte, indipendentemente da canoni, critici d’arte, musei, wikipedie e altri schemi “specialistici” che classifichino (cioè: escludano) le attività umane.

Il festival avrà due grandi eventi:

Uno nel CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico; e nelle sedi e calendari alterni che si implementeranno a seconda della conferma delle presenze. A esso parteciperanno tutte le persone, gruppi e collettivi che si siano iscritti o siano stati invitati a tale scopo. La data limite per registrarsi è il 15 giugno 2016 compreso. L’indirizzo di posta elettronica per la registrazione a questa attività è compArte@ezln.org.mx

L’altro sarà nel Caracol di Oventik, Chiapas, Messico. A esso parteciperanno solo le basi d’appoggio zapatiste con le proprie espressioni artistiche. A tale scopo, dal corrente mese di febbraio fino al mese di giugno 2016, nelle comunità, regioni e zone zapatiste, decine di migliaia di uomini, donne, bambini e anziani zapatisti porteranno avanti riunioni e festival per decidere le forme del loro intervento artistico e selezionare chi dovrà partecipare. La parte zapatista del festival inizierà il 17 luglio 2016.

La partecipazione di artiste e artisti invitate e registrati potrà avvenire con la loro arte stessa o con una riflessione su di essa.

L’entrata è libera (previa registrazione).

DUE. – Alla FESTA IN ONORE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO per i suoi 20 anni di lotta e resistenza DA REALIZZARSI IL 12 OTTOBRE 2016 nel CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Nei giorni precedenti e successivi, il Congresso Nazionale Indigeno realizzerà le attività che consideri pertinenti nel luogo o nei luoghi di sua scelta. La registrazione per partecipanti osservatori del festeggiamento in onore del CNI è all’indirizzo di posta elettronica: CNI20aniversario@ezln.org.mx

TRE. – All’incontro “L@s Zapatistas y las conCIENCIAS POR LA HUMANIDAD” DA REALIZZARSI TRA I GIORNI 25 dicembre 2016 e 4 gennaio 2017 nel CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

A questo incontro parteciperanno SOLAMENTE le scienziate e gli scienziati di discipline formali e naturali invitati, così come, in qualità di alunne e alunni, giovani basi d’appoggio zapatiste che presenteranno i loro dubbi, domande e questioni agli scienziati partecipanti. Anche se l’entrata sarà libera (previa registrazione), potranno prendere la parola solo le relatrici e i relatori e i giovani zapatisti che siano stati selezionati a partecipare nelle loro comunità, regioni e zone. Non ci sarà alcun esame per le alunne e gli alunni, ma per le scienziate e gli scienziati… be’, auguri con le domande. Indirizzo di posta elettronica per la registrazione a partecipare come uditori: conCIENCIAS@ezln.org.mx

Vi daremo maggiori dettagli nei prossimi giorni.

Dalle montagne del Sudest Messicano Subcomandante Insurgente Moisés. Messico, febbraio 2016

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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conferencia-3 se chiedessero a me, ombra spettrale dal naso impertinente, di definire l’obiettivo dello zapatismo, direi: “fare un mondo dove la donna nasca e cresca senza paura”.

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Le arti, le scienze, i popoli originari e i bassifondi del mondo

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Febbraio 2016

Per: Juan Villoro Ruiz:

Fratello:

Sono lieto che il resto della famiglia giurata stia bene, e ti ringraziamo di essere il messaggero per far giungere loro i nostri saluti ed ossequi (anche se sono convinto che cravatte e posaceneri o un mazzo di fiori sarebbero stati un’opzione migliore).

Mentre cercavo di proseguire con queste parole, ho ricordato il tuo testo “Conferencia sobre la lluvia” (editore Almadía, 2013) scritto, credo, per il teatro, e che lessi immaginando, di sicuro malamente, la scenografia, i gesti e i movimenti dell’interprete del monologo che sente l’interpellanza più che mostrare di accoglierla. L’inizio, per esempio, è una sintesi della mia vita: il laconico “Ho perso le carte!” della prima riga, vale un’enciclopedia se lo lego ai calendari e geografie di questo continuo cadere e ricadere che sono stato.

Perché, invariabilmente, in un’epistola, dopo il saluto di apertura perdo le idee (“la tonelada” [la “metrica“, N.d.T.] dicono i compas quando si riferiscono al tono di una canzone). Voglio dire, l’obiettivo concreto della lettera. Vero che l’aver chiaro chi sia il ricevente può aiutare, ma non poche volte il destinatario è un ascolto fratello al quale non si richiede necessariamente una risposta, ma sempre un pensiero, un dubbio, un interrogativo, ma non che paralizzi, ma che motivi altri pensieri, dubbi, domande, eccetera.

Allora, forse come al bibliotecario-conferenziere protagonista dell’opera, vengono fuori parole che non si sono cercate di proposito, ma erano lì, nascoste, aspettando una disattenzione, una crepa nel quotidiano, per assaltare la carta, lo schermo o quel foglio sgualcito che dove-diavolo-l’ho-messo-ah-eccolo-qua!-ma-quando-ho-scritto-questa-idiozia? Le parole allora smettono di essere scudo e barricata, lancia e spada, e diventano, con nostro sommo dispiacere, specchio di fronte al quale ci si rivela e svela.

Certo, il bibliotecario può ricorrere alle sue pareti colme di scaffali, con il loro ordine alfabetico e numerico, con calendari e geografie che disegnano una mappa di tesori letterari; cercare quindi alla “O” di “oblio” e vedere se lì trova quello che ha perso. Ma qua, in questo continuo trasloco, l’idea di una biblioteca, pur se minima e portatile, è una chimera. Credimie, ho accolto con vane speranze i libri elettronici (in una “USB” – o “pendrive” o “memoria esterna” – si potrebbe caricare se non la biblioteca di Borges, almeno una minima: Cervantes, Neruda, Tomás Segovia, Le Carré, Conan Doyle, Miguel Hernández, Shakespeare, Rulfo, Joyce, Malú Huacuja, Eduardo Galeano, Alcira Élida Soust Scaffo, Alighieri, Eluard, León Portilla ed il mago della parola: García Lorca, tra gli altri). Ma niente, se il bibliotecario perde le carte, ed io i dispositivi usb, chissà dove vanno a finire.

Ma non credere, ognuno ha le sue vergognose fantasie. Nelle usb degli e-book normalmente mettevo una miscellanea di autori, pensando che se li avessi persi sarebbero stati insieme e, forse, non so, dopo tutto la letteratura è il genere dell’impossibile che si concretizza in lettere, avrebbero potuto “condividersi” tra loro.

La letteratura è il luogo in cui piove”, hai fatto dire al conferenziere in disgrazia, obbligato a denudarsi, senza l’abito dei suoi appunti, per mostrarsi come è: vulnerabile.

Quindi immagina una usb con questi o altri artisti della parola. Immagina che inizi a piovere. Immagina quello di cui parlano tra loro mentre cercano di fare in modo che una goccia d’acqua non rovini il codice binario nel quale vivono, ed allora cominciano gli equivoci: 0-1-0-macchia-1-macchia-0-0-macchia-1 o quello che sia, e così parte il “come osa!” e da una parte all’altra volano i “fuck you“, “ti spacco la faccia“, “sono sciocchezze“, “al diavolo“, “siete pazzi“, “vaffanculo“, mentre Alcira diffonde la sua “Poesía en Armas” ciclostilata, cosa che non credo riappacifichi gli animi belligeranti. Insomma, tutte le promettenti aspettative rovinate… dalla pioggia.

Indubbiamente, mutatis mutando, nelle tue lettere è un gatto l’esiguo auditorium del conferenziere, e qua è un gatto-cane con la sua lucina che ugualmente resta sconcertato da quello che scrivo, come se non fossero di per sé sconcertanti un gatto-che-è-cane-che-è-gatto-che-è-cane ed una luce accoccolata nell’ombra.

Sto divagando? Questo è sicuro. Dopo tutto, questa condivisione impossibile dentro una usb che confida che la pioggia non rovini il colloquio, non è altro che una fantasia.

Ma se per il conferenziere è la pioggia, per questa missiva il tema è… la tormenta.

Consentimi dunque di approfittare di queste righe per proseguire il nostro scambio di riflessioni sulla complessa crisi che si avvicina, secondo alcuni, che già c’è, secondo altri.

Qualcuno da quelle parti ha detto che la nostra visione (plasmata ora nella stampa del libro “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista. Partecipazione della Commissione Sexta dell’EZLN“), è apocalittica e più vicina a Robert Kirkman ed il suo “The Walking Dead” (il fumetto e la serie televisiva ispirata o no, a lui), che a Milton e Rose Friedman ed il loro “Liberi di Scegliere” (il libro e le politiche economiche che trovano lì il loro alibi). Che ci sbagliamo per non essere ortodossi, o che ci sbagliamo per essere troppo ortodossi. Che non succederà niente, che svegliandoci ogni mattina ci sarà sempre il necessario per la colazione, che il cane del vicino continuerà ad abbaiare al camion della spazzatura, che dal rubinetto del bagno continuerà ad uscire acqua e non un rumore d’oltretomba. Che siamo solo uccellacci del malaugurio che, in aggiunta, non abbiamo alcun impatto mediatico o accademico (anche se sempre più spesso sono la stessa cosa).

Infine, che la macchina funziona ed ognuno sta dove deve stare. Le scosse sono sporadiche e sono solo questo, scosse, e che le turbolenze sono passeggere e dovute a qualcuno che si rifiuta di stare dove deve stare. Come si smonta un orologio se un ingranaggio o una molla escono dal loro posto e lo Stato è “l’orologiaio” che elimina il pezzo rotto e lo sostituisce con un altro.

LApocalisse (tutto incluso)? Il diluvio universale? L’umanità prigioniera nel treno apparentemente eterno e immortale di Snowpiercer (il film del sudcoreano Bong Joon-ho, intitolato “Rompighiaccio” nel dvd di “produzione alternativa” che mi è arrivato – e che adesso non trovo -) che riproduce al suo interno la stessa disumanità che, volendo risolvere il riscaldamento globale, ha indotto il raffreddamento del pianeta?

Niente di più lontano dal nostro pensiero. Noi, zapatisti, zapatiste, non crediamo che il mondo finirà. Ma pensiamo che quello che conosciamo attualmente collasserà, e che la sua implosione provocherà una miriade di disgrazie umane e naturali.

Se questa implosione sia già in marcia o si stia definendo, della sua durata e termine si può dibattere, argomentare, discutere, affermare o negare. Ma per quando ne sappiamo, non c’è chi osi negarla. Lassù tutti ammettono che la macchina sta cedendo e provano una soluzione dietro l’altra sempre all’interno della logica della macchina. Ma c’è chi vuole rompere con questa logica ed afferma: l’umanità è possibile senza la macchina.

Tuttavia, per quello che siamo, non ci preoccupa tanto la tormenta. Dopo tutto, sono stati secoli di tormenta per i popoli originari e i diseredati del Messico e del mondo, e se c’è una cosa che si impara in basso, è vivere in condizioni avverse. La vita dunque, ed in qualche caso la morte, è una lotta continua, una battaglia scatenata in tutti gli angoli dei calendari e delle geografie. E non parlo qui delle battaglie mondiali, ma di quelle personali.

Come si può evincere da una lettura attenta della nostra parola, il nostro è un messaggio che va oltre la tormenta e le sue sofferenze.

È nostra convinzione che la possibilità di un mondo migliore (non perfetto né finito, lasciamo questo ai dogmi religiosi e politici) sia al di fuori della macchina e la sua possibilità si regge su un tripode. O meglio, nell’interrelazione tra tre colonne che hanno resistito e perseverato, con i loro alti e bassi, le loro piccole vittorie e le loro grandi sconfitte, durante la breve storia del mondo: le arti (eccettuando da queste ultime la letteratura), le scienze ed i popoli originari con i bassifondi dell’umanità.

Forse ti chiedi, un po’ per curiosità e molto per la domanda diretta che ti suscita, perché metto in un comparto esclusivo la letteratura. Permettimi di spiegarlo più avanti.

Noterai che, abbandonando i classici, non ho messo la politica tra le vie di salvazione. Conoscendoci un po’ (anche se non compariamo nemmeno nelle pagine interne dei media, c’è un’abbondante bibliografia dedicata per chi nutre un onesto interesse a conoscere lo zapatismo), è chiaro che ci riferiamo alla politica classica, alla politica “di sopra”.

Juan, fratello, lo so che per questo ci vorrebbe non un’altra lettera, ma una biblioteca, quindi permettimi di lasciare questo punto in sospeso. Non perché sia meno importante o trascendente nella tormenta, bensì perché “ho preso la strada“, come dicono i compas, e se seguo le biforcazioni con le quali mi tenta la parola, corri il rischio che questa lettera non ti arrivi mai, non per la pioggia, ma perché incompiuta.

Ho messo “le arti” perché sono loro (e non la politica) che scavano nel profondo dell’essere umano e riscattano la sua essenza. Come se il mondo continuasse ad essere lo stesso, ma con esse e attraverso di esse riuscissimo a trovare la possibilità umana tra tanti ingranaggi, dadi e molle che stridono rumorosamente. A differenza della politica, l’arte dunque non cerca di riparare o sistemare la macchina. nInvece, fa qualcosa di più sovversivo ed inquietante: mostra la possibilità di un altro mondo.

Ho messo “le scienze” (e mi riferisco qui in particolare alle cosiddette “scienze formali” ed alle “scienze naturali”, considerando che quelle sociali devono ancora definire alcune cose – attenzione: senza che questo implichi una domanda ed esigenza -) perché hanno la possibilità di ricostruire sulla catastrofe che già “opera” in tutto il territorio mondiale. E non parlo di “ricostruire” nel senso di riprendere quanto crollato e rifarlo di nuovo ad immagine e somiglianza della versione precedente la disgrazia. Parlo di “rifare”, cioè, “fare di nuovo”. E le conoscenze scientifiche possono riorientare la disperazione e darle il suo senso reale, cioè, “smettere di sperare”. E chi smette di sperare, potrebbe cominciare ad agire.

La politica, l’economia e la religione dividono, lottizzano. Le scienze e le arti uniscono, gemellano, trasformano le frontiere in ridicoli punti cartografici. Certamente, né le une né le altre sono esenti dalla feroce divisione in classi e devono scegliere: o contribuire al mantenimento e riproduzione della macchina, o contribuire a mostrare la sua necessaria soppressione.

Come se invece di ri-etichettare la macchina, abbellendola o perfezionandola, l’arte e la scienza piantassero, sulla superficie cromata del sistema, un’insegna laconica e definitiva: “CADUCO”, “Scaduto”, “per continuare a vivere, aspettare un altro mondo”.

Immagina (alla tua generazione deve essere rimasto qualcosa di John Lennon, alla mia poco più che sones e huapangos [musiche e balli folk – N.d.T.]), immagina se tutto quello che si spende in politica (per esempio, per le elezioni e per le votazione per la guerra, così antidemocratiche sia le une che le altre – “la politica e l’economia sono la continuazione della guerra con altri mezzi”, avrebbe detto Clausewitz se fosse partito dalla scienza sociale), fosse dedicato alle scienze e alle arti. Se invece di campagne elettorali e militari ci fossero laboratori, centri di ricerca e divulgazione scientifica, concerti, esposizioni, festival, librerie, biblioteche, teatri, cinema, e campi e strade dove regnassero le scienze e le arti, e non le macchine.

Certo, noi, zapatisti, zapatiste, siamo convinti che questo è possibile solo al di fuori della macchina. E che bisogna distruggerla. Non ripararla, non abbellirla, non renderla “più umana”. No, distruggerla. Se qualcosa dei suoi resti serve, che sia come dimostrazione che non bisogna ripetere l’incubo. Come se fosse solo un riferimento al quale si guarda dallo “Specchietto Retrovisore” mentre si lascia indietro la strada.

Ma non dubitiamo che ci sia qualcuno che pensi o creda che sia fattibile dentro di essa, senza alterare il suo funzionamento, cambiando macchinista o redistribuendo la ricchezza dei vagoni più sontuosi (non troppa, non bisogna esagerare) ai vagoni in coda. Ovvio, sempre rimarcando che ognuno sta dove deve stare. Ma il candore, fratello, normalmente è uno degli abiti della perversione.

Ho menzionato i popoli originari e i bassifondi del mondo, perché sono quelli che hanno più opportunità di sopravvivere alla tormenta e gli unici con la capacità di creare “un’altra cosa”. Qualcuno domani deve rispondere alla domanda “C’è qualcuno sulla Terra?”. E qui la parola presenta, non senza civetteria provocatoria, un’altra biforcazione che, per il bene di questa missiva, evito con la mia nota modestia.

Prima ho detto, beffardo e provocatorio, le arti, ad eccezione della letteratura. Bene, perché credo (e questo è personale) che toccherebbe alla letteratura creare i legami tra quei 3 piedi e rendere conto del processo, fortunato o no, della sua interrelazione. Gli tocca essere “Il Testimone”. Sicuramente mi sto sbagliando, oppure in questo gioco di carte ho scoperto il “Jolly” per chiedere “Perché così seri?”.

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Che cosa vogliamo? La chiave per capire il messaggio sotterraneo dello zapatismo sta nei racconti che appaiono nel libro “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista“, sulla bambina indigena che si auto definisce “Difesa Zapatista“.

Immaginare quello che, pur necessario ed urgente, sembra impossibile: una donna che cresca senza paura.

Indubbiamente ogni geografia e calendario aggiunge le sue catene: indigena, migrante, lavoratrice, orfana, profuga, illegale, desaparecida, violentata sottilmente o esplicitamente, violata, assassinata, condannata sempre ad aggiungere pesi e condanne alla sua condizione di donna.

Che mondo sarebbe quello partorito da una donna che potesse nascere e crescere senza la paura della violenza, della minaccia, della persecuzione, del disprezzo, dello sfruttamento?

Non sarebbe terribile e meraviglioso quel mondo?

Quindi, se chiedessero a me, ombra spettrale dal naso impertinente, di definire l’obiettivo dello zapatismo, direi: “fare un mondo dove la donna nasca e cresca senza paura”.

Attenzione: non sto dicendo che in quel mondo non ci sarebbero più quelle violenze a minacciarla (soprattutto perché il pianeta si può distruggere molte volte, ma non il peggio della nostra condizione di maschi).

Nono sto nemmeno dicendo che non ci siano più donne senza paura. Che con il loro impegno ribelle abbiano ottenuto questa vittoria nella battaglia quotidiana, e che sappiano di vincere le battaglie. Ma non la guerra. No, fino a che ogni donna in ogni angolo delle geografie e calendari mondiali cresca senza paura.

Parlo della tendenza. Potremmo affermare che la maggioranza delle donne nascono e crescono senza paura? Credo di no, e probabilmente mi sbaglio e sicuramente arriveranno numeri, statistiche e dimostrazioni che mi sbaglio.

Ma nel nostro limitato orizzonte, percepiamo la paura, paura perché piccola, paura perché grande, paura perché magra, paura perché grassa, paura perché bella, paura perché brutta, paura perché incinta, paura perché non incinta, paura perché bambina, paura perché giovane, paura perché matura, paura perché anziana.

Vale la pena impegnare il passo, la vita e la morte per tale chimera?

Noi, zapatisti, zapatiste, diciamo di sì, vale la pena.

E ci mettiamo la vita che, benché sia poca cosa, è tutto quello che abbiamo.

-*-

Sì, hai ragione, non mancherà chi ci taccerà di “ingenui” (nel migliore dei casi, perché in tutte le lingue ci sono sinonimi più crudi). / Questo word processor, un software libero e con codice aperto, mi piace perché ogni volta che voglio scrivere “caso” o “casi“, il correttore mi propone “caos“. Credo che il software libero ne sappia più di me di devastanti tormente/.

Dove eravamo rimasti? Ah! Le parole perse, il loro naufragio in fogli o bites, i popoli originari e i bassifondi dell’umanità trasformati in arca di Noè, le scienze e le arti come isole salvatrici, una bambina senza paura come bussola e porto…

Che cosa? Sì, concordo con te che il risultato di tutto questo sa più di caos che di caso, ma questa è solo una lettera che, come dovrebbe essere per tutte le lettere, si trasforma in un aereoplanino di carta con la minacciosa scritta “Forza Aerea Zapatista” disegnata di lato, e che cerca il suo destinatario. Perché chissà dove sei Juan, fratello giurato. Come dicevano prima le nonne (non so adesso), “fermati ragazzino“, e mettiti la giacca o un abbraccio perché fa freddo e “la questione, lo sai, è la pioggia”.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, febbraio 2016

Traduzione “Maribel” – Bergamo – Testo originale

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Al Consiglio della Magistratura Federale del Messico: 

AUTOPRESCRIVETEVI QUESTO:

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….. gli unici terroristi sono coloro che hanno malgovernato questo paese da più di 80 anni. Voi siete semplicemente i lavamani legali di codesti genocidi e, insieme, avete convertito il sistema giudiziario in una latrina malridotta e otturata, la bandiera nazionale in un rotolo di carta igienica riciclabile (…) Il resto è solo messinscena che simula giustizia dove ci sono soltanto impunità e impudicizia, (…)

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

24 febbraio 2016

Al Consiglio della Magistratura Federale del Messico: 

In tutto questo, gli unici terroristi sono coloro che hanno malgovernato questo paese da più di 80 anni. Voi siete semplicemente i lavamani legali di codesti genocidi e, insieme, avete convertito il sistema giudiziario in una latrina malridotta e otturata, la bandiera nazionale in un rotolo di carta igienica riciclabile e lo scudo nel logo di una qualche cibaria veloce e indigesta. Il resto è solo messinscena che simula giustizia dove ci sono soltanto impunità e impudicizia, e finge il “governo istituzionale” dove c’è solo saccheggio e repressione.

PERCIO’ AUTOPRESCRIVETEVI QUESTO:

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                                    Da 3 metri sottoterra                                          Perché tanto seri?

Il defunto e compianto (già!) SupMarcos                          Aderisco e sottoscrivo (non prescrivo):

                                                                                                                               Il SupGaleano

 Autorizza per il Comando Generale dell’EZLN

 Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, febbraio 2016

P.S.: Ma allora il tampiqueño può ormai uscire dalla comunità e fiondarsi verso dei bei granchi ripieni? Ovvio, che inviti, altrimenti niente. E può fare quel che fa qualsiasi altro messicano, ovvero essere sfruttato, fregato, defraudato, umiliato, disprezzato, spiato, ricattato, sequestrato, assassinato, fatto sparire, e insultato nella sua intelligenza da chi dice di governare questo paese? Lo dico perché è l’unica cosa che le istituzioni garantiscono oggi a qualsiasi cittadino che non sia di sopra.

Comunicato

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Prescritti i reati per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro Marcos.

Il giudice federale Juan Marcos Dávila ha decretato la prescrizione dei reati di terrorismo sedizione, sommossa, ribellione e cospirazione per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro il subcomandante insurgente Marcos ed altri membri dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). (….). Il giudice ha stabilito la prescrizione di tutti i reati il 12 febbraio scorso, 21 anni dopo l’emissione del mandato di cattura contro i leader zapatisti.

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 La Jornada – Mercoledì 24 febbraio 2016

Prescritti i reati per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro Marcos

http://www.jornada.unam.mx/2016/02/24/politica/005n1pol

Alfredo Méndez

Il giudice federale Juan Marcos Dávila martedì scorso ha decretato la prescrizione dei reati di terrorismo sedizione, sommossa, ribellione e cospirazione per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro il subcomandante insurgente Marcos ed altri membri dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). (….). Il giudice ha stabilito la prescrizione di tutti i reati il 12 febbraio scorso, 21 anni dopo l’emissione del mandato di cattura contro i leader zapatisti.

Nel 2001 Marcos partecipò ad una carovana zapatista che percorse varie entità del paese, fino ad arrivare a Città del Messico. Allora, il governo del presidente Vicente Fox Quesada decise di non eseguire i mandati di cattura contro i dirigenti zapatisti; tuttavia, gli ordini di cattura sono sempre stati attivi. (…)

Il 9 febbraio 1995, il governo del presidente Ernesto Zedillo Ponce de León, attraverso l’allora titolare della Procura Generale della Repubblica (PGR), Antonio Lozano Gracia, in una conferenza stampa “identificò” nel subcomandante Marcos “Rafael Sebastián Guillén Vicente” e disse che era stato spiccato un’ordine di cattura contro di lui ed altri leader zapatisti. (…)

Quella stessa notte, Lozano Gracia annunciò l’inizio di un operativo poliziesco-militare nel municipio chiapaneco di Guadalupe Tepeyac, in particolare a Las Margaritas, principale bastione zapatista, col fine di catturare Marcos. Benché non riuscì a catturare il dirigente dell’EZLN, le forze federali e la PGR riuscirono a catturare quello stesso anno Javier Elorriaga Berdegué, comandante Vicente; Jorge Santiago Santiago, Sebastián Entzin Gómez e María Gloria Benavides Guevara, comandante Elisa. (…)

Quattro giorni prima di questi arresti, l’allora segretario di Governo, Esteban Moctezuma Barragán, si era riunito con Marcos ed altri capi zapatisti ed avevano pattuito uno storico accordo di pace, del quale era informato il presidente Ernesto Zedillo. Tuttavia, dallo stesso governo federale arrivò il contrordine: catturare il subcomandante.

(…)

I dirigenti dell’EZLN beneficiati dalla prescrizione sono: Javier Elorriaga Berdegué, comandante Vicente; Jorge Santiago Santiago, Sebastián Entzin Gómez, María Gloria Benavides Guevara, comandante Elisa; Filiberto Gómez Díaz, Miguel Gómez Díaz, Carlos Gómez Díaz, Israel Gómez Díaz, Pedro Velazco Pérez, Venancio Hernández Jiménez, Mercedes García López, Antonio López Santís, José Luis Santís Pérez, Mariano Santís Vázquez, Arnulfo Pérez Aguilar y Domingo Pérez Aguilar.

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EZLN: Adesso vi raccontiamo un po’ di come stanno le comunità zapatiste, dove resistono e lottano le basi di appoggio. Quello che vi stiamo per raccontare viene dai rapporti delle compagne e dei compagni zapatisti che nei villaggi sono responsabili di commissioni (per esempio, di salute, educazione, gioventù, ecc.), sono autorità autonome e responsabili organizzativi. Abbiamo comunque controllato tutto con le/i compagni del Comitato per verificare che non fossero bugie, o alterazioni perché sembri che tutto va bene e nascondere quello che va male. Lo scopo di questi scritti non è raccontare bugie alle nostre compagne e ai nostri compagni della Sexta, né a coloro che appoggiano e sono solidali. Né a voi, né a nessuno altro.

 

E NELLE COMUNITÀ ZAPATISTE?

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

Febbraio 2016

Alle compagne e compagni della Sexta:

A chi di dovere:

Compañeroas, compagni e compagne:

Adesso vi diciamo un po’ come stanno le comunità zapatiste, dove resistono e lottano le basi di appoggio.

Quello che vi stiamo per raccontare viene dai rapporti delle compagne e dei compagni zapatisti che nei villaggi sono responsabili di commissioni (per esempio, di salute, educazione, gioventù, ecc.), sono autorità autonome e responsabili organizzativi. Abbiamo comunque controllato tutto con le/i compagni del Comitato per verificare che non fossero bugie, o alterazioni perché sembri che tutto va bene e nascondere quello che va male. Lo scopo di questi scritti non è raccontare bugie alle nostre compagne e ai nostri compagni della Sexta, né a coloro che appoggiano e sono solidali. Né a voi, né a nessuno altro.

Se andiamo male, lo diciamo chiaramente, e non per rendervi più tristi di quanto già siate per tutto quello che succede nelle vostre geografie e calendari. Lo diciamo perché è il nostro modo di rendere conto, cioè di informarvi affinché sappiate se stiamo seguendo la strada che vi abbiamo detto o se ci stiamo occupando di altre cose, forse ripetendo gli stessi vizi che critichiamo.

Ma se andiamo bene, vogliamo che lo sappiate affinché ne gioiate nel cuore collettivo che siamo.

Come facciamo a sapere se andiamo bene o male? Per noi, zapatiste e zapatisti, è molto semplice: i popoli parlano, i popoli comandano, i popoli fanno, i popoli disfano. Nel momento in cui qualcuno prende una brutta strada, subito il collettivo gli molla, come si dice, uno scappellotto, o si corregge o se ne va.

Questa è la nostra autonomia: è la nostra strada, noi la percorriamo, noi la indoviniamo, noi ci sbagliamo, noi ci correggiamo.

In sintesi, vi diciamo la verità, perché dovete essere già abbastanza stufi di bugie. E la verità, anche se a volte fa male, è sempre di sollievo.

Non vogliamo fare come i malgoverni che nei giorni scorsi sono ricorsi al trucco per piacere al visitatore affinché non vedesse quello che succede in basso. Ma tutto quel maquillage è servito solo a dimostrare quanto sono falsi i governi. Pensavano forse che chiunque mediamente intelligente non avrebbe visto la realtà? Che si esprima o no rispetto a questa realtà, ed il modo in cui lo faccia, la realtà è un’altra cosa.

Andiamo avanti, dunque. Quello che adesso vi raccontiamo è quanto viene spiegato nei libri della Escuelita Zapatista. Se non avete frequentato la Escuelita Zapatista in comunità o fuori porta, o non conoscete quello che dicono i libri di testo, vi raccomandiamo di leggerli. Da lì imparerete a conoscere il processo di costruzione dell’autonomia.

Quello che succede è qualcosa di nuovo, sono apparse nuove cose che uno o due anni fa non c’erano:

– La crescita zapatista è costante. Stanno aderendo molti ragazzi e ragazze.

– Nel campo della salute le compagne ed i compagni vanno bene. Nelle loro cliniche autonome arriva meno gente perché è cresciuto molto il lavoro di prevenzione e grazie all’assistenza prestata dai promotori di salute autonoma. Cioè, ci si ammala di meno. Quelli che arrivano sempre più numerosi nelle cliniche zapatiste autonome, sono gli aderenti ai partiti.

– Nel settore dell’educazione, l’istruzione primaria è completa. Ma ora arriva una richiesta nuova dalle comunità: la secondaria e la preparatoria. In alcune zone c’è già la secondaria, ma non in tutte. Adesso ci sono ragazzi e ragazze che chiedono un’istruzione superiore. Non vogliono laboratori, ma studi superiori di scienze ed arte. Ma non studi secondo il metodo capitalista delle università istituzionali, bensì secondo il nostro metodo. Al riguardo, c’è ancora molto da fare.

– Riguardo all’economia, senza contare quanto già c’è e si mantiene dei lavori collettivi e individuali (milpa, fagioli, piantagioni di caffè, banane, allevamento di polli, pecore, bestiame, negozi, miele, ortaggi, compra-vendita di bestiame ed altri tipi di prodotti), si è registrato un aumento della produzione, cosa che ha migliorato l’alimentazione e la salute, soprattutto di ragazzi e ragazze.

– In alcune zone i promotori di salute autonoma si stanno specializzando nell’uso delle apparecchiature ad ultrasuoni, analisi di laboratorio, medicina generale, odontologia e ginecologia. Inoltre, nelle regioni si fanno campagne di prevenzione. In una zona, con il ricavato dell’allevamento collettivo di bestiame, sono stati acquistati strumenti di laboratorio ed un apparecchio ad ultrasuoni. Ci sono già compagne e compagni esperti nell’utilizzo di queste apparecchiature, risultato dell’apprendimento tra di loro come promotori di salute da un caracol all’altro, cioè si sono formati tra loro stessi. Ed è già in costruzione un’altra clinica ospedale affinché da qui in poi si possano eseguire piccoli interventi chirurgici, come già si sta facendo a La Realidad ed Oventik.

– Nel lavoro della terra, sono cresciuti molto i collettivi che lavorano la milpa e allevano il bestiame. Con i guadagni, oltre a comperare apparecchiature e medicinali per le cliniche, si sono comperati un trattore.

– Nel commercio, le cooperative di generi alimentari hanno raggiunto l’indipendenza economica ed hanno mantenuto prezzi bassi per le famiglie zapatiste. Questo è possibile perché non c’è chi si arricchisce col rincaro dei prodotti base di consumo.

– Nei negozi autonomi non ci sono abiti di marchi esclusivi né all’ultima moda, ma non mancano sottane, abiti, bluse, pantaloni, camicie, scarpe (la maggioranza fabbricate nelle calzolerie autonome) e tutto quello che ognuno usa per coprire le parti intime.

– Chi è più avanzato nei collettivi di produzione e commercio, sono le compagne. Alcuni anni fa, frutto del lavoro collettivo della comandancia, di comitati ed insurgent@s, (sì, anche noi lavoriamo per produrre ed ottenere ricavi) si destinò una somma ad ogni municipio autonomo affinché le compagne basi di appoggio la utilizzassero collettivamente o per quello che avessero deciso loro.

Si sono rivelate amministratrici migliori degli uomini, perché in un municipio le compagne non solo avevano avviato con successo un allevamento di bestiame collettivo, ma ora è talmente cresciuto che danno “al partir” le loro mucche ad altri villaggi dove ci sono collettivi di donne (le/gli zapatisti dicono “al partir” quando quello che si ottiene si “divide” a metà e questa metà viene data ad un’altra “parte”).

– Lo stesso è accaduto con le cooperative di generi alimentari: ormai offrono prestiti ad altri collettivi di regione o villaggi e perfino a singole compagne.

– In tutti i municipi autonomi si fa lavoro collettivo nella milpa ed altri nell’allevamento di bestiame. In tutte le regioni si svolge lavoro collettivo che procura guadagno. Per esempio, per l’ultima celebrazione, le regioni hanno cooperato per la mucca che hanno mangiato durante la festa e per i musicisti.

– Nella stragrande maggioranza dei villaggi si fa lavoro collettivo, in alcuni villaggi sono i compagni a non lavorare in collettivo, ma le compagne sì, e ci sono villaggi in cui sono presenti 2 collettivi, un collettivo di compagni ed un collettivo di compagne. Individualmente tutti lottano per stare bene e sono riusciti ad andare avanti. Sia le miliziane che i miliziani, come le/gli insurgent@s lavorano in collettivi di produzione per sostenersi e sostenere le comunità.

– Nel caracol di Oventik hanno già una tortillería autonoma. Non sappiamo quanto costa un chilo di tortillas nelle vostre geografie, ma ad Oventik viene 10 pesos al chilo. E sono di mais, non di maseca [marchio di un tipo di farina di colore giallo pallido – N.d.T.]. Perfino i trasporti pubblici fanno viaggi speciali per comprare lì le loro tortillas. Nella zona degli Altos del Chiapas, dove si trova il caracol di Oventik, non si produce mais. Il mais si produce nelle regioni della Selva e viene commercializzato tra i collettivi di zona affinché le famiglie zapatiste abbiano mais a buon prezzo e senza intermediari. Per fare questo si usano i camion che sono stati donati alle Giunte di Buon Governo da brave persone di cui non facciamo i nomi ma loro e noi sappiamo chi sono.

– In molti villaggi zapatisti circa il 50% lavora collettivamente ed il resto individualmente. In altri la maggioranza lavora individualmente. Sebbene si promuova il lavoro collettivo, si rispetta il lavoro individuale che non sfrutta altri individui. Tanto nel lavoro collettivo quanto in quello individuale, non solo si mantengono ma avanzano.

– Ogni realtà organizza i propri lavori collettivi. Ci sono collettivi di villaggi, ed in alcuni di questi ci sono collettivi di uomini, di donne e di ragazzi e ragazze. Ci sono collettivi di regione o di municipio. Ci sono collettivi di zona o di Giunta di Buon Governo. Quando un collettivo avanza di più, appoggia gli altri collettivi che sono più indietro. O, come in alcune regioni, il ricavato del lavoro collettivo di produzione di generi alimentari viene destinato agli ostelli a disposizione delle scuole secondarie autonome.

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Quanto vi stiamo dicendo riguardo ai progressi, non viene dalla comandancia zapatista, cioè non è uscito dalla testa di qualcuno, ma viene dalle condivisioni tra le comunità stesse.

In queste condivisioni si raccontano dei loro lavori, dei loro progressi e dei loro problemi ed errori. Da lì escono molte e nuove idee che si scambiano tra loro. Cioè, imparano tra compagni e compagne.

E certamente anche noi, come comandi, impariamo molto dalle nostre compagne e compagni zapatisti.

È terribile e meraviglioso quello che vediamo e sentiamo, tanto che non sappiamo a che cosa porterà tutto questo progresso.

Adesso non vi parliamo del riarmo dei paramilitari, dell’aumento dei pattugliamenti militari, aerei e terrestri, e di tutto quello che fanno i malgoverni per tentare di distruggerci. Non vi diamo dettagli perché sappiamo bene che neanche voi ve la passate facile, che le vostre resistenze e ribellioni subiscono aggressioni tutti i giorni, sempre ed ovunque. E che, ciò nonostante, continuate ad essere ribelli e resistenti.

Ma sappiamo che sapete che tutto questo di cui vi parliamo avviene in mezzo ad aggressioni, attacchi, minacce, calunnie e silenzi complici. In mezzo ad una guerra.

E sebbene nei momenti bui, come quello attuale, sorgano “commercianti della speranza”, le/gli zapatisti non si lasciano ingannare dalle sciocchezze ecclesiali, secolari o laiche di presunti “nuovi costituenti” che vogliono “salvarci” e che ricorrono agli stessi vecchi metodi di coercizione che dicono di criticare, e che mentono su presunti appoggi dell’EZLN mentre tentano di rieditare la storia con l’appoggio di “avanguardie” obsolete che, da tempo, hanno rinunciato alla loro stessa eredità.

L’EZLN non appoggia alcuna vendita di specchi. Siamo nel 2016, non nel 1521, svegliatevi.

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Compas della Sexta, Sorelle e Fratelli del Congresso Nazionale Indigeno:

Con tutto questo ed in mezzo a tutti gli agguati, noi zapatiste e zapatisti ci prepariamo al peggio, quello che sta per arrivare.

Non abbiamo paura. Non perché siamo temerari, ma perché confidiamo nei nostri compagni e compagne.

Sembra come se, di fronte alla tormenta che già scuote i cieli ed i suoli del mondo, le basi di appoggio zapatiste fossero cresciute. Mai come adesso brillano la loro abilità, saggezza, immaginazione e creatività.

In realtà, più che informare o rendere conto, queste parole vogliono abbracciarvi tutt@, e ricordarvi che qua, in questo angolo di mondo, avete dei compagni che, nonostante le distanze in calendari e geografie, non vi dimenticano.

Ma non tutto va bene. Vi diciamo chiaramente che vediamo una falla: le donne zapatiste stanno avanzando più degli uomini. Ovvero, non si sta avanzando in maniera uguale.

Resta sempre meno di quel tempo in cui l’uomo era l’unico a portare i soldi a casa. Ora in alcune zone i collettivi di donne danno lavoro agli uomini. E non sono poche le famiglie zapatiste dove è la donna che dà i soldi all’uomo perché si comperi un camicia, dei pantaloni, un paliacate ed un pettine perché si presenti in ordine in occasione delle prossime attività che presto annunceremo.

Perché forse saremo sporchi, brutti e cattivi, ma: sempre ben pettinati.

Dalle Montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés          Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, febbraio 2016

 

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane:

Frammento della conversazione tra alcuni aderenti ai partiti ed alcun@ zapatisti:

Aderenti ai partiti: Ma come, l’EZLN non accetta i programmi del governo come Procampo, Prospera, Nuevo Amanecer de los Ancianos?

Zapatisti: No.

Aderenti ai partiti: Allora, quale organizzazione vi sostiene?

Zapatisti: Siamo organizzati ed abbiamo basi di appoggio che lavorano insieme e ci governiamo e facciamo lavori collettivi e con questo ricaviamo risorse economiche per sostenere la nostra resistenza.

Aderenti ai partiti: In che modo noi come società civile possiamo organizzarci e come potete consigliarci, guidare e insegnare?

Zapatisti: Guardate la situazione dei media liberi o del Congresso Nazionale Indigeno. Noi non diciamo o decidiamo come si devono organizzare né mettiamo nomi alla loro organizzazione. Che sia il popolo a pensare e decidere che cosa fare e come organizzarsi.

Aderenti ai partiti: Che cosa dobbiamo fare?

Zapatisti: La nostra idea è abbattere il sistema capitalista.

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Rapporto sulla conversazione avvenuta, un’alba del mese di febbraio, tra chi chiamano Subcomandante Insurgente Moisés ed il cosiddetto SupGaleano:

SupMoy: È arrivato un rapporto riguardo a minacce di morte ed al governo che vuole attaccare i caracol per distruggere lo zapatismo, perché sta facendo fare brutta figura ai governi.

SupGal:

SupMoy: Che ci stanno cercando, me e te, per ucciderci.

SupGal: “ucciderci”? non sarà “arrestarci”, “catturarci”?

SupMoy: No, il rapporto dice “per ucciderli”.

SupGal: Caz…, e perché io? Questo è razzismo-colonialista-etero-patriarcale-eurocentrico. Se tu sei il portavoce, tocca a te. Io sono solo l’ultimo bastione del machismo zapatista e vedi ormai che siamo in ritirata. Inoltre, perché la violenza? Prima dicevano solo “fermare”, “mandato di comparizione”, “arresto”, adesso “ammazzare”. Inoltre, io sono già morto diverse volte, non lo considerano questo? Che ne tengano conto e mettano un bel “missione compiuta”. Ma non cambiare argomento: ti sto dicendo che non bisogna mettere nel comunicato la cosa dei collettivi delle donne.

SupMoy: Perché no?

SupGal: Perché se lo diciamo facciamo fare brutta figura al genere maschile. Tutta la tradizione di film di Pedro Infante e canzoni di José Alfredo Jiménez corre il pericolo di sparire. Sei d’accordo che spariscano le culture ancestrali? No, vero?

SupMoy: Come diceva la buon’anima: ya se chingó la Roma ésa porque ya lo puse.

SupGal: Come?!! Cosa ne è della solidarietà di genere?

SupMoy: È meglio che pensi come fare perché gli uomini si diano da fare e facciano avanzare i loro collettivi.

SupGal: Ok, ok, ok, Dobbiamo tornare alle nostre radici, come si dice. Farò un programma speciale per Radio Insurgente. Altro che Trono di Spade; esclusivamente canzoni del grande camerata e dirigente, primo del suo nome, re di Garibaldi, padre dei draghi e signore delle sette leghe: Pedro Infante.

SupMoy: hahahahaha. Non lo trasmetteranno mai. La responsabile della programmazione è una compagna.

SupGal: Porca miseria, accidenti alla legge rivoluzionaria delle donne! E quelle di José Alfredo Jiménez?

SupMoy: Peggio.

SupGal: Mmm… dei Bukis allora?… Los Temerarios?… Brindis?… Los Tigres del Norte? Piporro?

La discussione è andata avanti fino a che il gatto-cane, affilandosi le unghie, ha sentenziato: guau-miau.

Era l’alba, faceva molto freddo e, malgrado un’ombra si posasse sulla faccia della terra, una piccola luce riscaldava la parola “resistenza”.

In fede, in protesta di genere.

Nota: Il presente testo è stato realizzato con un processore di testi di software libero e codice aperto, con un sistema operativo GNU/Linux, con distro UBUNTU 14.04 LTS, con un computer dell’esclusiva e nota marca “La Migaja Z.A. de C.V. de R.L” (nota: “Z.A” sono le iniziali di “Zapatista Autonoma”; “C.V” de “Cooperación Virtual”; “R.L” de “Rebeldía Lúdica”), modello “Deus Ex Machina 6.9”, ricostruito (cioè, si era rotto ma l’abbiamo rimesso insieme come un rompicapo) nel Dipartimento di Alta Tecnologia Alternativa Zapatista (DATAZ, le sigle in spagnolo). Ok, ok, ok, è venuto fuori tipo una figura geometrica tridimensionale che chiamiamo “KEKOSAEDRO” – perché nessuna sa che cosa sia – e sono avanzati dei cavi e qualche vite ma funziona bene… fino a che non smette di funzionare. “UBUNTU”, In lingua zulu significa anche “Sono perché noi siamo”. Dite “SI” al software libero. Fuck Microsoft, Apple and so forth (if you know what I mean)! ¡Linux rules!

pinguino

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

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papa-messico

Francesco, il Messico e i media italiani: lasciamo aperta una finestra sui diritti negati

di MéxicoNosUrge https://www.facebook.com/mexiconosurge

La visita di papa Francesco in Messico ha dato all’Italia l’opportunità di allargare lo sguardo su un Paese che non prendiamo sul serio, sebbene rappresenti stabilmente la quindicesima economia globale (dal 2011 al 2014, lo dice la Banca Mondiale).

Dall’uscita nei cinema del film Puerto Escondido (1992) alla saga della cattura di El Chapo, di pochi mesi fa, ci siamo impegnati a leggerne la realtà soltanto attraverso stereotipi, complice – forse – l’assenza di inviati veri al servizio delle maggiori testate televisive e giornalistiche nazionali. Stereotipi che hanno accompagnato anche il viaggio di Bergoglio, come dimostrano le foto con sombrero scattate in aereo, e l’enfasi sulle immagini degli indigeni del Chiapas nei loro costumi tradizionali, durante la celebrazione eucaristica a San Cristóbal de Las Casas.

Per guardare oltre e in profondità il contesto messicano, riprendiamo una storia 15 anni fa. Nel marzo del 2001, una di quelle donne indigene, il cui nome era Esther, prese parola di fronte al Parlamento messicano. Era la fine di marzo, e nelle sue parole – rivolte a deputati e senatori – c’era spazio anche per gli abiti che indossava: “Vogliamo che sia riconosciuta la nostra forma di vestire, di parlare, di governare, di organizzare, di pregare, di curare, la nostra forma di lavorare in collettivo, di rispettare la terra e di considerare la vita, che è la natura di cui siamo parte”. Esther, comandante dell’Esercizio Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), insorto in armi nel gennaio di 17 anni prima, chiedeva l’approvazione della legge su diritti e cultura indigena, figlia degli Accordi di pace siglati il 16 febbraio del 1996 nella cittadina di San Andrés Larrainzar, a poche decine di chilometri da San Cristóbal de Las Casas. A mediare tra le parti, governo federale ed EZLN, era stato chiamato Don Samuel Ruiz, per quarant’anni vescovo della Diocesi. Per questo, in occasione del ventesimo anniversario degli Acuerdos de San Andrés, le scuse di papa Francesco agli indigeni, per secoli abusati dei propri diritti, sono importanti, come lo è il fatto che abbiano voluto fermarsi in preghiera -nella cattedrale di San Cristóbal – davanti alla tomba di Ruiz, che i maya del Chiapas chiamavano Tatik, “padre”, e la gerarchia della Chiesa cattolica ha sempre osteggiato in vita.

È essenziale che la finestra sul Messico che si è aperta durante la visita del Pontefice non venga richiusa. Secondo l’istituto nazionale di statistica, nei tre Stati più importanti del Sud-est messicano, cioè Chiapas, Oaxaca e Yucatan, 3 persone su 10 parlano almeno una lingua indigena (INEGI, 2015); l’Italia e l’Europa devono tornare a fare pressione per l’approvazione, mai arrivata, della legge che riconosca diritti e cultura indigena.

Conta ancora qualcosa il diritto internazionale? Il Messico è uno tra i Paesi che hanno ratificato, fin dal 1990, la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, relativa alla presenza di popoli indigeni e tribali all’interno di Paesi indipendenti. Secondo il diritto, quindi, il governo messicano dovrebbe garantire “la piena efficacia dei diritti sociali, economici e culturali di questi popoli, rispettando la loro identità sociale e culturale, costumi e tradizione, e le loro istituzioni”. E l’articolo UNO del trattato di libero commercio tra l’Unione Europea e Messico, pomposamente definito “Acuerdo global”, sancisce che “il rispetto ai principi democratici e ai diritti umani fondamentali, come enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne ed internazionali delle Parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo”. Elemento essenziale, rimasto però sulla carta: pochi giorni prima del discorso della comandante Esther in Parlamento, nel marzo del 2001 entravano in vigore le misure relative alla libertà d’investimento nell’ambito “dell’Acuerdo global”, e molte imprese, anche italiane, ne hanno approfittato. L’interscambio commerciale tra i Paesi dell’UE e il Messico oggi vale quasi 45 miliardi di euro, ed è più che raddoppiato dal 2000. Tutto questo vale il nostro silenzio? Un anno fa, nel marzo del 2015, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è stato ricevuto dal presidente messicano, Enrique Peña Nieto, ma in nessun momento ufficiale né documento pubblico, il ministro ha in alcun modo menzionato le gravi violazioni dei diritti dei popoli indigeni legati alle attività minerarie; il dramma degli oltre 27mila desaparecidos; le decine di migliaia di Feminicidios, solo nello scorso anno e solo nello stato di Ecatepec sono state oltre 500 le donne vittime di femminicidio; le violenze “strutturali” nei confronti della stampa. È, anche questo, un silenzio complice?

Lo storico belga Jan De Vos ha dedicato tre libri alla Selva Lacandona, la foresta tropicale del Chiapas. L’ultimo, Una tierra para sembrar sueños, racconta il periodo tra gli anni Cinquanta e il Duemila, la storia recente della Selva. Sono gli anni in cui le comunità cattoliche di base, frutto del lavoro di Don Samuel Ruiz e dei suoi catechisti rurali, restituiscono speranza e dignità agli indigeni; anni – anche – in cui la Selva diventa casa e protezione per decine di migliaia di indigeni Maya che fuggono dal Guatemala, funestato da una terribile guerra civile, dove risultano vittime di un genocidio.

Erano rifugiati che attraversavano un confine tracciato sulla carta ma di fatto inesistente, nel fitto della Lacandona: è a queste comunità indigene solidali che l’Italia e Europa dovrebbero guardare; per leggere in modo diverso la nostra storia presente.

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Cambiare il cammino, vendersi, arrendersi? Questo mai!

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INTANTO … nelle comunità aderenti ai partiti

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

Febbraio 2016

Alle compagne e ai compagni della Sexta:

A chi di dovere:

Compagni e non compagni:

Ciò che vi stiamo per raccontare proviene dalla voce stessa di indigeni aderenti ai partiti che vivono nelle diverse zone nello stato messicano sudorientale del Chiapas. Sebbene militino, simpatizzino o collaborino nei diversi partiti politici istituzionali (PRI, PAN, PRD, PVEM, PMRN, PANAL, PT, PES, PFH, … più quelli che salteranno fuori da qui al 2018), hanno in comune l’avere ricevuto i programmi di assistenza del malgoverno e di essere materiale umano per voti e per trasporti terrestri e celestiali, oltre che, ovviamente, di essere indigeni e messicani.

Quel che state per leggere non solo non è apparso, né appare, né apparirà sulla stampa prezzolata locale, nazionale e internazionale, ma per di più contraddice puntualmente la propaganda governativa e le lodi che ne cantano i suoi media (tra l’altro, molto male).

In sintesi, sono manifestazioni di un crimine: la spoliazione “legale” di terre, storia e cultura di comunità indigene che hanno creduto che i malgoverni e le organizzazioni partitiche esistano per aiutarle. Abbiamo omesso i nomi reali di comunità e persone perché ce lo ha espressamente richiesto chi ha parlato, in alcuni casi perché teme rappresaglie, e in altri per la vergogna e l’imbarazzo di cui soffre per la fregatura subita.

I protagonisti sono solo una piccola parte delle vittime di una guerra, la più brutale, terribile, sanguinaria e distruttiva nella storia mondiale: una guerra contro l’Umanità.

Forniremo soltanto alcuni esempi perché ce ne sono molti, sebbene la menzogna e la sofferenza si ritrovano accoppiate in ciascuno di essi. Dunque…

Quel che qui si scrive è quel che sta accadendo nelle comunità aderenti ai partiti.

Al primo impatto non gli si crede ma quel che vi raccontiamo è un fatto, tale e quale che lo raccontano e dicono le compagne e i compagni basi d’appoggio; e lo dicono i non zapatisti delle comunità, quel che si sta soffrendo nei loro villaggi. Ciò al di là di quel che stanno soffrendo negli altri villaggi dei compagni e compagne del Congresso Nazionale Indigeno nel nostro paese, di cui non si sa molto perché non ci sono mezzi di comunicazione che ne diano notizia, perché la maggior parte dei media esistenti è prezzolata.

Ciò che vi scriviamo è cosa di meno di un anno fa.

Osserviamo come fossimo su un drone sotterraneo per vedere come stanno gli aderenti ai partiti di sotto, lontano dalle statistiche governative e dalle inserzioni a pagamento sui media.

Dalle parti di La Realidad, in una comunità – be’, continuerà a essere una comunità se si difenderà, perché ora vedrete cosa è successo. Non sono zapatisti, bensì aderenti ai partiti.

Vi giunse il progetto di allevamento del malgoverno. Diede bestiame a tutti gli appartenenti all’ejido, non in comune, ma individualmente. Individualmente diede vacche, cavallo, finimenti, recinto, fili per recinti, sale, e in comune diede loro la cassetta dei medicinali veterinaria.

E la gente era ben contenta. Aveva perfino cartelli e magliette che dichiaravano che il governo mantiene la parola. E i governanti si fecero le foto e pagarono i media prezzolati per dare la grande notizia: “le comunità partitiche progrediscono, mentre gli zapatisti stanno come o peggio del 1994”. I funzionari misero a bilancio di avere speso molto, per nascondere quel che si sono rubati: un po’ per loro, un po’ per i governi, un po’ per i media prezzolati.

Ma le notizie viaggiano come la gallinella cieca, che non sa dove andare: e il chapo se ne è scappato per la seconda volta, e lo hanno preso per la terza, ed è venuto il papa, e se ne è andato il papa, e intanto in qualsiasi angolo del Messico, o del mondo, hanno picchiato-violentato-incarcerato-assassinato-fatto sparire-non-importa-chi. E la notizia è parte del sistema, ovvero è anch’essa una merce. E si vende se si dice, e si vende se si tace. Perciò i media ricevono un mucchio di soldi per dire… e molti di più per tacere.

Ma non passò molto tempo: uno di questi membri dell’ejido del villaggio che riceve sostegno governativo, fu preso dalla necessità e vendette una vacca. Dicendo “la necessità” vogliamo dire che ha avuto un’urgenza, come una malattia grave. A quel punto arrivò l’ispettore del progetto e iniziò a contare le vacche, una a una, che gli aveva dato; alla fine ne mancava una di uno di loro, cioè dei membri dell’ejido. Allora l’ispettore gli disse: “Non puoi vendere, perché non hai chiesto il permesso? Devi comprarne una in sostituzione, e che sia della stessa stazza e della stessa razza”. Il signore dell’ejido gli rispose: “Ma come, signore, se ho già speso il guadagno per necessità… dove trovo i soldi per comprarne una in sostituzione?”. E l’ispettore risponde: “Questo non è un problema mio, è un problema tuo, compra quella in sostituzione, è tutto, altrimenti ti portiamo via tutto il resto”.

Non passò un mese che ritornò il maledetto ispettore e riunì i membri dell’ejido, e poi disse a tutti, tirando fuori gli incartamenti e mostrandoli alla gente: “Tutti questi fogli sono la lista, le ricevute, le fatture di tutto quel che avete già ricevuto dal governo, perciò ora la terra non è più vostra, dovete andarvene e che sia con le buone, altrimenti sarà con le cattive. Se ve ne andrete con le buone è già pronto il posto dove vivrete, a Escárcega, cioè nello stato di Campeche, oppure andrete a Los Chimalapas”.

Vale a dire che in tutto quel periodo in cui erano contenti per il sostegno del malgoverno, in realtà stavano accudendo, come peones, il bestiame che non era loro. E tutte le carte che avevano firmato, con i loro verbali dell’ejido e le loro credenziali di elettori, in realtà significavano che stavano svendendo le loro terre senza saperlo.

Da lì in poi finirono i sorrisi e arrivarono la pena, la tristezza, il dolore e la rabbia.

Perché in quel posto è zona turistica. E’ dove il fiume Jataté forma alcune piccole isole molto belle. Ecco cosa vogliono i signori che vivono di banconote e di monete. Questo sta succedendo nella comunità di X, municipio ufficiale di Maravilla Tenejapa, alla frontiera con il Guatemala.

Sapete dove rimane Los Chimalapas? Sì, nella zona contigua allo stato di Oaxaca. Sapete che lì ci sono frequenti conflitti, per problemi di terra, tra contadini di Oaxaca e del Chiapas? Ebbene, aumenteranno. I governi federale e statali stanno usando questo luogo per ricollocare chi viene privato delle sue terre. Ecco cosa fa il populismo governativo: non risolve problemi, li ingigantisce e li trasferisce in altre geografie perché esplodano in altri calendari.

Ai malgoverni e agli uomini di partito di sopra non importano i bisogni della gente. Tutte le loro campagne e i loro programmi sociali non sono soltanto una grande menzogna e una fonte di denaro per arricchirsi, ma sono anche un mezzo per la spoliazione.

Ma continuiamo ad ascoltare e vedere gli aderenti ai partiti.

Nella zona del caracol di Garrucha (ma anche nelle altre zone) è accaduto questo fatto: nelle comunità W, Xe Y hanno ricevuto i progetti di “Pro Albero”, e anche in altri villaggi, ma non ce lo raccontano. Questo invece ce lo hanno raccontato da queste tre comunità, perciò lo diciamo. Proviene tutto da aderenti ai partiti nel municipio ufficiale di Ocosingo, Chiapas.

A tutti questi villaggi, il governo ha proibito di tagliare nuovi alberi per le proprie necessità, come la legna per cucinare e per la costruzione delle proprie case. La gente dice che ormai teme per quel che le potrà accadere, giacché hanno a disposizione solo un pezzo di terreno per coltivare la milpa ai piedi del monte, mentre se tagliano a metà montagna vengono multati. Allora, se hanno bisogno di cambiare una tavola di una loro capanna, devono comprarla a una segheria. Le segherie sono grandi imprese e possono tagliare gli alberi, tutti quelli che vogliono, proprio dove i contadini non possono tagliare. Se hanno bisogno di legna per cucinare, devono comprarla altrove e caricarsela a spalla fino a casa, e vanno camminando con il carico in spalla per la stessa strada in cui circolano grandi camion con giganteschi tronchi di alberi tagliati nelle terre della comunità in cui gli abitanti stessi non possono tagliare legna per “preservare l’ecologia”.

Da dove prende i soldi, il contadino, per comprare la tavola di cui ha bisogno per la sua casa o la legna per cucinare? Dai programmi governativi. Cosa serve per ricevere le elemosine governative? Presentare il verbale dell’assemblea, la credenziale, il CURP e tutte quelle carte che marcano le persone proprio come si marcano il bestiame e gli alberi. Marchi che dovrebbero conferire identità alle persone e invece gliela sottraggono: non sono più tal dei tali, ma il tale numero.

E perché i malgoverni vogliono quelle carte? Per dimostrare che i contadini hanno venduto legalmente le loro terre, e poterli sgomberare legalmente, e legalmente dislocarli in altre terre invase illegalmente. E così via.

Ma come stanno le donne nelle famiglie aderenti ai partiti? Vi racconteremo quel che dicono essi stessi.

In due comunità, X e Y, andarono le donne a ricevere i progetti, ma il governo disse loro che andassero anche le ragazze, e l’appuntamento era a Tuxtla Gutiérrez, che è la capitale dello stato messicano del Chiapas, dove vivono il governatore e i suoi funzionari. A quanto pare, arrivate a Tuxtla, misero da un lato le ragazze e dall’altro le signore. Ma a quanto pare tra le ragazze che si portarono via c’era anche una signora, per sbaglio. E fu lei che si mise in comunicazione con suo marito e gli disse che le avevano tenute chiuse in una casa per tre ore. E le ragazze raccontano di essere state obbligate ad avere rapporti sessuali. E ora si dice nella comunità che quel che fanno i funzionari, invece di assegnare il progetto, è di obbligarle ai rapporti sessuali. Per esempio, una ragazza che aveva avuto dei problemi perché l’avevano costretta ai rapporti sessuali, chiese a sua mamma se, la prima volta, è normale che faccia male avere rapporti sessuali. E la mamma chiese alla figlia: “Perché, figlia mia, cosa c’è? Perché me lo chiedi?”, le disse. E la ragazza dovette dire quel che era accaduto a Tuxtla.

Vale a dire che il malgoverno sta tornando a imporre lo ius primae noctis (quando una ragazza si sposava, il proprietario terriero aveva il diritto di possedere la donna) nelle comunità aderenti ai partiti. Ecco perché governano e si vestono come i proprietari terrieri di un tempo. E, come un tempo, ricevono le benedizioni dell’Alto Clero, che gli apre le porte delle cattedrali perché, pagando, ricevano i sacramenti, possano espiare i propri crimini e i gli stupri, e tornino a posare, puri e sorridenti, nelle foto della stampa prezzolata e alla televisione. Ecco quel che fanno i governanti e i funzionari che pregano con devozione e stanno in prima fila per ricevere le benedizioni ecclesiastiche.

Così si benedice l’inferno in terra.

E i giovani aderenti ai partiti?

Quel che vi stiamo per raccontare, non possiamo dire quale villaggio o villaggi riguardi, ma risulta che giunsero due uomini meticci, i quali dissero di lavorare per degli imprenditori e di stare cercando lavoratori e di sapere che c’è chi vuole andare a lavorare al nord ma gli viene difficile poterci arrivare, e che essi avrebbero potuto portarli direttamente al lavoro. Risulta che questi due abbiano reclutato nove giovani. Mesi dopo, uno riesce a comunicare con la propria famiglia e gli dice di essere ferito da un proiettile, perché era scappato dal luogo in cui li tenevano chiusi, e che il lavoro è seminare marijuana e papavero, che non li lasciano più andare, e che gli hanno detto chiaro: “da qui non ve ne andrete più”, e perciò chissà se riusciranno a uscirne gli altri, ma che intanto le loro famiglie sappiano dove li hanno portati.

E in un altro villaggio di aderenti ai partiti: una famiglia che si mise con i narcos. Qualcosa accadde, perché arrivò questo messaggio al padre: “se non paghi, paga la tua famiglia”: così gli dissero. E sì, gli arrivò un cellulare con l’immagine di come avevano tagliato la testa a sua figlia, e che se la voleva seppellire doveva andare al tal luogo. Furono altri familiari a recuperare il corpo della ragazza. Ma prima di questa disgrazia la famiglia era contenta di guadagnare bene e senza lavorare granché.

E in un altro villaggio, nella zona nord del Chiapas, venne gente del governo a offrire progetti su caffè, milpa, scuola, clinica, chiesa e strada, e la gente accettò. Tutti contenti di vivere bene. Ma poi tornarono i funzionari governativi a dire che se ne dovevano andare perché lì c’è uranio, che lo estrarranno e che è molto tossico, perciò se ne devono andare con le buone o con le cattive. Se, se ne vanno con le buone possono andare a Escárcega o a Chimalapas.

Mostrarono loro le fatture e le ricevute di tutti i soldi che avevano ricevuto dal progetto. E ci sono i loro nomi, le loro foto, i loro verbali dell’assemblea dell’ejido, tutto quel che dimostra legalmente che non stavano ricevendo sostegno, ma vendendo la loro terra.

In un’altra zona, in un villaggio del municipio di Simojovel, c’è l’ambra e la gente lavora a estrarre ambra per sopravvivere. Ebbene, avete visto cos’è accaduto con la privatizzazione dell’ejido e che alcuni villaggi sono caduti nella trappola. Risulta che chi era padrone della terra la vendette a pezzi, cioè al metro, e la gente di lì la comprò per vedere se ci fosse ambra ed estrarla, ma un giorno li cacciarono perché venne un imprenditore cinese a estrarre ambra. Il capitalista straniero aveva tutte le carte in regola, che aveva ottenuto grazie alle carte che firmava la gente per ricevere il sostegno governativo e i progetti.

In altri insediamenti di aderenti ai partiti è comparsa gente di fuori che essi hanno fermato e multato per essere entrata senza permesso nei loro terreni. In una comunità hanno raccolto 300mila pesos e i forestieri hanno pagato e anzi hanno dato anche di più, dicendo: “questa è la prima volta che veniamo, ma ce ne sarà una seconda e una terza, e voi avrete molto lavoro, cioè avrete un buon impiego con il nuovo padrone della terra”. In un’altra comunità, allo stesso modo hanno fermato i forestieri arrivati con una lancia e gli hanno preso 100mila pesos, e i forestieri hanno pagato e hanno detto di essere venuti a ricercare un posto perché lì ci sono miniere di zolfo, tra le altre cose, e anche in questo caso era una prima volta e ce ne sarà una seconda e una terza.

In un’altra comunità, dalle parti della laguna di Miramar, un aderente ai partiti del posto ha riferito che la somma che hanno ricevuto dai programmi governativi all’inizio di dicembre (del 2015) è l’ultima, perché con quella è completato il pagamento del terreno e che il padrone della montagna occuperà il loro terreno, e che il padrone della montagna è un giapponese. La questione è che in questa comunità hanno tutto il necessario per vivere, sono bene assistiti, hanno perfino un’incubatrice per polli. Hanno ricevuto tutti i sostegni governativi e viene fuori che, senza saperlo, hanno venduto le proprie terre a uno straniero.

Un altro programma governativo è quello di PROSPERA, che prima si chiamava “Oportunidades”. In questo programma le donne che vi partecipano ricevono un sostegno per i figli che vanno a scuola. Ma questo programma ha le sue condizioni, e quel che se ne sa è che le donne sono obbligate a consultare frequentemente un medico e fare il Pap Test a forza, e se non lo fanno perdono il sostegno, e anche come comunità vengono loro proibiti alcuni servizi di salute comunale che normalmente si fanno nelle comunità, come l’uso dell’ostetrica. Ora le donne devono andare in città a partorire negli ospedali. Ovvio, sempre che le ricevano.

Un’altra questione riguarda la televisione digitale: il governo sta consegnando televisori a tutti gli aderenti ai partiti. Il 22 e 23 dicembre 2015 le persone di tutte le comunità del municipio di Las Margaritas si concentrarono nel centro sportivo di Comitán. Da mezzanotte la gente faceva la coda per ricevere il televisore e a quanto pare la folla era tanta. Accadde che morirono due persone, un bambino e una donna: il bambino morì perché venne schiacciato dagli spintoni della gente senza che la madre potesse difenderlo; la donna fu assassinata quando, tornando a casa, il marito estrasse la pistola e la uccise per non aver curato a dovere il figlio. Questa informazione è stata riferita da un aderente ai partiti.

Alcuni giorni dopo averle ricevute, molte donne aderenti ai partiti dissero che molte televisioni erano arrivate rotte; molte andarono in corto circuito una volta collegate e si bruciarono; altre, una volta accese, non trasmettono nulla; ora devono comprare un impianto per poter vedere qualcosa, e gli aderenti ai partiti dicono che è un affare che Peña Nieto ha fatto con un’impresa giapponese.

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Ebbene, questi sono solo alcuni esempi. Ce ne sono molti altri e fanno rabbrividire e indignare quanto questi di cui vi abbiamo raccontato.

Non stiamo mentendo o inventando.

E’ la parola degli aderenti ai partiti stessi, che nella loro pena e nella loro rabbia, si sono avvicinati a noi zapatisti per chiedere consiglio e aiuto.

Noi zapatisti ascoltiamo con rispetto.

Non rinfacciamo loro i tradimenti, gli attacchi e le calunnie.

Non rinfacciamo loro di aver aiutato in precedenza i nostri persecutori e che molte volte si sono uniti a quelli di sopra per attaccarci.

Non ci prendiamo gioco delle loro disgrazie e pene.

Non ci rallegriamo dei loro dolori.

Non diciamo loro nemmeno di aderire allo zapatismo perché sappiamo bene che è molto difficile essere zapatisti. Così è stata, ed è, e sarà la nostra vita e la nostra morte: zapatista.

Ecco quel che abbiamo detto loro:

Noi zapatisti non abbiamo nulla da offrire, né progetti, né soldi, né promesse terrene e celesti. Abbiamo solo il nostro esempio. Organizzatevi voi stessi, e che nessuno vi dica cosa fare né come né quando: difendete quel che è vostro. Resistete, lottate, vivete”.

Magari ora vi starete chiedendo cosa fanno alcuni aderenti ai partiti dinanzi a queste aggressioni, spoliazioni e imposizioni.

La risposta è molto semplice: si fanno passare per zapatisti.

Un aderente ai partiti ha detto: “Perché solo così ci rispettano. Perciò nascondiamo le nostre carte e cambiamo nome. Noi, a causa dell’ignoranza in cui ci tengono i governi, pensavamo che gli zapatisti fossero malfattori. Ma ora vediamo che non è così.

Speriamo di non cascarci di nuovo, di non essere né spie né traditori. Abbiamo imparato che chi tradisce viene tradito.

E proviamo veramente molta pena e rabbia a causa del fatto che ci hanno fregato come sempre.

Pensavamo di stare bene, ma il male doveva ancora venire.

Credevamo di avere molte cose e ora non abbiamo nulla.

Eravamo ciechi e ora siamo in mutande.

Noi ci prendevamo gioco di voi e vi dicevamo “fottuto indio” e ora risulta che voi state meglio di noi perché avete la vostra organizzazione che non vi abbandona, che non cambia il suo buon cammino, che non si vende, che non si arrende”.

Ecco cosa ci disse.

La zapatista, lo zapatista che stava ascoltando l’aderente al partito gli rispose:

Cambiare il cammino, vendersi, arrendersi? Questo mai!

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés.      Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico. Febbraio 2016

AVVISO PER LA SEXTA E PER IL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO: Nei prossimi giorni convocheremo una serie di attività. Restate in attesa.

Nota: Il presente testo è stato realizzato totalmente con un processore di testi di software libero e codice aperto, con un sistema operativo GNU/Linux, con distro UBUNTU 14.04 LTS. “UBUNTU”, In lingua Zulú significa “Una persona è persona perché ci sono le altre persone”. Dì di “SI” al software libero.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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papa-messico

Nonostante tutto

Gustavo Esteva

Su di noi regna il male. Tutti i mali usciti dal vaso di Pandora ci sono caduti addosso. Francesco non potrà sgombrare il suo mistero. Ma qualcosa farà, forse, in relazione ai malviventi, sui quali non c’è mistero alcuno.

Nella tradizione cattolica, un mistero non è un puzzle irrisolto, una sfida all’intelligenza o allo spirito investigatore. È qualcosa che il nostro pensiero è incapace di penetrare, qualcosa fuori della portata della nostra comprensione. In questa tradizione, il male è un mistero, il mysterium iniquitatis. Come comprendere la scarnificazione di Julio César od il soffocamento di Juanelo, il figlio di Javier Sicilia? Come comprendere Ayotzinapa, San Fernando o Tierra Blanca? O che il 99% degli interminabili delitti rimanga impunito? Che continuino i femminicidi, i massacri, le sparizioni, le fosse clandestine? Che non sia più possibile distinguere tra il mondo del crimine e quello delle istituzioni? Che funzionari e criminali, alcuni gli stessi, dicano quello che dicono e facciano quello che fanno? Come capire il limite estremo di degrado morale al quale sono arrivati giovani criminali, alti funzionari pubblici e dirigenti di imprese?

Le spiegazioni psicologiche, socioeconomiche, politiche… sono sempre imbarazzanti; sono insufficienti. Nessuna scienza sgombra il mistero. Fin dall’apostolo Paolo, si crede che tra noi sia apparso qualcosa di incredibilmente orribile e senza precedenti, il male. Potremo capirlo solo in un tempo a venire, quello dell’apocalisse, quello della fine dei tempi. Ma questo male, questo mistero, può essere investigato storicamente. Osservare, per esempio, che non è come quello di altre epoche. Sono diventate reali e comuni la perversione, la disumanità, che prima erano solo possibili o eccezionali. Si è perso il senso del bene. Bene e male sono stati sostituiti da valori e disvalori che ci opprimono e distruggono.

Il corrotto, ha scritto papa Francesco, deve distinguersi dal mero peccatore, perché eleva la sua azione a sistema e la trasforma in forma mentale e in stile di vita; perde la dignità e la fa perdere agli altri. Portando pane sporco in casa sua, ha sottolineato, il corrotto ha perso la dignità.

Francesco non sarà ricevuto da meri peccatori, come gli succede da tutte le parti. Si troverà continuamente tra corrotti, tanto del governo come della sua propria Chiesa. Starà tra malavitosi. Li conosciamo bene e sicuramente anche lui. Nel vederli dove stanno, impuni, in molte persone muore lentamente la fiamma della speranza, come dice il Frayba. Ma non muore la fiamma della resistenza. Per rafforzarla, è necessario riconoscere il suo valore e la sua dignità e ravvivare amorevolmente la fiamma della sua speranza. Riuscirà Francesco a vedere tutto questo ed agire di conseguenza?

Pandora, che-tutto-dà, chiuse il suo vaso prima che sfuggisse la speranza. Ma, poiché era vicina ai mali che uscirono, alcuni la contengono: sperando, la gente può mettersi nell’aspettativa di quando agire; o accetta un stato di cose insopportabile aspettando una liberazione futura, in un’altra vita, forse.

Ma la tradizione dominante confida nella speranza. Poiché sono tempi di disperazione, cerchiamo disperatamente la speranza. Da dove viene? si domanda il Majabhárata, il libro sacro dell’India. Siccome è l’ancora di ogni persona, perderla produce un’immensa pena quasi uguale alla morte. Ma è difficile capirla e niente è più difficile da conquistare.

L’abbiamo persa. L’uomo moderno l’ha trasformata in aspettativa ed il suo ethos prometeico l’ha eclissata. La sopravvivenza della razza umana oggi dipende dal fatto che la si scopra come forza sociale, ci disse tempo fa Iván Illich. Ed Agamben suggerisce che ora la cosa importante è scoprire il meccanismo che ha prodotto la declinazione della speranza e contraddirlo.

È quello che hanno fatto gli zapatisti. Nel marzo del 1994, in risposta ad un bambino che aveva scritto loro dalla California, gli zapatisti ammisero di essere professionisti, ma non della violenza, come diceva il governo, bensì della speranza. Nel 1996 proposero di creare l’Internazionale della Speranza. Liberando la speranza dalla sua prigione intellettuale e politica, hanno creato la possibilità della sua rinascita.

La speranza è l’essenza dei movimenti popolari. Non basta il dissenso, lo scontento. Neanche è sufficiente il risveglio critico. La gente si mette in moto quando sente che la sua azione può portare al cambiamento, quando ha speranza. Questo è essere saggi. In lingua tzeltal, la saggezza è avere forza nel cuore per sperare. È quello che oggi si comincia a diffondere, sapendo che la speranza non è la convinzione che le cose accadranno in una determinata maniera. È la convinzione che qualcosa ha senso, indipendentemente da quello che sembri.

Tra noi rinasce la speranza, la speranza contro ogni speranza. Stiamo riuscendo, passo dopo passo, a dare di nuovo senso alle nostre vite, a noi stessi, non al mercato né allo Stato, non alle istituzioni né alle ideologie, per affrontare il male che è caduto su di noi, per fermare i malavitosi, per recuperare il bene. Se può e vuole, Francesco contribuirà a rafforzarci in questo compito.

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2016/02/15/opinion/020a2pol

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zapatistas

San Andrés: 20 anni dopo

Luis Hernández Navarro

Quasi venti anni fa, il 16 febbraio 1996, a San Andrés Sakam’chén de los Pobres si firmavano gli Accordi di San Andrés su Diritti e Cultura Indigena. Senza foto di rito, gli zapatisti ed il governo federale siglarono i loro primi impegni sostanziali sulle cause che avevano dato origine alla sollevazione armata degli indigeni chiapanechi.

Sebbene il governo federale ed i legislatori della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) desiderassero una cerimonia con trombe e tamburi, i comandanti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si rifiutarono di suonare le campane. Con un discorso improvvisato, il comandante David spiegò le ragioni del loro rifiuto: Vogliamo che sia un atto semplice. Noi siamo semplici, viviamo in semplicità e così vogliamo continuare a vivere.

Non vollero nemmeno farsi fotografare. Lo stesso comandante David disse: “Abbiamo raggiunto solo un piccolo accordo. Non ci lasciamo ingannare che si sia firmata la pace. Se non accettiamo di firmare apertamente e pubblicamente è perché abbiamo le nostre ragioni.”

E, dopo aver denunciato le aggressioni del governo di cui erano stati oggetto e ricordare che ‘hanno sempre pagato con il tradimento la nostra lotta’, disse: Per questo abbiamo firmato in privato. È un segnale che diamo al governo che ci ha feriti. E la ferita che ci ha inferto, ci ha feriti.

Gli accordi di San Andrés si firmarono in un momento di grande agitazione politica nel paese. Catalizzato dalla sollevazione dell’EZLN, emerse un belligerante movimento indigeno nazionale. La svalutazione del peso a dicembre del 1994 provocò un’enorme ondata di dissenso e la nascita di vigorosi movimenti di debitori con le banche. I conflitti post-elettorali in Tabasco e Chiapas si trasformarono in protesta nazionale a favore della democrazia. Il conflitto tra Carlos Salinas, presidente uscente, ed Ernesto Zedillo, l’aspirante, acquisì proporzioni enormi.

La sfiducia dei ribelli quel 16 febbraio fu premonitrice. Una volta neutralizzata l’ondata di scontento sociale, il governo federale ritrattò la parola. Lo Stato messicano nel suo insieme (cioè, i tre poteri) tradì gli zapatisti ed i popoli indigeni rifiutandosi di rispettare quanto pattuito. Il pagamento del debito storico dello Stato verso i popoli originari fu eluso. Invece di aprire le porte per stabilire un nuovo patto sociale includente e rispettoso del diritto alla differenza, lo Stato decise di mantenere il vecchio status quo. Invece di riconoscere i popoli indigeni come soggetti di diritto sociali e storici ed il loro diritto all’autonomia, si optò per proseguire con la politica di oblio ed abbandono.

La questione non finì lì. Con la decisione di non riconoscere i diritti indigeni, si chiusero le porte al cambiamento di regime. San Andrés aveva offerto l’opportunità di trasformare radicalmente le relazioni tra la società, i partiti politici e lo Stato. Invece di farlo, dal governo e dai partiti politici si spinse per una nuova riforma politica al margine del tavolo del Chiapas. Con il pretesto che vivevamo una normalizzazione democratica, si rafforzò il monopolio dei partiti a favore della rappresentanza politica, lasciando fuori dalla rappresentanza istituzionale molte forze politiche e sociali non identificate con questi partiti e si conservò, praticamente intatto, il potere dei leader delle organizzazioni corporative di massa.

Lungi dall’ammainare le loro bandiere di fronte al tradimento, lo zapatismo ed il movimento indigeno mantennero la loro lotta ed il loro programma. In ampie regioni del Chiapas ed in altri stati passarono a costruire l’autonomia di fatto e ad esercitare l’autodifesa indigena. Spuntarono come funghi governi locali autonomi, polizie comunitarie, progetti produttivi autogestiti, esperienze di educazione alternativa, recupero della lingua.

Contemporaneamente, si rafforzò in tutti i loro territori la resistenza contro il saccheggio e la devastazione ambientale. Da due decenni i popoli indigeni sono stati i protagonisti principali nel rifiuto all’uso di semi transgenici e la difesa del mais, nell’opposizione al settore minerario a cielo aperto ed alla deforestazione, nell’attenzione per le risorse idriche ed il rifiuto della loro privatizzazione, così come nella rivendicazione della cosa comune. In condizioni molto avverse hanno promosso lotte esemplari.

Nei territori indigeni le riforme neoliberali ed il saccheggio delle risorse naturali hanno cozzato control l’azione organizzata delle comunità originarie. Come risultato della lotta delle comunità indigene, in diverse regioni del paese molti progetti predatori sono stati sospesi o rimandati a tempi migliori.

La decisione statale di far fallire il tavolo di San Andrés e non applicare gli accordi su diritti e cultura indigeni ha ampliato l’estensione e la profondità dei conflitti politici e sociali al margine della sfera della rappresentanza istituzionale in tutto il paese. I protagonisti sono fuori o ai margini delle istituzioni.

Nel frattempo, l’accordo politico raggiunto tra il governo ed i partiti politici nel 1996 faceva acqua. La società messicana non sta nel regime politico realmente esistente. L’approvazione di candidature indipendenti (rivendicata al tavolo di San Andrés su democrazia dallo zapatismo ed i suoi convocati) e la crisi della partitocrazia come la conosciamo, hanno favorito la nascita di forze centripete dentro i meccanismi di rappresentanza politica.

In queste circostanze, non ci stupisce che, a venti anni dalla firma degli accordi di San Andrés, sorgano in seno ai movimenti indigeni e tra gli esclusi, nuovi modi di fare politica fino ad ora inediti. Modi e modalità nei quali non si scatteranno foto. http://www.jornada.unam.mx/2016/01/26/opinion/017a2pol

Twitter: @lhan55

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Estrella Zapatista

La stella zapatista

di Juan Villoro

A gennaio del 1994 il subcomandante Marcos guidò l’insurrezione in Chiapas (Messico), dove i popoli indios erano fuori dall’agenda politica. Il movimento è transitato verso l’eroismo della vita quotidiana.

 

El silencio de los indios / fue precisando esculturas”, con questi versi Carlos Pellicer riassume il trattamento riservato dal Messico verso i popoli originari. Non si parla di loro al presente; la loro gloria risale ad una tappa anteriore, l’età senza tempo della leggenda. I musei e le piramidi celebrano il loro passato splendore e le città si abbelliscono di statue, ma gli indios di bronzo non alludono agli attuali: li cancellano.

Il 1° gennaio del 1994, gli zapatisti si sollevarono in un paese dove i popoli indios erano fuori dall’agenda politica. Il libro più conosciuto sulla cultura precolombiana è “La visione dei vinti”. Qui, Miguel León Portilla traduce con eloquenza un canto che riferisce della caduta di Tenochtitlan: “Y todo esto pasó con nosotros. / Nosotros lo vimos, nosotros lo admiramos: / Con esta lamentosa y triste suerte nos vimos angustiados”.

In Messico si parlano più di sessanta lingue indigene. Nessuna di esse ha carattere ufficiale. I discendenti di Moctezuma percorrono le strade delle grandi città vendendo gomme da masticare e chincaglierie made in China, senza altro segno di identità che la miseria. La loro “penosa e triste sorte” non è cambiata.

Nella notte del 31 gennaio 1993, ci addormentammo sognando il progresso (il giorno dopo entrava in vigore il Trattato di Libero Commercio con Stati Uniti e Canada), ma ci svegliammo davanti ad un’altra realtà: in Chiapas gli zapatisti si erano sollevati e la questione indigena era diventata di sorprendente attualità.

Il subcomandante Marcos rinnovò il linguaggio politico con senso dell’umorismo, parabole della Bibbia, leggende maya, realismo magico ed aforismi della controcultura. Alcuni dubitarono della legittimità di un intellettuale della classe media come portavoce degli indios. Altri presero sul serio la sua proposta di cambiare il paese dal basso, con i più deboli. Nemico della lotta armata e della sinistra dogmatica, Octavio Paz sostenne che la vittoria di Marcos era la vittoria del linguaggio.

Dopo 12 giorni di combattimenti, il Governo di Carlos Salinas de Gortari ordinò il cessate il fuoco e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) operò una svolta sorprendente: la guerriglia apparentemente guevarista si trasformò nel movimento politico che prosegue fino ad oggi. Il suo obiettivo non è arrivare al potere, ma migliorare le condizioni di vita delle comunità indigene; se questo si otterrà, ritornerà alla notte dei tempi: “Aiutateci a non essere possibili”, dissero chi si era coperto il volto per avere un volto.

Secondo l’opinione del poeta e saggista Gabriel Zaid, si tratta della prima “guerriglia postmoderna”, la cui funzione non consiste nell’agire militarmente, bensì nel rappresentar sé stessa come insurrezione.

Un rito di passaggio dello zapatismo fu il dialogo col Governo. Per cominciare, bisognava definire lo scenario. Varie sedi furono respinte fino a che i ribelli proposero il campo di pallacanestro a San Andrés Larráinzar. Un luogo povero, dove i canestri non avevano la rete. Tuttavia, quello spazio era avvolto dal mito: era una nuova versione del gioco della pelota, il patio del mondo dove i maya assistevano alla lotta tra la notte ed il giorno, la vita e la morte. Lo scenario del Popol-Vuh tornava insolitamente attuale.

Il 16 febbraio 1996, gli accordi di San Andrés furono firmati. Tuttavia, l’impegno di modificare la Costituzione per concedere diritti ai popoli indios si sottomise ad un’altra tradizione messicana: l’oblio. Per entrare in vigore, gli accordi dovevano diventare legge nel Congresso e questo non accadde mai. Gli accordi sono stati vittima di una classe politica convinta che, se la soluzione si rimanda, il problema si risolverà da sé.

Durante la sua campagna per la presidenza, nel canonico anno 2000, Vicente Fox promise di risolvere la questione del Chiapas in quindici minuti. Il carismatico vaquero interruppe 71 anni di Governo del PRI, ma non mantenne le sue promesse. Per rinfrescargli la memoria, gli zapatisti, a marzo del 2001, viaggiarono fino a Città del Messico. Ricevettero dimostrazioni di appoggio in tutto il paese. Nel Congresso, la comandate Ramona chiese che la casa della parola accogliesse la voce degli indios. Nonostante il clima favorevole, la legge di autonomia passò ad ingrossare le questioni in sospeso di un paese bipolare, dove la violenza e l’impunità coesistono con la solidarietà e la speranza.

Che cosa si può dire nell’anniversario del movimento? L’assenza di eventi spettacolari suggerirebbe che la loro lotta sia scemata. Una visita nella zona zapatista porta ad altre conclusioni. Nei municipi controllati dall’EZLN si sono stabilite Giunte di Buon Governo dove si esercita una democrazia diretta, le autorità non ricevono compensi e “comandano ubbidendo”. Lì la parola “io” si pronuncia molto meno di “noi”. L’Ospedale della Donna e la Scuola Zapatista sono dimostrazioni di un sorprendente miglioramento nell’ambito della salute e dell’educazione, ottenuto in situazioni molto avverse. La sollevazione è transitata verso una forma più pacifica e resistente di quella epica: l’eroismo della vita quotidiana.

Secondo il rapporto sulle disuguaglianze elaborato da Gerardo Esquivel per Oxfam-Messico, viviamo in un paese dove l’1% della popolazione detiene il 21% della ricchezza, ed il 10%, il 64%. Questa forbice è in aumento: a livello mondiale, dal 2007 al 2012 la quantità di milionari è diminuita dello 0,3%. In questo stesso lasso di tempo, in Messico è aumentata del 32%.

A quindici anni dall’alternanza democratica, i partiti non intendono la politica come l’arena in cui i conflitti devono essere risolti, ma come l’affare in cui devono essere preservati. Ogni anno, assegnano a se stessi più di 300 milioni di dollari.

Lontano dall’attenzione mediatica, nelle loro cinque comunità o “caracoles”, gli zapatisti reinventano i giorni. La loro capacità di riflessione non è meno attiva: a maggio del 2015 hanno convocato il seminario internazionale Il Pensiero Critico di Fronte all’Idra del Capitalismo.

A proposito di utopia, Marcos riporta un insegnamento del Vecchio Antonio: Una stella misura ciò che sta lontano; una mano – forma umana della stella – misura ciò che sta vicino per arrivare lontano.

Paradosso zapatista: la meta irraggiungibile è a portata di mano.

Testo originale pubblicato sul quotidiano El País, 3 gennaio 2016 http://elpais.com/elpais/2015/12/24/opinion/1450949512_043782.html

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PAROLE DELL’EZLN NEL 22 ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO

Primo Gennaio 2016

BUONA NOTTE, BUONGIORNO COMPAGNI, COMPAGNE BASI DI APPOGGIO DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE, COMPAGNI/E MILIZIANI E MILIZIANE, INSURGENTAS E INSURGENTES, RESPONSABILI LOCALI E REGIONALI, AUTORITÀ DELLE TRE ISTANZE DI GOVERNO AUTONOMO, COMPAGNI/E PROMOTORI E PROMOTRICI DELLE DIVERSE AREE DI LAVORO. COMPAGNI, COMPAGNE DELLA SEXTA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE E TUTTI I PRESENTI.

Compagne e compagni, oggi siamo qui per celebrare il 22 anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio.

Per più di 500 anni abbiamo subito la guerra che i potenti di diverse nazioni, lingue, colori e credo ci hanno fatto per annichilirci.

Volevano ucciderci, nei corpi e nelle idee.

Ma abbiamo resistito.

Come popoli originari, come guardiani della madre terra, abbiamo resistito.

Non solo qui e non solo noi del colore della terra.

In tutti gli angoli del mondo che soffrivano ed ancora soffrono, c’è stata e c’è gente degna e ribelle che ha resistito, che resiste contro la morte che impone quello di sopra.

Il primo gennaio 1994, 22 anni fa, abbiamo reso pubblico il “BASTA!” che avevamo preparato per un decennio in degno silenzio.

Tacendo il nostro dolore preparavamo così il grido del nostro dolore.

Di fuoco fu allora la nostra parola.

Per svegliare chi dormiva.

Per sollevare chi cadeva.

Per indignare chi si accontentava e si arrendeva.

Per ribellare la storia.

Per obbligarla a dire quello che taceva.

Per svelare la storia di sfruttamenti, omicidi, depredazioni, disprezzo ed oblio che si nascondeva dietro la storia di sopra.

Quella storia di musei, statue, libri di testo, monumenti alla menzogna.

Con la morte dei nostri, col nostro sangue, abbiamo scosso il torpore di un mondo rassegnato alla sconfitta.

Non furono solo parole. Il sangue dei nostri caduti e cadute in questi 22 anni si è sommato al sangue di anni, lustri, decadi, secoli precedenti.

Allora dovemmo scegliere, ed abbiamo scelto la vita.

Per questo, allora ed ora, per vivere moriamo.

La nostra parola, allora, fu semplice come il nostro sangue che tinge le strade e i muri delle città che adesso, come allora, ci disprezzano.

E così continua ad essere:

La nostra bandiera di lotta furono le nostre 11 domande: terra, lavoro, alimentazione, salute, educazione, abitazione degna, indipendenza, democrazia, libertà, giustizia e pace.

Queste erano le domande che ci hanno fatto sollevare in armi, perché è quello che manca ai popoli originari ed alla maggioranza delle persone in questo paese e in tutto il mondo.

In questo modo, abbiamo intrapreso la nostra lotta contro lo sfruttamento, l’emarginazione, l’umiliazione, il disprezzo, l’oblio e contro tutte le ingiustizie che subiamo causate dal cattivo sistema.

Per i ricchi ed i potenti noi serviamo solo come schiavi, affinché loro diventino sempre più ricchi e noi sempre più poveri.

Dopo avere vissuto tanto tempo sotto questa dominazione e sopruso, abbiamo detto:

BASTA! ABBIAMO PERSO LA PAZIENZA!

E non ci rimase altra strada che imbracciare le armi per uccidere o morire per una causa giusta.

Ma non eravamo soli, sole.

Non lo siamo ora.

In Messico e nel Mondo la dignità prese le strade e chiese spazio alla parola.

Allora capimmo.

A partire da quel momento, la nostra forma di lotta cambiò e siamo stati e siamo ascolto attento e parola aperta, perché fin dal principio sapevamo che la lotta giusta del popolo è per la vita e non per la morte.

Ma ci teniamo le nostre armi, non le deporremo, staranno con noi fino alla fine.

Perché abbiamo visto che dove il nostro ascolto è stato cuore aperto, il Prepotente ha opposto la sua parola ingannevole, il suo cuore di ambizione e bugia.

Abbiamo visto che la guerra di sopra è proseguita.

Il suo piano ed il suo obiettivo era ed è farci la guerra fino a sterminarci. Per questo invece di risolvere le giuste istanze, preparò e prepara, fece e fa la guerra con i suoi moderni armamenti, forma e finanzia gruppi paramilitari, offre e distribuisce briciole approfittando dell’ignoranza e della povertà di alcuni.

I prepotenti di sopra sono stupidi. Pensavano che chi era disposto ad ascoltare, fosse anche disposto a vendersi, ad arrendersi, a tentennare.

Si sbagliarono allora.

Si sbagliano adesso.

Perché noi zapatiste, zapatisti, senza ombra di dubbio non siamo mendicanti o inetti che aspettano che tutto si risolva da solo.

Siamo popoli con dignità, determinazione e coscienza per lottare per la libertà e giustizia vere per tutte, per tutti, per todoas. Non importa il colore, la razza, il genere, il credo, il calendario, la geografia.

Per questo la nostra lotta non è locale, né regionale, neanche nazionale. È universale.

Perché universali sono le ingiustizie, i crimini, i soprusi, il disprezzo, lo sfruttamento.

Ma sono anche universali la ribellione, la rabbia, la dignità, il desiderio di essere migliori.

Per questo abbiamo capito che era necessario costruire la nostra vita da noi stessi, noi stesse, in autonomia.

In mezzo alle pesanti minacce, alle persecuzioni militari e paramilitari ed alle costanti provocazioni del malgoverno, abbiamo iniziato a formare il nostro proprio sistema di governo, la nostra autonomia, con la nostra propria educazione, la nostra propria salute, la nostra propria comunicazione, il nostro modo di curare e lavorare la nostra madre terra; la nostra propria politica come popolo e la nostra propria idea di come vogliamo vivere come popoli, con un’altra cultura.

Mentre altre, altri aspettano che dall’alto si risolverà tutto qua in basso, noi, zapatiste, zapatisti, abbiamo cominciato a costruire la nostra libertà come si semina, come si costruisce, come si cresce, cioè, dal basso.

Ma il malgoverno vuole distruggere la nostra lotta e resistenza con una guerra che cambia di intensità a seconda di come cambia la sua politica ingannevole, con le sue cattive idee, con le sue bugie, usando i suoi mezzi di comunicazione per diffonderle e con la distribuzione di briciole nei villaggi indigeni dove ci sono zapatisti, così da dividere e comprare coscienze, applicando in questo modo il suo piano di contro-insurrezione.

Ma la guerra che viene da sopra, compagne, compagni, sorelle e fratelli, è sempre la stessa: porta solo distruzione e morte.

Possono cambiare le idee e le bandiere con le quali arriva, ma la guerra di sopra distrugge sempre, sempre uccide, non semina altro che terrore e disperazione.

In mezzo a questa guerra abbiamo dovuto procedere verso ciò che vogliamo.

Non potevamo sederci ad aspettare che capisse chi non capisce neppure se capisce.

Non potevamo sederci ad aspettare che il criminale rinnegasse sé stesso e la sua storia e si convertisse, pentito, in qualcuno di buono.

Non potevamo aspettare una lunga ed inutile lista di promesse che sarebbero state subito dimenticate dopo pochi minuti.

Non potevamo aspettare che l’altro, diverso ma uguale nel dolore e nella rabbia, ci guardasse e guardandoci si vedesse.

Non sapevamo come fare.

Non c’erano né ci sono libri, manuali o dottrine che ci dicessero come fare per resistere e, contemporaneamente, costruire qualcosa di nuovo e migliore.

Forse non perfetto, forse differente, ma sempre nostro, dei nostri villaggi, delle donne, uomini, bambine ed anziani che con il loro cuore collettivo coprono la bandiera nera con la stella rossa a cinque punte e le lettere che danno loro non solo nome, ma anche impegno e destino: E Z L N.

Allora abbiamo cercato nella nostra storia ancestrale, nel nostro cuore collettivo, ed a scossoni, con cadute ed errori, abbiamo costruito quello che siamo e che non solo ci mantiene in vita e in resistenza, ma ci rende anche degni e ribelli.

Durante questi 22 anni di lotta di Resistenza e Ribellione abbiamo costruito un altro stile di vita, governandoci da noi stessi come popoli collettivi, sotto i 7 principi del comandare ubbidendo, costruendo un nuovo sistema ed un altro stile di vita come popoli originari.

Dove il popolo comanda e il governo ubbidisce.

Ed il nostro cuore semplice è sano, perché nasce e cresce dal popolo stesso, cioè, è il popolo stesso che pensa, discute, riflette, analizza, propone e decide cosa è meglio a suo beneficio, seguendo l’esempio lasciato dai nostri antenati.

Come spiegheremo in seguito, vediamo che nelle comunità affiliate ai partiti regnano l’abbandono e la miseria, comanda l’ozio e il crimine, la vita comunitaria è spezzata, ferita ormai a morte.

Il vendersi al malgoverno non solo non ha risolto i loro bisogni, ma ha portato altri orrori.

Dove prima c’erano fame e povertà, oggi ancora ci sono, ma in più c’è disperazione.

Le comunità affiliate ai partiti sono diventate nuclei di mendicanti che non lavorano, aspettano solo il prossimo programma governativo di aiuti, cioè aspettano le prossime elezioni.

E questo non apparirà in nessuna relazione di governo municipale, statale o federale, ma è la verità che si può vedere nelle comunità affiliate ai partiti: contadini che non sanno più lavorare la terra, case di mattoni vuote perché il cemento e le lamiere non si possono mangiare, famiglie distrutte, comunità che si riuniscono solo per ricevere le elemosine governative.

Nelle nostre comunità forse non ci sono case di cemento, né televisori digitali né auto ultimo modello, ma la nostra gente sa lavorare la terra. Quello che si mette in tavola, gli abiti che indossano, le medicine che le curano, il sapere che si apprende, la vita che scorre è LORO, prodotto del loro lavoro e del loro sapere. Non è il regalo di nessuno.

Possiamo dirlo senza timore: le comunità zapatiste non solo stanno meglio di 22 anni fa. Il loro livello di vita è superiore a quello di chi si è venduto ai partiti di ogni colore.

Prima, per capire se qualcuno era zapatista, si guardava se portava il paliacate rosso o il passamontagna.

Ora, basta vedere se sa lavorare la terra; se cura la sua cultura; se studia per conoscere la scienza e la tecnica; se rispetta le donne; se tiene lo sguardo in alto e limpido; se sa che comanda come collettivo; se vede gli incarichi di governo autonomo ribelle zapatista come servizio e non come un affare; se quando gli domandano qualcosa che non sa, risponde “non lo so… ancora”; se quando lo scherzano dicendogli che gli zapatisti non esistono più, che sono molto pochi, risponde “non preoccuparti, saremo molti di più, magari ci vuole un po’, ma saremo molti di più”; se guarda lontano in calendari e geografie; se sa che il domani si semina oggi.

Sì, riconosciamo di avere ancora molto da fare, dobbiamo organizzarci di più e meglio.

Per questo dobbiamo impegnarci di più per prepararci a realizzare al meglio il nostro lavoro di governarci, perché sta arrivando il male dai mali: il cattivo sistema capitalista.

Dobbiamo sapere come affrontarlo. Abbiamo 32 anni di esperienza di lotta di Ribellione e Resistenza.

Siamo quello che siamo.

Siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Siamo benché non ci nominino.

Siamo benché con silenzi e calunnie ci dimentichino.

Siamo benché non ci guardino.

Siamo nel passo, nel cammino, nell’origine, nel destino.

Ed in quello che siamo vediamo, guardiamo, ascoltiamo dolori e sofferenze vicine e lontane per calendari e geografie.

Guardavamo prima, e guardiamo ora.

Una notte cruenta, ancor più se fosse possibile, sta calando sul mondo.

Il Prepotente non solo continua a sfruttare, reprimere, disprezzare e depredare.

È determinato a distruggere il mondo intero se questo gli dà profitti, denaro, ricchezza.

È chiaro che sta arrivando il peggio per tutte, tutti, todoas.

Perché i grandi ricchi miliardari di pochi paesi, proseguono nell’obiettivo di saccheggiare tutte le ricchezze naturali in tutto il mondo, tutto quello che ci dà vita come l’acqua, le terre, le foreste, le montagne, i fiumi, l’aria; e tutto quello che c’è nel sottosuolo: oro, petrolio, uranio, ambra, zolfo, carbone, ed altri minerali. Perché loro non considerano la terra come fonte di vita, bensì come un affare e trasformano tutto in merce, e trasformano la merce in denaro, e così ci vogliono distruggere completamente.

Il male ed il cattivo hanno nome, storia, origine, calendario, geografia: è il sistema capitalista.

Non importa come lo dipingano, non importa il nome che gli mettano, non importa la religione che professi, non importa la bandiera che innalzi.

È il sistema capitalista.

È lo sfruttamento dell’umanità e del mondo che abita.

È il disprezzo per tutto quello che è differente e che non si vende, non si arrende, non tentenna.

È quello che persegue, imprigiona, assassina.

È quello che ruba.

Di fronte a lui sorgono, nascono, si riproducono, crescono e muoiono, salvatori, leader, capi, candidati, governi, partiti che offrono la soluzione.

Come una merce, si offrono le ricette per risolvere i problemi.

Forse qualcuno crede ancora che da sopra, da dove vengono i problemi, verranno le soluzioni.

Forse c’è ancora chi crede nei salvatori locali, regionali, nazionali e mondiali.

Forse c’è ancora chi aspetta che qualcuno faccia quello che spetta a noi fare, noi stessi, noi stesse.

Certo, sarebbe bello.

Tutto facile, comodo, senza sforzo. Solo alzare la mano, tracciare un segno su una scheda, riempire un questionario, applaudire, gridare uno slogan, affiliarsi ad un partito politico, votare per favorire uno piuttosto di un altro.

Forse, diciamo, pensiamo noi zapatiste, zapatisti.

Sarebbe bello, ma non è così.

Perché quello che abbiamo imparato come zapatisti e senza che nessuno ce l’abbia insegnato, se non il nostro proprio passo, è che nessuno, assolutamente nessuno verrà a salvarci, ad aiutarci, a risolvere i nostri problemi, ad alleviare i nostri dolori, a regalarci la giustizia che necessitiamo e meritiamo.

Solo quello che faremo noi, ognuno secondo il proprio calendario e la propria geografia, secondo il proprio nome collettivo, il proprio pensiero e la propria azione, la propria origine ed il proprio destino.

Ed abbiamo imparato anche, come zapatisti, che è possibile solo con l’organizzazione.

Abbiamo imparato che se si indigna una, uno, unoa, è bene.

Se si indignano vari, varie, molte, molti, muchoas, allora, in un angolo del mondo si accende una luce e la sua luce riesce ad illuminare per alcuni istanti tutta la faccia della terra.

Ma abbiamo anche imparato che se quelle indignazioni si organizzano… Ah! allora non è una luce momentanea quella che illumina le strade terrene.

Allora è come un mormorio, come un rumore, un tremore dapprima sordo, poi più forte.

Come se questo mondo stesse partorendo un altro mondo, uno migliore, più giusto, più democratico, più libero, più umano… o umana… o humanoa.

Per questo oggi abbiamo iniziato questa parte del nostro messaggio con parole già dette prima, ma che continuano ad essere necessarie, urgenti, vitali: dobbiamo organizzarci, prepararci a lottare per cambiare questa vita, per creare un altro stile di vita, un altro modo di governarci, da noi popoli stessi.

Perché se non ci organizziamo, saremo sempre più schiavizzati.

Non c’è più niente di cui fidarsi del capitalismo. Assolutamente niente. Abbiamo già vissuto centinaia di anni in questo sistema, abbiamo già subito le 4 ruote della carrozza del capitalismo: lo sfruttamento, la repressione, la spoliazione e il disprezzo.

Ormai ci resta solo la fiducia tra di noi, in noi stessi, dove noi sappiamo come costruire una nuova società, un nuovo sistema di governo, la vita giusta e degna che vogliamo.

Perché ora nessuno si salverà dalla tormenta dall’idra capitalista che distruggerà le nostre vite.

Indigeni, contadin@, opera@, maestr@, casalinghe, intellettuali, lavoratori e lavoratrici in generale, perché ci sono molti lavoratori che lottano per sopravvivere quotidianamente, alcuni sotto padrone ed altr@ no, ma che sono sotto lo stesso artiglio del capitalismo.

Cioè, non c’è salvezza nel capitalismo.

Nessuno ci guiderà, siamo noi stess@ a guidarci, pensando a come risolvere ogni situazione.

Se pensiamo che c’è chi ci guidi, abbiamo già visto come ci hanno guidato nelle centinaia di anni nel sistema capitalista, e non è servito a noi derelitti. È servito a loro, sì, perché solo a starsene lì seduti hanno guadagnato soldi per vivere.

A tutti hanno detto “votate per me”, lotterò perché non ci sia più sfruttamento ed appena arrivati nel posto dove si guadagna denaro senza sudare, automaticamente si dimenticano di tutto quello che hanno detto, cominciano a creare altro sfruttamento, a vendere quel poco che resta della ricchezza dei nostri paesi. Questi venditori della patria sono inetti, ipocriti, parassiti buoni a nulla.

Per questo, compagni e compagne, la lotta non è finita, è appena cominciata, ci siamo solo da 32 anni, dei quali 22 sono pubblici.

Per questo dobbiamo unirci di più, organizzarci meglio per costruire la nostra barca, la nostra casa, cioè la nostra autonomia, perché è questa che ci salverà dalla tormenta che si avvicina, dobbiamo rafforzare le nostre aree di lavoro ed i nostri lavori collettivi.

Non abbiamo altra via che unirci ed organizzarci per lottare e difenderci dalla pesante minaccia del cattivo sistema capitalista, perché le malvagità del capitalismo criminale che minaccia l’umanità non rispetta nessuno, spazzerà via tutti senza distinzione di razza, di partito, né religione perché l’hanno già dimostrato nei molti anni che hanno sempre malgovernato, minacciato, perseguito, imprigionato, torturato, fatto sparire ed assassinato i nostri popoli della campagna e della città in tutto il mondo.

Per questo vi diciamo, compagni, compagne, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, voi, nuove generazioni, siete il futuro dei nostri popoli, della nostra lotta e della nostra storia, ma dovete capire che avete un compito ed un obbligo: seguire l’esempio dei nostri primi compagni, dei nostri compagni più grandi, dei nostri padri e nonni e di tutti quelli che hanno iniziato questa lotta.

Tutti e tutte loro ci hanno segnato la strada, ora ci tocca seguire e mantenere quella strada, ma questo è possibile solo organizzandoci di generazione in generazione, capirlo ed organizzarsi per questo, e così fino ad arrivare alla fine della nostra lotta.

Perché voi giovani siete una parte importante delle nostre comunità, per questo dovete partecipare a tutti i livelli nella nostra organizzazione ed in tutte le aree di lavoro della nostra autonomia, e che siano le generazioni future a dirigere il nostro proprio destino con democrazia, libertà e giustizia così come ci stanno insegnando adesso i nostri primi compagni e compagne.

Compagne e compagni tutti e tutte, siamo sicuri che un giorno otterremo ciò che vogliamo, per tutti tutto, cioè la nostra libertà, perché adesso la nostra lotta sta avanzando poco a poco e le nostre armi di lotta sono la nostra resistenza, la nostra ribellione e la nostra sincera parola che né montagne né frontiere possono fermare, ma che arriva fino all’orecchio e nei cuori di altri fratelli e sorelle nel mondo intero.

Siamo sempre di più a capire la lotta contro la grave situazione di ingiustizia in cui viviamo causata dal cattivo sistema capitalista nel nostro paese e nel mondo.

È ovvio che durante la nostra lotta ci sono state e ci saranno minacce, repressioni, persecuzioni, sgomberi, contraddizioni e scherno da parte dei tre livelli dei malgoverni, ma è anche ovvio che se il malgoverno ci odia è perché siamo sulla buona strada; e se ci applaude vuol dire che stiamo deviando dalla nostra lotta.

Non dimentichiamo che noi siamo gli eredi di oltre 500 anni di lotta e resistenza. Nelle nostre vene scorre il sangue dei nostri antenati dai quali abbiamo ereditato l’esempio di lotta e ribellione e l’essere guardiani della nostra madre terra perché in lei siamo nati, in lei viviamo e in lei moriremo.

-*-

Compagne, compagni zapatisti:

Compagni, compagne, compañeroas della Sexta:

Sorelle e fratelli:

Questa è la nostra prima parola in questo anno che comincia.

Altre parole, altri pensieri verranno.

A poco a poco si mostrerà di nuovo il nostro sguardo, il nostro cuore.

Ora terminiamo dicendovi che per onorare e rispettare il sangue dei nostri caduti, non basta solo ricordare, rimpiangere, piangere, né pregare, ma dobbiamo seguire l’esempio e continuare il compito che ci hanno lasciato, mettere in pratica il cambiamento che vogliamo.

Per questo compagni e compagne in questo giorno così importante, è il momento di riaffermare la nostra coscienza di lotta ed impegnarci a proseguire, costi quel che costi e accada quel che accada, non permettiamo che il cattivo sistema capitalista distrugga quello che abbiamo conquistato e il poco che siamo riusciti a costruire col nostro lavoro e impegno in oltre 22 anni: la nostra libertà!

Adesso non è il momento di farci indietro, di scoraggiarci o di stancarci, dobbiamo essere più decisi nella nostra lotta, mantenere salde le parole e gli esempi che ci hanno lasciato i nostri primi compagni: non arrendersi, non vendersi e non tentennare.

DEMOCRAZIA!

LIBERTÀ!

GIUSTIZIA!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, Primo Gennaio 2016

Testo originale

Traduzione Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

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On-line, sottotitolato, il video “Resistenze e Ribellioni in Messico

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Tila

A Tila, Chiapas, si riattivano i paramilitari

Ejidatarios della comunità di Tila, in Chiapas, aderenti alla Sesta Dichiarazionedella Selva Lacandona, accusano Edgar Leopoldo Gómez Gutiérrez, presidente municipale, di riattivare il gruppo paramilitare Paz y Justicia per i suoi interessi e per “smania di potere”.

In un comunicato, gli organi di rappresentanza ejidale di questa comunità denunciano Mateo Rey, originario di ruz Palenque, Mateo Guzmán, di Agua Fría, e Pascual, di El Limar, quali responsabili di incentivare le attività del gruppo armato Paz y Justicia – lo stesso che dal 1996 avrebbe massacrato molte persone – allo scopo di “imporre il presidente a ferro e fuoco”.

La loro denuncia si estende anche a Regino e Nicolás, questo ultimo agente rurale della comunità Unión Juárez. Ritengono questi due uomini responsabili di quello che potrebbe succedere nell’ejido di Tila, in quanto, come affermano, sono loro che coordinano il gruppo paramilitare.

Gli ejidatarios di Tila spiegano che la loro lotta è per la terra e il territorio, in concreto, per la difesa dei 130 ettari che il municipio vuole sottrarre. Riferiscono di non voler stabilire dialogo né negoziazione alcuna con i governi, perché le loro terre non si negoziano né si vendono.

Nella loro denuncia del 26 dicembre – http://laotraejidotila.blogspot.mx/2015/12/denunciamos-la-reactivacion-de-los.html – firmata dal commissario e dal consiglio di vigilanza, chiedono alle organizzazioni sociali di mantenersi in allerta, poiché, come specificano, “la violenza la praticano sempre i tre livelli di governo, nascondendosi dietro i gruppi paramilitari al loro servizio affinché poi possano dire che si tratta di confitti tra comunità”.

Redazione Desinformémonos, 28 dicembe 2015 – http://desinformemonos.org.mx/reactivan-a-paramilitares-en-tila-chiapas/

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Pensiero Critico

Esce in Italia il libro “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista – Contributi della Commissione Sexta dell’EZLN”

Traduzione italiana degli interventi del SupGaleano, Sub Comandante Insurgentes Moises, Comandanta Miriam, Comandanta Rosalinda, Comandanta Dalia, Base de Apoyo Lizbeth, Escucha Selena, maggio 2015.

 

 Non si tratta di giudicare, ma di capire. E qui c’è un problema che richiede del pensiero critico, non si tratta solo di arrivare a una conoscenza scientifica, ma di definire una strategia di resistenza, di sopravvivenza, di vita.
Sup Galeano

Noi, zapatiste e zapatisti, vi diciamo per esperienza, che ci vuole ORGANIZZAZIONE, lavoro e lotta, sforzo e sacrificio, resistenza e ribellione.
Subcomandante Insurgente Moisés

Il volume racchiude gli interventi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) presentati in “Homenaje a los compañeros Luis Villoro Toranzo y Maestro Zapatista Galeano”, evento realizzato nel Caracol di Oventic il 2 maggio 2015, e durante il Seminario “El Pensamiento Critico frente a la Hidra Capitalista”che si è svolto dal 3 al 9 maggio 2015 presso il CIDECI (Centro Indígena de Capacitación Integral) a San Cristóbal de las Casas, Chiapas – Messico, con la partecipazione di numerose organizzazioni, realtà di base, attivisti e studiosi dal Messico e dal mondo.

Il ricavato della vendita di questo libro sarà devoluto alle comunità zapatiste.

PER ACQUISTARE IL LIBRO INVIA UNA MAIL CON I RECAPITI PER LA SPEDIZIONE A: maribel_1994@yahoo.it – Costo 14,90 più 1,60 spedizione per un TOTALE 16,50 Euro pagabili con bonifico bancario.

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Sono passati più di vent’anni da quando, nel 1994, l’EZLN irrompe nello scenario politico internazionale come un esperienza di organizzazione che, rivendicando i diritti alla diversità ed all’eguaglianza, mette continuamente in discussione le tradizionali forme di lotta. Vent’anni durante i quali gli zapatisti hanno costruito nei propri territori una proposta di società alternativa ed autonoma, in cui “il popolo comanda ed il governo obbedisce”. Ed è proprio l’esperienza concreta di resistenza e di organizzazione che viene condivisa nel testo, in cui si alterna la voce di donne e uomini, giovani e meno giovani, che discutono su come, nelle comunità zapatiste, si interpretano l’economia politica, la resistenza e la ribellione, la crisi capitalista ed il “che fare”.

Gli interventi, racchiusi nel volume, uniscono la riflessione e l’esperienza, secondo il principio zapatista “né teoria senza pratica, né pratica senza teoria”.
Sono frutto della discussione avvenuta nelle comunità zapatiste sulla necessità, a fronte delle mutazioni in atto del capitalismo, dentro la sua incessante azione di saccheggio e depredazione del pianeta e della vita con le conseguenze drammatiche che si vivono in ogni dove, di aprire un dibattito globale.

Secondo l’antropologo messicano Gilberto López y Rivas, si tratta di “uno sforzo collettivo per superare il pensiero fannullone, dogmatico, bugiardo e conformista e assumere il pensiero critico necessario di fronte all’urgente e drammatica situazione attuale, determinata dalla forma di mondializzazione capitalista, una tormenta che arriva, con tutte le conseguenze di saccheggio, morte e distruzione per tutti i popoli della Terra”.

L’idra, mostro mitologico dalle cento teste, è la metafora usata per raffigurare il sistema che attualmente governa il mondo: se una testa viene mozzata, al suo posto ne spuntano due, si adatta, muta ed è capace di rigenerarsi completamente a partire da una sola delle sue parti.

“Una delle cose che abbiamo visto, in questa nuova tappa della guerra capitalista, che chiamiamo guerra mondiale, è che mira alla distruzione di un territorio per ricostruirlo. Il capitalismo provoca il caos e di questo si nutre”, segnala il Sup Galeano.

Le riflessioni che provengono dalla lotta indigena del sud-est messicano si impongono per la grande forza evocativa e l’urgente attualità,caratteristiche che fanno di questo libro una lettura ricca di suggestioni per capire il presente e le alternative possibili nella costruzione di “un mondo che contenga molti mondi”.

L’edizione italiana è frutto del lavoro comune di associazioni e collettivi che da anni camminano a fianco degli indigeni dell’EZLN.

Pensiero Critico

Prefazione dei curatori della versione italiana

Il volume che vi apprestate a leggere racchiude gli interventi gli interventi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) presentati in “Homenaje a los compañeros Luis Villoro Toranzo y Maestro Zapatista Galeano”, evento realizzato nel Caracol di Oventic il 2 maggio 2015, e durante il Seminario “El Pensamiento Critico frente a la Hidra Capitalista” che si è svolto dal 3 al 9 maggio 2015 presso il CIDECI (Centro Indígena de Capacitación Integral) a San Cristóbal de las Casas, Chiapas – Messico.
Nei prossimi volumi verranno pubblicati i numerosi interventi dal Messico e dal mondodurante le giornate del Seminario, definito “semenzaio” di idee e pratiche. L’inizio di un cammino condiviso per costruire un cambiamento radicale di fronte alla tormenta in arrivo dovuta alle trasformazioni del capitalismo globale.

La traduzione italiana di questi primi interventi vuole essere un contributo, attraverso la massima circolazione degli stimoli venuti dalle montagne del Sud-est messicano, per ragionare collettivamente, agire, lottare e sfidare l’Idra Capitalista.

Il libro è un’occasione intorno a cui costruire presentazioni e momenti di discussione collettivi.

Nel tradurre i testi abbiamo scelto di attenerci al massimo agli originali, in modo da poter condividere la continua ricerca zapatista di elaborare un nuovo linguaggio, nuove parole in grado di racchiudere la complessità del presente. Per questo abbiamo preferito lasciare molti termini in lingua originale
Il lavoro che abbiamo realizzato è stato collettivo, ma un particolare ringraziamento va fatto al costante e prezioso lavoro del Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo e l’Associazione Ya Basta! Milano nella traduzione dei comunicati dell’EZLN che giungono dall’altra parte dell’oceano.
Un ringraziamento va alla Casa Editrice Iemmedizioni di Napoli che ha reso possibile la pubblicazione.

A tutte e tutti voi che ci state leggendo chiediamo di far circolare il libro, di venderlo, di distribuirlo, di discuterlo insieme.

Il ricavato della vendita di questo libro sarà devoluto alle comunità zapatiste.

Per ricevere il volume, per qualsiasi informazione e per organizzare presentazioni potete rivolgervi a:

* Bergamo – Comitato Chiapas “Maribel” – mail: maribel_1994@yahoo.it – tel. 035881746
* Bologna – Associazione Ya Basta! – mail: yabasta.bologna@gmail.com – tel. 051 6493234
* Empoli – Coordinamento toscano di sostegno alla lotta zapatista – mail: coordinamento-toscano-zapatista@inventati.org– tel. 0571931021
* Milano – Associazione Ya Basta! – mail: yabastaonlus@gmail.com – tel. 3202160435
* Napoli – Cooperazione Rebelde Napoli – mail: cooperazionerebeldenapoli@gmail.com – tel. 335 78 88 115
* Padova – Associazione Ya Basta – Caminantes – mail: padova@yabasta.it – tel. 049 8751003
* Roma – Associazione Ya Basta! Moltitudia – mail: moltitudia_yabasta@yahoo.it tel. 3394784890

  Pensiero Critico 

INDICE DEL VOLUME

Presentazione

Prologo.
Di come siamo arrivati alla Torretta della Vedetta e ciò che da lì abbiamo visto

  1. IL NOSTRO SGUARDO VERSO L’INTERNO

* Alcune piste
La Tormenta, la Sentinella e la Sindrome della Vedetta – SupGaleano
Essere zapatista – Subcomandante Insurgente Moisés
Luis VilloroToranzo, lo zapatista – SupGaleano
Maestro Zapatista Galeano: Appunti di una vita – SupGaleano

* Qualcosa di quello che è cambiato

Economia politica I. Uno sguardo dalle comunità zapatiste – Subcomandante Insurgente Moisés
Economia Politica II. Uno sguardo dalle comunità zapatiste – Subcomandante Insurgente Moisés

* Verso una genealogia della lotta zapatista
La lotta come donne zapatiste che siamo I – Comandanta Miriam
La lotta come donne zapatiste che siamo II – Comandanta Rosalinda
La lotta come donne zapatiste che siamo III – Comandanta Dalia
Le lotte come donne zapatiste che siamo IV – Compagna Base d’Appoggio Lizbeth
La lotta come donne zapatiste che siamo V – Escucha Selena
La visione dei vinti SupGaleano

* Appunti di resistenza e ribellione
Resistenza e ribellione zapatista I – Subcomandante Insurgente Moisés
Resistenza e ribellione zapatista II – Subcomandante Insurgente Moisés
Resistenza e ribellione zapatista III – Subcomandante Insurgente Moisés

  1. IL NOSTRO SGUARDO ALL’IDRA

Il Muro e la Crepa. Primo Appunto sul Metodo Zapatista – SupGaleano
Il Metodo, la Bibliografia e un Drone nelle profondità delle montagne del Sudest Messicano – SupGaleano
Medios, tercios, cuartos – SupGaleano
Eccetera – SupGaleano
La genealogia del crimine – SupGaleano
Una Guerra Mondiale – SupGaleano

III. CHE FARE

Organizzarsi (Sulle elezioni) – Subcomandante Insurgente Moisés
Moltiplicare i Semenzai – Subcomandante Insurgente Moisés e SupGaleano

  1. SEGNI E SEGNALI

LIBERTÀ è una parola zapatista – Oscar Chávez
Giullare di festa e afflizione – Guillermo Velázquez B.
Iconografia – Opere presentate durante i giorni del Seminario

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IL 17 NOVEMBRE DEL 1983 NASCEVA L’EZLN

1Il del 1983 nasceva l’Esercito Zapatismo di Liberazione Nazionale.

Da “I 20 e i 10 dell’ Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”, scritto dal Subcomandante Insurgente Marcos il 10 novembre del 2003, un passaggio che racconta il giorno dell’ingresso nella Selva Lacandona del primo gruppo:

“Oggi, 20 anni fa, la notte è sopraggiunta sotto i grandi alberi e, con l’aiuto dalle torce, questi uomini e donne tirano di traverso dei teli di plastica con una corda, fissano le amache, cercano della legna secca e, dando fuoco ad una borsa di plastica, accendono il falò. Alla sua luce il comandante scrive nel suo diario di campo qualcosa come: „17 novembre 1983…… proseguire la lettura

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Ayotzinapa, nuovo assalto della polizia contro gli studenti: feriti, arresti e desaparecidos

  • Giovedì, 12 Novembre 2015
  • Andrea Spotti*

Ayotzinapa, nuovo assalto della polizia contro gli studenti: feriti, arresti e desaparecidos

Gli studenti di Ayotzinapa sono nuovamente vittime di un’aggressione poliziesca. È successo nel pomeriggio di ieri, attorno alle 17, quando una carovana di otto autobus su cui viaggiavano circa 250 alunni della Normale Isidro Burgos è stata violentemente assaltata da diverse forze di polizia. Il bilancio provvisorio è di 13 studenti arrestati, 20 feriti e una ventina di giovani di cui si sono perse le tracce.
Secondo le prime ricostruzioni, gli studenti sono stati aggrediti in tre occasioni lungo la statale Chilpancingo-Tixla. Il tutto è iniziato nella zona chiamata Tierra Prieta, dove diverse camionette della polizia statale e di quella federale hanno iniziato a inseguire gli studenti sparando lacrimogeni all’interno degli autobus e distruggendo i vetri a manganellate.
Un secondo assalto si è  avuto a circa metà del cammino. Infine, nei pressi del casello di Tixla, città in cui ha sede la Normale, circa seicento poliziotti in tenuta antisommossa che aspettavano la carovana hanno dato il via alla repressione cercando di fermare quanti più normalisti fosse possibile. Una volta scesi dagli autobus, questi ultimi hanno cercato di difendersi con bastoni e pietre. Molti di loro sono riusciti a fuggire cercando rifugio nei boschi circostanti. I due autobus colpiti dalla furia poliziesca, letteralmente vandalizzati dagli agenti, sono stati abbandonati lungo la strada.
I testimoni che sono riusciti a rientrare ad Ayotzinapa sarebbero circa 80 secondo quanto dichiarato da una attivista dell’ Assemblea Popolare Municipale di Tixla all’emittente antagonista Regeneración Radio. Alcuni di loro parlano di una repressione brutale da parte delle forze dell’ordine e di come queste abbiano cercato di impedire alle ambulanze di raggiungere i feriti dopo l’aggressione. Inoltre, dichiarano di aver visto sul campo elementi dell’esercito, i quali però non avrebbero partecipato direttamente alle violenze.
In serata, abitanti della zona, membri del comitato dei genitori di Ayotzinapa, maestri e persone solidali hanno organizzato delle brigate per andare alla ricerca dei giovani fuggiti sul monte Tepoltzin, molti dei quali, stando alle parole dei testimoni, potrebbero essere seriamente feriti.

Video: https://youtu.be/M7bW68QychY

Per quanto riguarda il motivo dell’aggressione, non si hanno, al momento, prese di posizione ufficiali da parte delle autorità. Le ipotesi che si stanno facendo in queste ore fanno riferimento al tentativo della polizia di recuperare i bus occupati dagli studenti, nonché un’autocisterna di benzina presa in prestito dai normalisti per riempire i serbatoi dei loro mezzi di trasporto in vista della manifestazione del prossimo 14 novembre nella capitale dello stato per ricordare la violenta repressione ai danni degli studenti del 2007.
Tuttavia, le ragioni più profonde vanno cercate, da una parte, nel tentativo di zittire il movimento di Ayotzinapa in vista delle elezioni straordinarie che si terranno a Tixla il prossimo 29 novembre (quelle ordinarie erano state annullate a causa del boicottaggio delle stesse organizzato dai genitori dei 43 desaparecidos lo scorso 9 luglio); e, dall’altra, dalla volontà delle autorità di mettere fine ad un movimento che, a partire dal 26 settembre del 2014, giorno della strage di Iguala, ha saputo più volte mettere in seria difficoltà il governo, e che ha recentemente ottenuto importanti risultati anche sul piano giuridico-processuale.
Stiamo parlando dei risultati raggiunti grazie al lavoro del gruppo di esperti indipendenti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH). I quali non solo hanno letteralmente sbugiardato la versione ufficiale dando forza alle critiche che da subito genitori e compagni dei desaparecidos avevano fatto alla versione ufficiale, ma hanno determinato un importante risultato dal punto di vista delle indagini.
Queste infatti, come stabilito da un accordo tra il governo messicano e la CIDH, non saranno più portate avanti dalla Subprocura Specializzata in Delinquenza Organizzata (SIEDO), ma da una nuovo gruppo di lavoro gestito della Subprocura dei diritti umani della Procura Generale della Repubblica. Il che, per quanto non rappresenti una vittoria definitiva, é stato enz’altro un duro colpo per un governo che puntava a chiudere velocemente il caso sugli studenti fermati e fatti sparire, l’anno scorso, da agenti di polizia e pistoleros con il supporto dell’esercito.
L’accordo, comunicato lo scorso 21 ottobre, comporta una collaborazione più attiva da parte degli esperti indipendenti, ed implica l’allargamento degli orizzonti investigativi seguiti fino ad ora dagli inquirenti, i quali hanno mirato più a ridurre i danni e a limitare le responsabilità politico-istituzionali a livello locale che a fare davvero luce sui fatti. Il nuovo gruppo di lavoro, inoltre, dovrebbe iniziare ad investigare anche sulle forze di polizia statali e federali, oltre che sull’esercito che fino ad ora non è mai stato oggetto di indagini serie ed è  sempre stato protetto dal governo. Tra gli altri, elementi importanti dell’accordo sono la volontà di riprendere la ricerca dei normalisti utilizzando le tecnologie piú avanzate e quella di coinvolgere nelle perizie gli esperti della CIDH.

Video: https://youtu.be/xNXGYNVyV5k

La sbandierata volontà di cercare la verità “costi quel che costi” dichiarata dai rappresentanti delle autorità messicane a Washington di fronte ad una sessione plenaria della CIDH meno di un mese fa, viene tuttavia smentita quotidianamente dalle dichiarazioni di membri del governo e da azioni repressive come quella di oggi, la quale va inserita nel contesto di quella che Omar García, portavoce degli studenti di Ayotzinapa, ha definito la guerra mediatica contro il movimento. Una guerra mediatica che prepara, accompagna, sostiene e giustifica la brutale repressione governativa.
Nata per cercare di mettere un argine al danno all’immagine del governo causato dalla relazione del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Internazionali della CIDH (GIEI) del 6 settembre scorso, la campagna mediatica contro i normalisti è andata crescendo nel mese di ottobre in risposta alle grandi mobilitazioni organizzate ad un anno dai tragici fatti.
Il primo tassello della campagna è stato il tentativo costante da parte dei principali opinionisti radio e tv nei giorni successivi la relazione di rappresentare i periti del GIEI come una parte in causa politicizzata e quindi animata da uno spirito antigovernativo. Successivamente, anche in risposta ai diversi documentari indipendenti usciti negli ultimi mesi, è seguito il lancio di un docufilm pompatissimo dal mainstream che al contrario difende acriticamente la versione ufficiale.  Infine, negli ultimi giorni, i media più reazionari hanno ricominciato a diffondere la tesi di una possibile presenza di elementi legati ai clan criminali della zona all’interno della Normale. Tesi questa – va sottolineato – che era stata iniziamente utilizzata dalle autorità per liquidare la strage di Iguala come uno scontro tra bande rivali.
La campagna per associare nuovamente i normalisti alla criminalità organizzata è iniziata qualche giorno fa con la pubblicazione da parte del quotidiano di centrodestra El Milenio di frammenti di un’intercettazione telefonica di Omar García dove si parla di una tentata irruzione da parte del gruppo criminale degli Ardillos all’interno della scuola Isidro Burgos. Secondo l’autore dell’articolo Mario Marin, gli aggressori, fermati dall’intervento della polizia comunitaria, avrebbero avuto intenzione di sequestrare alcuni normalisti in quanto membri dell’organizzazione rivale dei Rojos.
Un paio di giorni dopo l’articolo, il ministro degli interni Osorio Chong ha dichiarato che gli inquirenti stanno indagando su possibili relazioni tra narcos e studenti, notizia poi smentita dalla Procura della Repubblica. Insomma, a oltre 14 mesi dalla strage, quando la mobilitazione, la pressione internazionale ed il lavoro degli esperti iniziano a dare i primi risultati forzando le autorità ad un importante cambiamento nella conduzione delle indagini, governo e mass media paiono aver scelto nuovamente la via della repressione. Per questo, come sostengono i normalisti immediatamente dopo l’ennesimo attacco che smaschera le reali intenzioni delle autorità, oggi piú che mai, è necessario mantenere alta l’attenzione e continuare a sostenere la loro lotta anche a livello internazionale.

* da Città del Messico

http://contropiano.org/internazionale/item/33975-ayotzinapa-nuovo-assalto-della-polizia-contro-gli-studenti-feriti-arresti-e-desaparecidos

 

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Rapporto Frayba: La Insurgencia dei Diritti Umani

Rapporto del Frayba: La Insurgencia dei Diritti Umani, presentato il 10 novembre  San Cristóbal de Las Casas, Chiapas
Ai media liberi, autonomi, comunitari, indipendenti
Alla stampa nazionale e internazionale
Alla società civile
“Questo Rapporto vuole fornire una prospettiva ed una visione politica di chi da qui osserva le situazioni che ci colpiscono, un registro della memoria e della dignità delle persone che ci affidano la loro parola, che racchiude parte delle lotte e delle sofferenze di coloro che dall’alba al tramonto agiscono pero un altro mondo possibile attraverso i propri processi organizzativi e rivendicazioni storiche”.  
  
“È dedicato alle madri, ai padri ed alle famiglie dei 43 studenti scomparsi forzatamente della Scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, un atto commesso dal regime politico e criminale del Messico, guidato da Enrique Peña Nieto. Queste famiglie hanno camminato al fianco di organizzazioni e collettivi che non dimenticano e lottano continuamente per la ricerca di Verità e Giustizia”.

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#Méxiconosurge.

untitled#MéxicoNosUrge

Fondamento dell’accordo. Il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come si enunciano nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo.”

Art. 1 trattato di libero commercio tra il Messico e l’Unione Europea

Gli omicidi del fotogiornalista Rubén Espinosa, dell’attivista Nadia Vera, della studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e di altre due donne che si trovavano con loro, Mile Virginia Martin e Alejandra Negrete, avvenuti a Città del Messico, venerdì 31 luglio scorso, ci impongono di non rimanere in silenzio. Dinanzi alla condizione che vive chi vuole denunciare la situazione che subiscono milioni di persone in un paese, il Messico, che l’Italia e l’Unione Europea riconoscono soltanto come importante socio commerciale, rimanere in silenzio sarebbe una forma di complicità.

Rubén Espinosa è l’ultimo giornalista ucciso in Messico in un massacro che sembra non avere fine. Sono più di cento i giornalisti assassinati dal 2000 ad oggi. Nello stato del Veracruz, dove Rubén lavorava raccontando gli abusi del governo statale e le violente repressioni contro gli oppositori politici, sono 14 i giornalisti uccisi durante il governo di Javier Duarte de Ochoa, soprannominato anche il mataperiodistas, l’ammazza giornalisti.

Rubén Espinosa e Nadia Vera erano fuggiti dallo stato del Veracruz proprio per le minacce ricevute da funzionari del governo di Javier Duarte, indicato mesi fa come responsabile di qualsiasi gesto di aggressione nei loro confronti. Non è stato sufficiente fuggire a Città del Messico, considerata finora un porto sicuro in cui ripararsi dalle aggressioni contro la libertà di stampa. Il messaggio è chiaro: non si è sicuri da nessuna parte. Tutti i giornalisti critici devono avere paura perché possono essere raggiunti nelle loro case, torturati e ammazzati.

La libertà di stampa in Messico viene violentata quotidianamente. Fare il giornalista in Messico è una delle professioni più a rischio e i dati delle più importanti organizzazioni di difesa dei giornalisti e della libertà di stampa (come Article19 o RSF) indicano chiaramente come la maggior parte delle minacce, aggressioni, intimidazioni, sparizioni e uccisioni di giornalisti, fotografi e comunicatori si debbano imputare alle istituzioni dello Stato.

Il Messico e l’Unione Europea sono vincolati dal Trattato di Libero Commercio che si basa su una clausola democratica, e i nostri paesi, i nostri Parlamenti – sia nazionali che quello europeo – non possono rimanere in silenzio di fronte a questa situazione.

Nel maggio del 2016 si compiranno dieci anni dal massacro di San Salvador Atenco. Una Commissione Civile di Osservazione dei Diritti Umani – i cui componenti erano cittadini europei – nel giugno del 2006 ha presentato al Parlamento Europeo un rapporto sui fatti e sulle gravi violazioni dei diritti umani in relazione allo sgombero forzato di una comunità per costruire il nuovo aeroporto di Città del Messico in una zona ejidal (cioè di proprietà collettiva) dello Stato del Messico.

Negli ultimi dieci anni la situazione si è fatta se possibile ancora più grave, con decine di migliaia di sparizioni forzate, violenza sistematica contro chi vuole difendere e promuovere i diritti umani, contro attivisti dei movimenti sociali e contro i giornalisti e fotografi che documentano la condizione di violenza strutturale scelta come forma di “politica attiva” dai governi di Felipe Calderón, prima, e di Enrique Peña Nieto (che nel 2006 era governatore dello Stato del Messico durante i fatti di Atenco), ora.

Tra gli attivisti e giornalisti minacciati e perseguitati ci sono anche cittadini italiani ed europei; tra le vittime ci sono anche cittadini italiani ed europei (come il finlandese Jyri Antero Jaakkola, assassinato dai paramilitari nello stato del Oaxaca nel 2010).

In questo panorama di violenza diffusa e repressione contro i civili ricordiamo la sparizione forzata dei 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, avvenuta la notte del 26 settembre del 2014 nella città di Iguala, stato del Guerrero, in cui sono coinvolti la polizia municipale di Iguala ed elementi dell’esercito messicano. Da dieci mesi i 43 giovani studenti sono vittime di sparizione forzata di persone.

Il 30 giugno 2014 l’esercito messicano, con un ordine scritto dall’Alto Comando Militare, fucilava 22 ragazzi in un’esecuzione extragiudiziale, una delle tante esecuzioni extragiudiziali portate a termine dall’esercito che ha l’ordine di “abbattere” civili considerati delinquenti senza alcun diritto ad avere un processo.

L’ONU ha recentemente spiegato come in Messico la tortura sia un metodo utilizzato in maniera sistematica negli interrogatori da tutte le forze di sicurezza.

Tutto questo accade nel silenzio della cosiddetta “comunità internazionale” e l’Unione Europea di fatto si disinteressa dei crimini dello stato messicano, continuando a mantenere relazioni commerciali con uno Stato che viola costantemente i diritti umani.

Tra il 2007 e il 2014 in Messico ci sono stati più di 164mila omicidi di civili. Negli stessi anni in Afghanistan e in Iraq si sono contate circa 104mila vittime. Il numero di persone sparite dal 2006 ad oggi, basandosi su dati conservativi del governo messicano, supera le 30mila persone. È indefinito il numero delle persone sfollate forzatamente all’interno del paese, ma molte organizzazioni di difesa dei diritti umani parlano di più di due milioni e mezzo di persone.

A fronte di tutto questo l’indifferenza dei grandi mezzi di comunicazione internazionali è impressionante e complice.

Per tutto questo, #MexicoNosUrge e non possiamo rimanere in silenzio.

Chiediamo che il Parlamento Europeo esprima la sua preoccupazione rispetto alla grave crisi dei diritti umani che vive il Messico, in particolare per le costanti aggressioni ai giornalisti e difensori dei diritti umani.

Chiediamo all’Italia e all’Unione Europea che si sospendano tutte le relazioni (politiche e commerciali) con il Messico fino a quando non si farà luce sui gravi casi di omicidio, violenza e sparizione forzata di persone. I paesi dell’Unione Europea devono applicare l’embargo agli investimenti in Messico e chiudere le loro Ambasciate, così come si è fatto nel caso di altri paesi che non osservano l’obbligo del rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita dei propri cittadini.

Italia, Agosto 2015

Per aderire scrivere a mexiconosurge2015@gmail.com

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Aderiscono all’appello:

  1. Dario Fo (attore, regista, scrittore. Premio Nobel per la letteratura)
  2. Fundação José Saramago e Pilar del Río Gonçalves
  3. Paco Ignacio Taibo II (scrittore)
  4. Roberto Saviano (scrittore)
  5. Erri De Luca (scrittore)
  6. Don Luigi Ciotti (Presidente dell’Associazione Libera e Fondatore dell’Associazione Gruppo Abele)
  7. Raúl Vera López, O.P. (Vescovo di Saltillo, Coahuila, Messico)
  8. Padre Alejandro Solalinde, Albergue para migrantes “Hermanos en el Camino” , Ixtepec OaxacA.
  9. Nando Dalla Chiesa (docente universitario, scrittore e politico)
  10. Juan Villoro (scrittore, saggista, giornalista e drammaturgo)
  11. Paolo Flores d’Arcais (filosofo, pubblicista e direttore della rivista MicroMega)
  12. Collettivo di scrittori Wu Ming
  13. Riccardo Bonacina (direttore di Vita non profit magazine)
  14. Stefano Arduini (caporedattore di Vita non profit magazine)
  15. Gilberto López y Rivas (Professore -Ricercatore Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH)
  16. Tonio dell’Olio (responsabile del settore internazionale di Libera)
  17. Paloma Saiz (organizzatrice della Brigada Para Leer en Libertad)
  18. Fondazione Antonino Caponnetto
  19. Salvatore Calleri (presidente Fondazione Antonio Caponnetto e membro Fondazione Sandro Pertini)
  20. Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez A.C. (México)
  21. Servicio Jesuita a Migrantes – México
  22. Centro de Investigación y Promoción Social (CIPROSOC)
  23. Comité Cerezo México
  24. Josè Agustìn Ortiz Pinchetti
  25. Valerio Evangelisti (scrittore)
  26. Valerio Massimo Manfredi (scrittore)
  27. Franco Berardi “Bifo” (scrittore, professore universitario)
  28. Tony Negri (politico, filsofo, sociologo)
  29. Franco Piperno (politico, fisico)
  30. Giacomo Costa, SI (gesuita, direttore di Aggiornamenti Sociali)
  31. Alessandro Mannarino (cantautore)
  32. Aldo Nove (scrittore)
  33. Fabrizio Lorusso (scrittore)
  34. Eleonora Florenza (Parlamentare Europea)
  35. Alberto Prunetti (scrittore)
  36. Magdalena Gómez (docente Università Pedagogica Nazionale, collaboratrice de La Jornada)
  37. Lucia Capuzzi (giornalista di Avvenire)
  38. Roberta Zunini (giornalista)
  39. Girolamo de Michele (scrittore e docente universitario)
  40. Sandro Mezzadra (Università di Bologna)
  41. Mauro Biani (vignettista)
  42. Salvatore Palidda (sociologo, scrittore e docente Università di Genova)
  43. Graziano Graziani (giornalista)
  44. Thomas Aureliani (giornalista)
  45. Andrea Bigalli (Libera Regione Toscana)
  46. Federico Mastrogiovanni (giornalista)
  47. Luca Martinelli (giornalista di Altreconomia)
  48. Annamaria Pontoglio (Comitato Chiapas “Maribel”- Bergamo)
  49. Ruby E. Villarreal (Arquitecto, Cultural/Museum Broker)
  50. Andrea Cegna (collaborator di Radio Onda d’Urto e Radio Popolare)
  51. Emanuela Borzacchiello (Ricercatrice)
  52. Amaranta Cornejo Hernandez (Ricercatrice feminista e docente universitaria)
  53. Jaime Avilès (giornalista)
  54. Lorenzo Declich (giornalista e scrittore)
  55. La Spezia Oggi (http://www.laspeziaoggi.it/news)
  56. Comitato Bolivariano La Madrugada
  57. Associazione SUR (surnet.it)
  58. Carovane Migranti (http://carovanemigranti.org)
  59. Domenico Guarino (Consiglio Ordine dei Giornalisti Regione Toscana e Direttore Radio Cora)
  60. João Coles (Ricercatore CEC)
  61. Cynthia Rodríguez (giornalista della rivista Proceso)
  62. Renato Scalia (Comitato Fondazione Antonino Caponnetto)
  63. Cristina Morini (giornalista e scrittrice)
  64. Fabio Cuttica (fotografo agenzia Contrasto)
  65. Cecilia Narducci (giornalista)
  66. Loredana Lipperini (scrittrice e giornalista)
  67. Simona Granati (fotogiornalista)
  68. Alessandro Braga (Giornalista Radio Popolare)
  69. Francesca Nava (giornalista)
  70. Francesca Volpi (fotografa)
  71. Jessica Borroni (scenografa)
  72. Silvia Federici (scrittrice)
  73. Marilù Oliva (scrittrice)
  74. Rebelde FC (bs)
  75. Renza Salza (Comitato Chiapas Torino)
  76. Christian Marazzi (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana)
  77. Riccardo Staglianò (giornalista)
  78. Alessandra Coppola (giornalista)
  79. Mario Portanova (giornalista)
  80. Leo Reitano (giornalista)
  81. Noura Tafeche (giornalista)
  82. Emilia Lacroce (giornalista)
  83. Yesenia de la Rosa (giornalista)
  84. Federico Chicchi (Università di Bologna)
  85. Aldo Zanchetta (Fondazione Neno Zanchetta per l’America Latina)
  86. Valentina Petrini (giornalista)
  87. Associazione Italia-Cuba circolo di Firenze
  88. Valentina Valle Baroz (giornalista)
  89. Gabriele Zagni (giornalista Piazzapulita L7)
  90. Fabio Bianchi (attivista)
  91. Miguel Angel Armendariz (ballerino e attore)
  92. Coordinamento Comasco per la Pace
  93. Alessia Glaviano (Fotografa)
  94. Maria Benciolini (antropologa)
  95. Marco Dell’Aguzzo (Blogger e collaboratore giornale di geopolitica)
  96. Carlo Bonfiglioli (professore Università Nacional Autonoma de México)
  97. Emiliano Di Marco (Attivista y Blogger)
  98. Elisa Villarreal Vargas (comunicologa, mezcalier)
  99. Carlo Maria Cananzi (consulente nelle politiche sociali)
  100. Marina Cristoni (insegnante)
  101. Alessandra De Gaetano(operatrice per l’infanzia, esperta in processi di apprendimento)
  102. Rossana Pierri (psicologa)
  103. Associazione Jambo, commercio equo e solidale Fidenza (Italia)
  104. Alessandro Raveggi (scrittore e docente)
  105. Redazione di Comune-info (comune-info.net)
  106. Eugenio Santangelo (docente)
  107. Milvia Comastri (scrittrice)
  108. Vito Foderà (autore televisivo)
  109. Bonnot (musicista)
  110. Assalti Frontali (underground rap band)
  111. Donatella Maceraudi Gattullo (ex docente Università di Torino)
  112. Luigi Rigoni
  113. Cesira Taranto
  114. Ruben Magazzù
  115. Chiara Bardelli
  116. Dino Barberini
  117. Ernesto Barberini
  118. Lia Barberini
  119. Simona Barberini
  120. Remo Catassi
  121. Roberto Faustini
  122. Leonardo Perri
  123. Sabrina Benenati
  124. Graziella Corsaro
  125. Rosa Maiello
  126. Ida Tesconi
  127. Ida Dello Ioio
  128. Gianna Taverna
  129. Elvira Taverna
  130. Claudio Bianchi
  131. ClaudioTullii
  132. Roberto Lesignoli
  133. Alessandra Mastrorsa
  134. Patrizia Capaccetti
  135. Michela Giovannini
  136. Matteo Realdi
  137. Alessandro Peregalli
  138. Roberto Salvatore
  139. PatrizioDolcini
  140. Aararamuri Mares
  141. Paolo Arduini (giornalista LuciSulla Città, Pisa)
  142. Monica Mazzoleni (attivista)
  143. Marco Giusti (attivista)
  144. Moltitudia Ya Basta! Roma
  145. Lucia Cupertino
  146. Valentino Bellini
  147. Arianna Martina Orlando
  148. Gaia Capogna
  149. Dario Chistolini
  150. Vincenzo Riso
  151. Sergio Dalmasso
  152. Eda Marina Lucchesi
  153. Claudio Minetti
  154. Angela Corcione
  155. Daniel Gershenson (attivista)
  156. Silvia Papi
  157. Marialaura Pistritto
  158. Silvana Capurso
  159. Roberta Marzorati (sociologa)
  160. Daniela Pagano(educatrice e cooperante)
  161. Giorgio Trucchi (giornalista Rel-UITA)
  162. Liliana Omegna
  163. Marina Criscuoli
  164. Franco Fuselli
  165. Gianni Novelli (giornalista)
  166. Mercedes Grimaldi
  167. Silvio Stoppoloni (http://www.leintegrazionimpossibili.wordpress.com)
  168. Maurizio Betti (professore)
  169. Franco Elia
  170. Ira Vannini
  171. Pietro Custodi
  172. Andrea Ciaccheri (Centro Sociale La Strada)
  173. Chiara Cortiana
  174. M: Cristina Secci (ricercatrice e traduttrice)
  175. Manuela Bono
  176. Gioacchino Lo Bianco
  177. Angela Bellei
  178. Andrea Spotti (reporter autonomo)
  179. Miriam Tombino
  180. Anna Pacchiani
  181. Massimo Vecchi
  182. Santino Zanchi
  183. Matteo Seppi (agente di polizia locale)
  184. Laura Martignoni
  185. Gian Marco Martignoni (Cgil Varese)
  186. Donne di Sabbia, Torino
  187. Tavolo per Juarez, Torino
  188. Gianfranco Mazzeo
  189. Giovanni Raffaele (Università di Messina)
  190. Cooperazione Rebelde Napoli (https://www.facebook.com/cooperazionerebelde.napoli)
  191. Emanuela Jossa
  192. Orsetta Bellani (giornalista)
  193. Nino Quaresima (attivista Caravana Italiana de Desaparecidos)
  194. Valentina Leandri
  195. Elvira Corona (giornalista freelance)
  196. Jessica Lorenzon
  197. Laura Alicino ((Dottore di Ricera in Letterature Ispano-americane – Università di Bologna)
  198. Giorgio Brambilla
  199. Eva Milan (musicista)
  200. Elisa Valtolina
  201. Laura Gandolfi (University of Chicago)
  202. Sabina Fantin (educatrice)
  203. Maria Lorena Rojas
  204. Morena Casadio
  205. Maura Zappa
  206. Francesco Dal Pozzolo
  207. Nelly Bocchi
  208. Marco Gaibazzi
  209. Sara Soldi
  210. Alessandra Testi
  211. Gabriela Islas Arzamendi
  212. Eduardo Abaroa (scultore e scrittore)
  213. Rebecca Rovoletto (attivista)
  214. Maria Rosaria Capozzi
  215. Ireo Bono
  216. Liliana Rodríguez Zambrano
  217. Nicoletta Manuzzato (giornalista)
  218. Franceschino Barazzutti
  219. Adriana Zoratti
  220. Isabel Vericat
  221. Beatriz Álamo Rojas (actriz y locutora de Radio México DF)
  222. Francesca Savoia
  223. Camilla Giaccaglia
  224. Magali Tercero (giornalista e scrittrice)
  225. Helena Lopez (ricercatrice del Pueg-Programa Estudio de Genero della Unam)
  226. Mariana Berlanga Gayón (docente ricercatrice Uacm)
  227. Isabela Vericat Nuñez (avvocatessa e ricercatrice)
  228. Nicole Pavanello
  229. Paolo Tucci
  230. Soleterre – strategie di pace ONLUS (soleterre.org)
  231. Gioacchino Lo Bianco
  232. Mauro Pagnano (fotoreporter viewbook.com)
  233. CCF – Coordinamento Comitati Fuochi
  234. NCO- Nuova Cooperazione Organizzata
  235. NCO – Nuova Cucina Organizzata
  236. Irene Barbi
  237. Elisabetta Pavarello
  238. Luisa Acerbi
  239. Instabili Vaganti – Experimental Theatre
  240. Manuela Albasini
  241. Fabio Ghisu
  242. Patrizia Bonicelli
  243. Familia Latina Unida (Chicago, Ill, USA)
  244. MIREDES, International, Cono Sur, México, Africa, Europa
  245. José Jaques y Medina (MMM – Movimiento Migrante Meseoamericano)
  246. Marta Sanchez Soler (MMM – Movimiento Migrante Meseoamericano)
  247. Ruben Diaz Figueroa (MMM – Movimiento Migrante Meseoamericano)
  248. Elvira Arellano Olayo (MMM – Movimiento Migrante Meseoamericano)
  249. Ana Enamorado (MMM – Movimiento Migrante Meseoamericano)
  250. Frontera con JusticiaAC (Casa del Migrante de Saltillo)
  251. José Luis Manzo (difensore dei Diritti Umani, Messico)
  252. Raymundo Espinoza (avvocato)
  253. Irene Guarneri
  254. Gianni Scramoncin
  255. Daniela Leone (docente)
  256. Stefano Molteni
  257. Eleonora Bonaretti
  258. Simone Parasole (attivista)
  259. Comitato don Peppe Diana contro la camorra
  260. Lucía Melgar (accademica)
  261. Claudio Morbiato
  262. Siponta Manzella
  263. Laura Montesi (antropologa)
  264. Luca Paterlini
  265. Alfonso E. Villareal Gzz (psichiatra)
  266. Francesca Mastrogiovanni (psicologa)
  267. La 72 (rifugio per persone migranti)
  268. Alberto Xicotencatl (attivista)
  269. Sandra Angela Bassolino
  270. Il Cerchio, Coordinamento Nazionle di Sostegno ai/dai Nativi Americani
  271. Claude Albore Livadie (direttore di ricerca emerito – Centre National de la Recherche ntifique)
  272. Tiziana Buccoliero
  273. Donatella Pagliacci (medico)
  274. Erika Cofone
  275. SMR, Scalabrinianas: Misión con Migrantes y Refugiados
  276. Unidad Popular Revolucionaria Emiliano Zapata (UPREZ)
  277. Alejandro Corona (trabajador petrolero)
  278. Rossella Migliacci Bellante (pedagogista)
  279. Sonia Monica Soldani
  280. Étienne von Bertrab (accademico University College London e attivista)
  281. Rosa Riboldi
  282. Francesca Barca (agoravox.it)
  283. Francesco Sgro (acrobata)
  284. Teresa Noronha Feio (ballerina)
  285. Eslabones, Associazione di famigliari di desparecidos
  286. Valentina Peralta Puga (attivista e coordinatrice di Eslabones)
  287. Nedda Alberghini – Le Case degli Angeli di Daniele Onlus
  288. Iolanda Capezza
  289. Christian Peverieri
  290. Associazione Ya Basta! Êdî Bese!
  291. Roberto Sensi
  292. Marco Panizza
  293. Laura Puppato (Senatrice del Partito Democratico)
  294. Gian Maurizio Crivello
  295. Elsa Trueba (pedagoga)
  296. Marco Onorati
  297. Nicola Melis
  298. Loretta Pagani
  299. Giovanna Brezzo
  300. Marianna Addonizio
  301. Riccardo Toffano
  302. Claudio Mazzoleni
  303. Emiliano Sartorelli
  304. Matteo Cernison (ricercatore)
  305. Amelia Beltramini (giornalista)
  306. Salvatore Conte
  307. Maria Novella Vitale
  308. Loris Furlan
  309. Paolo Citterio (Consigliere Comunale Osio Sotto BG)
  310. Matteo Paoletti
  311. Davide Paoletti
  312. Ilary Tiralongo
  313. Marcello Cariboni
  314. Comunidad Indigena de san Francisco Xochicuautla Lerma, estado de Mexico
  315. Gerardina Caruso
  316. Patrizia Mancini (redattrice capo sito Tunisia in org)
  317. Comitato Madri per Roma Città Aperta Comité Madres Antifascistas
  318. Teresa Barile
  319. Silvia Arzola
  320. Mauro Marrone
  321. Carmen Campesi
  322. Mariachiara Iandoli
  323. Bianca Fossà
  324. Sandro Frigeri
  325. Giampaolo Gorini
  326. Concepcion Garcia Sanchez (sociologa, artista, arteterapeuta)
  327. Padre Clodomiro Siller Acuña (Consiglio Direttivo Centro Nazionale di Aiuto alle Missioni AMI)
  328. Ana de Ita Rubio (Coordinatrice Centro Studi per il Cambiamento nelle Campagne sicane CECAM)
  329. Giampaolo Gorini (Cittadinanza Attiva)
  330. Sara Monsurro
  331. Chiara Benedetti
  332. Marinella Degano
  333. Giuliano Giovannini
  334. Francesco Gesualdi
  335. Centro Nuovo Modello di Sviluppo
  336. Chiara Zanini (Corriere delle Migrazioni corrieredellemigrazioni.it)
  337. Ana Toledo
  338. Lucilla Manganozzi (pediatra)
  339. Giorgia Morero
  340. Agostino Morgillo
  341. Nadia Pedot
  342. Marina Carrer
  343. Vincenzo Tosti (attivista Terra dei Fuochi)
  344. Carlotta De Cuntis
  345. Veronica Cilione
  346. Alessandra Governa
  347. Flavia Cascianelli
  348. Vittorio Masieri
  349. Marissa Revilla (comunicadora feminista, Chiapas, Messico)
  350. Perla O. Fragoso Lugo (antropologa sociale, Messico)
  351. Margherita Giannilivigni (docente filosofia e scienze umane)
  352. Daniela Cavallo
  353. Manuel Fernández Guasti (Università Autonoma Metropolitana, Iztapalapa, Messico)
  354. Bárbara Riviello
  355. Miriam Jacqueline Villarruel Ortega
  356. Maria Gisela Espinosa Damián (docente UAM-X, Messico)
  357. Guiomar Rovira (professoressa, Messico)
  358. Hildebertha Esteban Silvestre (doctorante Cesmeca, Chiapas, Messico)
  359. Elisa Gallo
  360. Paolo Arduini (responsabile foglio mensile Luci Sulla Città, Pisa)
  361. Silvana Capurso
  362. Nicolas Défossé (regista e produttore documentari)
  363. Fabio Ballerini
  364. Angela Bellei
  365. Ludovica Sciannamblo
  366. Roberta Pagnini
  367. Gema Ixchel Blanca Ochoa (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  368. Martha Dwyna Ariatna Villalobos Miranda (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  369. Rebeca Raquel Cruz Hernández (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  370. Miriam Jacqueline Villarruel Ortega (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  371. Delia Álvaro Sánchez (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  372. Oyuky Ayala Sánchez (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  373. Cristina González Serna (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  374. Stephanie Zamora Huerta (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  375. Sandra Leebedolla Manzilla (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  376. Hedler Coatli Baca León (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  377. Elsa Patricia González Noriega (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  378. Olga Esperanza Granda Moreno (Casa de la Mujer Ixim Antsetic)
  379. Monica Livoni Larco (Donne di Sabbia).
  380. Gianfranco Mulas (Donne di Sabbia)
  381. Luca Pasquarelli (studente)
  382. Matteo Mario Vecchio
  383. Alessandro Pendesini
  384. Irene Starace (ricercatrice e traduttrice)
  385. Darja Betocchi (insegnante)
  386. Massimo Ragazzini
  387. Camillo Boni
  388. Janja Hauschild
  389. Stefano Paltrinieri
  390. Margherita Mansuino
  391. Valerio Giodini
  392. Tommaso Cornali
  393. Elisabetta Napoli
  394. Claudia Caporossi
  395. Sara Tossini
  396. Stefania Piancone
  397. Associazione Stampo Antimafioso (stampoantimafioso.it)
  398. Martina Mazzeo (coordinatrice Stampo Antimafioso)
  399. Ellen Häring (giornalista di Deutschlandradio)
  400. Heike Hänsel (Partito Die Linke)
  401. Carlos Hainsfurth (Partito Die Linke)
  402. Rafael Hernández
  403. Eric Tellez
  404. Emiliano Sartorelli
  405. Gerardo Mendoza
  406. Francisco Maguey
  407. Belén Díaz
  408. Laura Serrano
  409. José Luis Salazar
  410. Brigitte Richte
  411. Isabel Arenas
  412. Julio Sosa
  413. Lourdes Santana
  414. Evelyn Clara Rosenbery
  415. Henio Hoyo Prohuber
  416. Sandra García
  417. Mario Vázquez
  418. Eva Bräth
  419. Manuel Tenorio Fenton
  420. Jimena Sasso
  421. Bealet Guzmán
  422. Laura Esquivel
  423. Sebastian Doniz
  424. Salvador Sierra Murillo
  425. José Antonio Álvarez Ruiz
  426. Natalia Orendain
  427. Luis Carlos Miranda Trujillo
  428. Simona Maria Frigerio (Giornalista freelance http://www.artalks.net/-http://artegrafica.persinsala.it/trimestrale Sur La Terre)
  429. Luciano Uggè (Independent Arts and Crafts Professional)
  430. Michela Sarti (insegnante)
  431. Lidia Beduschi (ex docente universitaria)
  432. Marta Usai
  433. Coordinamento Associazione Italia Nicaragua
  434. Alice Bossolo
  435. Giorgia Donini
  436. Sharon Tofanelli
  437. Marco Barbieri
  438. Umberto Mazzantini (giornalista di greenreport.it del Direttivo Nazionale di Legambiente
  439. Legambiente Arcipelago Toscano
  440. Miriam Brichetti
  441. Alfredo Ciano (insegnante)
  442. Valentina Balestracci
  443. Rita Lambertini (educatrice)
  444. Daniel Pugliese (commerciante)
  445. Francesca Ria (attrice)
  446. Alessandro Lupi (impiegato)
  447. Fausto La Rosa (terapeuta)
  448. Marilena Tomaselli
  449. Cristina Canni Ferrari
  450. Dario Uggé
  451. Renata Campani
  452. Alessandro Esposito (pastore valdese in Argentina; collaboratore e blogger della rivista MicroMega)

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 Ayotzinapa,un anno dopo

Pubblicato il 27 settembre 2015
La manifestazione del 26 settembre 2015, a un anno dalla strage di Iguala e dalla 
desapariciondei 43 studenti di Ayotzinapa, è stata un successo. Nonostante la pioggia oltre 100.000 persone hanno riempito le piazze e le strade del centro storico di Città del Messico e di decine di altre città per tutto il pomeriggio. Il corteo, lunghissimo e animato da bande musicali improvvisate, cori, performance teatrali e striscioni di centinaia di collettivi, facoltà, associazioni e gruppi organizzati, con in testa i genitori dei ragazzi di Ayotzinapa, ha raggiunto la piazza centrale della capitale verso le cinque del pomeriggio, dopo cinque ore di marcia. La polizia, seppur presente nelle strade intorno alle principale in cui sono passati i manifestanti, è rimasta in disparte e non ci sono stati né attacchi né incapsulamenti, come invece era accaduto praticamente in ogni manifestazione del 2014. Più che le mie parole, descriveranno meglio la giornata alcune fotografie (foto-galleria qui e alla fine dell’articolo) e alcuni video (inseriti nel testo e in fondo). Il sostegno per il movimento che chiede giustizia e chiarimento delle responsabilità, oltre che la “restituzione in vita” degli studenti e la realizzazione di indagini trasparenti e complete, ha mostrato la sua forza e vitalità dopo alcuni mesi di relativo declino nelle piazze (ma non nelle iniziative politiche e nelle pressioni in Messico e all’estero per smascherare le complicità e le menzogne del governo e della procura). Anche dall’estero arrivano messaggi di solidarietà e prese di posizione decise. I collettivi e le associazioni che formano “La Otra Europa, Abajo y a la Izquierda” (L’altra Europa, dal basso e a sinistra) sul blog EuroCaravana 43 hanno pubblicato un comunicato che rinnova il sostegno alla lotta dei genitori dei normalisti, dichiara che “non dimentichiamo” e che va fatta chiarezza sul crimine di stato del 26 settembre dell’anno scorso.

 

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bergamo ayotzinapaPER IL DOLORE, PER LA RABBIA, PER LA VERITA’, PER LA GIUSTIZIA

Settembre 2015

Compagne, compagnei e compagni della Sexta del Messico e del Mondo:

Sorelle e fratelli dei popoli della Terra:

Sa il nostro collettivo cuore, di prima e di ora, che il nostro dolore non è lamento sterile.

Sa che la nostra rabbia non è sfogo inutile.

Sappiamo che siamo ciò che siamo, che i nostri dolori e rabbie nascono e si alimentano a partire da menzogne e ingiustizie.

Perché chi sta di sopra ai danni di noi che siamo ciò che siamo, mente come modalità di far politica e adorna la morte, la sparizione forzata, il carcere, la persecuzione e l’assassinio con lo scandalo della sua corruzione.

E’ criminale per legge e senza vergogna chi sopra sta, al di là del colore della sua politica. Al di là che pretenda di nascondersi dietro a un cambio di nome e di bandiera.

Sempre lo stesso volto, la stessa superbia, la stessa ambizione e la stessa stupidità.

Come se facendo sparire e assassinando volessero anche far sparire e assassinare la memoria.

Da sopra e da coloro che lì annidano le loro perversioni e bassezze, riceveremo soltanto la menzogna come salario e l’ingiustizia come stipendio.

Puntuali giungono l’ingiustizia e la menzogna, tutti i giorni, a tutte le ore, in tutti i luoghi.

Non li sazia il sottrarci lavoro, vita, terra, natura.

Ci rubano anche chi è con noi: figli, figlie, sorelle, fratelli, padri, madri, familiari, compagni, amiche e amici.

Perseguita chi sopra sta. Incarcera. Sequestra. Fa scomparire. Uccide.

Non pone fine soltanto ai corpi, alle vite.

Distrugge anche storie.

Sulla smemoratezza costruisce chi sta sopra la sua impunità.

L’oblio è il giudice che non solo lo assolve, ma lo premia pure.

Perciò, e per altro, i nostri dolori e rabbie cercano la verità e la giustizia.

Presto o tardi impariamo che non si trovano da nessuna parte, che non c’è libro, né discorso, né sistema giuridico, né istituzione, né promessa, né tempo, né luogo per esse.

Che bisogna costruirle, impariamo.

Come se il mondo non fosse ancora completo, come se un vuoto gli ferisse il ventre, lacerato il cuore del colore che siamo, della Terra.

Così impariamo che senza verità e senza giustizia, non c’è giorno completo né notte. Non trova mai pace il calendario, non riposa la geografia.

In molte lingue, idiomi, segni, nominiamo chi manca.

E ogni dolore e ogni rabbia prende un nome, un volto, una storia, un vuoto che fa male e indigna.

Il mondo e la sua storia si riempiono così di assenze.

E queste assenze si fanno mormorio, parola forte, grido, ululato.

Non gridiamo per lamento. Non piangiamo di pena. Non mormoriamo per rassegnazione.

E’ perché chi manca trovi la strada del ritorno.

Perché sappiano che ci sono, anche se mancano.

Perché non dimentichino che non dimentichiamo.

Per questo: per il dolore, per la rabbia, per la verità, per la giustizia.

Per Ayotzinapa e tutti gli Ayotzinapa che feriscono i calendari e le geografie di sotto.

Per questo la resistenza.

Per questo la ribellione.

Perché arriverà il tempo in cui pagheranno tutto ciò che ci devono.

Pagherà chi ha perseguitato, pagherà chi ha incarcerato, pagherà chi ha picchiato e torturato. Pagherà chi ha imposto la disperazione della sparizione forzata. Pagherà chi ha ucciso.

Perché il sistema che ha creato, alimentato, coperto e protetto il crimine che si veste di malgoverno, sarà distrutto. Non imbellettato, non riformato, non modernizzato: demolito, distrutto, terminato, sepolto sarà.

Per questo in questo momento il nostro messaggio non è di consolazione né di rassegnazione per chi è addolorato per una o molte assenze.

Di rabbia è il nostro messaggio, di accoramento.

Perché conosciamo lo stesso dolore.

Perché abbiamo nelle viscere la stessa rabbia.

Perché, essendo differenti, così ci assomigliamo.

Per questo la nostra resistenza, per questo la nostra ribellione.

Per il dolore e la rabbia.

Per la verità e la giustizia.

Per questo:

Non claudicare. Non vendersi. Non arrendersi.

Per questo:

Verità e Giustizia!
Dalle montagne del sudest messicano

Subcomandante Insurgente Moisés Subcomandante Insurgente Galeano

In un angolo del pianeta chiamato “Terra”, settembre 2015

Questo 26 settembre, migliaia di zapatisti, bambini, bambine, giovani, donne, uomini, altrei, anziani e anziane, vivi e morti, manifesteranno nei nostri territori per abbracciare in questo modo tutte le persone che sentono dolore e rabbia a causa del carcere, della sparizione e della morte imposti da chi sta sopra.

Le abbracceremo anche perché così ci abbracceremo noi zapatisti.

E così chiamiamo tutte le persone oneste e integre del pianeta perché facciano lo stesso, nei loro calendari e geografie, secondo i loro tempi e modi.

Perché finché si vorrà supplire con le menzogne e i raggiri alla mancanza di verità e giustizia, l’umanità continuerà a essere solo una smorfia grottesca sulla faccia della Terra.

 

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Giovedì 24 Settembre 2015 – Conferenza stampa alla Camera dei Deputati

Libertà di informazione in Messico

http://webtv.camera.it/archivio?id=8372&position=0

 

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Aggressioni a BAEZLN.

ActealMinacce di morte ed aggressioni fisiche contro Basi di Appoggio dell’EZLN della comunità Tzakukum

Il Centro die Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. (Frayba) ha documentato i fatti sulle minacce di morte, aggressioni fisiche e vessazioni contro Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) nella comunità Tzakukum, municipio ufficiale di Chalchihuitán; informazioni fornite dalla Giunta di Buon Governo di Oventik, Corazón Céntrico de los Zapatistas delante del Mundo, (JBG Oventik), appartenente al Caracol II, Resistencia y Rebeldía por la Humanidad.

Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

9 settembre 2015

Comunicato stampa N. 22

Minacce di morte ed aggressioni fisiche contro Basi di Appoggio dell’EZLN della comunità Tzakukum

I testimoni riferiscono che il giorno 10 agosto 2015, la BAEZLN, Aurelio Gómez Girón era stato minacciato di morte da una donna di nome Catarina Girón Díaz Segundo, del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI). Lo stesso giorno il signor Ramón López García del partito PRI tagliava la conduttura dell’acqua di Mariano García Núñez, BAEZLN, anch’egli minacciato di morte con un machete.

Il 14 agosto, alle ore 20:30 circa, Librado Pérez Núñez, BAEZLN, veniva insultato ed aggredito per strada da Hermelindo García Núñez, dirigente del partito PRI, che gli disse: – sporco zapatista, siete degli assassini…..

Il 15 agosto, il priísta Juan Antonio Pérez Girón, minacciava di morte con un machete le BAEZLN María Gómez López e Catarina Girón Díaz, mentre si stavano recando ad una riunione.

Il 26 luglio, un gruppo di affiliati ai partiti aveva fermato quattro persone BAEZLN nella comunità Tzakukum minacciandole di bruciarli con la benzina: Martín García Núñez, Sebastián Gómez Pérez, Jorge López Núnez, Mario Núñez García. Altre otto persone erano state ferite: María Girón López, Mariana Girón López, María López García, Martín Díaz Pérez, María Gómez Pérez, Aurelio Gómez Girón, Rafael García Gómez, María López Núñez.

Martedì 18 agosto, l’affifliato al partito Raymundo García Pérez, ha picchiato violentemente Manuel Núñez López procurandogli ferite molto gravi al viso e in tutto il corpo ed ha aggredito altre quattro persone BAEZLN: Librado Pérez Núñez, Margarita Gómez Sánchez, Mariano García Núñez e Lorenzo Gómez Pérez. L’aggressore ha minacciato di ucciderli dicendo “ho un R15 ed un gruppo di paramilitari”. La JBG di Oventik informa che le condizionidi salute di Manuel sono gravi. Questo Centro dei Diritti Umani è in possesso di foto che documentano le ferite provocate.

Il 2 settembre, Agustín López Núñez, BAEZLN,è stato picchiato da Mario García Núñez che dal 1° ottobre sarà il direttore delle opere pubbliche del partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e da Marcos Núñez Sánchez, attuale agende del comitato di educazione, i quali dopo averlo pestato l’hanno caricato nel rimorchio di un veicolo tsuru di proprietà di Marío García Nuñez, abbandonandolo gravemente ferito a circa un chilometro da Tzakukum dopo averlo nuovamente pestato.

Secoondo le testimonianze delle vittime, i responsabili di queste aggressioni sono Flavio Girón Hernández, agente rurale della comunità Tzakukum; Manuel García Núñez, Sindaco di Chalchihuitan, e Hermelindo Garcia Núñez dirigente del PRI delle stessa città.

Ci preoccupa che le autorità dello stato del Chiapas incorrano in violazioni dei diritti umani per negligenza di fronte alla serie di aggressioni contro le BAEZLN. Le vittime segnalano un gruppo di circa 25 persone che le minacciano, tra le quali Domingo García Girón, Maurelio García Núñez, Marcos García Núñez, Efraín García Núñez, Florentino García Núñez, Mario Gómez García, Angelina Gómez Girón, Mariano Pérez Núñez, Rafael Núñez López, Moíses Núñez Sánchez, Nicolás Hernández García, Juan Antonio Pérez Girón, Julio Núñez Girón, Jesús Núñez Girón, Marcos Núñez Girón, Santiago García Nuñez, Mariano Girón Pérez, Manuel García López, Ricardo Núñez López, Martín Núñez Pérez; comprese personeche occupano cariche ed altre che occuperanno cariche pubbliche nella Giunta di Chalchihuitán a partire dal 1º ottobre prossimo: Mario García Núñez- opere pubbliche; Gerardo Domínguez López- Presidente Comitato di Educazione Prescolare e Primaria; Mario García López- Assessore; Nicolás Pérez Núñez- Assessore; Omar Gómez Pérez- funzionario Diconsa, Marcos Pérez López- polizia municipale, Mariana Pérez López- portavoce Procampo.

Queste violazioni dei diritti umani a Tzakukum si inquadrano nel contesto di Contrainsurgencia implementat dallo Stato messicano contro l’autonomia zapatista, recentemente sono state registrate diverse aggressioni contro BAEZLN, come l’omicidio del Maestro Zapatista Galeano il 2 maggio 20141 e la recente liberazione delle due sole persone arrestate per questo omicidio2, così come le aggressioni a El Rosario e le incursioni militari a La Realidad3 contro le BAEZLN.

Come Centro dei Diritti Umani chiediamo al governo del Chiapas di indagare e fermare le azioni di questo gruppo aggressore in maniera URGENTE e di agire di conseguenza rispetto alle violazioni dei diritti umani in quanto a minacce di morte, aggressioni fisiche e vessazioni contro le BAEZLN; Che si rispetti l’autonomia zapatista, secondo il Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e gli Accordi di San Andrés.

Precedenti:

Il 23 luglio 2015 i priisti hanno costruito aule nell’appezzamento della scuola materna e nel campo di uso comune senza consultare le BAEZLN che chiedevano di rispettare gli accordi relativi agli spazi che sono anche della Scuola Autonoma sul terreno di un’integrante BAEZLN. Al riguardo, il 24 luglio 2015 questo Centro dei Diritti Umani ha inviato un esposto a: Vice-segreteria di Governo della Regione V. Altos Tsotsil-Tseltal, C. Juan Díaz Pérez, Presidente Municipale di Chalchihuitán, C. Alfonso Girón Velasco, Delegación Chalchihuitán edAltri affinché ci si occupasse dei fatti denunciati. Per questo i priisti sono arrabbiati ed aggrediscono perché sono stati costretti a liberare il terreno.

1Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas. Boletín 16, 5 de mayo 2014. Agresión a Bases del EZLN en la sede de la Junta de Buen Gobierno de La Realidad. Disponible en: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/140505_boletin_16_agresiones_jbg.pdf

2Ejército Zapatista de Liberación Nacional. Comunicado. 16 de agosto 2015. De arriba, nunca jamás llegarán la verdad y la justicia. Disponible en: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2015/08/18/16380/

3Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas. Boletín 7, 10 de marzo 2015. Ejército mexicano hostiga a la Junta de Buen Gobierno de La Realidad. Disponible en: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/150311_boletin_07_incursiones_militares.pdf

Testo originale

Comunicación Social

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas AC

Brasil 14, Barrio de Mexicanos, 29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México

tel: (+52)(967)678 7395

comunicacion@frayba.org.mx

www.frayba.org.mx

chiapasdenuncia.blogspot.mx

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Esperti indipendenti: «tutte menzogne sui 43»

Una commissione di esperti indipendenti smentisce Peña Nieto: i 43 studenti messicani non sono stati bruciati in una discarica di Cucuta. Secondo la versione ufficiale, la polizia di Iguala ha consegnato gli alunni della scuola Normal Rural di Ayotzinapa (nel Guerrero) ai narcotrafficanti dei Guerreros Unidos, che li avrebbero uccisi e bruciati. La ricostruzione ha preso piede qualche giorno dopo la scomparsa degli studenti, vittime dell’attacco congiunto di polizia e narcotrafficanti, il 26 settembre 2014. Secondo il governo, i fatti sarebbero emersi dalla confessione di alcuni narcotrafficanti, confermata dai poliziotti arrestati.

Una versione subito contestata dagli antropologi forensi argentini, nominati dai famigliari degli scomparsi e dai movimenti, che da allora denunciano nelle piazze di tutto il mondo il “crimine di stato”. Ora, un gruppo di esperti indipendenti designato dalla Commissione interamericana dei diritti umani (Cidu) riprende gli argomenti avanzati dagli specialisti argentini e sostenuti da alcune coraggiose inchieste giornalistiche, e contesta la verità ufficiale. Tre gli elementi principali messi in causa: il presunto incenerimento dei corpi, i motivi dei crimine e il ruolo della polizia militare e federale.

Nel corso di 550 pagine, il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) afferma che non esiste alcuna evidenza che un numero così elevato di cadaveri abbia potuto essere ridotto in cenere in una discarica senza essere notato nella zona. Per farlo, ci sarebbero volute 30 tonnellate di legna e il fuoco sarebbe divampato per 60 ore e non per circa 12 come hanno sostenuto i presunti pentiti. Le fiamme si sarebbero alzate per almeno sette metri e il fumo sarebbe stato notato nel raggio di 300 metri. E nei pressi della discarica non c’era combustibile sufficiente per bruciare neanche un corpo.

Uno dei sospetti emersi dalle indagini alternative è che i ragazzi siano stati portati in qualche caserma militare, dove si ritiene esistano prigioni sotterranee per le torture e forni crematori. Per questo, nel corso dei mesi i movimenti hanno manifestato davanti alle caserme, scontrandosi con la polizia e chiedendo inutilmente di poterle ispezionare.

Il Giei ricostruisce diversamente anche il motivo dell’aggressione. In quei giorni, gli studenti si erano recati a Iguala per raccogliere fondi e preparare la commemorazione di un massacro avvenuto nel ’68. Secondo una loro modalità di lotta, avevano preso “in prestito” alcuni autobus per recarsi sul posto. Avrebbero così dirottato senza saperlo anche un autobus usato dai narcotrafficanti per il mercato dell’eroina che va verso gli Stati uniti. Un mezzo di proprietà dell’impresa Costa Line.

Esercito e polizia federale — dicono poi gli esperti sulla base di testimonianze dirette — hanno costantemente seguito e controllato gli studenti fin da quando hanno lasciato la scuola. Un gruppo di soldati ha anche interrogato i ragazzi che stavano trasportando in ospedale uno dei loro compagni, ferito durante l’attacco armato. Il Giei ha cercato di interpellare il 27mo battaglione di fanteria, il gruppo militare competente per Iguala e dintorni, ma il governo non lo ha permesso. Sulla base di questi elementi, il rapporto degli esperti indipendenti conclude inviando al governo federale «20 raccomandazioni» e l’invito a riprendere le indagini.

I famigliari degli scomparsi hanno chiesto una riunione urgente con Peña Nieto, e alla presenza della commissione di esperti indipendenti: il Giei — hanno auspicato — dovrebbe rimanere nel paese fino al ritrovamento dei 43. Per il 23 settembre, famigliari e movimenti hanno annunciato uno sciopero della fame e per il 26 hanno indetto una marcia nella capitale. Con un Twitter, Nieto ha ringraziato gli esperti Giei e ha sostenuto di aver esortato gli inquirenti a tener conto delle loro conclusioni.

Intanto, un gruppo di organizzazioni, riunite nel Congresso nazionale cittadino, dal 29 agosto sta raccogliendo le firme per denunciare Nieto e i membri del suo gabinetto per appropriazione illecita di fondi pubblici. I deputati federali di Morena, il partito di Lopez Obrador, presenteranno un progetto di legge perché possa essere processato: come Otto Pérez Molina in Guatemala.

di Geraldina Colotti – Il Manifesto – 07/09/2015 http://ilmanifesto.info/espertiindipendentituttemenzognesui43/

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Informativa completa della GIEI: https://drive.google.com/file/d/0B1ChdondilaHd29zWTMzeVMzNzA/view?pli=1

Conferenza stampa dei genitori dei genitori dei 43:https://www.youtube.com/watch?v=aeGimeraoUc

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Corriere della Sera – 07/09/2015

Messico, il rapporto choc sui 43 studenti scomparsi: «Non vennero bruciati. Ignota la loro sorte». La conclusione dell’indagine condotta dalla Commissione inter-americana per i diritti umani: è «falsa» la versione data dai «rei confessi». Le complicità con l’esercito

di Guido Olimpo

Il governo messicano è stato smentito. I 43 studenti scomparsi a Iguala, stato di Guerrero, quasi un anno fa, non sono mai stati bruciati. E ad oggi non si hanno informazioni sicure su dove siano finiti i loro resti. Questa la conclusione dell’indagine condotta dalla Commissione inter-americana per i diritti umani, un organismo chiamato a far luce su una vicenda angosciante e dove le sorprese non sono ancora finite.

I giovani sono spariti il 26 settembre del 2014 nei pressi di Iguala. Erano a bordo di alcuni veicoli bloccati da uomini armati: agenti e criminali della gang Guerreros Unidos. Secondo la versione ufficiale i ragazzi sono stati catturati dai banditi – probabilmente su ordine del sindaco di Iguala – e poi trasferiti vicino ad un torrente dove li hanno assassinati. Successivamente tre narcos – che hanno confessato il crimine – li hanno distrutti con il fuoco. Ma le successive ricerche non hanno permesso di trovare riscontri e le verifiche del DNA hanno dato esito negativo. Solo un corpo è stato riconosciuto come quello di uno dei ragazzi scomparsi.

Falsa la versione del governo

La Commissione ora ha stabilito che la storia raccontata dai «rei confessi» è probabilmente falsa, così come versione fatta circolare all’epoca. Il governo ha sempre parlato di 3 attacchi mentre in realtà sono stati 9 e sempre più violenti. Non solo. Il vero movente dell’assalto ai bus – ipotizzano gli inquirenti internazionali – sarebbe stato un tentativo di recuperare un carico di droga che era su uno dei mezzi. Stupefacenti diretti al mercato statunitense. Nel rapporto ufficiale si è sempre parlato di 4 veicoli mentre quella notte ve ne erano 5. In precedenza le autorità avevano sostenuto che la gang era entrata in azione perché temeva che gli studenti potessero disturbare un comizio organizzato dal sindaco di Iguala insieme alla moglie, donna imparentata con un noto clan locale. Una contestazione fomentata da un clan rivale. Scenario che non appare credibile.

Proteste popolari in Messico

La sparizione dei 43 ha provocato proteste popolari in Messico e all’estero, le autorità sono state più accusate di mentire e di nascondere la verità. Uno scandalo che ha coinvolto anche l’esercito: secondo alcune ricostruzioni – confermate dalla Commissione – unità erano presenti quando i banditi hanno teso l’agguato ai giovani. La vicenda, infine, ha fatto emergere altri massacri. I militari hanno recuperato, sempre nell’area di Iguala, i resti di 120 persone, vittime di regolamenti di conti o omicidi eseguiti da formazioni criminali spesso in combutta con la polizia.

Fonte: http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_06/messico-rapporto-choc-43-studenti-scomparsi-non-vennero-bruciati-resta-ignota-loro-sorte-ccfa0f0c-54c8-11e5-b241-eccff60fea73.shtml

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Una settimana all-inclusive a Puerto Aventuras

Rubén Espinosa*

Foto: Messico, manifestazione contro le privatizzazioni © La Presse

 * In Mes­sico molti foto­re­por­ter e gior­na­li­sti stanno lavo­rando con lo pseu­do­nimo Rubén Espi­nosa, per sot­to­li­neare come la sua ucci­sione non possa silen­ziare il suo lavoro e le sue idee.

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Violenza estrema in Messico

Sergio González Rodríguez* – Città del Messico

Osservo le imma­gini. In un luogo inde­fi­nito, vasto e ben illu­mi­nato, qual­cuno è appeso al sof­fitto per i piedi. La sua cor­pu­lenza lascia imma­gi­nare che si tratti di un uomo; è com­ple­ta­mente rico­perto da una pla­stica o da una tela gri­gia; i suoi piedi, le sue ginoc­chia, la sua vita e il suo collo sono legati con del nastro ade­sivo argen­tato. Una mezza doz­zina di sicari in uni­forme di tipo mili­tare, coperti da pas­sa­mon­ta­gna neri, armi alla mano, lo cir­con­dano. Stanno aspet­tando di tor­tu­rarlo. Uno di loro, pro­ba­bil­mente il capo, dirige l’azione. La qua­lità sonora della regi­stra­zione è pes­sima. La vit­tima intui­sce il peg­gio e si agita dispe­ra­ta­mente. Grida o geme.

I miei occhi si sosti­tui­scono alla tele­ca­mera che immor­tala la scena – ciò che regi­stra la mac­china che mi filma come osser­va­tore. Trompe-l’œil davanti all’anormalità. Il capo dei sicari al posto del pas­sa­mon­ta­gna indossa la maschera dell’orrore bianca e nera di Puni­sher (il “Puni­tore”, creato dalla Mar­vel Comics), per­so­nag­gio che minac­cia, gesti­sce atti­vità di rac­ket, seque­stra, tor­tura e uccide. Nel fumetto, sotto la maschera di Puni­sher – un teschio con orbite feline e una larga mascella – si nasconde un esperto di arti mar­ziali, di armi, di anti­ter­ro­ri­smo e di tat­ti­che mili­tari che vuole ven­di­carsi degli assas­sini della sua fami­glia. L’adattamento a cui assi­sto non com­porta alcun tipo di effetti speciali.

A fianco del capo, un sica­rio svolge fun­zioni da assi­stente e bran­di­sce un machete. Entrambi si avvi­ci­nano alla vit­tima all’altezza dei geni­tali. L’emasculazione ha ini­zio. La vit­tima è in preda alle con­vul­sioni. Le sue urla sem­brano lon­tane. I sicari but­tano in terra l’organo appena moz­zato, il san­gue cola, forma una pozza, men­tre gli altri discu­tono, con­cen­trati sull’atto di tor­tura. La tele­ca­mera cerca di cap­tare le mie rea­zioni. Ma io sco­pro il suo gioco e resto immo­bile senza bat­ter ciglio, con­cen­trato sulle imma­gini. Ci sono den­tro.
Si impone nella memo­ria il ricordo della notte in cui sono stato seque­strato e tor­tu­rato a Città del Mes­sico. Un gruppo di cri­mi­nali, a suon di minacce e colpi, voleva met­ter fine alle mie inchie­ste gior­na­li­sti­che sugli assas­si­nii delle donne al con­fine tra il Mes­sico e gli Stati uniti. Come ho rife­rito nel mio libro Ossa nel deserto (2), sono stato attac­cato la sera del 15 giu­gno 1999, men­tre ero su un taxi che mi ripor­tava a casa.
Durante il tra­gitto, il taxi si è improv­vi­sa­mente fer­mato sul lato della strada. Due indi­vi­dui armati si sono avvi­ci­nati. Mi hanno ordi­nato di chiu­dere gli occhi e di spo­starmi nel posto cen­trale del sedile. Il taxi è ripar­tito; l’autista era com­plice. Potevo par­lare solo se mi pone­vano domande. Sulla base dei docu­menti che avevo addosso hanno veri­fi­cato chi fossi e che fossi effet­ti­va­mente un giornalista.

Ho subito insulti e rice­vuto colpi sul petto, sul volto e sulla testa, inferti con il cal­cio dei revol­ver. Mi hanno detto subito che mi avreb­bero fatto fuori in un ter­reno abban­do­nato a sud della capi­tale. Il taxi si è nuo­va­mente fer­mato per lasciar scen­dere uno dei due indi­vi­dui e per farne salire un altro – che veniva chia­mato «capo». Per circa un’ora quest’ultimo mi ha asse­stato pugni e gomi­tate e minac­ciato di stu­pro e di morte; poi, con un taglia ghiac­cio, mi ha inciso le cosce.

Il pas­sag­gio, non lon­tano, di una pat­tu­glia con i lam­peg­gianti accesi, che ho potuto intra­ve­dere dalle pal­pe­bre abbas­sate, ha dis­suaso i miei aggres­sori dal con­ti­nuare la loro infame opera. Mi hanno ordi­nato di asciu­garmi il san­gue che mi colava sul viso e mi hanno abban­do­nato in una via deserta all’interno della stessa zona in cui mi ave­vano pre­le­vato, poi mi hanno impo­sto di non dire nulla e di non denun­ciarli. Appena sono stato in grado, sono andato a spor­gere denun­cia. Ma le auto­rità l’hanno lasciata cadere.

Al momento del seque­stro, nella mia vita si è aperta una brec­cia, ine­so­ra­bile, che resterà lì anche dopo di me. Essere ber­sa­glio di un atto cri­mi­nale, di un abuso, di un’atrocità segna irre­ver­si­bil­mente e per sem­pre l’esistenza. Quando un fatto vio­lento spezza il quo­ti­diano di una per­sona, si pro­duce un’«anamorfosi», per­ché la vita subi­sce un’alterazione e si impone un cam­bia­mento per­verso della realtà: la caduta nell’abiezione.

Dopo quest’aggressione, ho ini­ziato a sof­frire di disturbi di memo­ria e di lin­guag­gio, a causa dei colpi rice­vuti. È stato dia­gno­sti­cato un ema­toma col­lo­cato tra il cer­vello e il cra­nio. Ho subito un inter­vento chi­rur­gico d’urgenza. Dopo un po’ di tempo, ho ripreso le mie inchie­ste e, pochi mesi dopo, sono stato vit­tima di un secondo rapi­mento con minacce della stessa natura: il «coman­dante» mi con­si­gliava di fare atten­zione; io «capivo benis­simo» a cosa si allu­deva. «Non la pic­chie­remo», mi hanno detto, «noi non ci dro­ghiamo». Non hanno fatto altro che tor­tu­rarmi psi­co­lo­gi­ca­mente, ripe­ten­domi costan­te­mente: «Il coman­dante ha ordi­nato di dirle di fare atten­zione, ha capito bene?». È durato più di un’ora. Poi mi hanno libe­rato in mezzo a una strada vie­tan­domi di voltarmi.

Ho comun­que por­tato avanti le mie ricer­che desti­nate a denun­ciare le com­pli­cità tra fun­zio­nari, poli­ziotti, cri­mi­nali e quanti deten­gono il potere nella regione vicina alla fron­tiera. Le auto­rità mes­si­cane hanno rifiu­tato di inda­gare sulle infor­ma­zioni che avevo comunicato.

Alla pub­bli­ca­zione del mio libro Ossa nel deserto, hanno nuo­va­mente minac­ciato di farmi spa­rire e di ammaz­zarmi. Nono­stante tutto, penso che, fino ad oggi, ho avuto for­tuna. Dal 2000, almeno 84 gior­na­li­sti sono stati assas­si­nati in Mes­sico. L’annuncio della loro morte è stato accolto dall’indifferenza più assor­dante. I cri­mini restano impu­niti. Quest’offesa fatta alle vit­time impone che ci si inter­ro­ghi sui fon­da­menti stessi dello Stato e che si ricordi che, senza i gior­na­li­sti, non c’è gior­na­li­smo pos­si­bile. La loro vita è quanto vi sia di più prezioso.

La guerra con­tro il traf­fico di droga in Mes­sico ha cau­sato tra le 70.000 e le 120.000 vit­time, tra morti e scom­parsi (la stessa incer­tezza sulla cifra è parte inte­grante del pro­blema). Ognuna di que­ste vit­time dà alla nozione di «ana­mor­fosi» un pro­prio signi­fi­cato particolare.

La tor­tura che con atten­zione con­ti­nuo a guar­dare non ha niente a che vedere con la let­te­ra­tura: sono testi­mone di un rituale bar­baro che ha per scopo la dif­fu­sione di uno stato di panico e l’esibizione di una supre­ma­zia ven­di­ca­trice. Vicino a me, il came­ra­man mani­pola il suo obiet­tivo e, me ne rendo conto dai suoi gesti, fa un primo piano dei miei occhi.

Rimango impas­si­bile. Nella scena pro­iet­tata i sicari deca­pi­tano la vit­tima con una moto­sega; il suo corpo non è altro che una massa di carne con­vulsa. Gli assas­sini por­tano a ter­mine il pro­prio com­pito in pochi secondi e mostrano alla tele­ca­mera la testa moz­zata della vit­tima. Il collo sgoc­ciola san­gue. Le imma­gini si dis­sol­vono sullo sfondo nero. E piomba il silen­zio; la prova è finita. In que­sto momento ricordo di esser stato io stesso una vittima.

Nel mio libro El hom­bre sin cabeza (3) ho ripor­tato un’intervista con un sica­rio spe­cia­liz­zato in deca­pi­ta­zioni. Ho potuto entrare in con­tatto con lui gra­zie a un inter­me­dia­rio che entrambi cono­sce­vamo. Il risul­tato è una testi­mo­nianza sor­pren­dente sulle pra­ti­che rituali della vio­lenza sotto la pro­te­zione della Santa Muerte, un culto popo­lare dif­fuso tra traf­fi­canti di droga, mili­tari, cri­mi­nali, emar­gi­nati e poveri nelle zone peri­fe­ri­che del paese.

Nel caso spe­ci­fico di que­sto sica­rio, come ha egli stesso rac­con­tato, dopo la deca­pi­ta­zione, viene rac­colto un cam­pione di san­gue in una boc­cetta come offerta per la ceri­mo­nia detta «alla Santa Muerte», in pre­senza del capo del gruppo criminale.

Nell’ottobre 2014, in un chio­sco di gior­nali, mi cade l’occhio su una rivi­sta che in prima pagina riporta: «Aste­nersi animi sen­si­bili». Me ne pro­curo una copia e, arri­vato in uffi­cio, con la rivi­sta aperta davanti a me, con­tem­plo le imma­gini di vio­lenza estrema di cui sono piene le pagine.

Ciu­dad Juá­rez, Stato di Chi­hua­hua: tre uomini e una donna giac­ciono morti sul bordo di una strada, cir­con­dati dai medici legali. Cuer­na­vaca, Stato di More­los: un uomo è steso al suolo, il capo e le mani bloc­cati da un nastro ade­sivo, con le mani giunte come in un gesto di pre­ghiera. Urua­pan, Stato di Michoa­cán: sul fianco di una mon­ta­gna, a ridosso di una strada, una decina di corpi insan­gui­nati for­mano una sorta di tumulo. Culia­cán, Stato di Sina­loa: su una scala vicina a un mar­cia­piede, ven­gono ritro­vati morti due uomini; la loro posi­zione indica che hanno pro­vato a fug­gire e la loro carne è dila­niata da pro­iet­tili di grosso cali­bro. Boca del Río, Stato di Vera­cruz: una ven­tina di uomini e donne giu­sti­ziati; sono stati ritro­vati su una strada, nudi o par­zial­mente sve­stiti, con mani e piedi legati dal nastro ade­sivo. Tor­reón, Stato di Coa­huila: quat­tro teste moz­zate sono alli­neate sul cofano di una mac­china. Mérida, Stato di Yuca­tán: un ammasso di cada­veri deca­pi­tati si con­fonde con altri corpi avvolti in coperte e i tatuaggi delle vit­time sono indi­stin­gui­bili dai motivi dei tes­suti. Oaxaca, Stato di Oaxaca: la testa di un uomo è stata posata in mezzo a un ponte pedo­nale su cui è stato scritto un mes­sag­gio di minac­cia rivolto al gruppo rivale. Carne dila­niata, san­gue che cola, muti­la­zioni, abiezioni.

La vio­lenza estrema dei rego­la­menti di conti tra cri­mi­nali e traf­fi­canti di droga è stret­ta­mente legata alla sub­cul­tura della vio­lenza dello Stato stesso, che include cor­ru­zione, inef­fi­cienza, negli­genze e irresponsabilità.

Men­tre riflet­tevo a tutto que­sto, i media hanno ripor­tato quasi simul­ta­nea­mente tre fatti che con­fer­mano il radi­ca­mento dell’«anamorfosi» nel mio paese:

1) L’esecuzione di almeno 15 per­sone in un cosid­detto scon­tro tra 22 pre­sunti delin­quenti e l’esercito mes­si­cano a Tla­tlaya, Stato del Mes­sico, il 30 giu­gno e il 1° luglio 2014. L’inchiesta sem­bra attri­buire la respon­sa­bi­lità a un uffi­ciale e tre sol­dati (sui sette coin­volti).
2) Il seque­stro, la tor­tura e l’assassinio di sei stu­denti a Iguala-Ayotzinapa (4), Stato di Guer­rero, e la scom­parsa di 43 stu­denti il 26 e il 27 set­tem­bre 2014, in cui sono impli­cati poli­ziotti e cri­mi­nali, con la com­pli­cità di rap­pre­sen­tanti delle isti­tu­zioni locali.
3) Nel corso dell’estate 2014, sono stati sco­perti 46 corpi, tra cui quelli di 16 donne, nel corso del dre­nag­gio di un canale a Eca­te­pec, Stato del Mes­sico, molto vicino alla capi­tale del paese. Quando è emersa la noti­zia, le auto­rità hanno cer­cato di mini­miz­zare i fatti o di farli pas­sare sotto silenzio.

Ognuno di que­sti avve­ni­menti pre­senta delle pecu­lia­rità che meri­tano di essere bre­ve­mente esa­mi­nate. In Mes­sico, le forze armate hanno l’abitudine di pra­ti­care la tor­tura e di vio­lare i diritti umani, come hanno denun­ciato diverse orga­niz­za­zioni inter­na­zio­nali o civi­che. Un bat­ta­glione di sol­dati può aprire il fuoco su un gruppo di pre­sunti delin­quenti, facendo cre­dere che la loro morte sia la con­se­guenza di uno scon­tro; può fal­si­fi­care la scena del delitto, met­tere delle armi nelle mani delle vit­time, spo­stare i corpi e minac­ciare di morte i soprav­vis­suti o i testimoni.

Il san­gue che ha inzac­che­rato i muri e i colpi d’arma da fuoco a bru­cia­pelo denun­ce­ranno le ese­cu­zioni, come la voce del testi­mone soprav­vis­suto resti­tuirà la verità. L’accusa, for­mu­lata a mezza voce o fer­ma­mente, diventa un grido stra­ziato, quanto il ran­tolo delle vit­time o la pena della fami­glia che apprende la morte abietta di un suo caro.

La morte vio­lenta mette soprat­tutto in luce lo spet­ta­colo della bar­ba­rie che in molti vogliono fug­gire o cer­cano di non guar­dare né ascol­tare. Si opterà per la cen­sura, il silen­zio, un velo ele­gante o tri­viale steso sulla cru­deltà, come un pre­cetto etico ed este­tico, che equi­vale a col­la­bo­rare con que­sta bar­ba­rie assi­cu­ran­dole la perpetuazione.

Le mac­chie di san­gue restano, con i loro con­torni inde­fi­niti, incro­state nei muri o nelle pie­tre, incu­ranti del tempo che passa. Pur cer­cando di pulirle, resterà un alone sot­tile e incan­cel­la­bile. La pol­vere si dis­solve, il lampo si perde nell’eco del tuono, ma il san­gue impre­gna tutta la natura e la memo­ria umana.
Durante il seque­stro, il pestag­gio, la tor­tura, la scom­parsa e l’omicidio degli stu­denti di un isti­tuto magi­strale dello Stato di Guer­rero, il caso di Julio César Fuen­tes Mon­dra­gón ha atti­rato la mia atten­zione. Que­sto ragazzo, ter­ro­riz­zato dai poli­ziotti che spa­ra­vano con armi da guerra su lui e i suoi com­pa­gni, si era messo a cor­rere dispe­ra­ta­mente, per cadere alla fine nelle mani di altri poliziotti.

Il suo corpo è stato sco­perto alcune ore più tardi in una zona indu­striale di Iguala. Gli ave­vano strap­pato un occhio e la pelle del viso ed era morto per una frat­tura cra­nica. L’«anamorfosi» è il rebus sel­vag­gio che crea e iden­ti­fica la vit­tima e il vit­ti­ma­rio: ti strappo gli occhi per­ché tu non mi veda, per­ché tu non veda cosa ho fatto di te, per­ché tu stesso non possa vederti nel tuo ultimo istante, né capire cosa sto per farti. Il mio ano­ni­mato è il tuo, ti separo dal tuo viso e ti tra­sformo in me stesso.

Dopo molti anni, mi sem­bra evi­dente che la vita pub­blica mes­si­cana si svolge in un’architettura abietta creata dai suoi poteri eco­no­mico e poli­tico. L’attuale crisi ha le sue radici nella moder­niz­za­zione dell’economia e dello Stato risa­lente agli anni ’80 (5).

All’inizio del 1982, sono stati sco­perti 12 corpi nel bacino prin­ci­pale dell’impianto di depu­ra­zione del fiume Tula, nello Stato di Hidalgo, vicino alla capi­tale del paese. Le vit­time appar­te­ne­vano tutte a una rete di ori­gine colom­biana che traf­fi­cava in cocaina a Città del Mes­sico e rapi­nava banche.

Sotto la dire­zione del capo della poli­zia della città, degli agenti, con la stessa for­ma­zione della poli­zia fede­rale, hanno arre­stato 20 delin­quenti. Ne hanno libe­rati otto in cam­bio di soldi. Quanto agli altri 12, li hanno pestati e tor­tu­rati per diversi giorni, prima di giu­sti­ziarli e get­tare i loro corpi nelle acque di scolo.
Trent’anni dopo, que­sto stesso modus ope­randi si ripete giorno dopo giorno in Mes­sico. Decine di migliaia di per­sone, mes­si­cani e cit­ta­dini di altri paesi dell’America cen­trale, sono scom­parse senza che le auto­rità abbiano mai aperto un’inchiesta uffi­ciale. L’architettura abietta attira le sue vit­time, le sot­to­mette in anti­cipo, le getta nelle sue anfrat­tuo­sità, le can­cella com­ple­ta­mente e, il più delle volte, fa spa­rire ogni trac­cia del loro pas­sag­gio. La col­lu­sione tra l’apparato isti­tu­zio­nale e il cri­mine orga­niz­zato distrugge tutto, anche la memoria.

La sco­perta dei 46 corpi in un canale di dre­nag­gio nell’estate 2014, sta­bi­li­sce una cer­tezza: nono­stante i cam­bia­menti ope­rati recen­te­mente nella poli­zia e nel set­tore giu­di­zia­rio, le atro­cità con­ti­nuano. L’impunità pro­ietta la sua luce gri­gia o nera e il man­cato rispetto dei diritti umani è per­ma­nente (6).

La situa­zione in Mes­sico non è un film che con­trap­pone buoni e cat­tivi, poli­ziotti e ladri. Tutto lo Stato è impli­cato, e la gra­vità dei fatti ha una por­tata gene­ra­zio­nale che le classi diri­genti e anche molti intel­let­tuali pre­fe­ri­scono ignorare.

Parole che sem­bra­vano can­cel­late dal nostro quo­ti­diano tor­nano a essere pro­nun­ciate: san­gue, pro­iet­tili, guerra, poli­zia, eser­cito, assas­si­nati, scom­parsi, morte, peri­colo, male, ter­rore, bar­ba­rie. Come tutti sanno, ogni strappo pro­fondo implica un epi­so­dio trau­ma­tico oltre a un periodo di lutto che ha due aspetti: la cer­tezza che la spe­ranza – di un vero paese cosmo­po­lita e moderno, di una grande armo­nia este­tica, senza dispa­rità – sia persa, per­ché eter­na­mente delusa; e il pro­cesso di accet­ta­zione di una realtà con­trad­dit­to­ria, inde­si­de­ra­bile, imbarazzante.

Il poeta mes­si­cano Javier Sici­lia ha rinun­ciato alla sua atti­vità poe­tica nel dire addio a suo figlio Juan Fran­ci­sco, assas­si­nato nel 2011 dal cri­mine orga­niz­zato: «Non c’è più niente da dire / Il mondo non è più degno di parola / Ce l’hanno sof­fo­cato dall’interno / Come ti hanno asfis­siato / Come hanno stra­ziato i tuo pol­moni / Il dolore non mi lascia più / Il mondo soprav­vive solo gra­zie a una man­ciata di giu­sti / Gra­zie al tuo silen­zio e al mio / Juanelo».

Que­sti versi fanno rife­ri­mento all’episodio dei Giu­sti nella Genesi (XVIII, 28–32), che sfug­gono alla cata­strofe finale, ma anche all’idea di Theo­dor Adorno sull’impossibilità di fare della poe­sia dopo Ausch­witz. Una rispo­sta stret­ta­mente per­so­nale per­ché, se inter­pre­tata in senso let­te­rale, cor­ri­spon­de­rebbe a negare il valore tra­scen­dente essen­ziale della parola che soprav­vive a qual­siasi atto di bar­ba­rie.
Nel 2014 è stato sco­perto un cen­ti­naio di ossa nelle fosse clan­de­stine dello Stato di Guer­rero; e, nel 2015, sono stati indi­vi­duati 60 cada­veri in stato di decom­po­si­zione in un cre­ma­to­rio abban­do­nato nella città di Acapulco.

Que­sti due nuovi avve­ni­menti ci obbli­gano a ripen­sare e a denun­ciare ener­gi­ca­mente la tra­sgres­sione di tutti i limiti da parte dello Stato e del governo mes­si­cani: la loro per­mis­si­vità e le loro negli­genze di fronte al cri­mine orga­niz­zato, la loro tol­le­ranza verso lo ster­mi­nio. Dal 2012, in Mes­sico, ogni due ore scom­pare una persona.

La cul­tura, neces­sita di tempo e di memo­ria. Que­ste migliaia di per­sone giu­sti­ziate o scom­parse nei lun­ghi anni di guerra e vio­lenza che segnano l’inizio di un nuovo secolo meri­tano un rico­no­sci­mento uffi­ciale degno di que­sto nome e a livello internazionale.

In futuro, se mai si dovesse per­dere il ricordo di tutte que­ste vit­time della bar­ba­rie, ci saranno tutti i rac­conti, le cro­na­che, le testi­mo­nianze, i romanzi, i saggi, i poemi, i film, le foto­gra­fie, la musica; tutte que­ste opere d’arte, tutte que­ste pub­bli­ca­zioni si impor­ranno come prove indi­spen­sa­bili per rie­vo­care que­sta tra­ge­dia tanto per­so­nale quanto col­let­tiva. È nostro dovere, per quanto mode­sto possa essere il nostro impe­gno, rico­no­scere l’esistenza di ognuno di que­sti morti. Senza il ricordo per­ma­nente della loro pre­senza, il futuro sarà per noi tutti impos­si­bile. In attesa, è indi­spen­sa­bile la vita, di cui dob­biamo assu­merci la difesa.

(1) Susan Son­tag, Davanti al dolore degli altri, Milano, Mon­da­dori, 2003.
(2) Ser­gio Gon­zá­lez Rodrí­guez, Ossa nel deserto, Milano, Adel­phi, 2006.
(3) Ser­gio Gon­zá­lez Rodrí­guez, El hom­bre sin cabeza, Bar­cel­lona, Ana­grama, 2009.
(4) Si legga Rafael Bara­jas e Pedro Miguel, «In Mes­sico un mas­sa­cro di troppo», Le Monde diplomatique-il mani­fe­sto, dicem­bre 2014.
(5) Si legga Jean-François Boyer, «La fine dell’indipendenza mes­si­cana», Renaud Lam­bert, «Car­los Slim, tutto l’oro del Mes­sico» e sub­co­man­dante Mar­cos, «La quarta guerra mon­diale è comin­ciata», Le Monde diplomatique-il mani­fe­sto, rispet­ti­va­mente marzo 2011, aprile 2008 e ago­sto 1997.
(6) Si legga Jean-François Boyer, «Il Mes­sico ostag­gio dei car­telli», Le Monde diplomatique-il mani­fe­sto, luglio 2012.

Foto: Messico, manifestazione per il sequestro dei 43 studenti scomparsi © Xinhua

*  Sag­gi­sta, vin­ci­tore del pre­mio Ana­grama 2014 per il miglior sag­gio in lin­gua spa­gnola con Campo de guerra (Ana­grama, coll. «Argu­men­tos», Bar­cel­lona, 2014). Que­sto testo è stato adat­tato da «La vio­len­cia extrema: yo den­tro», pub­bli­cato dalla rivi­sta spa­gnola Carta (2015).

 Il Manifesto – Le Monde diplomatique 05.09.2015

(Tra­du­zione di Alice Campetti)

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untitledIl Risveglio

#MéxicoNosUrge,¡a nosotros también!

José Agustín Ortiz Pinchetti
Qualche mese fa citai in questa colonna un politico spagnolo (Monedero, Podemos) pessimista sul nostro futuro. Diceva che ci sono motivi per un cambiamento radicale, ma che il livello di coscienza è insufficiente. Ha ragione, e ce l’ha anche Edgardo Buscaglia quando dice che il Messico sta attraversand un periodo di bassa autostima. I messicani possono organizzare migliaia di marce, ma il regime mantiene il controllo. Esiste solo un vero partito di opposizione in fase di gestazione. Né il governo, né l’oligarchia, né il grosso della classe politica hanno la visione o l’energia per fermare gli orrori che viviamo. Visto a distanza, il Messico esplode, si è prodotta un’allerta internazionale, la grande stampa e la società civile hanno condannato il governo. L’ultima iniziativa è di #MéxicoNosUrge, movimento della società civile nato in Italia che comincia a dffondersi ed è arrivato in Messico. Il suo obiettivo è esigere all’Unione Europea che sospenda relazioni commerciali col Messico fino a che il governo messicano freni l’impunità e la barbarie. Gli omicidi  a Narvarte, in pienao capitale (dove non era mai accaduto un massacro simile) sono stati l’origine immediata di questo movimento. #MéxicoNosUrge invoca la clausola democratica incorporata nel TLC tra Messico e l’Unione Europea: contiene come condizione per la sua validità il rispetto dei diritti umani che il nostro Stato non rispetta. La comunità internazionale non può guardare con indifferenza 160 mila morti, 30 mila desaparecidos, 2 milioni di sfollati ed il maggior numero di giornalisti assassinati nel mondo.

A dispetto del discredito messicano, è molto difficile che #MéxicoNosUrge possa imporre all’Europa la sua richiesta. L’UE rappresenta qui il 40% dell’IED. Il commercio totale col Messico è di 65 milioni di dollari l’anno, con un interessante surplus per l’UE di 24 milioni.Pesanti interessi che impediscono anche che gli Stati Uniti facciano pressioni come fecero in Colombia quando le cose arrivarono ad un estremo incontrollabile. Non possiamo sperare che le cose cambino per le pressioni esterne. Dentro, l’elite messicana mantiene la sua comodità. Gli assassini, torture ed abusi li subiscono la gente umile e gli attivisti. Non è impossibile che la violenza arrivi a livelli più alti livelli della società, ma per adesso predomina una specie di perplessità davanti al lento crollo delle istituzioni. La crisi politica inevitabile nel 2018 potrebbe essere la congiuntura per un vero cambiamento di regime, ma questo dipende da nostro risveglio delle coscienze e dalla capacità organizzativa dell’opposizione. Non possiamo aspettarlo da fuori, benché sentiamo grati e solidali con un’iniziativa come quella di #MéxicoNosUrge.

Twitter: @ortizpinchetti

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2015/08/30/opinion/012o2pol

 

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untitledDa sopra, mai e poi mai arriveranno la verità e la giustizia

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

16 Agosto 2015

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Al Congresso Nazionale Indigeno:

A quelle e quelli di sotto nel mondo:

A chi di dovere:

Una volta di più si sottolinea che, da sopra, non arriveranno la verità e la giustizia.

Mai.

E poi mai.

Da sopra bisogna solo aspettarsi simulazione, inganno, impunità, cinismo.

Il criminale di sopra riceverà sempre assoluzione e ricompensa. Perché chi lo giudica è lo stesso che lo paga. Sono gli stessi criminali e giudici. Sono teste velenose della stessa Idra.

E ora ne abbiamo un nuovo esempio.

Come zapatisti che siamo, ci siamo accorti che, belli grassi e contenti, sono tornati nelle loro case nel villaggio de La Realidad due degli autori intellettuali dell’assassinio del compagno maestro Galeano. In teoria, sono stati arrestati per l’assassinio del nostro maestro e compagno. Sappiamo già che sono stati dichiarati innocenti dagli stessi che li hanno finanziati e appoggiati: il governo federale e quello statale del Chiapas. L’autodenominato “giudice” Víctor Manuel Zepeda López, del ramo penale di Comitán de Domínguez, Chiapas, il giorno 12 agosto di quest’anno, ha sentenziato che i signori Carmelino Rodríguez Jiménez e Javier López Rodríguez sono innocenti, nonostante essi e i loro complici della CIOAC-Histórica sappiano di essere colpevoli di aver organizzato il crimine. Non sono gli unici, ma lo sono anche loro.

Di nascosto li hanno riportati a La Realidad. Gli hanno detto di non mostrarsi troppo e di essere discreti, ma la superbia di chi si sa impune dinanzi alla giustizia di sopra, gli ha sciolto la lingua. E dichiarano, a chi li voglia ascoltare, che non sono stati arrestati, bensì protetti in una casa in cui hanno ricevuto tutte le attenzioni e le congratulazioni del governo statale di Manuel Velasco e dei leader della CIOAC-Histórica per l’assassinio del maestro Galeano, e che è stato loro detto che avrebbero dovuto aspettare qualche tempo prima di tornare al loro villaggio e “proseguire con ciò che è rimasto in sospeso”.

Ora manca che se ne escano a dichiarare in loro favore i loro complici: Pablo Salazar Mendeguchía, Luis H. Álvarez, Jaime Martínez Veloz, Juan Sabines Guerrero, Manuel Velasco, Manuel Culebro Gordillo, Vicente Fox, Felipe Calderón, Enrique Peña Nieto e Rosario Robles. Queste persone sono alcune di quelle che hanno addomesticato la CIOAC-Histórica e l’hanno convertita in ciò che è ora: una banda paramilitare utile a raccattare voti e assassinare lottatori sociali.

Manca anche che i giornalisti prog li intervistino e li presentino come vittime del “feroce” Galeano (lui solo contro più di due dozzine di criminali cioaquisti), rieditino la menzogna di uno scontro, pubblichino le sue foto contraffatte, e riscuotano con la mano destra il servizio prestato, automezzi con autista inclusi, mentre nei loro media esaltano il “grande” sviluppo del sudorientale stato messicano del Chiapas e, con la mano sinistra, celebrano il loro “impegno nelle lotte sociali”.

Ma…

Come zapatisti che siamo, guardiamo e ascoltiamo non soltanto la nostra rabbia, il nostro risentimento, il nostro odio contro chi là sopra si sente padrone e signore di vite e destini, di terre e sottosuoli, e contro chi si vende, con i suoi movimenti e organizzazioni, tradendo la propria storia e i propri principi.

Come zapatisti che siamo, guardiamo e ascoltiamo anche altri dolori, altre rabbie, altri odi.

Guardiamo e ascoltiamo il dolore e la rabbia, che si fanno reclamo nei familiari di migliaia di desaparecid@s e assassinati nazionali e migranti.

Guardiamo e ascoltiamo la tenace ricerca di giustizia dei familiari dei bambini e delle bambine assassinati nell’asilo ABC in Sonora.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia che si fa degno e ribelle sciopero della fame delle e degli anarchici arrestati in Messico e in altre parti del mondo.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia nei passi instancabili dei familiari dei 47assenti di Ayotzinapa.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia nel popolo fratello Nahua di Ostula, aggredito dall’esercito.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia nel popolo fratello Ñahtó di San Francisco Xochicuautla per la spoliazione dei suoi boschi.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia del popolo fratello Yaqui per gli arrestati ingiustamente e per il saccheggio sfacciato del suo territorio.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia per la farsa che è l’indagine per l’assassinio di Olivia Alejandra Negrete Avilés, Yesenia Atziry Quiroz Alfaro, Nadia Dominicque Vera Pérez, Mile Virginia Martin Gordillo y Rubén Espinosa Becerril, a Città del Messico.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia degli insegnanti democratici che resistono alla guerra mediatica, poliziesca e militare di cui soffrono per il delitto di non arrendersi.

Guardiamo e ascoltiamo l’indignazione di chi, nel nord sconvolto e brutale, è attaccato per il colore della propria pelle e per tale colore riceve una sentenza di condanna.

Guardiamo e ascoltiamo la rabbia e il dolore per le donne scomparse, assassinate per il delitto di essere donne; per le diverse e i diversi attaccati perché il Potere non tollera quel che non rientra nel suo ristretto modo di pensare; per l’infanzia che è annullata senza che nemmeno gli venga dedicata una cifra nelle statistiche della macroeconomia.

Guardiamo e ascoltiamo che si ricevono solo menzogne e beffe da chi dice di amministrare la giustizia e in realtà amministra soltanto l’impunità e fomenta il crimine.

Guardiamo e ascoltiamo dappertutto le stesse promesse di verità e giustizia, e le stesse menzogne. Non cambiano più nemmeno le parole, come ci fosse già uno scritto che leggessero, e male, tutti quelli di sopra.

E’ ormai il tempo in cui, quando chi sta sotto chiede perché lo si attacca, la risposta di chi sta sopra è “per essere ciò che sei”.

Perché in questo mondo che compatiamo, il criminale è libero e il giusto è incarcerato. Chi ammazza è premiato e chi muore è calunniato.

Ma guardiamo e ascoltiamo che ogni volta sono di più le voci che non si fidano, che non lasciano fare, che si ribellano.

Noi, come zapatiste e zapatisti che siamo, non ci fidavamo prima, né ci fidiamo ora, né ci fideremo poi di chi sta sopra, qualunque sia il colore della sua bandiera, qualunque sia il suo modo di parlare, qualunque sia la sua razza. Se sta di sopra, ci sta perché opprime chi sta sotto.

Non è di parola chi sta sopra, non ha onore, non ha vergogna, non ha dignità.

Da sopra, mai e poi mai arriveranno la verità e la giustizia.

Dovremo costruirle dal basso. E allora il criminale pagherà finché saranno pareggiati i conti.

Perché ciò che non sanno di sopra, è che ogni crimine impunito non fa che esacerbare l’odio e la rabbia.

E ogni ingiustizia commessa non fa che aprire la strada affinché quell’odio e quella rabbia si organizzino.

E sulla bilancia dei nostri dolori, peseremo quel che ci devono.

E presenteremo il conto… e lo incasseremo.

Allora avremo, sì, la verità e la giustizia. Non come un’elemosina di sopra, ma come una conquista di sotto.

Il carcere sarà allora per i criminali e non per i giusti.

E la vita, degna, giusta e in pace, sarà per tutte e tutti.

Questo, solo questo.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés               Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, agosto 2015

 Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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nadia-vera

Dal Chiapas la denuncia della madre di Nadia Vera

La nostra Nadia, “in difesa della memoria”

Mirtha Luz Pérez Robledo

 

DICHIARAZIONE PUBBLICA

AL GOVERNO FEDERALE
AL GOVERNO DEL DF
AL GOVERNO DELLO STATO DI VERACRUZ
ALLE ISTITUZIONI INCARICATE DELLA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
ALLA SOCIETÀ MESSICANA
ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Cosa si può dire quando ti hanno rapito il cuore? Le parole si rompono, si disperdono. Non sai se ciò che è successo corrisponda davvero a ciò che senti. Va via la parola amore. Va via la parola generosità. Vanno via le parole con cui abitualmente parli, operi, ti comporti, ti costruisci. Vanno via le parole che ti abitano e smetti di abitare le parole. Allora rimani muta, pietrificata, immobile, annullata, umiliata, si cancella il tuo orizzonte, ti cancelli, poco a poco cominci a cancellare te stesso.

1. La tragedia

Il pomeriggio del giorno sabato primo agosto, attraverso i mezzi di comunicazione, e non delle autorità, abbiamo saputo dei tragici fatti in cui ha perso la vita la nostra cara Nadia insieme ad altre 4 persone. Nadia Dominique Vera Pérez viveva dal febbraio del 2015 nell’appartamento 401 dell’edificio ubicato nella strada Luz Saviñon 1909, della colonia (zona) Navarte in cui avvennero gli incresciosi fatti. Nadia era arrivata a Città del Messico dopo aver vissuto 12 anni nella città di Xalapa, perché “non si sentiva più sicura”.

Lei, stava per andarsene alla Città di Cuernavaca per un’offerta di lavoro. Se ne sarebbe andata il giorno domenica 2 agosto e infatti lo avevo detto ai suoi amici e familiari il mercoledì 29 luglio. Anche le ragazze che vivevano lì stavano per lasciare l’appartamento.

2. Chi era Nadia Dominique Vera Pérez?

Nadia è nata a Comitán, Chiapas, l’8 febbraio 1983. Nel 2001 iniziò a studiare nella Facoltà di Scienze sociali della UNACH della città di San Cristóbal de las Casas, che abbandonò per continuare gli studi a Xalapa nella Facoltà di Antropologia dell’Universidad Veracruzana.

Nadia era direttrice, produttrice e promotrice culturale in Messico, specialmente nel campo delle arti sceniche. La sua attività culturale fu sempre legata alla difesa dei diritti umani, della libertà di espressione e dei diritti degli animali. Appoggiò anche il movimento #YoSoy132, il magistero, nella difesa contro le aggressioni a giornalisti, il Comitato Universitario di Lotta dell’Universidad Veracruzana, quello in difesa per il petrolio, quello dei 43 normalisti scomparsi ad Ayotzinapa.

Nadia praticava un’attività politica molto energica a favore dei diritti umani a partire dalla cultura e l’arte. Queste due attività furono fondamentali per lei e le unì in ogni passo della sua vita. Svolse l’attività di produttrice generale e direttrice di diversi festival, attività nazionali e internazionali. Credeva fermamente nel potenziale delle arti per la trasformazione sociale del Messico e agiva di conseguenza. Nadia era anche, è, nostra figlia, nostra sorella, zia, cugina; un pezzo del nostro cuore.

3. Il proseguimento delle indagini

Al dolore per la perdita di Nadia, la violenza che dovette subire, si somma la violenza istituzionale quando constatiamo che manca limpidezza nella gestione del caso da parte del Procura Generale della Giustizia del Distretto Federale:
Fin dall’inizio l’informazione si è diffusa in modo extraufficiale, frammentata e contraddittoria attraverso i mezzi di comunicazione e il Procura non si è esposto per pronunciarsi su questo punto.

Si dice…

Che Nadia era fidanzata del reporter Rubén Espinosa, cosa falsa in quanto Nadia e Rubén erano amici e si conobbero quando entrambi vivevano a Xalapa, Veracruz, e collaborarono nel Festival 4X4.

Che avevano assassinato il reporter Rubén Espinosa e 4 donne, senza darci l’informazione completa di chi erano le vittime, nonostante fossero state trovate nel luogo in cui vivevano.

Che un testimone dichiarò che le vittime avevano consumato una festa con i loro carnefici. Quasi subito questa informazione è stata smentita e si è passati a informare che i fatti accaddero tra le 14 e 15, enfatizzando che Nadia e Rubén erano stati in un bar all’alba.

Che le altre vittime erano Yesenia Quiroz, truccatrice, Olivia Alejandra Negrete Avilés, collaboratrice domestica e, poi, una cittadina colombiana della quale si confusero nome e foto fintanto che, solo qualche giorno dopo, si conobbe la sua identità, si trattava di Mile Virgina Martin. Cioè, si enfatizzarono occupazione, nazionalità, sesso e abitudini delle vittime, contribuendo a stigmatizzarle.

Che le telecamere dell’edificio non funzionavano ma che ci si affidava a telecamere vicine. Tuttavia, in seguito è stato reso noto un video che mostrava l’uscita dei presunti assassini dall’appartamento, ma non il loro arrivo.

Che gli assassini fuggirono in un’auto modello Mustang rossa che fu abbandonata a Coyoacán, con varie contraddizioni sulla proprietà del suddetto veicolo e la probabile connessione con attività illecite in anni precedenti.

Che tutte le vittime furono assassinate da un proiettile di arma da fuoco e che si utilizzò un cuscino per silenziare il rumore.

Che filtrarono, attraverso i mezzi di comunicazione, fotografie sullo stato in cui versavano le vittime, ferendo ancora di più la loro memoria e quella delle famiglie.
Per quanto precedentemente detto, e alla luce del nostro diritto alla verità e giustizia in quanto parenti di Nadia, abbiamo molte domande per il Procura della Giustizia del DF, istituzione dalla quale aspettiamo ancora risposte:

Perché si afferma che i fatti avvennero ad un’ora (3 del pomeriggio) e nella parte forense si afferma che il decesso avvenne alle 21?

Quali dichiarazioni rilevanti hanno fatto i testimoni chiave sul caso?

Perché l’attività di Nadia come attivista non è contemplata come un fatto che la collocava in situazione di vulnerabilità?

Perché non si è preso in considerazione il contesto di violenza e insicurezza, oltre che l’aggressione diretta da parte dello Stato di Veracruz a gruppi studenteschi e attivisti a cui Nadia apparteneva?

Qual è la spiegazione di tanto accanimento contro le vittime?

Cosa implica il fatto che l’arma utilizzata nel crimine sia stata usata per la prima volta e sia un’arma con silenziatore?

Perché si fanno filtrare informazioni confidenziali ai mezzi di comunicazione se con ciò si mettono in pericolo i familiari delle vittime?

Perché ad amici e parenti delle vittime non è stato permesso fare dichiarazioni che possano apportare maggiori informazioni?

Perché si è data priorità al movente del furto e si sono minimizzate altre piste investigative?

Perché ai testimoni chiave è stato permesso raccogliere i loro beni, alterando così la scena del crimine?

Perché nessuna autorità si è messa in comunicazione con noi per darci informazioni e sostegno?

Nulla ci restituirà la nostra Nadia. Alle altre famiglie nessuno restituirà i loro cari, ma crediamo che conoscere la verità possa restituirci un poco di fiducia nelle istituzioni; diversamente si creerà un clima di scetticismo più forte e, ancora più grave, un’impunità galoppante che lascia la società indifesa.

Per quanto detto finora, ci affidiamo alla Legge Generale delle Vittime, specialmente per ciò che concerne la verità di quanto accaduto nei fatti in cui furono violati i diritti umani di Nadia e delle altre dirette vittime, come quelli dei parenti in qualità di vittime indirette, motivi per cui le autorità dovranno informare dei risultati delle indagini.

Chiediamo:

Che nelle indagini circa i fatti che porta avanti il Procura ci si attenga agli standard più alti in quanto a rispetto dei diritti umani, garantendo la sicurezza dei parenti delle vittime, così come degli attivisti e difensori dei diritti umani e gruppi studenteschi.

Che si permetta ai rappresentanti legali delle famiglie l’accesso all’informazione circa gli sviluppi e del caso e non ci sia fuga di notizie che provocano danni ancora più grandi alle vittime e ai suoi familiari.

Che le indagini sui fatti si compiano in modo esaustivo, senza tralasciare nessuna pista investigativa, senza scartare quella delle minacce denunciate da Rubén e Nadia.

Che si seguano i protocolli investigativi, evitando di mettere in rischio la sicurezza delle vittime indirette, così come dei testimoni del caso.

Che si permetta raccogliere gli effetti personali delle vittime, seguendo i protocolli di sicurezza, così come il Procura l’ha già permesso a persone che sono testimoni chiave.

Questi fatti ci distruggono come famiglia e distruggono le famiglie delle vittime e, in un contesto in cui violenza e impunità sono state una costante, distruggono anche tutta la società messicana.

Infine, vogliamo mostrarci solidali con le famiglie di Olivia Alejandra, Yesenia Quiroz, Mile Virginia e Rubén Espinosa, lo stesso dolore ci unisce; inoltre ringraziamo di cuore la solidarietà degli amici che da varie parti del Paese e del Mondo ci abbracciano; le persone che fanno parte di organizzazioni civili e coloro i quali ci hanno manifestato sostegno.

La loro solidarietà è ciò che ci mantiene in piedi di fronte a tanto dolore. Abbiamo bisogno di restare uniti per esigere un’accurata ricerca investigativa sui fatti, motivo per cui esortiamo a restare attenti e vigilare sul corso di tali indagini. Non ci abitueremo alla violenza.

FAMIGLIA DI NADIA VERA PÉREZ
SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS
10 Agosto 2015

( traduzione di Lucia Cupertino)

http://www.agoravox.it/Messico-Non-ci-abitueremo-alla.html

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Casi Speciali.

CASI SPECIALI

Se non hai ricevuto l’email di passaggio al secondo livello può essere perché…

… l’indirizzo di posta elettronica con il quale ti sei registrato per il primo livello è scaduto, o è stato cancellato, o hai dimenticato la password.

… hai ancora lo stesso indirizzo ma non hai ricevuto il pass perché abbiamo fatto casino e abbiamo nuovamente bisogno dei tuoi dati… o perché non sei passato al secondo livello. Se, dopo aver fatto quanto è spiegato qui di seguito, entro un mese non ricevi l’email di passaggio è perché il livello uno non è stato superato.

In entrambi i casi la soluzione è molto semplice: basta mandare una nuova comunicazione a quest’indirizzo: casosespeciales@ezln.org.mx, da un nuovo indirizzo e, in tale comunicazione, indicare:

– nome completo, data di nascita – luogo di residenza – chiave di registro se la ricordi o ce l’hai. – data in cui hai effettuato il primo livello – luogo in cui hai effettuato il primo livello (se in comunità, nome della comunità e del caracol a cui la comunità appartiene); (se per videoconferenza, nome del luogo, quartiere, città, paese, continente nel quale hai seguito la videoconferenza) – nome del tuo Votán.

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

 

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Secondo Livello Escuela Zapatista

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

27 Luglio 2015

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Alle/Agli ex alunn@ della Escuelita Zapatista:

Compas:

Si avvicina dunque la data del secondo livello (solo per coloro che hanno superato il primo) della Escuelita Zapatista.

Come già annunciato, le date sono 31 luglio, 1 e 2 agosto 2015.

No, non precipitatevi. Non si tratta di venire in terre zapatiste. O meglio, di non venire fino qua solo per la escuelita. Il secondo livello sarà universale e al di fuori delle terre zapatiste.

Spieghiamo:

Come già abbiamo detto, sappiamo che la situazione economica è difficile. Non solo quella economica; la repressione governativa contro i popoli originari Yaqui (in Sonora) e Nahua (a Santa María Ostula, Michoacán, ed Ayotitlán, Jalisco) e del magistero democratico (a Oaxaca in primo luogo, poi sarà nelle altre entità) ricordano a tutte e tutti noi che quelli di sopra non mantengono la parola e che tradire è parte del loro modo di fare politica.

Dal lato economico, sappiamo quanto sia difficile mettere insieme i soldi per andare avanti giorno dopo giorno, e tanto più per viaggiare e stare qui per qualche giorno.

Lo sappiamo bene noi, zapatiste e zapatisti, che se diciamo di venire alla scuola per imparare a guardarci, è perché ci sarà chi potrà farlo.

Ma la maggioranza di chi ha superato il primo livello sono compas che non hanno soldi e/o devono compiere il loro dovere nelle geografie nelle quali lottano. Cioè, non possono venire qui spesso. Non perché non vogliano, ma perché non possono. C’è chi ha già fatto tutto quello che poteva per essere qui al semenzaio del maggio scorso, ed è pertanto difficile che possa venire di nuovo quest’anno.

La escuelita non può essere solo per chi non ha problemi di calendario né di soldi per viaggiare. Quello che noi, zapatiste e zapatisti vogliamo, è che le/i nostr@ compas della Sexta ci conoscano direttamente, ci guardino e ci ascoltino, e, come deve essere, prendano quello che credono possa servirgli e lascino da parte quello che credono non gli serva o non gli aggrada.

Siccome noi prendiamo in considerazione tutte queste cose, dobbiamo pensare come fare per continuare a parlare con voi ed imparare reciprocamente.

Quindi, abbiamo organizzato i seguenti livelli (dal 2 al 6) in modo che non dobbiate venire qui ogni volta, ma diciamo una volta all’anno. Chiaro, avvisandovi per tempo quando sarà possibile accogliervi.

Vi avvisiamo dunque che per il Secondo Livello non ci saranno lezioni in territorio zapatista. Se volete, certamente potete venire alla festa dei caracol. Ma non dovete venire alle lezioni.

Ma le lezioni ci saranno comunque, ed ovviamente, l’esame.

Faremo così:

1.- Chi ha superato il primo livello, a partire dal giorno 30-31 luglio e 1° agosto di quest’anno 2015 riceverà una email (al suo indirizzo di posta elettronica, o la email sarà inviata a chi ha preso contatti per il primo livello). In questa email ci sarà il link ad un video. In questo video un gruppo speciale di maestri e maestre zapatisti spiegheranno quello che spiegheranno. Per poter vedere il video, ci sarà bisogno di una password che sarà contenuta nella stessa email che riceverete.

Non è obbligatorio guardare il video individualmente. Collettivi, gruppi o organizzazioni possono riunirsi per visionarlo insieme. Si può fare nei locali delle Squadre di Appoggio della Commissione Sexta dell’EZLN presenti in diverse parti del Messico, oppure nelle sedi di gruppi e collettivi ed organizzazioni della Sexta nel mondo.

Fino a qui non ci sono problemi. Sia individualmente che collettivamente, vedrete ed ascolterete le nostre compagne e compagni dirvi delle cose, spiegarvi una parte della genealogia della lotta zapatista. Perché voi avete già ascoltato, visto e perfino convissuto con le basi di appoggio zapatiste, con i vostri Votan, con le loro famiglie. Ma questa è solo una parte della lotta per la libertà secondo lo zapatismo. Mancano altre parti.

È come se vi avessimo dato solo una parte del puzzle. Cioè, come si dice, manca quello che manca.

Voi dovrete studiare il capitolo I del libro “Il Pensiero Critico di Fronte all’Idra Capitalista”, ai paragrafi: “Qualcosa di quello che è cambiato”; “Verso una Genealogia della lotta delle Zapatiste”; e “Appunti di Resistenza e Ribellione”. Se non avete il libro, non preoccupatevi, perché queste parti si trovano nella pagina web di Enlace Zapatista, ma sarebbe meglio procurarsi il libro perché lì dentro c’è l’idea integra.

2.- Dopo aver visto, ascoltato e studiato quello che dicono le compagne ed i compagni nel video e studiato quei paragrafi del libro, INDIVIDUALMENTE dovrete scrivere 6 domande. Non una di più, non una di meno. Sei domande su quello che avete ascoltato e guardato nel video. Mandate queste 6 domande all’indirizzo indicato nella email che riceverete. La data per inviare le domande è un giorno ed ora qualsiasi dopo il 3 agosto del 2015 e fino al giorno 3 ottobre del 2015 compreso.

3.- Alle domande non sarà risposto singolarmente, ma collettivamente. Cioè, raccoglieremo tutte le domande e realizzeremo testi, video, registrazioni in cui risponderemo a queste domande. Quando leggerete un testo della comandancia o ascolterete una registrazione de@ votan, saprete che stanno rispondendo alle vostre domande. Altrimenti, non disperate, vuol dire che ci sarà un’altra occasione dove vi verrà risposto. Non ci saranno risposte individuali, bensì generali e collettive.

4.- Le domande sono importanti. Secondo il nostro modo zapatista, sono più importanti delle risposte. Cioè, saranno le vostre domande ad essere valutate per decidere se passerete al terzo livello.

5.- Ovvero, dovete rendervi conto che quello che interessa alle/agli zapatisti non sono le certezze, bensì i dubbi. Perché pensiamo che le certezze immobilizzano, cioè un@ si mette tranquill@, content@, sedut@ e non si muove, come se fosse già arrivato o che già sapesse. Invece i dubbi, le domande fanno sì che un@ si muova, che cerchi, che non stia tranquill@, che sia come in dissenso, come irrequiet@. Le lotte del basso e a sinistra, compas, nascono dai dissensi, dai dubbi, dall’inquietudine. Se un@ si accontenta è perché aspetta che gli dicano cosa fare o gli hanno già detto cosa fare. Se un@ è in dissenso, sta cercando cosa fare.

6.- Vi diciamo dunque cosa viene valutato per passare al terzo livello: le 6 domande che voi, individualmente, farete. Sono queste che le/i votan valuteranno per vedere se mettervi nella lista che dice “Passati al terzo livello”.

Per ora è tutto, compas. Con la escuelita e tutto il resto, dobbiamo continuare ad appoggiarci mutuamente ed appoggiare chi lotta per la verità e la giustizia, come la comunità Nahua di Ostula che reclama giustizia per l’attacco subito e nel quale è stato assassinato dall’esercito federale, il bambino EDILBERTO REYES GARCÍA; come la comunità Nahua di Ayotitlán, attaccata dalle guardias blancas e dai poliziotti al servizio della multinazionale mineraria Ternium; come i familiari dei 47 assenti di Ayotzinapa; come i genitori dei bambini e delle bambine dell’Asilo ABC (che non perché non appaiano sui giornali, non lottino più per avere giustizia); come i familiari de@ detenut@ e desaparecid@s politici in tutto il mondo; come il magistero ribelle; come la Grecia del basso e a sinistra che non si è bevuta la storiella del referendum; come le/i detenut@ che da dietro le sbarre continuano a sfidare il Potere e lo Stato; come chi lo sfida per le strade e nelle campagne di tutte le geografie; come i popoli originari che continuano nella difesa della Madre Terra; come chi non si vende, non tentenna e non si arrende.

Perché sono la resistenza e la ribellione a rompere le geografie ed i calendari di sopra. Perché quando lassù predicano la sconfitta, lo scoraggiamento e il tentennamento, c’è sempre unoa, una, uno che dice “NO”. Perché, badate bene, alle radici della libertà c’è sempre un “NO” che si aggrappa alla terra, di lei si nutre e con lei cresce.

Bene. E non dimentichiamo né l’oggi né il passato, così domani ricorderemo quanto è in sospeso.

           Subcomandante Insurgente Moisés                 Subcomandante Insurgente Galeano

Direttore della Escuelita                                    Concierge della Escuelita

Messico, Luglio 2015

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Messico: l’attacco ad Ostula e agli zapatisti nei giorni della fuga del Chapo

A pochi giorni dalla ricorrenza dei 10 mesi dall’agguato di Iguala contro gli studenti di Ayotzinapa, lo scorso 26 settembre, continuano gli episodi che mettono in evidenza l’essenza stessa del narcostato, la collusione sistemica delle strutture del potere politico con le mafie del narco. Uno scenario che si accompagna ad una aggressiva politica di criminalizzazione dei movimenti sociali e dei percosi di lotta. Emblematiche di questa situazione sono le continue provocazioni contro le comunità zapatiste, come l’aggressione paramilitare alla Garrucha, che sono state denunciate a livello internazionale in questi giorni come informa la Red contra la represion, ma anche gli episodi successi a Ostula e Calera.

L’avvenimento più eclatante risale a domenica 19 luglio, quando elementi dell’Esercito hanno fatto fuoco su un gruppo di persone che realizzavano un blocco stradale vicino alla comunità indigena nahua di Ostula, in Michoacán, uccidendo un ragazzino di 12 anni e ferendo gravemente altre sei persone, tra cui una bimba di sei anni.
Gli indigeni protestavano contro l’arresto arbitrario di Semeí Verdía, coordinatore della Polizia Comunitaria della zona, organizzazione formata dalla popolazione di Ostula nel 2009 per difendersi dalla violenza del cartello dei Caballeros Templarios, che ha provocato piú di trenta morti nella comunità, e proteggere il territorio comunitario dall’ingerenza di progetti minerari e turistici. Nonostante una progressiva criminalizzazione del processo di autodifesa popolare, soprattutto a partire dal 2013 quando molti poliziotti comunitari del municipio di Aquila, di cui fa parte la comunità di Ostula, furono incarcerati, la Polizia Comunitaria della zona si é mantenuta attiva e con un forte appoggio popolare. All’arresto di Verdía, dunque, centinaia di persone si sono mobilitate in diversi villaggi della zona, ma dopo poche ore un operativo simultaneo dell’Esercito ha sbaragliato tutti i blocchi stradali attaccando i manifestanti con lacrimogeni, manganelli e armi da fuoco. Il posizionamento istituzionale a fronte di un atteggiamento inequivocabilmente criminale delle forze armate è stato, al solito, estremamente equivoco: il riconoscimento il giorno successivo della responsabilità dell’Esercito e la smentita di tutto il 23 luglio.
L’attacco è stato condannato da decine di organizzazioni civili messicane, ed ora indaga sull’accaduto la Commissione Nazionale dei Diritti Umani. Un comunicato del Congresso Nazionale Indigeno e dell’EZLNdenuncia il comportamento criminale delle forze armate e punta l’attenzione sulle cause reali della prolungata repressione e violenza criminale contro la comunità nahua, esigendo “il rispetto alle terre della comunitá di Santa Maria Ostula che imprese minerarie straniere come Ternium vogliono espropriare, con l’aiuto del mal governo colluso con il crimine organizzato”.

RASSEGNA STAMPA

Da La Jornada Chiarimento necessario
Da La Jornada Il Tradimento di Santa Maria Ostula di Luis Hernandez Navarro
Da Desinformemonos
Da Revolucion 3.0

Video testimonianza

Ma l’Esercito è nel mirino delle organizzazioni di difesa dei diritti umani anche per la responsabilità, ormai evidente, nell’omicidio di sette giovani, detenuti arbitrariamente il 7 di luglio nella loro casa di Calera, nello stato settentrionale di Zacatecas, nel corso di un operativo militare. Successivamente, l’Esercito negò la presenza dei detenuti nelle caserme; nel fine settimanai corpi furono rinvenuti, in avanzato stato di composizione, in città vicine. Quattro militari sono stati arrestati per il probabile coinvolgimento nell’omicidio.

Mentre le forze armate inaspriscono la repressione cosa sia il narco stato si capisce bene dalla seconda fuga dell’ormai leggendario Chapo, il narcotrafficante più ricco e ricercato d’America. Capo del Cartello di Sinaloa, impero criminale che controlla le rotte della droga, delle armi e del traffico di migranti sul versante del Pacifico, Joaquìn Guzmàn Loera il 12 luglio è uscito dal carcere di massima sicurezza dell’Altiplano attraverso un tunnel di 1 metro e settanta di altezza, lungo un km e mezzo, dotato di un sistema di ventilazione ed illuminazione, che collegava lo scarico della doccia della sua cella con una casa costruita qualche mese fa nelle vicinanze del carcere. L’operazione, così elaborata da avere dell’incredibile, è avvenuta con complicità di alto livello: evidenti quelle con i dirigenti del carcere, completamente controllato dalle mafie ed in cui circolavano ingenti quantità di droga, ma anche di alti funzionari: le prime teste sono cadute il 19 luglio, quando sono astati arrestati 7 dirigenti del Centro di Sicurezza Nazionale e della Divisione di Intelligencia della Polizia Federale. Probabilmente, se riconosciuti colpevoli, il procedimento contro di loro sarà amministrativo: insomma, una multa.

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Ostula – Messico

Materiali per l’approfondimento sui temi della protesta sociale, la sicurezza comunitario, la violenza ed il narcotraffico in Messico sono disponibili per la consultazione in:
Caminantes Centro Studi e Documentazione su Messico e America Latina nella sezione MESSICO

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NUOVO ATTACCO PARAMILITARE.

Caracol Resistencia Hacia un Nuevo Amanecer. La Garrucha.

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

25 Giugno 2015

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Come già sappiamo, i malgoverni continuano con le frodi e la violenza. Non importa se sono di un partito o di un altro, il Prepotente vuole sempre stare sopra a costo di quelli che stanno sotto. Per lui a nulla valgono le denunce, è sordo, perché paga profumatamente i media che si vendono affinché parlino bene di lui.

Prima è stato Juan Sabines Guerrero, quello che dicevano di sinistra ed i progressisti di partito venivano perfino ad omaggiarlo, ed il legittimo veniva a gridare “Viva Juan Sabines! “. Juan Sabines Guerrero ha sistemato per bene tutto per far eleggere il “rubio de categoría“, Manuel Velasco Coello, siccome i due appartengono alle famiglie che si spartiscono, insieme ad altre, le poltrone in Chiapas. Juan Sabines Guerrero ha rubato, frodato e compiuto violenze.

Ora Velasco fa lo stesso. Se solo pochi giorni fa ha compiuto una frode con le elezioni violando le stesse leggi di quelli di sopra, ora sta preparando tutto affinché le elezioni locali successive si macchino del sangue di quelli di sotto.

Poiché i governi di sopra non si accontentano solo di mentire, vogliono anche reprimere, imprigionare ed assassinare.

Ora reprimono gli insegnanti democratici che stanno solo dicendo che la cosiddetta riforma della scuola è una menzogna. Perché è una riforma dei padroni contro i lavoratori. Non è per migliorare l’educazione, ma per peggiorarla. E chi la proposta, nemmeno conosce come sono le scuole, né sa come si insegna. Al governo non piace che si dica la verità, quindi mente. Ma siccome nessuno crede più al governo, allora reprime.

Sono talmente senza pudore che il ministro dell’Educazione del governo è un assassino alcolizzato che un giorno dice una cosa ed il giorno dopo dice il contrario. Come fa a proporre una riforma della scuola qualcuno che non sa nemmeno parlare? Si chiama Emilio Chuayffet ed è uno degli assassini di Acteal, è quello che beveva e poi ubriaco diceva un mucchio di sciocchezze. E’ rimasto quello di allora.

Non solo in Chiapas, ma anche a Oaxaca, Guerrero ed in altri stati, i malgoverni vogliono nascondere la verità con le botte, i gas, gli spari e le minacce.

Ormai è evidente che se le loro elezioni “democratiche” non hanno assassinati, picchiati ed imprigionati, a loro non piace. E tutti i partiti litigano per il loro osso e nemmeno si ricordano di chi è stato assassinato, si chiamava Antonio Vivar Díaz ed era maestro, né dei feriti, né degli imprigionati.

I governi di sopra si reggono con l’inganno e la repressione.

Ma in Chiapas, a Manuel Velasco non basta il sangue dei maestri. Vuole anche bere il sangue indigeno delle comunità.

Malgrado le organizzazioni per i diritti umani l’abbiano già denunciato, Velasco continua ad incitare i suoi paramilitari ad attaccare le basi di appoggio zapatiste.

Così succede nel municipio di Ocosingo, Chiapas, dove tre governi si mettono d’accordo per provocare: Enrique Peña Nieto, Manuel Velasco ed Octavio Albores. Questi governi stanno dietro i paramilitari di Pojkol.

Perfino la comunità da dove provengono questi paramilitari li ha rinnegati, ma continuano ad aggredire. Gli stessi indigeni dei partiti dicono di non controllare questi paramilitari che ricevono ordini dal presidente municipale di Ocosingo e dal governo dello stato a Tuxtla Gutiérrez. Da lì ricevono le armi, le attrezzature, i veicoli e gli ordini di attaccare le basi di appoggio.

Questo è successo solo poche ore fa:

Caracol de Resistencia Hacia un Nuevo Amanecer

Giunta di Buon Governo El camino del Futuro

La Garrucha, Chiapas, Messico

24 giugno 2015

Denuncia Pubblica

 All’opinione pubblica:

Ai mezzi di comunicazione alternativi autonomi o come si chiamano:

Alle/Agli aderenti alla Sexta nazionale e internazionale:

Alle organizzazioni oneste per i diritti umani:

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo:

Denunciamo ancora una volta quello che stanno facendo i gruppi paramilitari dell’ejido Pojkol, del barrio Chiquinibal, Municipio di Chilón e le 21 persone dello stesso gruppo paramilitare del Rosario, municipio ufficiale di Ocosingo, Chiapas.

I fatti:

Oggi, 24 giugno 2015, nel villaggio El Rosario, Municipio Autonomo di San Manuel, dove vivono i nostri compagni basi di appoggio dell’EZLN, alle ore 8:05 a.m. di questo mercoledì sono entrati 28 paramilitari dell’ejido Pojkol del barrio Chiquinibal. Erano a bordo di 8 motociclette e di una Nissan senza targa. Dei 28 paramilitari, in 8 avevano armi calibro 22.

A El Rosario vivono 21 paramilitari che sono appoggiati dal gruppo di 28 paramilitari dell’ejido Pojkol del barrio Chikinibal che hanno invaso la nostra terra recuperata.

Alle ore 10:05 a.m. è arrivato un camioncino RAM di colore bianco senza targa con due persone a bordo: un ingegnere e l’allevatore Guadalupe Flores che vive nella città di Ocosingo, Chiapas, che era il padrone del terreno prima del 1994, si sono incontrati con i 28 paramilitari di Pojkcol ed i 21 paramilitari del Rosario; dopo questo incontro, hanno cominciato a misurare il terreno per costruire una chiesa e delle case, poi l’allevatore ha consegnato alcuni documenti al gruppo paramilitare, si presume il disegno del terreno recuperato. 

Alle ore 1:26 p.m. hanno sparato 10 colpi d’arma da fuoco dietro la casa di un compagno basi di appoggio per intimorire la popolazione.

Alle ore 1:27 p.m. 8 paramilitari di Pojkol sono entrati nella casa di un compagno base di appoggio ma non hanno trovato nessuno perché il proprietario della casa si era già allontanato per evitare scontri, dopo 23 minuti hanno raggiunto la casa di un altro compagno. Alle ore 1:50 p.m. hanno distrutto la casa di un compagno base di appoggio, rubando ogni cosa compreso il tetto formato da 12 lamiere da 3.5, 2 galline, 4 galli, 20 uova, 2 asce, 2 celle solari, 2.000 pesos in contanti, 2 zappe, un registratore, una canna dell’acqua di 100 metri e 150 chili di fagioli. Tutti questi beni del compagno base di appoggio sono stati caricati sul camioncino del presunto ingegnere che si è diretto verso Pojkol con tutto il bottino insieme alle 28 persone di Pojkol.

Per noi autorità della JBG è evidente che quelle due persone, che si sono finte ingegnere ed ex padrone del rancho, sono i consulenti di questi gruppi paramilitari. 

Ed è anche evidente che il malgoverno sta facendo di tutto per attaccarci, sono accaduti molti fatti e sono gli stessi paramilitari che ci hanno ammazzato un toro, hanno distrutto le case, il nostro negozio collettivo, hanno rubato i nostri beni ed inquinato il nostro pascolo  con erbicidi dove si trovava il bestiame collettivo del municipio di San Manuel, dove nell’agosto del 2014 hanno esploso colpi d’arma da fuoco e lasciato una scritta sul terreno che dice “territorio pojkol” e bossoli esplosi.

Sono gli stessi paramilitari dei quali fa parte l’uomo di nome Andrés che il 10 maggio del 2015 ha sparato ad una bambina base di appoggio. 

Questa è la nostra terza denuncia, dove sono riportati i dettagli dei fatti accaduti come nella prima e nella seconda denuncia.

Questi gruppi di persone addestrate e finanziate dal malgoverno federale, statale e municipale ci hanno provocato molte volte con la loro strategia di contrainsurgencia ed il malgoverno pensa di farci cadere nelle sue trappole per macchiarci le mani del sangue dei nostri fratelli indigeni che sono fuori di testa perché sono pagati ed hanno la coscienza sporcata dal cattivo sistema capitalista.

Abbiamo detto chiaramente che non saremmo rimasti con le braccia conserte quando le nostre basi di appoggio sono aggredite da qualsiasi strumento che il malgoverno usa contro di noi, noi difenderemo le nostre terre perché qui siamo nati e di queste viviamo e su di esse moriremo, costi quello che costi.

Fratelli e sorelle, noi continueremo a denunciare quello che succede e speriamo che vigiliate su quello che potrebbe accadere ai nostri compagni ed alle nostre compagne basi di appoggio. 

Riteniamo responsabili direttamente il governo federale, statale e municipale di qualunque cosa possa accadere, così come i responsabili diretti che fanno parte di questo gruppo di persone che più volte abbiamo denunciato.

Distintamente

Autorità della Giunta di Buon Governo di turno

Jacinto Gómez Pérez            Colosio Pérez Lorenzo

Nely Núñez Sánchez                  Alex López Álvarez

 

Così stanno le cose, compagne e compagni della Sexta:

Da quello che vediamo, non è che il malgoverno ignora questi fatti perché è occupato nei suoi annunci e bugie, ma è esso stesso a dare quegli ordini. Altrimenti, come si spiega che si conoscano i nomidei criminali e passeggiano armati e indisturbati di fronte all’autorità? Proprio perché sono al suo servizio. E così dichiarano i paramilitari, che nessuno gli può fare niente perché il governo di Velasco li protegge e li paga.

E’ come sempre: dall’alto arrivano bugie, botte, disprezzo e sfruttamento.

Da sotto deve arrivare l’organizzazione. Per la vita, non per un bagno di sangue, che è ciò che vogliono i capoccia, i servi e caporali del sistema in cui viviamo, che obbediscono agli ordini del loro padrone, il capitalismo neoliberale.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, giugno 2015

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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COMUNICATO URGENTE DI OSCAR GARCIA

STATO D’ASSEDIO A TIXTLA DE GUERRERO, GRO.

Come ci si aspettava, il governo dichiara di voler garantire che la giornata elettorale di domenica prossima si svolga in maniera “pacifica”.

Negli ultimi giorni, un numero impressionante di apparati militari sono stati dispiegati nello stato di Guerrero, con blindati, carri armati, ecc.

Da lunedì pomeriggio un grande numero di posti di blocco sono stati installati da Esercito, Gendarmeria, Polizia federale e Marina Militare sulle tre principali vie di accesso alla città.

Come è di dominio pubblico, noi che lottiamo da 8 mesi per riportare i #43 compagni vivi, ci opponiamo allo svolgimento delle elezioni in Guerrero. I motivi sono stati esposti in molte occasioni, ma tutte convergono in un fatto evidente: molti di quelli che oggi concorrono per occupare posti pubblici, hanno legami con i gruppi della criminalità organizzata.

Non sappiamo se queste misure servano a metterci fuori combattimento in questo periodo elettorale, cioè, senza possibilità di mobilitazioni, o se ci siano altre intenzioni riguardo la nostra scuola. Considerata la lunga storia di aggressioni e di minacce di chiuderla, noi studenti e genitori temiamo il peggio.

Nel pomeriggio di lunedì scorso, otto compagni della scuola sono stati fermati e poi rilasciati qualche ora dopo grazie alla risposta organizzata di genitori, gruppi ed organizzazioni per i diritti umani.

Oggi, martedì, ci sono stati di nuovo scontri violenti tra il movimento e le forze del governo.

Questo non accade solo in Guerrero, la minaccia e la presenza militare è diffusa in Oaxaca, Michoacán e contro il combattivo villaggio di Atenco.

La tensione è forte nel paese.

Non saranno le elezioni a definire il camino del paese, né i cambiamenti. Con o senza le elezioni, la nostra lotta continua.

Chiediamo a tutti di vigilare sugli avvenimenti dei prossimi giorni. Ma soprattutto di prepararsi per quello che seguirà dopo questa scandalosa tornata elettorale.

Lo Stato messicano cerca la legittimità, molte persone sono pronte a legittimare altri omicidi, ingiustizie, povertà e corruzione. Noi NO.

¡PORQUE VIVOS SE LOS LLEVARON!

¡VIVOS LOS QUEREMOS!

Omar García

3 giugno 2015

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sub1Subcomandante Insurgente Galeano

Il Metodo, la Bibliografia e un Drone nelle profondità delle montagne del Sudest Messicano.

 4 maggio 2015

Buongiorno o mezzogiorno.

Questa volta non vi porterò via molto tempo, in modo che possiate apprezzare l’esposizione grafica e riposare un po’, perché il semenzaio si fa sempre più complesso ogni giorno che passa.

Perciò cercherò di limitarmi solamente a darvi alcuni consigli che, ovviamente, non seguirete, e a raccontarvi il racconto più assurdo di cui io abbia memoria.

Il modo in cui abbiamo organizzato la nostra partecipazione è aver partecipato il Subcomandante Insurgente Moisés e io, a turni.

E’ come una divisione del lavoro: io vi confondo e lui chiarisce.

Io dico le cose in modo complicato e lui le dice in modo semplice.

Facciamo così perché l’uno e l’altro sono modi in cui si presenta il pensiero critico e crediamo che dobbiamo imparare a utilizzare uno e l’altro.

Perché non si tratta di portare adepti all’una o all’altra corrente di analisi, o della forma in cui si esprime una o l’altra corrente di analisi. Bensì di sollecitare idee, pensieri, discussione, dibattiti. Non per vincere su un presunto antagonista ideologico, ma per rispondere alla domanda che tutti, tutte e tuttei finiremo per farci: cosa viene dopo?

Noi zapatisti pensiamo che ci sono una serie di concetti basici dei quali ci avvaliamo per analizzare, e c’è una serie di presupposti fondamentali.

Per esempio, si è convocato questo semenzaio come pensiero critico dinanzi all’idra capitalista.

Così si sta dando per stabilito che:

1.- Il sistema dominante attuale è il capitalismo ed è la sua logica a essere dominante nel mondo.

2.- Che questo sistema capitalista non è dominante in un solo aspetto della vita sociale, ma che ha molteplici teste, ovvero forme e modi diversi di dominare in differenti e diversi spazi sociali. Per metterla nei termini della bambina difesa zapatista: il capitalismo testone non ti morde da un solo lato ma da molti lati.

3.- C’è un elemento inquietante dell’Idra Capitalista in questo. Se si prende l’Idra come animale mitologico, si sa che ha molte teste, che se gliene tagli una ne rinascono due, e che una di esse è come il cuore dell’Idra, la testa madre, per definirla in qualche modo. Ma c’è un’altra idra, il piccolo animale che non soltanto ricostruisce i suoi tentacoli distrutti, ma si adatta, muta ed è capace di rigenerarsi completamente a partire da una delle sue parti.

Chi ha partecipato all’escuelita zapatista e ha studiato i libri di testo, forse ricorderà che abbiamo insistito molto sulle differenti maniere che il sistema usa per attaccarci, e che tali forme sono cangianti.

Forse ci sarà l’opportunità di ritornare su questo più avanti, per il momento basti segnalare che non ci stiamo riferendo a un mostro mitologico o a un animale del genere degli idrozoi idroidi, predatore e più piccolo di due centimetri, bensì a un mostro reale. Il più sanguinario e crudele che abbiano conosciuto la realtà e la finzione da che l’umanità si è divisa in dominatori e dominati.

Chiaramente può darsi che qualcuno sostenga che il capitalismo non sia l’attuale sistema dominante, oppure che lo sia ma soltanto in economia, o soltanto in politica, o solo nel genere.

O può anche darsi che qualcuno sostenga che è lo Stato la testa madre dell’Idra Capitalista e non la relazione sociale di produzione in cui c’è chi ha il capitale e c’è chi non ha che la sua capacità di lavorare.

O che le lotte contro teste differenti dell’Idra sono secondarie o subordinate alla lotta principale, qualsiasi sia. Per esempio, che la lotta di genere è secondaria e la lotta per il potere politico è la principale.

Va bene, si argomenta, si analizza E SI CONFRONTA con la realtà.

Per questo siamo qui. Per procedere, in basso a sinistra, in un dibattito che abbondi in idee e analisi e non in ridondanti aggettivi. Ovvero, non abbiamo motivo di trasformare tutto questo in una versione di rete sociale in cui lo scambio di aggettivi non superi il limite dei 140 caratteri.

4.- C’è un elemento che non è esplicito ma che è fondamentale: la pratica. Ciò che ci chiama a questo inizio di riflessione teorica, perché speriamo che seguano altri semenzai, non è aumentare il nostro bagaglio culturale, apprendere parole nuove, avere argomenti per legare o slegare, o dimostrare che possiamo essere sempre più inintellegibili. Quel che è in gioco qui, e poi in tutti i là di ciascuno secondo il proprio tempo, modo e luogo, è la trasformazione di una realtà.

Perciò siamo noi della Sexta a dover assumere, tra di noi, la responsabilità di mantenere e potenziare questa riflessione. Molto semplicemente, perché ci differenziano molte cose, ma una ci identifica: abbiamo deciso di sfidare il sistema. Non per migliorarlo, non per cambiarlo, non per abbellirlo, ma per distruggerlo.

E questo, la sua distruzione, non si ottiene con i pensieri, anche se, ovviamente, non mancherà chi dirà che dobbiamo unire le nostre menti e ripetere “scompare, scompare” con veritiera fede e persistenza. No, ma i pensieri ci aiutano a capire contro chi ci scontriamo, come funziona, qual è il suo modo, il suo calendario, la sua geografia. Per usare l’espressione dell’escuelita: le forme con cui ci attacca.

5.- Sebbene siamo partiti dal presupposto che il sistema capitalista è il dominante, questo si accompagna alla certezza che non è onnipresente, né immortale. Esistono resistenze. Che le conosciamo o no. Il sistema non impone il suo dominio in maniera piana e senza fratture. Affronta anche resistenze di sopra, ma quelle di sotto sono quelle che lo minacciano. Come abbiamo detto: non stiamo parlando di qualcosa che potrebbe essere, parliamo di qualcosa perché già lo stiamo facendo. E credo sia chiaro che in merito a questo non parlo solo dello zapatismo.

6.- Né teoria senza pratica, né pratica senza teoria, abbiamo detto. Non stiamo parlando però di una divisione del lavoro: di qua quelli che pensano, di là quelli che mettono in pratica. Quel che stiamo sottolineando è che chi fa teoria deve fare pratica, diremmo quasi in maniera scientifica, ma il pensiero critico porta con sé questo veleno: se è solo pensiero, non arriva a essere critico. E chi fa pratica deve riflettere su di essa, non solo perché, se dipende dal fatto che un teorico gliela spieghi e lo guidi, finirà con l’angoscia se votare o no; ma anche e soprattutto perché dobbiamo pensare che la nostra lotta non ha una durata definita ma, al contrario, abbraccia intere generazioni. Queste riflessioni teoriche dovranno servire a chi proseguirà quando il nostro calendario arriverà alla sua ultima data. In una parola: è un’eredità.

7.- Né pensiero debole, né pensiero dogmatico, né pensiero menzognero. Non sappiamo voi, ma se noi zapatisti fossimo deboli nel pensare, staremmo in un partito politico istituzionale.

Se volessimo un dogma, saremmo una setta politica, scusate, volevo dire religiosa.

E se volessimo credere a tutto, ci faremmo guidare dai precetti dei mezzi di comunicazione prezzolati.

Il pensiero critico ha come motore la messa in discussione. Perché questo e non un’altra cosa? Perché così e non in un altro modo? Perché qui e non altrove? Facendo domande si cammina, diciamo noi zapatiste e zapatisti.

8.- Il punto otto non c’è perché vi ho detto chiaro e tondo che non vi avrei portato via molto tempo e per oggi mi mancano ancora alcune cose e un racconto anacronistico.

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Diverse lune fa, in qualche angolo di queste montagne del sudest messicano, si è riunito un gruppo di noi compagne e compagni del Comando Generale dell’EZLN. L’obiettivo era “incrociare” informazioni che si erano raccolte sia nelle comunità che fuori di esse.

Così abbiamo fatto. Non è l’analisi di una persona a determinare il sì e il no, bensì uno scambio di analisi, di riflessioni, di pensieri. Quel che i compagni e le compagne basi d’appoggio zapatiste hanno definito, opportunamente, una “condivisione”.

Spero che ci sarà tempo e modo per dilungarmi su questo più tardi, per il momento basti dire che non è stato sempre così.

In quella riunione c’era qualcosa di comune nei resoconti: si vedevano alterazioni nell’economia controinsurgente nelle comunità, nell’economia locale, nazionale e internazionale.

Dopo aver parlato e ascoltato, giungemmo alla conclusione che vedevamo la stessa cosa: si avvicinava una profonda crisi, non solo economica ma anche economica, una tormenta.

Sintetizzando la condivisione di quell’alba:

I segnali?

Uno.- Una crisi economica mai vista prima. Quel che si vede ora sono soltanto le prime piogge, il peggio deve venire. Gli economisti di sopra sono passati dal segnalare che la turbolenza si sarebbe superata in mesi, ad anticipare che ci vorranno anni. Non hanno il permesso di dire la verità: non hanno la più remota idea di dove condurrà questa crisi. Perché non risulta essere soltanto una crisi economica. Bisogna moltiplicarla per le catastrofi ambientali non naturali, posto che sono l’effetto di una causa non naturale: la trasformazione di tutto, compresi gli elementi base – acqua, aria, luce e ombra, terra e cielo – in merce. Da cui discende il suo sfruttamento fuori da ogni logica elementare. E non solo, ci sono anche le catastrofi fatte di proposito, ma di queste parleremo dopo.

Altro.- La perdita della legittimità delle istituzioni “tradizionali” (partiti, governo, sistema giudiziario, chiesa, esercito, polizia, mezzi di comunicazione, famiglia) e nessun tentativo di recuperarla.

Altro ancora.- La corruzione delle classi politiche tanto scandalosa che vira nella psicopatia. E’ tale il livello di degrado che il vero Potere, quello del denaro, è scandalizzato. A tal punto da temere che quel che non ha fatto l’arbitraria tirannia del denaro, lo faccia la corruzione dei governanti: provocare una ribellione.

Un altro di più.- Siamo di fronte a una realtà che si sintetizza oggi in una parola: Ayotzinapa. Per noi zapatisti, Ayotzinapa non è l’eccezione ma la regola attuale. E’ il ritratto di famiglia del sistema a livello mondiale.

Si è detto che il crimine organizzato o il narcotraffico hanno permeato la politica. E’ stato il contrario: gli usi e costumi di una classe politica corrotta (come quella messicana: nel caso del nostro paese, ma più di una nazione ne ha i requisiti), si sono trasferiti nel crimine organizzato.

Come dire? Vi siete accorti di come sui media e negli show i genocidi e gli assassini seriali vengono presentati in maniera insensibile? Ebbene, la classe politica moderna non è così, non è insensibile. Percepiscono perfettamente e hanno emozioni. Solo che non sono pena, rimorso, contrizione. No, ci godono. Non siamo di fronte a qualcosa di meccanico che tortura, uccide, squarta e fa scomparire o esibisce la vittima. No, si tratta di assaporare il crimine. Di sentire e gustare il potere di sfrattare una persona dalla sua casa, di espropriarla della sua terra, di strapparle i suoi beni, di imporle il terrore, di farle sentire la sua fragilità, di sottolineare il suo essere indifesa, di umiliarla, di disprezzarla, di schiacciarla, di assassinarla, di ucciderla da viva e ucciderla da morta. Senza altra ragione se non l’esercizio del potere e dei suoi ministri nell’intero asse che attraversa la piramide sociale: dal potentato fino al “capo famiglia”, passando per governanti, legislatori, giudici, poliziotti, delatori, amministratori, direttori di scena, capoccia e maggiordomi.

Ad esempio, c’è chi pensa che il modo in cui il governo federale e la classe politica in blocco ha affrontato il crimine di Ayotzinapa ha mostrato la sua debolezza, la sua goffaggine, la sua incapacità. Può darsi. Quel che noi abbiamo visto e vediamo è che l’hanno amministrato godendosi ciascun passaggio. Si sono rallegrati di ogni lacrima dei familiari. Hanno festeggiato la rabbia e l’impotenza. Hanno tratto piacere dal leggere o ascoltare ogni racconto dei sopravvissuti, delle madri e padri di quelli che mancano. Se la gente comune è inorridita e si è commossa, lassù si sono divertiti. I governativi incaricati di affrontare il problema, come il procuratore di giustizia, si sono saziati della tragedia. Non siamo di fronte alla pudica classe benestante di prima, che delegava ad altri (polizia, esercito, paramilitari) la concrezione del crimine. No, quelli di adesso non si accontentano neanche più a stare nel palco vip in prima fila. Vogliono sentire il piacere diretto di disporre di vite, beni, storie. Al fianco del sicario e del poliziotto, ci sono ora gli eredi del Potere reale.

Un altro altro.- Sebbene le vecchie strutture del potere politico ed economico appaiano ancora di tanto in tanto per dire qualche sciocchezza, non sono che l’ombra di quel che sono state. La maggior parte delle grandi imprese una volta nazionali, ora non sono che prestanomi dei grandi capitalisti mondiali, e tutte, assolutamente tutte, sono vincolate e sottomesse alla banca internazionale. Ironia della sorte: sempre timorose di quelli di sotto, sono state depredate da quelli più in alto. A niente è servito coltivare i paramilitari (la “Brigata Bianca” in Messico, i “GAL” nello Stato Spagnolo) per le “guerre sporche” in tutti i sotto del mondo. Ora si consolano reciprocamente nelle sempre decadenti pagine di società di periodici, riviste, programmi frivoli, e feisbuc come opzione più economica.

E mentre i nostalgici del potere economico di un tempo litigano e si uniscono quando la plebe sembra sollevarsi, i grandi monarchi del denaro, quelli che invece di un nome nella lista di FORBES hanno un seggio nel consiglio di amministrazione delle banche e delle industrie, prendono posizione. Quelli che comandano davvero acquisiscono terreni, imprese fallite, “quadri qualificati”. Il lavoro di “ripulitura del personale” lo fanno gli affari che, non lo sanno ancora, dovranno rompere. Entreranno i grandi senza più la zavorra di sindacati, contratti collettivi, personale di fiducia.

Gli apparati repressivi presuntamente nazionali, creati con l’alibi della difesa dalla minaccia esterna e del controllo interno, fanno genuflessioni ridicole verso i loro superiori nelle metropoli. Era certo questo fatto della destabilizzazione alimentata da interessi stranieri, ma la minaccia interna non ha vestito gli abiti da guerriglia, ma è arrivata in giacca e cravatta e scorte d’importazione. Non portava armi da fuoco, bombe molotov, manuali sovversivi, ma crediti illimitati… e impagabili.

Vi spaventate per gli scandali che appaiono o sono apparsi sui mezzi di comunicazione e nelle reti sociali? Vi scandalizzano le gesta di Peña Nieto e Videgaray? La corruzione dei governanti in diversi punti del pianeta? Ebbene, se volete davvero deprimervi, cercate di ottenere una chiacchierata “off the record” con qualcuno dei grandi mezzi prezzolati. Invertite i ruoli, e al posto di essere intervistatei, fate voi le domande. Non chiedetegli di ciò che è stato pubblicato, chiedetegli di ciò che è passato sotto silenzio. Non ciò che si è censurato, ma ciò che non è nemmeno apparso come progetto d’indagine o nota giornalistica. E scoprirete cosa significa vomitare di schifo e di terrore. Se volete, restate ad ascoltare le giustificazioni (ragion di Stato, la gente non è preparata a conoscere tutta la verità – be’, e neppure una parte di essa – siamo stati minacciati, la nomina, il progetto, il casino, la vita).

Un altro e poi basta. – La crisi che viene non manderà un telegramma né si annuncerà con tabelloni e cartelloni. No, mette il piede nella porta prima di riuscire a chiuderla. Cola dalle finestre, dagli spiragli. Cola dalle notizie dello scandalo di moda. Conoscete quella delle rivoluzioni che non si annunciano? Ebbene, le crisi sì, ma apparentemente nessuno prende nota.

La crisi non si può nascondere in un maggiolone azzurro, né sotto a un poncho beige. Non si può mettere in carcere, né far scomparire, né assassinare. Non si può mettere nella lista dei desaparecidos. Né negoziarla nei corridoi dei congressi, delle Nazioni Unite, del Fondo Monetario Internazionale.

Ah, certo. Crisi come queste non vengono da sole. Le accompagnano i saltimbanchi di tutta la storia: profeti, leader, salvatori supremi, nuove religioni, il cambiamento è dentro di te, aiutati che io ti aiuto, pensa positivo, “sorridi, vinceremo”, “saremo il tuo incubo peggiore”.

La Cultura? L’Arte? La Scienza? Saranno attività clandestine se sono indipendenti. Se sono prezzolate, varranno meno della mancia al parcheggiatore del palazzo del centro. Ironia della sorte: abbattuti dalla pirateria (si dice “produzione alternativa”), e trasformati in impiegati delle grandi imprese di intrattenimento, ovvero a produrre quel che comanda chi paga.

Orbene. E se così non fosse? Se si trattasse solo di un’allucinazione dello zapatismo? Se la “libera impresa” locale e nazionale continuasse a galleggiare verso un futuro migliore? Se la banca internazionale non depredasse i beni di famiglie, paesi, continenti? Se il capitalismo mondiale riconoscesse le differenze e la diversità?

Se i partiti di sinistra dessero la priorità ai loro principi e programmi invece che alla loro smania di poltrone? Se i governanti fossero moderati nelle loro ruberie e dedicassero una buona parte del bottino a ricostruire la sicurezza sociale? Se fosse solo una pioggia passeggera, dei nuvoloni senza conseguenze?

Se così fosse, cioè se non succedesse nulla, rispondi: Vi danneggerà esservi organizzati? Ti darà disturbo aver preso, insieme ad altri, altre, altrei, il tuo destino nelle tue mani? Ti infastidirà l’aver ascoltato altrei, uguali, differenti come te? Sarai più povero, sarai meno persona? Ti sentirai vuoto, incompleto, inutile?

Il mondo, il tuo mondo. Sarà peggiore o migliore?

-*-

Ora permettetemi di tornare alla nostra riunione in uno dei nostri angoli.

Dopo aver accertato che la situazione era messa male, passammo alla parte, come suol dirsi, deliberativa.

Vennero quindi decise due cose: una fu di prepararsi per un’epoca di crisi economica, e l’altra di avvisare i nostrei compagnei della Sexta e chiedere ad altri, altre, altrei, della Sexta e non, come la vedono. La prima non presentava difficoltà. Essendo già organizzati alla resistenza, i villaggi zapatisti potevano affrontare questi problemi perché è ciò che fanno e lo fanno collettivamente.

La seconda era più complicata. Due ostacoli monumentali si ergevano di fronte a noi: la geografia e il calendario.

Come zapatisti abbiamo la fortuna di avere compagni nelle più diverse geografie. Anche se era possibile convocare un evento internazionale, come avevamo già fatto in precedenza, il carattere di riflessione che la situazione meritava lo avrebbe reso molto difficile. Anche così, anche se si fosse potuto costruire questo spazio di analisi e riflessione, sarebbe stato centralizzato, e questo significava che ci sarebbero potute essere alcune persone e che molte, la maggioranza, non avrebbero potuto esserci. I soldi non erano l’unico problema, c’erano anche le occupazioni e lotte di ciascuno nei propri luoghi.

Del calendario non parliamo nemmeno.

Pensammo allora di porre un inizio e chiedere ai nostri compagni, compagne e compagnei della Sexta che lo proseguissero, e che costruissero i loro propri spazi secondo i loro tempi, luoghi e modi.

Così è nata l’idea di questo seminario, o meglio semenzaio, perché la bambina difesa zapatista non pensi che stiamo formando dei preti.

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Bene, ora sì il consiglio:

Molti anni fa queste condivisioni di cui vi sto parlando non erano possibili, almeno non direttamente. Il contatto tra le differenti zone era molto sporadico e superficiale. Il ponte attraverso il quale comunicavano era l’EZLN, in particolare il Comando Generale. Lì arrivavano i diversi resoconti, lì si soppesavano, si “incrociavano”, si vedeva cosa sì e cosa no. Chiaro, non c’era nemmeno tanto da soppesare. Eravamo dispersi e l’isolamento che ci proteggeva, ci limitava anche.

Crescemmo. Un movimento come quello zapatista ha questa maledizione: crescere. E non mi sto riferendo a crescere in quantità, ma a crescere in problemi e sfide. Ecco come si fa la nostra storia e come la facciamo nostra.

Noi zapatisti pensiamo che per capire una cosa si debba conoscere la sua genealogia. Vale a dire, la sua storia. Vale a dire, com’è arrivata a essere quel che è.

Vi ricordate quel fatto dell’opzione tra guardare l’albero o il bosco? Ebbene, noi zapatisti guardiamo la radice.

Lo abbiamo già detto prima, ma ora lo torno a ricordare: La nostra ribellione è il nostro “NO” al sistema. La nostra resistenza è il nostro “SI” al fatto che altro sia possibile.

Abbiamo anche fatto notare che la nostra meta-teoria è la nostra pratica.

Be’, sapete che capita che il grado di serietà di una riflessione teorica si stabilisca in base alla quantità di riferimenti bibliografici. Si dice e si scrive “come fa notare tizio o tizia della tal cosa nel tal libro”. Pare un po’ strano, ma più tizi o tizie ci sono in un testo teorico, più è serio, più rispettato… e più noioso. Nah, certo che no. Va molto bene leggere e ascoltare questi pensieri, anche se poi viene fuori che uno sa cosa pensa tizio e caio, ma non ha nessuna idea di quel che pensa l’autore. E uno, una, unoa, pensa: “va be’, se era tanto per dirci cosa dice l’altro, meglio ci avesse rimandato all’altro testo o avesse usato il metodo scientifico del ‘copiaeincolla’”.

Infine, quel che voglio dirvi è che, per tutto ciò che abbiamo scritto e detto, la resistenza zapatista è la nostra bibliografia.

Voi forse non ve ne rendete conto, anche se credo di sì.

Ora qui avete il vostro drone per avere una visuale d’insieme della resistenza zapatista. Chiaro che qualcuno, qualcuna, qualcunoa di voi può dire che è stato in comunità zapatiste e sa della loro resistenza. Ma non mi riferisco alla resistenza di una comunità. Parlo della resistenza zapatista come sforzo collettivo. La resistenza viene da dentro.

Bene, il drone di cui ora avete il privilegio di disporre, si chiama Subcomandante Insurgente Moisés. Per i suoi lavori precedenti e per il suo incarico attuale, lui conosce come nessuno la genealogia della resistenza zapatista, la sua storia, com’è arrivata a essere quello che è, cosa che ci porta a dire, come avete sentito ieri, hay lum tujbil vitil ayotik.

Ascoltatelo. Leggetelo. Attraverso le sue parole vi potrete affacciare a una storia terribile e meravigliosa. Capirete che è come un drone sotterraneo e avrete il privilegio di uno sguardo dalle profondità della resistenza zapatista.

Quel che vi dirò lo diranno e scriveranno sicuramente altri, altre, altrei, meglio di me, con più dati significativi, con migliori argomenti, con conclusioni più contundenti.

Ma quel che lui vi racconterà non lo troverete da nessuna parte, nemmeno chiacchierando con lui. Perché sembra che lui si è preparato per voi come collettivo, e perché precisamente attraverso di lui parliamo come collettivo. Così che il mio consiglio è di non mancare alle sezioni in cui parla lui.

E’ chiaro, non vi diremo quando tocca proprio a lui e quando a me. E’ perché non me ne resti qui da solo io, parlando di gatti-cani, muri sbrecciati, calcio e basket,

/Vi racconto un aneddoto: quando, il giorno 2 di maggio ve ne andaste da Oventik, iniziò a piovere, una grande tormenta, ma le basi d’appoggio continuarono con i balli e i giochi sportivi. Poi venne la premiazione. Ebbene, sapete come si chiama la squadra che ha vinto nel basket femminile? Si chiama “Le sconfitte”/

Sherlock Holmes ed Euclide, refusi, catastrofi pianificate, sconfitte di genere, Iolao* (*Cocchiere mitologico di Eracle attualizzato come personaggio televisivo della serie statunitense Hercules: the legendary journeys) che dà una mano, la guerra, sempre la guerra.

Per questo stiamo facendo un sondaggio su quali siano gli invitati e le invitate con il più alto rating, per potermi mettere dove possa dire al Doc Raymundo “Animo, doc!” e lui, nobile e generoso, mi replichi “Animo, Sup!”.

SupGaleano.

Messico, 4 maggio 2015

Dal quaderno di appunti del gatto-cane.

Nota: questo racconto ho cercato di metterlo in formato twitter ma non sono riuscito. Inoltre l’altro giorno ho visto su tuiter un utente che si è sparato tutto un comunicato di soli frammenti di 140 caratteri. No, non mi sono arrabbiato. Mi ha fatto invidia perché è venuto meglio a lui che a me. Ecco:

“Il vascello”

Devo avvertirvi che i racconti del Gatto-Cane sono molto altri. Si è già detto prima che, a differenza dei racconti tradizionali secondo lo schema “c’era una volta”, i racconti zapatisti (e non solo i racconti, ma ora è fuori tema) iniziano con “ci sarà una volta…”. Ebbene, a quanto pare quelli del Gatto-Cane iniziano così: “c’è questa volta…”. Ovvero, i racconti del gatto-cane sono molto moderni perché avvengono “in tempo reale”. Bene, a quanto pare:

“C’è questa volta…

Un vascello. Grande, come una nazione, un continente, un pianeta intero. Con tutto il suo equipaggio e le sue gerarchie, cioè i suoi sopra e i suoi sotto. Le sue dispute per chi comanda, chi vale di più, chi ha di più. La normalità è quindi un luogo dove c’è chi sta sopra e chi sta sotto. Accadde allora che la superba imbarcazione andava a balzi, senza una chiara direzione e facendo acqua da entrambi i lati. Come accade di solito in questi casi, il corpo degli ufficiali reclamò che il capitano venisse sollevato. Complicate come sogliono essere le cose quando le determinano quelli di sopra, si decise che, in effetti, il tempo del capitano era ormai finito e che era d’uopo nominarne uno nuovo. Gli ufficiali discutevano tra loro, contendendo su chi avesse più meriti, chi fosse il migliore, chi di più.

Il baccano arrivò nelle profondità dell’imbarcazione sotto la linea di galleggiamento, dove viveva e lavorava la maggioranza dell’equipaggio. Non per non essere visti, l’importanza di questi era poca. C’è di più, per andar giù piatti: la barca si muoveva grazie al loro lavoro. Il chiasso non era nuovo per quelli di sotto. Sapevano che ogni tanto quelli di sopra litigavano per essere il capitano. Al padrone della barca questo non importava. Fosse uno o l’altro, quel che gli importava era che il vascello producesse, portasse e raccogliesse mercanzie per tutti i mari.

Bene, a quanto pare tra quelli che lavoravano sotto c’era un gruppo che si distingueva per essere molto altro. Essendo uomini, donne e altrei, li chiameremo “glie altrei”. Glie altrei erano esseri piccoli, sporchi, brutti, cattivi e sboccati. E la cosa peggiore è che non si pettinavano.

Dato che il resto dell’imbarcazione non sapeva che c’erano persone che non si potevano incasellare negli schemi che gli avevano insegnato, gli venne da dire che Glie Altrei in realtà erano marziani che volevano impadronirsi dell’imbarcazione per portarla in un’altra galassia. Fortunatamente, il capitano dell’imbarcazione venne a sapere di queste false dicerie e nominò una commissione di illustri intellettuali per dare una spiegazione scientifica all’inquietante presenza deGlie altrei. Gli intellettuali si riunirono in un salone esclusivo realizzato appositamente e, dopo vari giorni e molti soldi, resero noti i risultati dei loro studi. “Glie Altrei, dissero, non sono marziani. In realtà sono fatti in Cina, e i cinesi li hanno fabbricati in Cina e poi mandati sul pianeta Marte, affinché da lì atterrassero sull’imbarcazione e sabotassero l’industria di pettini, spazzolini, shampoo, gel, parrucchieri e saloni di bellezza”. Il capitano del vascello si congratulò con gli scienziati con un tuit ovviamente confuso. Le riviste specializzate diffusero la scoperta.

Nah, non è vero, ma se vi pare una spiegazione assurda, ce n’è di peggiori sui mezzi di comunicazione prezzolati.

Ma torniamo all’imbarcazione.

Glie altrei, essendo tali, passavano il tempo a maledire quelli di sopra e fare marachelle che irritavano, ovviamente, gli ufficiali. Ossia, ogni tanto gli veniva da organizzare ribellioni. Allora gli ufficiali pronunciavano grandi discorsi sulle minacce interplanetarie, si guardavano l’un l’altro calcolando come approfittare dell’occasione, e davano l’ordine di mettere in ordine i disordinati, cioè Glie Altrei.

Glie altrei invitavano le altre persone a ribellarsi. Ma la maggioranza di chi lavorava sotto non s’impicciavano più di tanto ed oltretutto non di rado applaudivano quando qualcunoa de glie altrei veniva portatoa sullo scafo e, con grandi discorsi degli ufficiali circa la razionalità del comando e l’irrazionalità della ribellione, li si obbligava a gettarsi a mare.

C’erano gli squali? Quelli che lavoravano sotto, non lo sapevano. Sapevano ciò che accadeva sopra e fuori solo quando gli ufficiali gli passavano le informazioni. Ma nonostante le celle di rigore, Glie altrei continuavano a battere con il loro “né proprietario, né padrone, né signore, né capoccia”, oltre ad altre idee ugualmente anacronistiche, come quella che “l’imbarcazione dev’essere di chi la fa navigare”. Il vascello, quindi, proseguiva il suo sconclusionato andirivieni senza che nulla degno di nota lo scalfisse. Ogni tanto, unoa altroa viene portato di sopra per essere gettato a mare. Di cosa lo si accusa, lo si giudica e lo si condanna? Al boia non importa. Gli basta constatare che l’individuo è sporco, brutto, cattivo e rozzo per sapere che è colpevole, sebbene lo sia solo per essere quel che è. Ma questa volta accade qualcosa di insolito. La disputa tra ufficiali per succedere al capitano ha provocato tanto chiasso che nessuno si è preoccupato di propinare il discorso di rigore, le lodi all’ordine, al progresso e alla buona tavola. Il boia, abituato agli schemi, non sa che fare, perché manca qualcosa. Va dunque a cercare qualche ufficiale ligio alla tradizione. Per farlo senza che l’accusato-giudicato-condannato scappi, lo manda a Fanculo, cioè alla “Coffa della Vedetta”, nota anche come “Nido di Corvi”.

Il posto di vedetta nella coffa, nel punto più alto dell’albero maggiore delle vele, era visto da tutto l’equipaggio come un castigo. Che fosse per il vento, la pioggia, il sole, le gelate, le tempeste di neve, il “nido di corvi” era considerato la succursale dell’inferno. Da lì si avvistavano nemici, insidie sconosciute, mostri e catastrofi, prosperi porti nei quali si scambiavano mercanzie (cioè persone), isole incomprensibili popolate da glie altrei. Qualsiasi avvistamento si annunciasse, era accolto tra gli ufficiali con collera e scontento. Se si trattava di navi nemiche, il capitano consegnava tutto senza fare storie, e poi brindava con il corpo ufficiali per il progresso che il saccheggio aveva portato in coperta. Sì, sembra stupido, ma è così che funziona tutto sopra la coperta di questo vascello. Se si avvistavano mostri e catastrofi sistemiche, chi era al comando celebrava la modernità… o la postmodernità, secondo la moda che decretano le nuove carte di navigazione. Se si trattava di insidie sconosciute, venivano rapidamente distribuiti tra l’equipaggio volantini e manuali.

In essi si sollecitava a guardare con ottimismo il panorama, e si esortava alla meditazione, al superamento personale e all’amore per il prossimo. “Il cambiamento inizia in se stessi”, soleva essere l’intestazione delle carte che si producevano in grandi quantità… e che non leggeva quasi nessuno. Più con scontento che fastidio veniva accolta la notizia del prossimo porto di sosta. Dai guadagni della compravendita delle merci, gli ufficiali si teneva una mazzetta che però gli sembrava sempre troppo piccola. Essendo grandi i guadagni, per quanto piccola fosse la mazzetta, era più che sufficiente a che gli ufficiali si costruissero nuove case o abbellissero con statue sontuose i musei navali in cui si vantavano del proprio lignaggio.

Se chi ascolta questo racconto pensa che tutto su questo vascello sia stravagante e irrazionale, non ha tutti i torti. Per quanto di sopra si imbastisse un modo di convivenza, con le sue regole di etichetta, i suoi buoni costumi, le sue gerarchie, l’insieme non cessava di essere aberrante. E un’analisi seria dell’organizzazione del vascello, avrebbe portato alla conclusione che l’assurdità fondamentale sta nel fatto che la vita dell’imbarcazione, ciò quello che la tiene a galla, si trova sotto la linea di galleggiamento, nella parte più bassa del superbo vascello. Nonostante i progressi scientifici e tecnologici, le turbine nucleari, i tablet 4G-lte, le immagini a ultra alta definizione e il fast food, il motore principale di questa nave è umano.

Se chi mi ascolta presta attenzione all’organizzazione dell’imbarcazione che vi descrivo, si renderà conto che, nonostante quelli che stanno sotto sono coloro che rendono possibile la navigazione, producono non solo il necessario perché l’imbarcazione funzioni, ma anche le merci che danno senso e scopo al vascello, non possiedono niente se non la loro capacità e le conoscenze necessarie ad assolvere a questo compito. Non hanno nemmeno la possibilità di decidere alcunché sull’organizzazione perché raggiunga il suo obiettivo. Sono gli ufficiali in coperta a deciderlo. Certo, per salvare le apparenze, ogni tanto si fa finta di prendere in considerazione l’opinione dei marinai e delle marinaie, perché su questa imbarcazione c’è parità di genere nell’essere fottuti. Perciò, prima, organizzavano un curioso gioco che consisteva nel presentar loro vari colori e chiedergli di sceglierne uno. Il colore scelto dalla maggioranza, ci mancherebbe altro, veniva usato per dipingere l’armatura della nave, e veniva perfino collocata una bandiera speciale per identificarla. Ma non cambiava nulla, il padrone continuava a essere lo stesso, identica la destinazione e uguale l’organizzazione dell’imbarcazione. Ho detto “prima” perché il corpo ufficiali era attento ai ritrovati moderni e soppiantò quel gioco con il gioco dei sondaggi: che colore vi piacerebbe di più? Fortunatamente, la modernizzazione non ha spento il pudore di chi sta in coperta e continua nel formalismo di votare il colore più bello.

Tuttavia, i venti marini sono sempre più agitati. Più imbarcazioni nemiche appaiono con maggior frequenza, e sono più aggressive. Se chi mi ascolta pensa che il corpo ufficiali, a causa della sua scontata abilità, troverà il modo di affrontare con successo queste nuove minacce, si sbaglia. Occupati a trarre maggior profitto dalla piccola parte che riescono a sottrarre, gli ufficiali si sono fatti più furbi, sì, ma solo a trovare mille e un modo di tenersi più roba, non solo di quel che rubano sotto, ma anche di quel che possono sottrarre ai loro pari. Il fatto è che chi dovrebbe garantire il mantenimento dell’organizzazione interna sull’imbarcazione, in modo che assolva alla sua funzione, di fatto si è defilato. La nave orami da tempo funziona per inerzia.

Ma torniamo al protagonista di questo racconto e al suo amaro destino nella coffa.

Che quel bastione dell’averno si trovasse sopra, era soltanto per uno di quei paradossi che popolano la geografia del mare di turno. Al contrario di quel che si sarebbe potuto pensare, l’individuo in questione, l’altroa, salì con entusiasmo. Abile, come tutti quelli di sotto, si arrampicò con encomiabile destrezza sull’albero maggiore e si sistemò nello stretto posto di vedetta.

Seguendo un impulso sconosciuto, o quantomeno sconosciuto a chi racconta il racconto e chi lo ascolta, lo strano individuo non si autocompatì. Al contrario, approfittò della sua posizione privilegiata per guardare.

Non era poco quello che abbracciava il suo sguardo.

Guardò in coperta e si soffermò un istante sul motto che il padrone del vascello aveva fatto incidere in bronzo sulla parte anteriore dell’imbarcazione: “Bellum Semper. Universum Bellum. Universum Exitium”.

L’altroa non conosce il latino. Be’, nemmeno io. Ma qualcuno ha fatto una traduzione e possiamo dire che suona tipo “Guerra sempre. Guerra Universale. Distruzione Universale”.

Mentre cerchiamo il modo di far avere a L’altroa la traduzione, l’individuo continua a osservare in coperta. Lì, per esempio, si vede un palco pieno di bandierine di un colore, più in là un altro con bandiere dello stesso colore, e poi un altro, e un altro ancora. E’ curioso, ma quel che da vicino sembrano molti colori e forme differenti, a distanza si nota che tutti i palchi hanno lo stesso disegno e lo stesso colore. Annoiatoa, L’altroa guarda all’orizzonte. Resta basito. Aguzza la vista e conferma quel che ha visto. Scende di nuovo in coperta e prosegue per il boccaporto verso la parte inferiore del vascello.

Arrivato, cerca il suo quaderno e comincia a disegnare segni incomprensibili. Chiama Glie Altrei e mostra loro il quaderno. Glie Altrei si guardano tra di loro, guardano il quaderno, tornano a guardarsi reciprocamente, parlando ora una lingua antica. Vai a sapere cosa dicono, perché non c’è un traduttore a portata di mano, ma dopo un po’ di tempo passato a guardarsi e parlarsi, si mettono a lavorare febbrilmente.

Tan-tan.”

Lo so, io ero tanto indignato quanto voi ora. Ho protestato: “Come ‘tan-tan’? Cosa vide dal posto di vedetta? Cosa disegnò sul suo quaderno? Di cosa parlarono? Cosa accadde dopo?”.

Il gatto-cane miagolò latrando: “Non lo sappiamo ancora”.

Poi latrò miagolando: “Queste 4 parole dovrebbe imparare a usarle chi dice di essere uno scienziato sociale”.

Grazie.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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miriamParole del Subcomandante Insurgente Moisés

8 maggio 2015

Buonasera, compagni, compagne, fratelli e sorelle.

Chissà che con questa continuazione della nostra spiegazione sull’arma che abbiamo scelto, cioè la resistenza e la ribellione, chissà che non vi riesca di capire alcune delle cose di cui hanno parlato i nostri compagni che sono qui al tavolo.

Il fatto è che nella nostra resistenza e ribellione siamo giunti a capire che tali resistenza e ribellione che mettiamo in pratica fanno sì che non permetteremo, e ci sforzeremo di lottare perché non torni, che succeda quel che accadde nel 1910, perché chi ha approfittato della morte di molti dei nostri compatrioti messicani e messicane?

E la nostra resistenza, la nostra ribellione, ci dice che sono i carranzisti, gli obregonisti e i maderisti, i possidenti che ne hanno approfittato per governare, per stare al potere. E tutti questi bastardi che sono su adesso sono i loro bisnipoti, perciò la nostra resistenza, la nostra ribellione ci dice che dobbiamo governare noi.

Ma la nostra resistenza e ribellione ci dice pure che il problema non è essere noi a governare come fossimo della stessa razza: come abbiamo detto dal principio, noi diciamo Giunta di Buon Governo, ma non stiamo dicendo che i suoi membri siano buoni a prescindere: bisogna prestare attenzione, vigilare su di essa.

Per questo sto parlando di ciò che hanno esposto i compagni prima: anche se siamo indigeni che arrivano al potere, se il popolo non è organizzato per vigilare sul suo governo, finirà che saremo ancora peggio, perché l’indigeno povero non ha mai visto le tante cose che ci sono da fare in ufficio: ecco come ci vanno le cose. Quindi non bisogna fidarsi, bisogna organizzarsi per vigilarli, perciò diciamo che il popolo è chi comanda su tutto.

Quando dico che dobbiamo vigliare e che dobbiamo stare attenti e tutto il resto, è in base alla nostra pratica di lotta, di resistenza e ribellione: i nostri governi autonomi non li lasciamo soli, siamo molto altri. Ovviamente ciascuno di noi ha responsabilità perché come compagni abbiamo le aree di lavoro, al fine di imparare, perché diciamo che non si può esser buoni soltanto a pensare ciò che propongono i compagni autorità, bensì tutti e tutte dobbiamo essere capaci di pensare.

Ciò che fanno le nostre autorità è riunirsi, ad esempio un Municipio Autonomo Ribelle: ci possono essere 15 o 20 compagni e compagne, divisi per aree di lavoro: salute, educazione, agroecologia, commercio eccetera. Il compagno o la compagna incaricato di una qualche area dice agli altri: ‘ho questo problema’, dice al collettivo di autorità, cioè agli altri incaricati delle altre aree: ‘ho questo problema’.  Allora iniziano a discutere tra autorità, e perciò lo chiamiamo governo collettivo, e da lì iniziano a venir fuori idee, proposte, ma non è che si applichi subito ciò a cui sono riusciti ad arrivare i compagni.

Non possono: devono andare all’assemblea municipale delle autorità, ovvero dove ci sono anche le commissarie e le agenti, i commissari e gli agenti, ed è lì che lanciano la proposta di discussione di un problema. Allora i compagni autorità, i membri dell’assemblea, le autorità dei villaggi, tutti loro, secondo la nostra legge zapatista, si danno una linea, come abbiamo detto ieri, perché lì possono verificare che ‘questo è già stato discusso, sappiamo già che è permesso, i nostri villaggi lo hanno permesso e pertanto possiamo affermare che la proposta verrà portata avanti’, con l’approvazione dei compagni commissari. I compagni e le compagne autorità sanno che ‘questo non possiamo deciderlo qua dove siamo già d’accordo, dobbiamo consultare i nostri compagni e compagne dei villaggi’.

Quindi le autorità municipali o le giunte di buon governo, quando lanciano la loro proposta in assemblea, hanno il metodo di fare assemblea convocando un’assemblea massima tipo come siamo noi qui ora, e discutere al suo interno, come primo giro di discussione; quando ci si rende conto che non porta a un risultato, che non si trova l’idea, allora si dividono per regioni, tipo in 10, 15, 20 regioni per andare a discutere e poi tornare nuovamente in assemblea finché non se ne venga a capo.

Se non se ne viene a capo, portano tutto ciò che si è discusso, cioè percorso e cercato già, alle comunità, e si estende la discussione a tutte le comunità. Bisogna trovare una soluzione, e può essere che venga da un villaggio, un gruppo o un individuo, una proposta di un compagno o compagna in un villaggio, e questa sua parola, opinione o pensiero arriva all’assemblea massima e lì si sente qual è l’idea migliore tra tutte.

E’ così che le autorità autonome non sono sole in ciò che fanno: il loro lavoro è discusso, stabilito dai compagni base dei villaggi. Non fanno politica per conto loro, per quanto siano buon governo o Giunta di Buon Governo: tutto dev’essere approvato dal popolo. I villaggi sanno fin dal principio cosa si vuole fare e come si pensa di farlo.

Questo ha permesso che le nostre autorità non possano fare ciò che gli pare, che siano nella zona, nella Giunta di Buon Governo o nei MAREZ, nei municipi autonomi ribelli zapatisti, e giù fino alle autorità locali: ci sono sempre assemblee a livello locale nel villaggio. Un’autorità locale non potrà mai fare una cosa fintanto che non ne siano al corrente i villaggi, e lo stesso accade nella Giunta di Buon Governo: non possono far partire un lavoro se non ne sono al corrente le migliaia di uomini e donne.

Ve lo dico, compagni, compagne, fratelli e sorelle, non perché vada male ma perché si usano altre forme; mettiamo il caso di una relazione di lavoro con una delle poche Ong rimaste: questi pensano che se chiedono a me dico di no perché sono io, e se invece chiedono a te dici sì, eccetera. Quel che succede è che noi siamo migliaia, e quindi discutere ogni progetto ci porta via tempo, sia che lo accettiamo o no o dobbiamo dire cosa vogliamo fare in cambio: ci porta via tempo, e quando arriva la risposta ci dicono: ‘no, ormai è trascorso il tempo, non ce n’è più, finito’. Non importa, è per questo che c’è la nostra resistenza e ribellione: se non ce n’è, continueremo a lavorare e andremo avanti.

Con la nostra reistenza e ribellione, i compagni dei villaggi e le loro tre istanze di governo non prescindono da due cose. Una è che tutto ciò su cui si è già accordato il villaggio bisogna rendere conto su come va, su qualsiasi cosa si faccia: salute, educazione, agroecologia e tutti gli altri lavori. Ovvero devono rendicontare: cosa accade? come accade? perché accade? come avete fatto a risolverlo? cosa state facendo? Allo stesso tempo, devono rendicontare su tutte le entrate e sulle spese effettuate.

Con la resistenza e ribellione i compagni e le compagne hanno fatto pratica a partire da come si fanno i rendiconti nelle Giunte di Buon Governo e nei MAREZ, allorché i compagni e le compagne si chiesero: come possiamo credere alla giustezza del rendiconto? Se anche li chiamiamo compagni e compagne, e per di più portano il nome di Giunta di Buon Governo, sarà così?

Perciò i compagni inventano, creano – perché è la mancanza di fiducia – il da farsi perché ci sia fiducia. Ad esempio si inventano il sistema per cui la Giunta di Buon Governo tiene la cassa o come si chiama dove si tengono i soldi, ma la Giunta stessa non può toccarla senza la presenza della Commissione di Vigilanza. La Commissione di Vigilanza sono i turni fatti dalle basi d’appoggio tutti i giorni, mesi, anni, e stanno nel caracol, nella Giunta di Buon Governo, e la Commissione d’Informazione, ovvero sono i compagni e compagne che fanno parte del comitato, o alcuni sono candidati a farne parte, o sono supplenti.

Quindi quei due vanno al luogo della cassa, non da morto ma del denaro, e allora tirano fuori i soldi, qualsiasi delle due commissioni, chiedendo:

– Vediamo, compagno della giunta di buon governo, di quanto hai bisogno?

– Ecco, 15mila pesos.

– Vediamo – tirano fuori i 15mila pesos e glieli consegnano -, contali, così dopo non ci verrai a dire che non erano tutti.

Quindi li contano, e si va a comprare quel che serve. Tornando alla sera si tornano a incontrare le due commissioni, e dinanzi alle due commissioni si vede cos’è successo, perché ti manca questo.

Ecco come si dà fiducia al momento in cui la Giunta di Buon Governo fa il rendiconto, perché si rendono i conti, le informazioni, che sia ogni sei mesi, ogni tre mesi oppure ogni anno. In ogni caso ecco come si controlla, non è che abbiano mano libera: c’è chi può certificare che le cose sono a posto.

Nella nostra resistenza e ribellione abbiamo visto che ciò ha aiutato molto in fatto di giustizia, è come una parte… come vi posso dire… cioè, è senza fare politica, senza fare discussione politica con gli aderenti ai partiti, ma risolvendo i loro problemi perché la giustizia non si vende, non si compra e nel fare giustizia non si multa, non c’è multa. Ecco dove gli aderenti ai partiti possono rendersi conto e dire ‘andiamo con gli zapatisti, perché se proviamo con il governo ufficiale abbiamo bisogno di soldi’.

Perciò con la nostra resistenza e ribellione andiamo facendo giustizia, noi diciamo neutralizzando, perché non si mettano contro di noi, ma non perché facciamo politica ma perché agiamo: è da lì che possono vederlo.

Un altro nostro modo d’agire che ci ha dato risultati e ci ha fatto costruire la nostra resistenza e ribellione è non forzarli a essere zapatisti o basi d’appoggio. Nelle nostre pratiche comunitarie, ossia in ogni comunità, si parla con loro, con quelli che non sono dei partiti, perché nelle comunità ci sono affiliati ai partiti e no: si parla con loro e se vogliono stare nella scuola, ossia nell’educazione zapatista, ci possono stare senza soldi.

Si richiede solo che mantengano l’accordo della comunità su quando è tempo di lavorare gli orti, cioè che il tale fratello vada a lavorare anche il campo del promotore o della promotrice di educazione, e che vada quando c’è da lavorare la milpa. Diversamente, ci sono comunità zapatiste che raccolgono pannocchie di mais, pugni di fagioli e li danno ai loro promotori di salute, di educazione, e basta così. Pertanto i fratelli che vogliono mandare a scuola i loro figli, anche se non sono zapatisti, devono solo assolvere a questo e possono mandarli alla scuola autonoma zapatista, le figlie e i figli dei fratelli che non sono aderenti ai partiti.

Il risultato di questo lavoro, è che nel momento in cui i compagni celebrano qualcosa nei villaggi, ad esempio il 17 novembre, che è l’arrivo dell’Esercito Zapatista nel 1983, i bambini zapatisti e i bambini e bambine figli dei non affiliati ai partiti, partecipano insieme, recitano le loro poesie, le loro piccole orazioni e fanno pratica secondo quel che vedono fare ai loro genitori.

E quando fanno festa gli officialisti sono a zero, non c’è partecipazione di bambini e bambine, e allora quelli che hanno i figli nella scuola autonoma zapatista si incaricano di dire agli affiliati ai partiti: prendiamo maestri migliori, perché guarda mio figlio, mia figlia, lei sì che sa leggere e scrivere, lei sì che può già fare un piccolo discorso, e guarda invece il tuo o la tua: no, e allora che facciamo, perché siamo contro gli zapatisti? Così partono le discussioni e c’è la dimostrazione di quel che stanno dicendo.

Questo è ciò che ci ha dato la nostra ribellione e resistenza, continuo a dirvelo perché grazie a questo stiamo combattendo, stiamo mostrando che si può fare senza azionare le armi, ecco la sua importanza. Ma non vuol dire che stiamo dicendo che ormai non servono più, un giorno serviranno.

Torno a dire, compagni, compagne, fratelli e sorelle, che non ci può essere resistenza, ribellione, se non si organizza. Perché organizzazione è gente, è donna, è uomo, sono popoli, e se non c’è il popolo, cioè se non c’è donna, uomo, ebbene? Anche se hai maestria nel dire, nel parlare, nel tuo rollar diciamo noi, semplicemente sono parole al vento.

E allora come facciamo in organizzazione e pratica quel che dice un poeta, ad esempio? Come facciamo in organizzazione e pratica quel che dice un cantante? Come facciamo in pratica e in organizzazione quel che illustra un artista?, ecco, aiutatemi a fare una lista di cose simili. La questione è questa, perché allora ci organizziamo.

Mi ricordo che mi invitarono a una delle discussioni su quali materie avrebbero studiato i giovincelli. Dicevano: in scienze sociali, dice il sistema, il treno ad alta velocità, ma quale treno ad alta velocità passerà mai da qui. No, noi dobbiamo pensare a ciò che serve di scienze sociali qui nel nostro municipio autonomo, nelle nostre zone ribelli. Io gli dico, va bene, è così, e loro dicono:

– Vogliamo che si studi la storia perché nella SEP* (*Segreteria di Educazione Pubblica, ovvero l’autorità governativa che presiede all’istruzione in Messico, N.d.T.), nell’educazione del governo, ci dicono che il Messico ormai ha fatto la rivoluzione, ed è per questo che è morto Zapata, e allora noi vogliamo che si studi bene la storia.

Io chiedo ai compagni, com’è questa storia, e loro mi dicono:

– Sì, perché vogliamo che i giovincelli si sveglino.

– Ma come? – gli chiedo ancora.

– Guarda, come sono le tappe dei modi di produzione o società? Come si dice, quella storia del feudalesimo, schiavismo, capitalismo, imperialismo, e non so quanti altri.

I compagni dicono:

-Nel tempo, all’epoca dello schiavismo, come funzionava la politica, l’ideologia, l’economia, la società, la cultura. Com’era a quel tempo? Abbiamo bisogno di saperlo perché serve a risvegliare i nostri figli, perché sappiano.

Allora rispondo ai compagni: non so, io non ho studiato questo. Non ho studiato del tutto, compagni.

– E allora come facciamo?

– Vediamo chi lo ha studiato.

Perché qui in Messico ci sono molti studenti, e quindi vennero, e glielo chiedemmo, sul fatto delle varie tappe della società e dei modi di produzione.

– Non esiste un libro per questo. Non lo sappiamo neanche noi -, ci dissero.

Qui c’è qualcuno che lo sa? Quel che vogliamo sapere è questo, com’era nell’epoca feudale, com’era la politica a quel tempo, com’era l’ideologia a quel tempo, com’era l’economia a quel tempo, perché ora noi compagni sappiamo com’è per il capitalismo, ora neoliberista, possiamo ormai dire com’è sul piano politico, ideologico, economico e sociale.

Perciò vi dico che con la nostra resistenza e ribellione abbiamo una nuova educazione, una nuova salute. Con la nostra resistenza e ribellione lo abbiamo anche imparato, anche avendo delle lacune.

Guardate, ai tempi in cui non avevamo ancora stabilito per le Ong quanto vi ho già detto l’altroieri, si costruirono ad esempio cliniche o microcliniche secondo dei progetti, e allora noi:

– Clinica, ah, bene, ora sì che ci sarà la salute – così la si comprese.

Ma dopo quattro o cinque anni ci siamo resi conto di no, perché implica, implicò organizzazione, e quando i compagni vollero organizzarsi… Perché ve lo dico? Perché la microclinica o la clinica, fatevi il conto che sia dove siamo ora e che i villaggi siano a cinque o sei ore, e allora perché funzioni questa clinica il promotore o la promotrice di salute deve venire a fare i turni per portare avanti qua. E poi, poiché allo stesso tempo si fecero partire le tre aree, ossia le piante medicinali, allora i compagni e le compagne appresero quale pianta serve per la tosse, l’influenza, i parassiti, i dolori, eccetera, per la diarrea, il vomito, e allora semplicemente non andavano alla clinica, e allora i compagni iniziarono a dire:

– A cosa serve? – è che bisogna dargli da mangiare, al promotore di salute, – A cosa serve se non ci sta assistendo? Chi ci sta assistendo qua è la promotrice di erboristeria.

Queste cose ci cambiarono, ecco cosa c’entra quel che stavamo dicendo ieri, che iniziammo a riorganizzarci e allo stesso tempo a rieducarci. Quel che si è fatto è che i promotori di salute sono partiti con le campagne, portandosi dietro l’apparato per gli ultrasuoni, gli strumenti per il Pap Test, di laboratorio, da dentista. Si sono organizzati e danno servizi per municipi o per regioni, e diagnosticano chi ha problemi di ernie, tumori, appendiciti e cose del genere, e poi avvisano i dottori che ci aiutano, ed è così che noi aiutiamo i dottori, i medici, perché sanno già cos’hanno i pazienti, perché sono già fatte le lastre o gli ultrasuoni.

Allora sì davvero, allora sì c’è una nuova salute perché fin da prima si diagnosticano i problemi che hanno le nostre compagne, compagni, e ovviamente anche gli aderenti ai partiti.

Con la nostra resistenza e ribellione i compagni hanno la libertà di sperimentare quel che pensano a livello locale, per esempio ci sono villaggi che iniziano a creare ciò che chiamano BAC, e se gli chiediamo cosa sia, dicono la Banca Autonoma Comunitaria, ossia dei villaggi: loro stessi le creano.

E con la nostra resistenza e ribellione si stanno migliorando i mezzi di comunicazione, così li chiamiamo, che sono le emittenti comunitarie zapatiste autonome: loro le utilizzano, i compagni delle Giunte di Buon Governo, e da lì trasmettono quel che vogliono far sapere ai villaggi zapatisti e non zapatisti.

Con la nostra resistenza e ribellione si pratica insomma la nuova democrazia. Qui i compagni insieme ai villaggi, con le autorità, sperimentano nuove cose. A volte si sbaglia ma si rendono conto di questo e vedono come migliorare.

Per esempio, è molto importante, ed è una delle cose che ci ha portato a cambiare in meglio, come ho già detto, è la nuova educazione, ossia il fatto che i giovani abbiano appreso a leggere, a scrivere e far di conto. Giovani di 18 o 19 anni vengono nominati a essere autorità e magari quando sono in assemblea sono solamente giovani, sia nel Consiglio o nei MAREZ, sono solamente giovani. Questo è un errore, perché come giovani non hanno avuto esperienza, l’esperienza di essere stato un vecchio zapatista che è stato in clandestinità, con gli sforzi, i sacrifici e tutto il resto, e il grande valore di venire fuori nel ’94… i giovani no, sembra tutto molto facile per loro.

Allora i compagni si rendono conto che si inizia a sbagliare, e allora si inizia a organizzare i giovani, facendo scuola su quale siano i loro compiti, doveri, obblighi, funzioni, e cosa significhi essere autorità zapatista, perciò al momento di essere eletti, in tutti villaggi gli uomini, le donne, i giovani e le giovani ora sanno già quali sono i loro compiti e doveri.

Qui c’è una democrazia che si basa sulla sperimentazione e l’aiuto tra compagni, per esempio non so come si chiami, se è diretta o indiretta o mezzo diretta, non so, sarà compito vostro di verificarlo; per esempio qui siamo autorità, e quindi ci conosciamo già tra tutti noi, ci conosciamo su chi è compagno e compagna, su chi si preoccupa, su chi ha interesse reale, e appoggia, orienta, e che abbiamo visto non solo dire ma anche mettere in pratica.

Allora quel che facciamo noi è proporre come membro quel compagno o quella compagna, ad esempio della Giunta di Buon Governo, che siamo noi come autorità a scegliere. Ma il fatto è che noi ci conosciamo, e quindi proponiamo che sia quella compagna o quel compagno che non decidiamo noi, ma lo sottoponiamo ai villaggi, dove spieghiamo che noi come assembleisti pensiamo che sia la persona adatta a fare un determinato lavoro.

E i villaggi diranno, perché i nostri villaggi fanno domande: è veramente certo quel che ci dite, vi risulta? E noi come autorità dobbiamo dimostrare certe le cose, cioè che abbiamo visto che la compagna è davvero interessata, ha cura, orienta, supporta e ce lo dimostra nel suo modo di fare. Così le autorità aiutano i villaggi, e non perche si sceglie la compagna di qualche altro compagno o compagna.

Per esempio, come fanno i villaggi a vigilare sulle proprie autorità? Abbiamo detto che la Comissione di Vigilanza è presente in ogni momento nei Caracoles (inascoltabile)… è vigilare le proprie autorità, ma tanto i compagni e le compagne hanno bene in testa e nel cuore il vigilare le proprie autorità. Molto recentemente un membro della Giunta di Buon Governo è stato a Tecate, e i nostri compagni hanno verificato dov’era andato il tizio. Ovvero, i nostri compagni seguono le proprie autorità dovunque vadano, le tengono d’occhio.

La democrazia viene insegnata fin nelle classi di bambini e bambine, perché già da bambini e bambine capiscano il perché i loro genitori si riuniscono. E allora i maestri e le maestre dicono:

– Sapete, bambini e bambine, si avvicina la festa – gli spiegano, ad esempio il tre di maggio, e allora organizzano i bambini. Il villaggio farà la celebrazione del tre di maggio, voi bambini e bambine cosa pensate di fare?

– La pignatta, l’opera teatrale – iniziano a dire i bambini, ovvero li si consulta su cosa vogliano presentare.

– Ballate, opere di teatro, o le pignatte, o che altro.

Quindi i bambini imparano così, oltre al fatto che la loro mamma o il loro papà li accompagna in assemblea.

Una cosa che si è vista a partire dalla nostra resistenza e ribellione, è che non avremo paura di proporre ai villaggi le nostre proposte, per difficile che sia. I compagni delle Giunte di Buon Governo stanno appurando che, per quanto difficile sia il da farsi, bisogna proporlo ai villaggi perché loro lo discutano, ci pensino su, e vogliamo che così sia, perché pensiamo che il solo spiegare e parlare bene, cioè il riuscire a far fare al popolo quel che si vuole, non basti a permettere di fare le cose senza consultare il popolo, non so se mi capite su questo punto.

Ad esempio è come se io, poiché i compagni e le compagne mi hanno visto che ci azzecco su quel che vuole il popolo, mi inizi a credere chissà chi e inizi a far andare le cose secondo i miei pensieri, senza consultare voi come villaggi. E allora i compagni dicono ‘non lo permetteremo’. Per quanto ci azzecchiamo, dobbiamo dire le cose ai nostri villaggi, se no iniziamo a creare una cattiva cultura, torniamo a farci una cattiva cultura, mi è venuto in mente quando ha parlato il compagno Zibechi, perché è vero quel che ha detto, l’ex presidente del suo paese mostrava di fuori una bella facciata ma dentro chissà: come diciamo noi messicani, vediamo la faccia ma sul cuore non sappiamo, e ce lo hanno spiegato com’è andata.

Si tratta di una delle cose che abbiamo evinto dalla nostra resistenza e ribellione, perciò diciamo che non lo permetteremo, che il popolo deve sapere, dev’essere consultato. La nostra resistenza e ribellione ci ha aiutato, ci ha dato il tempo di inventare, creare, immaginare, perché non abbiamo un manuale, ecco la verità, non abbiamo un libro. Il nostro libro è valutare il lavoro per migliorarlo, il nostro manuale è il problema che sorge e come va risolto. Ecco come andiamo avanti: affrontando, risolvendo attraverso l’immaginazione e la nostra pratica.

Vale a dire che la nostra resistenza e ribellione implica di non lasciarci andare, di essere testardi e testarde, inamovibili, sul non lasciarci andare: la soluzione va trovata. Ossia prendiamo la nostra resistenza e ribellione come fossimo tra i proiettili e le bombe, ovvero la consideriamo come una guerra in cui abbiamo di fronte il nemico, bisogna cioè prenderla sul serio, perché trovare il modo migliore di governarci è uno dei modi per sconfiggere il nemico. Ci diciamo cioè che la lotta, lo scontro, non si fa solo con le armi e le bombe, ma anche sul piano politico, ideologico, economico, eccetera.

La nostra resistenza e ribellione esiste perché ci stiamo lavorando, la stiamo organizzando, perché siamo lì con i nostri popoli in lotta, dando aiuto, orientando, migliorando. E allo stesso tempo la nostra resistenza ci dà la sicurezza, e insieme ci aiuta a vigilare, cioè ad avere cura di noi. Perché la resistenza sia viva bisogna, come vi ho detto, lavorarci, e noi la consideriamo davvero un’arma di lotta, perché le nostre armi riposano da 20 anni, ma se non facciamo attenzione queste armi reali diventano inservibili… ma siccome abbiamo cura di noi sono uguali al 1994, ovvero sono utili perché ne stiamo avendo cura.

Allora la nostra organizzazione, la nostra ribellione e resistenza ci fanno avere cura di noi, ci danno sicurezza e dobbiamo migliorarle man mano, lavorando.

Con la nostra resistenza e ribellione abbiamo visto che i partiti politici non ci hanno diviso in tante parti, cosa che sarebbe stata un po’ diversa. Perché i partiti politici, e con loro anche le organizzazioni sociali cooptate dai partiti politici e fatte da scagnozzi dei partiti politici, sono chi ci divide, provoca, e questo continuerà. Qui vi darò un esempio effettivo di come affrontiamo questa cosa.

Per esempio, voi ricorderete, o se no ve lo ricordo io, che a Zinacantán il PRD, i perredisti, hanno sottratto l’acqua ai nostri compagni basi d’appoggio e al momento in cui andammo a rimettergli l’acqua ci attaccarono a pietrate, bastonate, spari. E allora accadde quel che accadde, la Giunta di Buon Governo compra un pezzo di terra con una fonte d’acqua, consegnandola ai compagni basi d’appoggio. Ma resta il fatto che i partiti politici ci dividono come popoli, e allora quando un gruppo che era di compagni esce, i compagni rimasti dicono ‘non gli daremo più l’acqua, perché è per chi è nell’organizzazione’, e lo vanno a proporre alla Giunta di Buon Governo, ma la giunta gli dice:

– No, compagni. L’acqua è la vita, non possiamo dire che non gli daremo acqua, anche se sappiamo bene che quando siamo venuti a ridarvi l’acqua ci hanno sparato, quei perredisti. Ma noi non faremo così, semplicemente li inviteremo ad aver cura dell’acqua e a rispettare gli alberi che abbiamo seminato, perché l’acqua serve perché crescano.

Vi potrei dire un mucchio di altre cose su questo punto, su come si fregano i popoli, su come ci dividono i partiti, ma è così che combattiamo questo; essere umili a volte funziona a volte no, ma i compagni su questo hanno ragionato con umiltà, e anche i perredisti possono usare l’acqua.

Con la nostra resistenza e ribellione, i compagni delle Giunte di Buon Governo e dei MAREZ si sono messi d’accordo a tutti i livelli di autorità su cosa portare alla discussione, perché c’è discussione interna, e ciò ci ha aiutato a creare, a inventare con loro l’escuelita.

Ci ha dato molta forza perché dalla discussione che hanno fatto i compagni dei MAREZ e delle Giunte di Buon Governo, ci hanno dimostrato che sono i veri maestri e maestre.

Da ciò si vede che è reale quel che è accaduto al tempo del nostro arrivo come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, nell’anno 1983. A quel tempo i primi compagni insorti giunsero molto quadrati, ma a contatto con i nostri compagni e compagne dei villaggi, come si dice, si sono riconfigurati dall’essere quadrati.

Perché loro erano già giunti di per sé portati dalla resistenza, di per sé vivevano ormai in comunità, e nel frattempo si vide che i compagni e le compagne dei villaggi erano già in resistenza, perché ci sono villaggi che nominavano un commissariato e il presidente municipale li forzava ad accettare che sia lui a nominare, stiamo parlando di prima dell’83, non c’erano basi d’appoggio, ma alcuni villaggi dissero: ‘non vale ciò che dice il presidente municipale, vale quel che diciamo noi’. E ci sono villaggi che invece lasciano che sia il presidente municipale a nominare.

Quindi c’erano già questi due tipi di villaggio, c’erano già villaggi in resistenza in questo caso, e allora non resta che reinventare ulteriori modi su come fare.

Perciò, compagni, compagne, fratelli e sorelle, questa è la nostra esperienza, come vi abbiamo detto abbiamo iniziato da una base piccola piccola come questo mais che ci hanno portato i compagni del nord.

E allora vedete voi quale semenza pensiate sia buona e quale semenza non è buona o non si può mettere in pratica, vedete cosa bisogna fare per prima cosa, e poi la seconda e la terza, e così via.

L’unica cosa che vorrei dire a conferma, è che ricordo che nell’anno ’85 mi toccò stare con un comando, una sezione, e un giorno, riunendo il comando, ci disse e spiegò: siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Ed era una sezione di quattro persone, e allora noi ci guardavamo l’un l’altro, ‘siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, quattro’.

E ci dice: qui ne abbiamo altri due. Lavoreremo e se lavoreremo ci saranno risultati, perché cresceremo, convinceremo il popolo, ci saranno molte compagne e compagni, ma c’è bisogno di molta sicurezza. Se non lavoreremo, ossia non faremo lavoro politico, ci annoieremo a guardarci in faccia tutti i mesi e tutti gli anni perché non vogliamo lavorare.

Bisogna quindi pensare come, e fu così, iniziammo a lavorare, e già nell’anno ’86 c’erano battaglioni di insorti e insorte, c’erano già battaglioni di miliziani e miliziane.

Non dimenticate, compagni, compagne, fratelli e sorelle, se così decidete: abbiamo iniziato come questo qui, piccolo, ma se lavoriamo cresciamo, altrimenti saremo pian piano più piccoli, ovvero moriremo senza aver fatto nulla.

Quindi, compagni, compagne, fratelli e sorelle, questa è stata la nostra partecipazione su cosa è la nostra resistenza e ribellione. Vi lasciamo l’onere di pensare a cosa vi serve e cosa no, e anzitutto il da farsi per ottenere ciò che si vuole fare, ma vi raccomandiamo: la prima cosa da fare è organizzarsi, se non c’è organizzazione non c’è nulla.

Molte grazie, compagni, compagne.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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la_realidad_moisesParole del Subcomandante Insurgente Moisés

7 maggio 2015 (sessione vespertina).

Buona sera, compagni, compagne, fratelli e sorelle.

(…) Dobbiamo tradurre le cose qui dette dal castigliano a tzeltal, tojolabal, tzotzil, chol, perché ci interessa discutere con i compas le cose che hanno esposto i compagni a questo tavolo.

Proseguiamo a spiegare che cosa è la resistenza e la ribellione per noi zapatisti.

Per noi, come organizzazione in resistenza e lotta, per prima cosa dobbiamo avere ben chiaro il perché della lotta, della resistenza, della ribellione. Se non abbiamo ben chiaro perché? per chi? per cosa? semplicemente non si va avanti.

La resistenza e la ribellione ci danno la vita. Perché? Perché abbiamo ben chiaro il perché, per cosa e per chi, e quindi facciamo quello che abbiamo deciso insieme di fare e poi vediamo se dà i risultati che vogliamo.

E facendo così ci siamo resi conti che sì, se si organizzano la resistenza e la ribellione, queste ci danno vita. E’ proprio grazie alla resistenza ed alla ribellione che siamo qui a parlare con voi. Cioè, se avessimo proseguito con la nostra insurrezione, con tutto il nostro coraggio, non ci saremmo accorti di quello che successe con la mobilitazione del 12 gennaio 1994. Senza quella mobilitazione, chissà dove sarebbero sparse le nostre ossa ora e non saremmo qui a parlare con voi.

Quindi, è grazie alla ribellione ed alla resistenza che siamo riusciti a capirlo, per questo siamo qui con voi. Ma è anche grazie alla ribellione ed alla resistenza che abbiamo potuto costruire per noi, zapatiste e zapatisti, questa piccolissima cosa, quelli che stanno là in fondo la vedono? No? Di questo si tratta, abbiamo cominciato così, con una cosa piccola, che nemmeno si vede, ma se la resistenza e la ribellione si organizzano, si moltiplicherà.

Ci dicevamo ‘un giorno parleremo con le messicane ed i messicani, e con i fratelli e le sorelle, ed i compagni e le compagne del mondo’. Ed ora lo stiamo facendo, ma serve molta resistenza e ribellione.

Non diciamo che la resistenza e la ribellione sono le uniche cose da fare, per questo diciamo di non copiarci, non si tratta di copiare. Per noi zapatiste e zapatisti, il nostro gvernarci, ovvero, la nostra autonomia, è tale grazie alla resistenza ed alla ribellione. Perché se ci fossimo dedicati solo alle bombe, alle pallottole, alla sfera militare, cari compagne e compagni, fratelli e sorelle, non staremmo qui con voi, ora, davvero.

Ma abbiamo capito,abbiamo visto che anche resistere ed organizzare la resistenza è un’arma di lotta, e così ora siamo qua e lo si vede nei fatti, e stiamo dando dei grattacapi al capitalismo. La nostra resistenza e ribellione non hanno una fine. Lo abbiamo capito nella pratica, perché è con la nostra resistenza e la ribellione che risolviamo i nostri bisogni.

Per esempio, abbiamo risolto la mancanza di educazione, abbiamo formato i nostri promotori grazie all’aiuto dei compagni e compagne che li sostenevano. C’era il problema sanitario; bene, abbiamo cercato e preparato compagni e compagne. E bisogna sostenerli ed andare avanti, perché la salute è una cosa seria e ci sono sempre nuove medicine e malattie che dobbiamo affontare e risolvere.

Quindi, passo dopo passo, risolvevamo i problemi, e bisognava organizzare la resistenza e così, per gioco, dicevamo ‘perché vogliamo l’autonomia?’ Ed abbiamo capito: per fottere il capitalismo (…).

Per questo diciamo che non c’è una fine. Ogni passo che facciamo è per costruire, e così accompagnamo la resistenza e la ribellione, ovviamente con l’organizzazione.

La nostra resistenza e ribellione hanno guidato le nostre leggi. Con la nostra resistenza abbiamo migliorato queste leggi e regolamenti sempre con assemblee nei villaggi, sempre in democrazia, cioè, col pensiero e la parola delle comunità.

Con la nostra resistenza si rafforza la nostra giustizia. Voglio farvi un esempio. Per noi fare giustizia è diverso da quello che si intende nel sistema capitalista, ed a volte è difficile da comprendere. Per esempio, nel caso di un omicidio, secondo la nostra legge, se io sono l’assassino devo lavorare perché la mia famiglia possa continuare a vivere, ma anche perché possa continuare a vivere la famiglia di colui che ho ucciso.

E quando succede, si presenta un problema, perché se il colpevole deve lavorare, gli devi dare gli attrezzi da lavoro, e può fuggire; ed allora dovresti ucciderlo per impedire che fugga. Ma questo non potremmo farlo. Perché? Qual’è il problema? Il problema è che non c’è una prigione dove si possano svolgere tutti i tipi di lavoro o per fare un lavoro che produca mais, fagioli e tutto quello che serve per dare da mangiare sia alla famiglia della vittima che alla famiglia del colpevole; ma non c’è, non ci sono risorse per questo. In alcune prigioni del sistema capitalista ci sono strumenti di lavoro, ma se li rubano gli stessi che dovrebbero applicare la giustizia.

Allora, che cosa facciamo quando ci si presenta un problema simile, come ci è già successo? In questo caso, i compagni hanno cercato una mediazione mentre si indagava sull’omicidio. L’autorità parlava con la famiglia dell’omicida e con la famglia della vittima. Mentre si svolgevano le indagini, la famiglia dell’omicida offrì 40 mila pesos di risarcimento alla famiglia della vittima e l’autorità disse: noi non possiamo dire nulla, si deve chiedere alla famiglia della vittima, perché noi come autorità noi diamo un prezzo alla vita di una persona.

Quindi, l’autorità fece da mediatore con la famiglia della vittima fino ad arrivare ad un accordo. Allora è successo così, ed è così che si risolse quel caso in comunità dove si vive in resistenza e ribellione – per questo ieri vi dicevo che di fronte al nemico, al capitalismo. non serve avere solo solo forza e rabbia – ma ci sono anche cose che sappiamo che non possiamo fare, come rubare, ma perché si ruba? perché si fa del male? da dove nasce il problema.

Bisogna indagare i fatti, perché molte volte i furti avvengono a causa della droga, dell’alcool. Allora le autorità fanno delle campagne molto intese nei villaggi affinché non succedano violenze per colpa di ubriachi o drogati, che se la vedranno brutta; o perché non accadano omicidi a causa di ubriachi o drogati, e poi alcool e droga li passano quelli dei partiti.

Poi abbiamo avuto altri problemi, perché è successo che noi ci siamo occupati degli assassini affiliati ai partiti, gli abbiamo dato mangiare, cioè ci siamo trasformati in poliziotti per loro, e bisognava occuparsene perché non scappassero. Quindi, diciamo che la giustizia zapatista si applica a tutti, indipendentemente da tutto. Molto bello a parole, ma nella pratica non è la stessa cosa perché lo devi tenere una settimana, te ne devi occupare, gli devi dare da mangiare, e devi stare attento che la sua famiglia non vada a lamentarsi che si stiano violando i suoi diritti umani perché non gli dai da mangiare. E per noi zapatisti questo era diventato un problema.

Vi sto raccontando questo, compagni, compagne, affinché non vi scoraggiate o demoralizzate. È perché capiate che bisogna organizzarsi per governarsi, bisogna considerare ogni aspetto della vita per governarsi.

Allora per risolvere questo problema, abbiamo detto a quelli dei partiti: sentite signor commissario, noi risolviamo il caso, facciamo l’investigazione e tutto, ma voi dovete tenervi l’assassino nella vostra comunità; o datelo al governo che volete, cioè al malgoverno. Ma la famiglia del colpevole dice: no, vogliamo che si risolva qui il problema perché là non sappiamo dove lo portano, non sappiamo quante violazioni commetteranno, e poi non abbiamo i soldi per andare avanti e indietro e per gli avvocati.

Allora gli abbiamo detto di incarcerarlo nella loro comunità, per rendersi conto di quanto è difficile e costoso occuparsi dell’assassino, perché devi dargli da mangiare, e nascono tanti problemi. E’ così che abbiamo educato anche quelli dei partiti ed un po’ alla volta cominciano a combattere la tossicodipendenza e capiscono le difficoltà ed anche l’inefficienza del governo perché ci dicono perfino: noi abbiamo preso il colpevole ed è già quattro o cinque volte che lo consegnamo al governo, ma il malgoverno non sa che fare e lo lascia andare.

Andiamo avanti con la nostra resistenza e ribellione e con la pratica cerchiamo di migliorare i nostri sette principi del comandare ubbidendo, perché è il popolo che comanda ed il governo ubbidisce.

Voglio farvi un esempio di cosa significa il popolo comanda, il governo ubbidisce. Per esempio, in un’assemblea municipale, che può essere di tre, quattro regioni – le regioni hanno decine di villaggi, per questo la definiamo assemblea del municipio autonomo – le autorità dei MAREZ, dei municipi autonomi, lanciano, una proposta riguardo una cooperativa o un lavoro collettivo. Quindi si va nei villaggi a sentire il parere degli abitanti e la maggioranza dice ‘sì siamo di accordo ‘, ma uno o due villaggi dicono: ‘noi non siamo d’accordo’.

Allora comincia la discussione sulle ragioni del disaccordo con le proposte del lavoro collettivo, e quelli che non sono d’accordo espongono i loro argomenti, tipo: siamo lontani dal luogo dove si svolge il lavoro, avremmo troppe spese. Allora le autorità del municipio autonomo, cercano un modo diverso di organizzare il lavoro collettivo per andare incontro alle esigenze di chi non è d’accordo. Non so se mi sono spiegato.

Allora si ritorna a discutere nel villaggio che non accetta la proposta, ma che ribadisce il suo disaccordo. Allora le autorità chiedono perché.

– Diciamo no, perché il popolo comanda.

Allora le autorità rispondono:

– Vi sbagliate compagni del villaggio x, non è così. Avete capito al contrario. E’ la maggioranza che comanda, perché la maggioranza dei villaggi del municipio autonomo è d’accordo.

Quindi l’autorità spiega un’altra volta che è la maggioranza a decidere, fino a che riesce a convincerli. Deve andare direttamente l’autorità municipale nei villaggi a spiegare le cose e lì si scoprono molte cose. Cioè, è l’autorità municipale che va nel villaggio a parlare direttamente con le basi, compiendo quello che dicono i nostri sette principi che bisogna convincere il popolo ma non vincerlo, e lì magari scopre che è l’autorità di quel villaggio a non volere il lavoro collettivo; quindi, il villaggio automaticamente punisce la sua autorità perché si è sostituita alla volontà della comunità.

Per questo non dico che non riusciamo a governarci, ma che dobbiamo lottare molto per poterlo fare. Cioè, noi siamo riusciti a farlo con la nostra resistenza e ribellione perché facciamo molto lavoro politico, ideologico, molte discussioni e spiegazioni e molte valutazioni anche su come siamo come organizzazione.

Ci rendiamo conto che non ci resta che lottare con tenacia, lavorare molto, con molto sacrificio, cioè molta resistenza e molta ribellione. Solo così possiamo mantenere e continuare la lotta, perché sappiamo bene che il capitalismo non ci lascia in pace.

La nostra resistenza e ribellione ci hanno dato la forza di mettere in pratica quello in cui crediamo, come esercitare la libertà collettiva, perché con la pratica, nel nostro governare, con la nostra libertà scopriamo sempre come migliorare. Tutte le zone stanno preparando la nuova generazione di ragazzi e ragazze, perché in questi 20 anni abbiamo capito che si fa un gran parlare, ma non si fa niente.

Allora, nel momento in cui scopriamo che cosa è la cosa importante, la cosa necessaria da fare, raccogliamo la decisione del popolo ed iniziamo a lavorare. Per primo bisogna prendere in considerazione la parola, la decisione del popolo, e da lì si comincia, perché dobbiamo scoprire se va bene oppure no, dobbiamo sperimentare, e così riusciamo anche a migliorare.

Per questo diciamo che la nostra resistenza e ribellione ci hanno aiutato a migliorare mettendo in pratica quello che vogliamo fare. Per esempio i compagni, compagne dei villaggi sono liberi di sostituire l’autorità che non rispetta il regolamento, o richiamare l’autorità che non rispetta il regolamento, o sanzionare l’autorità che non rispetta il regolamento.

La nostra resistenza e ribellione ci hanno dato la libertà di creare, inventare, immaginare come far funzionare al meglio il nostro governare per avere una vita migliore, e ci stanno aiutando a scoprire come migliorare l’azione di governo dei nostri governi autonomi.

Grazie alla nostra resistenza e ribellione, i popoli zapatisti, donne ed uomini, hanno il diritto di dire la loro parola, cioè la libertà di espressione, ed hanno il diritto di essere ascoltati, che si sia o no d’accordo, tutti devono essere ascoltati. E nello stesso tempo, le donne e gli uomini zapatisti, che hanno libera espressione, che sono liberi di pensare e parlare e di dire la loro, sono liberi di proporre come migliorare o proporre cose nuove; sono liberi di studiare, pensare e presentare nuove proposte. Sono liberi di analizzare e poi dire cosa ne pensano, sono liberi di discutere fino ad arrivare ad un accordo vantaggioso per tutti, ed infine le nostre comunità hanno il diritto di decidere cosa fare.

Con la nostra resistenza e ribellione, grazie alla pratica delle compagne, abbiamo scoperto molto su levatrici, guaritrici di ossa e piante medicinali, perché dicevano che bisognava riscattare quell’antica cultura che non aveva bisogno dei medici – perché neanche li conoscevano – basata sulle piante, radici, foglie. Perché le compagne hanno detto che la saggezza e l’intelligenza dei nostri morti era ben sotterrata e custodita nelle loro tombe, e che ora dovevamo riscattarle.

Abbiamo riflettuto ed abbiamo capito il significato politico di tutto questo. Ci siamo chiesti, ‘cosa è successo nel 1810? cosa è successo nel 1910? Quando Villa e Zapata muoiono, la lotta finisce ‘, cioè, la rabbia, la saggezza, l’intelligenza, l’arte, l’arte di lottare, di combattere erano concentrate su una sola persona. Quindi, i comandanti politici del comitato clandestino hanno dovuto pensare che cosa fare.

Con la nostra resistenza e ribellione abbiamo detto: affinché non succeda questo, dobbiamo consegnare un’eredità ai compagni, cioè alla nuova generazione – non è terra, non è una vacca, ma è la lotta, l’organizzazione EZLN e l’autonomia – e nel momento in cui stavamo passando l’esperienza, uno dei nostri compagni e compagne dice:

Ma, compas, manca qualcosa.

No, è tutto.

No.

E cosa manca?

Manca che ci insegnate quale sarà l’eredità della Sexta, o della Otra.

E ci siamo chiesti ‘quale altra, quale sexta?’, manca come organizzazione, non come autonomia che è già l’organizzazione delle comunità, donne e uomini che già si governano ed anche l’EZLN è un’organizzazione. Allora, quale Altra, o quale Sexta?, ma ‘lo vedremo poi, compagni’.

Ma noi non abbiamo nessuna eredità da lasciare, al contrario. Sono i nostri compagni e compagne dei villaggi che devono lasciare un’eredità ai compagni e compagne che davvero vogliono aderire alla Sexta. Così è nata la escuelita, a questo servono i compagni, le compagne.

Prima della escuelita, con i compas che sono stati maestri e maestre, guardani e guardiane, abbiamo capito quello di cui parlavano le compagne sul fatto di riscattare e non seppellire. E’ vero, versiamo lacrime quando muore un nostro caro, e con lui seppelliamo la sua saggezza ela sua intelligenza. Ma non dobbiamo essere egoisti, dobbiamo insegnare ai compagni, alle compagne, oltre che a noi, perché non siamo eterni su questa terra, se non ci ammazza prima il nemico, o se non moriamo in qualche incidente, ad ogni modo ce ne andremo, ma dobbiamo anche ritornare.

Questo ci ha fatto riflettere sul perché eravamo sempre noi a parlare in questo microfono, ‘perché sempre io?’, ci siamo detti, ‘perché abbiamo paura del popolo?’. Il popolo ormai si governa da sé, dunque che sia un’eredità completa. Quindi, sono i compagni e le compagne che devono essere le maestre ed i maestri.

Dunque abbiamo dovuto organizzare tutto questo, dare coraggio ai compagni ed alle compagne dei villaggi che devono sapere cosa fare quando noi non ci siamo. Questa era la sfida, dovevamo dare loro spazio, loro sanno spiegare le cose meglio di noi, davvero. Io sono insurgente, vivo nell’accampamento, non in un villaggio, sono loro che vivono la quotidianità della vita, io no, io sto nell’accampamento, ovviamente a dare ordini.

Con la nostra resistenza e ribellione abbiamo saputo risolvere il problema del dare ordini, perché i compagni, quelli che hanno governato per 20 anni, non hanno nessuna colpa di ciò, e nemmeno noi, perché era necessario che fosse così, che si eseguissero gli ordini. Nell’ambito militre, gli ordini si eseguono, non si discutono, non c’è democrazia, è così che abbiamo preparato i compagni miliziani e miliziane ed abbiamo potuto controllare le migliaia di combattenti, perché era così che funzionava, un ordine non si discuteva, ma nel momento di costruire l’autonomia ci è costata molta fatica togliere dalla testa che per governare non si tratta di dare ordini, ma di gestire accordi.

Ma quando siamo organizzati possiamo creare e possiamo fare e disfare. Abbiamo dovuto fare un’altra volta lavoro politico, ideologico, per far capire ai compagni cosa è una cosa e cosa è l’altra, come funziona in un modo e in un altro, e per fare questo c’è bisogno di organizzazione.

Questa mattina vi dicevo che ‘non mi piace stare qui ‘, ma secondo le regole della nostra organizzazione, bisogna fare quello che dicono le nostre communità. Noi siamo stati tanti anni in prima linea, ed ora vogliamo che siano i compagni ad andare avanti. Ma i compagni dicevano, ‘è difficile parlare lo spagnolo ‘, ma si deve fare perché così comandano i compas.

È il nostro modo di anadare avanti, lavorare, lottare, che poi sono la nostra resistenza e ribellione. Pensiamo che noi rappresentanti, non siamo indispensabili, e dunque tutti e tutte dobbiamo imparare, fare pratica, lavorare, cosicché se qualcuno deve andare via, ci sia subito un’altra, un altro, che lo sostituisca come medico per esempio, e noi lo possiamo e dobbiamo aiutare anche con la nostra esperienza. Non è la stessa cosa stare lì, seduti ad ascoltare i compagni e le compagne che parlano, ma poi devono parlare, prendere il microfono e parlare, e vedete che non gli trema più la mano, ma fino a poco tempo fa gli tremavano le mani, davvero non è la stessa cosa.

Quindi è necessario che i compagni facciano pratica e che noi li aiutiamo, perché quando sei morto o morta non lo puoi più aiutare, no? E’ così. Non è la stessa cosa che avere vicino chi ti aiuta, oggi, domani, sempre e potergli chiedere ‘senti, compagno, compagna, secondo te è scritto bene così? va bene come spiegherò questo?’. Così li aiutiamo.

Per questo diciamo che noi siamo molto altri, molto altre, molto diversi, perché facciamo come si fa per un paio di scarpe, un abito, si prendono le misure e si prova e si riprova fino a che va bene. Siamo così, compagni, compagne, fratelli e sorelle, nella nostra resistenza e ribellione.

Continueremo domani.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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MORTE E TRASFIGURAZIONE

Parole di Gustavo Esteva al Seminario Zapatista Il pensiero critico di fronte all’Idra capitalista. Oventic e San Crtistobal de Las Casas – Chiapas (Mex) 3-9 maggio 2015

Per tentar di capire quello sta accadendo, può essere utile voltarsi indietro e guardare come nacquero le teste dell’idra che vogliamo tagliare. Alcune chiavi del futuro possono avere le loro radici nel passato.

La mia generazione creò la sua prima formazione politica nel 1958, istituendo l’Unione Generale degli Operai e Contadini del Messico –nientedimeno!- o il Movimento Rivoluzionario Magisteriale, di Othón Salazar, che con certezza studiò a Ayotzinapa nel 2° anno di normale[1]. Fu la settimana santa del 1959, con lo sciopero che paralizzò il paese, Vallejo incarcerato, 9mila ferrovieri licenziati, l’ingresso di Fidel a L’Avana …

Alcuni di noi cercarono un impegno, più o meno sfortunato, sulle orme del Che. Però fu decisivo lo spirito degli anni ’60.

Furono gli anni del manifesto di Port Huron, allorché i giovani statunitensi scrissero l’agenda per tutta una generazione, per imparare da soli, più che dagli adulti, e porre i propri privilegi a servizio del cambiamento.

Si misero in marcia … ma senza saper bene verso dove dirigersi. Furono il ribelle senza causa incarnato da James Dean. Allorché chiesero a Marlon Brando contro cosa si stesse ribellando in The Wild One ringhiò seccamente: “Che accade qua dentro?”. Non lo sapevano. Ma i Beatles avevano ascolto ancor prima di nascere.

Furono gli anni del sogno di Martin Luther King: non era il momento di sorbire la droga del gradualismo, ma il tempo di rendere subito reali tutte le promesse.

Leader politici fra loro assai diversi simboleggiavano il cambiamento, Krusciov e Giovanni XXIII, Fidel e Nasser …

Autori inattesi aprivano nuove strade. Apparvero i manoscritti del 1844 …

Nel 1960 solo il 10% dei nordamericani aveva la televisione; dieci anni dopo, solo il 10% ne era privo. McLuhan ci spiegò come si stesse così formando una tribù mondiale che abitava il villaggio globale.

Fu il momento di Atlantic City, Betty Friedan, il decollo del movimento femminista.

Negli Stati Uniti nacquero un milione di ‘comuni’ e prese forza il Movimento di Ritorno alla Terra: radicarsi nel campo.

La lista è interminabile. È esistito realmente uno spirito degli anni sessanta, in tensione fra una corrente individualista e un’altra solidaristica e comunitaria.

Tutto venne messo in discussione: la famiglia, il lavoro, l’educazione, il successo, la saggezza, la pazzia, l’educazione dei bambini, l’amore, la scienza, la tecnologia, il progresso, la ricchezza …

Improvvisamente, tutta la gioventù del mondo era unita e trovava un linguaggio comune per rispondere a tutte le domande. Era necessario cambiare tutto. Vi furono momenti in cui all’improvviso si vide tutto quello che una società aveva di intollerabile, assieme alle possibilità di un’altra realtà sociale.

Vi fu una profonda rivoluzione di tutte le problematiche umane. Per una gran parte della popolazione del mondo il Medio Evo ebbe fine negli anni sessanta. In questo clima, con questa visione, in queste condizioni, si desiderò tutto. “Il cielo è il limite”, “Assalto al paradiso” divennero espressioni correnti. La prima oggi viene tradotta con “tutto è possibile”. Questo era ciò che significava e che pensavamo dicendolo. La seconda esprimeva un’intenzione  precisa: assaltare il cielo, prenderlo nelle mani. Era stato possibile camminare sulla luna. Come non era possibile assaltare il cielo politico e sociale? E non fu casuale che venisse usata la stessa frase forgiata da Marx, in una lettera a un amico, per parlare della Comune di Parigi, dove per la prima volta si vide il popolo cacciare i governanti e dare l’assalto al cielo.

Quegli ‘anni dorati’, dal 1960 al 1973, furono il vertice di un periodo di prosperità senza precedenti. Traballante, per i suoi stessi eccessi, il capitale aveva fatto concessioni. Era riuscito ad uscire dalla ‘grande depressione’ con la Grande Guerra, ma il suo recupero fu possibile solo grazie al New Deal (Nuovo Corso). I sindacati divennero forza reale della politica pubblica, fecero aumentare anno dopo anno i salari reali e nacque lo ‘stato del benessere’ (Welfar State). Ricette keynesiane crearono la domanda che il capitale era incapace di creare. La guerra, la morte di cento milioni di persone, assicurò il successo del pacchetto … e così si ebbero i ‘30 anni gloriosi’, con miglioramenti nelle condizioni della gente, un’espansione capitalista spettacolare e mobilitazioni dei lavoratori che andavano dalla cucina alle scuole e alle fabbriche, con ‘comuni’, picchettaggi e guerre di guerriglia. Sembrava proprio che la rivoluzione stesse arrivando.

Una eccitazione carica di speranza percorreva il mondo. Sembrava di essere alla vigilia del parto della nuova società. Sembrava che il delirio tecnologico della civiltà occidentale avesse incontrato la sua nemesi. La triste alternativa fra un mondo occidentale democratico che aveva venduto l’anima alla burocrazia sembrava giungere finalmente a una reliquia del passato. E la nuova alternativa era una società democratica diretta … piena di anima. Dietro lo splendore di questa grande visione, confluiva una sola ondata poderosissima e inarrestabile, l’emancipazione.

Nel maggio di Parigi, nel ‘68, stava confluendo tutto questo. Si mescolavano socialisti utopici con anarchici, freudo-marxisti e surrealisti. I nomi dei gruppi danno l’idea del momento: il “Comitato d’Azione Freud-Che Guevara”, il “Comitato Rivoluzionario di Agitazione Transessuale” … I loro lemmi erano chiari: “Tutto il potere all’immaginazione”; “È il sogno che è reale”. Per i situazionisti le rivoluzioni che si avvicinavano sarebbero state dei festival, “perché festoso è il tono stesso della vita che annunciano”. Sartre sottolineava: i giovani “non desiderano  un futuro come il nostro, noi che abbiamo dimostrato di essere codardi, avviliti dall’obbedienza, vittime di un sistema chiuso”. Morin vedeva “l’estasi della storia”, Touraine “il primo movimento sociale antitecnocratico”, Malraux “la risposta a una crisi della civiltà” …

I giovani contaminarono gli adulti. A Parigi ci fu lo sciopero generale più partecipato e prolungato della storia.

Una nuova era sembrava essere sulla soglia. L’agenda dei giovani di Port Huron sarebbe divenuta realtà:

Cercare alternative autentiche a ciò che abbiamo, fare tramite queste  esperienze sociali  per auto-governarsi. Dare un senso alla vita … Senza egoismi individualisti … rimpiazzeremo il potere basato sul possesso, il privilegio o le convenzioni col potere e la relazione basati sull’amore, la riflessione, la ragione e la creatività … il lavoro deve avere come incentivo qualcosa di più importante del denaro o della sopravvivenza. Deve essere educativo, non abbrutente; creativo, non meccanico; auto-diretto, non manipolato; che stimola l’indipendenza, il rispetto degli altri, un senso di dignità e la disponibilità a accettare le responsabilità sociali. 

Bello, nevvero? In questo clima vivevamo, a questo credevamo … però venimmo sconfitti.

De Gaulle minacciò di portare i carri armati a Parigi e il movimento ebbe termine. In Messico accadde il 2 di ottobre. La primavera di Praga venne cancellata dai carri armati. Le guardie rosse in Cina fecero quello che fecero. Martin Luther King e Robert Kennedy furono assassinati. A Woodstock, “la nuova società abortì, drogata e felice” …

Vi é una lunga serie di spiegazioni per la nostra sconfitta. Il food power che modificò contro di noi il modello mondiale dell’alimentazione; l’embargo petrolifero e gli interventi della Banca Centrale statunitense, che contaminarono tutto; l’individualismo di molti giovani rivoluzionari che impedì al movimento di andare oltre … Tutto questo ha pesato. Era parte della guerra che la famosa Commissione Trilaterale andava tessendo segretamente, la fusione del gran capitale con il grande governo. Ma il fattore decisivo può essere stato il fatto che si pensò possibile che il cambiamento venisse realizzato attraverso le strutture di governo. Si voleva cambiarle, trasformarle in altra cosa, ma allo stesso tempo si voleva utilizzarle per la grande trasformazione che si cercava di realizzare. Su questo terreno, che non è quello della gente, subimmo la grande sconfitta. Alcuni di noi impararono la lezione. Non c’era nulla da sperare dai governi, dall’alto. Il cambiamento non può venire da lì. Continuiamo a sorprenderci che alcuni continuino a guardare in questa direzione.

L’‘apertura democratica’ di Luis Echeverria, la sua lettura del ‘68, aveva tre componenti: inventare l’opposizione politica, dare denaro alle università e offrire opportunità agli universitari. Vari leader del ‘68 passarono dalle carceri a posti di governo. Altri incentrarono la loro vita nel nuovo partito che avrebbe catturato l’anima della sinistra e altri ancora si misero a insegnare e studiare.

In questo decennio ebbe luogo un grande dibattito nazionale e internazionale, che si svolse soprattutto fra marxisti, per decidere cosa fare dei contadini. Quelli di noi che credevamo nei contadini vennero chiamati campesinisti, per squalificarli. Quelli, cosa ancor peggiore, che credevano nei popoli indigeni, vennero qualificati etnicisti.

Ci afferrammo a una filiazione di Zapata per creare con scompiglio il Coordinamento Nazionale Piano di Ayala[2]. Per questa ragione, e altre ancora, Reyes Heroles, ministro degli interni, parlò del risveglio del Messico selvaggio.  López Portillo si autodefinì l’ultimo presidente della rivoluzione quando nazionalizzò le banche … e rovinò il paese.

Eravamo confusi, è fuor di dubbio. Tardammo a renderci conto della sconfitta e ancor di più nel capirne le ragioni. Tuttavia qualcosa stavamo imparando.

La mia organizzazione nel 1980 si chiamò Autonomia, Decentramento e Gestione perché, ci dissero, era ciò che voleva la gente con la quale lavoravamo. Celebrammo, nel centro di Città del Messico, la ‘festa dell’autonomia’ che era sbocciata dopo il terremoto[3]. Alcuni di noi andarono sulle montagne del Guerrero. Da lì, come ho scoperto in un ritaglio di giornale giallognolo che mi è capitato fra le mani venendo qua, dissi a un giornalista fuorviato, il 3 marzo del 1985, parole che mi paiono aver ancora oggi un  senso.

Per dialogare, diceva Machado, prima cosa é ascoltare; poi, di nuovo ascoltare. Ma dobbiamo, quindi, saltare giù dal treno delle concezioni mitiche. Come possiamo dialogare se abbiamo occhiali opachi e i nostri auricolari lasciano ascoltare solo la nostra musica? Come dialogare se non è possibile guardare l’altro negli occhi, ascoltare le sue parole e osservare assieme a lui la nostra realtà comune, perché lo impediscono le bende ideologiche che ci paralizzano come se fossero camice di forza?

Era questa, la difficoltà. Continuavamo ad essere paralizzati da una specie di accecamento. Così ci aveva ridotto la sconfitta che oggi conosciamo col nome di ‘globalizzazione neoliberista’ …

Ormai sappiamo cosa ha prodotto: ha smantellato tutti i progressi sociali e riportato alla situazione precedente al nuovo corso … e alla crisi del 1929. Riallocò i mezzi di produzione, deterritorializzò il capitale, accrebbe la concorrenza fra lavoratori, smantellò il potere sindacale e lo ‘stato del benessere’ e organizzò la spoliazione delle terre.

Il massacro di Ludlow, nell’aprile del 1914, dove vennero assassinati i minatori del Colorado in sciopero, descrive la situazione dei lavoratori di cent’anni or sono: solo il 5% di essi era sindacalizzato. Fu ciò che il nuovo accordo ha voluto correggere. Ormai siamo tornati lì. Solo il 6,6% dei lavoratori del settore privato degli Stati Uniti è attualmente iscritto ad un sindacato. Si era arrivati a una cifra cinque volte maggiore. Il declino del settore è oggi una realtà irreversibile.

Sono stati cancellati i progressi di un secolo in materia di disuguaglianza economica e di accumulazione della ricchezza, quelli che avevano creato l’illusione che la società capitalista avrebbe potuto essere ugualitaria e che tutta la gente avrebbe potuto appartenere alla classe media.

Aldous Huxley nel 1958 pronosticò quanto sarebbe accaduto:

Grazie a metodi sempre più efficaci di manipolazione mentale, la natura della democrazia verrà cambiata. Permarranno le vecchie forme pittoresche; le elezioni, i parlamenti le supreme corti e tutto il resto. Però la realtà sottostante sarà una nuova categoria di totalitarismo non violento.

Si sbagliò. Questo totalitarismo ricorre oggi a forme terribili di violenza in una guerra aperta contro la gente.

Non so quanti della mia generazione si sentirono orfani dopo il collasso dell’Unione Sovietica o l’apertura della Cina. Non fu il caso mio, perché da tempo questi paesi  avevano cessato di essere i miei referenti, però condividevo la perplessità di quasi tutti. Andai a vivere a otto chilometri da dove era nata la mia nonna zapoteca, in un villaggio in Oaxaca. Lì ruminavo il mio sconcerto … e mi aggrappavo ai miei, ai popoli che mi fecero nascere.

Il primo gennaio del 1994 mi trovavo lì. Si è affermato con ragione che la sollevazione fu il risveglio per tutti i movimenti antisistemici. Ma vorrei affrontare il tema in termini più personali. Fu una scossa turbinosa e ingarbugliata. Vi erano cose evidenti da fare. Uscire nelle strade, ad es., per dire che non erano soli. A marzo, afferrai la mano di non so chi in un cerchio di pace nella cattedrale di San Cristóbal. Era cosa giusta. Erano gesti anonimi. Ma in aprile commisi uno sproposito: scrissi un libro sullo zapatismo … per spiegarlo. Feci di peggio: lo pubblicai.

Non mi sono emendato. Dieci anni dopo tornai a fare la stessa cosa. Ne sono pentito[4].

Seguitai a bussare a varie porte per chiarirmi le idee. Paul Baran e Paul Sweezy negli anni sessanta erano stati fari intellettuali importanti per la mia generazione. Tornai a dar loro un’occhiata, a quello che scrissero allora e a quello di ora.

La dinamica neoliberista, dicevano, creò una forma di stasi prolungata, stabile e permanente, che mise nell’angolo il capitale. Venne rotta la tregua sociale: fin dal 2.000 si arrestò la creazione di nuovi posti di lavoro. Secondo Sweezy, la finanziarizzazione del processo di accumulazione del capitale costituiva lo sforzo disperato di sfuggire alla stagnazione economica. La finanziarizzazione agiva come una droga o come uno stimolante come per alcuni atleti. Consente di vincere una battaglia … ma porta a perdere la guerra.

Noialtri -scrissero Magdoff e Sweezy nel 1987- diventammo adulti negli anni 30 e così ricevemmo la nostra iniziazione alle realtà dell’economia politica capitalista. Per noi, la stagnazione economica, nella sua forma più atroce e penetrante, comprese le sue ramificazioni di forte portata su tutti gli aspetti della vita sociale, fu un’esperienza personale marcante. Sappiamo di cosa si tratta e quello che comporta; non abbiamo necessità di definizioni né spiegazioni.

Deploravano il modo in cui le nuove generazioni ignoravano l’idea stessa di stagnazione e non trovavano il modo per collegare la propria esperienza a quanto stava accadendo. Si, avevano ragione. La tendenza alla stagnazione sta alla radice di ogni società capitalista matura. Una cosa è certa: la finanziarizzazione è un rimedio salvifico tanto disperato quanto pericoloso.

Nel 1997, Sweezy sottolineò che la questione cruciale della sovra-accumulazione attuale deve essere letta nella inevitabile interrelazione fra la monopolizzazione globale, la stagnazione e la finanziarizzazione del processo di accumulazione. Non è una crisi, che ha sempre una soluzione ed è transitoria, ma uno stato di cose permanente, con conseguenze catastrofiche per la vita sociale, che non ha vie di uscita nel suo proprio contesto.

Gli anni della prosperità, ora lo si vede con chiarezza, sono stati un’anomalia, un periodo di follia nel quale il padre ha sperperato ciecamente il patrimonio familiare. Tutti ora ne soffrono le conseguenze. Dato che ora il capitale non può più investire nella produzione, l’idra attuale si consegna senza riserve a una febbre distruttiva. Come altri hanno detto in questo incontro, i danni per la Madre Terra mettono a rischio la sopravvivenza della specie umana.

La distruzione del tessuto sociale e politico è ancora più grave. Ogni settimana scompare una lingua. Scompaiono culture intere. Forme antichissime di esistenza sociale, che erano riuscite a resistere a tutti gli attacchi e nutrivano la convivenza umana, sono gravemente minacciate. La cosa più grave è la frammentazione individualista che esaspera la violenza e limita le possibilità di organizzare una risposta collettiva al disastro.

L’impeto distruttore è a volte cieco, folle, del tutto irrazionale, puro furore avido. Però altre volte è frutto di un calcolo patologico, che pensa ai precedenti, quando grandi distruzioni favorirono la rinascita capitalista. Si è tornati a sognare questo incubo in termini da togliere il respiro.

La frammentazione colpisce  sempre più persone appartenenti allo stesso gruppo, ragazzi contro ragazzi, lavoratori contro lavoratori, comunità contro comunità. Ci stiamo avvicinando alla sindrome jugoslava, al di là della guerra civile in cui ci troviamo, quando amici e vicini che erano vissuti assieme per secoli cominciarono ad ammazzarsi gli uni gli altri. Appena poche settimane or sono a Oaxaca si fu sul punto di una rissa spaventosa. Lavoratori semischiavi delle mafie del trasporto urbano presero dei tubi metallici per scontrarsi con lavoratori semischiavi delle mafie del mercato centrale. Accade fra loro, nelle famiglie, fra vicini, fra comunità …

L’espropriazione generale si aggrava. Parole eleganti quali ‘estrattivismo’ minerario o urbano, nascondono la rapina brutale.

La facciata democratica della quale il capitale aveva necessità per la libera azione del mercato si è trasformata in ostacolo, come pure le frontiere dello Stato nazionale, che erano state strumento privilegiato per l’espansione del capitale. La nozione di sovranità nazionale è sempre più un ricordo di tempi passati.

Nella storia vi sono stati momenti simili a questo. Però forse non ve ne è stato alcuno in cui il disastro sia tanto grande e spaventoso. Fa parte del disastro il fatto anche il fatto che si distenda uno spesso velo sopra quello che accade; si pensa perfino che le difficoltà presenti presto termineranno e torneranno i ‘bei tempi’.

I messaggi che a volte inviano coloro che protestano nelle strade, in Europa, è ambiguo: vi è qualcosa di peggiore dell’essere sfruttati, ci dicono: è il non essere sfruttati. Non c’è per caso qui attorno qualche capitalista disposto a rimetterci le catene? Si lotta per il posto di lavoro  così come si lotta per l’aumento del salario, e non vi è dubbio che siano lotte legittime e che sia necessario continuare a farle. Ma esse restano all’interno del quadro dominante, con la convinzione che è possibile vincere alcune di queste battaglie –cosa certa- ma si sta perdendo la guerra[5].

Il soggetto storico della trasformazione si è disarticolato. Gli eroi sono stanchi. Non tornerà a esistere un’organizzazione potente del proletariato industriale che per tanti anni fu per la mia generazione la promessa e la speranza del cambiamento. Quello che ne rimane  è come un vascello alla deriva.

Il regime politico creato dalla Rivoluzione Messicana[6] e che era una variante di quello configuratosi nel secolo XIX, é stato ormai smantellato. Non è solo il fatto che la Costituzione sia ormai un documento senza coerenza né sostanza, uno strumento per la manipolazione, il controllo e la rapina. Il fatto è che lo stesso ‘stato di diritto’, che mai è stato forte in questo paese,  ha cessato di esistere. Nel 2009 la Corte Suprema ha battuto gli ultimi chiodi sulla sua bara, certificando per scritto che il governo può sopprimere  le garanzie costituzionali e reprimere i movimenti sociali. Così, criminalizzando la protesta sociale e l’iniziativa cittadina, le istituzioni statali sbarrano adeguatamente l’unico cammino che ci resta per riorganizzare la società dalla base, e stabilire da lì le norme che devono regolare la nostra convivenza.

Nella confusione, per la mia fretta di distinguere il capitalismo di prima da quello di ora, mi sono azzardato a suggerire che forse non si chiamava capitalismo perché ormai non accumulava relazioni capitaliste di produzione. È una provocazione, interessante, ma la sua analisi tecnica è lunga, complessa, noiosa e poco fruttuosa. Non è utile per l’azione.

La vecchia domanda del che fare circola nuovamente fra noi e genera ansietà perché le vecchie risposte non sono più attuali. Con il secolo è morta la formula leninista che lo presidiò. Ma l’immaginazione resta paralizzata una volta che si abbandonano leader, avanguardie e partiti, come qualsiasi idea di occupare gli apparati dello Stato.

Consentitemi di affrontare di nuovo la questione in termini personali. Non ho programmato di morire nei prossimi giorni, ma sono cosciente di essere nella fase ultima della mia vita. La gente della mia età, dalle mie parti, viene giudicata persona di giudizio. Ma io credo di averlo perso, il mio, e a chi mi domanda che fare, rispondo sempre: non lo so.

Non è facile ammettere questo alla mia età. Si pensa che uno lo sappia. Ma non è così.

Come avrete notato sono una persona lenta a capire. Ma sono cocciuto. Non desisto. Voglio continuare a capire. Per questo vengo spesso in questo luogo per vedere cosa posso pescare. Si, lo so. Non devo idealizzarvi né copiarvi. Ma allora cosa … ci sono cose che molti di noi hanno portato via con sé: un mondo in cui stanno molti mondi, comandare obbedendo, camminare domandando, i sette principi … sono buone guide, indirizzano su buoni sentieri, alcuni impervi e difficili …

In verità non credo di poter offrire ciò che ci hanno chiesto. Vedo, soffro, mi addoloro, sperimento ogni giorno la tormenta che essi vedono. Ma non ho idee da proporre, orientamenti da indicare. Il massimo che posso fare è condividere quello che vedo nel mio mondo o nelle mie avventure quaggiù, quello che ascolto, e continuo a cercare di imparare.

Nel mio mondo, fra gente indigena, contadina e  emarginati urbani, vedo molta gente che si muove nel senso di organizzarsi. Alcuni hanno già recuperato le loro assemblee comunali, municipali, di quartiere. Devono impegnarsi a proteggerle continuamente dai partiti che li frazionano, dalle chiese che li dividono, dai funzionari che vogliono comprarli, dalle corporation che cercano di fregarli. Ma così fanno. Ci sono anche alcuni che vogliono spingere più avanti questa organizzazione che hanno realizzato e concordano coalizioni.

Altri non arrivano a tanto, ma hanno già un collettivo, un mezzo di comunicazione libero, una cooperativa.

Vedo che molti di questi cercano sempre più maggior autonomia. Decidono di produrre il proprio cibo, curarsi e imparare da soli, non dipendere da nulla e da nessuno.

Vedo anche fare cose che mi affascinano. Il nuovo per loro non è tanto organizzarsi ma il perché farlo: non lottano per conquistare gli apparati statali o per sedurli, per ottenerne qualcosa, perché soddisfino qualche loro richiesta. Ciò che vogliono è renderli irrilevanti, non necessari. Vi sono molti che non possono, sia perché dipendono dalla lana che perviene da essi o perché devono scontrarsi col governo per resistere a qualche puttanata.

Vedo sempre più fra loro una pratica che anni or sono chiamavamo circolazioni di lotte popolari, senza saper bene di cosa parlavamo. Oggi parlano di mutua educazione. Così come si sono lasciati educare da piante, animali e boschi, ora dedicano il tempo a educarsi gli uni gli altri, a imparare dalla lotta di ciascuno.

A volte questo assume forme affascinanti. A San Diego un mese fa mi hanno avvicinato i compagni della Sesta di Tijuana e mi hanno consegnano una maglietta con la scritta Ayotzinapa, Ferguson, Palestina. Ci hanno tolto talmente tanto che ci hanno tolto perfino la paura. Non è stato un fatto isolato. Compagni palestinesi hanno scritto a coloro i erano pieni di rabbia per il razzismo selvaggio della polizia di Ferguson. Collegare tre lotte che sembrano non avere nulla in comune spinge a pensare perché alcuni le hanno collegate. E quindi imparare a collegare quello che c’è da collegare. E mi ha sbalordito, alcuni giorni dopo, vedere che la maglietta era già emigrata al centro degli Stati Uniti e poi all’Est, e che i compagni del Movimento per la Giustizia di Quartiere, a Nuova York, che continuano imperterriti la loro solidarietà con Bachajón, avevano già la maglietta. Suppongo che da tutto ciò vi sia qualcosa da apprendere.

Il 22 marzo di quest’anno, da Amatlán, Morelos, il Congresso Nazionale Indigeno ha indicato con chiarezza che per resistere all’orrore e arrestare la guerra scatenata contro di noi “non bastano gli slogan” e “neppure lo si potrà fare affannandosi a seguire i calendari, le geografie e i modi di quelli che stanno in alto, ma abbiamo bisogno di costruire un nuovo paese, un nuovo mondo.”

Nelle loro dichiarazione, hanno rinnovato la decisione di “continuare a tessere un nuovo mondo possibile e necessario, infatti solo così potrà risplendere la pace  sui nostri popoli e aver fine la repressione.”

È questo il clamore generale. Lo ha detto brillantemente Arundati Roy: “L’altro mondo non solo è possibile ma è già in marcia; se, in un giorno tranquillo, ascoltate con attenzione, potete sentire il suo respiro”.

Com’è questo respiro?

Gli studiosi della rivoluzione, e fra loro alcuni che avevano partecipato a qualcuna di esse, già da tempo hanno enumerato le condizioni che indicano una situazione rivoluzionaria. Secondo questi, la possibilità esiste quando si combinano varie condizioni: crisi nel modo di funzionare della società, allorché le istituzioni cessano di svolgere correttamente le loro funzioni; una rapida cristallizzazione delle classi sociali e dei gruppi in conflitto; quando le loro idee e pratiche si coagulano e quando gruppi di solito dispersi, come gli studenti e i gruppi etnici, mostrano capacità di dare risposte collettive; nascita di organizzazioni e di ideologie che offrono una prospettiva alternativa a quella dominante; crisi dell’elite di governo, delle classi dominanti e degli apparati statali, e crisi morale, che mette in dubbio le strutture accettate del potere, dell’egemonia ideologica e del senso comune; tutto ciò in un contesto internazionale che facilita o almeno consente che accadano processi rivoluzionari.

Il fatto che tutte queste condizioni siano evidenti a tutti con crescente chiarezza, sollecita ovunque la tentazione rivoluzionaria, ma spesso conduce a reazioni tradizionali. Non si è generalizzata la convinzione che le vecchie forme di rivoluzione sono esauste, che ormai mancano di realismo e di senso. Questo stesso stende un velo sopra le iniziative che  sono andate gestendo e costruendo questo nuovo ordine sociale il cui respiro è udibile in un giorno tranquillo.

Per molte ragioni e motivi diversi, milioni di persone in Messico e nel mondo intero sono in movimento. Questo è il momento di valorizzare le loro iniziative e di ascoltare la gente comune.

Oggi non si tratta di fare la rivoluzione, o di programmarla e prepararla. Vi siamo dentro. Si tratta di decidere quale posizione assumiamo di fronte ad essa. Come diceva Benjamin, “non si può essere neutrali su un treno in corsa”. Il mondo si sta muovendo verso certe direzioni, alcune delle quali terrificanti. Essere neutrali davanti a questa situazione significa collaborare con tutto questo dramma.

Non abbiamo parole per descrivere quello che sta accadendo. Non siamo sull’orlo dell’abisso. Già vi siamo caduti dentro e sembra essere senza fondo. Dobbiamo agire. E la prima cosa da fare può essere quella di riscattare le infinite piccole azioni della gente comune, che è l’unica cosa che può produrre i grandi cambiamenti. Così è sempre stato. Perfino le più piccole azioni di protesta alle quali partecipiamo potrebbero trasformarsi nelle radici invisibili del cambiamento sociale.

Il mondo si è capovolto, diceva Howard Zinn, le cose vanno completamente male. Non è una questione di disobbedienza civile. Il nostro problema è l’obbedienza civile. Il nostro problema è che in tutto il mondo la gente è obbediente davanti alla povertà, alla fame, alla stoltezza, la guerra e la crudeltà. Il nostro problema è che la gente è obbediente quando le carceri sono piene di ladruncoli mentre i ladroni sono a carico del paese. Questo è il nostro problema.

Avere speranza in tempi difficili è fondato sul fatto che la storia umana non è solo crudeltà. È anche compassione, sacrificio, valore, bontà. Ricordarlo ci dà l’energia per agire, e quanto meno la possibilità di orientare questa trottola di mondo a girare in un’altra direzione[7].

E se agiamo, per piccola che sia l’azione, possiamo sperare in un grande futuro utopico. Il futuro è una successione infinita di attimi presenti, e vivere ora così come pensiamo che dovrebbero vivere gli umani, sfidando tutto il male che ci circonda, è in sé già un trionfo meraviglioso.

Il cambiamento rivoluzionario non arriva come un cataclisma improvviso ma come successione interminabile di sorprese.

Oggi regnano la violenza, il caos, il disordine, l’incertezza. Abbiamo bisogno di portare ordine e senso in questo mondo. E dobbiamo farlo adesso. Il cambiamento rivoluzionario è qualcosa di immediato, qualcosa che dobbiamo fare oggi stesso, dove ci troviamo, dove viviamo, dove lavoriamo. Implica iniziare ora stesso a disfarsi delle relazioni autoritarie e crudeli fra uomini e donne, padri e figli, fra un genere di lavoratori e un altro genere di lavoratori.

Questa azione rivoluzionaria non può essere repressa come un’insurrezione armata. Si sviluppa nella vita quotidiana, nei piccoli luoghi dove le mani potenti ma  goffe del potere statale non possono arrivare facilmente. Non è centralizzata né isolata, e pertanto non può essere distrutta dai ricchi, dalla polizia, dai militari. Si svolge in 100 mila luoghi nello stesso momento, nelle famiglie, nelle strade, nei quartieri, nei luoghi di lavoro. Repressa in un luogo, riappare fino ad essere ovunque.

Questa rivoluzione è un’arte. Richiede il valore, non la resistenza, piuttosto l’immaginazione.

………………………………………………….

Le cose cadono a pezzi, il centro non può tenere. Pura anarchia dilaga nel mondo La marea insanguinata s’innalza e dovunque La cerimonia dell’innocenza è annegata. I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori Sono pieni di intensità appassionata.

 

William Butler Yeats scrisse queste righe quasi cento anni or sono al termine della prima guerra mondiale. Fanno parte di The Second Coming, uno dei poemi più conosciuti e citati della lingua inglese. Ma nessuno vi pose attenzione. Dopo l’irresponsabilità del decennio del 1920 soffrimmo uno dei periodi più oscuri della storia umana. Oggi ci troviamo in un altro, che può essere anche peggiore. Non possiamo, non dobbiamo offrirci il lusso di alzare le spalle; chiudere gli occhi sarebbe suicida e criminale.

Si sono accese molte candele in questa oscurità ed esse brillano con intensità crescente[8]. Non c’è spazio per l’ottimismo, ma c’è spazio per la speranza, che non è la convinzione che qualcosa avverrà in un certo modo, ma la convinzione che qualcosa ha senso, indipendentemente da ciò che avverrà.

Oggi ha senso lottare.

Ha senso trasformare ogni giorno,  dovunque ci troviamo, tutte le relazioni crudeli e insensate che persistono fra di noi, e forgiare le nuove.

Ha senso far valere la nostra dignità contro tutti i sistemi.

Ha senso rendere irrilevanti quanti dominano e opprimono, forgiando l’emancipazione in ogni atto, ogni gesto, ogni parola, tutti i giorni.

Forse, lo dico timidamente e con titubanza, e mi trema la voce, ma solo questa, forse, dico, forse è arrivata la nostra ora. E si, sei un bastardo. Non so se saremo più bastardi o più porci. Però so che non staremo dormendo e non saremo codardi.

 

Traduzione a cura di Camminar domandando (www.camminardomandando.wordpress.com)

Le note sono tutte dei traduttori.

[1] Con riferimento è ai 43 studenti normalisti di questa scuola desaparecidos da fine settembre 2014, quasi certamente massacrati da esercito e polizia.

[2] Il Plan de Ayala (1911) fu un documento stilato dal leader rivoluzionario Emiliano Zapata durante la rivoluzione messicana.

[3] Un terribile terremoto sconvolse la città nel 1985. Di fronte all’inerzia delle autorità la gente reagì dando prova di notevoli capacità di autoorganizzazione.

[4] Elogio dello zapatismo Quaderni della Fondazione Neno Zanchetta, n.2, 1995 Lucca Libri ediz.

[5] Su questo tema, qui appena accennato, vedi: Dalla precarietà alla convivialità (o Buen Vivir) a partire dalla osservazione dei movimenti sociali latinoamericani di Gustavo Esteva e Irene Ragazzini – Relazione scritta per il Convegno  “Avere il coraggio dell’incertezza. Culture del precariato” , Parigi, 6-7 dicembre 2012, – comune-info.net/…/dalla-precarieta-alla-convivialita/

[6] Quella del 1910.

[7] Sul significato e valore della speranza vedi, di Esteva, La crisis como esperanza Bajo el Volcán, vol. 8, núm. 14, 2009, pp. 17-53 www.redalyc.org/pdf/286/28620136001.pdf.

[8] Ivan Illich, che certamente Esteva, suo ammiratore, ha avuto presente nel pronunciare queste parole, aveva scritto: “No. (Il consiglio) è quello di portare una candela nelle tenebre. Di essere una fiammella nelle tenebre”  (Cayley D. Conversazioni con Ivan Illich. Un profeta contro la modernità, Elèuthera, 1994, pag 101.

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Frayba

Il Centro dei Diritti Umani ritiene il governo del Messico responsabile per il suo concorso, a diversi livelli di responsabilità e partecipazione, nelle azioni di repressione manifestate nella violenza di Stato contro le Basi di Appoggio dell’EZLN.

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, AC

 R A P P O R T O

La Realidad, un contesto di guerra

 

Jobel, Chiapas, Messico, maggio 2015

Al Maestro Zapatista Galeano: Ad un anno dalla sua dipartita verso una Altra Realidad, il suo esempio e la sua lotta insegnano che la dignità si afferma al di là della morte.

 

Il territorio conteso

Dalla sua apparizione in pubblico nel 1994, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha dato conto della sistematica azione dello Stato messicano per frenare l’autogestione dei popoli autonomi che cercano di vivere in pienezza i loro diritti e cultura. Durante questi ultimi 21 anni ha denunciato pubblicamente una serie di azioni di vessazione, repressione e cooptazione che, come parte dei piani di contrainsurgencia, vogliono sottrarre simpatie all’alternativa politica, civile e pacifica che propone una nuova generazione di uomini e donne zapatisti.

Nel 2003 l’EZLN, nel quadro del rispetto degli Accordi di San Andrés in Chiapas, ha formalizzato l’inizio del governo civile rappresentato attraverso cinque sedi della Giunta di Buon Governo (JBG). Ogni governo autonomo ha sotto la sua giurisdizione diversi Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) il cui progetto si sviluppa attraverso varie Aree e Commissioni di lavoro.

Nella zona Selva di Confine, la JBG “Hacia la Esperanza” include quattro MAREZ ed ha sede nel Caracol 1 “Madre de los Caracoles, Mar de Nuestros Sueños”, nella comunità La Realidad, municipio ufficiale di Las Margaritas in Chiapas.

Da allora, le JBG hanno denunciato il modo in cui diverse organizzazioni e comunità sono passate, attraverso il logoramento, alla polarizzazione, come risultato prevedibile della guerra totale, portata avanti da tutti i governi di turno, fino ad ottenere lo scontro tra chi, in altre epoche, aveva condiviso la rivendicazione di istanze storiche sotto principi politici comuni.

In questo contesto è avvenuto il falso cambiamento di regime con la presunta alternanza nel potere simulato dalla classe politica, che mantiene intatta l’organizzazione, la struttura e la presenza sul territorio del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) nelle comunità del Chiapas, riproducendo vizi, corruttele e mantenendo nell’impunità le situazioni che esigono giustizia, che risultano utili per lo scontro con chi si oppone a mercanteggiare il territorio, come richiedono le attuali riforme strutturali in Messico, che approfondiscono ed accelerano il saccheggio del territorio a danno delle comunità.

L’uso della povertà come strumento di manipolazione

In Chiapas, anche i livelli di povertà estrema, emarginazione e oblio sono stati il veicolo del governo statale e federale per accelerare la cooptazione e la divisione comunitaria, come indicato nei piani militari per combattere l’insurrezione in Chiapas e così sottrarre possibili alleati al progetto politico zapatista per l’autonomia e la vita dei popoli indigeni.

La più visibile e reclamizzata di queste operazioni è stata realizzata il 21 gennaio 2013 nel municipio di Las Margaritas, uno dei territori emblematici del bastione zapatista nel 1994; in questo scenario il Presidente Enrique Peña Nieto, accanto al Governatore del Chiapas, Manuel Velasco Coello, ha lanciato il programma “Crociata Nazionale Contro la Fame”, uno dei tanti palliativi che lucrano sulla povertà ed alimentano la dipendenza delle popolazioni affinché persista il servilismo incondizionato.

Il programma ha già mostrato uno degli obiettivi politici, servendo per riposizionare le Forze Armate del Messico nella “zona grigia”(1), così definita per essere considerata un possibile territorio di espansione dell’insurrezione, e per generare cooptazione tra i popoli indigeni in resistenza.

All’interno della Crociata Nazionale Contro la Fame, con l’installazione dei Comitati Comunitari si è creata una struttura che ha impattato direttamente nella divisione comunitaria, soprattutto nelle zone di influenza zapatista, beneficiando nei fatti i soliti gruppi clientelari, cosa che non risolve minimamente le ancestrali domande di sovranità alimentare.

Così, l’obiettivo principale dei programmi di dipendenza dal governo è annullare la costruzione di alternative civili, garantendo la continuità della povertà, truccando gli standard di sviluppo nel marco del rispetto e garanzia dei diritti umani, cercando inoltre di nascondere le condizioni di milioni di vittime delle politiche governative.

Il suo obiettivo non è soddisfare né risolvere le cause di fondo, bensì persistere nelle fallimentari politiche populiste che sono utili per scopi elettorali, di manipolazione e controllo sociale.

In Chiapas i programmi governativi sono serviti come strumento di contrainsurgencia contro le comunità in resistenza, in particolare quelle che lottano per l’autonomia. A dimostrazione di ciò, basta leggere Luis H. Álvarez, ex titolare della Commissione per il Dialogo e la Pace in Chiapas nel governo di Vicente Fox (2000-2006) e Presidente della Commissione Nazionale per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (CDI) nel governo di Felipe Calderón (2006-2012), che nella sua autobiografia “Corazón Indígena” racconta le sue riunioni con presunte Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) in diverse comunità del Chiapas. (2)

Un’altra persona all’interno del potere municiaple coinvolta nel fomentare la contrainsurgencia è Florinda Santiz, attualmente consigliere per il Partito Azione Nazionale (PAN), incaricata dal 2004 di promuovere progetti nella zona della Realidad. È stata alleata di Luis H. Álvarez ed uno dei suoi obiettivi si inserisce nella strategia di cooptazione dei leader dell’EZLN. Come egli stesso ammette relativamente all’inadempimento degli Accordi di San Andrés “il governo federale sembrava scommettere che il semplice trascorrere del tempo portasse al logoramento dell’EZLN.” (3)

La contrainsurgencia in Chiapas

In questi ultimi 21 anni di Conflitto Armato Interno, in Chiapas attualmente le strategie sono focalizzate nella guerra a largo spettro, una guerra ad impatto psicosociale dove i governi impiegano ogni mezzo per occultare le problematiche reali che il popolo organizzato denuncia. È la guerra nascosta per un verso e, per un altro verso, aperta contro il “nemico interno”. Forma un fronte comune intergovernativo con il pretesto di combattere gruppi criminali, come il narcotraffico, permesso e fomentato con il coinvolgimento diretto di funzionari del governo messicano fin dagli anni ’80 ed oggi inseriti nelle strutture dei governi, municipali, statali e federale.

La strategia è mettere insieme tutte le problematiche apparenti e reali con le espressioni di dissenso e resistenza sociale per sconfiggere il dissenso ed avere una popolazione sottomessa agli interessi dell’élite dei poteri di fatto, politici ed economici. Lo scopo è creare le condizioni per l’implementazione di uno Stato repressivo che si costituisce come Stato criminale. Dove la struttura poliziesco-militare serve a reprimere le persone, organizzazioni, comunità, tra altri, che protestano ed esigono giustizia. L’azione repressiva serve a mantenerli al margine, in riga, controllati, in un contesto di guerra di sterminio contro l’umanità, dal centro e dalla periferia del sistema, nella logica della lotta al crimine organizzato o al terrorismo, con i conseguenti danni collaterali. Tutto questo permette di “amministrare” i conflitti, minimizzarli caratterizzandoli come “intercomunitari”, “religiosi” per saccheggiare i territori. In fondo si tratta di sconfiggere le azioni di resistenza contro le politiche e gli interessi dei poteri neoliberali.

La CIOAC e la contrainsurgencia

Lo scrittore e giornalista messicano Luis Hernández Navarro, a proposito della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos, segnala:

Nel 1994 si verificò un profondo processo di decomposizione all’interno dell’organizzazione. La sollevazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ne provocò la spaccatura. Molti si unirono alle file dei ribelli. Buona parte dei dirigenti diventarono funzionali al governo. L’organizzazione abbandonò i suoi antichi ideali e si trasformò in un apparato rurale clientelare e corporativo, dedito a negoziare progetti governativi e cercare posizioni politiche. (4)

In Chiapas, la CIOAC si è più volte spaccata; tra le sue fazioni si possono ricordare:

Histórica, Democrática, Independiente, Nueva Fuerza, Autónoma Región Quinta Norte Zoque-Tzotzil.

La maggioranza di questi gruppi hanno rappresentanti nei governi municipali e nel governo dello stato; la CIOAC-Histórica (H) “vinse” le amministrative a Las Margaritas nel 2001 con l’aiuto dei partiti ed ha governato per altri tre mandati.

I conflitti dovuti a interessi politici nell’ambito statale e municipale tra le diverse fazioni della CIOAC per occupare cariche politiche, hanno causato fatti violenti con l’uso di armi da fuoco ed armi bianche, sfociati in atti di: tortura, minacce, persecuzione, privazioni arbitrarie della libertà, anche contro membri di altre organizzazioni.

Il 14 febbraio 2014, la CIOAC-H annunciò in Chiapas la formazione di gruppi di autodifesa (5) con l’obiettivo di garantire la sicurezza e l’integrità della sua organizzazione e dei suoi dirigenti. Dopo questo annuncio, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha registrato l’azione paramilitare contro le BAEZLN della JBG della Realidad che ha avuto come conseguenza l’esecuzione extragiudiziale di José Luis Solís López (Maestro Zapatista Galeano).

La contrainsurgencia nel territorio zapatista della Realidad

Solo in questi ultimi anni nel territorio della JBG della Realidad, il Frayba ha documentato diversi eventi dove la contrainsurgencia del governo messicano, insieme ad agenti non statali, tenta di distruggere il progetto di autonomia delle comunità zapatiste. Di seguito riportiamo alcuni di questi fatti:

Agli inizi di gennaio 2014, durante l’avvio del corso della Escuelita “La libertà secondo le e gli zapatisti”, un camion viene sequestrato dagli affiliati ai partiti della comunità della Realidad, col pretesto che stava estraendo ghiaia senza il consenso dell’ejido; quindi le BAEZLN optano per lasciare la ghiaia all’entrata della comunità.

Il 3 marzo, due unità dei trasporti autonomi Las Margaritas-San Quintin, vengono sequestrate nel capoluogo dalle autorità della città con il pretesto di non aver rispettato il nuovo regolamento urbano.

Il 16 marzo, membri della CIOAC-H, fermano un camioncino Nissan appartenente alla JBG della Realidad usato in quel momento dalle BAEZLN per una campagna di salute presso le comunità zapatiste e non zapatiste nella regione.

Il 16 settembre, dopo l’esecuzione extragiudiziale del Maestro Zapatista Galeano, un BAEZLN riceve minacce di morte con una lettera infilata sotto la porta di casa nell’ejido della Realidad.

[…] no te podemos hablar pero por este medio te decimos cuidate. Ya sabemos que te estas llevando toda esta gente por mal camino para que nos peliemos mas ya no queremos mas sangre ni mas muerte pero si asi lo quieren se los damos. Cuidate ya sabemos quien te estas dando toda la pinche información con ese pinche chaparro que sale les esta llevando a la muerte ya date cuenta. Ya sabemos como familiar te estas pasando mas pendejo que como ese que ya le llevo. Por este paso te tocara igual. Ya sabemos que nos estan prohibiendo todo quieren mandar pero ni lo piensen. Ya sabemos que no nos quieren dar la luz por vos pendejo. Por eso cuidate ya sabemos donde trabajas donde caminas y que te estan protegiendo esas bolas de verga que dicen ser buen gobierno pero para nosotros nos bale berga. Ojalá que esto lo leas muchas veces para que te des cuenta. Señor Comisariado y todo tu componiente. (Sic)

Da luglio del 2014 al mese di maggio del 2015, membri delle Brigate Civili di Osservazione (6) hanno registrato azioni militari nel territorio della JBG, consistenti in incursioni di convogli di camion, hummer, jeep e squadre motorizzate e di elementi dell’Esercito messicano in unità formate da quattro a 30 persone. Inoltre, sorvoli radenti di aerei da turismo ed elicotteri dai quali fotografano e filmano persone e installazioni. Questa recrudescenza della contrainsurgencia si è resa visibile con la presenza dell’Esercito messicano; presenza che avviene nel contesto dell’esecuzione extragiudiziale del Maestro Zapatista Galeano, della solidarietà nazionale ed internazionale e dell’annuncio del Comando Generale dell’EZLN che avrebbe indagato su quanto successo il 2 maggio 2014.

Dai fatti riportati nei paragrafi precedenti, è evidente che le azioni di provocazione sono quotidiane, cercano lo scontro e sono inserite in una guerra integrale di logoramento avviata nello scenario dell’evento del 2 maggio 2014, perpetrato da membri della CIOAC-H, del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM), del PAN, quando hanno aggredito le BAEZLN nella comunità della Realidad uccidendo in forma extragiudiziale il Maestro Zapatista Galeano della Escuelita “La Libertà secondo le e gli zapatisti”; ferendo altre 14 persone (due da proiettili), distruggendo la scuola e la clinica autonoma e danneggiato i veicoli. Situazione che evidenzia una nuova tappa della guerra irregolare.

Atti di violenza contro altri attori nella regione

Il 1° dicembre 2013, Rosario Aguilar Pérez originario della comunità San Francisco El Naranjo, municipio ufficiale di Las Margaritas, è stato torturato e privato arbitrariamente della libertà dalle autorità dell’ejido San Carlos Veracruz, con l’accusa di aver trasportato nel suo veicolo una persona BAEZLN sulla strada che collega gli ejidos San Carlos Veracruz e San Francisco El Naranjo. Questa detenzione è avvenuta a seguito di “accordi comunitari” dell’ejido San Carlos Veracruz che proibiscono il trasporto e/o trasferimento di qualsiasi persona BAEZLN sulla strada sopracitata. Per riavere la libertà, il 2 dicembre 2013 Rosario ha pagato 30 mila pesos e le autorità hanno rubato una motocicletta di sua proprietà. A tutt’oggi il caso è impunito.

Il 10 febbraio 2014, è stato privato arbitrariamente della libertà Mauricio Aguilar García, di 19 anni, figlio di Rosario Aguilar Pérez, dalle autorità di San Francisco El Naranjo, per il divieto di passaggio dall’ejido San Carlos Veracruz. Il suo delitto, secondo le autorità, è stato guidare il veicolo in cui viaggiava suo padre Rosario.

Nei fatti sopra descritti, era coinvolto Gaudencio Jiménez Jiménez, che lavora nel Municipio di Las Margaritas come coordinatore del programma Microregiones, e la cui presenza è stata segnalata alla Realidad dalla JBG “Hacia la Esperanza” durante i fatti del 2 maggio 2014. È la persona che è stata segnalata come principale responsabile e fomentatore delle privazioni arbitrarie della libertà di abitanti degli ejidos San Carlos Veracruz e San Francisco El Naranjo, sulla base di accordi che violano i Diritti Umani. Inoltre, questo personaggio è legato alla Coordinadora de Organizaciones Democráticas del Estado de Chiapas (CODECH), come gestore ed autorizzatore dei progetti governativi nella regione di Las Margaritas, in complicità con Manuel de Jesús Culebro Gordillo, Presidente Municipale di Las Margaritas e presidente della CODECH, che beneficia direttamente la CIOAC-H delle risorse dei progetti. La CODECH si propone di rafforzare il PVEM e la fondazione Tierra Verde en Chiapas.

Il 6 novembre, Gaudencio Jiménez Jiménez ha aggredito e minacciato Marco Antonio Jiménez Pérez, abitante dell’ejido San Carlos Veracruz, per aver espresso la sua opposizione agli accordi presi nella comunità rispetto alla proibizione di libero transito per le BAEZLN.

Il 23 febbraio 2015, 50 membri della CIOAC-H dell’ejido Miguel Hidalgo, tra loro anche autorità ejidales, sono entrati a Primero de Agosto con armi di grosso calibro, hanno circondato le case ed hanno provocato lo sgombero forzato di 56 persone indigeni tojolabal che ora sono accampati a tre chilometri dalla strada Las Margaritas Nuevo Momón, alla deviazione per Monte Cristo Viejo, municipio di Las Margaritas. (7)

Sintesi dell’aggressione e dell’esecuzione extragiudiziale del Maestro Zapatista Galeano

Giovedì 1° maggio 2014 nell’ejido La Realidad, nella sede del Caracol 1, alle ore 11:00 era iniziato un incontro tra due membri della CIOAC-H, Alfredo Cruz, Segretario dei Trasporti e Roberto Alfaro, Segretario personale, e membri della JBG, alla presenza di due persone di questo Centro dei Diritti Umani in qualità di osservatori.

Scopo dell’incontro era trovare una soluzione al sequestro del veicolo Nissan appartenente alla JBG, trattenuto nella casa ejidale della Realidad dal 16 marzo, giorno in cui era stato bloccato da elementi della CIOAC-H dell’ejido della Realidad, capeggiati da Javier López Rodríguez, Commissario Ejidal; Carmelino Rodríguez Jiménez, Agente Municipale; appoggiati da militanti del PVEM e del PAN.

In questa riunione, la JBG sosteneva con la commissione della CIOAC-H che, come dirigenti dell’organizzazione, cercassero soluzioni pacifiche a questo problema. La commissione della CIOAC-H concordò che per procedere verso una soluzione, era necessario che un membro della CIOAC-H (Alfredo Cruz) andasse a parlare con le autorità ufficiali e con i membri della sua organizzazione dell’ejido della Realidad per cercare una soluzione al sequestro del veicolo. Al suo ritorno, Alfredo informò di non essere giunto a nessun accordo.

Data la complessità e riconoscendo la responsabilità della CIOAC-H, il Professor Roberto Alfaro chiese ad Alfredo Cruz di andare a parlare con Luis Hernández, dirigente della CIOAC-H, per informarlo della situazione presente nell’ejido La Realidad, ed esortarlo a giungere ad accordi con gli abitanti ed i membri della sua organizzazione che permettessero una soluzione in armonia. Per questo, si decise di proseguire in “riunione permanente” fino a risoluzione del problema, sempre con la presenza costante di due membri di questo Centro dei Diritti Umani in qualità di osservatori, e restando in comunicazione con la dirigenza della CIOAC-H e del Frayba, allo scopo di garantire trasparenza, equità e condizioni di sicurezza per il dialogo in corso.

I fatti del 2 maggio 2014 segnano un evento trascendentale nel contesto del Conflitto Armato Interno in Chiapas, che consiste nell’inclusione nella guerra del governo messicano contro l’EZLN, di altri attori che originariamente propugnavano la lotta campesina per il diritto alla terra. Ora i membri della CIOAC-H sono parte dello scenario di guerra, creano un gruppo armato di “autodifesa”, permesso, fomentato e rafforzato dalle strutture del governo municipale, con Manuel de Jesús Culebro Gordillo, sindaco e leader della CODECH, organizzazione che nel marzo del 2014 è entrata formalmente nelle file del PVEM attraverso la fondazione Tierra Verde A.C., organizzazione politica guidata dall’allora da poco Segretario di Governo dello Stato del Chiapas, Eduardo Ramírez Aguilar. Tutti loro sono diventati attori utili nella guerra contrainsurgente.

L’imboscata nel territorio della JBG della Realidad contro le BAEZLN, ha avuto come conseguenza l’esecuzione extragiudiziale del Maestro Zapatista Galeano. Durante l’aggressione sono state distrutte con accanimento la Clinica e la Scuola Autonoma, azioni che intendono minare l’autonomia zapatista nella sua costruzione di un altro sistema sociale e politico diverso dal decadente sistema neoliberale.

Bisogna segnalare che il Maestro Zapatista Galeano era già stato minacciato in precedenza dal Commissario Ejidale, Javier López Rodríguez, che militava nel PVEM; dall’Agente Municipale Carmelino Rodríguez Jiménez; dal Segretario del Commissario Ejidale, Edmundo López Moreno; e da Jaime Rodríguez Gómez, Eduardo Sántiz Sántiz e Álvaro Sántiz Rodríguez, membri della CIOAC-H.

Inoltre la CIOAC-H è parte operativa del governo municipale di Las Margaritas, controlla le risorse della federazione e del municipio e compie impunemente aggressioni, sgomberi forzati ed omicidi nella regione. (8)

Secondo le testimonianze documentate e corroborate da membri del Frayba presenti il 2 maggio del 2014, il primo fatto si è svolto all’entrata dell’ejido La Realidad, con l’imboscata da parte di un gruppo di 140 persone contro 68 BAEZLN che stavano tornando dai lavori collettivi nel Caracol 1. Qui le BAEZLN sono state ferite da colpi d’arma da fuoco, machete, pietre e bastoni; tre veicoli sono stati danneggiati: un camioncino Ford Ranger modello 2000, una Chevrolet modello 1985 ed un camion di tre tonnellate modello 2002.

Nel secondo fatto, testimoni hanno riferito che un gruppo di BAEZLN erano accorsi ad aiutare i compagni aggrediti e lì c’è stata la seconda aggressione con armi, bastoni e pietre, in questa imboscata è avvenuta la privazione arbitraria della libertà, tortura ed esecuzione extragiudiziale del Maestro Zapatista Galeano, pestato brutalmente oltre ad essere stato colpito da tre pallottole calibro .22, una alla gamba destra, una al petto ed una alla nuca, segno evidente di una esecuzione. Il corpo presentava diversi colpi di bastonate sulla schiena, in testa ed un fendente di machete in bocca.

Per l’esecuzione extragiudiziale del Maestro Zapatista Galeano, era stata avviata l’indagine preliminare N. 84/IN17/2014, inviata al Tribunale Secondo Penale Distretto Giudiziario di Tuxtla Gutiérrez, che apriva la procedura penale N. 123/2014. Il 25 maggio 2014 sono stati arrestati Carmelino Rodríguez Jiménez, Agente Municipale di La Realidad e Javier López Rodríguez, Presidente del Commissariato Ejidale della Realidad, fino ad ora gli unici due in carcere a El Amate (CERSS No. 14).

Altre sei persone coinvolte nell’indagine sono ancora latitanti.

Il 9 aprile 2015, il Giudice Sesto di Distretto con sede a Tuxtla Gutiérrez, ha respinto il Ricorso N.632/2014 presentato da Luis Hernández Cruz (alias Benito) e José Antonio Vázquez Hernández (alias el Camarón), leader della CIOAC-H, contro i mandati di cattura.

Conclusioni

Sulla base della situazione documentata, questo Centro dei Diritti Umani ritiene che il governo messicano è responsabile dell’esecuzione extragiudiziale, delle aggressioni e persecuzione della BAEZLN, e identifica come responsabili diretti i membri della CIOAC-H capeggiata da Luis Hernández Cruz e José Antonio Vázquez Hernández, autorità dell’ejido La Realidad e membri del PVEM e PAN, in complicità con Gaudencio Jiménez Jiménez, Florinda Santiz, e Manuel di Jesús Culebro Gordillo, funzionari pubblici dell’amministrazione municipale di Las Margaritas.

Denunciamo inoltre i seguenti funzionari di governo coinvolti nella politica di contrainsurgencia: Enrique Peña Nieto, titolare del governo federale, comandante in capo delle Forze Armate che perseguitano l’EZLN, che implementa progetti sociali che generano divisione, dipendenza ed atomizzano le comunità ed i popoli in Chiapas; Manuel Velasco Coello, governatore del Chiapas ed operatore politico dei programmi federali per l’azione di contrainsurgencia e protettore e finanziatore di organizzazioni come la CIOAC-H.

Di conseguenza, questo Centro dei Diritti Umani ritiene che il governo del Messico è responsabile:

Per il suo concorso, a diversi livelli di responsabilità e partecipazione, in azioni repressive manifestate nella violenza di Stato contro le BAEZLN.

Per la sua partecipazione diretta e indiretta, per azione e per omissione, nella commissione di crimini di lesa umanità, che si concretizzano nelle seguenti violazioni dei diritti umani: esecuzione extragiudiziale; sgombero forzato; privazione arbitraria della libertà, tortura, persecuzione per motivi politici ed etnici di un gruppo o collettività con identità propria, lesioni gravi all’integrità fisica e psicologica di popoli ed organizzazioni che lottano per la propria autonomia.

Per mancare al suo dovere di promuovere, rispettare, proteggere e garantire i diritti umani, prevenire, indagare, punire e riparare alle violazioni; e per mantenere una situazione di impunità strutturale.

In Chiapas il governo del Messico con le sue istituzioni violenta il diritto alla vita, alla sicurezza ed all’integrità della persona, alla Libera Determinazione espressa nell’Autonomia dei Popoli, basata e fondata su strumenti di stretta osservanza per lo Stato messicano come: gli Accordi di San Andrés, il Trattato no. 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni. Così come la Convenzione Americana sui Diritti Umani del 1969 ed i Patti: Diritti Civili e Politici; e Diritti Economici Sociali e Culturali del 1966 e rispettivi protocolli aggiuntivi.

Questa azione di contrainsurgencia è in stretta relazione con gli interessi del controllo del territorio e lede i diritti collettivi alla terra, al territorio, alle risorse naturali, all’autogoverno, all’autonomia ed alla libera determinazione.

*********

1) Bellinhausen, Herman. La actual etapa contrainsurgente inicia en Las Margaritas con la Cruzada Contra el Hambre. Jornada. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/24/politica/016n1pol

2) H. Álvarez, Luis. Corazón indígena. Fondo de Cultura Económica. 2012. México.

3) Ibídem

4) Hernández Navarro, Luis. Hermanos en Armas. Policías Comunitarias y Autodefensa. Para leer en libertad A.C. México., p. 49

5) Declaración de la CIOAC Región III Fronteriza a las Organizaciones Indígenas. Boletín CIOAC marcha Chiapas. 14 de febrero 2014. URL disponible en: http://issuu.com/ust-mnci/docs/boletin_cioac_marcha_chiapas_14_de_

6) Frayba. Ejército mexicano hostiga a la Junta de Buen Gobierno Zapatista de la Realidad. Boletín No 7. 10 de marzo de 2015. Chiapas, México. URL disponible en: http://frayba.org.mx/archivo/boletines/150311_boletin_07_incursiones_militares.pdf

7) Frayba. Familias desplazadas del poblado Primero de Agosto en condiciones precarias. Acción urgente No. 1, 06 de abril de 2015. Chiapas, México. URL disponible en: http://frayba.org.mx/archivo/acciones_urgentes/150306_au01_actualizacion_primero_agosto.pdf

8) Frayba. Boletín 16. Agresión a Bases del EZLN en sede de la Junta de Buen Gobierno de La Realidad. 5 de mayo 2014, Chiapas, México. URL disponible en: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/140505_boletin_16_agresiones_jbg.pdf

 

Testo originale

Traduzione a cura del Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

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Raul ZibechiCrisi e collasso: uno scenario inedito

di Raúl Zibechi

Una delle difficoltà che affrontano i movimenti antisistemici e chi si ostina a cercare di costruire un mondo nuovo, consiste nel fatto che non riusciamo a definire quello che sta succedendo davanti ai nostri occhi. A grandi linee, coesistono due visioni non necessariamente contrapposte, ma molto diverse: chi sostiene che siamo di fronte ad una crisi, più grande delle crisi cicliche dell’economia capitalista, e chi tende a ritenere che l’umanità sta per essere portata al collasso dal sistema.

Si tratta di un dibattito teorico con forti implicazioni pratiche, poiché ci troveremmo di fronte a due situazioni molto diverse. Vale ricordare che in altri periodi della storia recente, l’ascesa del nazismo per esempio, provocò profonde divergenze tra le sinistre dell’epoca. Non pochi trascurarono l’importanza del nazismo come una vera mutazione sistemica, e pensavano che si trattasse di un regime autoritario simile ad altri conosciuti fino ad allora. Tuttavia, col passare del tempo possiamo concordare con Giorgio Agamben secondo il quale il campo di concentramento modificò radicalmente la politica, insieme a quello che definì come uno stato di eccezione permanente.

Il seminario-semenzaio Il pensiero critico di fronte all’idra capitalista, organizzato dall’EZLN dal 3 al 9 maggio ad Oventic e San Cristóbal de Las Casas, è stato lo scenario di diverse visioni che ci attraversano. Da qui, in larga misura, la sua straordinaria ricchezza e fecondità. Nell’ambito anticapitalista coesistono molte analisi diverse sul mondo attuale, alcune ben fondate, altre più romantiche, alcune focalizzate sull’economia ed altre sull’etica, e molte altre sono combinazioni di queste e di altri modi di guardare e intendere. Credo che tutte abbiano la loro importanza, ma conducono a strade parzialmente diverse. O, meglio, possono contribuire a dilapidare le forze.

La cosa più complessa è che nessuno può dire di avere la verità in pugno. Questo punto mi sembra estremamente complesso, perché non consente di scartare nessuna proposta, ma nemmeno può portarci a dare per valido qualsiasi argomento.

Mi sembra necessario distinguere tra crisi e collasso, non perché siano escludenti, bensì perché incarnano due analisi distinte. Nell’ambito antisistemico, il concetto di crisi è associato alle crisi periodiche che attraversano l’economia capitalista. A questo proposito, l’opera di Karl Marx è un riferimento obbligato per gli anticapitalisti di tutti i colori. La sua analisi della crisi di sovraccumulazione del capitale si è convertita, giustamente, nel nodo per comprendere come funziona il sistema. Da qui ne deriva un insieme di considerazioni di stretta attualità.

Sebbene alcune correnti della politica economica abbiano coniato l’idea del crollo del capitalismo per le sue proprie contraddizioni interne, trascurando l’importanza degli individui collettivi nella sua caduta, è evidente che Marx non sia responsabile di questa deriva che ha avuto tenaci adepti nella prima parte del XX° secolo.

Nello stesso senso di Marx, Immanuel Wallerstein cita l’esistenza di una crisi del sistema che, dopo vari decenni di sviluppo, darà luogo ad un mondo differente dall’attuale (poiché ad un certo momento si produrrà una biforcazione) che potrà condurci ad una società migliore o peggiore dell’attuale. Ci troveremmo davanti ad un ventaglio di opportunità temporaneo, durante il quale l’attività umana può avere grande confluenza nel risultato finale. In questa analisi, la crisi si trasformerà in caos, dal quale uscirà un nuovo ordine.

L’idea di crisi è associata a periodi di cambiamenti, disordine, instabilità e turbolenze che interrompono lo svolgersi normale delle cose per poi, dopo un certo periodo di tempo, dare luogo ad una nuova normalità, ma modificata. Nelle crisi possono emergere fattori che daranno al nuovo una differente fisionomia. Dal punto di vista dei movimenti, è importante sottolineare due cose: che il concetto di crisi è troppo associato all’economia, e che appare legato a trasformazioni e cambiamenti.

Se ho capito bene, il subcomandante insurgente Moisés alla chiusura del seminario-semenzaio ha detto di non sapere se ci sarà il tempo per moltiplicare questo semenzaio, perché quello che si intravede non è una crisi, bensì qualcosa di più serio. Ha insistito: il tempo ci sta superando, ed ha detto che non basta più camminare, ma è ora di galoppare, di andare più in fretta. La notte precedente, il subcomandante insurgente Galeano ha detto che il 40% dell’umanità sarà migrante e che ci saranno spopolamenti e distruzione di intere zone per essere ristrutturate e ricostruite dal capitale. Credo che non pensasse ad una crisi, ma a qualcosa che potremmo chiamare collasso, anche se non ha usato questo termine.

Il collasso è una catastrofe su vasta scala che implica il crollo delle istituzioni, sotto forma di rottura o di definitivo declino. Nella storia ci sono state molte crisi, ma poche catastrofi/collassi. Per esempio, mi viene in mente quanto successo col Tawantinsuyu, l’impero incaico, a causa dell’arrivo dei conquistadores. Qualcosa di simile è potuto accadere all’impero romano, benché non abbia le conoscenze sufficienti per sostenerlo. In ogni caso, il collasso è la fine di qualcosa, ma non la fine della vita, perché, come è successo con i popoli indio, dopo la catastrofe si sono ricostruiti, ma come individui differenti.

Se realmente ci troviamo davanti alla prospettiva di un collasso, sarebbe la somma di guerre, crisi economiche, ambientali, sanitarie e naturali. Solo un dato: l’Organizzazione Mondiale della Salute ha avvertito che nel futuro immediato, gli antibiotici non saranno in grado di combattere i superbatteri causa di tubercolosi e polmonite, tra altre malattie. Insomma, il mondo come lo conosciamo può sparire. Se questa è la prospettiva immediata, e quelli di sopra lo sanno e si stanno preparando, la fretta di Moisés è pienamente giustificata. È ora di accelerare il passo.

Fonte: http://www.elclarin.cl/web/crisis-sistemica/15678-crisis-y-colapso-desafio-inedito.html

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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sub1

LA VISIONE DEI VINTI

Il testo che sto per leggervi è quasi tutto di un anno fa ed è quasi tutto farina del Sub Marcos. Per molto tempo è toccato a lui parlare, non delle compagne indigene zapatiste, ma della loro specifica lotta. Allora le donne zapatiste parlavano attraverso di lui, nel bene o nel male starà a loro decidere se si sono sentite rappresentate oppure no. Sta a loro giudicare. Fortunatamente ora sono le stesse compagne a parlare di loro.

Abbiamo sentito proprio adesso una specie di estratto della genealogia della lotta come donne, come indigene, come zapatiste. Tre generazioni di ribelli zapatiste non solo contro il sistema capitalista, ma anche contro di noi. Su questo tavolo, però, mancano almeno altre due generazioni. La prima generazione è quella che va tra i 12 e 15 anni ed è formata da quelle che stanno diventando promotrici di educazione o salute, o escuchas, o Tercios Compas o insurgentas, o quello che la creatività del popolo zapatista inventerà e aprirà come spazio ribelle e libertario. L’altra generazione è quella delle bambine Zapatiste che sono attorno agli 8 anni che nel ritratto sto provando a fare le sto disegnando come “Difesa Zapatista”. Una bambina irriverente che sintetizza quattro generazioni di lotta e almeno per adesso è imprevedibile.

Nel raccontarci la nostra la loro storia le compagne sono state generose perché hanno omesso una parte, o l’hanno solo menzionata.

Mmi riferisco alla nostra resistenza come uomini zapatisti. La nostra resistenza contro loro, la nostra paura nel vedere come hanno rotto i modelli e gli schemi. Uscendo senza chiedere il permesso dal ruolo che il sistema, non solo, e anche noi uomini avevamo imposto per loro costruito.

Nel rivedere la nostra storia vedo che c’è una sconfitta, che nelle vittorie che abbiamo appena menzionato non si riflette neanche pallidamente. Le difficoltà e gli ostacoli che le donne zapatiste devono affrontare tutti i giorni e tutte le ore, oltre a dover sottolineare che hanno lottato anche contro di noi e che ci hanno sconfitto.

Per questo dietro la loro storia c’è anche la nostra visione, la visione degli sconfitti.

Ma si può dire che non tutto è vero, perché anche noi come la idra capitalista siamo disposti a recuperare le nostre antiche posizione approfittandoci di qualsiasi crepa, segno di debolezza, qualsiasi sintomo che ci indica che hanno abbassato la guardia.

Io che sintetizzo meglio di qualsiasi altro il machismo e il sessismo zapatista (perché esiste esattamente come c’è il sessismo di sinistra, il sessismo libertario) mi metto a pensare alle possibilità che come genere maschile abbiamo di recuperare quello che abbiamo perso.

A ogni sconfitta che le donne ci hanno inflitto dicevo “torneremo e saremo milioni”. Ogni volta invece eravamo di meno. Sembra che i compagni Zapatisti, almeno i più giovani, vedono in modo naturale questi cambiamenti. Il resto cresce già con questa novità, che è una nuova realtà.

Penso che forse potremmo convincere la Comandanta Miriam a non partecipare più al comitato rivoluzionario indigeno comandancia generale dell’EZLN. Non so, potremmo dirle che ha già compiuto il suo dovere, che sarebbe ora di riposarsi, che i suoi figli sono già cresciuti, che ritorni a casa. Lo dubito, ma possiamo provarci.

Penso che potremmo anche provare a convincere le Comandanti Dalia e Rosalinda che sarebbe meglio che cominciassero a pensare di sposarsi, che devono smettere di andare da un posto all’altro in riunione o assistere a questi seminari, che sarebbe meglio che cercassero i loro uomini per formare la loro famiglia. Difficile, ma possiamo tentare.

Penso che possiamo rinunciare alla possibilità di convincere la generazione di Lizbeth e Selena che smettano di lottare come donne che sono, che sarebbe meglio che diventassero come le giovani partidiste e facciano un passo indietro nell’orologio delle lotte per poi diventare il contrario di quello che sono ora.

Non mi viene in mente come potremmo provare a relazionarci con la generazione della Toña, di Lupita e Stefanía, per dirle che sarebbe meglio se smettessero di studiare, che sarebbe meglio che imparassero a impastare a mano invece di imparare ad usare il cellulare, il computer, la videocamera e internet per la lotta zapatista.

Guardate sarò sincero riguardo alla bimba “Difesa Zapatista” mi viene solo in mente di compatire quello che sarà suo marito o sua marita. Se mi domandate di cosa ne sarà di questa generazione, quale sarà il modo, le sue ansie, le sue sfide, risponderei copiando il racconto del Gatto-Cane e direi “non lo sappiamo ancora”

Non mi resta che avvertire il Pedrito che le zapatiste con le quali si relazionerà negli anni futuri saranno altre e che una sua posizione sulla difensiva non potrà fargi male.

Da parte mia, per quanto mi riguarda, facendo bene i conti, tra somme e sottrazioni, intuisco che la nostra sconfitta è irreversibile. Che non solo siamo stati sconfitti, ma siamo stati vinti. E vi dico con sincerità e con il cuore in mano che davanti a questa eroica lotta mi resta solo la consolazione che la nostra stupida resistenza maschile sia stata di aiuto alle nostre compagne per obbligarle ad essere migliori come donne e come zapatiste.

Però se mi chiedete di fare uno sforzo e provare a ritornare all’inizio, all’origine di questa genealogia terribile e meravigliosa, vi direi che tutto ha avuto inizio con le insurgentas. Quelle compagne che sulle montagne ed ovunque hanno rinunciato alle loro vite in e con la famiglia, loro che hanno lottato finora per questo che è e per quello che sarà. Perché se gli domandiamo come vedono quello che si è fatto fino ad ora loro vi risponderanno: “Bene Sup, ma è chiaro che c’è ancora molto da fare”.

31 anni fa quando arrivò in montagna la prima indigena insurgenta ho sentito un brivido freddo percorrere tutto il mio bel corpo, sentii che non era per lei ma per quello che lei rappresentava. Stava arrivando una profezia: “Nessun uomo potrà mai dire che ti ha sconfitto, ma ci sarà chi lo potrà dirloe”. Per il resto, non credite, sono zapatista. Quindi mi verrà in mente qualcosa per controattacare.

-*-

Il SubMoy vi ha già spiegato che nella nostra organizzazione ci sono indigeni e non indigeni. Questo vuol dire che ci sono compagne non indigene che sono zapatiste. Noi zapatisti e zapatiste le consideriamo parte di noi. Così come consideriamo zapatisti questo spazio il CIDECI, e chi qui insegna, studia, lavora e lotta. Il compagno Maestro Zapatista Galeano disse una volta che c’è chi è zapatista e non lo sa, finché non se ne rende conto.

Per le condizioni delle nostre lotte le compagne non indigene non possono mostrarsi neanche camuffandosi. Non sono molte, si contano appena sulle dita di un paio di mani (qu la bimba Difesa Zapatista interrompe per ricordare: “saremo certamente sempre di più”), oltre ad avere un’avversione per i palchi, a mostarsi. Preferiscono l’oscurità, l’anonimato, l’ombra. Quindi penso che neanche con il passamontagna accetterebbero di sedersi qui di fronte a voi. Loro sono nessuno, come nessuno di noi lo è.

Le parole che sto per leggervi sono collettivi anche se sembrerà come se fossero di una sola persona, di una compagna. Il mio lavoro è stato solo di raccoglierle e subire la tormenta che con queste parole si risveglia.

Userò parole un rudi e dure. Devo dire a mia discolpa che tutte queste parole provengono dalle compagne zapatiste nn indigene. Quindi se vi scandalizzate sedetevi perché manca ancora.

Parla la compagna:

Voi siete molto stupidi. Credete che se noi ci abbelliamo è per essere di vostro gradimento, oppure per provocarvi, o, come dite voi, ‘perché siamo a caccia’. E’ il momento che capiate che se noi ci agghindiamo è perchécosì ci va di fare, perché così siamo più comode oppure semplicemente perché ci piace quel paio di scarpe, quella blusa, quella gonna, quel pantalone, insomma teniamo al nostro corpo. Oppure, dobbiamo sistemarci perché il maledetto padrone o padrona ci ha detto che così dobbiamo andare a lavorare. E poi, a voi che cosa cavolo interessa del perché ci facciamo belle abbelliamo?

Voi siete come dei cacciatori schizzofrenici. Credete che la città sia un terreno di caccia e che le donne siano delle stupide prede che fanno di tutto per diventare un facile bersaglio. Qualsiasi cacciatore sa bene che non è così. Ma gli uomini “machistizzati” sono così imbecilli che pensano non solo che le donne siano un pezzo da portare a casa, così si dice nel gergo dei cacciatori, ma anche un preda che fa di tutto per essere scoperta e mettersi sotto il tiro della pallottola.

I complimenti. I complimenti, per quanto innocenti siano o possano sembrare, con ragione possono essere percepiti come una molestia. Perché non ci si può aspettare che in una società capitalista come la nostra, parlo del Messico, con il tasso di femminicidio e violenza di genere che abbiamo, non si abbia paura. È ridicolo non aspettarsi una reazione di rifiuto.

Inoltre, io penso che siete solo degli idioti”.

Ovvio, io qui ho fatto la faccia del “voi? ma cosa c’entro io…”

“Cosa credete, che se ci dite ‘mamacita, quanto sei bona’ oppure ci palpate il sedere per strada o sui mezzi pubblici, che inoltre è da vigiacchi per non far vedere che siete stati voi e fare la faccia da ‘nonsonostatoio’, noi ci butteremo nelle vostre braccia dicendovi “prendimi, fammi tua, papacito”? Che poi siete dei codardi perché se noi vi dicessimo ‘papacito che bello che sei’ e vi palpassimo il sedere, vi caghereste addosso dalla paura e non sapreste cosa fare. Voi non volete legarvi o fare sesso, voi volete dominare, comandare, violentare. E poi credete che siamo stupide come voi, quando arrivate e dite ‘ehi compagna, forte questa lotta, spiegami di più, dai prendiamoci un caffè per continuare a parlare, sai che sei proprio intelligente’. E noi stiamo lì a spiegarvi le cose ma voi pensate, da stronzi, che ci stiamo provando, e non passa molto che venite fuori con ‘dái piccola, voglio farlo con te’, ecc. ecc. Ma poi, quando vi facciamo capire che non ci interessa, che era solo per parlare, voi reagite con le solite invettive ‘stronza, lesboterrorista, quello di cui hai bisogno è una bella scopata, così la smetti di dire stronzate, e non sei nemmeno tanto bella’”.

Alcune di queste frasi le ho copiate testualmente dalla conversazione su tuiter di una donna che spiegava il femminismo ad uno dei suoi follower, un macho cibernetico. L’ho fatto vedere alla compagna che ha detto: “è proprio così, e non solo su tuiter, ma anche nella realtà”.

La compagna non la smetteva più ed io, da bravo ometto, spportavo la sua furia. Pensavo soltanto: “porca miseria, e questa da bambina non era zapatista, figuriamoci cosa diventerà labambina Difesa Zapatista quando crescerà”. Vero, sono macho ma non stupido, l’ho solo pensato, ma non l’ho detto.

Sì, hai ragione quando si dice che noi donne siamo molto più crudeli con le altre donne rispetto agli uomini, che usiamo insulti maschilisti fra di noi e così ci diamo delle “puttane”, “rovina famiglie” o come nel film di Pedro Infante “smorfiosa”, tutte parole inventate da voi. Ma non si dice che tutto è un processo? Che nelle comunità indigene le donne stanno costruendo il loro percorso senza che nessuno imponga loro come farlo, senza che nessuno dia loro degli ordini o che le impongano manuali e ricette? Bene, anche noi stiamo imparando. È la cultura che ci frega con le vostre stronzate, e ci frega anche la nostra testa. E forse è per questo che ci sono tanti femminismi, perchè ognuna di noi ha il suo modo e una sua storia, i nostri fantasmi, le nostre paure e cerchiamo come combatterli e sconfiggerli.

E voi potete accettare o no la nostra lotta, ma attenzione, ho detto la nostra lotta, voi non siete parte di questa lotta.

Per quanto sensibili e ricettivi siate, non potrete essere femministe, perchè non potrete mai mettervi davvero nei nostri panni, perchè non avrete mai il ciclo mestruale, perchè non avrete mai il desiderio o la paura della gravidanza, non saprete mai cosa vuol dire partorire e mai saprete cosa vuol dire essere in menopausa, non avrete mai paura di uscire in strada alla luce del sole e dover passare davanti ad un gruppo di uomini, non saprete mai cosa vuol dire nascere, crescere e vivere con la paura che hai dentro di essere come sei. Non è che non desideriamo essere donne, che malediciamo di essere nate donne, tantomeno che avremmo preferito essere uomini. No, quello che desideriamo e lottiamo per ottenerlo, è essere donne senza che questo sia un peccato, una mancanza, una macchia, qualcosa che ci predestina a stare sempre sulla difensiva e ad essere delle vittime. Quindi, che non mi si venga a dire che ci sono uomini femministi. Ci sono uomini più a modo, ma non femministi. Solo quando questi uomini mi porteranno un assorbente macchiato del loro sangue mestruale, allora potremmo iniziare a parlarne e forse nemmeno in quel caso.

Nel frattempo io guardavo il corpo della compagna con attenzione. No, non stavo guardandole il sedere né tanto meno le tette, stavo osservando le sue braccia e le sue gambe. Che tipo di scarpe portava. Stavo calcolando il potere d’impatto di un suo pugno o di un suo calcio. Il calcolo è stato spaventoso, quindi mi sono messo a distanza di sicurezza. Era arrabbiatissima.

La compagna aveva le lacrime agli occhi, ma non erano le lacrime di una vittima. Erano lacrime di coraggio e rabbia. Mi sono ricordato allora delle lacrime negli occhi delle compagne e dei compagni di fronte al cadavere del compagno Galeano, delle lacrime dei familiari dei ragazzi assenti di Ayotzinapa quando ci raccontano la loro storia.

“Si lo so che stai per dire che la colpa è del maledetto sistema capitalista. Ma maledetti anche voi che non fate niente, che siete inetti. Continuate a dire che è importante lottare contro il sistema quando anche voi siete un pezzo di questo maledetto sistema. Voi e anche noi. Almeno noi non ci arrendiamo e resistiamo. Voi neanche questo perché siete pigri e stronzi. Lo so che questo è un insulto maschilista, però vi brucia ed è per questo che ve lo dico.

“Guarda, ti dirò che le cose più importanti ce le hanno insegnate le nostre compagne delle comunità zapatiste. Perché anche noi siamo delle stronze, ci crediamo migliori, crediamo di saperne di più, pensiamo di non essere così messe male e vogliamo fare lezione di femminismo e insegnare a lottare per i propri diritti. Queste sono stronzate. Non abbiamo niente da insegnare alle compagne, né con i libri, né con tuiter, né con le tavole rotondo o con le riunioni. Le compagne, quando andiamo da loro o quando loro vengono da noi, non ci dicono cosa dobbiamo fare, né ci criticano, né sparlano, come dicono loro. Ci dicono che vogliono imparare! Ma noi non abbiamo niente da insegnare loro. Loro ci insegnano Con la loro lotta, con la loro storia, loro ci insegnano che ognuno e ognuna ha il suo modo di lottare. Quando ci raccontano le loro storie, ci dicono: “noi facciamo così, ma ognuno ha il suo modo”. La cosa buffa è che con la loro lotta ci fanno mettere in discussione, ci danno una scossa di quelle che ti ribaltano, altro che la sindorme premestruale!

Quello che ha fatto avvicinare me ecredo altre compagne allo zapatismo, non sono state le compagne. Verto anche le compagne zapatiste. Non perché volevamo essere come loro. ma ci sono di mezzo anche i maledetti compagni zapatisti.

Il fatto è che lo zapatismo è grande, è qualcosa che ti fa desiderare di essere migliore ma senza smettere di essere quello che sei. Non ti dice di andare a vivere in comunità o di imparare la loro lingua, di coprirti il volto, di abbandonare tutto, anche la famiglia, per salire in montagna con le insurgentas od ovunque esse siano. Ma ti dice e ti chiede “Noi siamo qui a fare questo, e tu cosa fai là?”. Lo zapatismo ignora stupidate del tipo sei grassa, magra, bassa, alta, scusa, oppure bianca, vecchia, giovane, saggia, ignorante, campagnola, cittadina.

Credimi, non c’è amore più puro di questo, che ti rispetta, che ti ama per come sei ma ti avvelena perché allo stesso tempo ti fa desiderare di essere migliore come persona, come donna. Nessuno ti obbliga, nessuno te lo chiede. Nessuno nemmeno lo pensa. Questa è la fregatura, perché questo desiderio nasce dentro di te. E non c’è nessuno contro cui reclamare o al quale rendere conto se non il maledetto specchio. E non possiamo dare la colpa agli uomini, o al sistema, o alle condizioni. È così forte che ti rovescia addosso tutto, ti obbliga ad essere responsabile di questo amore. Non ti concede nemmeno un dannato angolo in cui nasconderti. Maledetto zapatismo”.

Mi sono comprtato come un macho, ho scritto tutto senza cambiare nulla. Le parole sono tali e quali come le ho ascoltate. Sono le stesse non perché le ho registrate, ma perché, e sarete d’accordo con me, sono parole difficili da dimenticare.

Alla fine ho detto alla compagna che avrei presentato queste parole al seminario, se voleva quindi aggiungere ancora qualcosa per chiudere. Lei ci ha pensato qualche secondo e poi ha detto:

“Sì, dì a quegli stronzi degli uomini che se la prendano con i loro padri, sì con i loro padri non con le loro madri, perché le madri non hanno colpa se sono così stupidi. Poi, dì alle compagne che…. che…

La compagna zapatista che ancora non sa di esserezapatista, cerca un una parola che non riesce a trovare.

che… che… guarda, io non sono credente, ma in questo momento non trovo altra parola per dire ciò che penso, quindi di alle compagne che…. che dio le benedica, che un giorno spero di ritrovarmi non di fronte a loro, ma accanto a loro, e di non sentire la vergogna che mi brucia in petto. Che spero che arrivi il giorno in cui mi chiamino “compagna”, perché lo sono. Bene, adesso ho da fare con Los Tercios Compas e devo occuparmi della rivista e dei comunicati sulla pagina web, trascrivere la registrazione, controllare il testo, l’artigianato, andare alla riunione e al lavoro, alla lotta sempre alla lotta. Ah! Dì gatto-cane che se piscia ancora sulla sedia mi sentirà”.

La compagna se n’è andata. Io mi controllo per assicurarmi di non avere nessuna frattura o emorragia, nessuna ferita, se non avevo perso niente altro che la superbia. Vedendo che le mie belle parti del corpo erano ancora intatte, sono andato al computer a trascrivere queste parole. Certo, primo ho avvisato il gatto-cane di cercare un paese dove non ci sia il trattato di estradizione.

Con questo è dimostrato che noi uomini abbiamo sempre l’ultima parola e…..

Grazie. Grazie alle Insurgentas. Grazie alle donne zapatiste, indigene e no. Grazie alle donne della Sexta. Grazie alle donne che non sono della Sexta ma che lottano.

Subcomandante Insurgente Galeano

San Cristobal De Las Casas

6 maggio 2015

 Traduzione “Maribel” – Bergamo

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comandanta daliaComandanta Dalia

Buona sera, compagni e compagne, fratelli e sorelle.

Spiego loro un po’ quello che disse la compagna Comandante Rosalinda.

Come ha detto la Comandanta Rosalinda, ora tocca a me spiegare che dal 1994 abbiamo capito di avere i nostri diritti come donne, ci siamo svegliate, e a poco a poco abbiamo imparato.

Nei villaggi, nelle regioni, abbiamo insegnato come organizzarsi per la lotta per il bene del popolo, anche senza aver studiato sui libri.

E’ nel 1994 che, come donne, come madri e padri, abbiamo avuto il coraggio di mandare a combattere i nostri mariti, i nostri figli, le nostre figlie, ben sapendo che non era facile affrontare il nemico, perché potevi tornare sono o vivo o morto, ma non abbiamo mai pensato a questo, avevamo ben chiaro di avere la responsabilità di crescere i nostri figli, le nostre figlie. È quando ci siamo rese conto che pensiamo come i compagni uomini.

Per spiegare, prima devi lavorare, imparare la lotta, e questo di grande responsabilità; come fare riunioni nelle regioni, nei municipi e nelle zone; visitare spesso i villaggi per organizzare le compagne e compagni nei lavori collettivi per sostenere la nostra resistenza nelle terre recuperate nel 1994, terre che ci avevano tolto i proprietari terrieri, è dalla clandestinità che facciamo lavori collettivi; ed anche andare a parlare in ogni villaggio, a uomini e donne, bambini e bambine, per far capire la lotta.

Non permettiamo che i nostri figli crescano con le cattive idea del sistema capitalista.

Così è andato avanti il lavoro delle compagne e la loro partecipazione come zapatiste in qualunque tipo di attività, o qualunque carica assegnata dalla comunità. Così sono stati riconosciuti i diritti delle compagne ed abbiamo ottenuto questa libertà. La libertà di pensare, di analizzare, discutere, pianificare, su qualunque cosa, ed anche i compagni hanno capito i diritti delle donne.

Il primo valore delle compagne è quando hanno permesso che i loro mariti, le loro figlie andassero a lottare. Il secondo, si sono liberate dai mariti, perché abbiamo visto quello che fanno gli uomini, e possiamo farlo anche noi donne, ne abbiamo il coraggio.

Possiamo parlare, analizzare idee, risolvere i problemi. Certo è stato molto difficile per noi, ma l’abbiamo fatto. Una volta i compagni uomini erano dei veri cabrones, ma siamo riuscite a farlo capire, anche se ce ne sono ancora alcuni che si comportano da cabroncitos, ma non più tutti.

Ma la maggioranza l’ha ormai capito. Le compagne non demordono, non si fanno umiliare come prima, come diceva la compagna Comandanta Miriam, si rivolgono alle autorità civili, alle agenti o commissarie. In ogni villaggio ci sono agenti e commissarie, e se queste non riescono a risolvere il problema, questo passa alle autorità municipali. Il problema viene risolto perché abbiamo regolamenti per ogni villaggio, a seconda degli accordi presi in ogni villaggio.

Ma non ancora tutte le compagne si lamentano perché hanno paura del marito, ma lo veniamo a sapere attraverso altre compagne, se ne parla in riunione e investighiamo noi compagne, e poi risolviamo il problema, perché noi abbiamo molta pazienza, non come gli uomini che non hanno pazienza.

Abbiamo visto che possiamo lavorare e ci siamo prese questo spazio per partecipare e formare una nuova generazione, facciamo anche errori, ma se facciamo errori, li correggiamo. Abbiamo continuato la nostra lotta con la pazienza di noi donne, e così siamo diventate responsabili locali, responsabili regionali, candidate, supplenti fino ad entrare nel comitato clandestino rivoluzionario indigeno.

Per organizzare meglio le compagne e far capire meglio ai ragazzi e ragazze, li dobbiamo orientare, attirare, incuriosire, contagiarli, ma non come una malattia, ma dobbiamo contagiarli di buone idee. Non è una brutta idea fargli capire che non devono vivere sfruttati dal sistema capitalista, e lo stiamo facendo, i ragazzi e le ragazze sono già organizzati. Come potete vedere qui con noi ci sono le nostre giovani compagne, Selena e Lizbeth, che saranno le nostre future autorità.

Ora procediamo per gradi, non c’è fine, ed ora siamo qui come comitato, come Commissione Sexta. Grazie all’organizzazione abbiamo imparato a leggere, a scrivere, a parlare un po’ di castigliano; prima non sapevamo nemmeno una parola di castigliano. Per questo non smetteremo di organizzarci come donne contro questo sistema capitalista, perché c’è ancora tristezza, dolore, incarceramento, violazione, come per le madri dei 43 desaparecidos.

Per questo stiamo condividendo con voi come Sexta nazionale, internazionale, fratelli e sorelle. Grazie alla nostra organizzazione zapatista, ora siamo prese in considerazione come donne zapatiste, per questo ci organizziamo uomini e donne, contro il cattivo sistema capitalista.

Quello che vogliamo è un cambiamento totale. In tutto il mondo, in tutto il paese. Bisogna che ci organizziamo, se non lottiamo contro il sistema capitalista, lui continuerà così fino a distruggerci, e non ci sarà mai un cambiamento.

Dobbiamo lottare al cento percento uomini e donne. Avere una nuova società, che sia il popolo a comandare. Noi, come donne zapatiste, non smetteremo di lottare, anche se il malgoverno ci uccide, perché i malgoverni ci hanno sempre perseguitati.

Scusate, compagni e compagne, fratelli e sorelle, non so parlare molto bene lo spagnolo. Spero abbiate sentito e compreso quello che ho detto.

È tutto.

Molte grazie.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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comandanta rosalindaComandanta Rosalinda

Buona sera, compagni e compagne, fratelli e sorelle.

Come ha appena spiegato la compagna Comandanta Miriam, è tutto vero. Siamo state maltrattate, umiliate, disprezzate perché noi stesse non sapevamo se avevamo il diritto di organizzarci, di partecipare, di fare tutti i tipi di lavoro, perché nessuno ci spiegava come fare per organizzarci per uscire da quello sfruttamento.

Perché a quei tempi vivevamo nell’oscurità perché non sapevamo niente, ma è arrivato un giorno in cui alcune compagne furono reclutate nella clandestinità, e quelle reclutate ne reclutatono altre villaggio per villaggio.

Poi arrivò il momento di nominare una compagna responsabile localmente di ogni villaggio. Io fui nominata responsabile locale del mio villaggio. È lì dove ho cominciato ad organizzare le riunioni per portare informazioni al villaggio, poi a fare riunioni con le compagne del villaggio per spiegare loro come organizzarsi nei lavori collettivi, e spiegare anche che era necessario che ci fossero compagne miliziane, insurgentas.

I padri e le madri capivano e mandavano le loro figlie a fare le miliziane, ad essere insurgentas. E quelle compagne svolgevano il loro compito con entusiasmo perché capivamo cosa è lo sfruttamento del cattivo sistema. Così è cominciata la partecipazione delle compagne.

Indubbiamente non è stato per niente facile, ma a poco a poco abbiamo imparato e siamo andate avanti fino ad arrivare al ’94, quando siamo usciti alla luce pubblica, quando non abbiamo più sopportato il maltrattamento dei dannati capitalisti. Lì abbiamo capito che era vero che avevamo lo stesso valore e forza degli uomini, perché abbiamo affrontato il nemico senza paura. Per questo siamo pronte a tutto contro il sistema capitalista.

Poi sono diventata responsabile regionale, ed il responsabile regionale è fare riunioni nelle regioni con le compagne responsabili locali, per portare informazioni al villaggio ed alle compagne per organizzarsi meglio. Andiamo anche nei villaggi per organizzare altri responsabili locali, per far capire alle altre compagne che la partecipazione delle donne è necessaria.

A poco a poco abbiamo perso la paura e la vergogna, perché abbiamo capito di avere il diritto di partecipare a tutte aree di lavoro. Poi ci siamo rese conto che per fare una rivoluzione non bastano solo gli uomini, la devono fare uomini e donne insieme.

È tutto, compagne, compagni.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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miriamComandanta Miriam, 6 maggio

Buona sera, compagne e compagni.

Anche a me tocca parlarvi di come era la situazione delle donne prima del 1994.

Soffrivamo la triste condizione di essere donne fin dall’arrivo dei conquistatori. Ci hanno spogliato delle nostre terre, ci hanno tolto la nostra lingua, la nostra cultura. E qui si è inserito il dominio dei cacicchi, dei proprietari terrieri con triplo sfruttamento, umiliazione, discriminazione, emarginazione, maltrattamento, disuguaglianza.

I padroni ci consideravano roba loro, ci mandavano a lavorare tenute senza tenere conto se avevamo dei figli piccoli o se eravamo malate. Non domandavano certo se fossimo malate, se non riuscivamo ad andare a lavorare, mandavano i loro schiavi che lasciavano la farina fuori dalla porta di casa perché preparassimo le tortillas per loro.

E così è passato molto tempo a lavorare nella casa dei padroni. Macinavamo il sale, perché il sale non era come adesso, così fine, prima il sale era a grossi blocchi che noi donne dovevamo macinare anche per il bestiame, e poi dovevamo sgusciare il caffè quando era la stagione della raccolta. Si cominciava alle 6 del mattino e si finiva alle 5 del pomeriggio. Per tutto il giorno le donne dovevano pulire i chicchi di caffè.

Così lavoravano le donne, con maltrattamenti, trasportando acqua e miseria, cioè con una paga miserabile, solo un pugno di sale o un pugno di caffè macinato era la paga per le donne.

E così passavano gli anni mentre le donne soffrivano, e quando a volte i nostri figli piangevano e li allattavamo, ci sgridavano, ci prendevano in giro, i insultavano dicendoci che eravamo ignoranti, inutili, solo un disturbo per loro. Non ci rispettavano, ci usavano come oggetti.

Loro fanno quello che vogliono di una donna, se ne scelgono una carina e la fanno diventare loro amante e lasciano figli ovunque, tanto a loro non importa se poi la donna soffre, la trattano come un animale con i suoi figli che crescono senza padre.

Ci vendevano come fossimo una merce al tempo dell’acasillamiento, non c’era mai riposo per noi.

Vi spiego cosa era l’acasillamiento. Acasillamiento significa che si arrivava con tutta la famiglia nella tenuta o nel rancho del padrone e l’uomo lavorava solo per il padrone, a seminare caffè, pulire il caffè, raccogliere il caffè, pulire il pascolo, seminare, fare la milpa, piantare i fagioli, ma solo per il padrone.

Nella condizione di acasillamiento c’erano anche servi e schiavi, donne e uomini. E quegli uomini o donne servi o schiavi molte volte erano senza famiglia. Succedeva che nella tenuta arrivava a lavorare una famigli e che poi il papà e la mamma si ammalavano e morivano, lasciando i figli orfani, e allora il padrone prendeva questi bambini e li teneva nella tenuta. E che cosa ne faceva di quei bambini? Non li adottava come dei figli, ma come schiavi. Quei bambini crescevano lavorando e se il padrone aveva una sua mascotte, cioè un cane, una scimmia, qualunque tipo di animale, erano questi bambini a prendersene cura. Dovevano seguire la scimmietta, curarla, lavarla, pulire dove dormiva, ecc.

Quando il padrone faceva delle feste, come quando venivano i preti nella tenuta per battezzare i figli, o per qualche compleanno o matrimonio delle figlie, questi servi dovevano restare di guardia sulla porta della tenuta per non fare entrare nessuno mentre il padrone faceva festa con i suoi invitati. E dovevano restare lì di guardia fino a che la festa non era finita.

E le schiave cucinavano, lavavano i piatti, si occupavano dei figli del padrone e dei figli dei suoi amici.

Così si viveva nelle tenute, e non si mangiava quello che mangiavano il padrone ed i suoi invitati, ma si beveva pozol, quando c’era, si mangiavano fagioli, se ce n’erano, mentre solo il padrone ed i suoi amici mangiavano cose buone.

E se capitava che il padrone dovesse uscire dalla tenuta per andare in città che distava 6 ore a piedi, ci doveva andare il servo, e se il padrone aveva dei figli malati, il servo doveva trasportarli in città. E poi tornava ma se doveva riportarlo in città, doveva trasportarlo un’altra volta.

E quando si raccoglieva il caffè, il servo doveva occuparsi dei muli, dei cavalli, non so se conoscete i cavalli, devono sellare e dissellare il cavallo del padrone, mungere le mucche e portare il raccolto fino in città dove viveva il padrone. Se viveva a Comitán, doveva andare a Comitán attraverso le mulattiere. Molti uomini e donne hanno sofferto la condizione di schivi a quei tempi.

Se nella tenuta c’erano alberi da frutta, non si poteva salire a prendere i frutti, e se lo facevi ti tiravano giù a frustate, perché non era permesso raccogliere la frutta senza il permesso del padrone, perché tutto il raccolto il padrone lo portava in città. Così pativano gli uomini e le donne.

Dopo tanta sofferenza delle donne o lo sfruttamento dell’acasillamiento, gli uomini si resero conto dei maltrattamenti alle loro donne. Alcuni pensarono che era meglio andarsene dalla tenuta di acasillamiento. Uno alla volta fuggirono e si rifugiarono sulle montagne perché erano rimaste accessibili solo le alture, cioè i latifondisti non si erano accaparrati delle terre di montagna, e lì andarono a rifugiarsi. Decisero che era meglio fuggire dalle tenute per non far soffrire più le donne.

Dopo molto tempo trascorso sulle montagne, si resero conto che era meglio unirsi e formare una comunità. Si riunirono, ne parlarono e formarono una comunità dove poter vivere. Così formarono la comunità.

Ma nelle comunità, come il padrone, gli uomini si comportavano da padroncini in casa. Le donne non furono liberate e gli uomini si comportavano da padroncini della casa.

Ed ancora una volta le donne dovevano restare rinchiuse in casa come in prigione.

Quando nascevano le bambine, queste non erano benvenute in questo mondo, perché siamo donne, cioè non ci vogliono. Ma se nasceva un maschio, gli uomini festeggiavano, erano contenti di avere un maschio. Cioè, avevano preso la brutta abitudine dei padroni. Così passò molto tempo. Se nasceva una femmina, era come un essere inutile, ma se nasceva un maschio era come se solo un uomo potesse fare tutto il lavoro.

Ma la cosa buona, è che mantenevano l’idea di comunità, cominciarono a nominare i propri rappresentanti, a fare riunioni, a vivere insieme. La cosa buona è che quell’idea non gliel’hanno tolta. I padroni e la conquista volevano far sparire la loro cultura, ma si sbagliavano perché loro erano riusciti a formare la loro comunità.

Ma in casa erano gli uomini a comandare e le donne dovevano obbedire. E se ti dicevano che ti dovevi sposare, ti sposavi, non ti chiedevano se ti volevi sposare con l’uomo che loro avevano scelto per te, magari il padre era ubriaco e ti obbligava a sposarti con l’uomo che tu non volevi.

E così pativano un’altra volta coi mariti, perché ci dicevano che le donne sono buone solo per la cucina, per soddisfare il marito, per curare i figli, e gli uomini non prendevano in braccio i figli, cioè non aiutavano le donne, ma ti facevano fare i figli e poi non gli importava come li crescevi. E questo è andato avanti per anni, e le donne partorivano un figlio all’anno, ogni anno e mezzo, cioè come statuine, uno dietro l’altro. Ma al papà non importava se la donna stava male perché doveva andare a far legna, fare milpa, pulire la casa, curare gli animali, fare il bucato, cambiare i pannolini ai bambini; la donna faceva tutto questo lavoro.

Per questo parliamo del triplice sfruttamento della donna, perché la donna doveva alzarsi alle 3 o alle 4 del mattino, in base a quanto era distante il posto dove il marito andava a lavorare, per preparare il pozol, il caffè ed il pranzo che il marito si portava via. Poi il marito tornava a casa e doveva trovare l’acqua pronta per lavarsi e poi se ne andava a passeggio e a giocare, e la donna restava ancora una volta a casa. (…).

Abbiamo sofferto molto. Al marito non importava se eri malata, non ti chiedeva ‘come sta’. Era così che vivevano le donne, Non sono bugie, perché l’abbiamo vissuto.

E se andavi in Chiesa o a qualche cerimonia o festa, le donne dovevano andarci con il capo coperto, Cioè, dovevano tenere la testa bassa e non guardarsi in giro, dovevano nascondersi il viso con lo scialle.

Così è passato molto tempo quando l’uomo aveva in testa queste brutte idee, questi brutti insegnamenti. Era così, compagni. Come se fossimo niente. Come se solo gli uomini possano essere autorità, possano uscire per strade e possano parlare.

Non c’erano scuole. In alcune comunità poi sono arrivate alcune scuole ma non ci potevamo andare perché eravamo donne, non ci permettevano di andare a scuola perché dicevano che era solo per andare a cercare marito e che era meglio che imparassimo a cucinare perché poi ci saremmo sposate e dovevamo imparare a come accudire un marito.

Se una donna veniva picchiata dal marito, non poteva reclamare. Se chiedeva aiuto alle istituzioni del malgoverno era anche peggio, perché appoggiavano il marito e gli davano ragione, e noi restavamo zittite, umiliate e ci vergognavamo di essere donne.

Non avevamo il diritto di parlare nelle riunioni, perché dicevano che eravamo tonte, inutili, che non servivamo a niente. Ci tenevano in casa. Non eravamo libere.

E non c’era assistenza medica, anche se c’erano cliniche e ospedali del mal governo, ma non erano per noi perché non sapevamo parlare castilla, e molte volte donne e bambini morivano di malattie curabili perché per loro noi non siamo niente, ci discriminano perché siamo indigeni, ci dicono che siamo indios zampa storta, non possiamo entrare nelle cliniche, negli ospedali, danno assistenza solo alla gente con i soldi.

Tutto questo l’abbiamo subito sulla nostra pelle. Non abbiamo avuto l’opportunità di dire quello che sentivamo per molti anni, a causa del cattivo esempio dei conquistadores e dei malgoverni.

È tutto, compagni. Ora continuerà l’altra compagna.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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LizbethCompagna base d’apoggio Lizbeth. 6 maggio

Buonanotte, compagni e compagne, fratelli e sorelle.

Noi spiegheremo un po’ come stiamo vivendo e facendo i lavori nell’autonomia dopo la sollevazione armata del 1994.

Noi giovani zapatiste e zapatisti di oggi, non sappiamo nemmeno come sia un capoccia, un proprietario terriero o padrone, e tantomeno sappiamo com’è El Amate, né come andare dai presidenti dei municipi officiali perché risolvano i nostri problemi. Perché grazie all’organizzazione dell’EZLN abbiamo le nostre autorità in ogni villaggio, abbiamo le nostre autorità municipali e la nostra giunta di buon governo per risolvere qualsiasi tipo di problema di qualsiasi compagna e compagno, zapatista o no, in ogni villaggio.

Noi abbiamo ora la libertà e il diritto, come donne, di avere opinioni, discutere, analizzare, e non come prima, come ha già detto la compagna.

Il problema che abbiamo ancora è che abbiamo timore a partecipare o spiegare come stiamo lavorando, ma comunque stiamo facendo i lavori come compagne.

Anche noi donne stiamo partecipando in qualsiasi tipo di lavoro, nella salute: ultrasuoni, laboratorio, Pap test, colposcopia, otontologia, infermeria; e anche in tre aree, ovvero, ostetriche, osteopate e piante medicinali.

Stiamo anche lavorando nell’educazione, come formatrici e coordinatrici, promotrici di educazione.

Abbiamo speaker, tercios compas.

Partecipiamo ai collettivi di compagne, a incontri di donne, e di giovani.

Stiamo partecipando anche come autorità municipali, e lì c’è qualsiasi tipo di compito che possiamo fare come donne. Stiamo lavorando anche nelle giunte di buon governo, come responsabili locali, e vendita di prodotti fatti dalle compagne.

In diverse aree di lavori dell’autonomia, stiamo partecipando insieme ai compagni, anche se noi come giovani non sappiamo come governare, ma ci nominano per essere autorità per il popolo, perché vedono che sappiamo qualcosa sul leggere e scrivere, e lavorando stiamo apprendendo.

La maggior parte dei lavori che stiamo realizzando è di sole donne, ma va detto chiaro che fare questi lavori costa, non è facile, ma se abbiamo il valore della lotta possiamo fare questi lavori, in cui il popolo comanda e il governo obbedisce.

Ora noi uomini e donne pratichiamo ogni giorno questo modo di lottare e governare. Per noi fa già parte della nostra cultura.

E’ tutto ciò che intendevo dire, compagni e compagne.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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SelenaCompagna ascolta Selena. 6 maggio

Buonanotte, compagni e compagne della Sexta.

Buonanotte, fratelli e sorelle.

Buonanotte a tutti in generale.

Il tema di cui vi parlerò, ossia che leggerò, è lo stesso tema che stava leggendo la compagna, ma dice di più sui giovani come zapatisti e non zapatisti.

Anche noi come giovani zapatisti stiamo affrontando la guerra a bassa intensità che ci fa il malgoverno e i capitalisti. Ci mettono in testa idee di modernità, come i cellulari, i vestiti, le scarpe, ci mettono in testa cattive idee attraverso la televisione, come le telenovelas, le partite di calcio e anche la pubblicità, affinché noi giovani siamo distratti e non pensiamo a come organizzare la nostra lotta.

Ma noi, come giovani zapatisti, non ci siamo cascati molto, perché nonostante tutto questo, i vestiti li compriamo, ma non compriamo quelli di moda, compriamo vestiti che sono quelli che usano i poveri, che è come ci vedete vestiti. Allo stesso modo compriamo le scarpe, ma sono scarpe qualsiasi, come usano i poveri; non compriamo quel genere di scarpette con quei tacchi, perché dove viviamo noi c’è molto fango, e se noi giovani camminiamo restiamo impantanate e dobbiamo tirar fuori le scarpe con le mani; ugualmente, non compriamo gli stivali di pelle, perché allo stesso modo si possono scollare nel fango perché non sono resistenti… sì, certo, compriamo degli stivali ma sono per lavorare, resistono al fango, non compriamo le scarpe che non resistono.

E compriamo anche i cellulari ma li sappiamo usare come zapatisti, che ci servano a qualcosa. Abbiamo anche la televisione, ma la usiamo per ascoltare notizie, non per distrarci.

Insomma compriamo tutto questo ma prima dobbiamo versare sudore, lavorare la madre terra per poter comprare quel che vogliamo.

Ma in cambio i giovani che non sono zapatisti sono quelli che sono caduti maggiormente in questa trappola dei malgoverni, perché anche se non ci credete questi giovani sono poveri-poveri, abbandonano la loro famiglia, il loro villaggio, se ne vanno a stare negli Stati Uniti, a Playa del Carmen o in altri paesi, solo per poter avere un cellulare, dei pantaloni, una camicia, scarpe alla moda. Se ne vanno perché non vogliono lavorare la terra, perché sono sfaticati, ma perché diciamo che sono poveri-poveri? Perché sono poveri come noi, ma sono poveri nel pensare perché quando vanno via dai loro villaggi e poi ritornano portano altre brutte idee, e altre usanze, perché vengono con l’idea di assaltare, di rubare, consumare e seminare marihuana, e tornando a casa dicono che non vogliono più lavorare con il machete, ed è perché non sono più abituati, ed è meglio che tornino dov’erano, perché non vogliono nemmeno più bere pozol, nemmeno sanno più cosa sia il pozol, sebbene siano cresciuti con il pozol, con i fagioli. Ma dove sono andati credono che non si conosca il cibo dei poveri, credono di essere figli di ricchi, ma è menzogna, sono poveri come noi.

Ma in cambio, noi come zapatisti siamo poveri ma ricchi nel pensare, e perché? Perché sebbene ci mettiamo scarpe e vestiti, e i cellulari, non cambiamo il nostro modo di pensare e di vivere, perché a noi giovani zapatisti non importa come siamo vestiti, o come siano le cose che usiamo, l’importante è che i lavori che facciamo siano per il bene del popolo, che è ciò che vogliamo noi zapatisti; che è ciò che vuole tutto il mondo, che non ci siano capi, che non ci siano sfruttatori, che non siamo sfruttati come indigeni.

Non so se avete capito quel che ho letto.

Era tutta la mia parola e chissà che vi possa servire.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Subcomandante MoisesParole del Subcomandante Insurgente Moisés. 6 maggio 2015

6 maggio 2015

Buonasera, compagni, compagne, fratelli e sorelle.

Vi parlerò di come noi usiamo a resistenza e la ribellione come armi.

Prima di iniziare su come facciamo la resistenza e la ribellione, voglio ricordarvi che noi siamo armati. Abbiamo le nostre armi, come un attrezzo tra gli altri nella lotta, così diciamo ora. Le nostre armi sono un attrezzo di lotta, come il machete, l’ascia, il martello, il piccone, la pala, la zappa, eccetera; perché ogni attrezzo ha la sua funzione, ma l’arma, se la usi, ha la funzione di uccidere.

Perciò all’inizio, quando uscimmo all’alba dell’anno 1994, venne fuori il movimento di migliaia di messicani e messicane, da tutte le parti, fino ad arrivare a milioni, a far pressioni al governo, al pelatone, come diciamo noi, al pelatone Salinas, che dovette sedersi a dialogare con noi; e anche a noi stavano dicendo che dovevamo dialogare e negoziare.

Bene, capimmo la voce del popolo del Messico. Allora si diede l’ordine di ripiegare dalla lotta violenta; scoprimmo quindi, poiché avevamo avuto i nostri morti in combattimento, che da parte delle compagne stava prendendo forma un altro modo di combattere, diciamo così. Perché allora il governo, mesi, uno o due anni dopo, tentò di comprarci, come diciamo noi, tentò di farci accettare perché dimenticassimo la lotta.

Allora molte compagne parlarono e dissero: perché e a che scopo i compagni sono morti all’alba del ’94? Così come le e i combattenti uscirono a combattere contro il nemico, allora dobbiamo vedere come nemico anche chi ci vuole comprare, ovvero non dobbiamo accettare ciò che ci vogliono dare.

Così iniziò. Ci costò molto perché non riuscivamo a tenere i contatti tra le zone perché si riempirono di militari, ma poco a poco ricostituimmo i contatti con i compagni delle varie zone per iniziare a far girare la voce di ciò che stavano dicendo le compagne, che non si doveva accettare quel che dava il malgoverno, che così come i combattenti erano usciti a combattere contro il nemico che ci sfrutta, allo stesso modo bisognava fare come basi d’appoggio e non accettarlo. Così, poco a poco, andò estendendosi in tutte le zone.

E ora possiamo intendere in vari sensi cosa siano la ribellione e la resistenza per noi, perché lo scoprimmo man mano all’atto pratico, nei fatti, cioè possiamo ormai teorizzare, come si dice. Per noi resistenza vuol dire farsi forti e duri per dare risposta a tutto, a qualsiasi attacco del nemico, del sistema; e ribelle è essere coraggiosi e coraggiose per rispondere allo stesso modo o per fare le azioni, secondo la necessità, essere coraggiose e coraggiosi per le azioni o per quel che c’è da fare.

Perciò scoprimmo che la resistenza non è che resistere al tuo nemico, non accettare quel che dà, elemosine o avanzi. Scoprimmo che la resistenza è resistere alle minacce o provocazioni del nemico, perfino, ad esempio, al chiasso degli elicotteri; basta solo il chiasso degli elicotteri per iniziare ad aver paura, perché la testa ti avvisa che ti uccideranno, e allora esci di corsa allo scoperto ed è così che ti vedono, è così che ti mitragliano. Quindi possedere resistenza è non avere paura, cioè farsi forti e non correre al sentire il chiasso. Il casino dell’elicottero fa paura in sé, ti spaventa, e non c’è che da non averne paura, restare quieto, quieta.

Scoprimmo che non è soltanto non accettare. Dobbiamo resistere anche alla nostra rabbia contro il sistema, e la cosa difficile o buona, difficile e buona al tempo stesso, è che la resistenza e la ribellione vanno organizzate. E qual è il lato difficile? E’ che siamo migliaia a usare l’arma della resistenza e siamo migliaia a poter far esplodere la rabbia, e allora come controllarla, come usarla allo stesso tempo per lottare, sono due cose difficili da fare, e perciò ho iniziato dicendo che abbiamo le nostre armi.

Ma quel che abbiamo visto è che la resistenza bisogna saperla organizzare e anzitutto avere organizzazione, naturalmente non si può avere resistenza e ribellione senza organizzazione, perciò organizzare quelle due armi di lotta ci ha aiutato molto ad avere la mente, diciamo, più aperta nel modo di vedere le cose.

Ricordo in proposito, perché si fa con il lavoro politico, ideologico, con molta discussione, e molto orientamento dei villaggi sulla resistenza e la ribellione, di un’assemblea di compagni e compagne. Ricordo che i compagni e le compagne misero sulla bilancia quella che si dice la lotta politica pacifica e la lotta violenta. Alcuni dei nostri compagni e compagne dicono: cos’è accaduto ai nostri fratelli del Guatemala? – ci chiediamo – 30 anni di lotta violenta e cos’hanno in mano ora i nostri fratelli?

A che scopo dobbiamo organizzare bene la resistenza nella lotta politica pacifica? A che scopo dobbiamo preparare la nostra resistenza militare? Quale ci conviene?

Ci rendemmo conto che quel che vogliamo è la vita, come dicevamo prima a proposito della società civile messicana, che fece quella mobilitazione del 12 gennaio ’94 perché voleva la nostra vita, che non morissimo. E allora come dobbiamo fare? Che cos’altro dobbiamo fare per fare la resistenza e la ribellione?

Ecco dove scoprimmo che bisogna resistere allo scherno della gente sul nostro governare, la nostra autonomia. Bisogna resistere alle provocazioni dell’esercito e alla polizia. Bisogna resistere ai problemi che possono causare le organizzazioni sociali. Bisogna resistere a tutte le informazioni che escono nei media, di quelle che dicono che gli zapatisti ormai sono finiti, ormai non hanno forza, in questo caso che il defunto Marcos sta negoziando sottobanco con Calderón, o che gli sta dando soldi per la sua salute il Calderón perché ormai sta morendo, va be’, in effetti è già morto, morto (inascoltabile), ma non perché se ne sia andato a (inascoltabile) a Calderón, ma per dar vita a un altro compagno.

Ebbene, tutto questo bombardamento psicologico, si può dire, è affinché si demoralizzino le nostre basi: un mucchio di cose a cui resistere.

Poi scoprimmo la resistenza in tutti noi, perché iniziammo ad avere vari lavori, responsabilità, da noi poi ci sono problemi sul piano della casa, non so, magari per voi no, e allora sorgono i problemi e la resistenza si inizia ad applicare individualmente, e allo stesso tempo la resistenza si applica collettivamente.

Quando la facciamo individualmente è quando mio papà, mia mamma o mia moglie dicono: dove sei? Che stai facendo? Con chi vai?, eccetera, no? E allora uno deve resistere al fatto che non farebbe nulla che affligga la moglie o non abbandonerebbe mai il suo lavoro, perché poi ci sono i reclami, che non c’è mais, non ci sono fagioli, non c’è la legna, e ci sono problemi con i figli. Ecco dove si individualizza la resistenza.

Quando si fa in collettivo la resistenza si fa con disciplina, cioè con accordo. Ci mettiamo d’accordo su come affrontare alcuni problemi. Vi farò un esempio recente. All’incirca… credo nel mese di febbraio, un gruppo di persone ebbe a che fare con un altro gruppo in un terreno recuperato, dove appunto vive questa gente non zapatista, cui non stiamo dicendo nulla: questo gruppo si mette in testa di diventare padrone della terra, e si mette a gestire la terra per legalizzarla.

Si vede che il signor Velasco gli ha detto che c’è bisogno di una certa quantità di persone, e allora queste persone iniziano a cercare dappertutto altri membri del villaggio, e allora questi membri iniziano ad arrivare armati. Arrivano a essere 58 persone, e a invadere il terreno dei compas, la terra recuperata. Come compagni non possiamo permetterglielo.

“Quanti sono?”
“Circa 60″.
“Basta che portiamo 600 armi e li facciamo fuori, perché ce ne hanno fatte fin troppe”.

Nel recinto dei cavalli dei compagni misero il liquido per bruciarlo, con il liquido uccisero un semenzaio, distrussero prima case dei compagni. E allora i compagni erano così ribelli e infuriati da non volere più tutto il male che gli facevano.Ecco che i compagni intervengono così:
“Ricordatevi, compas, noi siamo un collettivo”
E dicono ai compagni, i 600 riuniti:
“Ricordatevi dell’arancia. Cos’abbiamo detto che succede a un frutto beccato? Che succede?”
“Ah, sì. Sì, ma se quei bastardi magari non la vedono allo stesso modo?”
“Quei bastardi non ci imporranno i loro tempi, sta a noi”.

Che succede a un’arancia o un lime se lo becchiamo? Succede che va a male, e in questo caso che vuol dire? Che colpiremo il resto della nostra organizzazione. Dobbiamo chiedere alla base se dare risposte violente, che sappiano che entreremo in un altro modo. Come già stavamo pensando nel fatto stesso di realizzare quel che stiamo facendo ora, in questo momento, le nostre basi non permettono che si faccia così.

Quindi, ciò che si disse ai compagni più presi dalla ribellione, infuriati, incazzati, è di non andare, di far sapere attraverso i loro rappresentanti soltanto che non vanno perché se ci vanno sarà per uccidere, e quindi è meglio che non vadano: lo dicano al loro responsabile e che si sappia, e per chi non recepisce è un problema suo. E non vadano nemmeno quelli che hanno molta paura. Solo quelli che capiscono devono andare, non bisogna andare a provocare, bensì a lavorare la terra, ovvero lavorare il campo, la casa e quel che si deve costruire. All’alba, i 600 se ne andarono, lasciarono da parte le armi. Si coordinarono su chi dovesse controllare.

Così si controllano entrambe le cose, la rabbia come anche la paura. Si cerca di spegare, si discute, si fa capire, perché è la verità, che la gran maggioranza dei compagni non lo permetterà.

Questa resistenza su cui abbiamo lavorato per 20 anni, all’inizio ci costò molto perché sono situazioni che affrontiamo e dobbiamo saper risolvere. Vi farò un esempio: in che modo ci costa cambiarlo? Quando era al governo Salinas, elargivano progetti, elargivano progetti effettivi, cioè davano credito: i compagni ricevevano, ma immaginatevi che fossero miliziani, caporali, sergenti, cioè zapatisti. Quel che elargiva quel bastardo se ne andava per metà i munizioni, armi ed equipaggiamenti, e l’altra metà nel comprare una vacca, cioè si recuperò una vacca da quel che dava il governo, perciò il governo smise di dare, diede solo ai fratelli affiliati ai partiti.

I compagni avevano questa idea, perciò lo sto dicendo, quando venne fuori questo iniziammo a pianificare questo fatto di non ricevere. Ci costò molto, ma i compagni lo capirono. Dissero i compagni, bene, lo faremo, faremo questa resistenza. Perciò il negativo che ne risulta è che quando ci riuniamo dicono ‘io non sono potuto venire perché io sono in resistenza, non ho i soldi per muovermi’, questo è il pretesto, non è che per nascondersi, è un pretesto.

Ma non appena afferrammo sul serio questa cosa di non accettare niente dal sistema, scoprimmo di dover lavorare duro la madre terra, come vi ho già raccontato negli altri giorni che siamo stati qua. Fu allora che i compagni iniziarono ad avere i loro prodotti e a rendersi conto che val meglio lavorare la terra, e così ci scordammo di quel che dà il governo.

Perciò nella resistenza e nella ribellione iniziammo a renderci conto della sicurezza dell’organizzazione nella quale stiamo. Si iniziò a scoprire un mucchio di cose, per esempio ciò che vi dico sul fatto che non parliamo con il governo, neppure le nostre basi, nemmeno in caso di omicidi. Scoprimmo che con la resistenza e la ribellione possiamo governarci, e con la resistenza e la ribellione possiamo sviluppare le nostre proprie iniziative.

La nostra resistenza nel fare le cose, che sia sul terreno economico, che sia sul terreno ideologico, politico, qualsiasi organizzi la zona. Alcuni hanno più possibilità, altri hanno meno possibilità, perciò sperimentiamo. Ad esempio, i compagni di Los Altos nel corso della loro vita comprano il mais, seminano molto poco, la maggior parte la devono comprare; e da altre zone allora portano il mais; invece che comprare nel magazzino, nel negozio del governo, e che il denaro dei compagni de Los Altos vada al governo, è meglio che vada a un altro caracol. Alcune volte ci è riuscito bene, altre volte ci è riuscito male, ma è un male prodotto da noi stessi, perché il fatto è che si trasporta a tonnellate, e quindi i compagni incaricati di mettere insieme il mais non lo controllano e i compagni basi d’appoggio, così da stupidi, mettono in mezzo il (inascoltabile) del mais, e nemmeno gli altri compagni lo controllano, e quindi passa, va. E quando arriva a destinazione dove si consumerà, lì viene controllato bene, e da lì viene fuori che stanno vendendo mais (inascoltabile) tra compagni, ai compagni insomma.

Allora lo correggiamo, perché il problema non è quello. Se siamo in resistenza, è organizzarla bene. Lo scambio, come si dice, o il baratto, non ha funzionato per noi, perché dagli Altos non possiamo esportare tonnellate di pere o mele, non si vendono nella selva queste cose che producono molto i compagni, la verdura. No, stiamo vedendo come fare, stiamo discutendo la cosa, e siamo quasi a metà strada su come organizzarci.

Vi farò una serie di esempi. Nel ’98, cioè quando smantellarono i nostri municipi autonomi, quando c’era ancora il Croquetas, il governatore Albores, a Tierra y Libertad, nel Caracol I, a La Realidad, entrò la polizia giudiziaria, distrusse la casa del municipio autonomo e allora i compagni, soprattutto miliziani, chiedevano di andargliele a dare a questi della polizia giudiziaria, che in realtà erano soldati camuffati da polizia giudiziaria, eppure gli si disse di no. Interpellammo le basi d’appoggio, perché gli arrabbiati erano i compagni miliziani, sul perché e il percome ci stessero distruggendo la nostra casa dell’autonomia.

Interpelliamo quindi i villaggi, e i villaggi dicono: che la distruggano, l’autonomia la teniamo qui e qui, la casa non è casa. Quindi ricevemmo sostegno e a maggior ragione si diede l’ordine ai miliziani di non fare nulla, e noi pagammo il costo della rabbia, infatti i nostri miliziani dicevano ‘fottuti comandanti’. Da queste cose iniziammo a scoprire che a volte la rabbia della base non ci è d’aiuto rispetto a quel che si deve fare, e a volte ne fa le spese il comitato clandestino, a volte il regionale, o chi ha la responsabilità.

Un altro esempio è di quando l’esercito ci distrusse il nostro primo Aguascalientes. E’ lo stesso: noi insorgenti e miliziani eravamo pronti, perché sapevamo che se ti tolgono una parte ti senti ormai sconfitto, e il fatto è che pensammo in maniera molto militare. Perché militarmente se perdi una battaglia sei fottuto e ti viene voglia di recuperare, ma devi fare il doppio per recuperare. E allora di nuovo fu questo a orientarci.
“Cosa vogliamo, la morte o la vita?”
“La vita”.
“E allora che entrino questi bastardi, non li uccideremo ma nemmeno ci faremo uccidere”.
“Ma come lo faremo, se sono già tese le imboscate?”
“Bisogna mandare la comunicazione”.

Così dovemmo fare ed evitammo molte morti, dalla nostra parte e anche dalla parte del nemico. In una delle imboscate in effetti si diede la (inascoltabile), e fu lì che cadde, poi lo (inascoltabile), il generale che cadde a Momón, il generale Monterola, che a quel tempo credo fosse colonnello.

Così avvenne anche nel Caracol de la Garrucha quando vennero smantellati i municipi autonomi, sul municipio autonomo Ricardo Flores Magón. Allo stesso modo, si comandò di dire di non rispondere alla violenza voluta dal nemico e dal governo. E così abbiamo superato tante provocazioni cercate da quelli che si lasciano manipolare, in questo caso gli affiliati ai partiti.

Questo è accaduto ai compagni che hanno ricevuto molti colpi e tentativi di provocazione: sono i compagni dei caracol di Morelia, Oventik, Garrucha e Roberto Barrios. Dove i militari hanno agito in maniera molto crudele, è a Roberto Barrios, Garrucha, Morelia, Oventik.

Ad esempio, a San Marcos Avilés, dove ci sono le nostre basi, ci hanno molestato molte volte. Ciò che fanno i paramilitari è obbligarti a cadere nella provocazione, e si vede che sono ben addestrati da parte dell’esercito e del governo, perché ti infastidiscono; stai coltivando caffè, fagioli, mais, e loro ti strappano le piante che semini, abbattono il bananeto, si portano via le ananas che coltivi, cioè ti infastidiscono. Finché un giorno le nostre basi d’appoggio dissero basta, e va bene che questa ribellione e questa resistenza sono organizzate in collettivo, allora i compagni e compagne basi di San Marcos Avilés interpellano la Giunta di Buon Governo dicendo: veniamo a dire che non ce la facciamo più, non ci importa di morire, li trascineremo con noi.

A quel punto la Giunta di Buon Governo e il Comitato Clandestino chiamano i compagni e gli spiegano: noi non diremo di no, in primo luogo siamo un’organizzazione; in secondo luogo, se tra voi resteranno dei sopravvissuti non potranno stare nel vosto villaggio, vi dovrete nascondere perché non vi lasceranno vivi e vive quei bastardi, perché ciò che vogliono è far fuori tutte le basi. Ciò che bisogna fare è produrre uno scritto, una registrazione e noi faremo in modo di farli arrivare al fottuto governo, che sappia che moriranno quelli che stanno lì e anche noi, e che accada quel che accada.

Perciò quel che cercammo fu un modo diverso. I compagni e le compagne produssero una registrazione, e trovammo il modo di farla arrivare al governo, e fino a ora questo sistema è vigente. Allora il governo, lo sappiamo, io credo che diede dei soldi agli aderenti ai partiti di quelle parti, ed essi si calmarono, perché così li calma il governo. In tutto ciò che fanno il metodo del governo è dargli un progetto o un po’ di soldi da dividere, il governo ha sempre fatto così. Chissà cosa succederà ora che il governo non avrà i soldi.

Solo per menzionare questo, come resistere, perché ci abbiamo provato, perché ci rendiamo conto dell’assurdità di uccidere un altro indigeno. Questo ci dà rabbia, se io lo dicessi tale e quale a come ne parliamo nella nostra assemblea sarebbe orribile, perché iniziamo a rivolgere ogni tipo di insulto al governo. Perché la rabbia che ci dà sta nel fatto che sono così bastardi a manipolarli; e poi perché, scusate la parola, perché ci sono gli scemi, le sceme che lasciano che la loro stessa razza venga manipolata.

Per esempio, quelli della ORCAO. Una parte della ORCAO si sta ormai rendendo conto che quel che stanno facendo è del tutto sbagliato, ma c’è un’altra parte che se ne frega di tutti, per i soldi, e continua con le minacce. Un mese fa i compagni di Morelia hanno resistito a un mucchio di azioni fatte da quelli della ORCAO. La CIOAC? Non se ne parli, c’è questo fatto del compagno Galeano e c’è quel che è accaduto a Morelia, sono la stessa roba della CIOAC-Histórica.

Perciò, siccome vogliamo la vita e grazie alla resistenza che applichiamo, non abbiamo più pensato di ucciderci tra noi a causa delle manipolazioni del governo.

Abbiamo anche resistito ad alcune visite dal Messico, di gente che ci viene a dire, a noi e ai nostri villaggi, perché non proseguiamo nella lotta armata, perché siamo dei riformisti, o altri che dicono che siamo degli estremisti, e allora a chi credere? No, bisogna resistere a questi discorsi, perché le cose si dicono, ma la nostra risposta è che un conto è ciò che si dice e un conto ciò che si fa, perché parlare è molto facile, si può anche gridare e tutto il resto, ma quando ci sei dentro la cosa è diversa, cambia.

Grazie alla resistenza, compagni, compagne, sorelle e fratelli, non diciamo che non siano necessarie le armi, ma abbiamo visto che, come si è detto, la disobbedienza, non è che una disobbedienza organizzata, ed è la verità, qui il malgoverno non entra più grazie ai compagni, alle compagne, e allora vediamo che possiamo migliorare, rendere più organizzata la resistenza e la ribellione nel dimostrare che non chiediamo permesso a nessuno.

Quel che ci anima è metterci d’accordo su ciò che dobbiamo fare, e in più la generazione che è ora dei nostri, cioè quella dei ventenni, i giovani e le giovani, dice: noi ci siamo, ma insegnateci come si fa a governarci. E ora le zone, con l’organizzazione della resistenza e della ribellione stanno formando la nuova generazione di giovani perché si possa realmente realizzare quanto abbiamo detto, la parola che è per i secoli dei secoli e per sempre, sembra un discorso religioso, ma in realtà è ribelle; perché è per sempre, e c’è bisogno che si preparino le generazioni affinché non tornino il nipote di Absalón Castellanos Domínguez, o di Javier Solórzano, o di qualcuno dei grandi proprietari terrieri insomma.

Abbiamo da fare un gran lavoro per migliorare in questo. Non vuol dire, compagni e compagne, fratelli e sorelle, non vuol dire che stiamo rinunciando alle nostre armi, ma che è questa comprensione politica, ideologica, ribelle, che ci fa vedere come bisogna realmente convertire in arma di lotta questa resistenza. I compagni delle Giunte di Buon Governo ci stanno dicendo che c’è bisogno di un’altra istanza, e noi chiedevamo ai compagni del CCRI: perché dite questo, compagni, compagne? E loro: ‘il fatto è che abbiamo compreso il motivo per cui dovette nascere la Giunta di Buon Governo’.

Ci parlarono, ci dissero, ci spiegarono. Quando i MAREZ, i municipi autonomi ribelli zapatisti, vennero sciolti, alcuni avevano progetti, altri no, nulla, e allora quando si formò la Giunta di Buon Governo iniziò a controllare i municipi perché i progetti andassero avanti ugualmente per tutti. Ora come Giunta di Buon Governo si stanno nuovamente rendendo conto che non è uguale per tutti. Alcuni hanno più progetti perché sono più a portata di mano, lungo la strada, e altri stanno molto lontani, e quindi no, ma noi come Giunta di Buon Governo non possiamo che porre le questioni all’assemblea e alla condivisione delle zone: lì si deve discutere se è il caso di dare vita ad altre istanze, perché stiamo organizzando questa resistenza e ribellione contro la tormenta che viene. E ora i compagni dicono: è giunta l’ora per far questo che ci dite, oppure è l’ora di fare un’altra cosa, perché dobbiamo iniziare ad agire nella resistenza e ribellione, e bisogna organizzarsi. Ma questo terreno di lotta, di resistenza e ribellione è ciò che ci ha aiutato, ci ha orientato sul da farsi. E se per noi, che non chiederemo permesso a nessuno, è ormai chiusa la storia del non averci riconosciuto la Legge sui Diritti e Cultura Indigena, andremo avanti; dato che non la vogliono rispettare, ecco gli strumenti.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Caracol de Resistencia Hacia un Nuevo Amanecer.

Junta de Buen Gobierno El Camino del Futuro La Garrucha Chiapas México, 11 maggio dell’anno 2015

DENUNCIA PUBBLICA

All’opinione pubblica:

Ai media alternativi, autonomi o come si chiamino:

Alle/Agli aderenti alla Sexta nazionale e internazionale:

Alle organizzazioni oneste per i diritti umani:

Fratelli e sorelle del Messico e del mondo: Denunciamo energicamente quello che stanno facendoci i gruppi paramilitari della comunità Rosario composti da 21 persone paramilitari e da 28 paramilitari del barrio Chikinival appartenente all’ejido Pojkol municipio di Chilón, Chiapas.

A Rosario vivono i nostri compagni basi di appoggio, perché è terra recuperata, appartenente al municipio autonomo di San Manuel del caracol III La Garrucha.

A Rosario vivono 21 paramilitari che sono appoggiati dai 28 paramilitari del barrio Chikinival e che stanno invadendo la nostra terra recuperata.

È lo stesso problema che si era presentato ad agosto del 2014, quando ci hanno ammazzato un toro riproduttore, hanno distrutto le case e la nostra cooperativa collettiva, hanno rubato i nostri beni ed hanno sparso erbicidi su un ettaro di pascolo, hanno sparato ed hanno scritto a fuoco sul terreno: “territorio Pojkol”

I FATTI.

Alle 9:35 della mattina del 10 maggio del presente anno, 28 persone del barrio Chikinival dell’ejido Pojkol, Municipio ufficiale di Chilón, che si trova a 40 minuti di macchina dal villaggio di Rosario, sono arrivate a bordo di otto motociclette nel villaggio recuperato di ROSARIO dove vivono i compas basi di appoggio, perché ci vogliono sottrarre con la forza la nostra terra.

Questi paramilitari di Rosario accompagnati dai paramilitari del barrio Chikinival dell’ejido Pojkol, hanno cominciato a fare delle misurazioni sui luoghi dove già vivono i compagni basi di appoggio, mentre questi ultimi erano fuori a lavorare.

Alle 15:15 pm, un gruppo di loro se n’è andato, un altro gruppo è rimasto sul posto e 5 minuti dopo tre di questi si sono diretti verso la casa di un compagno base di appoggio, mentre la maggioranza restava a 30 metri dalla casa del compagno.  Nella casa del compagno base di appoggio si trovava solo sua figlia di tredici anni che stava pulendo casa, il padre non c’era e la madre si trovava sul retro della casa, di questi aggressori paramilitari, 2 sono del barrio Chikinival dell’ejido Pojkol, e 1 è del villaggio stesso di Rosario, ed il suo nome è ANDRES LOPEZ VAZQUEZ. Questi 2 di Chikinival sono entrati in casa, mentre Andrés, paramilitare di Rosario, è rimasto di guardia sulla porta e quando la figlia del compa base di appoggio è uscita correndo di casa, Andrés le ha sparato 4 colpi con una pistola calibro 22 mentre stava sopraggiungendo il padre che, per difendere la figlia, ha scagliato un sasso colpendo alla testa lo sparatore. Fortunatamente gli spari non hanno raggiungo la bambina. Poi il ferito è stato portato via dai suoi compagni che si trovavano a 30 metri dalla casa.

Ieri sera, 11 maggio, l’aggressore ferito è tornato alla casa del compagno base di appoggio, che ha una moglie e 3 figli, pretendendo di avere 7 mila pesos per curare la ferita.

Ovviamente il compagno non pagherà nulla, perché non è stato lui a provocare l’accaduto.

Alle 18:50 pm dello stesso 10 maggio, nel villaggio Nuevo Paraíso dal municipio autonomo Francisco Villa, sono arrivate a bordo di 8 motociclette 16 persone, tre loro erano armati di 2 pistole calibro 22 e di un’arma a canna lunga calibro 22. Queste persone del barrio Chikinival dell’ejido Pojkol, hanno lanciato per strada una lettera in cui accusano i compagni basi di appoggio di provocare questi problemi.

In realtà noi non siamo causa di alcun problema, perché stiamo cercando alternative per vie pacifiche per risolvere questa questione, ma loro non vogliono capire anche se abbiamo perfino consegnsato un ettaro di terra ad ognuna delle 21 persone che stanno facendo queste provocazioni, e ciò nonostante ci minacciano. Da febbraio fino ad oggi 11 maggio, ci minacciano ogni giorni quelli di Chikinibal dell’ejido Pojkol, per far sì che quelli di Rosario chiediamo a quelli di Pjkol di pattugliare armati, sempre armati tutti i giorni.

Per questo smentiamo tutto quello di cui ci accusano. È evidente chi sono i provocatori.

Abbiamo interpellato le autorità dell’ejido Pojkol ma ci hanno detto che non possono fare niente, perché quel gruppo è sconosciuto all’ejido e sono dei malviventi, non rispettano nulla e non obbediscono all’ejido. Di questo è stato avvertito anche l’ente statale di Manuel Velasco Coello che però non fa nulla, perché questi sono i suoi paramilitari.

Compagni e compagne, fratelli e sorelle di tutto il mondo, queste sono le strategie con le quali i tre livelli del malgoverno federale, statale e municipale ci provocano, usando la gente che non capisce la nostra giusta causa affinché così cadiamo nelle sue trappole, ma siamo ben consapevoli di quello che sta facendo questo malgoverno che organizza, prepara e finanzia organizzazioni e persone che si lasciano comprare.

Noi diciamo a quelli senza cervello là in alto: non smetteremo mai di resistere né cadremo nelle loro trappole, noi continueremo a resistere lavorando le nostre terre e costruendo la nostra autonomia.

Riterremo responsabile diretto il governo federale, statale, municipale ed i paramilitari del barrio Chikinival dell’ejido Pojko e di Rosario, di qualsiasi cosa possa succedere.

Sorelle e fratelli, continueremo ad informarvi sugli sviluppi degli eventi e vi chiediamo di vigilare su quanto potrebbe accadere.

DINSTINTAMENTE Giunta di Buon Governo

         Jacobo Silvano Hernández                                                  Lucio Ruiz Pérez

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Parole del Subcomandante Insurgente Moisés

7 maggio 2015

Compagni, compagne, fratelli, sorelle.

Quello che abbiamo visto ed ascoltato ci preoccupa, e pensiamo una serie di cose. Si tratta di come vediamo il capitalismo, se parlassi con le compagne, i compagni basi di appoggio, conosco il modo, la forma per farlo. I compagni, le compagne vengono avvisati in anticipo dell’argomento che tratteremo, così ognuno porta il suo pensiero, come adesso che abbiamo anticipato pubblicamente l’argomento da trattare.

Non sappiamo se tutte le persone sanno leggere e scrivere, altrimenti esiste il dizionario dove andare a cercare le parole, come, la parola seminario. Ma, a volte ci sono problemi con il dizionario perché vai, cerchi la parola seminario, e poi ti rimanda ad un’altra parola e così ti perdi, e questo è un problema.

Un’altra cosa che raccomandiamo come zapatisti quando si va a discutere dell’argomento, è che ci sono due modi di considerarlo. Uno è la critica del capitalismo, che sono dei cabrones, come diciamo qua. Altro è come consideriamo il male che vediamo.

Cioè, non si tratta solo di saper criticare il male che fa il capitalismo, ma di cosa dobbiamo fare, quale è il cambiamento che dobbiamo fare. Questo è quello che ci preoccupa, per questo abbiamo dovuto cambiare, perché pensiamo che questa riflessione si debba moltiplicare. L’abbiamo detto all’inizio del seminario, i poveri sono milioni, mentre sono pochi quelli che ci tengono così; allora, perché succede questo?

E’ necessario che dove ci si incontri, ci si riunisce, si parli del male, della ferocia, della sofferenza, della tristezza, dell’amarezza e di cosa si è fatto rispetto a queste parole, sofferenza, tristezza, amarezze se non c’è stata soluzione. Pensiamo che questo ci possa portare a che cosa fare, o da lì si arrivi poco a poco a che cosa fare, come fare, la scommessa è arrivarci.

Ma dobbiamo aiutarci a capirlo, a conoscere.

Ed un’altra cosa, sta bene che pensiamo ai mali del capitalismo, ma anche noi, donne e uomini che lottiamo, dobbiamo sapere anche come lottare tutti insieme. Ve lo dico perché abbiamo bisogno uno dell’altro, cioè quelli che qui ci hanno spiegato in teoria di come stanno le cose, ci hanno detto anche cifre e numeri per aiutarci a capire, ma ci sono altre cose che si devono imparare, si deve fare.

Dobbiamo sentirci come un solo popolo. Per esempio, guardate, io sono qui, ma non mi piace essere qui così, non mi piace stare qui a questo tavolo, ma i compagni, le compagne dicono che è necessario che io trasmetta quello che stiamo facendo, e quello che sto dicendo non è il mio pensiero. Allora, come dicono i compagni, le compagne: compagni e compagne che capite, perché avete studiato, avete avuto l’opportunità di capire, di conoscere, non potete distruggere il capitalismo solamente con tutta la teoria, c’è bisogno d’altro.

Noi possiamo essere bravi, ottimi strateghi, tattici eccellenti, ma a cosa serve se non abbiamo il popolo con noi. Si deve aiutare il nostro popolo a conoscere, a sapere come stanno le cose ed allora ci accompagnerà nella lotta. Cioè abbiamo bisogno gli uni degli altri, cioè, nessuno è più in gamba di un altro; tutti siamo in gamba ma bisogna lavorarci su. Bisogna discutere, bisogna pensarci.

E’ questo che ci preoccupa, perché quello che vorremmo è che davvero aiutassimo i nostri popoli, facessimo nascere una buona discussione, un buon modo di pensare e vedere, cioè un buon modo di fare analisi. Forse ci metteremo meno tempo ad analizzare, oppure no, ma la situazione in cui viviamo ci obbliga a farlo.

Ci resta poco tempo per capire come affrontare il capitalismo. Quindi, avanti tutti noi che pensiamo così del capitalismo, aiutiamoci a capire cosa fare contro il sistema capitalista. (…) Bisogna lavorare insieme per trovare il modo comune di fare [sintesi della traduttrice].

Volevamo che lo sapeste, perché noi abbiamo già percorso questo cammino in questi 20 anni, pubblicamente; abbiamo fatto molti incontri per discutere e chiarire vari temi ed abbiamo visto che ne escono mille idee ma dalle mille idee non ne esce una che dica cosa fare, come fare, perché non si sanno vedere i vantaggi e gli svantaggi di ogni idea; è questo che manca; e manca l’unità, perché tutti crediamo che la propria idea, la propria proposta siano le migliori. Quindi, ci manca di capire questo, che è la cosa principale per farci arrivare a cosa è meglio fare di tutte le nostre idee.

In questo caso il tema è che sta arrivando il peggio del capitalismo, non rispetterà nessuno, nelle campagne e nelle città, allora, che cosa facciamo? È qui che noi diciamo che quelli che hanno studiato sui libri, hanno studiato la storia, hanno le idee più chiare sull’argomento, che vi aiutino a capire, perché quello che manca è che lo capiamo bene, e molto bene altrimenti, come diciamo da queste parti, finisce come i compas che vanno alla milpa e trovano il topo che dorme e questo non si accorge che lo ammazzano perché stava dormendo. È quello che succederà a noi, che stiamo qui a dirci tante cose solo tra di noi fino allo sfinimento, poi stanchi torniamo a casa ed il capitalismo ci coglie nel sonno.

Allora noi diciamo che non importa se siamo stanchi, ma sapremo che arriverà la tormenta, stanchi da tanto cercare e lavorare, i suoi colpi ci sveglieranno ma sapremo che cosa fare, ma solo quelli che si saranno organizzati sapranno cosa fare.

Allora lasciamo da parte le nostre differenze, perché molte volte si arriva perfino a male parole per la divergenza di idee, ma tutti noi che siamo qua, non siamo capitalisti, non siamo noi quelli che sfruttano il popolo, allora prima di tutto pensiamo a quelli che ci sfruttano, e dopo aver sconfitto il capitalismo, vedremo se ci resterà ancora la voglia di regolare le nostre divergenze, o per allora forse ci saremo capiti.

Abbiamo voluto dirvi tutto questo perché vi sia chiaro, tornate nei vostri luoghi e diffondete questi semi, ma in questo modo, con queste idee di cui abbiamo parlato direttamente con voi in questo seminario. E si saprà chi lavorerà bene, si saprà chi si addormenterà, e chi parlerà bene o male, del bene e del male si saprà tutto. Rispetto al nemico, al capitalismo, pensiamo che dobbiamo aiutarci a capire, a trovare i modi per organizzarci, perché vogliamo tanti semenzai da tutte le parti.

Questo è quello che vogliamo dirvi, compagni, compagne, fratelli e sorelle.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Parole del Subcomandante Insurgente Moisés (5 maggio 2015)

Buonasera a tutti, compagne, compagni, fratelli e sorelle.

Visto quanto stiamo spiegando da ieri e dall’altro ieri, stavamo discutendo con la commissione di compagni e compagne del CCRI, sul fatto che ci sembra che vada verso quel che vogliamo fare, e sulla domanda in merito, perché tutti noi che eravamo qua, a meno che non stessimo sognando o dormendo, abbiamo in testa ciò che si è detto, o che hanno stabilito e discusso i compagni, i fratelli. Ci hanno detto molte cose su cosa sia l’idra: cosa dobbiamo fare contro di essa?

Organizzarci. Se rispondiamo questo, organizzarci, vogliamo dire che il nostro cervello ci sta già dicendo cosa bisogna fare in primo luogo, poi in secondo, poi in terzo, quarto e così via. Perciò c’è l’idea: se sta nel cervello è in forma d’idea. Ora, se muovi la lingua è in forma di parola. Manca l’azione, ossia organizzarsi. E quando sei in fase organizzativa, attento, perché non verrà fuori tale e quale a com’era nell’idea, nella parola. A quel punto inizierai a incontrare molti intoppi, molte difficoltà.

Perché altrimenti arriveremo al 2100, almeno quelli che ci arriveranno, e saremo ancora al punto di dire idee, parole, pensieri, e intanto ci sarà ancora il capitalismo: allora dove eravamo noi che abbiamo parlato tanto male del capitalismo? Che avremo combinato se continueranno a stare così le cose?

Ebbene, questa è una riflessione che stavamo facendo con i compagni del CCRI, della Commissione Sesta dell’EZLN. Continueremo con il tema di ieri, o su com’è l’economia nella lotta, nella resistenza delle e degli zapatisti, ma in pratica, non in teoria. Dalla pratica traiamo quel poco di teoria che abbiamo condiviso al momento.

Per esempio, perché da noi va così, sul fatto che non riceviamo nulla dal governo, eaddirittura nemmeno ci parliamo col governo, nessuna base d’appoggio lo fa. A costo di essere ammazzati, non parliamo col malgoverno, perciò: come facciamo a far sapere qualcosa al malgoverno? Da una parte ci sono le denunce pubbliche della Giunta di Buon Governo perché si sappia dei malgoverni. Altrimenti, dalle radio comunitarie zapatiste, perché come stavamo dicendo ieri, il governo ha le sue spie, le sue orecchie, qualcuno che registra i messaggi delle radio comunitarie zapatiste, ed ecco come lo otteniamo. Poi c’è un altro modo, ma di questo parleremo a suo tempo.

Raramente maneggiamo soldi. Ad esempio, nel mobilitarci, perché bisogna pagare la benzina in pesos, non sono accettati kili di mais o fagioli. Su questo terreno lottiamo, combattiamo. Tutto ciò che vi spiegherò in forma di esempi, si fa con il lavoro politico, ideologico, con molta analisi, molta discussione di ciò che è importante, necessario secondo ciò che vogliamo fare.

Per esempio, l’educazione. L’educazione della scuola zapatista, vi racconterò come ce la inventiamo. Un compagno che è formatore nell’educazione della zona, è stato sei mesi nel caracol a preparare i promotori e le promotrici di educazione dei villaggi, dove arrivano centinaia di alunni, alunni-maestri in formazione.

A un certo punto questo compagno formatore nell’educazione se ne andò a trovare la sua famiglia. Arrivando a casa di suo papà disse: “Sono tornato, papà”. E il papà di questo compagno formatore dice: “Hai portato il mais? Hai portato i fagioli? Perché qui non c’è nulla per te”. E il compagno formatore dice:

“Come?”

“Come? Se non stai lavorando!”

“Come non sto lavorando, papà, se sto lavorando là con i compagni?”

“E che ti hanno dato i tuoi compagni, o i compagni? Se va anche a beneficio nostro, perché non pensano che anche qua devi poter avere qualcosa per vivere?”

“Ma no, è che siamo in lotta”, dice il compagno.

“Sì, ma dobbiamo anche avere di che sopravvivere per lottare”.

“Sì”, dice il compagno formatore.

“Sai cosa, figlio”, dice il padre, “figlio, devi tornarci. Parla con le autorità autonome perché sarà sempre così, senza organizzazione”.

Il compagno dovette tornare. Parla con la Giunta di Buon Governo, e la Giunta di Buon Governo si organizza con i compagni che stanno dentro alla commissione, che noi chiamiamo la commissione di vigilanza e la commissione di informazione, cioè compagni e compagne del CCRI. Si organizzarono e cominciarono a discutere del problema, perché ormai era un problema.

E la Giunta e il CCRI dicono che di sicuro questa è una questione che si protrarrà nei secoli dei secoli, perciò bisogna metterci mano. Allora inizia la discussione, ora sì, sul da farsi.

“No, è che dobbiamo tirar fuori quel poco che abbiamo”.

“Sì, ma quanto durerà quel poco che abbiamo?”

“No, ecco, appena per un anno”.

Allora iniziano a pensarci su, ed ecco quel che ne viene fuori: per esempio, la zona lavora collettivamente, e così il villaggio, cioè il villaggio del promotore o del formatore di educazione, che partecipa con le basi d’appoggio nel lavoro collettivo; dunque la proposta della giunta è che i membri basi d’appoggio del villaggio del formatore non vadano a fare il lavoro collettivo, ma che lavorino nel campo di mais e fagioli, nel campo di caffè, nell’allevamento della famiglia del compagno formatore. Allora avrà mais, avrà fagioli, avrà caffè, avrà degli animali, ma sono i compagni di base che provvederanno a questo lavoro, in modo che possa avere un po’ di paga. Perciò non gli si dà un aiuto economico, non gli si dà un salario ai compagni e compagne formatori di educazione, e lo stesso a quelli che preparano i compagni e compagne promotori di salute.

Altri compagni e compagne di altre zone vivono situazioni differenti, ad esempio nella zona Selva Fronteriza o la zona Selva Tzeltal la situazione non è come quella dei compagni de Los Altos, è differente. Ci sono zone che lavorano collettivamente nell’allevamento, perciò quando i compagni cercano di organizzarsi nei loro primi passi, si rendono conto immediatamente.

Per esempio, questo sto dicendo, nel realizzare il lavoro collettivo di zona ci sono comunità che si trovano in punti molto lontani, e quindi i compagni spendono molto per recarsi al punto di lavoro collettivo. È costoso, perciò quel che fanno i compagni è distribuire i lavori, ma in collettivo. Vale a dire: immaginiamo che l’interno di questa costruzione sia una zona, ma che ci siano alcuni lontanissimi, alcuni a 10 ore di macchina, e quindi si giunge a un accordo, magari trattandosi di differenti lavori collettivi, di qua la panetteria, lì nell’altro angolo la calzoleria, lì la fattoria e qui un altro lavoro collettivo della zona. In questo caso tra tutti i villaggi e le basi vanno solo i più vicini ai luoghi di lavoro, per evitare ulteriori spese, e poi si riuniranno solo i rappresentanti per informare su come vanno le cose.

Il succo è che non ci sia nessuno che non lavori collettivamente. E prima che ne dubitiate o che un giorno chiediate “che ne è di quelli che non vogliono fare il lavoro collettivo?” diciamo: non li obblighiamo. Non li obblighiamo, semplicemente gli diciamo “va bene compagno, compagna, che tu non voglia, ma come zapatista quando ci sarà da raccogliere per la cooperazione dovrai tirar fuori dal tuo borsello.

Nei fatti e nella pratica i compagni stanno vedendo che è così che sono potuti sopravvivere e come hanno fatto il proprio movimento i compagni. E ci sono alcuni che non volevano fare i lavori collettivi che si integrano.

Quindi è uguale anche per le zone che lavorano collettivamente nell’allevamento, tutti i lavori che si fanno sono per il movimento di lotta o per il movimento dell’autonomia. Qui quel che si è scoperto nella pratica è che non si può fare quel che facevamo prima, che ci siamo sbagliati, equivocati, quando il lavoro collettivo era il 100%. Vedemmo che non stava funzionando perché c’erano lamentele, molti problemi.

Lamentele dovute al non avere sale, al non avere sapone. Lamentele nel senso che non si scandiscono per tempo le semine di ciò che si raccoglie. Lamentele nel senso che ci sono compagni che hanno molti figli, mentre la divisione prevede uguali quantità per i compagni che hanno pochi figli. Tutte queste cose ci hanno fatto riflettere sul fatto che sia meglio che i villaggi, le regioni, i municipi autonomi e la zona si mettano d’accordo su come vogliono lavorare.

La sostanza è che ci sia tempo per la famiglia e tempo per i lavori collettivi. Così lavorano i compagni. Ad esempio nel campo dell’allevamento. Quando parlo di allevamento non indico una sola forma. Ci sono per esempio collettivi di allevamento di vacche riproduttrici; altri nei quali si tratta semplicemente di comprare i torelli, tenerli alcuni mesi e poi venderli, tirarli fuori e tornare a comprarne, come fossero generi alimentari. Ci sono zone che lavorano anche nella calzoleria, i compagni fabbricano da sé le scarpe. C’è una forte critica e un richiamo all’attenzione che si sono dati i compagni, parlando di allevamenti: le pelli del bestiame che viene mangiato o che muore, vanno a male, siano di cavalli, di asini, di muli, vanno a male perché non c’è chi sappia scuoiare. I compagni hanno tentato di cercare qualcuno, ma nessuno glielo vuole insegnare, perché quando hanno cercato chi glielo insegnasse non hanno trovato che lo stesso che compra il cuoio. Be’, chissà se da queste parti c’è qualcuno in grado di insegnarcelo.

Un’altra forma di economia zapatista è quella delle cosiddette, e vai a sapere perché i compagni hanno messo questo nome, quella delle banche autonome. Le cosiddette BANPAZ, BANAMAZ; ora risulta che si dicono BAC, che vuol dire Banca Autonoma Comunitaria. In gioco ci sono due idee. Una riguarda le necessità, il sapone, il sale, lo zucchero e cose così. I soldi che ricavano i compagni dalla vendita dei fagioli, del mais, del maiale o di quel che c’è, oltre che nei generi alimentari, vanno alla cooperativa collettiva e quel denaro, quel po’ di guadagno va al movimento dell’autonomia o della lotta, perché non vada agli affiliati ai partiti.

Così fanno anche nel BAC o nelle banche autonome, perché chi contraeva prestiti con altre persone, fosse zapatista o no, si ritrovava a pagare fino al 15% di interesse mensile, cioè se ne approfittavano. Perciò i compagni hanno creato questo fondo, questa Banca autonoma, per la salute e per il commercio. Hanno avuto problemi i compagni, non crediate che vada tutto bene, hanno avuto problemi. Su questi problemi miglioreranno, ma ci sono per così dire anche cose buone, e sono decisione dei villaggi,  uomini e donne.

Per esempio, se per delle cure io prendo in prestito 10.000 pesos dalla Banca autonoma, se sarò riuscito a curare mio figlio o mia moglie pagherò il 2% di interesse; se invece non sarò riuscito a curarlo, e mio figlio o mia moglie saranno morti, ebbene anche il prestito si sarà perso, non dovrò restituirlo. È un accordo che hanno stabilito nella zona: così come si è persa la vita della famiglia, allo stesso modo se ne va anche il denaro.

Dove trovano i fondi per le banche autonome? Ci sono vari sistemi messi in atto dai compagni della zona. Uno è stabilire un accordo che non gravi troppo sui compagni, le basi, come un accordo che preveda un peso al mese, per ogni base d’appoggio. Ovvero questo mese di maggio devo depositare un peso, e poi a giugno un altro peso, vuol dire che sono 12 pesos che apporto io come base d’appoggio all’anno, ed essendo migliaia allora ce ne saranno 12000,15000, e così via. Ecco quanto va al fondo, ovvero alla banca autonoma.

Un’altra cosa riguarda le donazioni che danno i nostri fratelli e sorelle, compagni e compagne solidali. Una parte di esse va nel fondo, nella banca autonoma, e altre parti se ne vanno nei lavori collettivi della zona. Un’altra maniera di ottenere risorse è che le zone si mettano d’accordo. Al tempo di vendere i raccolti, caffè o mais che sia, si mettono d’accordo, e allora ad esempio ogni base d’appoggio deve apportare 80 chili di mais, 50 chili di fagioli, poi si vende a tonnellate e il ricavato entra in un fondo. Poi decidono se quel fondo andrà alla banca autonoma o sarà investito in altro.

Un’altra maniera di agire per zone è che i compagni facciano un lavoro collettivo nel campo, nella coltivazione di caffè, e quando si raccoglie si ottiene un’altra entrata.

Bene, c’è una cosa che vorremmo condividere qui, perché, se un giorno vi dovesse capitare durante la lotta, sappiate che funziona così. Ieri stavamo discutendo di ONG, e dicevamo che i progetti sono diminuiti, ma questo non avviene perché non ci siano ONG o perché ormai le ONG non gestiscano progetti, che invece proseguono. È che c’è qualcosa che non gli è piaciuto. Vari anni fa una ONG arrivò dai compagni della Giunta di Buon Governo e disse loro di un progetto di salute, e i compagni lo accettarono, un progetto da 400.000 pesos. Poi torna un altro membro della ONG, a spiegare come si farà programma del progetto di salute, e allora la Giunta di Buon Governo gli chiede dov’è il foglio del progetto e con l’ammontare totale del progetto.

“Ah, non lo avete ancora?”, dice.

“No, perciò lo stiamo chiedendo”.

“Ah, allora con molto piacere”.

Lo tirano fuori e lo consegnano, e il progetto dice 1.400.000 pesos. Da lì abbiamo visto che quella ONG ci stava dando 400.000 pesos e le stavano rimanendo 1 milione di pesos. Ovvio, era per pagare la luce, ecco cosa dissero dopo, che era per pagare l’affitto o chissà che altro. Da allora noi abbiamo iniziato a fare esperienza di quel che realmente significa, non so come dirvi, ma insomma ONG sta per  Organizzazioni Non Governative, no?

A partire da questo episodio venne comunicato ai compagni delle giunte delle zone di fare attenzione. Perciò adesso ogni ONG che presenti i suoi progetti è richiesta di mostrare il bilancio totale. “Sì, ve lo porto”, ma in anni non sono potuti tornare, si vede che non trovano la macchina.

Ecco quel che accadde. Alcuni sono rimasti, e stanno accompagnando i compagni delle Giunte di Buon Governo. Ma non vuol dire che le ONG non stiano cercando progetti. Sì, vanno in giro, a volte anche dicendo che stanno lavorando con i municipi autonomi ribelli zapatisti, ma va bene, lo vedranno.

Un modo di risparmiare usato dai compagni, ad esempio, riguarda la salute, perché i compagni delle giunte si mettono d’accordo con alcuni medici che aiutano. I medici ci dicono che ci sono due interventi chirurgici, il minore e il maggiore, e che il minore costa 20 o 25.000 pesos, e il maggiore molto di più. Quel che fanno i medici che aiutano i compagni è andare negli ospedali autonomi e realizzare l’intervento chirurgico.

È davvero un grande appoggio perché tagliano ed estraggono quel che devono estrarre e basta, i compagni non pagano. I compagni si incaricano soltanto dell’antibiotico, perché non ci sia infezione, ed è roba da 1000 o 2000 pesos. Cioè è un bel risparmio.

Un altro sistema è che corra la voce di ciò di cui vi ho già raccontato. Corre nelle comunità, e infatti ieri stavamo parlando del fatto che gli affiliati dei partiti vanno e non trovano un dottore, non trovano un chirurgo o una chirurga, e correndo la voce di come si organizzano i compagni, anche tutti gli affiliati ai partiti vanno all’ospedale in cui arrivano i medici solidali. Perciò quel che fanno i compagni dell’assemblea della zona è mettersi d’accordo sul fatto che devono incassare qualcosa, ma non troppo.

Ad esempio, se medico dice che un intervento costa 6000 pesos, il paziente affiliato a un partito dovrà pagare 3000 pesos. E se dice che un altro intervento costa 8000, l’affiliato a un partito deve pagarne 4000. Ma anche così, l’affiliato al partito sta risparmiando perché altrove costa dai 20 ai 25.000 pesos.

Sono tutte maniere di cercare di avere entrate. Ci sono zone che possiedono lavori collettivi di artigianato. Ci sono compagne nelle zone che lavorano in collettivo nell’allevamento o nella vendita di cibo, che sono temporanei perché non funzionano tutto il tempo, ma ogni volta che ci sono le nostre feste funziona il collettivo della mensa.

In questi lavori collettivi delle zone, i compagni autorità dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e delle Giunte di Buon Governo sono quelli che si incaricano di promuovere e di animare, e cercano sostegno e orientamento nei compagni del Comitato Clandestino.

Ora c’è la partecipazione dei compagni basi d’appoggio, che fanno proposte anche in assemblea su quale lavoro collettivo si può fare. Questi lavori collettivi di cui parliamo ci sono serviti molto per capire cosa significa veramente vigilare sul governo, su quelli che amministrano, e che sono governo, cioè la Giunta di Buon Governo e i MAREZ. Ed essendo lavoro e sudore del popolo i compagni esigono che le loro autorità debbano rendere conto, quante sono state le entrate totali, quante le spese totali, in cosa si è speso e quanto resta. Perciò non lasciano in pace le proprie autorità, che devono rendere conto e immaginatevi se viene fuori un inghippo, perché ora invece di andare in carcere si va al lavoro collettivo, perché bisogna pagare con il lavoro collettivo quel che si ruba o si spreca.

Nel lavoro collettivo che si fa, perché stiamo parlando di centinaia di uomini che ci lavorano, escono fuori problemini che poi si convertono in problemoni. Per esempio, magari io so che ci sarà un lavoro di preparazione del campo, e quindi voglio un machete (incomprensibile), e dunque il tale compagno porta un machetone. Qual è il problema? Il problema è che nello stesso tempo che ci metto io a fare un lavoro con il mio machete che ha un raggio d’azione limitato, lui che ha un machete grande ha un raggio d’azione più grande, cioè io faccio il furbo per lavorare meno. Quando succede questo, l’autorità, cioè l’incaricato del lavoro collettivo, stabilisce che a ciascuno tocchino 2 metri, e così resta fregato chi porta un attrezzo grande, piccolo, perché a chi tocca prima tocca.

Perché sono queste le cose che tolgono l’entusiasmo, demoralizzano, causano problemi, e cose tipo “il dirigente perché lo permette, sarà perché è suo cognato, suo suocero”, no? Si cerca la soluzione su come fare. Ah, sì, c’è chi fuma la sigaretta, e chi lima molto il proprio machete, per passare il tempo, cioè non c’è bisogno di fare i furbi. Che non gli succeda altrimenti non ci sarà da ridere.

E quindi il senso è che non ci lasciamo soli. Siamo molto testardi e cocciuti. Non li abbandoniamo. Cerchiamo la via d’uscita, consigliando, dando chiarimenti e spiegazioni, e così via.

I lavori collettivi di cui stiamo parlando ci hanno aiutato molto, secondo il sistema che il mese si divide in 10 giorni di lavoro collettivo e 20 giorni per il lavoro familiare. Ciascuno si mette d’accordo. Un altro dice no, cinque giorni per il lavoro collettivo e 25 per quello familiare. Ciascuno si mette d’accordo, che si tratti di villaggio ovvero comunità, o di regione, oppure di municipi autonomi o cdi zona. Questi sono i quattro livelli di assemblee, possiamo dir così, cioè di come si mettono d’accordo.

Ciò di cui stiamo parlando, compagni, è che ciò che ci dà la forza e il fatto di essere organizzati. E siamo organizzati in tutto e sotto un unico modo di vedere, perché teniamo presenti tutti noi, perché siamo noi a dover risolvere le cose. Non avremo bisogno di pensare a nessun altro, né al governo né a nessun altro. Perciò, compagni e compagne, dobbiamo risolvere questo problema, dobbiamo fare questo lavoro. Si deve pensare, si deve discutere, si deve analizzare, si deve spronare, si deve consultare le basi. I compagni hanno veramente approfondito molto questo e trovato il meccanismo da utilizzare, perché è laborioso.

Rendetevi conto che noi magari siamo qua e arriva una proposta della giunta di buon governo, e noi autorità che siamo qua comprendiamo la grande importanza e necessità che ha, ma le nostre basi non lo sanno, perciò dobbiamo tornare. Quindi la cosa ci porta via 10,15 giorni, e poi c’è da ritornare un’altra volta in assemblea e vedere il risultato. Ovvero, è laborioso il processo che porta a una decisione, ma ciò che permette che otteniamo quel che otteniamo, è il fatto che siamo organizzati.

L’organizzazione è ciò che ci unisce. Perciò è così importante dire organizzarsi. Nel momento stesso in cui siamo qui inizia tutto questo e iniziano i che faremo e come lo faremo, e tutte le montagne di problemi, vedrete, ora ve lo stiamo giusto dicendo, affinché i rappresentanti abbiano il fegato, perché lo vedranno, perché può essere che sarai tu il primo ad abbandonare. E quando dico abbandonare è per un mucchio di cose, perché ruberai quel che c’è, o perché sei buono solo a gridare e non lavori, cioè esigi soltanto, gridi ma non fai. O al contrario, tu ti sbatti e vedi che la tua gente non ti segue, e allora “cosa mi sto sbattendo a fare?”.

Lo vedrete, lo vedrete, perciò ve lo stiamo dicendo, ma è così, non c’è un’altra possibilità, anche volendo cercarla non c’è. C’è l’idea che dicono della disobbedienza, cioè che bisogna disobbedire al sistema, ma come? I compagni basi d’appoggio lo stanno facendo, stanno disobbedendo, e il governo ormai non ha un ruolo, né sul piano politico, né ideologico, né economico, eppure andiamo avanti più o meno allo stesso modo, perché noi non paghiamo i milioni di imposte, che sono milioni di pesos, ma nemmeno riceviamo i milioni che dice di dare, ed ecco perché diciamo che siamo messi più o meno uguale. Ma non ha un ruolo sul piano culturale, né sociale.

Ma vedo che avete ormai gli occhi che sembrano occhietti da armadillo. Domani continueremo e (inascoltabile).

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Parole del Subcomandante Insurgente Moisés (4 maggio 2015)

Buon pomeriggio compagni, compagne.

Quello di cui vi parlerò, non lo leggerò, ma vi parlerò, riguarda come era e come è l’economia nelle comunità, quindi del capitalismo. Vi parlerò di 30 anni fa e di 20 anni fa e di qualche anno fa. Ve ne parlerò in tre parti: come vivevano le comunità 30 anni fa; come vivono ora quelle che non sono organizzate come zapatisti e poi come viviamo noi zapatista adesso.

Non vuol dire che non sappiamo niente dei secoli passati, lo sappiamo. Quello che vogliamo è marcare questi 30 anni, dal 1983, quando il gruppo di compagni arriva qui, da allora sono passati 30 anni.

Quando ancora non c’era l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, per il sistema capitalista noi indigeni del Chiapas semplicemente non esistevamo, non eravamo persone, nemmeno esseri umani. Per loro non servivamo neppure come spazzatura. E così per gli altri fratelli indigeni nel resto del nostro paese. E così immaginiamo fosse anche in tutti i paesi dove c’erano indigeni.

Sulle montagne, nelle valli, dove loro vivevano, venivavano tenuti come nelle riserve. Non sapevano se ci fossero indigeni, come la chiamano, nella Biosfera dei Montes Azules. Quindi nessuno teneva il conto del numero di bambini che nascevano. Cioè, il capitalismo non sapeva niente, non teneva il conto perché per lui non esistevamo.

Dunque, come abbiamo fatto a sopravvivere? Grazie alla madre terra. La madre terra ci ha dato la vita, anche senza governo, governatori o presidenti che si ricordino di noi. Eravamo dimenticati. Nei nostri villaggi, sulle terre migliori, con qualche uomo e qualche donna, c’erano i proprietari terrieri, i finqueros, i latifondisti.

Loro sì che avevano migliaia di ettari di terre buone, buona acqua, buoni fiume. Per questo ci hanno cacciato sulle montagne, perché per loro le montagne non sono utili, non danno niente, e lì hanno gettato noi..

A cosa gli servono quelle migliaia e migliaia di ettari di buone terre? È per avere migliaia e migliaia di capi di bestiame, mucche. Come hanno potuto restare lì per così tanti anni? Perché avevano buoni pistoleros che noi chiamiamo guardias blancas che non ci lasciavano passare sui loro terreni, sulla terra che dicevano che era loro.

Quindi, come possiamo parlare di economia nelle comunità se eravamo lì dimenticati. L’unica cosa che facevano era sfruttare nelle loro proprietà il lavoro dei nostri nonni e bisnonni. Allora, abbiamo dovuto inventare, abbiamo dovuto immaginare come vivere, come sopravvivere nella nostra madre terra, resistendo a tutte le malvagità del proprietario terriero o del latifondista.

Non c’erano strade, non si sapeva nemmeno di nome cosa fossero cliniche od ospedali, tanto meno le scuole. Non c’erano campagne di salute, non c’erano programmi di aiuti, non c’erano borse di studio, non c’era niente, eravamo dimenticati.

Parlo di tutti i fratelli ed i compagni con i quali ora siamo organizzati, non parlo per me solo, dell’economia capitalista di 20 anni nelle comunità, come iniziarono ad interessarsi alle comunità, non tanto alle comunità stesse, ma a dove vivevano, dove viviamo, e dove molti  fratelli e compagni sono morti.

Ma non gli  bastava avere le migliori terre. Ora si accorgono che anche nelle montagne c’è un’altra merce molto redditizia per loro, come si è detto molte volte qui, che sono le risorse naturali. Allora si organizzano per tornare a cacciarci anche da lì. Cioè fanno depredazioni, sgomberi, perché vogliono quella ricchezza.

E quella ricchezza sta lì perché come noi coi nostri trisavoli l’abbiamo presevata, ma i capitalisti se la vogliono prendere ed in pochi anni distruggeranno quello che era lì da milioni di anni nella nostra madre terra.

Com’è potuo avvenire? Lo sapete, vi ricordo solo quale fu il trucco, la trappola del sistema capitalista, quando modificarono l’articolo 27 [della Costituzione – n.d.t.] affinché si potessero privatizzare gli ejidos, ed ora vogliono che la madre terra si possa vendere o affittare.

Vi devo chiedere di fare un eesercizio di immaginazione perché stiamo parlando di 20 anni fa, cioè quando siamo venuti fuori pubblicamente.

Allora il governo si accorse di noi e, mascherato in varie maniere, il malgoverno dice che sta soddisfando le nostre richeste e comincia a costruire strade, ma non è per risolvere le nostre domande, ma per andare incontro all’articolo 27 che privatizza gli ejidos. Allora, si accorge che ci siamo ribellati e ne approfitta dicendo che sta compiendo le richieste, costruisce strade, distribuisce progetti di sostegno; ed i progetti sono roba di un milione o due milioni di pesos, e sono cento, duecento, trecento progetti, da lì tirano fuori quel miserabile denaro che neanche arriva nelle comunità, ma resta tutto ai malgoverni; ma quello è ciò che annunciano, quello che ci dicono.

Se vi raccontassi tutto quello che dicono i compas ed i fratelli! Raccontano che ci sono perfino progetti che si chiamano “pececito“, ma vai a sapere che cosa diavolo vuol dire pececito. (…)

Ed iniziano ad esserci alcune scuole, qualche clinica. Gli alunni non sanno nemmeno leggere e gli danno la borsa di studio. E riguardo alle cliniche dicono che danno l’assicurazione popolare affinché con quella credenziale sei ben assistito, ma nel momento che hai bisogno di assistenza, vai alla clinica e ti dicono che non c’è il medico o la dottoressa, e ci sono le medicine, ma sono scadute. Ma siccome non sappiamo leggere, il dottore, dottoressa, ti dà la medicina scaduta, o ti dicono di prendere qualcosa che però non cura la tua malattia. La barzelletta è che ti danno una medicina che non si sa nemmeno se serve per la tua malattia.

Quindi hanno distribuito molti progetti e tutte quelle cose di cui vi ho parlato, e così sono trascorsi gli anni. Una delle cose che hanno fatto con tutti quei progetti del malgoverno, è stato distribuire un po’ di denaro ma esercitare il controllo; è proprio per controllare che il malgoverno fa questo, per infiltrarsi tra gli zapatisti. Si chiama credo campagna di contrainsurgencia o guerra di bassa intensità, non so come si chiami esattamente, ma questo è il controllo per farti smettere di lottare, per comprarti. Inoltre se vuoi andare con gli zapatisti, ti dicono: guarda il mio esercito, è molto più preparato, vai solo verso la morte. Dunque, questa è tutta una campagna controllarli.

Vi sto raccontando questo perché ora, in quelle comunità che hanno permesso di privatizzare i loro ejidos, perché c’è chi ha accettato di farlo, possiamo dire che vivono come nelle città, dove ci sono vagabondi, gente per strada che non ha casa, drogati e cose così. Uguale è ormai nelle comunità che hanno venduto la loro terra, hanno ricevuto i loro bei documenti di proprietà, sono diventati racheros, piccoli proprietari, allora hanno venduto quello che già era loro e sono rimasti per strada, non hanno più dove seminare il mais e i fagioli.

Altri, quelli che hanno accettato i progetti di vario tipo, stanno pagando gli interessi al capitalismo. Nel caracol della Realidad c’è una comunità che si chiama Agua Perla, dove scorre il fiume Jataté. In quel villaggio hanno accettato i progetti, ora è arrivato un gruppo di, come li chiamiamo, caxlanes, meticci, che gli dicono: sapete una cosa, signori, qui c’è quello che dovete pagare; quella terra non è più vostra, e se non volete problemi, andate ad Escárcega – cioè in Campeche, credo che  Escárcega sia in Campeche – o andatevene in Oaxaca – dove il governo del Chiapas e quello di Oaxaca si stanno combattendo per i confini de Las Chimalapas -.

E’ lì che stanno dicendo di andare a quelle comunità legate ai partiti, perchè una volta erano i priisti a fregarti, ed ora ti fregano tutti i partiti.

Un’altra comunità a Roberto Barrios, si chiama Chulum Juárez, ha accettato progetti. Hanno offerto una strada e la comunità ha accettato. Sono arrivati ed hanno fatto una bella strada asfaltata.  Dopo la strada hanno ricevuto i tetti di lamiera. Poi siccome c’era la strada hanno portato la sabbia ed altre cose, e quando è stato tutto sistemato hanno detto alla comunità: sapete una cosa, signori? Ve ne dovete andare perché in questa montagna c’è l’uranio che il governo vuole estrarre, se volete vivere andate in Oaxaca, se volete, o alla peggio dovrete andarvene.

Questo è quello che avevano preparato 20 anni fa, e che ora stanno applicando. Più ancora adesso che hanno cambiato le leggi, il sistema capitalista c’è riuscito a fare quello che diceva, è quello che dicono le carte. È quello che diciamo noi: le carte dicono che c’è l’autorizzazione, ma devi scontrarti con la gente, devi vedere se davvero la gente lo permette, e devono vedersela con noi, gli zapatisti.

Allora, abbiamo studiato la nostra storia passata e ci siamo chiesti, se il capitalismo cambia il suo modo di dominare per avere più di quello che già ha, perché noi, sfruttati e sfruttate, non facciamo la stessa cosa?

Così lo abbiamo chiesto ai fratelli e sorelle dei partiti, e anche qui facciamo delle distinzioni. Noi chiamiamo fratelli, sorelle, quelli che stanno coi partiti, quelli che non ci fanno del male. Non chiamiamo fratelli e sorelle i fottuti paramilitari, quelli sono figli di puttana.

Quando siamo venuti fuori pubblcamente, come dice la compagna Vilma, noi zapatisti abbiamo detto che bisognava recuperare la madre terra. È come se ci avessero tolto nostra madre e dovevamo andare a cercarla e recuperarla (…).

E’ successo  qualcosa  del genere, ci avevano tolto nostra mamma e cominciammo ad organizzarci perché è la prima cosa da fare. Per prima cosa bisogna organizzarsi, ed è quello che abbiamo fatto. Ci siamo organizzati donne e uomini per andare a recuperare le terre, non c’è altro modo di dirlo.

Perché dalla madre terra viene tutto, allora dovevamo recuperare la madre terra e ci siamo organizzati per lavorarla. Il malgoverno e i padroni, i proprietari terrieri, dicono che per colpa degli zapatisti quelle terre, quelle migliaia di ettari di terra sono improduttive. E noi zapatiste e zapatisti, diciamo che è vero, non sono produttive per i proprietari terrieri o per il capitalismo, sono produttive per noi, perché lì non ci sono più le migliaia di capi di bestiame; lì ora ci sono migliaia e migliaia di pannocchie di mais, come questa.

La madre terra ha ricominciato a dare i suoi frutti, piccoli, piccoli, perché era stata così maltrattata che riusciva a dare solo piccoli frutti. Siccome i nostri nonni sapevano come lavorarla, a poco a poco ci siamo  ritrovati con la nostra madre terra.

Lavoriamo collettivamente le terre recuperate. Quando diciamo collettivamente, c’è bisogno di molta pratica per fare queste cose. Per esempio, all’inizio lavoravamo la terra tutti insieme, cioè, nessuno faceva il suo pezzo di milpa, ma lo facevamo tutti insieme. Poi succedeva che cadeva molta pioggia, o molta siccità, o arrivava una tempesta, e quindi il raccolto andava perso. Allora i compagni hanno capito che così non andava bene, era meglio organizzarci e ci siamo accordati sui giorni per lavorare nella milpa collettiva e sui giorni per lavorare nella nostra milpa.

Ma soprattutto sono le compagne quelle che portano l’idea, perché sono loro che seminano i prodotti per il cibo, come le cipolle ed altre vedure che le compagne usano in cucina, ma siccome si fa collettivamente, le compagne mandavano le figlie o i figli a raccoglierle nella milpa, ma se qualcuno raccoglieva tutto, poi non restava niente, perchè è di tutti, e bisognava trovare un accordo.

Allora si comincia a vedere un problema, ed è così che i compas scoprono molte cose. Poi altri vogliono elote, e siccome la milpa è collettiva, se uno li raccoglie tutti, poi non ne restano più, e questo non va, quindi bisogna trovare un accordo. Quindi i compas si mettono d’accordo, tanti giorni facciamo il lavoro collettivo, e tanti giorni lavoriamoper noi.

Il lavoro collettivo si fa nel villaggio, a livello locale, in comunità; si fa a livello regionale, una regione comprende 40, 50 o 60 villaggi; il lavoro collettivo si fa anche a livello municipale, un municipio raggruppa 3, 4 o 5 regioni, questo è il municipio autonomo ribelle zapatista. E quando diciamo lavoro collettivo di zona, intendiamo in tutti i municipi che sono nella zona della Realidad, o di Morelia o della Garrucha, delle cinque zone.

Quando parliamo di zone, sono centinaia di villaggi, quando si parla di municipi sono decine di villaggi. Il lavoro collettivo si fa sulla madre terra.

Vi ricordo solo, come aveva detto il defunto Sup Marcos, che a quei tempi ci dicevano che non eravamo anticapitalisti perché bevevamo coca cola, non so se qualcuno si ricorda. Ci idealizzano e basta. No, compagni e compagne, fratelli e sorelle. Il fatto è che noi siamo organizzati.

Vi farò un esempio più chiaro. Ricordo che una compagna della città si era arrabbiata moltissimo perché aveva visto un compa zapatista che stava sgridando la sua compagna, perché era ubriaco. Allora abbiamo detto alla compagna: tranquilla, compagna, perché quella compagna lo denuncerà all’autorità domani, e quel compa sarà punito. Il fatto è che si pensa che se diciamo una cosa, è solo quella. No, questo vuol dire idealizzare. Ma la compagna si rivolge alle autorità e poi c’è la sanzione.

La cosa importante è essere organizzati. Perché prima, quante ce n’erano di donne picchiate, non c’era sindaco, non c’era consigliere comunale, non c’era presidente municipale che risolvesse il problema delle compagne, perché era ancora peggio il sindaco, il consigliere comunale o il presidente municipale.

Bene, stavamo parlando del lavoro collettivo. Si fanno altri lavori collettivi, per esempio la vendita di questi prodotti, non è perché ci piace, perché per noi, zapatiste e zapatisti, per distruggere il capitalismo dobbiamo abolirla. Ed una maniera di abolirla è prederci i mezzi di produzione e gestirci da noi la produzione. Allora se vendiamo delle cose, per esempio qui c’è questo, la terra, ma quello che c’è lì?, i fiori?, è prodotto del capitalismo?, quegli occhiali?, e tutto quello che avete addosso?

Così lo intendiamo, perché è una maniera di graffiare il capitalismo. Così intaccheremo i suoi profitti, è la verità. Non è una bugia, lo capiamo. Poi una cosa è dire, ed altra fare. Per esempio, ricordo qua molte ONG che dicevano non permetteremo la costruzione del Chedrahui, non compreremo mai lì dentro. Non passarono nemmeno due settimane. Quindi, una cosa è dire, e un’altra cosa fare.

Vi dirò delle tante cose che abbiamo scoperto con il lavoro collettivo, che non riguardano solo la madre terra, ma scoprimmo la resistenza.

Incominciò la resistenza dei nostri compagni e compagne dei nostri villaggi, voglio dirvi come è nata l’idea dalla resistenza. Ai tempi della sollevazione, il malgoverno cominciò ad usare, ad utilizzare, non so come si dice, le spie per sapere come si muovevano gli zapatisti. I compagni e le compagne scopriono spie tra i maestri e le maestre, e li cacciarono.

Allora è sorto un problema, perché non c’erano più maestri nelle comunità.Bene, abbiamo dovuto inventare, immaginare, creare. Allora, come dicevo, il governo faceva vedere che distribuiva molti progetti, come per farci invidia, ma poco a poco abbiamo capito che dava quello che dava perché non voleva che ci fosse un governo zapatista, dato e fatto da noi stessi. Ah, bene, abbiamo detto.

Poi le compagne cominciano a dire no, perché nel ’94 sono morti compagni insurgentes ribelli. Quelle compagne sono quelle che hanno cominciato a dire: se noi ci siamo armati ed i nostri compagni sono morti, non dobbiamo accettare quello che avanza, le elemosine, le briciole del malgoverno che vuole comprare quelli che non sono zapatisti perchè non diventino zapatisti.

Quest’idea ha iniziato a diffondersi e non accettare niente dal malgoverno è come andare a combattere – così è cominciata. Poi abbiamo scoperto che non è niente male non accettare niente dal malgoverno. Ve lo dico perchè è stato proprio mentre il governo distribuiva progetti e aiuti a quelli dei partiti, mentre noi dicevamo che dovevamo coltivare la madre terra. E quando abbiamo cominciato a dire così, i compagni e le compagne dicevano: sì,  perché quando c’erano i nostri bisnonni e trisavoli, per caso gli davano fagioli, riso, olio, latte? No, al contrario, tutta la forza lavoro dei nostri bisnonni era per il padrone. E allora perché ora il governo ti dà il tuo chilo di farina, miscela, fagioli? Inoltre è pure transgenico, come si dice, chimico che neanche il latte è latte vero.

Allora abbiamo detto che dovevamo lavorare la madre terra, allora abbiamo dato forza a quella resistenza e quelli che l’hanno capito, i compas, presto hanno avuto fagioli, mais, caffè, maiali, tacchini, animali. E quando quelli che stanno con i partiti ricevono le lastre di lamiera, il cemento, la sabbia, quelle cose, hanno bisogno poi della carriola, ma siccome non lavorano la terra non hanno soldi per comprarla. Mentre i compas possono comperare gli attrezzi perchè lavorano la terra.

Allora i compas hanno visto che funzionava, noi indigeni siamo pratici. Quindi abbiamo detto, facciamo tutti così, e così i compas hanno coltivato la terra ancora con più entusiasmo.

Allora il governo comincia a dire che sta distribuendo molti progetti e che tutte quelle case con i tetti di lamiera sono grazie ai suoi progetti. Ma non è vero. Sono case costruite dai compas. Così il governo si è accorto che doveva controllare chi costruiva la sua casa autonomamente, e quando dà le case a quelli che stanno con i partiti, questi devono dimostrare che sono case di un progetto governativo, altrimenti sono accusati di essere zapatisti.

A noi zapatisti dispiace vedere come vivono i fratelli che stanno con i partiti, perché molti dei loro ragazzi e ragazze li abbiamo conosciuti e non sono più in comunità, sono andati via ad inseguire il sogno americano, alla ricerca del biglietto verde, del dollaro. Molti non sono più tornati, altri sono ormai un pugno di cenere, altri che sono tornati sono drogati, fumano marijuana. E quelli che non fumano marijuana hanno cambiato cultura, dicono che non vogliono bere pozol, che non lo conoscono più, e questo è ancora peggio.

E quando un figlio o una figlia ritorna, trovano i genitori che non fanno niente perché il governo li ha abituati a non fare niente ma solo a ricevere aiuti. Cioè, i fratelli dei partiti sono diventati inutili, non lavorano più la terra. La parola che li definisce, credo sia, sottomessi.

Per lo meno all’epoca dello schiavismo eri cosciente che era il tuo padrone a schiavizzarti, ma in questo caso no, perché ti vizia, ti abitua, ti programma nel tuo chip, cioè nella tua testa, nel tuo cervello. Allora non capisci più e quindi non riesci a vedere la vera faccia di Peña Nieto, né di Velasco, né di altri che ti inganneranno.

Perché lo fanno? Perché è uno dei modi per ottenere quello che vogliono, cioè la madre terra per sfruttarne le risorse. Non è il solo modo per strapparci con la forza la madre terra, quando non riescono così, allora mandano l’esercito e la polizia ad ucciderci, ma arriva il giorno in cui il popolo non lo permette più. Uno si abitua a ricevere aiuti dal governo e così non lavora più la terra, ed è ancora peggio se ti danno i documenti di proprietà della terra, perché finisci col venderla.

Questo è quello che succede ai fratelli che stanno con i partiti. Questo è quello che vuole il capitalismo, quello che c’è nella madre terra.

Vi faccio un esempio di come è triste la situazione delle comunità affiliate ai partiti, e se per caso qui ci sono fratelli e sorelle di queste comunità, lo potranno confermare. C’è una comunità nella zona della Realidad, si chiama Miguel Hidalgo, vicina al villaggio di Nuevo Momón. Lì quei fratelli erano, fino a pochi mesi fa, della CIOAC-Histórica ed erano d’accordo con quanto fatto al nostro compagno maestro Galeano. Settimane dopo quello che fecero del compa maestro Galeano, quei fratelli, ora ex cioaquistas, non vogliono più essere della CIOAC per divergenze politiche di partito, ideologiche riguardo ai progetti, ed hanno dovuto farsi da parte per non essere ammazzati. Sono quindi scappati e si sono rifugiati su una terra recuperata nel ’94 quando sono stati cacciati violentemente dalla loro comunità.

Non c’è rispetto, i leader delle organizzazioni sociali sono responsabili di tutto questo perché si arrendono, si vendono, e così uomini e donne di quell’organizzazione è necessario che si organizzino.

Per questo diciamo che è un disastro. Ora quelle comunità dei partiti, circa un mese e mezzo fa, si sono viste tagliare gli aiuti del governo, e nelle comunità davano borse di studio anche senza saper leggere né scrivere, per ogni alunno davano mille o milleduecento pesos. I genitori che magari avevano quattro figli a scuola, si prendevano i loro cinquemila pesos, così si erano abituati.

Adesso, per quattro figli a scuola quelle famiglie prendono 800 peso per tutti e quattro, e sono fregati. Già, siete stati fregati, fratelli. Cosa possiamo dirvi? Tra gli indigeni la comunicazione è veloce, come con un cellulare; se succede qualcosa a qualcuno, la comunità viene subito a saperlo; se qualcuno è malato, la comunità ne viene subito a conoscenza. Come per telefono.

Con i compas dei villaggi, con le basi, facciamo riunioni dove spieghiamo che la situazione peggiorerà e non solo per noi indigeni, ma per tutto il Messico, campagne e città, e non solo in Messico. Noi zapatisti abbiamo parenti che non sono zapatisti, ci sono alcuni che sono brave persone; ce ne sono altri che non vogliono avere niente a che vedere con noi. Noi parliamo con le basi che capiscono la situazione e la voce si diffonde. (…).

Questa è la parte che abbiamo letto ieri, domandandoci che cosa possono fare quei fratelli. Quello che diciamo loro è: organizzatevi, fratelli.

Che cosa fare nell’organizzazione? Pensateci.

Ma come facciamo? Pensate a come vivete.

Riguardo alla vita di quelli dei partiti, vediamo che i bambini, le bambine, non hanno nessuna colpa per come stanno le cose. Nonostante quello che fa il malgoverno, i bambini sono lo stesso abbandonati. Cosa ne sarà di loro? Si sveglieranno quando si renderanno conto di quello che succede, ma per questo pensiamo che devono succedere  molte cose. Diventeranno ladruncoli, banditi, ruberanno mais, fagioli, di tutto, peggio se saranno drogati. Ci sono comunità dove i giovani fumano solo marijuana, davvero, non mento. Per questo dico che lì i bambini, le bambine, sono come galline abbandonate.

Questo che vi raccontiamo è come viviamo noi. Voi sapete come vivete voi dove vivete. L’unica cosa che diciamo è che si deve passare a mettere in pratica le nostre idee, altrimenti è solo parlare, e parlare. (…).

Compagne, compagni, fratelli, sorelle, non vi stiamo dicendo di sollevarvi in armi, né di copiare paro paro il nostro esempio. No. Ognuno veda cosa può fare sul  suo terreno, ma ora è necessario passare alla pratica.

Quello che vogliamo costruire è per i secoli , per sempre, allora, come facciamo? Se gli attivisti, vecchi zapatisti non preparano i loro figli, cioè la nuova generazione, quelli che adesso hanno 19 o 20 anni, da qui a 50, 60 anni, ritornerà il nipoe del generale Absalón Castellanos Domínguez, l’ex generale, l’ex governatore del Chiapas, ritornerà e comanderà un’altra volta nelle comunità se non si prepareranno le nuove generazioni. E così si deve preparare la generazione successiva, affinché quello che diciamo duri secoli e secoli e per sempre.

Una delle basi della nostra resistenza economica, è la madre terra. Non abbiamo le case che dà il malgoverno, ma abbiamo sistemi di salute, abbiamo scuole, abbiamo i governi che obbediscono al popolo.

Poi, una cosa è l’economia, e un’altra cosa è come governiamo. Mi è molto difficile spiegarlo, perchè i compas non lo fanno in un unico modo.

Per esempio: alcuni collettivi di compas si organizzano collettivamente per vendere mais, fagioli, bestiame, diciamo che fanno i coyote per competere col coyote. Per esempio, se io sono zapatista ed il compratore del caffè, del bestiame, del mais, è compa, il caffè dovrebbe essere intorno ai 23 pesos al kilo, allora io zapatista indago per sapere quanto costa dove compera il coyote, se là si vende a 40 pesos e qui il coyote lo compera a 23, allora ci sta guadagnando. Io faccio il conto di quanto spendo per il trasporto e di quanto posso aumentarlo al chilo, se lui paga 23 pesos al kilo io ne devo pagare 24. Quindi arrivano a comprare i compas zapatisti e perfino quelli dei partiti, così il coyote non ha più clienti. Quando il coyote sente che io pago 24 pesos e lui 23, torna a competere con me e paga 24 pesos. Allora lo zapatista rifà i conti e può pagare 25 pesos al kilo. E’ concorrenza tipo da coyote a coyote, mi capite? Questa è la lotta.

Quelli dei partiti dicono: gli zapatisti pagano di più. Questa è la vita nelle comunità. Per questo vi dicevo che non esiste un unico modo di fare le cose, si cercano atlri modi. E questo ha a che vedere con l’economia nell’essere autorità autonoma.

Per esempio, nell’ambito dell’autonomia tutto andava bene nel settore della salute, dell’educazione,  dell’agroecología, o delle tre aree, come dicono i compas, hueseras, levatrici e piante medicinali; ma quando sono diminuiti i progetti o le donazioni dei compagni e compagne solidali e delle ONG, allora la costruzione dell’autonomia ne ha risentito in questi ambiti.

Allora abbiamo pensato che avevamo sbagliato un’altra volta, perché avevamo solo speso e nient’altro, perché non era risultato del nostro sudore, come dicono i compas. Perché quando è il risultato del proprio sudore, te ne prendi ben cura, non lo butti via. Abbiamo deciso che così non va bene e che dovevamo correggerlo.

Nel momento in cui abbiamo cercato di correggere questo aspetto, sono cominciati i problemi. Molte delle cose che facciamo, come ci stiamo organizzando, non credete siano frutto della nostra bella immaginazione, perché siamo dei superman. No, compagni, compagne, fratelli, sorelle. Continuiamo ad inventare, continuiamo a creare. Di fronte ai problemi cerchiamo di risolverli, non ci arrendiamo. Il vantaggio di questo è che siamo noi stessi a risolvere i problemi, non dipendiamo più da nessuna istanza del governo. Se va male,va male per tutti. Se va bene, va bene per tutti.

Vi stavo dicendo dei progetti e delle donazioni ched ovevamo correggere la modalità e quando abbiamo trovato la soluzione, questa non è piaciuta a chi ci presentava i progetti. Perché abbiamo detto: non si tratta solo di spendere soldi, dobbiamo pensare bene a quello che realizzeremo, perché un giorno quando non ci sarà più il sostegno al progetto dei compagni solidali, dobbiamo essere in grado di andare avanti e resistere da soli.

Quell’errore, quella falla in ambito economico, ci ha fatto ricordare i tempi trascorsi in clandestinità, perché in clandestinità siamo riusciti a costruire cliniche, e non sapevamo che avremmo visto compagni e compagne del continente asiatico, dei cinque continenti perché, non ce lo sognavamo proprio, tuttavia siamo riusciti a farlo. Non era della solidarietà, era dal sudore. Allora abbiamo detto ai compagni, ora ci rimettiamo a lavorare, ed è quello che facciamo adesso.

Per questo diciamo che ci stiamo rieducando, riorganizzando per la tormenta che verrà. Davvero, compagni e compagne, le cose non sono facili, ma la scommessa è non arrendersi.

Il lavoro collettivo, è cosa di due o tre mesi fa, perché ci stiamo riorganizzando, ci stiamo  rieducando, allora dobbiamo lavorare duro collettivamente affinché sappiamo come dovremo muoverci, o lottare.

Se in occasione di assemblee dei compas nei villaggi, regioni, municipi e zone, un compa zapatista dice, compagni, compagne, io non voglio lavorare collettivamente perché non me ne viene niente, ma non è perché non voglio restare nella lotta, io continuo ad essere zapatista e se c’è bisogno di cooperare per la lotta, io sono d’accordo.

I compas gi dicono, compa è male quello che dici, devi ricordare quello che sei, sei zapatista, perché qui non si tratta solo del lavoro collettivo, qui si tratta di essere zapatista. Lo zapatista deve affrontare tutto. Allora se tu dici che non vuoi andare a lavorare nel collettivo perché ci vogliono quattro, tre, cinque giorni, allora ti toccherà essere municipio autonomo ribelle zapatista, e dovrai svolgere quel servizio per tre anni , e solo tre, quattro giorni per andare a fare lavoro collettivo. Pensa bene a quello che stai dicendo.

(…)

Vi ho raccontato tutto questo, compas, perchè capiate che la scommessa è non mollare, è fare, non solo parlare. Affrontatelo, fatelo, cercatelo, inventatelo, credeteci. È questo.

Perché potevate immaginare quello che dicevamo sul fatto di lavorare la madre terra, e poi l’avete visto, vi ci hanno portato i vostri guardiani, le vostre guardiane a vedere se non lavorano gli zapatisti! Gli zapatisti non emigrano! Pensate a quello che vi ho detto del compa base di appoggio che non vuole fare il lavoro collettivo, perché è così che nascono i problemi. Uno esce, o si autoespelle, perché qua l’essere zapatista è che devi affrontare tutto, ma qualcuno non ci riesce e se  ne va. Quelli che se ne vanno è perché non vogliono più lottare, hanno abbandonato l’organizzazione.

Noi non paghiamo luce, acqua, possesso della terra, niente. Ma non riceviamo niente dal sistema. E come abbiamo già detto, lo confermiamo qui col nostro lavoro collettivo, zona, regione, municipi o villaggi, noi andiamo avanti e se dobbiamo fare mobilitazioni per appoggiare altri fratelli, sorelle, compagni, compagne,lo facciamo, ma non per chiedere al governo di mantenere le sue promesse, non ci spendiamo per questo.

Riguardo a come siamo, quello che vogliamo fare e quello che pensiamo di fare, sono i compas, le comunità che autorizzano, sono loro che comandano, sono loro che decidono. Non dipendiamo dal governo. E continueremo con questo nostro modo di essere, lavorando, lottando, e moriremo così se è necessario, per difendere quello che ora siamo.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Sub Galeano: È un onore ascoltare tre generazioni di donne dell’EZLN.

“È un rivoluzione quotidiana che vede le donne in prima linea”.

San Cristóbal de las Casas, Chiapas. 6 maggio. “Se una donna veniva picchiata dal marito, non poteva reclamare. Se chiedeva aiuto alle autorità, queste non facevano giustizia. Eravamo umiliate, ci vergognavamo di essere donne”, ricorda la comandante Miriam, nel Seminario il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista, esponendo la difficile strada che hanno dovuto e che devono percorrere le donne indigene affinché i loro diritti siano rispettati.

La comandanta zapatista ha ricordato che al tempo dei cacicchi, vivevano acasilladas con le loro famiglie all’interno delle tenute, dove non erano rispettati e venivano trattati come oggetti. È per questo che molte famiglie decisero di andare in montagna e formare una comunità per vivere fuori dalla tenuta. Purtroppo, una volta nel nuovo villaggio, anche se non c’era più il padrone, c’erano pero i “padroncini”, ovvero gli uomini di casa, “le donne vivevano rinchiuse come in una prigione”, ha raccontato Miriam.

“le donne le obbligano a sposare qualcuno contro la loro volontà. Poi ogni anno c’è una gravidanza, al marito non importa se la donna soffre. La donna si alza presto per preparare il pranzo che il marito si porterà al lavoro, poi quando il marito torna a casa, se ne va a passeggio o a giocare e la donna resta sola, e quando a notte fonda torna il marito, questo non le chiede come stai o se hai bisogno di qualcosa”, ha spiegato la ribelle zapatista. “quando si va a qualche festa, vogliono che le donne restino con il capo chino e coperte con lo scialle, come se non fossimo niente”, ha aggiunto.

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Da parte sua la comandanta Rosalinda, seconda generazione di donne zapatiste, ha detto che a poco a poco, lavorando nelle diverse commissioni assegnatele, ha perso la paura e la vergogna. “La partecipazione delle donne è necessaria, abbiamo lo stesso coraggio e la stessa forza degli uomini”, ha aggiunto. La comandanta Dalia ha poi esternato: “gli uomini una volta erano degli stronzi, ed alcuni ancora lo sono, ma non tutti perché adesso le donne si fanno rispettare”. “È necessario partecipare all’organizzazione e formare altre generazioni”, ha aggiunto.

Le giovani zapatiste Lisbeth e Selena, Terza generazione di donne zapatiste, hanno detto che loro “non sanno come funziona con le autorità del malgoverno”, perché sono cresciute con le proprie autorità autonome. Loro possono scegliere quello che vogliono essere, sia nell’area dell’educazione, salute, mezzi di comunicazione o come autorità, ci sono diversi compiti che come donne possono svolgere”, hanno aggiunto. Nello stesso tempo hanno affermato di essere coscienti dell’influenza che hanno sui giovani i grandi mezzi di comunicazione riguardo il modo di vestire, di comperare ed il modo di fare. Inoltre si rammaricano che i giovani che non sonno nell’organizzazione emigrino in altri stati e cambino completamente i loro usi e costumi.

Nel suo intervento il subcomandante Galeano ha dichiarato che le donne non solo devono lottare contro il sistema, “ma contro di noi, gli uomini”.

Dal Kurdistan è arrivato quindi il messaggio di resistenza della gente della montagna e del fuoco, in particolare delle donne. Rivendicando il diritto di continuare ad esistere, che cosa è la vita senza libertà? si chiede Havin Güneser, del Kurdish Freedom Movement. Le prime unità guerrigliere formate solo da donne in grado di prendere le proprie decisioni sono nate agli inizi degli anni ’90. “La donna è la prima linea, per questo è necessario abbattere il muro che ci schiaccia. Siamo le crepe nel mondo, e queste crepe si devono incontrare e diventare sempre più profonde”, afferma l’attivista sociale.

Karla Quiñones, di New York, racconta la difficile situazione delle donne immigrate negli Stati Uniti che in maggioranza non sanno leggere né scrivere e quindi restano isolate. I governi di Stati Uniti e Messico usano le deportazioni secondo convenienza in modo che le lavoratrici non si organizzino e non abbiano diritti. Di fronte a questa situazione, Quiñones si pronuncia per la decentralizzazione e per comunità di immigranti con governi autonomi.

Mariana Favela, appartenente al Movimento #Yosoy132, riprendendo quanto detto da Havin Güneser, segnala che se la donna è la prima linea, è anche la prima resistenza. (…).

Silvia Federici, dall’Argentina, invia il suo contributo scritto “nell’economia globale capitalista, una delle caratteristiche dello sfruttamento delle donne è la difesa delle terre comunitarie proprio da parte delle donne, perché gli uomini sono emigrati. “È una rivoluzione quotidiana che vede le donne in prima linea”, afferma.

Márgara Millán si chiede: che cosa possiamo proporre, non solo per opporsi, ma per costruire qualcosa di diverso? Silvia Marcos nella sua relazione riprende il filosofo Luis Villoro, segnalando che “l’utopia è già qui, vive nello zapatismo”. Rispetto alla relazione tra donne e uomini, concorda con il motto zapatista: siamo uguali perché siamo differenti. Sottolinea inoltre il lavoro delle donne nelle Giunte di Buon Governo zapatiste dove svolgono un ruolo importante nelle decisioni, accordi e soluzioni che si prendono.

Nella pagina di Radio Zapatista tutti gli audio della seduta del Seminario: AUDIO RADIO ZAPATISTA

Comandanta zapatista Miriam

Havin Güneser, Movimiento de Liberación Kurdo

Karla Quiñonez

Silvia Federici

Márgara Millán

Sylvia Marcos

Comandanta Rosalinda

Comandanta Dalia

Compañera base de apoyo Lisbet

Subcomandante Insurgente Galeano

 

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SULLE ELEZIONI. ORGANIZZARSI

Aprile 2015.

Ai compagni della Sexta:

A quelli che stanno leggendo perché gli interessa sebbene non siano della Sexta:

In questi giorni, come ogni volta che avviene questa cosa che chiamano “processo elettorale”, sentiamo e vediamo che se ne escono col fatto che l’EZLN chiama all’astensione, cioè che l’EZLN dice che non si deve votare. Dicono questa e altre stupidaggini, poiché hanno la testa grande per niente, visto che non studiano la storia e neppure ci provano. E questo seppure scrivano libri di storia e biografie e prendano i soldi per tali libri. Ovvero, guadagnano per dir bugie. Come i politici.

Chiaro che voi sapete che a noi non interessano le cose che fanno quelli di sopra per cercare di convincere la gente di sotto del fatto che la tengano in considerazione.

Come zapatisti che siamo non chiamiamo a non votare e nemmeno a votare. Come zapatisti che siamo ciò che facciamo, ogni volta che è possibile, è dire alla gente che si organizzi per resistere, per lottare, per ottenere ciò di cui si ha bisogno.

Noi, come molti altri tra i popoli originari di queste terre, ormai conosciamo il modo di fare dei partiti politici, e si tratta di una brutta storia di brutta gente.

Una storia che per noi come zapatisti che siamo ormai storia passata.

Credo che fu il defunto Tata Juan Chávez Alonso a dire che i partiti politici dividono i popoli, li mettono gli uni contro gli altri, li fanno litigare perfino tra parenti.

E di quando in quando, lo vediamo accadere in queste terre.

Voi sapete che in varie comunità nelle quali stiamo, c’è gente che non è zapatista, che vivacchia senza organizzarsi e aspettando che il malgoverno gli passi la sua elemosina per farsi qualche foto per dimostrare che il governo è buono.

Allora vediamo che, ogni volta che ci sono elezioni, alcuni si vestono di rosso, altri di azzurro, altri di verde, altri di giallo, altri trasparenti, e così combattono tra di loro, a volte tra gli stessi familiari. Perché combattono? Ebbene, per vedere chi li comanderà, a chi obbediranno, che gli darà ordini. E pensano che se vince il tale colore, chi ha appoggiato quel colore riceverà più elemosina. E allora li vediamo dire che sono ben decisi e consapevoli nell’aderire a un partito, e a volte arrivano ad ammazzarsi per un fottuto colore. Perché sono quelli che già comandano a volere l’incarico, a volte vestendosi di rosso, o di azzurro, o di verde, o di giallo, o mettendosi un nuovo colore. E dicendo che fanno parte del popolo e che bisogna appoggiarli. Ma non fanno parte del popolo, sono gli stessi governanti che un giorno sono deputati locali, un altro sono sindaci, un altro sono funzionari di partito, poi sono presidenti municipali e così via, saltando da un incarico all’altro, e anche da un colore all’altro. Sono gli stessi, gli stessi cognomi, sono i parenti, i figli, i nipoti, gli zii, i cugini, i parenti, i cognati, i fidanzati, gli amanti, gli amici degli stessi bastardi e bastarde di sempre. E dicono sempre la stessa roba: dicono che salveranno il popolo, che ora si comporteranno bene, che non ruberanno più così tanto, che aiuteranno i poveracci, che li tireranno fuori dalla miseria.

Ebbene, si spendono i loro soldi, che ovviamente non sono loro bensì sono presi dalle imposte. Però queste bastarde e bastardi non spendono i soldi per aiutare o sostenere i poveracci. No. Li spendono per mettere i loro nomi e le loro foto nella propaganda elettorale, negli annunci delle radio e televisioni commerciali, nei loro giornali e riviste a pagamento, e compaiono perfino al cinema.

Ebbene, quelli che nelle comunità sono sostenitori sfegatati di un partito al momento delle elezioni e molto consapevoli del loro colore, quando alla fine viene fuori chi ha vinto passano tutti a quel colore, perché pensano che così gli verrà dato il loro regalino.

Per esempio, che ora gli daranno un televisore. Ebbene, come zapatisti che siamo noi diciamo che gli stanno dando una pattumiera, perché attraverso la televisione gli manderanno un mucchio di spazzatura. Ma se prima il problema era che gli dessero tutto o no, ora non gli danno e non gli daranno più nulla.

Se glielo davano, era perché diventassero scansafatiche. Si sono perfino dimenticati come si lavora la terra. Se ne stanno lì, aspettando che arrivino i soldi del governo per spenderseli in bevute. E se ne stanno lì nelle loro case, sfottendoci perché noi andiamo al campo di lavoro mentre loro non fanno che aspettare che ritorni la moglie, la figlia, mandate a raccattare il sussidio, il sostegno del governo.

E così via, finché non arriva più. Senza preavviso, non esce nei media prezzolati, nessuno viene a dirgli di essere i loro salvatori. Semplicemente, cessa il sostegno. E quel fratello o sorella si rende conto di non aver più nulla, né per le bevute, né tanto meno per il mais, i fagioli, il sapone, i pantaloni. E allora deve tornare al campo di lavoro ormai in abbandono, inselvatichito che nemmeno ci si può camminare. E siccome si è ormai dimenticato come si lavora, gli si gonfiano le mani tanto che nemmeno può impugnare il machete. Lo hanno fatto diventare un essere inutile che vive solo di elemosine e non di lavoro.

Ecco ciò che già sta succedendo. Non viene fuori nelle notizie dei malgoverni. Al contrario, viene fuori che vengono dati molti fondi. Ma nei villaggi non arriva più nulla. Dove va a finire il denaro che il malgoverno dice di stare dando per la campagna di elemosine sulla fame? Ebbene, già lo sappiamo che là sopra hanno detto che ci sarà meno denaro o che semplicemente non ce ne sarà più. Voi credete che, mentre il contadino ormai campa di elemosina si dimentica di lavorare, quello che sta sopra e che gli passava il sussidio lavori? No, anche quello di sopra è abituato a ricevere gratis. Non sa vivere onestamente lavorando, sa solo vivere occupando incarichi di governo.

Quindi succede che essendoci meno soldi non arriva più nulla. Resta tutto di sopra. Un po’ lo arraffa il governatore, un altro po’ il giudice, un altro po’ il poliziotto, il deputato, il presidente municipale, il sindaco, il leader contadino e a quel punto alla famiglia del sostenitore di partito non arriva più nulla.

Prima sì che arrivava, ma ora non più. “Che succede?”, chiede il sostenitore di partito. E pensa che il problema sia che il tal colore non serve più, e prova a passare a un altro colore. Il risultato è lo stesso. Nelle assemblee i sostenitori di partito si incazzano, si urlano addosso, si accusano l’un l’altro, si chiamano traditori, venduti, corrotti. È in effetti sì, sia quelli che gridano che quelli che subiscono le urla sono traditori, venduti e corrotti.

E allora, la base di questi partiti si dispera, si angustia, è presa dalla pena. È svelato l’inganno perché nelle nostre case zapatiste c’è il mais, ci sono i fagioli, c’è la verdura, c’è quel minimo di soldi per le medicine e i vestiti. E dal lavoro collettivo viene fuori quel che serve per sostenerci tra di noi in caso di necessità. C’è la scuola, c’è la clinica. Non è il governo che ci viene ad aiutare. È che noi stessi ci aiutiamo tra compagni zapatisti e con le compagne e i compagni della Sexta.

Allora viene il fratello affiliato al partito e ci chiede che fare, perché è messo male.

Ebbene, sappiate cosa rispondiamo noi:

Non gli diciamo di cambiare il partito per un altro meno peggio.

Non gli diciamo di votare.

Nemmeno gli diciamo di non votare.

Non gli diciamo di farsi zapatista, perché lo sappiamo bene, per la nostra storia, che non tutti hanno la forza d’animo di essere zapatisti.

Non lo prendiamo in giro.

Semplicemente gli diciamo di organizzarsi.

“E allora cosa faccio?”, ci chiede.

E allora gli diciamo: “Veditela da solo sul da farsi, secondo quel che ti dice il tuo cuore, la tua testa, e non che venga qualcun altro a dirti cosa devi fare”.

E lui ci dice: “E’ che la situazione è veramente incasinata”.

E noi non gli diciamo bugie, non gli facciamo chissà che grandi discorsi. Noi gli diciamo soltanto la verità:

“Non farà che peggiorare”.

-*-

Sappiamo bene che così vanno le cose.

Ma come zapatisti abbiamo anche ben chiaro che c’è ancora gente che da altre parti della città e della campagna, cade nella trappola di mettersi con i partiti.

Sembra molto vantaggioso mettersi coi partiti, perché si guadagnano soldi senza lavorare, senza sbattersi per guadagnare pochi centesimi e avere il minimo per mangiare, vestirsi e curarsi.

Ciò che fanno quelli di sopra è ingannare la gente. Questo è il loro lavoro, vivono di questo.

Lo vediamo che c’è gente che ci crede, crede che la situazione migliorerà, che il tal dirigente risolverà il problema, che si comporterà bene, che non ruberà molto, che intrallazzerà solo un po’, che bisogna provare.

Quindi noi diciamo che sono pezzi di piccole storie che devono passare. Che devono constatare con i propri occhi che non ci sarà nessuno che risolverà il problema, ma che dobbiamo risolverlo noi stessi, stesse, come collettivi organizzati.

Le soluzioni le dà il popolo, non il leader, non i sostenitori dei partiti.

E non lo diciamo solo perché suona bene. È perché lo abbiamo visto accadere realmente, è perché già lo facciamo.

-*-

Può darsi che molto tempo fa, alcuni aderenti ai partiti di sinistra, prima di istituzionalizzarsi, cercassero di creare coscienza tra il popolo. Non cercavano il potere attraverso le elezioni, ma di smuovere il popolo perché si organizzasse, e lottasse, e cambiasse il sistema. Non solo il governo. Tutto, tutto il sistema.

Perché dico aderenti ai partiti di sinistra istituzionale? Be’, perché sappiamo che ci sono partiti di sinistra che non sono coinvolti negli intrallazzi di sopra, che hanno le loro modalità, ma non si vendono, né si arrendono, né cambiano il loro pensiero sul fatto che bisogna finirla con il sistema capitalistico. Perché lo sappiamo, e noi come zapatisti non lo dimentichiamo, che la storia della lotta di sotto è scritta anche con il loro sangue.

Ma la grana è la grana e il sopra è il sopra. E gli aderenti ai partiti di sinistra istituzionale hanno cambiato il loro modo di pensare che è diventato la ricerca di un posto, per i soldi. Semplicemente: i soldi. Cioè la grana.

O pensate che creare coscienza si faccia disprezzando, umiliando, criticando la gente di sotto? Dicendogli che sono dei mangiapanini che non pensano? Che sono ignoranti?

Pensate che creino coscienza se, quando gli si dice: “senti tu, uomo di partito di sinistra, quel capretto o capra, che tu dici essere la speranza, è già stato di altri colori e non è che un ratto”, ti rispondono che sei venduto a Peña Nieto?

Pensate che creino coscienza se dicono alla gente la menzogna che noi zapatisti diciamo di non votare; magari perché stanno vedendo che forse non otterranno l’elezione, ossia più grana, e stanno cercando un pretesto per incolpare qualcuno?

Pensate che creino coscienza se stanno dicendo di non votare chi non ha studiato ed è povero perché sono ignoranti che votano soltanto il PRI?

Se il Velasco del Chiapas dà ceffoni con la mano, questi uomini di partito danno ceffoni con il loro razzismo mal nascosto.

Guardate che l’unica coscienza che stanno creando questi uomini di partito è che, oltre a essere orgogliosi, sono degli imbecilli.

Cosa si credono?

Che dopo aver ricevuto i loro insulti, le loro menzogne e i loro rimbrotti, la gente di sotto accorrerà a inginocchiarsi dinanzi al loro colore, a votare per loro e a pregarli di salvarla?

Ecco cosa diciamo come zapatisti: ecco la prova che per essere un politico di partito di sopra bisogna essere bavoso o svergognato o criminale, o le tre cose insieme.

-*-

Noi zapatisti diciamo che non bisogna aver paura che il popolo comandi. È la cosa più sana e giudiziosa. Perché il popolo stesso cambierà le cose come ha veramente bisogno. E solo così esisterà un nuovo modo di governare.

Non è che non capiamo che significhi eleggere o elezione. Noi zapatisti abbiamo un altro calendario e un’altra geografia su come fare le elezioni in territorio ribelle, resistendo.

I nostri villaggi eleggono già per conto proprio, e non si spendono milionate né si consumano tonnellate di immondizie plastiche, di teloni con le loro fotografie di ladruncoli e criminali.

Certo, abbiamo appena 20 anni di cammino nell’elezione delle nostre autorità autonome, secondo la vera democrazia. Così abbiamo camminato, con la Libertà che con cui stiamo e con l’altra Giustizia del popolo organizzato. Dove si coinvolgono migliaia di donne e di uomini per scegliere. Dove tutte e tutti sono d’accordo e si organizzano nella vigilanza affinché mantengano il mandato dei villaggi. Dove i villaggi si organizzano per vedere quali saranno i lavori spettanti alle autorità.

Cioè come il popolo comanda il suo governo.

I villaggi si organizzano in assemblee, dove si iniziano a esprimere pareri e di conseguenza a venire fuori le proposte che vengono studiate, nei loro pro e contro, e si analizza qual è la migliore. E prima di decidere le portano a tutti i villaggi per l’approvazione e tornano in assemblea per la presa di decisione secondo la maggioranza della decisione dei villaggi.

Questa è già la vita zapatista nei villaggi. È già una cultura di verità.

Vi sembra che sia molto lento? Perciò noi diciamo che è in base al nostro calendario.

Vi sembra che avvenga perché siamo popoli originari? Perciò diciamo che è secondo la nostra geografia.

È chiaro che abbiamo commesso molti errori, molti sbagli. Certo che ne faremo altri.

Ma sono i nostri sbagli.

Noi li commettiamo. Noi li paghiamo.

Non come nei partiti nei quali i dirigenti sbagliano e per di più incassano, e quelli di sotto sono quelli che la pagano.

Perciò la storia delle elezioni nel mese di giugno non ci fa né caldo né freddo.

Non facciamo una chiamata né a votare né a non votare. Non ci interessa.

C’è di più: nemmeno ci preoccupa.

Quel che interessa a noi zapatisti è sapere di più su come resistiamo e affrontiamo le molte teste del sistema capitalista che ci sfrutta, ci reprime, ci disprezza e ci ruba.

Perché non è solo da un lato e in un modo che il capitalismo opprime. Opprime se donna. Opprime se impiegato. Opprime se operaio. Opprime se contadino. Opprime se giovane. Opprime se bambina o bambino. Opprime se maestro. Opprime se studente. Opprime se artista. Opprime se pensi. Opprime se sei umano, o pianta, o acqua, o terra, o aria, o animale.

Non importa che lo profumino o lavino, il sistema capitalista “gronda sangue e fango, da tutti i pori, dalla testa ai piedi” (andatevi a vedere chi lo ha scritto e dove).

Pertanto la nostra idea non è di promuovere il voto.

Tanto meno di promuovere l’astensione o il voto in bianco.

Il nostro pensiero non è di fornire ricette su come far fronte al problema del capitalismo. Non è nemmeno per imporre il nostro pensiero ad altri.

Il seminario serve a vedere le varie teste del sistema capitalista, a cercare di capire se ha nuovi metodi per attaccarci o sono gli stessi di prima.

Se ci interessano i pensieri altrui è per vedere se è vero ciò che vediamo arrivare, ovvero una crisi economica tremenda che si congiungerà ad altri mali e farà molti danni a tutte e tutti da tutte le parti, in tutto il mondo.

Perciò se è vero che sta per accadere questo, o che sta già accadendo, bisogna pensare se ha senso agire allo stesso modo di prima.

Pensiamo che dobbiamo obbligarci a pensare, ad analizzare, a riflettere, a criticare, a cercare il nostro proprio passo, il nostro proprio modo, nei nostri luoghi e nei nostri tempi.

Ora chiedo a voi che state leggendo queste righe: che votiate o no, vi danneggia pensare come va il mondo nel quale viviamo, analizzarlo, capirlo? Pensare criticamente vi impedisce di votare o di astenervi? Vi aiuta o no a organizzarvi?

-*-

Finendola sulle elezioni:

Soltanto perché resti ben chiaro e non vi facciate ingannare sul fatto che diciamo ciò che non diciamo.

Noi capiamo che ci sono quelli che credono di poter cambiare il sistema votando alle elezioni.

Noi diciamo che è una cazzata perché è chi comanda a organizzare le elezioni, a dire chi è candidato, a dire come si vota e quando e dove, a dire chi vince, ad annunciarlo e a dire se tutto si è svolto in maniera legale o no.

Ma va bene, c’è gente che pensa di sì. Va bene, noi non diciamo di no, ma nemmeno di sì.

Quindi, che votino per un colore o trasparente, o non votino, quel che noi diciamo è che bisogna organizzarsi e prendere nelle nostre mani il governo e obbligarlo a obbedire al popolo.

Se avete già pensato di non votare, noi non diciamo che va bene, e nemmeno diciamo che va male. Vi diciamo solo che pensiamo che non basti, che bisogna organizzarsi. E ovviamente di prepararvi perché vi daranno la colpa delle miserie della sinistra partitica istituzionale.

Se avete pensato di votare e già sapete chi voterete, è uguale, non discutiamo se va bene o va male. Quel che vi diciamo chiaramente è di prepararvi perché resterete molto arrabbiati per gli inganni e le frodi che subirete. Perché a ingannare sono esperti quelli che stanno al Potere. Perché quel che succederà è già deciso da quelli di sopra.

Sappiamo anche che ci sono leader che ingannano la gente. Le dicono che ci sono solo due strade per cambiare il sistema: o la lotta elettorale o la lotta armata.

Ecco ciò che dicono per ignoranza o per assenza di vergogna, o per entrambe.

In primo luogo, essi non stanno lottando per cambiare il sistema, né per prendere il potere, bensì per diventare governo. Non è la stessa cosa. Dicono che una volta al governo faranno cose buone, ma hanno cura di mettere in chiaro che non cambieranno il sistema, bensì che ne rimuoveranno gli aspetti negativi.

Converrebbe che studiassero un po’ e capissero che essere governo non è detenere il Potere.

Si vede come non sappiano nemmeno che rimuovendo gli aspetti negativi del capitalismo non c’è più capitalismo. E vi dirò perché: perché il capitalismo è lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dei molti da parte di pochi. Se ci aggiungete anche le donne, la faccenda non cambia. Se ci aggiungete anche gli altrei, la faccenda non cambia. Continua ad essere il sistema nel quale alcunei si arricchiscono a spese del lavoro di altrei. E sono pochi gli altrei di sopra, e sono molti gli altrei di sotto. Se gli affiliati ai partiti dicono che ciò va bene e che bisogna solo stare attenti che non passino il segno, che lo dicano pure.

Ma per arrivare a essere governo non ci sono solo due vie come dicono loro (la via armata e la via elettorale). Dimenticano che anche il governo si può comprare (o hanno già dimenticato com’è arrivato al governo Peña Nieto?). E non solo questo, forse non lo sanno ma si può comandare senza essere governo.

Se questa gente dice che si può fare solo con le armi o con le elezioni, l’unica cosa che dicono è che non conoscono la storia, che non studiano bene, che non hanno immaginazione, che sono degli svergognati.

Basterebbe che guardassero un po’ di sotto. Ma ormai gli si è torto il collo dal tanto guardare di sopra.

Perciò noi zapatisti non ci stanchiamo di dire: organizzatevi, organizziamoci, ciascuno nei suoi luoghi, lottiamo per organizzarci, lavoriamo per organizzarci, pensiamo a iniziare a organizzarci e incontriamoci per unire le nostre organizzazioni per un Mondo in cui i popoli comandano e il governo obbedisce.

Riassumendo: come abbiamo detto prima, come diciamo ora: che tu voti o no, organizzati.

E quindi noi zapatisti pensiamo che bisogna avere un pensiero adeguato per organizzarsi. Cioè si necessita la teoria, il pensiero critico.

Col pensiero critico analizziamo le modalità del nemico, di chi ci opprime, ci sfrutta, ci reprime, ci disprezza, ci deruba, ma andiamo verificando anche com’è la nostra strada, come sono i nostri passi.

Perciò stiamo chiamando tutta la Sexta a fare riunioni di pensiero, di analisi, di teoria, di come vedete il vostro mondo, la vostra lotta, la vostra storia.

Vi chiamiamo a realizzare i vostri semenzai e a condividere ciò che lì seminerete.

-*-

Noi come zapatisti continueremo ad autogovernarci secondo il principio che il popolo comanda e il governo obbedisce.

Come dicono i compagni zapatisti: Hay lum tujbil vitil ayotik. Vuol dire: va molto bene come siamo.

Un’altra: Nunca ya kikitaybajtic bitilon zapatista. Vuol dire: non smetteremo mai di essere zapatisti.

Un’altra ancora: Jatoj kalal yax chamon te yax voon sok viil zapatista. Vuol dire: Fino a quando morirò il mio nome sarà zapatista.

Dalle montagne del sudest messicano.

A nome di tutto l’EZLN, degli uomini, delle donne, dei bambini e degli anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, aprile-maggio 2015. 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2015/05/06/sulle-elezioni-organizzarsi/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Il Muro e la Crepa.

Primo Appunto sul Metodo Zapatista.

3 maggio 2015

Buona sera, giorno, notte a chi ci ascolta e chi ci legge, indipendentemente da calendari e geografie.

Il mio nome è Galeano, Subcomandante Insurgente Galeano. Sono nato all’alba del 25 maggio 2014, per volere collettivo e non mio, e nemmeno di altri, altre e otroas. Come il resto delle mie compagne e compagni zapatisti, mi copro il volto quando è necessario mostrarmi, e mi scopro per nascondermi. Nonostante non abbia ancora compiuto un anno di vita, il comando mi ha assegnato il compito di guardia, vedetta o sentinella in uno dei posti di osservazione di questa terra ribelle.

Siccome non sono abituato a parlare in pubblico, tantomeno di fronte a così tante e così (scusate, dev’essere il singhiozzo da panico del palcoscenico), dicevo così raffinate personalità, vi ringrazio per la comprensione per i miei balbettii ed inciampi nella difficile e complicata arte della parola.

Ho assunto il nome di Galeano, il nome di un compagno zapatista, un maestro ed organizzatore, indigeno che fu aggredito, rapito, torturato ed assassinato da paramilitari patrocinati da una presunta organizzazione sociale: la CIOAC-Histórica. L’incubo che si concluse con la vita del compagno maestro Galeano, iniziò l’alba del 2 maggio 2014. Da quell’ora, noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo iniziato la ricostruzione della sua vita.

In quei giorni la direzione collettiva dell’EZLN decise di far morire il personaggio autonominato SupMarcos, allora portavoce degli uomini, donne, bambini ed anziani zapatisti. Da allora, l’incarico di portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale è stato assunto dal Subcomandante Insurgente Moisés. Per sua voce parliamo, attraverso i suoi occhi guardiamo, nei suoi passi camminiamo, noi siamo lui.

Mesi dopo quel 2 maggio, la notte è scesa sul Messico aggiungendo un nuovo nome alla già la lunga lista del terrore: “Ayotzinapa”. Come è già avvenuto altre volte nel mondo, una geografia del basso veniva segnalata e nominata da una tragedia studiata ed eseguita, cioè, un crimine.

Abbiamo già detto, per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, cosa ha significato Ayotzinapa per zapatiste e zapatisti. Col vostro permesso e delle mie compagne e compagni cape e capi zapatisti, riprendo le sue parole.

Ayotzinapa è dolore e rabbia, ma non solo. È anche e soprattutto l’ostinato impegno dei genitori e compagni degli assenti.

Alcuni di questi genitori che non hanno lasciato cadere la memoria, ci hanno fatto l’onore della loro condivisione e sono qui con noi in terre zapatiste.

Abbiamo ascoltato la parola di Doña Hilda e Don Mario, madre e padre di César Manuel González Hernández, ed abbiamo la presenza e la parola di Doña Bertha e Don Tomás, madre e padre di Julio César Ramírez Nava. Con loro reclamiamo i 46 assenti.

A Doña Bertha e Don Tomás chiediamo di far arrivare queste parole agli altri familiari degli assenti di Ayotzinapa. Perché è stata la loro lotta a far avviare questo semenzaio.

Credo che più di una, uno, unoa, della Sexta e dell’EZLN concorderanno con me che avremmo preferito che non fossero qui. Voglio dire che avremmo voluto che fossero qui ma non per dolore e rabbia, ma per un abbraccio tra compagni. Che non fosse successo nulla quel 26 settembre. Che il calendario avesse dato una mano amica ed avesse saltato quella data, e che la geografia si fosse persa e non si fosse fermata ad Iguala, Guerrero, Messico.

Ma se dopo quella notte di terrore la geografia ha raggiunto gli angoli più remoti del pianeta, e se il calendario resta fisso su quella data, è stato per il vostro impegno, per la grandezza della vostra semplicità, per la vostra dedizione incondizionata.

Non abbiamo conosciuto i vostri figli. Ma conosciamo voi. E vorremmo che la nostra ammirazione e rispetto sia per voi una certezza, anche nei vostri momenti di dolore e solitudine.

È vero, non possiamo riempire le strade e le piazze delle grandi città. Ogni mobilitazione, per piccola che sia, per le nostre comunità rappresenta una perdita importante nella loro economia, già di per sé difficile, come quella di milioni di persone, sostenuta con difficoltà dalla ribellione e resistenza che dura da oltre due decenni. Dico nelle nostre comunità, perché i nostri aiuti non sono la somma di individualità, ma sono azione collettiva, pensata ed organizzata. Sono parte della nostra lotta.

Non possiamo emergere nelle reti sociali, né far arrivare le vostre parole oltre i nostri cuori. Non possiamo nemmeno aiutarvi economicamente, anche se sappiamo che questi mesi di lotta vi hanno segnato nella salute e nelle condizioni di vita.

Succede anche che il nostro essere ribelli ed in resistenza il più delle volte è visto con sospetto e sfiducia. Movimenti e mobilitazioni che si svolgono da diverse parti, preferiscono non rendere esplicita la nostra simpatia. Sensibili al “cosa diranno” mediatico, non vogliono che la loro causa sia associata in alcun modo “agli incappucciati del Chiapas”. Lo capiamo, non lo discutiamo. Il nostro rispetto per le ribellioni che pullulano nel mondo include il rispetto delle loro valutazioni, dei loro passi, delle loro decisioni. Rispettiamo, ma non ignoriamo. Siamo attenti ad ognuna delle mobilitazioni che affrontano il Sistema. Cerchiamo di comprenderle, cioè, di conoscerle. Sappiamo che il rispetto nasce dalla conoscenza, e che la paura e l’odio, queste due facce del disprezzo, non poche volte nascono dall’ignoranza.

La stragrande maggioranza nel mondo, non solo nel nostro paese, è come voi, sorelle e fratelli familiari degli assenti di Ayozinapa. Persone che devono combattere giorno e notte per un pezzo di vita. Gente che deve lottare per strappare alla realtà qualcosa per sopravvivere.

Chiunque in basso, uomo, donna, otroa, che conosca la storia che vi addolora, simpatizza con la vostra lotta per chiedere verità e giustizia. La condivide perché nelle vostre parole vedono la ripetizione delle loro storie, perché si riconoscono nel vostro dolore, perché si identificano con la vostra rabbia.

La maggioranza non è andata a manifestare, non ha creato temi nelle reti sociali, non ha rotto vetri, non ha incendiato auto, non ha gridato slogan, non ha usurpato palchi, non ha vi ha detto che non siete soli.

Non l’hanno fatto semplicemente perché non hanno potuto farlo.

Ma hanno ascoltato e rispettano il vostro movimento.

Non demoralizzatevi.

Non credete che, solo perché chi prima era al vostro fianco ed ora se n’è andato dopo aver fatto la sua parte o dopo aver visto che non avrebbe potuto farla, la vostra causa sia meno dolorosa, meno nobile, meno giusta.

Il cammino che avete fatto fino ad ora è stato intenso, certo. Ma voi sapete che c’è ancora molto da camminare.

Sapete? Uno degli inganni di quelli che stanno sopra è convincere quelli in basso che quello che non si ottiene rapidamente e facilmente, non si otterrà mai. Convincerci che le lotte lunghe e difficili stancano e non arrivano a niente. Truccano il calendario del basso sovrapponendo il calendario di sopra: elezioni, apparizione, riunioni, appuntamenti con la storia, date commemorative che occultano solo il dolore e la rabbia.

Il Sistema non teme le esplosioni, per quanto grandi e luminose siano. Se un governo cade, sui suoi scaffali ne ha pronti altri da porre ed imporre. Quello che lo terrorizza è la perseveranza della ribellione e la resistenza del basso.

Perché in basso il calendario è un altro. Il passo è un altro. È un’altra la storia. È un altro il dolore ed un’altra la rabbia.

Ed ora, col trascorrere dei giorni, questo basso diffuso e plurale che siamo, non solo è partecipe del vostro dolore e della vostra rabbia. Ma siamo inoltre attenti alla vostra costanza, al vostro andare avanti, al vostro non arrendervi.

Credete. La vostra lotta non dipende dal numero di manifestanti, dal numero di righe sui giornali, dal numero di citazioni nelle reti sociali, dal numero di incontri ai quali siete invitati.

La vostra lotta, la nostra lotta, le lotte del basso in generale dipendono dalla resistenza. Dal non arrendersi, dal non vendersi, dal non tentennare.

Naturalmente, questo secondo noi, zapatiste e zapatisti. Ci sarà gente che vi dirà altre cose. Vi diranno che è più importante stare con loro. Per esempio, che è più importante invitare a votare per quel tal partito politico perché così troveranno gli assenti. E che se non inviterete a votare per quel tal partito, non solo avrete perso l’opportunità di ritrovare coloro che vi mancano, ma sarete anche complici del proseguimento del terrore nel nostro paese.

Sapete bene che ci sono partiti politici che approfittano dei bisogni materiali della gente. Che offrono generi alimentari, materiale scolastico, carte prepagate, biglietti per il cinema, cappellini, panini e bibite colorate in tetra pack? Beh, c’è anche chi approfitta dei sentimenti delle persone. La speranza, amici e nemici, è il bisogno maggiormente quotato là sopra. La speranza che tutto cambi, la speranza di benessere, democrazia, giustizia, libertà. La speranza che gli illuminati di sopra emancipino dal basso i reietti, per poi rivenderla. La speranza in cui la soluzione dei bisogni dipende dal colore di uno dei prodotti sullo scaffale del sistema.

Forse è gente che ne sa più di noi zapatiste e zapatisti. Sono saggi. Inoltre, vengono pagati per sapere. La conoscenza è la loro professione, di quella vivono… o con quella defraudano.

Loro ne sanno più di noi, e riferendosi a noi dicono che siamo “persi là, sulle montagne, chissà dove”, e dicono che invitiamo all’astensione e che siamo settari, forse perché, a differenza di loro, noi rispettiamo i nostri morti.

È così comodo pronunciare e ripetere nozioni e bugie! Così a buon mercato diffamare e calunniare, e poi predicare l’unità, il nemico principale, l’infallibilità del pastore, l’incapacità del gregge.

Molti anni fa, noi zapatisti non facevamo marce, non gridavamo slogan, né inalberavamo striscioni, né alzavamo i pugni. Fino a che una volta abbiamo sfilato. La data: il 12 ottobre 1992, quando in alto celebravano i 500 anni dell’”incontro dei due mondi”. Il luogo: San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Invece degli striscioni, portavamo archi e frecce, ed un silenzio sordo era il nostro slogan.

Senza chiasso, la statua del conquistatore cadde. Se l’hanno risollevata, non importa. Non potranno mai risollevare di nuovo la paura di quello che rappresentava.

Qualche mese dopo, tornammo nelle città. Neanche quella volta avevamo slogan né striscioni, e non portavamo archi e frecce. Quell’alba odorava di fuoco e polvere da sparo. E furono i nostri volti a sollevarsi.

Mesi dopo arrivarono alcuni dalla città. Ci raccontarono delle grandi marce, degli slogan, degli striscioni, dei pugni alzati. Naturalmente, sempre premettendo che se questi poveri indios e indias, siamo sempre attenti all’equità di genere, erano sopravvissuti, era grazie a loro che nelle città avevano fermato il genocidio dei primi giorni di quell’anno 1994. Noi zapatiste e zapatisti non domandammo se prima del 1994 non ci fosse stato genocidio, né se fosse stato fermato, né se quelli della città stavano parlando di qualcosa già successo o delle sue conseguenze. Noi zapatiste e zapatisti capimmo che c’erano altre forme di lotta.

Poi abbiamo fatto le nostre marce, i nostri slogan, i nostri striscioni ed alzato i pugni. Da allora le nostre marce sono un pallido riflesso di quella marcia che illuminò l’alba dell’anno 94. I nostri slogan hanno la rima disordinata delle canzoni negli accampamenti guerriglieri di montagna. I nostri striscioni sono tremendamente complicati per trovare l’equivalente di quello che nelle nostre lingue si descrive con una parola, mentre in altre lingue c’è bisogno dei tre tomi del Capitale. I nostri pugni alzati più che sfidare, salutano. Come se si rivolgessero al domani e non al presente.

Ma qualcosa non è cambiato: i nostri volti sono ancora sollevati.

Anni dopo, i nostri cosiddetti creditori della città ci chiesero di partecipare alle elezioni. Noi non capimmo, perché noi non avevamo mai chiesto a loro di sollevarsi in armi, né che resistessero, né che si ribellassero contro il malgoverno, né che onorassero i loro morti in lotta. Non abbiamo mai chiesto loro di coprirsi il volto, di negarsi il nome, di abbandonare famiglia, professione, amicizie, tutto. Ma i moderni conquistadores, travestiti di sinistra progressista, ci minacciarono: se non li seguivamo, ci avrebbero lasciato soli e saremmo stati i colpevoli della destra reazionaria al governo. Eravamo loro debitori, dissero, e presentarono il conto da pagare stampato su una scheda elettorale.

Noi, zapatiste e zapatisti non capivamo. Eravamo insorti per comandarci da soli, non perché qualcun altro ci comandasse. Si arrabbiarono.

Poi quelli della città hanno continuato a fare cortei, gridare slogan, alzare pugni e striscioni, ed ora aggiungono tweet, hashtag, like, trending topics, followers, nei loro partiti politici ci sono gli stessi che ieri erano nella destra reazionaria, ai loro tavoli siedono insieme gli assassini ed i familiari degli assassinati, ridono e brindano insieme per i soldi ricevuti, si lamentano e piangono insieme per le poltrone perse.

Nel frattempo noi zapatiste e zapatisti qualche volta abbiamo sfilato, gridato slogan impossibili o taciuto, a volte abbiamo sollevato striscioni e pugni, sempre lo sguardo. Diciamo che non abbiamo manifestato per sfidare il tiranno, ma per salutare chi, in altre geografie e calendari, lo affronta. Per sfidarlo, noi costruiamo. Per sfidarlo, noi creiamo. Per sfidarlo, noi immaginiamo. Per sfidarlo, noi cresciamo e ci moltiplichiamo. Per sfidarlo, noi viviamo. Per sfidarlo, noi moriamo. Invece dei tweet, facciamo scuole e cliniche, invece di trending topics, feste per celebrare la vita e sconfiggere la morte.

Nella terra dei creditori della città continua a comandare il padrone, con un’altra faccia, con un altro nome, di un altro colore.

In terra zapatista comanda il popolo ed il governo obbedisce.

Forse per questo noi zapatiste e zapatisti non capivamo che noi dovevamo essere i seguaci, ed i leader della città i capi.

E continuiamo a non capire.

Ma può essere che la verità e la giustizia che voi, noi e tutti, tutte, todoas, cerchiamo, si ottenga grazie al dono di un leader circondato da persone intelligenti come lui, un salvatore, un padrone, un capo, un modello, un pastore, un governante, e tutto solo col minimo sforzo di inserire una scheda nell’urna, un tweet, la presenza nel corteo, al meeting, nella lista degli affiliati… o tacendo di fronte alla farsa che simula interesse patriottico dove c’è solo fame di Potere.

Se è vero o no, forse ce lo diranno altre idee durante questo semenzaio.

Quello che noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo imparato è che non è vero. Da sopra vengono solo sfruttamento, furto, repressione, disprezzo. Da sopra, viene solo dolore.

E da sopra vi chiedono, esigono che li seguiate. Che voi dovete a loro che il vostro dolore sia conosciuto a livello mondiale, che dovete a loro le piazze piene, le strade colme di colore e ingegno. Che voi dovete a loro l’opera di polizia che ha denunciato, perseguitato e demonizzato gli “anarco-inflitrati-schifosi”. Che voi dovete a loro le manifestazioni ordinate, gli articoli sui giornali, le foto a colori, le recensioni favorevoli e le interviste.

Noi, zapatiste e zapatisti, vi diciamo:

Non temete di perdere chi non è mai stato davvero con voi. Sono loro che non vi meritano. Che si avvicinano al vostro dolore come ad uno spettacolo alieno che piace o no, ma del quale non saranno mai parte reale.

Non temete di essere abbandonati da chi non vuole accompagnarvi ed appoggiarvi, ma solo gestirvi, domarvi, farvi arrendere, usarvi e poi gettarvi via.

Temete invece di dimenticare la vostra causa, di abbandonare la lotta.

Ma finché resisterete avrete il rispetto e l’ammirazione di molta gente in Messico e nel mondo.

Persone come quelle che oggi sono qui con noi.

Come Adolfo Gilly.

Quello che ora vi dirò, non era previsto. La ragione? Inizialmente sia Adolfo Gilly sia Pablo González Casanova avevano detto che forse non sarebbero stati presenti, entrambi per problemi di salute. Ma Adolfo è qui, e a lui ora chiediamo di parlare dopo Don Pablo.

Il defunto supMarcos raccontava che a volte qualcuno criticava che l’EZLN avesse tante attenzioni per Don Luis Villoro, Don Pablo González Casanova e Don Adolfo Gilly. L’accusa si basava sulle divergenze che queste tre persone avevano rispetto allo zapatismo, mentre non ci fosse la stessa deferenza verso intellettuali che erano cento percento zapatisti. Immagino che il Sup, dopo aver acceso la pipa, disse: “Per prima cosa, le loro differenze non sono su ciò che è lo zapatismo, bensì su valutazioni, analisi o posizioni che lo zapatismo assume rispetto diversi temi. In secondo luogo, personalmente ho visto queste tre persone di fronte ai miei capi compagne e compagni. Qua sono arrivati intellettuali di grande prestigio ed alcuni nemmeno tanto apprezzati. Sono venuti ed hanno detto la loro parola. Pochi, molto pochi, hanno parlato con le comandanti ed i comandanti. Solo di fronte a quelle tre persone ho visto i miei capi e cape parlare ed ascoltare da uguale a uguale, con mutua fiducia e cameratismo. Come hanno fatto? Bisognerebbe chiederlo a loro. Quello che so è che questo costa, ottenere la parola e l’ascolto delle mie compagne e compagni capi e cape, con rispetto e affetto, costa e molto. In terzo luogo, aggiunse il Sup, sbagli se pensi che noi zapatisti cerchiamo specchi, consensi ed applausi. Noi apprezziamo e stimiamo le differenze nelle idee, naturalmente se sono idee critiche ed articolate, e non quei pasticci che ora abbondano tra il progressismo istruito. Noi, zapatiste e zapatisti, non valutiamo un’idea sulla base del fatto che coincida oppure no con le nostre, ma se ci fa pensare, se ci provoca, soprattutto se rende conto esattamente della realtà. Queste tre persone naturalmente hanno mantenuto posizioni differenti e perfino contrarie alla nostra rispetto diverse situazioni.

Mai, non sono mai stati contro di noi. E, nonostante il viavai della moda, sono stati sempre al nostro fianco.

I loro argomenti critici e non poche volte contrari ai nostri, non ci hanno convinti, certo, ma ci hanno aiutato a comprendere che esistono posizioni diverse e pensieri differenti, e che è la realtà a decretare la ragione, non un tribunale auto-istituito nell’accademia o nella militanza. Provocare il pensiero, la discussione, il dibattito è qualcosa che noi zapatisti apprezziamo molto.

Per questo la nostra ammirazione va al pensiero anarchico. È chiaro che non siamo anarchici, ma i suoi concetti sono di quelli che provocano e animano, che fanno pensare. E credimi, il pensiero critico ortodosso, per definirlo in qualche modo, ha molto da imparare sotto questo aspetto, e non solo dal pensiero anarchico. Per farti un esempio, la critica allo Stato in quanto tale, è qualcosa presente nel pensiero anarchico già da molto, molto tempo.

Ma tornando ai nostri 3, disse il Sup a chi chiedeva una spiegazione zapatista, quando chiunque di voi riuscirà a sedersi di fronte ai miei compagni e compagne senza che questi temano di essere presi in giro, di essere giudicati, di essere condannati; quando riuscirà a parlare con loro da uguale e con rispetto; quando sarà visto come compagno e compagna e non come un giudice estraneo; quando gli mostrino affetto, come si dice qua; o quando il suo pensiero, coincidente o no col nostro, ci aiuti a scoprire il funzionamento dell’Idra; ci suggerisca nuove domande; ci inviti a percorre nuove strade; ci faccia pensare; o quando potrà spiegare o sollecitare l’analisi di un aspetto concreto della realtà; allora, e solo allora vedrà che avremo per lui le stesse poche attenzioni che possiamo offrire. Nel frattempo, disse il Supmarcos con quel senso dello humor acido che lo caratterizzava, abbandonate per favore queste gelosie etero-patriarcali, mondialiste, viperine e stupide.

Ho ricordato questo aneddoto che mi è stato riferito dal SupMarcos, perché alcuni mesi fa, quando è venuta in visita una delegazione dei familiari che lottano per la verità e la giustizia per Ayotzinapa, uno dei papà ci ha raccontato di una loro riunione con il malgoverno. Non ricordo se fosse la prima. Don Mario ci raccontò che i funzionari erano arrivati con le loro carte e la loro burocrazia, come se si stessero occupando di un cambiamento di targhe e non di un caso di sparizione forzata. I familiari erano impauriti ed arrabbiati e volevano parlare, ma il burocrate che avevano davanti diceva che potevano parlare solo quelli che erano autorizzati e li intimoriva. Don Mario racconta che con loro c’era un signore di mezza età, “di giudizio” direbbero le zapatiste e gli zapatisti. Quel signore, senza che nessuno se l’aspettasse, diede una manata sul tavolo ed alzò la voce chiedendo che fosse data la parola a chiunque familiare che volesse parlare. Don Mario ci disse, parola più, parola meno, “quel signore non aveva paura, e ce la tolse anche a noi e così cominciammo a parlare, e da allora non ci siamo più fermati”. Quell’uomo che spinto dalla rabbia si era imposto di fronte alla negligenza governativa, avrebbe potuto essere una donna, o unoa otroa, e sono sicuro che ognuno di voi avrebbe fatto la stessa cosa o qualcosa di simile in quelle circostanze, ma è toccato farlo a quel signore che si chiama Adolfo Gilly.

Compas familiari:

A questo ci riferiamo quando diciamo che c’è gente che sta con voi senza considerarvi una merce da comprare, vendere, scambiare o derubare.

E come lui, ce ne sono altre, altri, otroas, che non picchiano i pugni sul tavolo solo perché non ce l’hanno davanti, altrimenti vedreste.

Noi zapatisti abbiamo imparato anche che niente di quello che meritiamo e di cui abbiamo bisogno si ottiene con facilità né rapidamente.

Perché la speranza per quello che sta sopra è una merce. Ma per chi sta in basso è la lotta per una certezza: Otterremo ciò che meritiamo e di cui abbiamo bisogno perché ci stiamo organizzando e stiamo lottando per questo.

Il nostro destino non è la felicità. Il nostro destino è lottare, lottare sempre, ad ogni ora, in ogni momento, in tutti i luoghi. Non importa che il vento non sia a favore. Non importa che abbiamo tutto contro. Non importa che arrivi la tormenta.

Perché, lo crediate o no, i popoli originari sono specialista in tormente. Sono lì. E qui siamo. Noi ci chiamiamo zapatisti. E da oltre 30 anni paghiamo il costo di chiamarci così, in vita e da morti.

Tutto quello che abbiamo, cioè, la nostra sopravvivenza nonostante tutto e nonostante tutti quelli che stanno sopra e che si sono succeduti nei calendari e nelle geografie, non lo dobbiamo a singoli individui. Lo dobbiamo alla nostra lotta collettiva ed organizzata.

Se qualcuno chiede a chi devono gli zapatisti e le zapatiste la loro esistenza, la loro resistenza, la loro ribellione, la loro libertà, dirà la verità chi risponderà: “A NESSUNO”.

Perché è così che il collettivo annulla l’individualità che soppianta ed impone, fingendo di rappresentare e indirizzare.

Per questo vi abbiamo detto, familiari della ricerca della verità e della giustizia, che quando tutti se ne andranno e vi lasceranno soli, rimarranno i NESSUNO.

Una parte di questi NESSUNO, forse la più piccola, siamo noi zapatisti. Ma ce ne sono molti altri.

NESSUNO è chi fa girare la ruota della storia. È NESSUNO a lavorare la terra, che fa funzionare le macchine, che costruisce, che lavora, che lotta.

NESSUNO è chi sopravvive alla catastrofe.

Forse ci sbagliamo, e la strada che vi offrono potrebbe essere quella giusta. Se così credete e deciderete in questo senso, non aspettatevi da parte nostra un giudizio di condanna, né ripudio, né disprezzo. Avrete ugualmente il nostro affetto, il nostro rispetto, la nostra ammirazione.

-*-

Familiari degli Assenti di Ayotzinapa:

È molto ciò che non possiamo fare, che non possiamo darvi.

Ma in cambio abbiamo una memoria forgiata in secoli di silenzio ed abbandono, nella solitudine, nei luoghi dell’aggredito perché di colore diverso, diversa bandiera, lingua diversa. Sempre dal sistema, il maledetto sistema che è su di noi. Il sistema che si regge a nostro costo.

E forse le memorie ostinate non riempiono le piazze, né vincono o comprano poltrone nei governi, né occupano palazzi, né bruciano automobili, né rompono vetrine, né innalzano monumenti nei musei effimeri delle reti sociali.

Le memorie testarde solo non dimenticano, e così lottano.

Le piazze e le strade si svuotano, le poltrone ed i governi finiscono, i palazzi crollano, le automobili e le vetrine si sostituiscono, i musei ammuffiscono, le reti sociali corrono da una parte all’altra a dimostrare che la futilità, come il capitalismo, può essere di massa e simultanea.

Ma arrivano momenti, compagni familiari degli assenti, in cui la memoria è l’unica cosa che si ha.

In quei momenti, sappiate che avrete anche noi zapatiste e zapatisti dell’EZLN.

Perché la tenace memoria delle zapatiste e degli zapatisti è molto altra. Perché non solo porta l’annotazione dei dolori e delle rabbie passate che disegnano sul quaderno le mappe di calendari e geografie che sopra sono stati dimenticati.

-*-

IL MURO E LA CREPA

Come zapatisti, la nostra memoria si affaccia anche su quello che viene. Segnala date e luoghi.

Se non c’è un punto geografico per quel domani, cominciamo a mettere insieme rametti, sassolini, brandelli di stoffa e carne, ossa e fango, ed iniziamo la costruzione di un isolotto, o meglio, di una barca piantata in mezzo al domani, lì dove ora si scorge solo una tormenta.

E se nel calendario noto non c’è un’ora, un giorno, una settimana, un mese, un anno, cominciamo allora a riunire frazioni di secondi, minuti, e li facciamo passare per le crepe che apriamo nel muro della storia.

E se non c’è una crepa, allora facciamola graffiando, mordendo, scalciando, battendo con le mani e la testa, con l’intero corpo fino a procurare alla storia questa ferita.

E poi succede che qualcuno si avvicini e ci veda, veda la zapatista, lo zapatista che picchia duro contro il muro.

Chi passa lì vicino, a volte è chi crede di sapere. Si ferma un attimo, muove la testa con disapprovazione, giudica e condanna: “così non riuscirete mai ad abbattere il muro“.

Ma, a volte, molto raramente, passa l’altra, l’altro, l’otroa. Si ferma, guarda, capisce, si guarda i piedi, si guarda le mani, i pugni, le spalle, il corpo. E sceglie. “Qui va bene“, potremmo sentire se il suo silenzio si potesse udire, mentre fa un segno nel muro solido. E giù a picchiare.

Chi crede di sapere ritorna, dato che il suo percorso è sempre di andata e ritorno, come per passare in rassegna i suoi sudditi. Vede l’altro impegnato nello stesso ostinato compito. Valuta che ce n’è abbastanza affinché lo ascoltino, lo applaudano, lo acclamino, lo votino, lo seguano. Parla molto, dice poco: “non riuscirete mai ad abbattere quel muro, è indistruttibile, è eterno, è interminabile”. Quando ritiene sia opportuno, conclude: “quello che dovreste fare, è vedere come gestire il muro, cambiare la guardia, cercare di farlo un poco giusto, educato. Io vi prometto di ammorbidirlo. In ogni modo, staremo sempre da questa parte, Se continuate così, state solo facendo il gioco all’attuale amministrazione, del governo, dello Stato, di quel che è, non importa, perché il muro è il muro e – lo capite? starà sempre lì”.

Poi si avvicina qualcun altro. Osserva in silenzio e dice: “invece di impegnarvi tanto contro il muro, dovreste capire che il cambiamento sta dentro di ognuno, si deve solo pensare in modo positivo, ma guarda il caso, ho proprio qui questa religione, moda, filosofia, alibi che vi servirà. Non importa se è vecchia o nuova. Venite, seguitemi”.

Ma quelli che sono tenaci e picchiano contro il muro sono già meglio organizzati, diventano collettivi, squadre, si rimpiazzano, si alternano. Ci sono squadre grasse, deboli, alte e piccole; là ci sono quelli sporchi, brutti, cattivi e volgari; ce ne sono con testoni, piedoni, con le mani incallite dal lavoro, ce ne sono che, sia donne, sia uomini, sia otroas, danno una mano, il corpo, la vita.

A darci dentro con quello che hanno.

Chi con un libro, un pennello, una chitarra, un giradischi, un verso, una zappa, un martello, una bacchetta magica, una matita. C’è perfino chi colpisce il muro con un “pas de chat“. E succede quello che succede, perché il ballo è contagioso. E qualcuno porta una marimba, una tastiera o un pallone e poi i turni… beh, potete immaginare.

Naturalmente il muro non ne vuol sapere. Segue impavido, potente, immutabile, sordo, cieco.

Ed arrivano i mezzi di comunicazione prezzolati: scattano foto, video, si intervistano tra loro, consultano esperti. L’esperta tal dei tali, la cui unica virtù è essere di un altro paese, dichiara con sguardo trascendente che la composizione molecolare della materia che conferisce al muro la sua corporeità è tale che nemmeno una bomba atomica può abbatterlo e che, pertanto, quello che fa lo zapatismo è assolutamente controproducente e finisce per essere complice del muro stesso (fuori onda l’esperta chiede all’intervistatore di citare il suo unico libro, sperando che così si riesca a vendere).

Segue la sfilata di esperti. La conclusione è unanime: è uno sforzo inutile, così non abbatteranno mai il muro. All’improvviso, i media corrono ad intervistare chi offre un’amministrazione “più umana” del muro. Il groviglio di telecamere e microfoni produce un effetto curioso: chi non ha argomenti né seguaci, sembra averne molti sia degli uni che degli altri. Grande e commovente discorso. C’è la notizia. I mezzi di comunicazione prezzolati se ne vanno, perché nessuno prestava attenzione a quello che diceva il candidato, il leader o il saggio, ma ai loro telefonini che, ovviamente, sono almeno più intelligenti dell’intervistato o intervistata, informano che è scoppiato un terremoto, il funzionario tal dei tali è stato scoperto corrotto, james bond è arrivato nello Zócalo, e la partita del secolo ha attirato milioni di persone, forse perché pensavano che era tra sfruttati e sfruttatori.

Nessuno chiede niente alla zapatista, allo zapatista. Se l’avessero fatto, probabilmente non avrebbero risposto. O forse avrebbero rivelato la ragione del loro assurdo impegno: “non voglio abbattere il muro, basta fare una crepa”.

Non è stato dai libri già scritti, ma da quelli ancora non scritti ma che già sono stati letti da generazioni che le zapatiste e gli zapatisti hanno imparato che se smetti di graffiare la crepa, questa poi si chiude. Il muro si sistema da solo. Per questo devono continuare senza fermarsi. Non solo per allargare la crepa, soprattutto perché non si chiuda.

La zapatista, lo zapatista, inoltre sa che il muro muta aspetto. A volte è come un grande specchio che riproduce l’immagine di distruzione e morte, come se non fosse possibile altro. A volte il muro si dipinge gradevolmente e sulla sua superficie appare un sereno paesaggio. Altre volte è duro e grigio, come per convincere della sua impenetrabile solidità. Il più delle volte il muro è una grande pensilina dove si ripete “P-R-O-G-R-E-S-S-O”.

Ma lo zapatista, la zapatista sa che è una bugia. Sa che il muro non è sempre stato lì. Sa come è nato. Sa come funziona. Conosce i suoi inganni. E sa anche come distruggerlo.

Non gli preoccupa la presunta onnipotenza ed eternità del muro. Sa che entrambe sono false.

Ma ora la cosa importante è la crepa, che non si chiuda, che si allarghi.

Perché anche lo zapatista, la zapatista, sa che cosa c’è dall’altra parte del muro.

Se glielo domandassero, risponderebbe “niente“, ma sorriderebbe come se avesse detto “tutto“.

Durante uno dei cambi, los Tercios Compas, che non sono media, né liberi, né autonomi, né alternativi, né come si chiamino, ma sono compas, interrogano con severità chi sta picchiando sul muro.

Si dice che dall’altra parte non ci sia niente, perché volete fare una crepa nel muro?”.

Per guardare”, risponde la zapatista, lo zapatista, senza smettere di graffiare.

Perché vuoi guardare di là?”, insistono los Tercios Compas che, siccome tutti i media sono andati via, sono gli unici a restare. E per ratificarlo, sulla maglietta portano scritto “Quando i media se ne vanno, rimangono los tercios”. Ovviamente sono di troppo perché sono gli unici che fanno domande invece di battere sul muro con la telecamera o col registratore o con finalmente-so-a-che-diavolo-serve-questo-dannato-treppiede.

Los Tercios chiedono di nuovo, ci mancava altro. E gli è entrato solo in testa, perché il registratore già se n’è andato, della telecamera meglio non parlare, e il treppiede è diventato centopezzi. Quindi ripetono: “E perché vuoi guardare?”.

Per immaginare tutto quello che si potrà fare domani“, risponde lo zapatista, la zapatista.

Quando la zapatista, lo zapatista ha detto “domani” poteva benissimo riferirsi ad un calendario perso in un futuro a venire. Potrebbero essere millenni, secoli, decenni, lustri, anni, mesi, settimane, giorni… o già domani? dopodomani? domani domani? Ti piace? Non rompere che non mi sono nemmeno pettinato!

Ma non tutti, tutte, sono passati alla larga.

Non tutte, tutti, sono passati ed hanno giudicato assolvendo o condannando.

Sono stati in pochi, molto pochi, così pochi come nemmeno le dita di una mano.

Stavano lì, in silenzio, a guardare.

E sono ancora lì.

Solo di quando in quando proferiscono un “mmm” molto simile a quello dei più antichi abitanti delle nostre comunità.

Contrariamente a quanto si possa pensare, il “mmm” non significa disinteresse o indifferenza. Nemmeno disapprovazione o accordo. È piuttosto un “sono qui, ti ascolto, ti guardo, continua”.

Sono avanti con gli anni questi uomini e donne, “di giudizio” dicono i compas quando si riferiscono alle persone mature, ad indicare che i calendari sfogliati nella lotta conferiscono ragione, saggezza e discrezione.

Tra quei pochi, ce n’era uno, c’è uno. A volte quell’uno si unisce alle partite di calcio che il comando anti muro organizza per continuare a picchiare anche se con un pallone, e poi toccherà alla tastiera della marimba.

Come d’abitudine in quelle partite, nessuno chiede i nomi. Uno o una o unoa non si chiama juan, o juana o krishna, no. È la tua posizione a darti il nome. “Senti portiere! Passala terzino! Vai difensore! Dai attaccante!“, si sente tra il frastuono sul campo, con le mucche indignate perché l’andirivieni delle squadre gli rovina il pascolo.

Ai bordi del campo una ragazzina irrequieta tenta di infilarsi un paio di stivali di gomma che, si vede, le stanno grandi.

E tu, come ti chiami?“, chiede l’uomo alla bambina.

Io, difensore zapatista”, dice la ragazzina e lancia uno sguardo tipo “vattene se non vuoi morire”.

L’uomo sorride. Non ride apertamente. Sorride soltanto.

La ragazzina, è chiaro, sta reclutando elementi per sfidare il perdente.

Sì, perché qua, quando una squadra vince, va a picchiare sul muro. E la squadra che perde continua a giocare, “fino a che ha imparato“, dicono.

La ragazzina ha già una parte della squadra e se ne vanta con l’uomo.

Quello è l’attaccante”, dice indicando un cagnolino di colore indefinito per le croste di fango e che muove la coda entusiasta. “Se si mette a correre, arriva fino là”, e la bambina indica l’orizzonte nascosto dal muro.

Basta che non dimentichi il pallone“, dice quasi per scusarsi, “perché corre dall’altra parte; la palla di là ed il cagnolino attaccante di là”.

Quello è portiere o si dice anche portinaio, credo”, dice ora indicando un vecchio cavallo.

Il mio compito”, spiega la ragazzina, “è non far passare il pallone, perché lo guardi, è orbo, gli manca l’occhio destro e guarda solo in basso e a sinistra e se il tiro arriva da destra, niente da fare”.

“Beh, ora qui non c’è tutta la squadra. Manca il gatto… o forse è un cane. È molto strano quel-come-si-chiama, è come un cane ma miagola, è come un gatto ma abbaia. Ho cercato nel libro di erboristeria per vedere come si chiama un animale così. Non l’ho trovato. Pedrito ha detto che il Sup ha detto che si chiama gatto-cane.

Ma non bisogna credere a tutto quello che dice Pedrito perché…” la ragazzina si guarda intorno per assicurarsi che non ci sia nessuno che possa sentire e dice al signore in gran segreto “Pedrito tifa per l’América”, poi, con maggior confidenza: “Suo papà tifa las Chivas e si arrabbia. Così litigano e sua mamma li prende tutti e due a ciabattate così si acquietano, ma il Pedrito si mette a parlare della libertà secondo las zapatillas [le pantofole] e non so che altro”.

Sarà, secondo gli zapatisti”, corregge il signore. La ragazzina lo ignora, ben gli sta al Pedrito, la deve pagare.

Bene, tu-come-ti-chiami, pensi che il gatto-cane sappia giocare?”.

Sa giocare”, risponde a sé stessa.

Siccome il nemico non capisce se è un cane o un gatto, corre di qua e di là e allora, zac! goal! L’altro giorno stavamo quasi vincendo quando il pallone è finito nella montagna ed è arrivata l’ora del pozol e quindi la partita è stata sospesa. Te lo dico, quel gatto-cane come-si-chiami, sa giocare. Quel gatto-cane ha l’occhio giallo”.

L’uomo è rimasto di stucco. La ragazzina ha descritto un colore con le sue manine. L’uomo ha viaggiato per mari e monti, ma non aveva mai incontrato qualcuno che descrivesse un colore con un gesto. Ma la bambina non sta impartendo corsi di fenomenologia del colore, e continua a parlare.

Adesso però il gatto-cane non c’è”, dice dispiaciuta, “credo che sia andato a farsi prete perché dicono che è andato in un seminario contro il fottuto capitalismo. Tu sai cos’è il fottuto capitalismo? Bene, ti faccio un po’ di lezione di politica. Allora, il dannato sistema non ti morde solo da un lato, ma ti frega da tutte le parti. Il sistema morde tutto, ingoia tutto e si ingrassa. Cioè, per farmi capire meglio, il maledetto capitalismo è senza fondo. Per questo ho detto al gatto-cane di andare a farsi prete in un seminario. Ma non obbedisce. Lei crede che un gatto-cane può farsi prete? No, vero? Nemmeno per quanti goal faccia, e neanche per l’occhio giallo. Tu permetteresti che un gatto-cane, anche se con un occhio giallo, celebrasse un matrimonio? No, vero? Per questo quando io mi sposerò con mio marito non voglio preti, solo in municipio autonomo e poi a ballare, e se no, niente. Solo ufficialmente, perché poi non si sparli in giro. Solo io ed il mio come-si-chiami, e poi devi tenere a bada il marito, perché ‘se fai volare i corvi ti caveranno gli occhi’. Così dice mia nonna che è ormai vecchia ed ha combattuto il primo gennaio 1994. Non sai cosa è successo il primo di gennaio 1994? Allora poi te lo dico con una canzone che racconta tutto. Adesso no, perché tra poco ci tocca giocare e bisogna essere pronti. Ma per non lasciarti in sospeso, ti dico che quel giorno abbiamo detto basta ai maledetti malgoverni, basta con le loro stronzate. Mia nonna dice che è stato grazie alle donne, che se fosse stato per quegli stronzi dei mariti saremmo ancora qui a penare, come quelli che stanno con i partiti. Non so ancora chi sarà mio marito, perché gli uomini sono dei testoni, sapessi. E poi sono ancora una bambina. Ma so che più avanti gli uomini mi guarderanno, ma io sono seria, niente sì e no, niente non so, io so il fatto mio e se quello stronzo di marito vuole solo perdere tempo, allora io sono difensore Zapatista e gli dò uno scappellotto e lo mando via, perché mi deve rispettare come donna zapatista. E se non lo capisce subito, allora giù a sberle fino a che capisce la lotta di noi donne”.

L’uomo ha seguito attentamente tutta la pappardella della ragazzina. Non così il cagnolino con le croste di fango che gira a zonzo. Né il cavallo orbo che mastica con parsimonia una borsa di plastica eredità degli alunni della escuelita. E dopo tutto questo, l’uomo non ride, è riuscito solo a sbattere le palpebre allo stesso ritmo della sua sorpresa.

E saremo sempre di più”, sostiene la ragazzina, “sì, saremo sempre di più”.

L’uomo tarda un po’ a capire che ora la ragazzina si riferisce alla sua squadra. Oppure no?

Ma adesso la ragazzina studia l’uomo con sguardo da talent-scout, dopo vari “mmm“, lo interroga “E tu, come ti chiami?“.

Io?” dice l’uomo sapendo che la ragazzina non sta chiedendo l’albero genealogico, né lo stemma araldico, ma una posizione.

Dopo aver percorso mentalmente varie opzioni, l’uomo risponde: “io mi chiamo raccattapalle“. La ragazzina valuta in silenzio l’utilità di questa posizione.

Dopo averci pensato un po’, dice all’uomo, non per consolarlo, ma perché si renda conto di quanto è importante:

Raccattapalle, nientemeno. Se il pallone va di là per il bosco, scordatelo, nessuno vuole andarci perché è pieno di spine, cespugli, ragni, perfino bisce. Se poi il pallone va verso il ruscello la corrente se lo porta via, allora bisogna correre per prenderlo, il pallone. Quindi, raccogliere i palloni conta, bene dunque. Senza raccattapalle non può esserci partita. E se non c’è partita, non c’è festa, e se non c’è festa non c’è ballo, e se non c’è ballo mi pettino i capelli con i miei nastri colorati per niente”, dice la ragazzina e dal suo zainetto tira fuori un mucchio di nastri colorati.

Raccattapalle, nientemeno”, ripete la bambina all’uomo mentre lo abbraccia, non per consolarlo, ma perché capisca che tutto quello che vale la pena fare, si fa in squadra, collettivamente, ognuno ha il suo compito.

Lo farei io, ma ho molta paura dei ragni e dei serpenti. L’altra notte ho perfino sognato di incontrare una dannata biscia lunghissima nel prato”, ed allarga le braccia fino a dove riesce.

L’uomo sorride.

La partita è finita, la ragazzina non ha completato la squadra per la sfida e si è addormentata sul prato.

L’uomo si alza e la copre con la sua giacca perché il pomeriggio si oscura e già la frescura allevia la terra. Forse perfino pioverà.

Un miliziano sta tornando con i documenti che aveva chiesto la Giunta di Buon Governo. L’uomo aspetta il suo turno.

Finalmente dicono il suo nome e riprende il suo passaporto che sulla copertina riporta l’incisione “Repubblica Orientale dell’Uruguay”. Al suo interno c’è la foto di un uomo con la faccia da “Che diavolo ci faccio qui?” e di fianco si legge “Hughes Galeano, Eduardo Germán María”.

Senta”, gli chiede il miliziano, “si è messo il nome di battaglia Galeano per il compa sergente Galeano?”.

Sì, credo di sì”, risponde l’uomo mentre regge dubbioso il passaporto.

Ah!”, dice il miliziano, “l’avevo immaginato”.

Dove si trova il suo paese?”.

L’uomo guarda il miliziano zapatista, guarda il muro, guarda le persone che scavano la crepa, guarda i bambini che giocano e ballano, guarda la ragazzina che vuole parlare col cagnolino, con il cavallo orbo e con un animaletto che potrebbe essere un gatto, o un cane, e dice rassegnato: “anche qui”.

Ah” dice il miliziano, “e lei che cosa fa?”.

Io?”, cerca di rispondere mentre raccoglie il suo zaino.

E all’improvviso, come se avesse appena capito tutto, risponde sorridendo “Io faccio il raccattapalle”.

L’uomo è già lontano e non riesce a sentire il miliziano zapatista che mormora con ammirazione: “Ah, raccattapalle, nientemeno”.

Raggiunta la sua formazione, il miliziano dice ad un altro: “Ehi Galeano, oggi ho conosciuto uno che si è messo il tuo nome”.

Il sergente Galeano sorride e risponde “ma va!”.

Sì,”, dice il miliziano, “sennò da dove l’avrebbe preso questo nome quel signore?”.

Ah”, dice il sergente di milizia e maestro della escuelita Galeano, “e che cosa fa quello?”, domanda.

Il raccattapalle”, dice il miliziano e corre a prendersi il suo pozol.

Il sergente di milizia Galeano raccoglie il suo quaderno di appunti e lo mette nello zaino mentre dice tra i denti: “Raccattapalle, come se fosse facile. Non è da tutti fare il raccattapalle. Per fare il raccattapalle si deve avere molto cuore, come essere zapatista, e per essere zapatista non è da tutti, anche se qualcuno poi non sa di essere zapatista… fino a che non lo scopre”.

-*-

Forse non mi crederete, ma questo è successo solo pochi giorni fa, alcune settimane, alcuni mesi, alcuni anni, alcuni secoli fa, quando il sole di aprile schiaffeggiava la terra non per offenderla, ma perché si svegliasse.

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Sorelle e fratelli familiari degli Assenti di Ayotzinapa:

La vostra lotta è già una crepa nel muro del sistema. Non lasciate che Ayotzinapa si richiuda. Attraverso questa crepa respirano non solo i vostri figli, ma anche le migliaia di desaparecidas e desaparecidos nel mondo.

Affinché quella crepa non si chiuda, affinché quella crepa diventi ancora più profonda e si allarghi, avrete in noi, zapatiste e zapatisti, una lotta comune: la lotta che trasformi il dolore in rabbia, la rabbia in ribellione, e la ribellione nel domani.

SupGaleano.

Messico, 3 maggio 2015

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Galeano

Maestro Zapatista Galeano: Appunti di una vita

2 maggio 2015

Compagni e compagne dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale:

Compagnei, compagne, compagni della Sexta:

Persone che ci visitano:

Mi tocca ora parlare del compagno maestro zapatista Galeano.

Parlarlo perché nella parola viva. Parlarvene perché chissà che così capiate la nostra rabbia.

E diciamo “maestro zapatista Galeano” perché tale era il posto o la posizione o il lavoro che aveva il compagno quando fu assassinato.

Per noi zapatisti, il compagno maestro Galeano sintetizza tutta una generazione anonima nello zapatismo. Anonima di fuori, ma protagonista fondamentale nella sollevazione e in questi più di vent’anni di ribellione e resistenza.

La generazione che, essendo giovane, fu all’interno delle cosiddette organizzazioni sociali e conobbe la corruzione e falsità che nutre i suoi dirigenti, si preparò nella clandestinità, si alzò in armi contro il supremo governo, resistette al nostro fianco a tradimenti e persecuzioni, e orientò la resistenza della generazione che oggi assume gli incarichi nella comunità indigene.

La morte violenta, assurda, implacabile, crudele, ingiusta lo raggiunse al momento dell’incarico di maestro.

Un po’ più tardi e lo avrebbe raggiunto come autorità autonoma.

Un po’ di tempo prima lo avrebbe toccato come orientatore.

Prima ancora, la morte avrebbe ucciso il miliziano.

Molte lune prima il morto sarebbe stato un giovane che sapeva il sufficiente e necessario sul sistema, e cercava, come molte, molti, moltei  ancora, il modo migliore di sfidarlo.

Un anno fa un trio di giornalisti prezzolati, intruppati  dal governo di Ario Velasco e dalla sua putrida corte, imbastì una menzogna circa il suo assassinio.

Chi fece le foto lacrimevoli delle presunte botte, bendate con cura, degli assassini, come premio andò a passeggio a New York per altre foto mercenarie.

Chi si è bevuto senza rimedio la merda governativa e l’ha diffusa in primo piano, ora trova eco in chi rimastica la notizia e presenta il suo assassinio come prodotto di uno scontro.

Chi tacque complice per convenienza finanziaria o calcolo politico continua a fingere di fare giornalismo e non pubblicità mal dissimulata.

Non molti giorni prima di questa convocazione, abbiamo letto sulla stampa prezzolata che l’ “eroica”, “abnegata”, “professionale” e “immacolata” polizia del Distretto Federale,  in Messico,  ha avuto uno “scontro”,  così dicevano, con un gruppo di persone non vedenti. I malvagi ciechi si sono scatenati con le loro “armi”, i loro bastoni, contro i poveri poliziotti che non facevano che compiere il loro dovere e che hanno dovuto rispondere  a colpi di manganello e scudo per far vedere, ai senza vista, che la legge è legge per quelli di sotto, e per quelli di sopra non lo è.

Inoltre, poco tempo fa, in occasione di quelle speculazioni di stagione che sono solite sferzare non soltanto la corporazione giornalistica, ma anche le reti sociali, quando parlare di qualcosa è occultare che non si ha niente di importante da dire o su cui informare, una giornalista, di quelle che ostentano “professionalità” e “obiettività”, scriveva sulla morte del fratello di lotta e raccoglitore di piogge, Eduardo Galeano,  e supponeva un falso legame tra il Galeano scrittore e il Galeano maestro, miliziano e zapatista.

Riferendosi al compagno zapatista Galeano, la giornalista prezzolata insisteva sul fatto che fosse morto in uno scontro e rimandava alle foto del suo collega turista a New York.

Segnalo che è una giornalista non per misoginia, ma per quanto segue: come è già comune nei mezzi di comunicazione, tanto comune che a volte neanche si arriva al trafiletto, gli omicidi di donne sono ugualmente mistificati in modo che siano “morte”, e non “assassinate”.

Prendiamo un caso qualsiasi, un’abitazione o una strada qualsiasi, una geografia qualsiasi, un calendario qualsiasi: c’è una discussione, una lite, o magari neanche questo, soltanto perché è così, perché lui comanda, l’uomo aggredisce la donna, la donna si difende e riesce a graffiare l’uomo, l’uomo la uccide a botte, a pugnalate, a spari, a disprezzo. L’uomo è accudito e i graffi curati e bendati.

Su questo fatto, la giornalista, “professionale e obiettiva” come dice di essere, produrrà il seguente trafiletto: “una donna è morta in una lite con il suo compagno, l’uomo presenta ferite prodotto della lite. Si allegano foto del povero uomo ferito, dopo essere stato soccorso dai servizi medici. La famiglia della donna che lo ha aggredito ha rifiutato che il suo corpo fosse fotografato”. Fine del trafiletto e ritirare i soldi.

Così sono i trafiletti giornalistici di oggi: ciechi armati di bastoni si scontrano con poliziotti armati di scudi, manganelli e gas lacrimogeni. Donne armate di unghie si scontrano con uomini armati di coltelli, bastoni, pistole, peni. Questi sono gli “scontri” di cui si dà conto in alcuni media prezzolati, sebbene certi si travestano da media liberi, come alcuni che così si sono registrati, pensando che non li conoscessimo e che non li avremmo fatti passare se fossero stati prezzolati. Invece li conosciamo e qui stanno dando copertura a questo evento.

Il compagno maestro zapatista Galeano non è morto in uno scontro. È stato sequestrato, torturato, dissanguato, preso a bastonate, a colpi di machete, assassinato e giustiziato. I suoi aggressori avevano armi da fuoco, lui no. I suoi aggressori erano vari e varie, lui era solo.

La giornalista “professionale e obiettiva” reclamerà le foto e l’autopsia, e non avrà né le une né l’altra. Perché se lei non si rispetta e non rispetta il proprio lavoro, e perciò scrive quello che scrive senza che nessuno lo metta in discussione e per di più guadagnando per questo; noi zapatisti invece rispettiamo i nostri morti.

Più di 20 anni fa, nella battaglia di Ocosingo, che durò quattro giorni, dei combattenti zapatisti furono giustiziati dai federali dopo essere stati feriti in combattimento. Le armi da fuoco degli zapatisti furono soppiantate con bastoni. La stampa fu allora chiamata a guadagnarsi la paga sotto la vigilanza delle truppe governative. Si tessé così la fandonia, ripetuta fino al vomito fino ai nostri giorni, che le truppe dell’EZLN fossero venute allo scoperto con armi di legno ad affrontare il malgoverno. Chiaro, il piccolo problema è che qualcuno fece le foto di quando gli zapatisti caduti non avevano niente accanto a sé. E poi le oppose a quelle presentate dalla stampa governativa. Venne pagato molto denaro perché le foto che ritraevano la realtà non fossero diffuse.

Ora, nei tempi moderni di crisi economica dei mezzi di comunicazione prezzolata, un’arte, la fotografia giornalistica, si è convertita in una mercanzia mal pagata che a volte riesce solo a provocare nausea.

Non dettaglierò tutte le ferite sofferte dal compagno Galeano, né vi presenterò foto del suo cadavere martoriato. Non passerò in rassegna il cinismo narrativo col quale i suoi assassini hanno narrato nei dettagli il crimine come chi racconta un’impresa.

Dovrà passare del tempo. Le confessioni degli aguzzini saranno conosciute. Si saprà con esattezza delle torture, dei festeggiamenti che provocava loro ogni goccia di sangue, l’ubriacatura della morte crudele, l’euforia successiva, la cruda morale etilica dei giorni seguenti, la colpa che li perseguitava, la giustizia che li raggiungeva.

Il compagno maestro zapatista Galeano sarà ricordato dalle comunità zapatiste, senza strepito, senza primi piani. La sua vita, e non la sua morte, sarà allegria nella nostra lotta di generazioni. Centinaia di bambini  tojolabales, tzeltales, tzotziles, choles, zoques, mames e meticci porteranno il suo nome. E non mancherà la bambina che si chiami “Galeana”.

I tre membri della decadente nobiltà mediatica, che chiamarono alla guerra con la diffusione di una menzogna, che tacquero con codardia, e la giornalista “professionale e obiettiva” continueranno a essere mediocri, mediocri vivranno, mediocri moriranno, e la storia seguirà il suo corso senza che nessuno ci faccia caso.

E solo per terminare una buona volta con le stupide supposizioni, il compagno maestro zapatista Galeano non prende il suo nome dall’instancabile raccoglitore della parola di sotto che fu Eduardo Galeano. Quel legame è stato un’invenzione dei media.

Sebbene suoni assurdo, il compagno prende il suo nome di lotta dall’insurgente Hermenegildo Galeana, sicuramente originario di Tecpan, nell’attuale stato di Guerrero, che arrivò a essere luogotenente del capo indipendentista José María Morelos y Pavón. Hermenegildo Galeana stava con le truppe insorte quando, il 2 maggio 1812, ruppero l’assedio che l’esercito realista manteneva su Cuautla, sbaragliando al suo passaggio le truppe del generale Félix María Calleja. La resistenza insorgente scrisse allora una pagina brillante nella storia militare.

È frequente nei villaggi zapatisti che uomini e donne applichino i generi nel loro particolarissimo modo di intendere. Così, per esempio, la mappa è il mappa. Ciò che fece il compagno fu maschilizzare il cognome Galeana e convertirlo in Galeano. Questo accadde anni prima che uscissimo alla luce pubblica.

-*-

Non dirò molto altro sul compagno maestro zapatista Galeano.

Lo faranno meglio e più diffusamente i suoi familiari e compagni e compagne che oggi ci onorano con la loro presenza, così come lo farà il compagno Subcomandante Insurgente Moisés.

A me fa ancora molto male la sua assenza.

Continuo ancora a non potermi spiegare la crudeltà con la quale si accanirono contro di lui volendo ucciderlo con le armi e con i trafiletti giornalistici.

Continuo a non capire il silenzio complice e il distacco di chi è stato sostenuto e aiutato dalla sua generosità, e ha poi voltato le spalle alla sua morte dopo aver usato la sua vita.

Perciò credo che, posto che è la sua vita ciò che innalziamo, è meglio che sia il compagno Galeano a parlarvi.

I seguenti frammenti che vi leggerò provengono dal quaderno di appunti del compagno Galeano. Il quaderno, con questi e altri scritti, venne consegnato al Comando Generale dell’EZLN per la famiglia del compagno che di cui oggi sentiamo la mancanza.

Si suppone che la scrittura sia iniziata nell’anno 2005 e che gli ultimi scritti siano del 2012.

Ecco:

“Per tutti quelli che leggerano questa brillante storia e perché un giorno i miei figli e i miei compagni non dicano ‘è svanito’.

Scrivo delle mie azioni e dei miei passi nella lotta, ma sono anche critico perché conoscerete anche i miei errori, per non caderci a vostra volta. Ma questo non significa che io non sia un compagno.

Va bene, inizierò dalla mia vita giovane e civile.

Quando avevo circa 15 anni partecipavo sempre ai lavori e alle azioni di un’organizzazione chiamata “Unión de Ejidos de la Selva”.

Sapevo già di essere sfruttato perché il peso della povertà che ricadeva sulle mie spalle bruciate bastava a farmi rendere conto che lo sfruttamento esisteva ancoro, e che un giorno sarebbe apparso qualcuno che ci avrebbe fatto sollevare e ci avrebbe mostrato il cammino, guidato.

Ebbene, como vi ho detto all’inizio ho partecipato a un giro che facemmo (numero illeggibile) indigeni per cercare di scambiare idee su lavori produttivi. Così venne chiamato quel programma secondo le nostre guide di quell’Unione, nella quale noi militavamo.

Ebbene, a me servì ad apprendere molte cose. In primo luogo mi resi conto di come tentarono di ingannarci le suddette guide Juárez y Jaime Valencia, tra gli altri. Andammo verso Oaxaca, in un luogo in cui esistono compagni indigeni come noi, e che avevano un’organizzazione chiamata X diretta da un sacerdote che stava con loro. Ma sono anche nella stessa nostra situazione di oppressione.

Ebbene, per farla breve percorremmo varie città del paese. Fu lì che mi resi conto di quanta gente chieda l’elemosina per le strade, senza tetto e senza avere da mangiare. In me nacque davvero il moto a che il nostro obiettivo fosse di scambiare idee per cercare di vedere come esigere una vita degna per tutti noi che viviamo in condizioni di povertà umiliante, per colpa dei governi.

Mi resi anche conto di qualcosa che mi disgustò e non tornai più a dipendere da quegli uomini bugiardi e mestieranti che fingono di stare con quelli di sotto. Loro facevano tutti questi movimenti per arricchirsi a spese nostre, noi stupidi che credevamo alle loro subdole e false idee.

Perché dico questo? Lo vedrete. Risulta che loro promuovevano programmi governativi per ingannarci, per poi ingannare a nostra volta la gente delle nostre comunità. In quel giro, il governo fornì un appoggio di 7 milioni di pesos, che a quei tempi erano un mucchio di soldi perché si parlava di migliaia e non come ora che si parla di pesos. Allora ci dissero che il governo aveva dato 7 mila milioni, ma che non ci avrebbero dato tutto, giusto 3 milioni e il resto sarebbe servito per i giri successivi, e non sapemmo mai che fine avesse fatto quel denaro.

Chiaro, non ci informarono, ma quei soldi rimasero alle suddette guide e, mentre noi mangiavamo totopo* (*tortilla di mais salato cotta a legna, N.d.T.) con un pezzetto di formaggio, là a Oaxaca, e dormivamo nel corridoio della presidenza di Ixtepec, Oaxaca, dove stavano loro? Ecco dove stavano: dormivano in buoni hotel e mangiavano in buoni ristoranti. E così ritornammo in Chiapas.

Arrivammo a Puerto Arista. Lì vennero comprate casse di birra per finire di molare. Quando finì il disco chiesi i 3 milioni che avevano i summenzionati per le spese. Ci dissero che avremmo mangiato biscotti e bibite, perché ormai non c’erano soldi. Ma io sapevo che non era vero, che i rappresentanti nel fare i conti ci facevano credere che tutto era terminato, ma la realtà era che essi avevano fatto un accordo con quelle fottute guide. E io dissi loro che controllassero i conti per vedere se davvero erano finiti i soldi. Ma la mia proposta non venne accettata e ciò che accadde è che mi dissero che il giro finiva a Morozintla. Mi diedero 40mila pesos (di allora) per tornarmene a casa, perché avevano già fatto i conti che erano quanto avrei speso per i passaggi fino a Margaritas e poi per La Realidad, che io vedessi come fare. Fu dura, 40mila pesos di quelli vecchi, che Salinas convertì ai 40 pesos attuali. E così ritornai al mio villaggio insieme triste e incazzato.

Fu nel 1989, quando conobbi un uomo che si faceva passare come un umile tuttofare venditore di pappagalli. Lui ed io eravamo quasi amici, ma sebbene già ci conoscessimo, non mi aveva mai detto chi era e cosa realmente volesse e facesse. Molto spesso ci incontravamo nel Cerro Quemado, parlavamo e io notavo che portava una sacca dipinta, come diciamo noi, e avvolti in essa i suoi strumenti di lavoro. Questo era quel che mi diceva il mio amico. Quanta gente come me sapeva la storia del mio amico senza sapere la verità! Presto si sarebbe visto quante menzogne dicesse il mio amico a quei tempi. Menzogne in nome della verità, in nome della Realidad, menzogne veritiere. Era il mio compare, e io ero così fesso da non capire quel che stava accadendo.

Finché un giorno incontrai nuovamente il mio amico, ma questa volta non era vestito da un umile tuttofare, né caricava la sacca dipinta e nemmeno gabbie di pappagalli.

Cosa portava allora? Lo vedrete: ecco il mio amico, il mio compare, vestito di color nero e caffè, con lo zaino e le scarpe, è un’arma in spalla. A quanto pare il mio amico era un coraggioso guerrigliero e soldato del popolo. Restai sorpreso, e rientrai pieno di tristezza e ancora senza capire cosa accadesse.

Questo fu il mio errore, non capire in fretta quel che voleva quell’uomo.

Fu allora che egli capì che io lo avevo ormai scoperto, perciò mi convocarono nella casa di sicurezza insieme ai miei genitori e ai miei fratelli. Tuttavia mio padre allora non volle entrare, e nemmeno i miei fratelli, ma io non avevo più niente da fare e da dire. Fu così che entrai pienamente nell’organizzazione. Mi portarono ad addestrarmi. A quel punto quasi tutti ormai erano zapatisti. Ce ne andammo ad addestrarci. Poi mi assegnarono il grado di caporale finché entrarono anche tutti i miei familiari.

Finché arrivò il giorno in cui seppi chi era e come si chiamava il mio menzognero e veritiero amico: era l’allora Capitano Insurgente Z. Era l’uomo che dovette percorrere tutti i villaggi indigeni del Chiapas, tutte le sue montagne, fiumi e gole. Camminava la notte come guerrigliero; di giorno come il più umile cercatore di lavoro, seminando passo dopo passo il seme della libertà, finché questo crebbe e diede frutti.

Quanto dovette soffrire, ma che buoni frutti raccolse e portò a casa! Si guadagnò con orgoglio il grado di Maggiore per la sua intelligenza, preparazione e coraggio nell’azione.

Ma non c’era solo lui, c’era un altro uomo grande e coraggioso e indimenticabile rivoluzionario nella storia della nostra clandestinità, il chiamato e amato Subcomandante Insurgente Pedro, “lo Zio”, chiamato così, con rispetto, da tutti i compagni della nostra lotta. Amato da tutti perché era un vero esempio, capace di condividere la sua sapienza rivoluzionaria. Fu un vero maestro di disciplina e compañerismo.

Esemplare perché diceva che sarebbe uscito al fronte nei combattimenti, e se fosse stato necessario morire per il nostro popolo, lo avrebbe fatto.

Il giorno 28 dicembre (dell’anno 1993) il compagno Sup. I. Pedro mi disse: va’ a Margaritas a comprare benzina e delle batterie che ci mancano, dì al compagno Alfredo che porti l’ “Amico”, ossia il furgone della comunità, ma non dirgli che sta per iniziare la guerra. E io andai. Con l’autista dissimulammo la faccenda con la scusa del mais sgranato, perché bisognava andare in emergenza e perché così non sospettasse ciò che si sarebbe visto. Lui già sapeva qualcosa sul fatto che la guerra sarebbe iniziata, ma soltanto per sentito dire, e mi faceva domande, ma io non gli dissi nulla, questo era l’ordine, e lo rispettai sebbene fosse un mio compare. Non informai di quel che sarebbe successo nemmeno i miei genitori, perché loro vivevano a Margaritas. Viaggiamo tutta la notte e tutto il giorno.

Il 29 (di dicembre 1993) tornammo nuovamente a La Realidad verso le quattro del pomeriggio. Io avevo portato a termine la mia prima missione. Feci rapporto e lui mi disse: “preparati perché stiamo per combattere, in mezz’ora faremo arrendere i poliziotti di Margaritas”. Fu una pagina scritta per sempre. E così le altre imprese del Sup C. I. Pedro.

E rimane nella storia il giorno 30 (di dicembre 1993), partenza per Margaritas. Ci furono molti inconvenienti per strada. Fu incredibile l’avanzare delle nostre truppe. Senza che il nemico se ne rendesse conto, avanzavamo come fantasmi in mezzo alla notte oscura, illuminata soltanto dai fari dei furgoni e degli autobus zapatisti.

Prima di Las Margaritas c’è un posto, prima di Zaragoza. Vicino a questa zona abitata a ciascuno venne assegnato il suo lavoro rivoluzionario: primo gruppo, prendere la presidenza; secondo gruppo, prendere e tenere sotto controllo la strada Margaritas-Comitán; Terzo gruppo, prendere e tenere sotto controllo la strada San José Las Palmas-Altamirano ; quarto gruppo, strada Independencia-Margaritas ; quinto gruppo, prendere la radio Margaritas.

Questo fu all’alba di quel glorioso 1 gennaio, quando ormai non eravamo fantasmi usciti dalla notte, ormai eravamo l’EZLN alla luce del sole. Tutti ci guardavano con stupore e con rispetto per la nostra coraggiosa azione.

Fu allora che il Sup. C. I. Pedro cadde in combattimento contro la polizia. Morì valorosamente, uccidendo vari poliziotti. Li affrontò da solo. Fu tanta la sua rabbia contro gli assassini del popolo che non gli importò della sua vita, perciò mantenne ciò che aveva detto: morire per il popolo o vivere per la patria. Fu tanta la mia sorpresa quando ci avvisarono che era caduto il nostro caro comandante. Sentii un dolore grandissimo, ma è anche vero che lui aveva portato a termine la sua missione, e aveva sistemato per bene la successione del comando. Perché lui sapeva che sarebbe andato a combattere e che in guerra possono succedere questo genere di cose.

Fu allora che prese il comando e si tornò a vedere il modo di agire di quel coraggioso guerrigliero che era il mio amico Maggiore Insorgente Z. Cosicché le nostre missioni, nonostante la dolorosa caduta del nostro grande capo, passarono sotto la direzione del Maggiore I. Z. Un gruppo andò a prendere la tenuta del generale Absalón Castellanos Domínguez, che venne preso prigioniero e portato sulle montagne, per essere processato per tutti i crimini commessi durante il suo governo, poiché egli era l’autore intellettuale degli stessi. Nonostante le accuse che pesavano su di lui, le sue colpe e l’essere un assassino di tanti bambini, donne e anziani a Wololchán, vennero rispettati i suoi diritti come prigioniero di guerra. Non venne torturato in alcun modo. Al contrario, quello che mangiava la truppa lo si dava anche a lui. Ecco come il nostro compagno dimostrò una volta di più la sua educazione e la perizia militare che si formò durante la clandestinità. Il rispetto per la vita di chi cade prigioniero in una guerra deve essere rispettato. E si ricorda a tutti quelli che leggono la nostra storia che il rispetto si guadagna rispettando quelli di sotto, ma anche quelli di sopra se quantomeno mostrano rispetto verso quelli di sotto. Grazie. Morire per vivere. Galeano”.

(continua)

“A Las Margaritas mi toccò fare il blocco stradale lungo la strada Margaritas-San José las Palmas. Da lì ci spostammo alla strada Margaritas-Comitán. Lì restammo il giorno 1 gennaio, tutta la notte, fino a che arrivò un altro ordine di andare a prendere il magazzino della Conasupo che stava a Espíritu Santo. Andammo con altri compagni insorgenti a prendere cose con cui sfamare le truppe. Poi si diede l’ordine di ritirata verso le montagne e tornammo e ci posizionammo a Guadalupe Tepeyac, poi facemmo l’imboscata de La Realidad al kilometro 90 Cerro Quemado, poi mi mandarono a recuperare un veicolo da 3 t che era di un bastardo chiamato J de Guadalupe Los Altos.

Io non sapevo guidare bene. Conoscevo solo la teoria su come si guidasse un veicolo, e fu allora che passai alla pratica e iniziai a spostare il veicolo. Arrivai a La Realidad facendomela tutta in prima. Mi stavano già aspettando la compagna capitano L e vari altri insorgenti che mi dissero “Andiamo Galeano”, ma io gli dissi: “io non ho mai guidato tantomeno trasportato in vita mia.

Morire per vivere. Galeano.” (tra il 2005 e il 2009)

(continua)

“Non importa, in guerra vale tutto”, mi rispose la compagna e andammo, ma lì davanti a Cerro Quemado, avendo preso confidenza, iniziai a correre con più leggerezza, ma in una curva girai troppo il volante e uscii di strada entrando nella macchia sino a 15 m dalla strada. Vabbè, comunque ne uscii come potei e continuai la mia missione.

Da quel giorno iniziai a guidare tutti i giorni, finché un giorno ci vide l’elicottero e mi mitragliò. Andò avanti a spararmi per 10 o 20 minuti, ma io stavo bene riparato sotto un macigno. Solo la polvere e l’odore di pietra e polvere arrivava al mio nascondiglio. Poi il fuoco cessò e l’elicottero si ritirò; io salii dal mio nascondiglio a continuare la mia missione. La missione era andare a cercare i miliziani che stavano dalle parti di Momón. Andai e tornai insieme al mio amico e capo militare compagno Maggiore Insorgente Z. Restammo sempre insieme nei giorni di guerra, e anche quando arrivò il cessate il fuoco.

Nei lavori del primo Aguascalientes a Guadalupe Tepeyac, partecipai al controllo della gente che venne alla Convenzione Nazionale Democratica. Mi addestrarono a far da scorta, fui la scorta dei nostri capi.

Poi, il giorno del tradimento di Zedillo, andammo il 9 febbraio a collocare ostacoli sulla strada del Cerro Quemado. L’esercito era già a Guadalupe Tepeyac. Ciononostante avanzavamo nell’oscurità e lavoravamo scavando fossati e abbattendo alberi per impedire il passaggio dell’esercito federale a La Realidad.

Poi ci ritirammo nelle montagne per vari giorni, finché, nuovamente, il popolo del Messico e del mondo si mobilitò e freno la persecuzione dei nostri compagni comandanti e truppe dell’EZLN. Dopo vari giorni e notti accampati nelle montagne, ritornammo ai nostri villaggi. Partecipai a tutti gli incontri organizzati dalla nostra organizzazione. Fui di scorta ai nostri capi militari. Partecipare alla marcia dei 1111 zapatisti a Città del Messico.

In tutte le marce viaggiai orgogliosamente come autista del “Coniglio”, del “Tata”, del “Cioccolato”. Tutto il tempo a portare i nostri compagni alle marce per reclamare le nostre istanze. Quando ci vennero a mancare tutti i sergenti, io restai e mi diedero il grado di sergente. Partecipai come membro regionale dei gruppi giovanili nella clandestinità e in tempo di guerra. Abbiamo fatto guerra al nemico in mille modi, sebbene anche il malgoverno abbia fatto lo stesso.

Ma dobbiamo dar valore al gran percorso che abbiamo fatto senza che importino i sacrifici e le privazioni. Questo ci ha reso più forti e mi mantiene sul sentiero della lotta, fino a conseguire la libertà di cui ha bisogno il nostro popolo. Manca ancora molta strada da percorrere, perché è lunga e difficile; forse a breve, forse lontano, ma trionferemo.

Poi si formarono le Giunte di Buon Governo, e mi scelsero come autista del primo camion della JBG. Si chiamava il “Diavolo”. Poi mi sequestrarono insieme a un altro compagno e ci portarono legati nel camion stesso dalla CIOAC-Histórica.

Mi tennero legato varie ore e poi mi trasferirono in un carcere di Saltillo. Poi mi trasferiscono a Justo Sierra, dove mi tennero senza mangiare, legato, senza poter comunicare. Volevano che io esigessi la liberazione di un delinquente, ma io non accettavo di essere scambiato perché io ero innocente e lui era un ladro, di quelli che abbondano sempre nelle organizzazioni sociali.

Fui prigioniero nove giorni finché si resero conto che si stavano mettendo nei guai con i diritti umani e con l’EZLN. Alla fine liberano il camion dopo averlo tenuto tre mesi. Allora gli si cambiò il nome (al camion), e gli si mise “Il Sequestrato Storico”. Da allora iniziarono i lavori della JBG e dell’autonomia. Morire per vivere. Galeano”. (24 gennaio 2012).

Questa è l’ultima data che compare nel suo diario. Insieme a questa breve autobiografia, ci sono un paio di poesie, probabilmente opera sua, e alcune canzoni d’amore e cose così.

Da parte mia resta solo da aggiungere che il compagno maestro zapatista Galeano era come è qualsiasi delle compagne e dei compagni zapatisti, qualcuno per cui valeva la pena morire per farlo rinascere di nuovo.

Al terminare di queste righe, forse si trova la risposta a una questione latente. Una domanda seminata in mezzo alla storia che non si scrive con le parole:

Cosa o chi rese possibile che in uno spazio di lotta confluissero il filosofo zapatista e l’indigeno zapatista?

Come fu che, senza smettere di essere maestro, il filosofo si fece zapatista, e che l’indigeno, senza smettere di essere zapatista, si fece maestro?

Succede qualcosa nel mondo che rende possibili questa e altre assurdità.

Perché, per vivere, l’uno lascia in eredità ai suoi un un pezzo nascosto del rompicapo della sua storia?

Perché, per non andarsene, l’altro ci lascia scritto il suo sguardo rivolto verso se stesso e la sua storia con noi zapatisti?

Questo è ciò a cui cerchiamo di dare risposta tutti i giorni, a tutte le ore, in ogni luogo.

Ora, quasi al momento di mettere il punto finale a queste parole, mi par di capire che la risposta, o almeno una parte di essa, è seduta a questo tavolo, sta in quelli che sono dietro e davanti a me, sta nei mondi che si sommano al nostro per la lotta di chi, con segreto orgoglio, si autodefinisce zapatista, professionista della speranza, trasgressore della legge di gravità, persona che senza smancerie si dice e dice a ogni passo: PER VIVERE MORIAMO.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Galeano. Messico, 2 Maggio 2015.

Passo la parola alla compagna ascolta zapatista Selena…

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Parole del Subcomandante Insurgente Moisés

2 maggio 2015

Compagne ecompagni zapatisti delle comunità basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Compagne, compañeroas e compagni della Sexta nazionale e internazionale.

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo.

Salutiamo la famiglia del compagno Luis Villoro.

Benvenuti in terra ribelle che lotta e resiste, in terra Zapatista.

È un onore avervi con noi e con le Basi di Appoggio Zapatiste delle 5 zone.

Benvenuta la famiglia del compagno Maestro Zapatista Galeano.

Vi abbracciamo, compagne e compagni della famiglia del compagno Galeano, come abbracciamo la famiglia del compagno Luis Villoro.

Dobbiamo dare e saper dare l’onore che meritano per la missione che i nostri compagni Galeano e Luis Villoro hanno compiuto.

Compagni, compagne e compañeroas, fratelli e sorelle, oggi siamo qui non per ricordare, ma per la mancanza fisica dei compagni Galeano e Luis Villoro.

Siamo qui per ricordare e parlare della lotta che hanno portato avanti nelle loro vite, del loro lavoro, la loro resistenza.

Non siamo qui a ricordare la morte, ma quello che hanno lasciato da vivi, e dobbiamo far sì che continuino ad essere vivi nella lotta e nel lavoro.

Siamo noi che dobbiamo tenere vivi per sempre coloro che hanno dato la vita per un mondo nuovo, hanno costruito per il popolo.

Non siamo qui per erigere una statua.

Una statua non trasmette vita, non dà vita un museo, non parlano.

Siamo noi che parliamo e che dobbiamo far sì che vivano e per generazioni ci saranno statue e musei nei nostri cuori e non semplicemente come un simbolo.

Ci ha fatto molto piacere che ci hanno parlato più della vita di lotta del compagno zapatista Don Luis Villoro, che in altre parti è conosciuto come teorico ma qui lo conosciamo nella pratica, in altre parti lo conoscono come filosofo ma qui lo conosciamo come zapatista.

Ringraziamo chi ha lottato e lavorato al suo fianco perché ci hanno parlato di lui, dei suoi altri pezzi di vita.

Così noi zapatisti vi parliamo di un altro pezzo.

Per esempio, grazie al compagno Luis Villoro, e ad altre persone come lui, ci sono cliniche e scuole per l’educazione Zapatista.

È il frutto del suo lavoro.

Ma non bastava, c’era bisogno anche di gente che costruiva, come il compa Galeano e poi altra gente che promuova e che si realizzi il sogno poi di organizzare gli alunni e le alunne.

E questo ha fatto il compagno Galeano, ha costruito e lavorato ed ha cominciato a farlo funzionare.

Così siamo organizzati noi popoli Zapatisti.

Grazie all’aiuto del compa Luis Villoro e di altre ed altri come lui il compa Galeano è diventato maestro.

Ci rispettava e noi lo rispettavamo, ci ha trattato da uguali, ha creduto in noi e noi abbiamo creduto in lui, abbiamo lavorato per lo stesso scopo, senza incontrarci fisicamente, cioè si può costruire molto senza incontrarsi fisicamente.

Così è stato, per esempio, per la Sexta che ha collaborato a livello mondiale per la ricostruzione della scuola e della clinica alla Realidad zapatista, sopra il sangue del nostro compagno Galeano.

I compas Luis Villoro e Galeano non si conoscevano, ma insieme hanno lavorato per costruire una stessa libertà.

Abbiamo ascoltato anche parti della vita di lotta del compa Galeano.

Per prima cosa decise di lottare, e poi chiedere appoggio, quindi organizzare la costruzione, e poi organizzare i promotori, per ultimo occuparsi delle alunne e degli alunni.

Questo richiede l’organizzazione.

Perché il compa Galeano era ed è miliziano, capo comando di milizia e poi sergente. Rappresentante Regionale del gruppo giovanile, membro dei MAREZ, Municipio Autonomo Ribelle Zapatista, maestro della scuola Zapatista ed era stato eletto per essere membro della Giunta di Buon Governo.

Questo significa ORGANIZZAZIONE.

Diventò maestro ed ha tenuto lezioni per gente di molte parti del mondo che hanno partecipato al corso “La libertà secondo le zapatiste e gli zapatisti”.

Perché c si deve organizzare per potersi liberare dal sistema capitalista.

Perché il popolo si libera da solo, nessuno gli regala la libertà, nessun leader, uomo o donna che sia, gli darà la libertà.

Perché i capitalisti non rinunciano, non si pentono e non smettono di sfruttare il popolo.

Perché non può umanizzare il sistema capitalista.

Per farla finita con questo sistema, bisogna distruggerlo, per questo bisogna organizzarsi.

Il compa Luis Villoro vide gli zapatisti lo stavano facendo, non dubitò di accompagnarli, di lottare, di lavorare ed appoggiare la lotta e l’organizzazione che rappresentò nella sua vita il compa Galeano.

Magari ci fossero altri Luis e Luisa e Luisoas Villoros, Villoras e Villoroas.

Non si finisce mai di organizzarsi, perché c’è bisogno di organizzazione per la costruzione e per vigilare su quanto si è già costruito.

Affinché non ritorni lo sfruttamento sulle persone, come ora si sfruttano uomini e donne e coloro che non sono né uomini né donne.

Affinché il popolo si autogerni.

Questo vuole l’organizzazione. L’organizzazione è fatta da comunità, donne, uomini ed otroas.

E dopo aver ascoltato, vogliamo dirvi questo:

C’è chi pensa che siamo un’organizzazione di indigeni o di messicane e messicani, invece no.

Siamo un’organizzazione di zapatisti, indigeni e non indigeni, proprio come vediamo qui, in questo omaggio ai 2 compagni zapatisti.

Siamo in Messico perché qui siamo nati, è la nostra geografia.

Come chi lotta per la libertà del popolo Curdo, gli è toccato perchè sono nati lì.

Ad ognuno tocca dove si trova. Come fa la Sexta in Messico e nel mondo che lotta dove gli tocca.

Per questo diciamo la geografia di ognuno, l’angolo del mondo dove ognuno si ribella e lotta per la sua libertà, per la libertà.

Qui è necessario avere ben chiaro cosa significa essere zapatisti.,

Essere zapatista vuol dire essere deciso, decisa, decisoa, ben forte.

Perché non c’è da supporre nulla, ma c’è da lavorare, organizzare e lottare in silenzio fino alle ultime conseguenze, cioè, teoria e pratica.

Indossare un passamontagna non significa essere zapatista, ma è organizzarsi e distruggere il sistema capitalista.

Dire a parole “sono zapatista” non significa essere zapatista, ma è lottare fino alla morte.

Parlare di zapatismo non significa essere zapatista, ma è lavorare collettivamente con i popoli organizzati.

Non significa niente essere zapatista quando va di moda esserlo, e non esserci quando si soffre per le aggressioni del malgoverno.

Indossare divise, mascherarsi, non significa essere zapatisti, per poi arrendersi al malgoverno, perché lo zapatista non si arrende.

Non è essere zapatista dire io sono comandante dell’EZLN e dialogare col malgoverno per progetti o soldi, perché lo zapatista non si vende.

Non è essere zapatista mettersi al servizio di quelli che ricercano solo cariche e soldi e lottano solo ogni 6 anni.

Lo zapatista lotta per un cambiamento totale e lotta tutta la vita e non tentenna. Cioè non cambia il suo pensiero secondo la moda o secondo la convenienza.

Non è essere zapatista stare con il piede in due scarpe, con i partiti e zapatista. Perché i partiti voglio solo cambiare il colore di chi comanda. Invece lo zapatista vuole cambiare tutto il sistema, non una parte, ma tutto. E che il popolo comandi e nessun altro lo comandi.

Non è essere zapatista non avere mai paura. A volte si ha paura, ma si controlla e si continua a lottare.

Non è essere zapatista avere molta rabbia e non organizzarsi, ma ci si deve organizzare con molta dignità.

Chi dice quando sei zapatista? I popoli.

Chi dice come è essere zapatista? I popoli.

Chi dice fino a quando si è zapatista?

Non c’è chi dice “basta hai finito”, ma devi andare avanti fino alla morte compiendo il sacro dovere di liberare il popolo sfruttato, e anche da morto si continua a lottare.

Per questo rendiamo questo omaggio, per ricordarci e ricordarvi che, anche se la morte arriva a cercare di farci dimenticare, continuiamo ad essere vivi nel popolo, nella lotta, per la lotta e per la lotta dei popoli e così la vita prosegue e la morte perde.

Grazie.

Subcomandante Insurgente Moisés Messico, Maggio 2015

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Luis_Villoro

Luis lo zapatista

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

2 maggio 2015

Introduzione.

Buona sera, giorno, notte a chi ascolta e chi legge, indipendentemente dai suoi calendari e geografie.

Quelle che ora diventeranno pubbliche, sono le parole che il defunto Subcomandante Insurgente Marcos aveva preparato per l’omaggio a Don Luis Villoro Toranzo, che avrebbe dovuto tenersi a giugno del 2014.

Egli pensava che sarebbero stati presenti i familiari di Don Luis, in particolare suo figlio, Juan Villoro Ruiz, e la sua compagna, Fernanda Sylvia Navarro y Solares.

Giorni prima che si celebrasse l’omaggio, fu assassinato il nostro compagno Galeano, maestro ed autorità autonoma che faceva e fa parte di una generazione di donne e uomini indigeni zapatisti che si è forgiata nella clandestinità della preparazione, nell’insurrezione, nella resistenza e nella ribellione.

Il dolore e la rabbia che provammo allora ed ora si sommarono, in quel maggio di un anno fa, al dolore per la morte di Don Luis.

Seguirono quindi una serie di eventi, uno dei quali fu la decisione di far morire chi fino ad allora era stato il portavoce e capo militare dell’EZLN. La morte del SupMarcos si concretizzò all’alba del 25 maggio 2014.

Tra le cose in sospeso, come diciamo noi zapatisti e zapatiste, lasciate dal defunto supmarcos c’è un libro sulla politica, promesso a Don Pablo González Casanova in cambio di una scatola di biscotti pancrema, una serie di testi e disegni inclassificabili (molti di questi risalgono ai suoi primi giorni come insurgente nell’EZLN), ed il testo dell’omaggio a Don Luis Villoro che leggerò tra poco.

-*-

Quando, con la comandancia generale dell’EZLN, col subcomandante insurgente Moisés abbiamo parlato di come sarebbe stato questo giorno, prima ed oggi, ci siamo resi conto che facendo il bilancio di una vita, mettevamo insieme dei pezzi che non riuscivano mai a completarsi.

Restavamo sempre con un’immagine incompiuta, rotta. Quello che abbiamo ed avevamo, ci sollecitava a cercare e trovare quello che mancava.

“Manca quello che manca”, diciamo ostinatamente noi zapatiste e zapatisti.

Non con rassegnazione, mai con conformismo.

Ma per ricordarci che la storia non è finita, che le mancano pezzi, nomi, date, luoghi, calendari e geografie, vite.

Che abbiamo molte, troppe morti ed assenze.

E che dovevamo allargare la memoria ed il cuore perché non ne mancasse nessuna, ma anche affinché non fossero immobilizzate, affinché fossero completate ancora una volta nel nostro passo collettivo.

Pensiamo dunque che questo giorno, sera, notte, alba potrebbe essere uno scambio di pezzi per continuare a tentare di completare la vita di chi avete conosciuto e conoscete come il dottor Luis Villoro Toranzo, professore della Facoltà di Filosofia e Lettere della UNAM, fondatore del gruppo Hiperion, discepolo di José Gaos, ricercatore dell’Istituto di Ricerche Filosofiche, membro della Scuola Nazionale, presidente dell’Associazione Filosofica del Messico, e membro onorario dell’Accademia Messicana della Lingua. “Maestro, padre e compagno”, reciterebbe forse così il suo epitaffio.

Ci sono compas, donne, uomini e otroas che hanno un posto speciale tra noi zapatiste e zapatisti dell’EZLN. Non è per un regalo o una donazione. Questo posto speciale l’hanno guadagnato con l’impegno e la dedizione lontana da riflettori e palcoscenici.

Per questo, quando irrimediabilmente se ne vanno, non facciamo eco del rumore e della polvere che si sollevano con la loro morte. Aspettiamo. La nostra attesa è un omaggio silenzioso, sordo. Come silenziosa e sorda è stata la loro lotta al nostro fianco.

Lasciamo quindi che il rumore si spenga, che un’altra moda sostituisca la simulazione di costernazione e pena, che la polvere si depositi, che il silenzio torni ad essere il sereno riposo per chi ci manca.

Forse perché rispettiamo quella vita ora assente, perché rispettiamo il suo tempo e il suo modo. E perché speriamo che, con l’avanzare del calendario, il suo silenzio avrà un luogo per ascoltarci.

Per là fuori, lo dico per segnalare un fatto, non come rimprovero, il dottor Luis Villoro Toranzo è stato un intellettuale brillante, una persona saggia alla quale forse si può solo rimproverare la vicinanza che in vita ha avuto con i popoli originari del Messico, in particolare con quelli che si sono sollevati in armi contro l’oblio e che resistono alle mode e ai media.

Per chi non ha conosciuto in vita il dottor Luis Villoro Toranzo, ci sono e, spero, ci saranno tavole rotonde, riedizioni dei suoi libri, analisi su riviste specializzate e non.

La nostra parola non seguirà quelle strade. Non perché non conosciamo la sua opera storica e filosofica, ma perché siamo qui per saldare un debito, una pendenza, svolgere un compito.

Perché voi, là fuori, conoscete Luis Villoro Toranzo come un pensatore brillante, ma noi, zapatiste e zapatisti lo conosciamo come…

Come?

Possediamo solo uno dei tanti pezzi.

E siamo venuti qui, a questo omaggio, per consegnare a chi ha condiviso e condivide con lui sangue e storia, un pezzo che, crediamo, non solo non aveva, ma che forse neppure immaginava esistesse.

La storia qua in basso, dalla parte zapatista, ha molte stanze chiuse. Compartimenti stagni nei quali vite differenti si svolgono con apparente normalità e nei quali solo la morte abbatte i muri affinché guardiamo ed impariamo dalla vita che è passata da lì.

E facciamo, come dire? una permuta? uno scambio di posti?

Aprendo il compartimento, abbattendo il muro, affacciandoci dentro, facciamo un baratto: questa morte al museo, questa vita alla vita.

“Compartimenti stagni”, ho detto. La nostra modalità di lotta implica questa quota di anonimato che solo per qualcuno di noi è desiderabile. Ma forse poi ci sarà l’occasione di tornare su questo.

Sentirete il Subcomandante Insurgente Moisés parlare alle nostre compagne e compagni delle comunità zapatiste di quello che è stato Don Luis Villoro Toranzo nella nostra lotta.

L’immensa maggioranza di loro non lo conosceva, non l’ha conosciuto. E come lui, abbiamo compagne, compagni e compañeroas dei quali si ignora l’esistenza.

Questo improvviso sapere che avevamo compagni e compagne che neanche sapevamo esistessero, fino a che non esistono più, è qualcosa che non è nuovo per noi zapatiste e zapatisti.

Forse è il nostro modo, nominando la vita di chi manca, lo facciamo esistere in un altro modo.

Come se fosse il nostro modo di portare nel collettivo l’indigeno zapatista Galeano prima, Don Luis Villoro ora.

Il nostro modo di scuoterli, di sollecitarli, di gridare loro “Ehi! Niente riposo!“, di riportarli qui a continuare la lotta, il lavoro, il cammino, la vita.

Ma non è una vita quella che vi racconterò. Neppure si tratta di una morte.

Inoltre, non sono qui a raccontare niente. Sono qui a delineare un contorno, più o meno definito, più o meno nitido, del pezzo di un puzzle gigantesco, terribile, meraviglioso.

E quello che vi racconterò vi sembrerà fantastico.

Forse il mio inconsapevole fratello (suo malgrado) Juan Villoro, scorgerà nelle mie parole il filo di una matassa assurda e complessa, più vicina alla letteratura che alla storia. Forse gli servirà poi per completare quel libro che non sa ancora che scriverà.

Forse Fernanda intuirà l’irruzione di un concetto che sembrava assente, che indica un vuoto che una volta colmato potrebbe produrre il rovesciamento teorico di tutto un pensiero. Le sarà forse utile poi per iniziare la riflessione che ora non sa che intraprenderà.

Non so. Forse lui, lei, chi non c’è, semplicemente l’archivierà nella cartelletta “H”, di  “homenaje”, di “herida”, di “humano”, di “Hidra” [“omaggio”, di “ferita”, di “umano”, di “Idra”], di…

“Había una vez…”   “C’era una volta…”

Per ragioni di sicurezza devo essere necessariamente impreciso sulla geografia e calendario, ma era l’alba ed era il quartier generale dell’EZLN.

Forse la breve descrizione del comando generale zapatista deluderà qualcuno.

No, non c’è una mappa gigantesca con luci policrome o spilli colorati che copre una delle pareti.

No, non ci sono moderne attrezzature radio da cui escono voci in tutte le lingue.

Non c’è un telefono rosso.

Non c’è un moderno computer con multischermi impegnati a cifrare e decifrare la vertiginosa statica della matrix cibernetica.

Quello che c’è sono un paio di tavoli, due o tre sedie, qualche tazza coi resti di caffè freddo, fogli sparsi, cenere di tabacco, fumo, molto fumo.

A volte c’è anche una scodella di popcorn rancidi, ma solo nel caso sia necessario un baratto con qualche essere inusuale.

Non ci crederete, ma quello che da altre parti si chiama “Duello di Dio”, qua si chiama “Fermati che c’è fango”.

Non mi dilungherò in questo peculiare modo di risolvere le dispute giudiziarie tra esseri che sono più che lontani dalla giurisprudenza reale o di finzione. Basti dire che la scodella con i popcorn rancidi ha la sua ragion d’essere.

Ci può essere, non sempre, è vero, un computer portatile ed una stampante. Non dirò né la marca né il modello, basti dire che il computer funziona a forza di insulti e minacce, e che la stampante ha un peculiare senso dell’arbitrio perché si rifiuta di stampare quello che non le sembra degno di andare oltre lo schermo.

Normalmente, sullo schermo di questo computer c’è invariabilmente un word processor ed un testo che non vede mai la fine…

Virus? Gli unici che possono arrivare attraverso la liana che serve a collegarsi ad uno dei tunnel della rete. Cioè ragni, o insetti che sfuggono ai suddetti mentre una lucciola lampeggia allarmata.

Ma lasciamo che l’immaginazione di ognuno completi l’arredamento.

Potrei vantarmi dicendovi che quella mattina stavo leggendo qualche trattato di filosofia ellenica, o Le Fabulae di Iginio, o il trattato Sugli Dei di Apollodoro di Atene, o Le Doze [Dodici] Fatiche di Ercole, sì, con la “z”, di Enrique de Villena, l’Astrologo, invece no.

O potrei dirvi, e fregiarmi di essere moderno, che stavo navigando nella rete alternativa, facendo un corso on-line con un, una, unoa hacker anonimo. Uno famoso, ma se è anonimo non può essere famoso. O sì? O forse è un collettivo organizzato: “fai click su reload, premi il tasto control, no, non toccare la lettera “z” perché succede un casino e finisci a chattare con un essere incomprensibile nelle montagne del sudest messicano”. Infine, un nickname ed un avatar, quasi gli equivalenti di un nome di battaglia ed un passamontagna che, pazienti, spiegano i fondamenti di un terreno di lotta. Come in ogni lingua nuova che si impara, la prima cosa che bisogna conoscere sono le parolacce. E così sapere che “noob” è l’equivalente di un insulto.

O potrei raccontarvi, e reiterare il cliché che ero impegnato in una partita a scacchi multipla interoceanica col collettivo chiamato “gli Irregolari di Baker Street” che si trovano nella bionda Albione.

Invece no.

Quello che in realtà stavo facendo era tentare di concludere un testo in sospeso ormai da 20 anni, ma…

Proprio allora apparve sulla porta la guardia, la sentinella, la vedetta o come volete chiamarla:

Sup, c’è uno che vuole parlarti – disse laconico dopo il saluto militare.

E chi sarebbe? – domandai quasi per dovere perché supponevo fosse la insurgenta Erika con qualcuno dei suoi complicati rebus d’amore e quelle cose lì.

Un Don Luis, dice. Di una certa età, è maturo” – rispose l’insurgente.

Don Luis? Non conosco nessun Don Luis-, dissi con irritazione.

Subcomandante – sentii la sua voce, e la sua figura si stagliò sulla soglia.

La guardia riuscì solo a balbettare: “è entrato da solo, gli avevo detto di aspettare, non ha obbedito”.

Non ha proprio obbedito. Lascialo”, dissi alla vedetta ed abbracciai Don Luis Villoro Toranzo, nato a Barcellona, Catalogna, Stato Spagnolo, il 3 novembre dell’anno 1922.

Gli offrii una sedia.

Don Luis si sedette, si tolse il basco e si sfregò le mani sorridendo. Immagino per il freddo.

Ho già detto che quella mattina faceva freddo?

Proprio come quando non c’è la luce che intiepidisca l’ombra, come oggi. Inoltre, il freddo mordeva le guance come un amante ossessivo.

Don Luis non sembrava notarlo.

“Fa freddo a Barcellona?”, gli chiesi, un po’ come saluto di benvenuto, un po’ per distrarlo mentre discretamente spegnevo il computer.

Infine, riposi il portatile, chiesi caffè per 3 e riaccesi la pipa, piena com’era di tabacco usato e umido.

Non ricordo ora se Don Luis rispose alla domanda sul clima a Barcellona.

Ma aspettò pazientemente che io mi arrendessi e smettessi di tentare di ravvivare le braci del fornello.

Per caso non ha del tabacco?”, gli chiesi anticipando con delusione la sua risposta negativa.

Non ricordo”, disse, e sorrise.

Si riferiva al freddo a Barcellona o al fatto se aveva o no del tabacco?

Ma non erano queste le domande più importanti che mi si erano accumulate nel fornello spento della pipa.

Prima di chiedere al dottore in filosofia Luis Villoro Toranzo che diavolo ci faceva lì, lasciate che vi spieghi…

In quei giorni il quartier generale dell’EZLN si trovava nel “Letto di Nuvole”, chiamato così perché si trova in cima ad una catena montuosa ed esclusi i pochi giorni nella stagione asciutta, è costantemente avvolto dalle nuvole. Il comando generale è transumante, a volte si sistema lì, anche se per periodi più brevi delle nuvole.

“Il Letto di Nuvole”.

Arrivarci non è facile. Per prima cosa si devono attraversare pascoli e boschi. Brutto con la pioggia, brutto col sole. Dopo circa 2 ore di spine e imprecazioni, si arriva ai piedi della montagna. Da lì parte uno stretto sentiero che costeggia il fianco della montagna di modo che c’è sempre un abisso sulla destra. No, non furono considerazioni politiche a far scegliere quel tratto di sentiero in spirale ascendente, ma il taglio capriccioso di quel picco montagnoso in mezzo alla catena montuosa. Siccome la salita finiva fino quasi alle porte della tenda del comando generale dell’ezetelene, erano state realizzate alcune opere di ingegneria militare in modo che dalla postazione della vedetta si avesse il tempo e la visuale per un opportuno avvistamento.

Da lì il camminamento di accesso al quartier generale era di proposito difficoltoso. Alla rudezza della montagna avevamo aggiunto pali appuntiti, buche e spine, di modo che era possibile transitare solo uno alla volta.

Quando ero giovane e bello, e portavo in spalla un carico medio – diciamo di circa 15-20 chili – ci mettevo circa 6 ore dalla base della montagna. Ora che sono solo bello, e senza carico, mi ci vogliono dalle 8 alle 9 ore.

Il nostro ostinato premodernismo ed il nostro disprezzo per le campagne elettorali ci impediscono di avere eliporti nelle nostre postazioni. Così ci si può arrivare solo a piedi.

Con queste prerogative era logico che la prima domanda che venne fuori fu:

E come è arrivato fin qui Don Luis?”.

Rispose: “Camminando”, con la stessa tranquillità con cui avrebbe detto “in taxi”.

Don Luis sembrava a posto, visibilmente tranquillo, il suo basco intatto, il suo zaino scuro con impigliato solo qualche rametto, i suoi pantaloni di fustagno leggermente macchiati e solo nello sbieco, i suoi mocassini integri. Tutto a posto. Se c’era qualcosa da notare, era la sua barba di qualche giorno e l’assurdo evidente della sua camicia chiara col collo inamidato aperto.

A me quella salita costa almeno 3 rammendi della camicia, 4 dei pantaloni, una riparazione di entrambi gli stivali ed un paio d’ore per riprendere fiato.

Ma Don Luis era lì, seduto davanti a me. Sorrideva. A parte un leggero rossore sulle guance, si potrebbe dire che, in effetti, era appena sceso da un taxi.

Ma no. Don Luis aveva risposto “camminando“, quindi niente taxi.

Stavo per sciogliermi in una lunga tiritera di frasi convenzionali sulla salute, sui calendari compiuti che diventano acciacchi, sull’impossibilità che alla sua avanzata età cercasse di fare cose assurde come scalare una montagna e presentarsi di buon mattino alla comando generale dell’ezetaelene, ma qualcosa mi fermò.

No, non fu il fatto indiscutibile che ormai si trovava lì.

Fu che il sorriso di Don Luis si era fatto nervoso, inquieto, come quando non si teme di domandare, ma di ricevere risposte.

Allora feci la domanda che avrebbe segnato quella mattina:

Che cosa vuole Don Luis?”.

Voglio farmi zapatista”, rispose.

Nella sua voce non c’era alcun tono di scherno, sarcasmo o ironia. Neppure dubbio, paura, incertezza.

Avevo già affrontato un cittadino o cittadina che dichiara questa intenzione (anche se non con quelle parole, perché normalmente lo fanno con slogan incendiari e frasi rimbombanti dove c’è molta morte e poca o niente vita), e naturalmente, non passano dai pascoli.

Deglutii a fatica e non avevo nemmeno la pipa accesa per fingere che fosse per il fumo. Rassegnato di fronte alla mancanza di tabacco asciutto, mi limitai a mordicchiare il bocchino.

Voglio farmi zapatista”, disse. Don Luis aveva usato un’espressione verbale più propria della quotidianità delle comunità zapatiste che dell’Accademia Messicana della Lingua.

Seguii il protocollo in questi casi:

Gli spiegai in dettaglio le difficoltà geografiche, temporali, fisiche, ideologiche, politiche, economiche, sociali, storiche, climatiche, matematiche, barometriche, biologiche, geometriche ed interstellari.

Ad ogni difficoltà il sorriso di Don Luis perdeva nervosismo e acquisiva sicurezza.

Alla fine della lunga lista di inconvenienti, dall’espressione del volto di Don Luis sembrava avesse ricevuto una nomina alla Scuola Nazionale, invece del “NO” diplomatico che gli avrei rifilato.

Sono pronto”, disse dopo lo scricchiolio dell’ultimo pezzo sano del bocchino della mia pipa.

Cercai di dissuaderlo menzionato gli inconvenienti della clandestinità, il nascondersi, l’anonimato.

Inoltre“, aggiunsi con disinvoltura, “non ci sono più passamontagna“.

Era evidente che non stavo facendo bella figura. Per quanto mi sistemassi sulla sedia e muovessi nervoso gli oggetti sul tavolo, non trovavo la spiegazione logica all’assurdità della situazione.

Don Luis si sistemò il basco sull’argento della sua rada chioma.

Pensai che se ne stesse andando ma, mentre mi stavo accingendo a chiamare la guardia perché lo accompagnasse, disse:

È questo il mio passamontagna, disse indicando il basco.

Quando gli spiegai che il passamontagna doveva occultare il volto lasciando liberi solo gli occhi, mi disse:

Non si può occultare il volto senza coprirlo?“.

In quel momento ringraziai per due cose:

Una, che nel continuo muovere gli oggetti sul tavolo avevo trovato un sacchetto di tabacco asciutto.

L’altra, che la domanda del dottore in filosofia Luis Villoro Toranzo mi davo il tempo per tentare di sistemare i pezzi e capire dove voleva andare a parare.

Così, mi rifugiai dietro le parole per pensare meglio:

Si può, Don Luis, ma per riuscirci deve modificare, come dire, l’ambiente. Diventare invisibile significa non attirare l’attenzione, essere uno tra tanti. Per esempio, si può nascondere qualcuno che ha perso l’occhio destro ed usa una toppa, facendo sì che tanti usino una toppa sull’occhio destro, o che qualcuno che attiri l’attenzione si metta una toppa sull’occhio destro. Tutti gli sguardi andranno su chi richiama l’attenzione, e le altre toppe passano in secondo piano. In questo modo, il vero cieco di un occhio diventa invisibile e può muoversi a suo agio.

Dubito che lei riesca a far sì che nell’ambiente accademico e universitario tutti indossino un basco nero o che qualcuno che richiami potentemente l’attenzione lo usi. Per esempio, se lei riuscisse a far indossare il basco nero ad Angelina Jolie e Brad Pitt, allora sì, ma non si offenda Don Luis, non lei”.

Inoltre il basco ricorda più Che Guevara che la filosofia idealista della scienza. Lei lo sa bene, benché sia una selva, l’istituto di ricerche filosofiche non è esattamente un centro sovversivo”.

Ma”, mi interruppe con una inattesa stoccata, “un altro modo per non richiamare l’attenzione, cioè, passare inosservati, è non modificare la routine, continuare ad indossare gli stessi abiti. Vedendomi col basco nero, non vedranno niente di strano. Invece, se mi mettessi un passamontagna, sarebbe un cambiamento radicale. Mi vedrebbero. Richiamerebbe l’attenzione. Direbbero “è il professor Luis Villoro con un passamontagna, è impazzito, povero, forse nasconde qualche recente deformità, o i segni della vecchiaia, o della malattia, o un crimine inconfessabile”. E, mutatis mutando, se si smette di fare qualcosa di routinario o d’abitudine, questo richiama l’attenzione. Per esempio, Subcomandante, se lei abbandona la pipa, richiama l’attenzione. Se si mette una toppa sull’occhio, per esempio, si fisseranno e cominceranno a speculare se l’ha perso o se ha l’occhio livido per un pugno”.

Buon punto”, dissi e discretamente presi nota.

Don Luis proseguì: “Se indosso il basco, chiunque mi veda non avrà nulla di dire, penserà che sono lo stesso di sempre”.

Quindi, aggiunse come conclusione logica:

Il mio nome di battaglia sarà “luis villoro toranzo”.

Ma, Don Luis”, ribattei, “è il suo nome”.

Esatto”, disse con l’indice destro alzato. “Se adotto questo nome di battaglia, nessuno saprà che sono zapatista. Tutti penseranno che sono il filosofo Luis Villoro Toranzo”.

Lei non ha forse detto che gli zapatisti si mostravano coprendosi il volto?”.

Annuii sapendo dove voleva arrivare.

Col basco ed il nome mi mostro, cioè, mi nascondo”.

Non era questo il paradosso?”.

Avrei detto “Touché“, ma ero tanto sconcertato che il mio francese rimase nel dimenticatoio.

Il resto della notte-alba la passai argomentando contro e lui contro argomentando a favore.

Lasciatemi dire che, bisogna ammetterlo, il suo ragionamento logico era impeccabile e con grazia e buon umore eludeva una dopo l’altra le trappole fallaci nelle quali normalmente faccio inciampare i più famosi intellettuali.

Sì, sono sarcastico, quindi nessuno si offenda.

Il fatto era che Don Luis Villoro Toranzo, aspirante zapatista il cui nome di battaglia sarebbe stato “Luis Villoro Toranzo” e che, per nascondersi meglio, si sarebbe mostrato con un basco nero come passamontagna, stava demolendo uno ad uno gli ostacoli e le obiezioni che, con una certa ostinazione, gli ponevo.

L’età“, gli dissi come ultimo argomento e quasi svenendo.

Lui concluse con: “Se non ricordo male, lei, subcomandante, una volta disse che il limite di età era un secondo prima dell’ultimo respiro”.

La luce dell’alba già delineava l’orizzonte quando decisi di assumere la posizione migliore in questi casi: addussi la demenza.

“Senta Don Luis, se fosse per me naturalmente sarebbe un onore, ma non dipende da me accettare o respingere una richiesta di adesione all’EZLN. Io sono, diciamo, il sinodale, ma chi decide è un altro. Oltre a lui poi viene il responsabile locale, il regionale, il comitato, il comando generale dell’esercito zapatista di liberazione nazionale. Perché non se ne torna a casa che poi la avviserò io quando saprò qualcosa?”.

Ma… mentre stavo dicendo questo, entrò nel comando generale l’altro indigeno che completa il trio con Moy e me.

Ah”, disse, “vedo che hai già parlato con lui”.

Sì”, risposi, “ma si ostina a voler farsi zapatista”.

Beh”, disse l’altro, “veramente io stavo parlando al compa Luis Villoro Toranzo, non a te”.

Lui aveva già parlato con me, gli avevo detto di passare da te per esporti i suoi argomenti”.

È fatta: l’ho già inserito nell’unità speciale. Per noi ora è il collego Luis Villoro Toranzo”.

Gli ho già spiegato che, secondo le nostre modalità, lo chiameremo solo “Don Luis”, quindi credo che dobbiamo solo dargli il benvenuto ed assegnargli i suoi compiti”.

Il già compagno zapatista Luis Villoro Toranzo si alzò e, con ammirevole prestanza, salutò l’ufficiale sull’attenti.

E quale sarà il suo compito?” riuscii a domandare in mezzo alla nebbia della mia confusione.

Quello che gli tocca: la guardia”, disse l’altro e se ne andò.

Juan, Fernanda e chi ora mi ascolta e mi leggerà poi, forse accoglierà queste parole come un’altra delle storie fantastiche che popolano le montagne del sudest messicano, popolate sempre da scarabei, bambini e bambine irriverenti, fantasmi, gatti-cani, lucciole palpitanti ed altre assurdità.

Invece no. È ora che sappiate che Don Luis Villoro Toranzo entrò nell’EZLN una mattina di maggio di molte lune fa.

Il suo nome di lotta fu “Luis Villoro Toranzo” e nel comando general dell’EZLN era noto come “Don Luis” per ragioni di brevità ed efficienza.

Il luogo fu nel quartier generale “Letto di Nuvole”, dove lasciava in custodia la sua camicia marrone per ogni volta che tornava, e questo diverse volte prima di morire.

Che altro posso dirvi?

Compì appieno la sua missione. Come sentinella in uno dei posti di guardia della periferia zapatista vigilò attento su quello che accadeva, con la coda dell’occhio del pensiero critico notò cambiamenti e movimenti che passavano inosservati alla stragrande maggioranza dell’intellighenzia autodefinita progressista.

Prodotto dell’allerta del caracol di sua competenza, in questi giorni ascolterete, e molti altri leggeranno, le riflessioni che abbiamo fatto su questi cambiamenti e movimenti.

UN REGALO IN STILE ZAPATISTA

Un’altra alba. Don Luis, l’allora Tenente Colonnello ed oggi Subcomandante Insurgente Moisés ed io avevamo iniziato la discussione intorno alle 17:00 ora del fronte di combattimento sudorientale. Alle 21:00 il SupMoy si scusò perché doveva andare a controllare le postazioni circostanti.

Il modo di discutere di Don Luis era particolare: mentre altri gesticolano ed alzano la voce, lui sorride vagamente assente. Quando altri parlano solo per slogan, lui dice uno sproposito – “Solo per prendere tempo”, dicevo a me stesso.

Di solito quelle discussioni sembravano incontri di scherma. Benché sia superfluo dirlo, il più delle volte mi batteva. Così accadde una certa volta. Don Luis allora rise e disse: “Battuto, ma non distrutto!”. Io mi ricomposi a parole, facendogli notare quanto sarebbe malvisto un filosofo neopositivista che citi, intenzionalmente o meno, la seconda lettera dell’apostolo Paolo ai Corinti. E lui, con sorriso furbo: “e sarebbe ancor peggio che un capo zapatista riconosca la citazione”. Allora si alzò e recitò in tono drammatico: “Siamo tormentati da tutto, ma non angosciati; in difficoltà, ma non disperati; perseguiti, ma non abbandonati; battuti, ma non distrutti” quindi rivolgendosi a me: “e mi stupisco che lei non abbia detto che si tratta del capitolo IV, versetti 8 e 9”.

Ancora dolorante per la batosta dialettica, riposi: “ho sempre pensato che quel testo sembra più un comunicato zapatista che descrive la resistenza, che parte dal Nuovo Testamento”.

Ah! la resistenza zapatista!”, esclamò con entusiasmo.

Poi: “Sa una cosa Subcomandante? Dovreste aprire una scuola”.

Non una, molte”, gli dissi.

Erano gli anni 2005-2006, anni prima Don Luis era entrato tra le nostre file e le Giunte di Buon Governo erano impegnate nelle necessità in ambito di salute ed educazione nelle zone, regioni e comunità.

Don Luis allora precisò: “No, non mi riferisco a quelle scuole. Naturalmente, bisogna aprirne molte, senza dubbio. Io mi riferisco ad una scuola zapatista. Non una dove si insegni zapatismo, ma dove si mostri lo zapatismo. Una dove non si impongano dogmi, ma si discuta, si pongano domande, si costringa a pensare. Una il cui motto sia “E tu che fai?”.

Veramente l’idea di Don Luis non era originale. L’avevano già abbozzata prima con diversi enunciati, Pablo González Casanova ed Adolfo Gilly.

Ma la nostra idea non era né è insegnare, neppure “mostrare”. Ma provocare. Il “Tu che fai?” non richiedeva una risposta, ma sollecitare ad una riflessione.

Proseguo:

La discussione si trasformò in conversazione, nello stesso modo in cui un torrente raggiunge una piana nel suo corso tortuoso e si trasforma in un sereno fluire. Sereno, sì, ma inarrestabile.

Era ormai l’alba. La guardia notturna ci avvertì che Moy era ancora occupato e ci offrì del caffè. Alla mia occhiata Don Luis rispose con un gesto affermativo. Non so nemmeno se realmente Don Luis bevesse caffè, lasciò sempre la sua tazza intatta. Allora l’attribuivo al calore della discussione. Ora mi rendo conto che non gli ho mai nemmeno chiesto se era sua abitudine berlo. Si poteva supporre, naturalmente, filosofo, certo, che “caffè” per un filosofo fosse qualcosa di non gradito. O forse lo beveva. Siamo in Chiapas. Venire in Chiapas e non bere caffè è… come andare a Sinaloa e non mangiare chilorio, come andare ad Amburgo e non farsi un hamburger, come andare alla Realidad e non imbattersi in idem.

Il fatto è che, senza rendercene conto, stavamo parlando di regali.

Immagini quale potrebbe essere il regalo perfetto”, proposi.

Il più sorprendente”, risposi senza pensarci.

“No, quello per cui non si potrebbe ringraziare”, rilanciò.

“O quello che non sarebbe un regalo”, contrattaccai.

“Come?“, chiese intrigato.

“Per esempio un enigma, o il pezzo di un puzzle. Cioè, un regalo senza una ragione. Se non c’è un motivo, aumenta la sorpresa”, dissi.

“Certo, ma per chi lo dà, potrebbe essere un regalo non poter essere ringraziato per il dono”, disse come a sé stesso.

Più l’argomentazione logica si vivacizzava, più pensavo che Don Luis si stava stancando. Invece no, era animato ed aveva gli occhi lucidi, come se…Mi alzai e gli toccai la fronte. Non dissi niente, ma andai sulla porta e dissi alla guardia: “Fai venire la compa di salute”.

Don Luis aveva la febbre. La insurgenta di salute raccomandò antipiretico, un bagno freddo e molti liquidi. Don Luis non si oppose a nulla. Ma quando la compagna se ne andò mi disse “basta un po’ di riposo” e si addormentò. Restò così per 2 giorni, svegliandosi solo per mangiare qualcosa e andare in bagno.

Ormai ripresosi del tutto, mi disse che doveva andarsene, mi raccomandò di rileggere i suoi rapporti di guardia e salutò.

Giunto sulla porta, senza voltarsi a guardarmi ma tra sé, mormorò: “Ecco, un regalo per il quale non si possa ringraziare. Sarebbe molto zapatista”. Si sistemò il basco, mi disse qualcosa d’altro e se ne andò.

Ora, a più di 12 lune dalla sua assenza, posso raccontare quello che mi disse salutandomi quella mattina, con il sole che disegnava luci ed ombre.

Compagno subcomandante insurgente marcos”, mi disse mettendosi sull’attenti con grande vitalità.

Compagno Luis Villoro Toranzo”, gli dissi seguendo la mia vecchia abitudine di fare così per dire che ero pronto ad ascoltare.

Voglio chiederle una cosa”.

Non mi sfuggì l’abbandono dell’informalità, ma lo attribuii alla sua nuova professione.

Non dica niente a nessuno di tutto questo, almeno per il momento”, chiese.

Naturalmente”, dissi, “capisco. Il segreto, la clandestinità, certo, la famiglia non deve saperlo”.

Non è questo”, mi disse.

Voglio che lo dica in seguito”.

Quando?”, gli chiesi.

Lo saprà quando sarà il momento giusto. Per dirla a modo nostro: “quando arriverà il calendario e la geografia”.

Perché”, domandai curioso.

È un regalo che voglio fare ai miei figli e alla mia compagna”.

Don Luis, non scherzi, è meglio che regali a Juan una cravatta verde a pois rossi ed a Miguel una rossa a pois verdi, o viceversa; a sua figlia Renata un vaso e a Carmen un portacenere, o viceversa. Come in ogni buona famiglia, litigheranno. A Fernanda un quaderno di appunti, di quelli a righe. Sono inutili ed orribili tutti questi regali, ma quel che conta è il pensiero”.

Don Luis rise di gusto. Poi continuò serio:

“Racconti loro la mia storia. O meglio, questa parte della mia storia. Capiranno così che non mi nascondevo da loro. L’ho solo custodita come un regalo. Perché l’incantesimo dei regali è che sono una sorpresa. Non crede?”.

“Dica loro che gli regalo questo pezzo della mia vita. Dica loro che l’avevo tenuto nascosto non come si nasconde un crimine, ma come si conserva un regalo”.

“Guardi Sup, si diranno molte cose sulla mia vita, alcune buone, altre cattive. Ma questa parte, credo, sbaraglierà tutto, ma non con pena e dolore, ma con la vivacità di quel venticello fresco che tanto ci manca quando la pena dell’assenza ed i grigiori della serietà, della formalità e le citazioni si trasformano in lapide ed epitaffio”.

“Va bene, Don Luis”, gli dissi, “ma non scarti l’idea delle cravatte, del vaso, del portacenere e del quaderno di appunti”.

Se ne andò sorridendo.

Dunque Juan, Fernanda, familiari di Don Luis Villoro Toranzo, per anni ho conservato in segreto questo pezzo del grande puzzle che è stata la vita di Don Luis.

Non quella volta, ma in seguito, mentre la rabbia ed il dolore scaturivano dal corpo massacrato del compa maestro zapatista Galeano, ho capito il perché di conservare questo pezzo della sua vita.

Non lo nascondeva perché si vergognasse, né perché temesse che lo denunciassero al nemico dalle mille teste, o perché così si evitassero i tentativi di dissuaderlo.

Era perché voleva farvi questo regalo.

Un pezzo che provoca, che infonde coraggio, che agita, proprio come il suo pensiero che si fa vento birichino in noi.

Un pezzo in più della vita di Don Luis.

Il pezzo che si chiamava Luis Villoro Toranzo, lo zapatista dell’EZLN.

Cadde e tacque nel compimento del suo dovere, coprendo la posizione di sentinella in questo mondo assurdo, terribile e meraviglioso che siamo impegnati a costruire.

So bene che ha lasciato un’eredità di libri e di brillante traiettoria intellettuale.

Ma, mi ha lasciato anche queste parole affinché oggi io le pronunciassi:

“Perché ci sono segreti di cui non vergognarsi, ma di cui andare orgogliosi. Perché ci sono segreti che sono regali e non affronti”.

Ora e solo adesso, mentre vi consegno queste pagine, potrete leggere il titolo di questo testo in cui viene avvolto, con le mie rozze parole, il pezzo del puzzle che si chiamava:

“Luis Villoro Toranzo, lo zapatista”.

Bene. Salute e ricevete da tutti e tutte noi l’abbraccio che ci ha lasciato in custodia per voi il compa zapatista Don Luis.

Dalle montagne del Sudest Messicano, ed ora sotto terra.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 2 maggio 2014

Reso pubblico il 2 maggio 2015

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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SubTrasmissione in diretta del Seminario “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista”

LA DIRETTA DEL SEMNARIO SARA’ DISPONIBILE A PARTIRE DALLE ORE 18:00 DI DOMENICA 3 MAGGIO 2015 AL SEGUENTE  LINK

Omaggio a Luis Villoro Toranzo ed al maestro Galeano ad Oventik, 2 maggio 2015:

Palabras del Subcomandante Moisés

Maestro Zapatista Galeano: Apuntes de una vida

Subcomandante Insurgente Marcos: Luis el zapatista

Foto di Regeneración Radio

 VIDEO DELLA CERIMONIA

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 cideci
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

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Nel dolore e nella rabbia: l’EuroCarovana43 per Ayoztinapa a Milano

 Pubblicato il 29 aprile 2015

di Alessandro Peregalli*

Uno, dos, tres, cuatro, cinco, seis… La conta più ripetuta del Messico, quella che arriva a quarantatré ed è il grido di rabbia, di dolore e di lotta che da sette mesi investe il paese come un uragano: è stato scandito più volte martedì scorso a Milano, davanti agli sguardi increduli dei passanti. In piazza San Babila, in metropolitana, al parco di Trenno, al festival di Partigiani In Ogni Quartiere. In una città che ribolle di tensione in vista delle cinque giornate di contestazione No Expo del 29 aprile-3 maggio è arrivata la delegazione di Ayotzinapa, l’EuroCarovana43, a raccontare la sua storia di dolore e di lotta per la vita contro quello stesso sistema che mentre a Milano dal primo maggio celebrerà se stesso, nelle città e nelle province messicane e del Terzo Mondo è sinonimo, sempre di più, di assassinii, spoliazione, sparizioni forzate. Un sistema che – come ha ricordato Omar, uno dei tre membri della delegazione – non affligge in modo diverso tanto gli studenti normalisti e i tanti desaparecidos in Messico quanto quei migranti che di tanto in tanto trasformano il mar Mediterraneo in un’ecatombe.

Siete, ocho, nueve, diez, once, doce, trece… L’appuntamento era alle 15.30, in corso Matteotti, a due passi dal Duomo, di fronte al consolato messicano. Più di cento persone hanno dato il benvenuto a Omar, Eleucadio e Ramon, rispettivamente uno studente sopravvissuto la tragica notte di Iguala del 26 settembre, il padre di uno dei 43 desaparecidos e un attivista per i diritti umani. Hanno già attraversato mezza Europa, portando in tutti i paesi un messaggio e una responsabilità che pesano come un macigno e all’indomani sarebbero partiti alla volta di Roma. Tra le persone presenti, collettivi politici e studenteschi milanesi (tra cui il C.S. Cantiere, SOY Mendel e Casa Loca), associazioni di solidarietà con l’America latina e i suoi popoli in lotta come quelli mapuche e zapatista, le Ya Basta venete, il gruppo Bologna per Ayotzinapa e il Comitato Chiapas Maribel Bergamo. Sì, perché per precisa volontà del movimento di Ayotzinapa – come ci ricorda Omar – la Carovana invece di cercare il contatto con los de arriba (le istituzioni europee, i poteri costituiti, i capi di governo, i media mainstream), ha preferito incontrare e tessere relazioni con quelli come loro, con los de abajo: collettivi, radio libere, gruppi autogestiti. E a partire da questa saldatura con le lotte che attraversano i nostri territori reclamare con più forza la aparición con vida dei 43, che resta a più di sette mesi dalla loro scomparsa l’obiettivo principale del movimento.

Sono stati più d’uno i curiosi che si sono fermati ad applaudire, davanti al consolato messicano, mentre si susseguivano gli interventi e gli slogan: Ayotzinapa vive, la lucha sigue! e vivos se los llevaron, vivos los queremos! i più comuni. Di fronte all’edificio, nel frattempo, è stata attaccata una bandiera messicana a lutto, tricolore nero bianco nero, a testimoniare il grado di disperazione in cui versa un paese in cui narcos e Stato sono la stessa cosa, in cui regna l’impunità di politici, mafiosi e uomini d’affari mentre, come dice Eleucadio “per noi, i contadini, i poveri, non c’è giustizia alcuna”.

Finito il rumoroso presidio, tutti in corteo improvvisato, dietro allo striscione, a urlare alla cittadinanza che “Peña Nieto è un assassino” e che “Europa e Italia sono complici”. Già, complici. Per non aver detto nulla in sette mesi, in ossequio a un presidente messicano che sta portando avanti una serie di riforme strutturali neoliberiste, di privatizzazione e saccheggio dei beni comuni, che molti governi del cosiddetto “Primo Mondo” prendono ad esempio, a partire dal governo italiano. Complici perché, sebbene negli importanti accordi commerciali Messico-U.E. vi sia una “clausola democratica” che dovrebbe rendere tali accordi nulli nel momento in cui si verificassero gravi violazioni dei diritti umani da parte di uno dei contraenti, ciò è rimasto semplicemente lettera morta, per via, sembra, di fortissime pressioni diplomatiche e della triste realtà per cui, nel capitalismo neo-liberista, i diritti umani esistono fino a che non intaccano gli interessi del capitale. E complici perchè, al pari degli Stati Uniti, alcuni paesi europei traggono ingenti profitti dalla vendita di armi in Messico, sostenendo così attivamente una narco-guerra che negli ultimi otto anni ha già prodotto più di 100.000 morti e 30.000 desaparecidos.

Al termine del presidio, la giornata di incontro con l’EuroCarovana43 è continuata al parco di Trenno, proprio dove a partire dal 30 aprile prenderà il via il campeggio No Expo. Dopo una cena messicana benefit, il momento più significativo è stato l’incontro pubblico finale, in cui ammassati in centinaia dentro un capannone, i compagni messicani ci hanno raccontato la loro storia straziante e la loro lotta generosa. Non è facile descrivere, senza abbandonarsi alla commozione, il racconto di un contadino di caffè che ha lavorato tutta la vita il doppio per permettere a suo figlio di fare la carriera scolastica fino alle superiori in una scuola Normal Rural (che forma i maestri di scuola nelle comunità contadine) per vederselo portare via da uno Stato fattosi criminalità organizzata; non è facile riportare il senso delle parole di uno studente sopravvissuto a un massacro, e che i suoi compagni di scuola andrà avanti a cercarli “fino all’inferno, se occorrerà”, e che assicura che le intimidazioni e la repressione non lo fermeranno, perchè la sola cosa che potrà farlo è la morte; e non è immediato nemmeno capire, da parte nostra, il senso profondo del concetto di comunità che si apprende “non dai libri, ma dal contesto e dalla pratica”, alla scuola normale rurale di Ayotzinapa. Alla fine, la netta sensazione è che la loro visita sia servita a noi almeno quanto possa essere stata utile a loro. E’ stato nella dimensione profondamente umana dell’incontro che abbiamo potuto dare un senso nuovo alla solidarietà internazionale e alla circolazione delle lotte. Lo ha dimostrato il coro unanime che ha scandito per l’ennesima volta, al termine di una giornata forte e densa, la conta: … treinta y ocho, treinta y nueve, cuarenta, cuarenta y uno, cuarenta y dos, cuarenta y tres, justicia!

http://www.carmillaonline.com/2015/04/29/nel-dolore-e-nella-rabbia-leurocarovana43-per-ayoztinapa-a-milano/

[*Le foto sono di Cristiano Capuano]

Link: Cronache dal presidio del 29 aprile a Roma

Fotogalleria dell’ #EuroCaravana43 a Milano

Video

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Foto Roma

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micio

Rapporto sulle Iscrizioni al Seminario “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista” SupGaleano

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

21 aprile 2015

Ai compagn@ della Sexta:

Ai presunt@ partecipanti al Seminario “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista”:

Vi informiamo che:

Al 21 aprile 2015 si sono registrati per assistere al seminario “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista” circa 1.074 uomini, donne, otroas, bambine, bambini, anziani, anziane del Messico e del mondo. Di questi:

558 persone sono aderenti alla Sexta.

430 persone non sono aderenti alla Sexta.

82 persone dicono di essere di media liberi, autonomi, indipendenti, alternativi o come si dica.

4 persone sono di mezzi di comunicazione prezzolati (solo una persona dei media prezzolati, una delle tre patrocinate dal governo statale del Chiapas per infangare il nome del compa maestro zapatista Galeano e presentare i suoi assassini come vittime, è stata respinta).

Orbene, non sappiamo se tra queste 1.074 persone che si sono registrate fino ad ora ci sia qualcuno che si sia confuso e pensi di essersi registrato al matrimonio della señorita Anahí (sembra che sposi qualcuno del Chiapas, non so, da queste parti la politica e la commedia si confondono… Ah!, anche lì? Non mi dite!). Bene, vi dò questo dato perché sono molte più di quelle che avevamo previsto che assistessero al semenzaio. Naturalmente, ora il problema è per la banda del CIDECI, quindi, coraggio!

Cosa? Se potete ancora registrarvi? Credo di sì, non so. Interrogato al riguardo da Los Tercios Compas, il dottor Raymundo ha dichiarato: “non c’è problema, comunque, chi poi sta attento sono molti meno“. Ok, ok, ok, non è quello che ha detto, ma nel contesto avrebbe potuto dirlo. Inoltre, il doc nemmeno sa quante persone arriveranno al CIDECI.

In ogni caso, se siete assort@ dall’elevata qualità campagne elettorali e state riflettendo profondamente sulle evanescenti proposte de@ candidat@, non dovreste perdere il vostro tempo su questa cosa del pensiero critico.

Bene, non dimenticate lo spazzolino da denti, sapone e qualcosa per pettinarvi.

Dalla portineria del semenzaio, alla ricerca del gatto-cane.

SupGaleano

Messico, Aprile 2015

 

Il Gatto-Cane nella chat di “Assistenza zapatista al cliente antizapatista”:

(Siete in linea, un nostr@ consulente vi assisterà tra un attimo. Se tarda, è perché è l’ora del pozol. Grazie per la pazienza)

micio

 

 

– Pronto?

micio

 

 

– Senta, voglio registrarmi.

miciomicio

 

 

– Ma, c’è ancora posto?

micio

 

– Beh, perché vorrei un posto molto vicino al palco, capisce?

micio

 

 

– E senta, c’è la possibilità di un selfie, autografi, etc.?

miciomicio

 

 

– Senta, alla registrazione ti danno qualcosa come un bonus.

micio

 

 

– Come?! Non è qui che ci si prenota per il concerto di Juan Gabriel?

micio

 

 

– Lo sapevo! L’avevo detto al gruppo che se non ci sbrigavamo non avremmo trovato posto.

micio

 

 

– Va bene, senta, se non ci sono più posti per Juan Gabriel, come siamo messi per Jaime Maussan.

micio

 

 

– Nemmeno per Maussan ci sono posti?! Va bene, allora mi dica dove ci sono ancora dei posti liberi.

micio

 

 

– Wow! Ve la tirate davvero da postmoderni! Da metaFukuyama e tutto il resto!

micio

 

 

– Senta, mi lasci dire che a postmodernismo, nessuno batte José Alfredo Jiménez col suo ormai classico aforisma “la vita non vale niente”. Questi sono botti e non sciocchezze come il nichilismo con preservativi ed assorbenti femminili colorati.

micio

 

 

– Senta, quello che davvero è importante è un sano pragmatismo. Cioè con un buon copione, mi capisce? Per esempio, Araña che tesse alleanze inconfessabili, Meñique che investe soldi in vari “scenari”, la sinistra istituzionale che dubita tra essere di sinistra o essere istituzionale, Laura Bozzo dell’avanguardia del proletariato che pontifica, corpi nudi e snelli a ricordare la cellulite e le smagliature, Kirkman che dice che il fascismo è la miglior opzione in tempi di crisi, Rick e Carol uguale, Tyron che scambia la Cercei per la Khaleesi, il “giornalismo di indagine” che cerca chi gli faccia il lavoro con la consegna “tu denuncia, poi noi vediamo se si può vendere”. Sì, ciò di cui Alejandría ha bisogno è meno latino ed afroamericani, e più Justin Bieber e Miley Cyrus. Perfino quegli stronzi dei dragones hanno cambiato partito politico e gli Stark hanno problemi con la registrazione. E poi il Mance Rider che ha voluto buttarsi nell’ondata libertaria e quelle cose lì, e l’hanno attaccato perché non ha voluto andare a votare. Ah, ma nel gioco dei troni, quello che vince va all’Isola dei Famosi. Quali Sette Regni, niente di niente! L’inverno si avvicina e “La Banca di Ferro ottiene quello che gli appartiene”.

micio

 

 

– Le darei altre dritte, ma la lascio nel dubbio.

micio

 

 

– Senta, è sicuro che non ci sia più posto? Nemmeno per Neil Diamond? La Sonora Santanera? Nemmeno per Arjona?

micio

 

 

– Mi sorge un dubbio: non è qui dove si prenotano i posti per spettacoli, cinema, teatro, concerti, cabaret, campagne elettorali, Don Francisco, circhi con animali, candidature, reality, spot verdi su schermo Imax, “Pare de Sufrir” a carico del contribuente, perdi peso trotterellando fino alle urne?

micio

 

 

– Lo sapevo! Maledetti Peñabots! Certamente siete astensionisti! Non capite che fate il gioco della destra? Non vedete i grandi progressi dei governi progressisti nel mondo? Di sicuro lei è in affitto o ha la casa ipotecata. Un@ qui, con casa di proprietà, che si sforza di orientarvi e guidarvi, e voi invece sadomasochisti! Ma mangiatevi il panino con la salmonella! Lì c’è il vostro unlaic, mute, block e unfolou! Ed ora vediamo come riuscite a campare!

micio

 

 

 

micio

 

 

 

micio

 

 

 

(L’utente ha staccato la linea. La chat è chiusa. Fine della trasmissione).

(…)

(rumore di un liquido versato)

(…)

(voce in off): Chi ha versato pozol aspro sulla tastiera?! Ve l’ho già detto di non lasciare avvicinare al computer il gatto-cane! Ma se lo prendo, gliela faccio vedere io!

In fede.

SupGaleano

micio

 

guau! miau! (e viceversa).

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas: Ancora minacce contro i profughi di Primero de Agosto
http://chiapasdenuncia.blogspot.mx/2015/04/desplazados-de-primero-de-agosto.html

Ai media liberi, autonomi, comunitari, indipendenti
Alla stampa nazionale e internazionale
Alla società civile

Le famiglie dei profughi di Primero de Agosto, nel municipio di Las Margaritas, Chiapas, denunciano di essere stati oggetto di minacce nel loro accampamento: il 9 aprile pomeriggio sono stati sparati colpi d’arma da fuoco contro il loro accampamento; il 10 aprile sono stati minacciati Antonio Méndez Pérez e sua moglie Antonia López Pérez e si è verificato un furto “nella casa di Francisco Méndez Pérez (ejidatario solidale e profugo a causa di minacce di morte e sequestro).

Le donne dell’accampamento si stanno ammalando per le nuove minacce di aggressione, inoltre i bambini soffrono di tosse, febbre, dolori addominali, emicranie e tifo. Per tutto questo chiedono di poter tornare immediatamente nelle proprie case, chiedono giustizia ed il risarcimento dei danni subiti. Accusano di quello che potrebbe succedere il governo dello stato, i dirigenti della CIOAC-storica e le autorità di Miguel Hidalgo.
Grazie per la diffusione della presente denuncia
————————

Desplazados de Primero de Agosto denuncian amenazas en su campamento
http://chiapasdenuncia.blogspot.mx/2015/04/desplazados-de-primero-de-agosto.html

————————
Comunicación Social
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas AC
Brasil 14
Barrio de Mexicanos
29240 San Cristóbal de Las Casas
Chiapas
México
tel: (+52)(967)678 7395
comunicacion@frayba.org.mx
http://www.frayba.org.mx
chiapasdenuncia.blogspot.mx

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ayotzinapa7Milano 28 aprile, Parco di Trenno: Una Delegazione della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa percorre le strade d’Europa per esigere la presentazione con vita dei 43 studenti scomparsi

La delegazione di Ayotzinapa sarà a Milano il 28 aprile 2015 ed insieme a varie realtà di solidarietà e di lotta, parteciperà:

– alle ore 14, a un presidio davanti al Consolato Messicano a Milano, Corso Matteotti 1,

– alle ore 20, a un incontro pubblico con i cittadini e le organizzazioni sensibili ai temi dell’antifascismo e della difesa del territorio, al Parco di Trenno, sotto il tendone di “Partigiani in ogni quartiere”.

L’incontro sarà preceduto da una cena organizzata anche allo scopo di raccogliere fondi per sostenere finanziariamente il tour europeo della delegazione.

L’orrore di quanto accadde il 26 settembre 2014 nella città di Iguala, stato di Guerrero, Messico non potrà mai essere dimenticato. Quel giorno, decine di studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa stavano percorrendo le strade di Iguala per preparare le manifestazioni che dovevano ricordare il massacro di Tlatelolco (dove, il 2 di ottobre 1968, centinaia di studenti vennero uccisi dall’esercito a Città del Messico). Le autorità locali, contrarie alla manifestazione, scatenarono la polizia locale che dapprima massacrò 6 studenti, poi ne sequestrò altri 43, che vennero subito consegnati all’organizzazione di narcotrafficanti con cui sono collusi da tempo il sindaco di Iguala e il governatore dello stato di Guerrero. La cattura degli studenti fu un’operazione durata una intera notte e portata avanti dalla polizia locale, dall’esercito federale messicano e da narcotrafficanti. Dei 43 studenti scomparsi, di uno solo sono stati trovati i probabili resti. Dopo quei fatti molti parlano dello stato messicano come di un “narco-stato” dove le istituzioni ufficiali collaborano e si confondono con il grande business del narcotraffico.

Successivamente il Messico venne scosso da numerose manifestazioni, tutte duramente represse dal “narco-governo” messicano. Le carceri in Messico sono oggi piene di oppositori, la cui unica colpa e quella di chiedere giustizia non solo per i 43 studenti scomparsi e i 6 uccisi ma anche per i più di 130000 morti e i 35000 scomparsi nella cosiddetta guerra al narcotraffico che fu iniziata in Messico nel 2006 da Felipe Calderòn.

Il movimento portato avanti dai compagni degli studenti e genitori della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa ha incontrato l’appoggio e il rispetto dello stesso Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. In occasione del Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo organizzato nel dicembre 2014 e gennaio 2015 dallo stesso EZLN insieme al CNI (Congresso Nazionale Indigeno), l’EZLN ha offerto alla delegazione dei genitori e studenti di Ayotzinapa il suo posto nel Festival, scegliendo di lasciare in primo piano le loro parole invece che quelle degli zapatisti.

Nel quadro di tutto ciò, una commissione della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa, composta da uno studente, un padre di famiglia e un difensore dei diritti umani, arriverà in Europa il giorno 16 aprile 2015. Visiterà varie città di 13 paesi europei, per tornare in Messico il 19 maggio.

La delegazione incontrerà comunità studentesche, movimenti, collettivi, organizzazioni sociali e sindacali; insomma l’Europa che sta in basso a sinistra, per informarla su come prosegue la lotta, per costringere il corrotto governo messicano a rispondere alle proprie responsabilità. Oggi il governo di Peña Nieto insiste ad affermare che i resti dei 43 studenti non possono essere recuperati in nessun modo, senza fornire alcuna evidenza del loro assassinio. In realtà si tratta solo un cinico espediente per non investigare oltre e non punire i responsabili dell’orrore di Iguala.

Gli incontri che vedranno protagonista la commissione di Ayotzinapa dovranno servire a mantenere viva l’attenzione internazionale sulle gravi violazioni dei diritti umani che attualmente avvengono in Messico. Serviranno inoltre a esercitare pressioni sul governo messicano affinché metta fine alla dura repressione che porta ancora avanti contro gli studenti, contro i genitori dei 43 normalisti e contro il movimento sociale che chiede la presentazione con vita degli scomparsi. Infine si propone di far risaltare la responsabilità dei governi europei, che appoggiando il governo messicano si fanno complici del traffico di armi e droga su cui governo e classi dominanti messicane prosperano.

Durante la visita europea verranno organizzate manifestazioni e presidi di fronte ad ambasciate e consolati messicani, incontri e dibattiti in università e organizzazioni dal basso per ricordare e condividere l’esperienza di sette mesi di organizzazione e di lotta contro i crimini del “narco-stato” messicano. La delegazione messicana chiederà alla società civile europea un appoggio al processo organizzativo della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa. Prima della partenza della delegazione Omar Garcia, del Comitato Studentesco di Ayotzinapa, ha dichiarato: “Siamo alla ricerca di garanzie reali affinché non si ripeta quanto accaduto ma questo dobbiamo costruirlo tra noi stessi, con il popolo e le comunità, insieme con le organizzazioni sociali e i collettivi perché queste garanzie non possiamo chiederle alle stesse istituzioni governative responsabili delle violazioni dei diritti umani”.

Dopo Milano, la delegazione di Ayotzinapa proseguirà per Roma il 29 aprile.

GIUSTIZIA PER GLI STUDENTI DI AYOTZINAPA

VIVI LI HANNO SEQUESTRATI, VIVI VOGLIAMO RIVEDERE I 43 STUDENTI SCOMPARSI

LIBERTÁ PER GLI OPPOSITORI SOCIALI CHE DENUNCIANO I CRIMINI DEL NARCO-STATO MESSICANO

Progetto Libertario Flores Magon, Cs Cantiere, Spazio di Mutuo Soccorso, #20zln, S.O.Y. Mendel, Ass Ya Basta Milano, Ass Ya Basta Trento, Ass Ya Basta Venezia, Ass Ya Basta Treviso, Ass Ya Basta – Caminantes Padova, Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo, Csa Paci Paciana Bergamo, Circolo Barrio Campagnola Bergamo, Bologna per Ayotzinapa, Villalta Rozzano, Rete Partigiani in Ogni Quartiere, Collettivo Biccocca, Csa Baraonda, CS Casa Loca, Comunidad de los Pueblos de la Pachamama, Rete in Difesa del Popolo Mapuche, Rimake.  

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 Perché così seri?

(01001101 01110101 01100011 01101000 01100001 01110011 00100000 01000111 01110010 01100001 01100011 01101001 01100001 01110011 00100000 01000011 01101111 01101101 01110000 01100001 01110011 (nota: tradurre codice binario)

Aprile 2015

Non sapevamo niente di queste cose. Abbiamo imparato. Più o meno ce l’hanno spiegato. Ma ci abbiamo capito ancora meno. Ma poi, come si suol dire, “abbiamo afferrato il concetto”. Cioè, non abbiamo capito niente di niente. Ma solo che siamo stati vittime di un attacco informatico di “alto livello”. Naturalmente abbiamo fatto la faccia di quelli che “nessun problema”, “adotteremo le misure adeguate”, “arriveremo fino in fondo a questa faccenda”. Ma, in verità, ci siamo chiesti se questo non fosse dovuto a tutti i nostri “click” sulla pagina web per far aumentare il numero di visitatori. “Qualche entusiasta del mouse”, abbiamo pensato. Ma questo è confidenziale, quindi vi saremmo grati se non lo rendeste di dominio pubblico.

Ci hanno poi detto che solo negli Stati Uniti si calcola che il costo medio annuale in cyber-attacchi è stato di 12,7 milioni di dollari nel 2014. Non abbiamo capito, mi riferisco alla quantità. Ce l’hanno spiegato. Allora siamo andati nel panico e siamo corsi a controllare se le nostre riserve di pozol fossero diminuite. Niente. “Livello stabile”, ha detto la guardia (vuol dire che ce n’è a sufficienza per gli omaggi ed il seminario). Fino a qui, tutto bene. Il problema è stato che per festeggiare il fatto che l’attacco informatico non era riuscito a penetrare le solide volte dove conserviamo “l’oro del secolo LXIX”, abbiamo fatto festa con balli e musica elettronica dei dj della comunità. Risultato? Le riserve strategiche si sono significativamente abbassate ed ora bisogna rimpinguarle.

Ma, come si dice, ora è ufficiale: il neozapatismo è entrato nel XXI° secolo. Ok, ok, ok, c’abbiamo messo un po’, ma considerate che siamo solo nel 2015.

Pensavate che l’immagine del Messico moderno fosse lo shopping a Beverly Hills, i viaggi in elicottero o uno spot elettorale? Wrong! 404 Error! Erreur! Fehler! O?????!

La pagina dell’ezetaelene ha ricevuto un attacco i-n-f-o-r-m-a-t-i-c-o!

Ok, ok, ok, non sappiamo bene che cosa vuol dire (noi, così premoderni, abituati solo agli attacchi di soldati, poliziotti, paramilitari e caga-inchiostro vari), ma suona così alla moda, così elegante, così di classe, da primo mondo.

Credevo che non sarebbe mai arrivato questo giorno! Sony, Microsoft e Apple, crepate di invidia! Obama, Putin e Merkel, schiattate di gelosia! Wallmart, Carrefour, Tesco e Metro, torcetevi di rabbia! Samsung, LG e Motorola, rifornitevi di antiacido! Strozzatevi di cola, cibo spazzatura e fast food! Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale ed Organizzazione Mondiale del Commercio, non nascondete la vostra umiliazione!

La prendiamo per quello che è: un minimo omaggio alla nostra umile e silenziosa opera di “cliccare” sulla pagina per far aumentare il “traffico web” e ricevere così dei soldi dalla raccolta pubblicitaria per corsi di auto-stima, lezioni di lingue elfico, dohtraki, alto valyrio, klingon e na´vi e, naturalmente, offerte “online” del “Huarache Veloz“.

Ma in realtà ed alla Realidad, tutto questo non è altro che il pretesto per mandarvi un abbraccio e dirvi:

Grazie alla banda, la plebe, la crew, il barrio, la carnalada, la fratellanza, i compa o como si dica, che hanno dato una mano, un sostegno, un backup, e che in questi giorni, “hanno replicato” il contenuto nelle loro pagine, tweet, facebook e nelle chat più vicine ai loro cuori. Siccome è sicuro che questo si ripresenterà, vogliamo ribadire: Grazie (per favore usare il metodo scientifico del “copia e incolla” di questo ringraziamento, perché non sarà l’ultima volta).

Dalla cyber-portineria, proteggendosi con l’iper moderno firewall Pozolware 6.9.

Il SupGaleano, mentre litiga col gatto-cane per i diritti di copyleft.

(Naaah, è per i popcorn… sono arrivato prima io!)

Messico, Aprile 2015

Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

Cercando a chi dare la colpa:

– Ipotesi in modalità “Isteria Moderata”: Senza dubbio sono stati i rettiliani-millenari-illuminati-narcomondialisti-partiti-elettorali.

– Ipotesi in modalità “Alta Politica Misogina”: È stato Frank Underwood, mal consigliato da Claire… Ok, ok, ok, da Petrov, allora?

gato-perro

– Rapporto del Big Brother, ricevuto dal Pentagono: (Sintesi delle osservazioni dalla “Situation Room” della “East Wing” dell’Esagono Zapatista. Rapporto: Sistema Echelon. 7 aprile 2015. 2330 ora zulu): “Le opinioni erano discordanti: alcuni dicevano che l’attacco era nostro – il Pentagono -. Altri del Cremlino. Qualcun altro ha detto Buckingham Palace, il Palazzo di Ferro, Liverpool o Sears. Nessuno ha detto la Torre Eiffel (cosa che ha tranquillizzato tutti, perché erano preoccupati per i loro compas di Tameratong).

Qualcuno amareggiato ha dichiarato che la nuova stagione de Il Trono di Spade non sarà affatto buona. Un personaggio indescrivibile, simile ad un cane… o un gatto… o viceversa, ha tirato fuori un cartello con su scritto: Presto sarà inaugurata la sezione “Spoiler Alert”.

Sembrava che si arrivasse ad un accordo quando si è sentito il suono di una marimba. Nell’audio le voci si fanno confuse e si riesce solo a distinguere il grido: “Pozol Aspro!“. Deve essere uno segnale di allarme perché la “Situation Room” e tutta l’ala est del complesso resta deserta.

(fine del rapporto che dimostra che tutto il bilancio destinato ai servizi di spionaggio sono soldi buttati nella spazzatura del cyber-spazio).

– Sezione “C’è un Trending Topic nel vostro futuro”. Suggerimenti per hashtag solidali:

#wewantbacklapáginadelezetaeleeneaunqueyanosregistramos

#lapáginadeenlacezapatistasequedaonlainysilatirannoshaceelparolabanda

#quelapaginadeenlacezapatistaosealabitacoradelacomisiónsextadelezlnnoseaatacada cibernéticamentehablandoporelcomplotdemoda

In fede:

(grugniti e sbuffi).

joker

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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9 APRILE 2015 OGGI RIPRISTANATA LA PAGINA DI ENLACE ZAPATISTA

 

Informazioni sull’attacco cibernetico alla pagina di Enlace Zapatista

Publicado por: POZOL COLECTIVO  7 APRILE 2015

Agli aderenti alla Sexta.

Ai media liberi.

Informazioni sull’attacco cibernético ai danni della pagina http://enlacezapatista.ezln.org.mx/

Questa mattina intorno alle 10:30 si è verificato un attacco ddos (denegación de servicio).

Questo tipo di attacchi vengono generati da programmi automatizzati che lanciano migliaia di petizioni simultanee allo stesso dominio (l’indirizzo della pagina, in questo caso) provocando la saturazione del server.

La società che ospita il server ci ha informato che l’attacco proveniva da numerosi indirizzi IP. Alcuni degli indirizzi identificati sono:

  • rango 80.78.20.24, dal Camerun
  •  rango 80.78.20.32 da Stati Uniti
  • rango 93.170.11.125, da Russia.

Di fronte a questo tipo di attacchi, l’unica soluzione è scollegare il sistema.

Mentre la squadra tecnica riesce a risolvere il problema dell’attacco al server e dato che è nostro interesse che chi intenda partecipare al seminario Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista non perda questa opportunità, chiediamo agli aderenti alla Sexta ed ai media liberi di aiutarci a diffondere il testo “La Tempesta, la Sentinella e la Sindrome della Vedetta” ed i moduli per la pre-registrazione al seminario.

D’altra parte, se qualcuno ha una proposta per aiutarci a risolvere questo problema, lo ringraziamo se vorrà darci una mano inviando le sue idee a: notienlacezap@gmail.com  Equipo de administración de la página.

FONTE: https://www.facebook.com/enlacezapatista?ref=ts&fref=ts

Modulo per la registrazione al Seminario: espoirchiapas.blogspot.mx

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 conferencia-3SupGaleano annuncia Seminario Mondiale 3 Maggio 2015

Car@? amic@ e nemic@: ehm… bene… insomma… cioè… ricordate che alla fine del testo del 19 marzo 2015 “Su Omaggio e Seminario”, avevamo scritto che l’organizzazione del seminario era un casino? Bene, abbiamo mantenuto la parola: l’indirizzo di posta elettronica al quale state inviando i vostri dati di iscrizione non è giusto, non è questo, è sbagliato, ecc. L’indirizzo corretto è seminario.pensamientocritico15@gmail.com Ok, ok, ok, Colpa mia. Distintamente: io tapino. 

La Tormenta, la Sentinella e la Sindrome della Vedetta.

Aprile 2015

A loas compañeroas della Sexta:

A tutt@ gli interessati:

Anche se non sembra, questo è un invito… o una sfida?

Se siete aderenti alla Sexta, se siete di un media libero, autonomo, alternativo, indipendente o come si dica, se siete interessati al pensiero critico, allora fate vostro questo invito al Seminario “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista”. Se, oltre ad accettare l’invito, volete partecipare, per favore seguite questo link: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/registro-al-seminario-de-reflexion-y-analisis-el-pensamiento-critico-frente-a-la-hidra-capitalista/

Se siete stati invitata, invitato, invitadoa come relatore, vi arriverà una missiva simile a questa attraverso lo stesso tramite col quale siete stati contattati. La differenza sta nel fatto che la lettera di invito ai relatori contiene una “clausola segreta”.

Bene, l’invito, come si dice, è l’involucro.

Dentro, più in basso e a sinistra, c’è…

La Sfida.

Oh lo so. Gli inizi classici ad una riflessione zapatista: sconcertante, anacronistica, confusa, assurda. Anche senza volerlo, è così, viene fuori una cosa tipo “vi lasciamo ad essa”, “vedete voi cosa farne”, o qualcosa del genere “è affare vostro”. Come se prendessero un pezzo di un puzzle e si aspettassero che si capisse che non stanno descrivendo una parte della realtà, ma stanno immaginando l’immagine completa. Come se guardassero il puzzle già completato, con le sue figure ed i suoi bei colori, ma con i bordi dei pezzi visibili, come per segnalare che l’insieme è tale grazie alle parti, e, chiaramente, che ogni parte acquisisce il proprio senso nella sua relazione con le altre.

Come se la riflessione zapatista sollecitasse a vedere quello che manca, e non solo quello che c’è, quello che si percepisce nell’immediato.

Qualcosa di simile a quanto fece Walter Benjamin con “Angelus Novus” di Paul Klee. Riflettendo sul dipinto, Benjamin lo “completa”: vede l’angelo, ma vede anche quello che l’angelo vede, vede come è spaventato per ciò che vede, vede la forza che lo aggredisce, vede l’orma brutale. Vede il puzzle completo:

angelo“C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese; l’Angelo della Storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal Paradiso, si è impigliata nelle sue ali ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle macerie sale davanti a lui fino al cielo. Questa tempesta è ciò che chiamiamo progresso.” (X, “Tesi su filosofia della storia”).

È come se le nostre riflessioni fossero una sfida, un enigma dell’Arcano, una sfida da Mr. Bane, un jolly nelle mani del Joker mentre chiede “Perché così seri?”.

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Come se il gatto-cane, super eroe e super cattivo, Sherlock e Moriarty, irrompesse sulla scena a disturbare con domande quali: che cosa guardiamo? perché? dove? da dove? per quale motivo?

È come se discutessimo del mondo, criticando il suo rozzo girare, dibattendo sulla sua direzione, sfidando la sua storia, disputando la razionalità delle sue prove.

È come se, per un solo momento, fossimo…

La Sentinella.

Come potete vedere, di solito, in un’installazione militare ci sono delle postazioni ai suoi confini. Sono chiamati “Punti di Osservazione”, “Posti di Guardia” o “Postazioni della Vedetta”. Scopo di queste postazioni è vigilare i paraggi e gli accessi alle installazioni in modo da sapere che cosa o chi si avvicina o si muove o si trova nei dintorni del luogo. Bene, questi posti di vigilanza (negli accampamenti zapatisti li chiamiamo “la posta”, ignoro la ragione; per esempio, diciamo “ti tocca la posta alle 00:00 H”, “il cambio della posta è alle 12:00, ecc.) avvisano o danno l’allarme al resto dell’installazione e bloccano o fermano chiunque cerchi di entrare senza autorizzazione. Chi occupa il posto di osservazione è la guardia, la vedetta, la sentinella. Oltre ad osservare e stare attento a quello che succede, la sentinella è chi lancia l’allarme in caso di attacco e di eventuale pericolo.

Secondo noi, zapatiste e zapatisti, la riflessione teorica, il pensiero critico svolge questo compito di sentinella. A chi lavora col pensiero analitico, tocca il turno di guardia nella postazione della vedetta. Potrei dilungarmi sull’ubicazione di questa postazione nel tutto, ma per adesso basti solo dire che questo è una parte, niente di più, e niente di meno. Dico questo per quelli, quelle e aquelloas (non dimenticare l’equità di genere ed il riconoscimento della diversità) che pretendono di:

– O stare al di sopra e al di fuori di tutto, come in disparte, e si nascondono dietro “l’imparzialità”, “l’obiettività”, “la neutralità”. E dicono di analizzare e riflettere dall’asepsi di un impossibile laboratorio materializzato nella scienza, la cattedra, l’investigazione, il libro, il blog, il credo, il dogma, lo slogan.

– O mutano il loro ruolo di vedette e si aggiudicano quello di nuovi sacerdoti dottrinari. Sono solo delle sentinelle, ma si comportano come se fossero il cervello guida che muta in tribunale penale secondo convenienza. E da lì ordinano ciò che si deve fare, giudicano e assolvono o condannano. Benché si debba riconoscere loro che il fatto che nessuno faccia loro caso, soprattutto la realtà sempre ribelle, non li inibisce affatto nel loro delirio (etilico, non poche volte).

La sentinella ha a che vedere col posto della vedetta in questione. Ma torneremo sull’argomento in qualcuno dei nostri interventi durante il seminario.

Per adesso, basti dire che, esausto, sommerso dal compito di osservazione critica in un mondo ingannevolmente istantaneo, durante il suo turno al posto di guardia il vigilante può cadere nella…

La Sindrome della Vedetta.

Sembra che la sentinella “esaurisca” la sua capacità di vigilanza dopo un certo periodo.

Questo “esaurimento” (che noi zapatisti e zapatiste chiamiamo “sindrome della vedetta”) consiste, grosso modo, nel fatto che la persona che si trova alla postazione di guardia, dopo un certo periodo di tempo sviluppa una specie di “percezione in loop” o “costanza della percezione”. Ovvero, nella sua percezione cosciente riproduce continuamente la stessa immagine, come se nulla cambiasse, o come se i cambiamenti fossero parte della normalità dell’immagine stessa. Ha a che vedere, suppongo, con la percezione visiva, ma anche col desiderio che niente alteri la routine. Così, per esempio, il vigilante non desidera che compaia un pericolo, e trasferisce questo desiderio in ciò su cui vigila. “Tutto bene, non succede niente di brutto”, si ripete continuamente, e questo si trasferisce nella sua valutazione della realtà. Il suo obiettivo è consegnare un laconico rapporto di vigilanza: “niente da segnalare”.

Quello che sto dicendo è il prodotto di un’osservazione empirica, non di uno studio scientifico. In anni ed anni di vigilanza, è la conclusione a cui siamo arrivati sulla base della nostra (piccola) esperienza. Nel persistente dubbio se questa osservazione fosse scienza o rientrasse negli usi e costumi, abbiamo chiesto a qualcuno che ne sa di neuroscienza. Ci ha risposto che il fenomeno esiste, benché non sia chiaro il meccanismo che lo provoca (prima che mi srotoliate le diverse correnti o posizioni in ambito psicologico, chiarisco che la sola cosa che ha confermato è che il fenomeno è reale, accertabile). Dunque, perché avviene? Be’, potete capirlo – sarebbe bene che, mentre ci pensate, vi mettiate d’accordo su quale sia l’oggetto di studio nella “scienza” della psicologia -.

Quella persona ci ha spiegato cos’è “l’attenzione selettiva” e ci ha mandato un libro di quelli di una volta (cioè, dove si capisce di cosa si parla). Parola più, parola meno, si tratta del fatto che registriamo solo una piccola parte di quello che vediamo in un determinato momento ed ignoriamo tutto il resto. Quel resto che ignoriamo è “la cecità al cambiamento” o “cecità per disattenzione”. È come se filtrando le parti dell’immagine che vediamo, diventassimo ciechi verso ciò che non selezioniamo come importante.

Per adesso non svilupperemo questo argomento, ma, in sintesi, la “sindrome della sentinella” consiste in questo:

a).- Non si vigila sul tutto, bensì solo su una parte di quel tutto.

b).- Quando si “stanca”, la guardia non percepisce i cambiamenti che avvengono nella zona vigilata perché gli sono impercettibili (cioè, non sono degni di attenzione).

Per contrastare tutto ciò, usiamo varie misure:

Una di queste è la vigilanza non diretta, la “visione periferica” o, in termini semplici, “guardare con la coda dell’occhio”. Lo sguardo indiretto permette di rilevare alterazioni della routine. Deve esserci una spiegazione anche di questo nella neuroscienza, ma credo che ci manchino gli studi.

Altri modi di risolvere la fatica della sentinella, sono: mettere due o più vedette a coprire lo stesso punto; o ridurre la durata di vigilanza ed aumentare la frequenza dei cambi di guardia.

Si può e ci sono altri modi per svolgere il compito di sentinella.

Ma la cosa importante è che bisogna essere attenti ad ogni segnale di pericolo. Non si tratta quindi di avvertire il pericolo quando è ormai presente, ma di scorgerne gli indizi, valutarli, interpretarli, insomma, considerarli in modo critico.

Per esempio: quei nuvoloni all’orizzonte, significano che arriverà una pioggia passeggera, quale sarà la sua intensità, si dirigerà di qua o si allontanerà?

O si tratta di qualcosa di più grande, più terribile, più distruttivo? Se così fosse, bisognerà allertare tutt@ dell’imminenza della…

La Tormenta.

Beh, il fatto è che quello che noi, zapatiste e zapatisti, vediamo e sentiamo è che sta arrivando una catastrofe in tutti i sensi, una tormenta.

Ma…, noi, zapatiste e zapatisti, vediamo e sentiamo anche che persone che ne sanno tanto dicono, a volte a parole, sempre con il loro comportamento, che non sta succedendo niente.

Che quello che la realtà ci sta mostrando, sono solo piccole variazioni che non alterano sostanzialmente il paesaggio.

Cioè, noi, zapatiste e zapatisti, vediamo una cosa, e loro ne vedono un’altra.

Noi vediamo che si continua a ricorrere agli stessi metodi di lotta. Si continua con i cortei, reali o virtuali, con elezioni, con sondaggi, con riunioni. E, in maniera concomitante, nascono e si sviluppano i nuovi parametri del “successo”, una specie di applausometro che, nel caso delle marce di protesta, è inverso: quanto più sono per bene (cioè, meno si protesta), maggiore è il loro successo. Nascono nuove organizzazioni, si abbozzano piani, strategie e tattiche, facendo vere e proprie manipolazioni dei concetti reali.

Come se Stato, Governo e Amministrazione fossero equivalenti.

Come se lo Stato fosse sempre lo stesso, come se avesse le stesse funzioni di 20, 40, 100 anni fa.

Come se anche il sistema fosse lo stesso e uguali le forme di sottomissione, di distruzione. O, per metterlo in termini della Sexta: le stesse forme di sfruttamento, repressione, discriminazione e saccheggio.

Come se là in alto il Potere avesse mantenuto invariato il suo funzionamento.

Come se l’idra non avesse rigenerato le sue molteplici teste.

Quindi pensiamo che sia noi o loro soffriamo della “sindrome della sentinella”.

Noi, zapatiste e zapatisti, guardiamo di sottecchi questi cambiamenti nella realtà. Prestiamo più attenzione, saliamo in cima alla ceiba per cercare di vedere più lontano, di vedere non quello che è accaduto, ma quello che accadrà.

E quello che vediamo non è niente di buono.

Vediamo che sta arrivando qualcosa di terribile, di ancora più distruttivo se possibile.

Ma ancora una volta vediamo che quelli che pensano ed analizzano non dicono niente di questo. Continuano a ripetere le cose di 20 anni, 40 anni, un secolo fa.

E vediamo che organizzazioni, gruppi, collettivi, persone, continuano a fare le stesse cose, presentano false opzioni escludenti, giudicando e condannando l’altro, il diverso.

Ed inoltre: ci disprezzano per quello che diciamo di vedere.

Ma, già lo sapete, siamo zapatisti. E questo vuol dire molte cose, così tante che nei dizionari della vostra lingua non esistono termini per definirle.

Ma vuole anche dire che pensiamo sempre che possiamo sbagliarci. Che forse tutto va avanti senza cambiamenti fondamentali. Che forse il Prepotente continua a comandare come decenni, secoli, millenni fa. Che può essere che quello che accadrà non è qualcosa di così grave, ma solo un aggiustamento minore, una risistemazione di cui non vale nemmeno la pena parlare.

Allora, niente pensiero, analisi, teoria, ma lo stesso di sempre.

Noi, zapatiste e zapatisti, pensiamo che dobbiamo domandare ad altri, ad altre, ad otroas, di altri calendari, di geografie diverse, che cosa è che vedono.

Credo che sia come quando ad un malato si dice che è molto grave, cioè che “è conciato male”, diciamo qua. Quindi bisogna cercare un secondo parere.

Dunque, diciamo che il pensiero, la teoria stanno sbagliando. Che sia la nostra a sbagliare o che sbagliano gli altri. O forse sbagliano entrambi.

Quindi, pur essendo generalmente diffidenti, noi abbiamo fiducia nelle compagne, compagni e compañeroas della Sexta. Ma sappiamo che il mondo è molto grande, e che ci sono anche altri, altre, otroas, che si impegnano in questo compito di pensare, analizzare, osservare.

Quindi pensiamo che dobbiamo considerare il mondo, ed ognuno dei nostri calendari e geografie.

Pensiamo, ancora meglio, che dovremmo avere uno scambio di pensieri. Non come uno scambio di merci, come nel capitalismo, piuttosto come se facessimo che io ti dico il mio pensiero e tu mi dici il tuo. Cioè come una riunione di pensieri.

Ma non pensiamo che questo sia solo un vecchio incontro, ma deve essere grande, molto grande, mondiale si dice.

Noi, zapatiste e zapatisti, non sappiamo molte cose. Forse, ed attraverso la lotta, sappiamo qualcosa dei nostri, nuestroas compañeroas, compagne e compagni della Sexta.

Ed abbiamo visto che queste riunioni di pensieri in alcune parti le chiamano “seminari”, crediamo perché “seminario” vuol dire “semenzaio” cioè che lì si piantano semi che a volte crescono rapidamente, e a volte meno.

Allora diciamo che faremo un semenzaio di idee, di analisi, di pensieri critici su come sta attualmente il sistema capitalista.

Quindi il seminario o semenzaio non sarà in un solo luogo né in un solo momento. Ma si dilaterà nel tempo e nei luoghi.

Per questo diciamo che è dislocato, cioè non in un solo posto, ma in molti luoghi e da molte parti. Diciamo che è mondiale, perché in tutti i mondi esistono pensieri critici che si stanno domandando che cosa sta succedendo, perché, che cosa fare, come, e tutte quelle cose che si pensano nella teoria.

Però, comincia in qualche posto ed in determinato momento.

Dunque, questo semenzaio collettivo comincia in un posto, e questo posto è un caracol zapatista. Perché? Perché i popoli zapatisti usano il caracol per allertare e per richiamare la collettività.

Per esempio, se c’è un problema nella comunità, o una questione che bisogna risolvere, si chiama il caracol e tutto il villaggio sa che c’è una riunione della collettività affinché il pensiero si esprima.

O per vedere come fare per resistere.

Diciamo che il caracol è uno degli strumenti della sentinella. Dal caracol avvisa che c’è un pericolo.

Quindi, il luogo è un caracol zapatista: il caracol di Oventik, montagne del sudest messicano, Chiapas, Messico.

E la data di inizio è il 3 maggio. Perché il 3 maggio?

Nei nostri villaggi è il giorno della semina, della fertilità, del raccolto, del seme. È il giorno della Santa Croce.

Nei villaggi è usanza seminare una croce dove nasce il fiume, il ruscello o la sorgente che dà vita al villaggio. Ed è così che si segnala un luogo sacro. Ed è sacro perché l’acqua dà la vita. Quindi il 3 maggio è il giorno in cui si prega l’acqua per la semina ed un buono raccolto. I coloni si recano quindi dove nasce l’acqua e fanno offerte. Loro parlano all’acqua, le offrono fiori, le danno la sua tazza di atole, l’incenso, il brodo di pollo senza sale. In altri villaggi le offrono un bicchierino di alcolico, ma nelle comunità zapatiste l’alcool è proibito e quindi le offrono delle bibite. Il brodo di pollo che si dà all’acqua è senza sale, affinché l’acqua non si prosciughi. Durante questa cerimonia delle offerte, si fa muscia e tutt@, bambin@,ragazz@, anzian@ ballano. Quando terminano le offerte, inizia la condivisione. Si condivide il cibo che ognuno ha portato: atole aspro, pollo, fagioli, zucca. Tutto il cibo viene spartito e consumato lì, dove nasce l’acqua. Poi, si torna alle proprie case. E per pura allegria, i balli proseguono nel villaggio e si mangia insieme con pane e caffè. Dei compas zapatisti muratori che seguono questa usanza, raccontano che si costruisce una croce con il legno che c’è a disposizione e la croce si pianta quando si comincia una costruzione. Dicono che è per la responsabilità del lavoratore. Cioè, il lavoratore diventa così responsabile della costruzione e ci dà dentro affinché venga bene, perché è compito suo che venga bene.

Quindi ora lo sapete. Vedete voi se accettare o no la sfida, sta a voi decidere.

Attenzione: quello che segue è solo per i relatori. Cioè, c’è solo negli inviti formali che vengono inviati a@ relator@. Non pubblicatelo perché è una…

Clausola Segreta:

Tutto questo è perché comprendiate, come dire, il contesto del seminario.

Che cosa ci aspettiamo da voi?

Che capiate che vengono persone da molto lontano che sacrificano il loro salario ed il loro tempo per venire ad ascoltare quello che esporrete. Non vengono per ozio, né perché ci guadagnino qualcosa. Non vengono per moda o ignoranza. Vengono perché forse vedono quei nuvoloni nei loro orizzonti, perché le piogge ed i venti già li frustano, perché la fame di capire non si sazia, perché sentono che la tormenta si avvicina.

Come noi, zapatiste e zapatisti, vi rispettiamo, così vi chiediamo di rispettare quelle persone. Ci sarà qualche infilatr@, ma la maggioranza sono nostr@ compas. Sono persone che vivono e muoiono lottando, senza che nessuno, se non noi, zapatiste e zapatisti, ne tenga conto. Per loro non ci sono musei, né statue, né canzoni, né poemi, i loro nomi non sono incisi su vagoni della metro, strade, quartieri. Sono dei nessuno, certo. E non nonostante questo, ma proprio per questo, per noi, zapatiste e zapatisti, sono tutto.

Quindi, non offendetevi ma non portate slogan, dogmi, atti di fede, mode; non ripetete quello che già hanno detto prima altri da altre parti; non incoraggiate il pensiero vacuo; non tentate di imporre il pensiero dogmatico; non diffondete il pensiero bugiardo.

Vi chiediamo di portare la vostra parola e che questa solleciti il pensiero, la riflessione, la critica. Vi chiediamo di preparare il vostro messaggio, di affilarlo, di renderlo brillante. Che con esso non onoriate l’accademia ed i suoi pari, ma chi lo riceve come una scossa, o come uno schiaffo, o come un grido.

Il seme che vi chiediamo per questo seminario o semenzaio, è quello che metta in discussione, provochi, incoraggi, spinga a continuare a pensare ed analizzare. Un seme affinché altri semi sentano che bisogna crescere e lo facciano a modo loro, secondo il loro calendario e la loro geografia.

Oh, sì, lo sappiamo: non vedrete ingrossato il vostro prestigio, né il conto in banca, né la fama. Non vedrete nemmeno se otterrete nuovi seguaci, discepoli, greggi.

Ed ancora, non vedrete il solo indizio di successo, e potrà essere che in molte parti, in altri calendari ed in geografie diverse, altre, altri, otroas, smentiscano tutto e critichino, discutano, immaginino, credano.

Questo vi chiediamo. Solo questo.

Dalla portineria della Escuelita, diventata ora “Ufficio di protocollo, design e stampa inviti a nozze, XV anni, divorzi, battesimi, promozioni frustrate, seminari ed altro”, e mentre appendo dei cartelli che dicono “Oggi non si fa credito”, e nemmeno domani”, “Salvagente su richiesta”, “Prendete il vostro telescopio pirata-molto-economico-tutto-legale-mio-caro-certoooo”, “In questa sede non si fanno discriminazioni per ragioni di miopia”.

Il SupGaleano

Messico, Aprile 2015

Ehi, ehi. Fermatevi. L’indirizzo di posta elettronica al quale state mandando i vostri dati di registrazione non è corretto. Dovete mandare a: seminario.pensamientocritico15@gmail.com Grazie per la comprensione (andateci piano con gli insulti, per favore)(*).

 

(*)gioco di parole in spagnolo nel testo originale: que las mentadas sean de menta, no hay que ser.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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SAN-SEBASTIAN-BACHAJON-443x330UN ATTACCO ANNUNCIATO. Più di 600 agenti delle forze di polizia incendiano la sede regionale San Sebastián Bachajón.

Il 20 marzo gli ejidatarios di Bachajón informavano che il commissario ejidale Alejandro Moreno Gómez stava organizzando la sua gente “per sgomberare gli ejidatarios in resistenza di San José en Rebeldía e della Sede Regionale San Sebastián”, terra recuperata dagli indigeni di Bachajón.

Gli aderenti alla Sesta dichiaravano che non avrebbero ceduto nella lotta per difendere la loro terra e per la liberazione dei prigionieri, e chiedevano di vigilare sulla situazione. Nello stesso tempo i giornali locali scrivevano che “si prevedono scontri armati tra gruppi antagonisti che si disputano la zona”, cosa che ha aperto, come in altre precedenti occasioni, alla repressione del governo.

Denuncia e Comunicato delle donne e uomini di San Sebastián Bachajón

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO 21 marzo 2015

EJIDO SAN SEBASTIAN BACHAJON, ADERENTE ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA.

CHIAPAS. MESSICO. 21 MARZO 2015

 

Alla Comandancia Generale Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Alle Giunte di Buon Governo

Al Congresso Nazionale Indigeno

A l@s compañer@s aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona

Ai mezzi di comunicazione di massa ed alternativi

Alla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà

Al Movimento per la Giustizia del Barrio di New York

Ai difensori dei diritti umani nazionali ed internazionali

Al popolo del Messico e del Mondo

Compagni e compagne denunciamo che oggi 21 marzo 2015 alle ore 8 della mattina circa 600 elementi delle forze di polizia hanno incendiato la nostra sede regionale San Sebastián con la partecipazione del Commissario ejidale Alejandro Moreno Gómez e del Consigliere Samuel Díaz Guzmán. Di nuovo si mostra la politica di morte e corruzione del malgoverno, il suo disprezzo per il popolo ed i diritti umani, la sua smania di appropriarsi del nostro territorio per depredare la terra, l’acqua e tutto quello che esiste nel nostro territorio per profitto come se fosse merce.

Riteniamo responsabili i capi dei paramilitari Peña Nieto e Manuel Velasco della violenza a San Sebastián Bachajón e delle violazioni dei diritti umani, morte e repressione contro le donne e uomini della nostra organizzazione che non vendono la propria dignità per le loro briciole.

Respingiamo le menzogne del malgoverno per diffamare la nostra lotta e fabbricare reati contro l’organizzazione che difende la madre terra. Insieme al Commissario ejidale Alejandro Moreno Gómez ed il Consigliere Samuel Díaz Guzmán realizzano dei blocchi stradali sulla strada Ocosingo-Palenque, all’altezza dell’incrocio per Agua Azul, per accusare l’organizzazione di bloccare la strada, ed inotre questi lacchè del malgoverno abbattono gli alberi e sappiamo che vogliono costruire accuse di reati ambientali per arrestare le autorità autonome della nostra organizzazione.

Ci dissociamo da queste azioni organizzate ed appoggiate dal malgoverno insieme al commissario ejidale, che cercano solo il modo di aggirare la legge per metterci in prigione e depredare il territorio per progetti transnazionali a beneficio solo di quelli che stanno sopra. Con la nostra organizzazione dopo lo sgombero violento del 9 gennaio 2015 abbiamo fondato la sede regionale San Sebastián per continuare a prenderci cura delle terre e chiedere il ritiro del malgoverno, e qui continueremo a stare perché siamo i popoli originari di queste terre e non permetteremo che il malgoverno venga a comandare il popolo.

Ricordiamo oggi con degna rabbia il primo anniversario del nostro compagno caduto Juan Carlos Gómez Silvano coordinatore dell’organizzazione nella comunità Virgen de Dolores ed il prossimo mese il secondo anniversario del nostro compagno caduto Juan Vázquez Guzmán segretario generale dell’organizzazione, a San Sebastián Bachajón la lotta continua in loro memoria.

Vogliamo il ritiro della forza pubblica dalle nostre terre minacciate dal febbraio 2011 e della commissione nazionale per le aree naturali protette.

Vogliamo la liberazione dei nostri prigionieri politici Juan Antonio Gómez Silvano, Mario Aguilar Silvano e Roberto Gómez Hernández e dei compagni ingiustamente detenuti Santiago Moreno Perez, Emilio Jimenez Gomez ed Esteban Gomez Jimenez.

Dalla zona nord dello stato del Chiapas, le donne e gli uomini di San Sebastián Bachajón mandano saluti combattenti

Mai più un Messico senza di noi.

¡Tierra y libertad! ¡Zapata Vive!
¡Hasta la victoria siempre!
Presos políticos ¡Libertad!
¡Juan Vázquez Guzmán Vive, la Lucha de Bachajón sigue!
¡Juan Carlos Gómez Silvano Vive, la Lucha de Bachajón sigue!
¡No al despojo de los territorios indígenas!
¡Presentación inmediata de los compañeros desaparecidos de Ayotzinapa!
¡JUSTICIA PARA AYOTZINAPA, ACTEAL, ABC, ATENCO!

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Su Omaggio e Seminario

Il SupGaleano

 ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE MESSICO

Marzo 2015

A loas compas della Sexta in Messico e nel Mondo:

Compas:

Mi hanno incaricato di informarvi che…

Nonostante il notevole incremento dell’attività militare nei dintorni dei Caracol zapatisti (pattugliamenti aggressivi, posti di blocco, sorvoli minacciosi) – in particolare nei Caracol della Realidad e di Oventik (nel primo è appena stata inaugurata una scuola-clinica, e nel secondo si svolgerà l’omaggio a Don Luis Villoro Toranzo)…

Nonostante la crescente belligeranza dei gruppi paramilitari sostenuti dal governo chiapaneco…

Nonostante le vecchie “nuove” menzogne dei media prezzolati /no, non c’è né c’è stata alcuna proposta di dialogo; no, dall’anno 2001, cioè, da 14 anni nessun funzionario federale si è avvicinato all’EZLN se non con l’intenzione di assassinare la dirigenza zapatista; no, i governi federale e statale non stanno cercando di migliorare le condizioni di vita degli indigeni in Chiapas, ma stanno tentando di dividere le comunità; no, gli unici avvicinamenti governativi dei quali si può vantare Jaime Martínez Veloz, non sono stati verso gli zapatisti, bensì verso i paramilitari sovvenzionati, prima che da lui, da Luis H. Álvarez, Juan Sabines Guerrero e Felipe Calderón Hinojosa, ed ora da Manuel Velasco Coello, Rosario Robles Berlanga ed Enrique Peña Nieto, dei quali un gruppo (la CIOAC-H) è responsabile materiale dell’assassinio del compagno maestro Galeano; no, eccetera/

Nonostante continui a non esserci verità e giustizia per Ayotzinapa…

Nonostante là fuori siano occupati in altre faccende (più importanti, vero?) e che si succedano vertiginosamente le mode della “mobilitazione” che dimostrano soltanto che è la frivolezza ad essere la grande stratega…

Nonostante la dignità riveli, ancora una volta, la realtà / e nell’estremo nord del Messico si scopre che sussistono i metodi di sfruttamento dell’epoca porfirista. “Nel nord si lavora e manteniamo i fannulloni del sud”, dice il potente; mentre i campi sono coltivati da uomini, donne, bambini ed anziani indigeni triqui e maya, il potente non dice niente e si inginocchia di fronte al potere straniero. Nella Valle di San Quintín, Bassa California, in quella che si conosce come Oaxacalifornia, i braccianti chiedono salari equi e diritti sul lavoro, “vogliamo solo giustizia” dicono. Il governo li reprime “perché si comportano da rivoltosi”: 200 arresti. Il governatore, panista, si riunisce con i capi militari del 67° battaglione di fanteria dell’esercito federale “per garantire la pace sociale”. La notizia principale sui media prezzolati è “007 nello zócalo della capitale”. L’hashtag #SanQuintinEnLucha non sarà la tendenza del momento /

Nonostante tutto…

O precisamente per tutto questo…

L’EZLN ratifica la celebrazione di:

– L’omaggio ai compagni Luis Villoro Toranzo ed il maestro zapatista Galeano, il giorno 2 maggio 2015 nel caracol di Oventik, Chiapas, Messico. A questo evento, oltre alle compagne e compagni basi di appoggio zapatisti, hanno confermato la loro partecipazione Juan Villoro Ruiz, Fernanda Navarro, Adolfo Gilly, Pablo González Casanova, Don Mario González Contreras, padre di César Manuel González Hernández, uno dei 46 che mancano da Ayotzinapa, e Doña Bertha Nava, madre di Julio César Ramírez Nava, uno dei 46 che mancano da Ayotzinapa; così come familiari del compagno maestro Galeano ed autorità autonome zapatiste delle 5 zone.

– L’avvio del seminario “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista”, convocato dal CIDECI-Unitierra e dalla Commissione Sexta dell’EZLN, dal 3 al 9 maggio 2015 nelle montagne del sudest messicano.

Mi dicono che hanno confermato la loro partecipazione al Seminario:

Doña Bertha Nava, Don Mario González Contreras e Doña Hilda Hernández Rivera, (familiari dei 46 che mancano da Ayotzinapa). Pablo González Casanova. Adolfo Gilly. Juan Villoro Ruiz. Elena Álvarez-Buylla. Catherine Marielle. Álvaro Salgado. Alicia Castellanos. Óscar Olivera (Bolivia). Margarita Millán. Sylvia Marcos. Mariana Favela. Karla Quiñonez (USA). Xuno López. Jean Robert. Carlos González. María Eugenia Sánchez Díaz de Rivera. Eduardo Almeida Acosta. Vilma Almendra (Colombia). Philippe Corcuff (Francia). Luis Lozano Arredondo. Juan Wahrem (Argentina). Rosa Albina Garabito. Jerónimo Díaz. Rubén Trejo. Manuel Rosenthal (Colombia). Hugo Blanco (Perú). Juan Carlos Mijangos Noh. Greg Ruggeiro (USA). Ana Lydia Flores Marín. Javier Hernández Alpízar. Pablo Reyna. Christine Pellicane (Francia). Efraín Herrera. Domi. Antonio Ramírez. John Berger (Gran Bretaña). Donovan Hernández. Sergio Rodríguez. Raúl Zibechi (Uruguay). Sergio Tischler Visquerra (Guatemala). Jorge Alonso. Jerome Baschet (Francia). Paulina Fernández C. Carlos Aguirre Rojas. Gilberto López y Rivas. Daniel Inclán. Enzo Traverso (Italia). Silvia Federici (Italia). Immanuel Wallerstein (USA). John Holloway (Irlanda). Michael Lowy (Brasile-Francia). Marcos Roitman (Chile-Stato Spagnolo).

Dalla portineria della scuola, mentre impilo scatole su scatole con su scritto “BOCCIAT@”

Il SupGaleano Messico, Marzo 2015

 

SEZIONE “DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE”:

Delle opzioni:

Avete un incubo. Vi trovate in un luogo desolato. Non come dopo una guerra, ma nel bel mezzo di questa. Sul lato destro della strada che separa in due il luogo, si staglia un complesso di edifici moderni. All’entrata un cartello avvisa o avverte: “Centro Commerciale Visioni della Realtà”. Emergono due imponenti e moderne costruzioni. Su una di esse, su una targa si legge “Corso di giornalismo etico e reportage obiettivo. Docenti: Ciro Gómez Leyva, Ricardo Alemán, Joaquín López Dóriga, Javier Alatorre e Laura Bozzo”. Nell’edificio accanto si annuncia: “Corso di reportage etico e giornalismo obiettivo. Docenti: Jacobo Zabludovski ed altri 4 dei restanti, ed unici, spazi liberi e indipendenti”.

Chiaramente voi siete una persona intelligente, certo, tollerante, certo, includente, certo, civile, certo, ragionevole, certo, con degli argomenti, certo, colto, certo, e-d-u-c-a-t-o, certo. Perfino negli incubi si deve conservare la forma, ci mancherebbe.

Per questo capite perché si formano lunghe code per entrare in entrambi i posti.

Vi state compiacendo che esistano opzioni informative per tutti i gusti quando sentite, proveniente dal lato sinistro della strada, una bambina che da un semplice flauto tenta, non senza difficoltà, di far uscire le note di “the long and winding road” dei Beatles.

Senza riuscire a dissimulare il fastidio per le note stonate della bambina, vi accorgete che su questo lato sinistro della lunga e tortuosa strada, c’è un gruppo di esseri (incomprensibili, vero) che stanno costruendo delle capanne (un po’ malmesse, per la verità) ed i loro cartelli non offrono corsi ed offerte speciali, no, ma osano solo balbettare “media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino”.

Vi trovate quindi di fronte ad una scelta: o, generosamente allargate un poco la vostra intelligenza, tolleranza, inclusione, civiltà verso questo lato della strada; o ringraziate che ci siano cose che non passano di moda (come il bulldozer, il manganello, la polizia, le squadre antisommossa).

Siete paralizzati di fronte al complesso dilemma. Siccome non sapete che cosa fare, il vostro smartphone, grazie ad una moderna applicazione che vi dà una scossa quando l’hard disk (il vostro, chiaro) va in tilt, si attiva per svegliarvi.

Allora vi svegliate, ma tutto è uguale: il luogo in guerra, le lussuose costruzioni sul lato destro, quelle miserabili sul lato sinistro. Ah, ma invece del flauto stonato con “the long and winding road“, sentite un ritmo sconcertante, un miscuglio di ballata-cumbia-corrido-ranchera-tropicale-hiphop-ska-heavy-metallo che, in marimba, viene fuori con un “Ya se mira el horizonte…

In questa terribile situazione sapete che dovete prendere una misura drastica. Ma non vi decidete: devo cambiare di cellulare o aggiornare il sistema operativo?

Questo sì, mio caro, che è un bel dilemma. Votare o no, che fare?

Dei Media Prezzolati:

– Si racconta che fu allora che quei saggi uomini e donne, con grandi studi e conoscenze, seppero che era vero quello che dicevano gli indigeni ignoranti, analfabeti e premoderni: “col capitalismo: chi paga, comanda”.

– Circa i “cinque spazi liberi e indipendenti” e Molotov: Oh, oh, sembra che qualcuno ha fatto passare per stupido Jacobo.

Della postmodernità:

– Attenzione tuffatori: nella piscina non c’è acqua, solo merda. Fate atten … splash!

– Rottura tra una coppia postmoderna: “Non sei tu. È il contesto”.

Del seminario:

– Dall’Italia è arrivato questo messaggio “Il tale ha detto che verrà (al seminario) solo se potrà parlare personalmente col subcomandante insurgente marcos”. Quando il defunto l’ha saputo, pensando che il messaggio fosse di Monica Bellucci, si è rivoltato nella tomba. Poi gli hanno detto di chi era il messaggio e, deluso, si è risistemato per bene. Il SupMoy ha solo mandato a dire “il supmarcos e morto, se volete, potete cercare all’inferno”, ed ha spedito al mittente un calendario. Interrogato a questo riguardo dai Los Tercios Compas S. A. (senza) C. (né) V. de (i)R. (i) L. (attenzione: non fare uso del marchio senza l’autorizzazione di quelli che (non) ricevono mazzette), il SupMoy ha dichiarato: “il fatto è che c’è gente che non si è accorta che siamo nel 2015”.

– Pss. Pss. L’organizzazione del seminario è un casino. Ma non preoccupatevi. State in armonia con l’universo. Ora ripetete con me “omhhh, il seminario è tutto organizzato, omhhh“.

In fede: miau-guau (e viceversa).

gato-perro

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 CENTRO DEI DIRITTI UMANI FRAY BARTOLOME DE LAS CASAS

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

10 marzo 2015 

Comunicato stampa No. 07 

L’esercito messicano minaccia la Giunta di Buon Governo Zapatista della Realidad

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), attraverso le Brigate Civili di Osservazione (BriCO), ha documentato le incursioni sistematiche dell’Esercito messicano che sta minacciando le Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) nel territorio della Giunta di Buon Governo della Realidad, nella zona Selva di Confine, Caracol I “Hacia la Esperanza” (JBG).

Gli atti militari nel territorio della JBG, consistono in incursioni su convogli di camion, humer, jeep e squadre motorizzata di elementi dell’Esercito messicano che vanno da quattro a 30 persone. Si aggiungono sorvoli radenti di aerei da turismo ed elicotteri che fotografano e filmano i membri delle BriCO, le BAEZLN e le installazioni della JBG. Da luglio del 2014 queste azioni sono in aumento, sia per numero di effettivi impiegati sia per la loro frequenza. (vedere allegato: anexo_actividad_militar_realidad).

Il Frayba osserva con preoccupazione la crescente minaccia esercitata dall’Esercito messicano nel territorio zapatista, poiché è una provocazione e persecuzione contro il diritto all’autonomia ed alla libera determinazione sancito dalla Costituzione messicana, dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e dagli Accordi di San Andrés Sacamchem de los Pobres.

Per quanto sopra, questo Centro dei Diritti Umani chiede che: Sia rispettata la libera determinazione e l’autonomia dei popoli zapatisti e cessi la persecuzione perpetrata dal governo federale attraverso l’Esercito messicano.

Infine, bisogna ricordare che il 2 maggio 2014, persone della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H) hanno teso un’imboscata alle BAEZLN in territorio della JBG della Realidad; durante l’attacco il gruppo armato ha assassinato José Luis Solís López, “Maestro Galeano”, distruggendo inoltre la Clinica e la Scuola Autonoma. Segnaliamo che l’organizzazione menzionata fa parte del governo locale di Las Margaritas e gode della protezione del governo di Manuel Velasco Coello, che le permettono di compiere impunemente aggressioni, sgomberi forzati ed omicidi nella regione.1)

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1) Frayba, bollettino 16, Agresión a Bases del EZLN en sede de la Junta de Buen Gobierno de La Realidad. 5 de mayo 2014, Chiapas, México. URL disponible en: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/140505_boletin_16_agresiones_jbg.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CENTRO DEI DIRITTI UMANI FRAY BARTOLOME DE LAS CASAS

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

10 marzo 2015 

Comunicato stampa No. 07 

L’esercito messicano minaccia la Giunta di Buon Governo Zapatista della Realidad

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), attraverso le Brigate Civili di Osservazione (BriCO), ha documentato le incursioni sistematiche dell’Esercito messicano che sta minacciando le Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) nel territorio della Giunta di Buon Governo della Realidad, nella zona Selva di Confine, Caracol I “Hacia la Esperanza” (JBG).

Gli atti militari nel territorio della JBG, consistono in incursioni su convogli di camion, humer, jeep e squadre motorizzata di elementi dell’Esercito messicano che vanno da quattro a 30 persone. Si aggiungono sorvoli radenti di aerei da turismo ed elicotteri che fotografano e filmano i membri delle BriCO, le BAEZLN e le installazioni della JBG. Da luglio del 2014 queste azioni sono in aumento, sia per numero di effettivi impiegati sia per la loro frequenza. (vedere allegato: anexo_actividad_militar_realidad).

Il Frayba osserva con preoccupazione la crescente minaccia esercitata dall’Esercito messicano nel territorio zapatista, poiché è una provocazione e persecuzione contro il diritto all’autonomia ed alla libera determinazione sancito dalla Costituzione messicana, dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) e dagli Accordi di San Andrés Sacamchem de los Pobres.

Per quanto sopra, questo Centro dei Diritti Umani chiede che: Sia rispettata la libera determinazione e l’autonomia dei popoli zapatisti e cessi la persecuzione perpetrata dal governo federale attraverso l’Esercito messicano.

Infine, bisogna ricordare che il 2 maggio 2014, persone della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H) hanno teso un’imboscata alle BAEZLN in territorio della JBG della Realidad; durante l’attacco il gruppo armato ha assassinato José Luis Solís López, “Maestro Galeano”, distruggendo inoltre la Clinica e la Scuola Autonoma. Segnaliamo che l’organizzazione menzionata fa parte del governo locale di Las Margaritas e gode della protezione del governo di Manuel Velasco Coello, che le permettono di compiere impunemente aggressioni, sgomberi forzati ed omicidi nella regione.1)

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1) Frayba, bollettino 16, Agresión a Bases del EZLN en sede de la Junta de Buen Gobierno de La Realidad. 5 de mayo 2014, Chiapas, México. URL disponible en: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/140505_boletin_16_agresiones_jbg.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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GRAZIE III.

LA COSTRUZIONE PIU’ CARA DEL MONDO.

Subcomandante Insurgente Moisés              Subcomandante Insurgente Galeano

Febbraio-Marzo del 2015

La vigilia. L’alba. Il freddo morde sotto il vestito delle ombre. Sul tavolo che, solitario, arreda la capanna (che non reca alcuna insegna ma si sa che è l’attuale quartier generale del comando zapatista), c’è il foglio arrotolato e con lettere manoscritte dove si dettaglia il conto della costruzione della scuola-clinica a La Realidad zapatista. La voce riassume sguardi, silenzi, fumo, rabbie:

I conti non tornano. La vita di qualsiasi zapatista vale più della casa bianca di Peña Nieto e di tutte le case dei ricchi del mondo messe insieme. Nemmeno tutti soldi che costa fare i grandi edifici dove i potenti si nascondono per compiere i loro furti e crimini, è sufficiente a pagare una sola goccia di sangue indigeno zapatista. Perciò sentiamo che questa costruzione è la più cara che ci sia al mondo.

Così che dobbiamo dire chiaramente che ciò che non appare nel conto della grana è il sangue del compagno Galeano. Neppure tutti i fogli della storia del mondo bastano per scrivere questo conto.

E allora mettetelo come tale quando mettete le vostre liste nei mezzi di comunicazione, allorché mettete chi è il più ricco, e dove sta il più povero. Perché il ricco ha nome e cognome, lignaggio, pedigree. Ma il povero ha solo geografia e calendario. E allora mettetelo che la costruzione più cara di tutto il pianeta è a La Realidad Zapatista, Chiapas, Messico. E che le bambine e i bambini zapatisti frequentano la scuola più cara del mondo. E che gli uomini, donne, bambini, bambine, anziane e anziani, indigeni, zapatisti, messicane e messicani, quando si ammalano a La Realidad, si cureranno nella clinica più cara della Terra.

Ma l’unica forma di pareggiare i conti è lottare per distruggere il sistema capitalista. Non cambiarlo. Non migliorarlo. Non renderlo più umano, meno crudele, meno sterminatore. No. Distruggerlo totalmente. Annichilire tutte e ciascuna delle teste dell’Idra.

E anche così mancherebbe, come vogliamo qui, dar vita a qualcosa di nuovo e molto migliore: costruire un altro sistema, senza padrini e padroni, senza capibastone, senza ingiustizia, senza sfruttamento, senza disprezzo, senza repressione, senza spoliazione. Senza violenza contro le donne, l’infanzia, il differente. Dove il lavoro abbia la sua giusta retribuzione. Dove non comandi l’ignoranza. Dove la fame e la morte violenta siano cattivi ricordi. Dove nessuno stia sopra al costo di lasciare altri sotto. Ragionevole. Molto migliore.

Allora, e solo allora, noi zapatiste e zapatisti potremo dire che i nostri conti sono in pari.

-*-

Molte grazie a le/gli altrei, uomini, donne, bambine, bambini, anziane e anziani, gruppi, collettivi, organizzazioni e comunque si chiamino della Sexta e non Sexta del Messico e del mondo, per l’appoggio che ci avete dato. Questa clinica e questa scuola sono anche vostre.

Perciò ormai sapete che a La Realidad zapatista possono contare su una clinica autonoma di salute e una scuola.

Sappiamo che ora vi apparirà un po’ lontano, ma non si sa mai, il mondo è rotondo, gira e può essere che, magari, chissà… magari un’alba qualsiasi capiate che questa cosa di lottare per mettere in pari i conti, fa parte anche dei conti vostri.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés.              Subcomandante Insurgente Galeano.

La Realidad Zapatista, Chiapas, Messico.

Marzo 2015.

 

SEZIONE “DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE”:

Appunti di genere:

.- (…) Perciò, come donne di questo paese, abbiamo bisogno di organizzarci, perché vediamo che ci sono molte sparizioni. Siamo molte noi donne che siamo madri, che stiamo soffrendo questo dolore, questa grande tristezza per i nostri figli scomparsi, le nostre figlie morte. Perché ora, in questo malsistema, a parte il fatto che siamo umiliate, siamo disprezzate, siamo sfruttate, a parte tutto questo, per di più ci vengono ad ammazzare e a far sparire i nostri figli. Tale è il caso di ABC e ora dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa, le donne scomparse di Ciudad Juárez, il caso di Aguas Blancas, e tutto questo è il sistema. Non ci risolverà i problemi, non avremo alcuna risposta dal sistema attuale. Perciò, fratelli e sorelle, abbiamo bisogno di organizzarci perché è tra il popolo stesso che prenderemo le decisioni, che vedremo il cammino che vogliamo percorrere come popoli. Come popoli di uomini e donne, non solo coloro che stanno in campagna o gli indigeni, anche voi sorelle che vivete in città, perché dobbiamo decidere tra di noi come ci governeremo, e così insieme ai nostri uomini, tra uomini e donne, costruiremo un nuovo sistema, nel quale come donne siamo realmente prese in considerazione e forse allora, compagne, sorelle, troveremo sollievo dal dolore che abbiamo e da questa rabbia collettiva che ora ci unisce.

(…) Ora che siamo ormai nel ventunesimo secolo, a parte alcune donne che godono della ricchezza, ossia a parte le donne dei ricchi, a parte le donne dei presidenti, dei governatori e a parte le deputate, le senatrici, noi come donne indigene continuiamo a soffrire dolore, tristezza, amarezza, stupro, sfruttamento, umiliazione, discriminazione, incarceramento, disprezzo, emarginazione, tortura e molte altre cose, perché per noi donne non c’è governo. E’ per questo che per il resto delle donne del paese continua a essere uguale a come vivevano prima le donne, come al tempo degli ejidos, delle colonie, da cui i nonni si portarono dietro quella cattiva cultura di come hanno vissuto con i padroni, e cioè che comandavano loro, come fossero il padroncino di casa, che dice ancora ‘io comando’ e il resto di ciò che caratterizza un padre di famiglia. E colei su cui comandava era sua moglie ed è così che è sorta la cosa più orribile, che le donne, ossia le figlie, le compagne prima erano obbligate a sposarsi perché erano i papà a decidere chi gli convenisse come genero. Sceglievano chi dava più da bere o più soldi ed è così che andava ai tempi degli ejidos: che la donna non veniva mai presa in considerazione quando si organizzavano gli uomini; allorché si organizzavano nei lavori, mai venne presa in considerazione la donna.

(…) Quante donne scomparse, morte, violentate, sfruttate e nessuno che dica niente per loro. Perché le donne ricche sono solo una manciata e godono della ricchezza di altre donne sfruttate. Queste donne ricche non soffrono, non sentono il dolore, l’umiliazione di essere sfruttate per il fatto di essere povere. Ma non per questo smetteremo di organizzare e di lottare come donne, perché per le donne nel sistema c’è solo dolore, tristezza, incarceramento, umiliazione, stupro. Come le madri dei 43 alunni scomparsi, l’asilo infantile ABC e la miniera di Pasta de Conchos. Lo stesso che ad Acteal, ma non per questo smetteremo di organizzarci e lottare, in campagna e in città. Perciò stiamo condividendo con voi per la prima volta nella storia.

(…) cioè, come nel sistema…ci sono uomini che fanno lavori da donne ma non è per il bene di una nuova società come facciamo noi come zapatiste; troviamo un esempio in alcuni luoghi nei grandi ristoranti dove stanno gli uomini, cioè, eleganti a lavorare, cioè, lavori da donne, ma sono sfruttati e sfruttate e nel mentre le donne che avevano quel tipo di incarichi sono portate altrove, in altri luoghi per dar loro un altro utilizzo, come mercanzia, fargli le foto per metterli in riviste, in locandine di film, in pubblicazioni su internet; perciò vediamo che cioè la vita in questo sistema in cui siamo, cioè, è più duro che come 520 anni fa, perché la situazione cioè ciò che ci fa il malgoverno cioè sono gli stessi nipoti sono gli stessi figli cioè dei proprietari terrieri del tipo che ci continuano a sfruttare cioè ora in questo paese e così come vediamo cioè che non c’è mai un cambiamento nel sistema e sempre cioè le sorelle e i fratelli continuano cioè a patire in questa sofferenza in questo dolore del tipo che ci provoca cioè il malgoverno ora. (Appunti presi dalla condivisione delle zapatiste nel Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo. Versione completa in “Rebeldía Zapatista. N. 4″ prossima uscita)

.- In questo sistema nascere, crescere, vivere e morire può essere come il prolungato trascinarsi in un groviglio di filo spinato. Ma questo dolore è una delle molte macchie nella storia. Ciò che solleva è che loro, ogni volta di più, decidano di ergersi in piedi e camminare. Non come se le spine fossero fiori, bensì come se i graffi, compresi quelli letali, le rendessero più forti… per aprirsi la strada ancora e ancora. Non per cambiare di genere la dominazione, ma perché non ci sia dominazione. Non per tener così un luogo nella storia di sopra, bensì perché la storia di sotto smetta di essere una ferita che non si cicatrizza. Né comandante né comandata. Né regina né plebea. Né Khaleesi Jhiqui* (personaggi di Game of Thrones, romanzo fantasy di George R.R. Martin e serie televisiva statunitense, già citata nel comunicato Di Ayotzinapa, del Festival e dell’isteria come metodo di analisi e linea di condotta del dicembre 2014. I due ruoli corrispondono grosso modo a principessa e ancella. N.d.T.). Né capa né impiegata. Né signora né schiava. Né padrona né serva. Ma la cosa terribile non è che ogni essere a cui tocchi di nascere donna lo faccia avendo una simile fregatura come calendario futuro, in qualsiasi geografia politica. La cosa che atterrisce è che chi fa a gara per un mondo migliore, non di rado tesse con le proprie mani queste trappole taglienti. Ma ogni tanto la realtà, che è femminile, dà uno scapaccione al calendario di sopra in tutte le geografie di sotto. In Fede.

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Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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GRAZIE II.

GRAZIE II.

IL CAPITALISMO DISTRUGGE. I POPOLI COSTRUISCONO.

Subcomandante Insurgente Moisés

Parole della Comandancia Generale dell’EZLN, per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, a La Realidad Zapatista. Consegna della Scuola Autonoma Zapatista “Compañero Galeano” e della Clinica Autonoma 26 de Octubre “Compañero Subcomandante Insurgente Pedro“, alle basi di appoggio zapatiste il 1° marzo 2015.

Buongiorno a tutti, compagni e compagne di questa zona, di questo Caracol della Realidad, zona Selva di Confine.

Oggi siamo qui con voi, compagni, compagne di questa zona, per fare una consegna nelle mani dei compagni e compagne basi di appoggio di questa comunità zapatista La Reaidad, Nueva Victoria, nome di battaglia dato dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Compagni e compagne, dobbiamo dire che ognuno di noi zapatisti ancora soffre, ma non solo gli zapatisti del Messico, ma del mondo intero, perché manca il compagno il cui nome è stato dato a questa opera: il compagno Galeano.

Questa costruzione è il frutto del lavoro, dell’impegno e dell’organizzazione dei compagni e compagne della Sexta internazionale e della Sexta nazionale. Questa è la dimostrazione di quello che siamo noi zapatisti del Messico e del mondo.

Quello che siamo realmente, quello che pensiamo, vogliamo, è la vita e non che ci uccidano.

Ma il sistema capitalista distrugge sistematicamente quello che il popolo costruisce. Ma il popolo non smette di costruire, perché è la sua vita. Il sistema distrugge perché sa che un giorno il sistema stesso sarà distrutto, perché è un sistema di sfruttamento, di umiliazione. Non è vita quella che costruisce il capitalismo, a noi poveri non lascia niente, oltre a quello che costruiamo noi stessi, popoli, uomini e donne che lottiamo, nessuno altro.

Lo diciamo qui, sul luogo della costruzione, quello che siamo, nel villaggio del compagno Galeano, maestro della Scuola zapatista, sergente nella lotta, miliziano nell’organizzazione, autorità nella vita, per noi un esempio.

Il capitalismo vuole distruggere questo esempio e noi non lo permetteremo.

Vogliamo dire chiaro qua, di fronte a questa gente, a quelli che non stanno con noi: noi non siamo contro di loro. Vogliamo rispetto, loro lo sanno. Abbiamo detto: se ci rispettano anche noi li rispettiamo, non vogliamo ammazzare povera gente. Ma se loro cedono, sappiano che stanno al fianco del criminale, dello sfruttatore, dell’assassino, che è il capitalismo.

Diciamo chiaramente alla gente che non è d’accordo con noi: a noi non fa niente se non sono d’accordo con noi, perché un giorno questo sarà per loro, forse ora non lo vedono perché molti hanno cinquanta o sessanta anni, ma il frutto di quello che noi stiamo costruendo lo vedranno i loro figli e le loro figlie.

Lo diciamo con tutto il cuore e sinceramente: lottiamo per il popolo del Messico, e forse siamo un esempio per il mondo. Vogliamo che sia chiaro che quello che vogliamo è la vita. L’abbiamo già detto riguardo ai soldati, per esempio, i poliziotti, stiamo lottando anche per loro, perché sappiamo che sono povera gente, per povertà vendono il loro corpo, la loro vita, la loro anima, il loro sangue, le loro ossa, la loro carne; si vendono ed il capitalismo li compra per difendersi. Non vediamo mai un ricco, il figlio di un ricco che va a fare il soldato, che viene qui e ci affronta, certo, ci sono anche i figli dei ricchi ma sono generali che sfruttano i propri soldati.

Lo sappiamo, è questo il trucco del ricco con noi povera gente del Messico, ci comprano con dei regali affinché crediamo che il governo è buono. Non è mai buono il malgoverno del sistema capitalista, non è mai buono, mai e poi mai i ricchi sono buoni. Un semplice esempio, se perfino tra noi stessi, familiari, fratelli, sorelle, o zii, zie, a volte litighiamo pur essendo figli degli stessi papà e mamma, come possiamo credere a quello che dicono i ricchi, come possiamo credere che sono buoni, non li conosciamo. Per esempio adesso con le elezioni, cosa sappiamo dei candidati?

Vogliamo che sia chiaro: non abbiamo niente contro i nostri fratelli, quelli che vogliono essere nostri fratelli di lotta. Se vogliono bene, altrimenti, non c’è problema. Ma come diciamo che non c’è problema, così diciamo che non ci creino problemi. Chi la fa, l’aspetti. E vale anche per noi zapatisti, se noi provochiamo, dobbiamo aspettarcela. Per questo diciamo chiaramente: noi non provochiamo, perché non abbiamo niente contro quelli, quelle, che non vogliono lottare con noi.

Ci dispiace e ci rattrista perché sono ingannati, sfruttati, umiliati. Non insegnano niente ai loro figli e figlie per il loro futuro. A noi zapatisti importano i nostri figli e le nostre figlie, vogliamo mostrare loro la strada dove non ci sia più lo sfruttamento, l’umiliazione, dove noi possiamo governarci da soli.

Dunque, compagni, compagne, la costruzione che stiamo inaugurando è il frutto, è il risultato di quello che siamo per i nostri compagni e compagne della Sexta, ma perfino per altri fratelli e sorelle del Messico e del mondo che ancora non sono entrati nella lotta della Sexta, ciò a cui convoca la nostra Sesta Dichiarazione, ma che ci stanno appoggiando col cuore.

Forse, sul cammino, se ne accorgeranno e verranno con noi a lottare, ma è qui la parte dell’impegno, della lotta, dell’organizzazione di quei fratelli e sorelle, del Messico e del mondo che non sono della Sexta.

Ma la maggior parte dell’impegno, del sacrificio e dell’organizzazione è dei compagni della Sexta nazionale ed internazionale.

Qui stiamo dimostrando che quando il popolo si organizza non è necessario il sistema capitalista, non è necessario un sistema dominante, che umilia. Qui l’esempio è nei fatti. Il capitalismo, il malgoverno di questo paese, ha ordinato di distruggere la scuola autonoma dei compagni basi di appoggio. Distruggetela, è molto facile da buttare giù, distruggete anche la clinica, …..(incomprensibile).

E questo è il risultato, il risultato dell’impegno e dell’organizzazione dei nostri compagni e compagne della Sexta nazionale ed internazionale, ed è molto meglio quello che ha costruito la povera gente del Messico e del mondo.

Allora che sia chiaro, questa è la dimostrazione che ai nostri compagni e compagne della Sexta nazionale ed internazionale importa la lotta per la vita.

Quello che ci fa male è che questa costruzione è costata molto cara perché la vita del nostro compagno maestro, il compagno Galeano, non vale questo edificio. La vita del nostro compagno non ha prezzo. Ma, purtroppo, il malgoverno, i tre livelli di malgoverno e la gente che si vende e che non pensa ai propri figli, hanno fatto quello che hanno fatto al nostro compagno Galeano.

Quello che vogliamo dire qui, perché arrivi in tutto il mondo, vogliamo dire ai nostri compagni e compagne della Sexta internazionale e della Sexta nazionale: non organizziamoci, non facciamo una cosa quando un compagno o una compagna sono ormai morti.

Dobbiamo organizzarci senza aspettare quello che può succedere. Dimostriamo che il sistema capitalista, i malgoverni non servono.

Costruiamo quello di cui c’è bisogno anche se non ci sono morti, perché noi non vogliamo che ci siano, ma è quello che vuole il fottuto sistema capitalista.

E vogliamo dire ancora una volta che noi non proviamo odio per la povera gente, quello che non vogliamo è lo sfruttamento.

Vogliamo dire che bisogna aiutare altri compagni e compagne, non solo nelle zone zapatiste, ma dobbiamo aiutare anche altri compagni.

E’ così che dimostriamo che non solo siamo organizzati, ma che l’organizzazione si dimostra facendo coi fatti quello che diciamo.

Vorremmo dirvi molte altre cose, compagni, ma nei prossimi giorni lavoreremo qui con voi. Adesso siamo qua per consegnare ai compagni basi di appoggio dell’Esercito Zapatista questa costruzione, l’edificio che ci hanno permesso di costruire i nostri compagni e compagne della Sexta.

Questo edificio è del popolo. Il popolo deve pensare, decidere come usarlo, perché sarà d’esempio per altri compagni e compagne.

Quello che è difficile, e che non mi entra in testa, è che dovrebbe essere qui presente il compagno Galeano.

Non è più con noi e sappiamo di chi è la colpa, e la domanda che facciamo a chi ha fatto quel che ha fatto (a quelli che hanno fatto quel che hanno fatto al compagno Galeano), quanti milioni di pesos doveva alle persone che l’hanno assassinato? Che cosa ha rubato loro il compagno Galeano perché gli facessero quello che hanno fatto? Queste domande non hanno risposta. Non c’è risposta perché in realtà non ha rubato nulla. Il compagno non ha mai rubato e non doveva loro niente. Al contrario, loro devono a noi.

Per questo noi non abbiamo niente contro. Se ci vogliono rispettare che ci rispettino, ma anche noi zapatisti dobbiamo rispettare, così si vede chi è che comincia.

Perché noi zapatisti dobbiamo pensare a quei bambini e bambine, e per questo vogliamo dire loro per lo meno che pensino ai loro bambini. Loro sanno cos’è successo nel 1994. Qualunque cosa decida il malgoverno, l’esercito esegue, loro lo sanno, non valgono niente quelle credenziali che dicono di avere. Non serve niente, tutti vengono accusati di essere zapatisti, lo sanno, e vogliamo ricordarglielo.

Per questo chiediamo loro di ascoltare il loro cuore, di pensare con la propria testa, di pensarci. Non c’è posto dove andare, a meno di fuggire, ma è la morte che incontreranno fuggendo. Tanto vale restare qui, vivere qui e rispettare le persone, da cristiani, come si dice. Lo capiscono perfino i nostri animali, che sono animali, noi non siamo animali, siamo uomini o donne, ragazze o ragazzi, abbiamo un cervello.

Quel poco che ora ricevono gli indigeni in Chiapas, quello che il malgoverno dà loro, è perché il malgoverno non vuole che questi uomini e donne si organizzino, dà loro affinché non pensino mai di organizzarsi e lottare. E’ questo il problema principale perché così permettono che i loro figli siano sfruttati, umiliati, calpestati.

È quello che noi zapatisti non vogliamo, per questo non accettiamo niente dal malgoverno, perché non vogliamo più questo sistema. Il sistema capitalista non ci può distruggere. Stiamo parlando del capitalismo, con i suoi migliaia di eserciti non ci può distruggere. Da qualche parte si dice che ormai gli zapatisti sono pochi, ma è solo una bugia del governo. Ed invece di fare tanti discorsi, noi lo dimostriamo nei fatti.

Continueremo a ricordare il nostro compagno Galeano.

Dunque, compagni e compagne, di questa zona del caracol della Realidad, a nome dei compagni e compagne della Sexta nazionale ed internazionale consegno questo edificio per il bene dei nostri compagni e compagne di questo villaggio, La Realidad, affinché comincino a lavorarci i compagni promotori, compagne promotrici di salute e di educazione.

Questo edificio è di tutti noi, ci pensino bene se vogliono distruggerlo di nuovo. Ma chiediamo che non lo distrugga la gente di qua, che sia il malgoverno a farlo. Signore e signori, non fatevi usare dal malgoverno per venire qui a distruggerlo, perché anche voi siete povera gente come noi, lo sapete bene.

Non prestatevi, non vendetevi, perché la vita non si compra e non si vende. Che venga qui il malgoverno e che lo faccia lui. Com’è quella preghiera che recitano nella loro chiesa o nel tempio? Che bisogna amarsi gli uni con gli altri, dice. E com’è? Pensateci, signori e signore, non fate come il malgoverno che dice una cosa e ne fa un’altra, non siate così signori e signore. Che barzelletta è se fanno il contrario di quello che predicano? Noi non vogliamo più tutto questo, che si dica una cosa e se ne faccia un’altra.

Il risultato di avere compagni e compagne che sono con noi nella lotta, è quello che stiamo consegnando oggi, primo di marzo. Quindi, consegno formalmente la costruzione oggi, Primo di marzo, domenica, dell’anno 2015, alle ore 10 e 34 minuti, ora sudorientale.

Grazie compagni e compagne.

Dalle montagne del sudest messicano.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés

La Realidad zapatista, Messico, Marzo 2015

 

Foto a cura de Los Tercios Compas.

SEZIONE “DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE”:

.- Non è la stessa cosa cercare un uomo provvidenziale che ci salvi, che cercare di organizzarsi uomini, donne, otroas, per salvarsi in maniera collettiva. Delegare ad un altro quello che è responsabilità propria è, quanto meno, irresponsabile.

.- Attento avviso: Sei depresso perché i candidat@ del PRI e dell’opposizione ti provocano nausea? Ti terrorizza che, di fronte alla TV, non saprai se sei sul canale del congresso o sul canale comico? Triste perché nessuno ti blocca, ti unfollowea, ti chiede un panino? Stai male! Tuitta qualcosa come questa e vedrai che la vita ti sorriderà… ok, ti fa le smorfie, ma è qualcosa, no? Vai:

Le elezioni stanno alla trasformazione sociale come l’omeopatia alle pandemie: costano ed intrattengono, ma non risolvono la cosa fondamentale.

In Messico, la differenza tra un voto ed una barca è che il primo è molto più caro… ed è più utile la seconda.

Perdi peso: dopo aver mangiato, leggi le proposte dei partiti. Idratati dopo il vomito. Garantito. Brevetto dell’INE.

.- Tips per turisti stranieri: in Messico le quesadillas possono non avere formaggio, i politici non avere cervello e la ragione non avere peso. Ecco.
01 02 03 04 05 06

(continua..)

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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GRAZIE I.

GRAZIE I.

Il giorno domenica 1 marzo 2015, dopo più di sei mesi di lavoro, è stata consegnato alle basi d’appoggio zapatiste de La Realidad l’edificio che ospita una clinica di salute e una scuola. La costruzione è stata possibile grazie all’appoggio solidale di persone e collettivi di tutto il mondo. Qui vi consegniamo i conti, le parole che si sono espresse in tale occasione e alcune foto di quel giorno.

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I conti chiari e il pozol denso:

– La costruzione è iniziata il 31 luglio 2014. E’ stata portata a termine alla fine di febbraio 2015.

⁃ – Giornate di lavoro: approssimativamente 2015 compa/día-trabajo

Nota de Los Tercios Compas: compa/día-trabajo, CDT in sigla. CDT è un’unità di misura zapatista che potrebbe essere equivalente al Tempo di Lavoro Socialmente Necessario TLSN, ma, oltre al fatto che non si esprime in ore, il CDT non è un’unità di misura di valore. Il CDT è un riferimento per comparare l’individuale e il collettivo (a un individuo sarebbero stati necessari quasi 7 anni per fare quanto a un collettivo ha richiesto 7 mesi), e per contrapporre ciò che si fa in basso a sinistra, con quel che si fa là sopra e a destra (un governo di sopra ci avrebbe messo 14 anni e lo avrebbe lasciato incompleto). Per esempio: con miliardi di grana come preventivo, il governo statale del Chiapas non può terminare di costruire ospedali a Reforma, Yajalón y Tuxtla Gutiérrez. Quello di Tuxtla Gutiérrez è uno degli abbondanti esempi sulla corruzione del “sinistrorso-pierredista-amloista” Juan Sabines Guerrero (che, come ha confessato il suo predecessore Pablo Salazar Mendiguchía, ha messo insieme e finanziato in Chiapas il gruppo paramilitare conosciuto come CIOAC-H; l’ariano Velasco prosegue la sua stessa politica). Nel 2012, per “inaugurare” l’ospedale di Tuxtla spostarono équipes di altri ospedali. Dopo che lo psicopatico Calderón e il criminale Sabines tagliarono la lista, smantellarono tutto. Ora è un enorme guscio vuoto (informazioni da “Chiapas Paralelo” chiapasparalelo.com e “Diario Contra Poder” diariocontrapoderenchiapas.com). L’ariano Velasco occulta la gigantesca frode del suo padrino e ne segue i passi. Intanto, la grana di sopra se ne va in propaganda mediatica, in festini, decorazioni, maquillage e in saloni di bellezza, oltre, ovviamente, per perseguire quel po’ di stampa indipendente a pagamento che resta nello stato, e per comprare silenzi nelle reti sociali. Una cosa è, con tanto di viveri del caso, tirarsi dietro la gente per magnificare il fattore ariano; ben altra è organizzarsi per costruire ciò di cui ha bisogno il popolo. Altre informazioni sul concetto di TLSN, nel Capitale, libro primo, sezione prima, capitolo 1; non ricordiamo l’autore ma era ebreo, quindi procedere con cautela. Altre informazioni sul non-concetto CDT, più avanti. Fine della nota di Los Tercios Compas, media non libero, non autonomo, non alternativo, non indipendente, ma compagno. Approvazione ancora in corso perché nella Giunta di Buon Governo ci hanno detto: “altre informazioni, dopo” (‘mah, non glielo dico?).

⁃ – Conti della Grana:

⁃ Totale del sostegno monetario ricevuto: $1,191,571.26 (un milione centonovantunomila cinquecentosessantuno pesos e 26 centesimi, valuta nazionale).

⁃ Totale delle spese monetarie per la costruzione: $370,403.84 (trecentosettantamila quattrocentotre pesos e 84 centesimi, valuta nazionale).

⁃ Totale delle spese monetarie in materiali per la messa a punto della scuola e della clinica autonoma: $102,457.42 (centoduemila quattrocentocinquantasette pesos e 42 centesimi, valuta nazionale).

⁃ Totale monetario rimanente: $718,710.00 (settecentodiciottomila settecentodieci pesos, valuta nazionale).

⁃ Di tale rimanente, i villaggi zapatisti di La Realidad propongono di usarli per il lavoro collettivo secondo quanto segue:

Per la compravendita di bestiame: $200,000.00 (Duecentomila pesos, valuta nazionale).

Per la compravendita di caffè e mais: $100,000.00 (Centomila pesos, valuta nazionale).

Per l’acquisto di un veicolo da 3 tonnellate per le necessità della comunità: $200,000.00 (Duecentomila pesos, valuta nazionale).

Per il supporto di negozio, mensa, panetteria di lavoro collettivo delle compagne: $100,000.00 (Centomila pesos, valuta nazionale).

Per il fondo di resistenza zapatista: $118,710.00 (Centodiciottomila settecentodieci pesos, valuta nazionale).

Totale del rimanente più le spese: $1,191,571.26 (un milione centonovantunomila cinquecentosettanta pesos e 26 centesimi, valuta nazionale).

Così resta chiarito e si chiude il conto di quanto ricevuto e resta solo da continuare a lottare.

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-*-

Parole del compagno Jorge, base d’appoggio dell’EZLN. A La Realidad Zapatista, all’inaugurazione della Scuola Autonoma Zapatista “Compagno Galeano” e della Clinica Autonoma 26 Ottobre “Compagno Subcomandante Insorgente Pedro”, il giorno 1 marzo 2015.

Buongiorno, compagni e compagne.

Voglio dirvi alcune parole io, come compagno responsabile di questo villaggio.

Che il governo capitalista vuole distruggere la nostra autonomia e farla finita con l’EZLN, ma lo sappiamo bene che questo non gli riuscirà mai, perché ciò che ci ha distrutto il malgoverno lo costruisce la nostra autonomia.
E continueremo a esercitare ancor di più la nostra autonomia e la nostra resistenza come EZLN, perché sappiamo bene che coloro che non resistono sono coloro che sono ingannati dal malgoverno e sono pagati per distruggere, ma con le loro cattive idee non ottengono nulla. Peccato che ci sia gente che si presta e si lascia usare dal malgoverno, e che non si rende conto di come siano circuiti e ingannati, accontentandosi delle briciole.

E tutto questo che sto dicendo non è menzogna perché ciò che hanno distrutto è già stato ricostruito molto meglio di prima, perché il malgoverno veda che noi come zapatisti costruiamo ciò che ci distrugge.

E tutto quanto successo il 2 maggio, non è più un fatto solo nostro, ma della Sexta nazionale e internazionale e nel mondo. Perciò noi, come EZLN, siamo qui con i compagni responsabili di questa zona a ricevere la nostra nuova scuola e clinica, perché quanto accaduto è indimenticabile: il nostro compagno Galeano.

Ringraziamo anche i compagni della Sexta nazionale, internazionale, quelli che ci hanno fornito il loro appoggio per la costruzione della nostra nuova scuola e clinica qui in questo villaggio zapatista, La Realidad, principalmente ai compagni di Francia, Italia (incomprensibile) e altri compagni ancora che hanno dato il loro sostegno.

Di tutto questo, di quanto accaduto il 2 maggio, il governo non ha fatto giustizia, perché sappiamo che è un governo corrotto e assassino.

Voglio dire anche che più in là continueremo con l’altro omaggio che sarà da un’altra parte, il 2 maggio, perché il nostro compagno Galeano non sarà mai dimenticato perché ha lottato per il popolo e ha fatto il suo dovere come zapatista.

Grazie, compagni.

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Parole del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno dell’EZLN per voce del Comandante Tacho.

Buongiorno, compagni. Buongiorno a tutti.

A nome del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno di questa zona e delle altre zone che ci hanno accompagnato nell’omaggio al nostro compagno, mi permetto di indirizzarvi alcune parole, a nome di tutti i compagni basi d’appoggio, miliziani, insurgentas, insorgenti, del Comando Generale e di tutto l’EZLN.

Con permesso, compagni.

Compagni e compagne della Sexta in Messico e della Sexta internazionale nel mondo:

Fratelli e sorelle:

Oggi 1 marzo 2015, le basi d’appoggio del nostro Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale di questa zona Selva Fronteriza, sono testimoni che la scuola autonoma e la casa di salute dei nostri compagni basi d’appoggio in resistenza del villaggio di Nuova Victoria, conosciuto come La Realidad, Chiapas, Messico, ne hanno terminato o abbiamo terminato la costruzione, che fu distrutta per ordine dei tre livelli di malgoverno. Si tratta dei capi paramilitari Manuel Velasco e criminale capo supremo Peña Nieto e chi ha organizzato la distruzione della scuola autonoma e della casa di salute dei nostri compagni e compagne, così come il crudele e codardo omicidio del nostro indimenticabile compagno Galeano, maestro di zona dell’Escuelita per la libertà secondo gli zapatisti, il passato 2 maggio 2014.

Il piano dei malgoverni è distruggere ogni giorno l’autonomia dei nostri villaggi zapatisti in resistenza, dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. La decomposizione moribonda di questo malsistema capitalista neoliberista ha organizzzato metodi di provocazione controinsurrezionale per promuovere scontri tra villaggi e comunità zapatiste, giustificando così un intervento militare. Questo ci è risultato chiaro: sono tutti atti di provocazione da parte di gruppi paramilitari pagati e addestrati da questi malgoverni per distruggere la resistenza dei nostri villaggi.

Perciò oggi, 1 marzo 2015, ringraziamo i compagni e le compagne della Sexta in Messico e della Sexta internazionale nel mondo, e tutte le persone nobili e buone che hanno solidarizzato con la nostra lotta. La nostra zona Selva Fronteriza, del caracol Madre de los caracoles, mar de nuestros sueños, vi ringrazia. Attraverso il vostro sostegno economico e solidale è stata costruita la scuola autonoma e la casa di salute, ragion per cui siamo molto contenti che insieme abbiamo costruito ciò che i malgovernanti si dedicano a distruggere.

Tutto questo è un fatto reale, ed è una dimostrazione in più che coordinati e organizzati possiamo cambiare la vita, costruendo dal basso a sinistra cose nuove per il bene del popolo e per il popolo. E’ per questo che oggi tutti e tutte diamo per ricevuto in questa zona Selva Fronteriza il vostro grande appoggio e la vostra solidarietà per la costruzione della scuola autonoma che porta per nome Escuela Autónoma Compañero Galeano, e la casa di salute che porta il nome Clínica Autónoma 26 de octubre “Compañero Subcomandante Insurgente Pedro”.

Grazie, compagni e compagne della Sexta in Messico.

Grazie, compagni e compagne della Sexta Internazionale nel mondo.

Grazie alle organizzazioni solidali che hanno dato il loro appoggio economico.

Grazie alle persone nobili e buone per il loro sostegno e la loro solidarietà.

Grazie a tutti e a tutte.

La Realidad, Chiapas, Messico. Caracol I “Madre de los caracoles. Mar de nuestros sueños”. 1° marzo 2015.
Molte grazie.

FOTO, CIARLE, CRAMPI E RIFERIMENTI NON SCIENTIFICI a cura de Los Tercios Compas.

SEZIONE ” DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE”:

Magari, non so, è una supposizione, sarebbe più utile che cercaste di convincere i milioni che vanno a votare, che lo facciano per voi. Invece di attaccare chi o non voterà o annullerà il voto o quel che sia. Perché risponendo allo scetticismo con argomenti tipo “peñabots“* (*dal cognome del presidente messicano e dal suffisso di robot: spammer che si dedicano a rendere di tendenza gli argomenti a lui favorevoli nelle reti sociali, usando molteplici utenze… ovvero robottini al suo servizio, N.d.T.), “va’ a farti la tua torta e la tua Frutsi“, “non votare è votare per il pri” e consimili, oltre al fatto che sono gli stessi argomenti usati da quelli del PAN e del PRD, e poi, insomma, come dirvi? mh… ok, il più dolcemente possibile: il livello di argomentazione è spia del livello di intelligenza e proprietà di linguaggio. O non sarà che state gia vedendo che non ce la farete e cercate già chi incolpare? Andiamo! Animo! Ci sono già condizioni, registro, ambiente, mezzi, leader, struttura, tribune, candidato per il 2018, il 2024, il 2030, e così via! Oh, oh, mancano idee? Immaginazione? Vergogna? Una politica di alleanze intelligente? Nessun problema, “Quod natura non dat, INE non præstat” (dal latino “quel che la natura non dà, l’INE* (*Istituto Nazionale Elettorale del Messico, N.d.T.) non lo concede”). Ma andiamo, resta sempre l’opzione di fare un altro parti… oh, oh, lì sta alzando la mano il cittadino Card__!

⁃ – Pst, pst. Aveste messo Deepak Chopra* (*saggista new-age indiano, N.d.T.) in un plurinominale o nella conduzione strategica di scienza e cultura nel partito! Vi avrebbe sorpreso la quantità di persone di cultura che avrebbe lasciato da parte il suo scetticismo e sarebbe andata a votare. Mh… Sebbene, è ovvio, stavolta contro.

⁃ – Ragioni per NON prendere twitter come fonte di conoscenza: leggendo sul tema su twitter si giunge alla conclusione: islamofobia = avversione per le isole.* (*gioco di parole tra Islam e “isla”, isola, N.d.T.).

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2015/03/05/gracias-i/

(continua…)

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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moiIn Bacheca

Il Concierge.

 ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

Marzo 2015

Alba nella realtà.

Proprio qui, come al solito: guardare e ascoltare. La fessura nel muro è appena visibile dall’esterno. Dalla parte nostra si espande con la tenacia.

Nelle aule e nelle capanne delle migliaia di famiglie zapatiste che hanno accolto, ospitato, nutrito e si sono prese cura di otroas, uomini, donne e bambini dei 5 continenti, ancora riecheggiano le valutazioni espresse dai maestr@ e votanes dopo che ve ne siete andati.

Alcune valutazioni sono state dure, è vero, ma probabilmente non importano a chi sosteneva di essere stato toccato dall’esperienza e poi ha proseguito con la sua vita come se nulla fosse, evitando di guardarsi allo specchio o modificando lo sguardo a proprio capriccio. Nonostante questo, secondo quello che ho sentito, ci sono stati alcuni, pochi, che sono stati valutati “abbastanza bene.”

Abbastanza bene”, è come le/i compagni definiscono qualcosa che va bene ma senza esagerare. “Come stai? Abbastanza bene”, così ci salutiamo.

Intanto il tempo procede, proprio come noi, senza clamore, così, come le ombre…

Ed il compa Galeano, che illuminava con le sue parole queste aule, case, scuole, ora cadute e silenziose, assassinato.

Poi è arrivato l’abbraccio collettivo e sincero dei nostri compagni della Sexta.

I colori distinti e differenti che ci hanno aiutato a dipingere la morte in un altro modo, la notte frizzante, la pioggia che scende, mentre un gatto-cane ulula-miagola invitando la luce ad alleviare l’ombra.

E noi, a prenderci gioco della morte, ad ingannarla con carte segnate, con nomi.

Qui, la morte perde. Come centinaia di anni fa, come sempre.

No, non come sempre. Ora col compa fatto numero 6, unendosi contro la fottuta morte.

Ed il 6, travolgente nella sua ostinazione senza precedenti: non siete soli, basta, non più, mai più.

E poi, tornare a costruire quanto è stato distrutto.

E poi arrivano i popoli maestri, originari, e ci nutrono con le loro parole, le loro sofferenze, le loro ribellioni, le loro resistenze.

Nel nord la tribù yaqui è di nuovo aggredita e la dignità imprigionata, come se dietro le sbarre si potesse rinchiudere la terra.

Ed il sistema, il fottuto sistema capitalista che dipinge di orrore la storia. Come fa sempre.

Ma abbiamo imparato presto che “Ayotzinapa” non vuol dire solo terrore, e che l’ingiustizia ha molti nomi in molti tempi in tutte le geografie.

“Ayotzinapa” significa anche la dignità più semplice, cioè, la più potente. I famigliari dei 46 che rifiutano di bersi le menzogne, rifiutano le tangenti, resistono all’oblio che, minaccioso, morde ad ogni giro di calendario.

La dignità che fa girare la ruota della nostra storia. Quella che non merita biografie, studi, riconoscimenti, omaggi, musei. La dignità del basso, così anacronistica per chi sta sopra. Così incomprensibile. Così persistente. Tanto minacciata.

E guardandoli, ci guardiamo. Ed ascoltandoli, ci ascoltiamo. E sono sincere le parole delle nostre cape e capi quando li hanno abbracciati dicendo “il vostro dolore è il nostro dolore, è nostra anche la vostra degna rabbia”.

E quando la resistenza e la ribellione sono convocate in calendario e geografia, noi siamo appena dietro di loro, senza clamore, facendo in modo che siano le famiglie a salire sul palco, che alimentino altri cuori con il loro dolore, che i loro cuori crescano ascoltando altre parole. Siamo appena dietro di loro, sì, con un quaderno ed una penna. A guardare, ascoltare, conoscere, ammirare.

E là sopra le gare del “marciadromo“, la disputa per il palco, le reti sociali, i vetri rotti, le buone e le cattive maniere, la mobilitazione trasformata in una pagina di costume; e qui sotto il silenzioso ponte di sguardi.

Là sopra a fare calcoli di quanto si può vincere con il movimento; e qui sotto a chiedere “dov’è la verità?”, “a quando la giustizia?”.

Là sopra la presunta radicalità che promette di guidare la nuova R-I-V-O-L-U-Z-I-O-N-E (che in realtà è molto vecchia), che programma attività alle quali non parteciperà (l’assalto al palazzo d’inverno non si fa in periodo di vacanza) ed i famigliari soli, assiderati di freddo e di rabbia.

E sotto una mano anonima che lascia qualcosa per il freddo, la pioggia, la rabbia. Un caffè caldo, pane per placare lo stomaco, un telo di plastica per la pioggia, qualcosa per i piedi bagnati. Ed un sussurro che dice “quando tutti se ne andranno, non resterà nessuno”.

Là fuori e sopra le coscienze belle denunciano il cattivo comportamento. Le prefetture disciplinari installate nei media e reti sociali. La polizia senza uniforme ma con tribuna e seguaci (si dice “followers”).

Là sopra il Potere con i suoi usi e costumi: le penne mercenarie, le calunnie, le bugie, l’assoggettamento mediatico e giudiziario. La morte moltiplicata: si ammazza la vita, si ammazza la memoria, si ammazza la verità, si ammazza la giustizia: “la colpa è dei padri che li hanno fatti studiare invece di mandarli a lavorare”.

Là sopra i modi della moda attuale: le elezioni, le candidature, le “opzioni”. E il denominatore comune: il profondo disprezzo per la ragione, la gente, la storia, la realtà.

Là sopra sanno di non sapere quello che bisogna sapere: che la catastrofe avanza. Ma credono che se non la nominano, sparirà. Parlano del tempo, della macchina mediatica, degli aggiustamenti interni, della stagione elettorale, della registrazione, del credito, degli investimenti stranieri, della Spagna, della Grecia. Tutto si sistemerà, non vi preoccupate. Inoltre, se rivelassero la tempesta, rivelerebbero anche la loro responsabilità… e la loro inutilità.

Ma, no.

In una lettera al fratello riluttante, qualcuno si lascia scappare: “qui pensiamo che tutto peggiorerà per tutti e dappertutto”.

-*-

Mentre qui in basso, nella realtà si conosce la verità. Non c’è giustizia.

Con attenzione, in modo da non spezzare la memoria, ad un lato si sistema quanto è stato distrutto. Non per dimenticare, ma per costruirci sopra un altro edificio. “Un altro migliore” dicono qui.

L’andare e venire di persone e materiali, la pioggia ed il sole, il freddo ed il caldo, la fame, la stanchezza, la malattia.

E poi il putiferio quando arriva l’annuncio “copritevi che scattiamo qualche foto affinché là fuori sappiano che qui siamo di parola”.

E quello che non aveva né paliacate né passamontagna che si mette in testa la t-shirt con solo uno spiraglio per gli occhi. E qualcuno che scherza: “porca puttana, perfino qui ci sono gli infiltrati”.

E ridono. Ma non si vede che ridono. Li sento ridere, ma la foto non ha l’audio e si vede solo che hanno il volto coperto, la pala, il martello, la sega, la carriola, il miscelatore, e dietro lo scheletro di una casa o di una balena, vai a sapere.

Più tardi l’edificio ha già i suoi buchi, ma non è molto chiaro e qualcuno deve spiegare “questo buco è una porta, questo sarà una finestra”.

Ma quello per cui davvero si soffre e si suda sono i conti. “Perché l’informazione deve essere precisa, che non si pensi che i soldi vadano in alcool e stronzate”. E i conti non tornano, così bisogna rifarli e far quadrare le entrate e le uscite e poi quello che resta.

Ed i contras della fottuta CIOAC-Storica e Assassina che mandano le loro spie. Ma la delusione: “non si stancano” dicono; “hanno già tirato su le pareti”, ripetono; “stanno già facendo il secondo piano”, si scandalizzano; “Non si fermano”, dicono rassegnati.

E poi vedo che non è più lo scheletro di una casa né di una balena. Si vedono chiaramente i suoi occhi, le sue bocche, le sue porte, le sue finestre.

E poi dipingono i murales. Qualcuno dice “sarebbe bello se i cavalli fossero così”. E ridono. Perfino la Selena ride, che tra poco si sposerà.

Mi avvicino per vedere che cos’è tutto questo chiasso. Stanno fissando una data per l’inaugurazione. Si fanno seri perché il lavoro non sarà concluso nella data di cui si è discusso. E poi ridono ancora.

Poi, come al solito, piove mentre si balla, dopo l’inaugurazione. E nonostante il fango continuano a ballare. Perché alla Realidad non si fa festa perché c’è una scuola ed una clinica, ma perché ci sono compagni nella realtà. Il ballo è il motivo per cui il terreno è pianeggiante.

Da un’altra parte c’è una riunione.

Ed ho sentito chiaramente cosa hanno detto le capi ed i capi: “siamo d’accordo”.

E chiamano il concierge, che sono io. E mi chiedono il resoconto di quanto visto e sentito.

Io dico: “beh, non sempre si riesce a sentire tutto o vedere tutto bene, dipende”. Silenzio. Sanno che questa non è ancora la risposta, questo è il nostro modi di esprimerci, ci giriamo intorno fino a che arriviamo al punto.

Quindi, gira che ti rigira, lo dico. Non molto, non poco. Il necessario.

Ascoltano in silenzio. Poi parlano. Uno dice: “questo è davvero quello che vediamo da dove vengo”. “Lo stesso qui”, dice un’altra. Altri assentono. Altre parole.

In realtà non hanno chiesto per sapere, ma per confermare.

Uscendo, qualcuno mi ferma e mi dice: “questo è quello che succede da 500 anni. Ma quello che dobbiamo imparare è la fottuta algebra”.

La riunione prosegue.

Io al freddo. A lanciare moccoli, ma facendo attenzione a non farmi sentire. Soprattutto dal gatto-cane. Quando mi accorgo che è lì, è troppo tardi. Ma la storia che mi racconta dovrà aspettare, perché ora la direzione sta mettendo calendari e geografie nella sue parole.

E’ l’alba quando arriva il SubMoy che mi consegna un foglio.

Tutto in una volta?”, chiedo.

Sì”, dice, ed aggiunge: “e scrivi che poi seguiranno altre informazioni. Questo perché chi è coinvolto cominci a farsi un’idea”.

Poi mi dà dei pennelli. Sto per chiedergli, terrorizzato, se è con questi che devo spazzare, quando mi dice: “sono per la crepa nel muro”.

Dopo un attimo chiedo “e la pittura?”.

“Oh“, dice il SupMoy già sull’uscio della capanna, “la vernice la porteranno i visitatori”.

Quindi sono andato alla bacheca degli avvisi ed ho scritto tutto d’un fiato. Ecco fatto.

(…)

Oh! Voi non potete vedere la nostra bacheca. Ok, ok, ok, eccola qui. Dice:

AVVISO ALLA SEXTA.., va bene, ok, ok, ok, A TUTT@:

Appuntatelo sui vostri calendari e guardatelo nelle vostre geografie:

– Parole varie sul pensiero critico, iniziando con la relazione sulla conclusione e inaugurazione della Scuola-Clinica alla Realidad zapatista. Data: a partire dal 5 marzo 2015, anniversario della scomparsa del compagno Luis Villoro Toranzo. Luogo: ovunque siate.

– Omaggio che era stato sospeso al compa Luis Villoro Toranzo ed Omaggio al compa Galeano nel primo anniversario della sua morte. Data: 2 maggio 2015. Luogo: Caracol di Oventik. Invitati speciali: famigliari di don Luis Villoro Toranzo, famigliari Degli assenti di Ayotzinapa, e la Sexta.

– Inizio del Seminario “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista”. Data: dal 3 al 9 maggio 2015. Luogo: inizio nel Caracol di Oventik e proseguimento al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Participano: famigliari Degli assenti di Ayotzinapa, teste pensanti critiche nazionali e internazionali, e l’EZLN. Invitata speciale: la Sexta.

– Da Luglio a Dicembre 2015. Seminario Mondiale decentralizzato, diverso, simultaneo, selettivo, di massa, eccetera: “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista”. Luogo: Pianeta Terra. Partecipano: La Sexta ed altr@.

– Escuelita Secondo Livello (solo per chi ha passato il primo grado). Data: 31 luglio, 1 e 2 agosto 2015. Luogo: sarà definito in seguito. Partecipanti: solo chi riceverà l’invito al secondo livello e superi l’esame di ammissione. Seguiranno ulteriori informazioni.

– Festa dei Caracol: Data: 8 e 9 agosto 2015. Luogo: i 5 caracol zapatisti.

– Escuelita Terzo Livello (solo per chi ha passato il secondo grado). Data: Novembre-Dicembre 2015. Date: da precisare. Luogo: da precisare.

Ecco qua. E come diciamo da queste parti: “seguiranno ulteriori informazioni”.

Da questa parte della crepa nel muro della scuola.
SupGaleano
Concierge fino a nuovo ordine.
Messico, marzo 2015

 

SEZIONE “DEL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE”:

– Ha ragione il sicario patentato, Mario Fabio Beltrones Rivera, quando dice che (la candidatura di) “Carmen Salinas non impoverisce la classe politica”. Vero, la sintetizza meglio di qualsiasi altra analisi: Carmen Salinas è la rappresentazione vivente dello stile di tutta la classe politica messicana.

– Le differenze tra le proposte dei diversi partiti politici equivalgono a quelle che ci sono tra la pomata di grasso di tigre e l’aromaterapia. Sono ugualmente inutili, ma una è progressista e dà maggior prestigio intellettuale. Perfino nell’esoterismo esistono le classi, mio caro.

(continua…)

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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desplazados

Bambini, donne e uomini tojolabal sono ancora sfollati in Chiapas ed il governo di Velasco non fa nulla per risolvere il problema

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO 2 marzo 2015

Chiapas, Messico. 2 marzo. 17 famiglie del villaggio Primero de Agosto del municipio di Las Margaritas, composte da 12 bambini, un neonato, 20 donne e 25 uomini contadini di etnia tojolabal, sono ancora sfollati dal 23 febbraio scorso, quando sono stati cacciati violentemente dalle loro case da ejidatarios di Miguel Hidalgo, appartenenti all’organizzazione Central Independiente Obrera Agrícola Campesina Histórica (CIOAC-Histórica), che erano muniti di armi di grosso calibro, bastoni e machete, senza che fino ad ora il governo dello stato abbia fatto qualcosa per risolvere la loro situazione.

“Viviamo in pessime condizioni alimentari ed i bambini si stanno ammalando”, denunciano gli indigeni tojolabal, che ora sono accampati sul tratto di strada Nuevo Momón-Monte Cristo Viejo, Municipio di Las Margaritas, Chiapas. “Rivolgiamo un appello alla solidarietà per ricevere aiuti”, il loro appello è rivolto alla comunità nazionale ed internazionale.

Gli abitanti di Primero de Agosto, denunciano che i responsabili dello sgombero sono Reynaldo López Pérez (Commissario Ejidale dell’ejido Miguel Hidalgo, municipio de Las Margaritas), Antonio Méndez Pérez (Agente Municipale dell’ejido Miguel Hidalgo), Enrique Méndez Méndez, Javier López Pérez, Bernardo Román Méndez, Adolfo Pérez López, Fernando Méndez López e Aureliano Méndez Jiménez, Domingo Méndez Méndez e Carmelino López Pérez, dello stesso ejido.

Gli indigeni della zona selva di confine del Chiapas chiedono al governo federale, statale e municipale di tornare al più presto nel loro villaggio Primero de Agosto. “Chiediamo che sia fatta giustizia nei confronti dei responsabili, garanzie per la nostra integrità ed il risarcimento dei danni”.

Secondo le informazioni diffuse dal Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), il 22 gennaio 2015 il governatore Manuel Velasco Coello e le diverse autorità erano stati informati delle minacce ricevute per iscritto di un imminente sgombero da parte delle autorità dell’Ejido Miguel Hidalgo contro gli abitanti di Primero de Agosto, nelle quali si poneva un termine per abbandonare le terre.

Il Frayba ha reso noto che dopo diverse riunioni, il 28 gennaio il governo del Chiapas informò per iscritto, con protocollo della SG. SSORF/000123.004/131/017/15, firmato da Jesús Esquinca Meza, Sottosegretario di Governo Regione XV, Meseta Comiteca Tojolabal, che l’ente “Non è in grado di trovare una soluzione al conflitto data la complessità del caso”, secondo le sue parole, ed in maniera unilaterale dà per chiusa la via del dialogo e riferisce che “la problematica è stata sottoposta all’attenzione delle Segreterie di Governo”. http://www.pozol.org/?p=10341

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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el rosario

Nuove minacce ed aggressioni contro le Basi di Appoggio Zapatiste per omissione del governo di Velasco Coello

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO 25 febbraio 2015

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, (Frayba), informa della grave situazione di minacce ed aggressioni perpetrate dal gruppo “Grupo Pojcol” contro le Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) della comunità El Rosario, Municipio Autonomo Ribelle Zapatista (MAREZ) San Manuel; e minacce contro la comunità Nuevo Paraíso, municipio ufficiale di Ocosingo, Chiapas, appartenenti alla Giunta di Buon Governo “El Camino del Futuro”, Caracol III, La Garrucha.

Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas

25 febbraio 2015 Comunicato Stampa No. 04

Minacce contro le Basi di Appoggio dell’EZLN a El Rosario

 

  • Gruppo armato Pojcol avverte che aggredirà ed invaderà la comunità Nuevo Paraíso •Omissione da parte del governo di Manuel Velasco Coello

Il giorno 12 febbraio 2015, questo Centro dei Diritti Umani ha documentato nella comunità El Rosario, la distruzione della casa di una BAEZLN e la situazione di tensione che si vive da circa 3 settimane a causa delle incursioni di persone armate provenienti da Pojcol, municipio di Chilón, Chiapas, che nella notte hanno esploso colpi d’arma da fuoco.

Secondo le testimonianze, il gruppo aggressore conta sulla collaborazione di persone di Guadalupe Victoria e El Rosario che supportano gli atti di aggressioni, minacce e vessazione contro le BAEZLN.

Il 22 febbraio 2015, il Frayba ha raccolto informazioni relative a due documenti firmati da un “rappresentante del gruppo Pojcol”, nei quali si avverte e si dà un termine alle BAEZLN: “[…] per ritirare la guardia zapatista dal luogo (El Rosario), altrimenti prenderemo Nuevo Paraíso […] “Evitate altro spargimento di sangue […]”.

Le aggressione e minacce perpetrate dal “gruppo di Pojcol” attentano al diritto all’autonomia, alla libera determinazione, oltre a mettere a rischio la vita, la sicurezza e l’integrità personale delle BAEZLN della comunità di El Rosario e Nuevo Paraíso. Diritti sanciti dalla Costituzione messicana e dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e dagli Accordi di San Andrés.

Questo Centro dei Diritti Umani fin dal luglio 2014 ha avvertito il governo del Chiapas sulla situazione di rischio che si vive a El Rosario, senza che a tuttoggi siano state adottate misure efficaci per la risoluzione del conflitto.

Per quanto sopra, questo Centro dei Diritti Umani chiede al governo messicano che:

  • Si rispetti l’autonomia dei Popoli Zapatisti, in particolare delle comunità El Rosario e Nuevo Paraíso.
  • Vengano prese le misure necessarie per salvaguardare la vita e l’integrità delle persone che vivono nelle comunità di El Rosario e Nuevo Paraíso, impedendo che il conflitto si aggravi.
  • Si applichino in maniera efficace le misure necessarie per fermare le violenze contro le BAEZLN.
  • Si indaghi e si puniscano gli aggressori identificati nel gruppo di Pojcol che dal mese di luglio 2014 perseguita ed aggredisce le BAEZLN e gli abitanti della regione.

Precedenti:

Venerdì 25 luglio 2014, 19 persone armate erano entrare nei terreni coltivati collettivamente del MAREZ San Manuel, installando un cartello con scritto: “territorio Pojcol” e minacciando le Comunità Autonome El Rosario ed Egipto di cacciarli dalle loro terre; poi il 1° agosto alcune persone provenienti dall’ejido Pojcol hanno sgomberato con la forza 32 persone della comunità Egipto.

Il 6 agosto 2014, 15 persone provenienti da Pojcol, sono entrate nelle terre delle BAEZLN del MAREZ tagliando alberi e sparando in aria. Lo stesso giorno, hanno esploso colpi d’arma da fuoco anche nelle comunità El Rosario e Kexil. Per questi fatti, questo Centro dei Diritti Umani il 7 agosto 2014 emise un’Azione Urgente ed un successivo aggiornamento il 15 agosto dello stesso anno.

FONTE: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/150225_boletin_04_baezln_el_rosario.pdf

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blocco agua azul #Bachajón URGENTE: Ejidatarios priisti e poliziotti entrano nelle terre recuperate

21 febbraio 2015

Ejidatarios priisti protetti da diverse pattuglie di polizia e camion della polizia statale, negli ultimi giorni sono entrati nella zona di Agua Azul dove si trovano gli ejidatarios organizzati di San Sebastián Bachajón. Come affermano questi ultimi, sono minacciati di sgombero e hanno saputo che si sta preparando un’imboscata per sgomberare la Sede Regionale e cacciare gli ejidatarios dalla zona recuperata che appartiene all’ejido di San Sebastián.

La prima intromissione è avvenuta il 19 febbraio alle 9 del mattino, quando circa 45 persone appartenenti al PRI, filogovernativi e gente vicina al comissario ejidale Alejandro Moreno Gómez, sono arrivati ad Agua Azul protetti da diverse pattuglie di poliziotti, passanto per Pinquinteel nel municipio di Tumbalá, e per Saquil.Ulub nell’ejido di San Sebastián. Una volta arrivati, hanno minacciato i compagni di guardia alla Sede Regionale San Sebastián e quelli che si trovavano al botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul.

Il commissario Alejandro Moreno Gomez aveva cercato di accordarsi sulla riscossione degli ingressi alle cascate con gli ejidatarios indipendenti di Agua Azul di Tumbalá. Ma gli ejidatario avevano respinto che la CONANP tornasse ad amministrare le risorse naturali e le entrate economiche che questi generano. Non giungendo a nessun accordo, alle 4 del pomeriggio i priisti ed i poliziotti statali, municipali e giudiziali se n’erano andati. Il 20 febbraio, i priisti sono tornati e si sono installati nella zona della terra espropriata nel 2011, insieme a 3 camion di agenti statali che li proteggono.

Costruzione di reati

Un’altra forma di repressione e vessazione che stanno subendo gli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona è per via giudiziaria e mediatica attraverso la costruzione di reati. L’accusa principale a loro rivolta è quella di essere gli autori degli assalti che avvengono sulla tratto di strada Ocosingo-Palenque. Già diversi ejidatarios sono stati arrestati con l’accusa di furto ed aggressione ed a quanto sembra, il governo municipale vuole accusarli di nuovo per poter emettere mandati di cattura riferiti ad alcuni fatti accaduti lo scorso 17 gennaio.

Il 17 gennaio erano stati arrestati tre assalitori nel tratto stradale Ocosingo-Palenque. Da 4 anni Questi delinquenti sono noti da quattro anni ai poliziotti che si occupano del pattugliamento di questo tratto di strada. Nonostante ciò, presso la procura distretuale Selva-Palenque, Juan Alvaro Moreno di Xanil, sta negoziando la liberazione di questi detenuti. Come spiegano gli ejidatarios organizzati, si vuole incolpare l’organizzazione aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dei reati commessi da questi delinquenti, dicendo alla popolazione ed ai turisti che gli “incappucciati” sono gli assalitori.

Anche i mezzi di comunicazione sono complici di questa strategia dei governi e degli impresari di criminalizzare gli ejidatarios indipendenti e gli aderenti alla Sexta. Attraverso campagne mediatiche nelle quali si insiste sulla mancanza di sicurezza sulla strada con riferimento diretto ai blocchi ed agli assalti, giustificano il presunto piano di sicurezza. Questo piano, coordinato tra la Segreteria Generale di Governo, gli enti preposti alla sicurezza e la procura di giustizia, è stato presentato il 6 febbraio scorso. La sua applicazione comporta la presenza di altre unità di polizia nella zona tra Ocosingo e Palenque.

E’ falso incriminare gli zapatisti, ed in questo caso specifico, gli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, dei reati commessi su questo tratto di strada perché la loro lotta è contro l’esproprio delle loro terre. Alcuni anni fa i compagn@ hanno collaborato perfino agli arresti di questi criminali e sono pienamente consapevoli del danno che rappresentano per la sicurezza delle città. Come organizzazione non si è contrari all’arresto di questi delinquenti perché si vuole è la giustizia.

http://komanilel.org/2015/02/21/urgente-ejidatarios-priistastas-y-policias-entran-en-las-tierras-ejidales-liberadas/

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bergamo ayotzinapa

Il caso Ayotzinapa non si chiude con le deboli e pretestuose dichiarazioni della PGR. “Non ci lasciate altra scelta che lottare”

Posted on 28/01/2015

Quattro mesi ed un giorno il caso Ayotzinapa è chiuso secondo la Procura Generale della Repubblica Messicana, non secondo i genitori e gli studenti di Ayotzinapa.

Il giorno dopo l’ottava enorme mobilitazione mondiale che pretende la restituzione in vita dei 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa scomparsi dopo essere stati caricati su mezzi della polizia municipale di Iguala, stato del Guerrero, la PGR ha convocato in fretta e furia una conferenza stampa per dare risposte sull’andamento delle ricerche.

Nei giorni scorsi gli studi sui presunti ritrovamenti di parti dei corpi degli studenti in una discarica erano stati bloccati poiché secondo i tecnici austriaci chiamati a investigare il grande calore a cui furono esposti i corpi aveva modificato irreversibilmente il DNA.

Oggi invece un improvvisa e grottesca accelerazione.

Nella conferenza stampa la PGR ha praticamente ripreso in mano l’ipotesi formulate il 7 novembre, ovvero poco più di un mese dopo la scomparsa dei 43: azione congiunta di corpi corrotti della polizia municipale di Iguala e Cocula e il gruppo del crimine organizzato dei Guerreros Unidos con i loro annessi rapporti con la politica locale. Nessun coinvolgimento dell’esercito e della polizia federale e nemmeno della politica nazionale. Un verità ottima per la stampa e molto buona per la “pulizia” del paese agli occhi del mondo.

Si cerca così di rompere l’evidenza delle correlazioni tra i narcos e gli alti gradi della politica messicana. Da notare che nella relazione della PGR si dice che il responsabile dei Guerreros Unidos nell’omicidio dei ragazzi, ovvero Rodríguez Salgado, lavorava con il vice capo della polizia municipale, César Nava, nel commercio di droga ed evitare che gruppi di antagonisti entrassero nella loro zona di influenza, ma non si fa mai riferimento a “rapporti più altri” tra politica, polizia e crimine organizzato. Il tutto sembra avere una valenza solo locale, e forse proprio per questo esercito e polizia federale sono tenute fuori dai giochi.

Però tante cose non tornano: le voci usate come test sono solo quelle delle persone inquisite. Persone appartenenti al crimine organizzato e quindi persone pronte e preparate a pagare per tutti coprendo i grandi responsabili. Proprio alla fine della megamarcha di lunedì 26 gennaio dal palco dello Zocalo di Città del Messico i genitori avevano dichiarato che le indagini della PGR ”presentano incoerenze e contraddizioni” e che “le dichiarazioni degli arrestati non sono sufficienti per dare per certo che gli studenti siano stati bruciati nella discarica di Cocula” “ è necessario avere prove scientifiche inconfutabili, che ad oggi non si hanno, (per questo) quindi, continueremo a cercarli vivi e continueremo a denunciare in lungo e in largo in tutto per tutto il Paese le atrocità commesse dallo Stato criminale che uccise e fece sparire i nostri figli”.

Con un twitt, probabilmente misto di rabbia ed ironia, Omar Garcia uno dei portavoce degli studenti ha scritto “L’unica cosa nuova nella conferenza della PGR è che a differenza del 7 di novembre questa volta han messo la musica di fondo nel video…e l’esercito?”

Un verità troppo semplice, una verità buona per giustifica la “guerra al narco-traffico” da una parte e l’assoluta innocenza di esercito (nella conferenza stampa è stato dichiarato che non c’è nessun indizio a carico di una possibile partecipazione dei militari) e dello stato messicano.

Quattro mesi per confermare in tutto e per tutto le ipotesi del 7 novembre, nessuna novità, nessuna nuova possibile inchiesta. 99 persone sono agli arresti con accuse di vario tipo che vanno dal rapimento all’omicidio, passando per lavaggio di denaro sporco. Tra questi 99 ci sono anche 50 elementi della polizia municipale locale. Negli scorsi mesi parenti di molti poliziotti arrestati hanno denunciato in un reportage fatto dalla rivista Proceso che molti di loro non hanno nulla a che vedere con il caso di Ayotzinapa e che sono accusati solo per proteggere i veri responsabili. Sembra che alcuni di loro o non stavano lavorando o addirittura erano fuori città. Ovviamente anche di questa denuncia non esiste traccia nell’inchiesta oggi chiusa dalla PGR.

“Non ci lasciano altra opzione: la lotta, andiamo a cambiare questo paese” un’altro twitt di studenti della Scuola Normale di Ayotzinapa. Alle 20.00 ora Messicana i padri di famiglia hanno convocato una contro conferenza stampa dove non solo hanno smontato punto per punto alcune delle “prove” portate dalla PGR, dai “resti” ritrovati alla veridicità dei pochissimi testimoni ascoltati (tutti collusi con il narco-traffico). Dall’assenza di prove scientifiche reali, e alle contraddizioni nella spiegazione delle stesse, all’assenza di inchieste per “sparizione forzata”.Hanno ribadito che non lasceranno la lotta per sapere la verità sui 43 e che si rivolgeranno al comitato per i desaparecidos dell’ONU. Nella conferenza stampa si è rimarcato come l’esercito messicano abbia molto a che fare con il caso, partendo da lontano già nel 2013 proprio l’esercito denunciò le infiltrazioni del crimine organizzato nella polizia di Iguala, la notte della scomparsa dei 43 membri del 27esimo battaglione di Iguala hanno disposto diversi posti di blocco, molti abitanti di Ayotzinapa, oltre che alcuni degli studenti presenti il 26 e 27 settembre parlano della presenza dell’esercito nello scontro e per finire la traccia del GPS di uno dei ragazzi segnala chiaramente il passaggio dalla base di fanteria di Iguala. Impossibile non trovare motivi per aprire un inchiesta sull’esercito.

E’ stato ribadito che parte della lotta per il ritrovamento dei 43 passerà dal “blocco delle elezioni nel Guerrero”, perchè non può esistere rappresentatività con questa situazione d’insicurezza politica e di certezza di compromissioni della politica e delle forze di polizia con il narco-traffico. “Non ci saranno elezioni finchè non riappariranno i nostri figli”

Dieci sono i punti evidenziati in conferenza stampa per cui è IMPOSSIBILE archiviare il caso:

1- Non esiste certezza scientifica delle perizie fatte dalla PGR

2- La dichiarazione de El Cepillo (l’esecutore materiale per il crimine organizzato dell’azione contro i “normalisti” non è esaustiva

3- Ci sono denunce di coercizione su alcune testimonianze

4- Nessuno menziona l’assassinio di Giulio Cesare Mondragón

5- Ci sono inquisiti molto importanti a piede libero

6- Non ci sono indagini per “sparizione forzata”

7- Ci sono versioni discordanti sul luogo di uccisione degli studenti e dove sono stati messi nella calce

8- Non è investigata la responsabilità dell’esercito

9- Si può parlare con certezza solo della morte di uno studente

10- Ci sono almeno due versioni di quello che è successo che non sono chiarite

La certezza che emerge è che il governo abbia voluto cercare di chiudere la pratica per provare a fermare il forte movimento sociale che si sta creando attorno al caso Ayotzinapa, ma è chiaro che la debolezza delle prove portate mostra il goffo tentativo in molti suoi aspetti. Chi è stato?Chi si sta coprendo?Perchè? Esercito e politica perchè sono coinvolti?

Queste domande tornano ad essere centrali.

Di seguito l’allucinante video della conferenza stampa della PGR con cui si cerca di ricostruire la storia del 26 e 27 settembre e giustificare la chiusura del caso, assolutamente da vedere per comprendere come dopo quattro mesi ci cerchi di blandire l’intero mondo: https://www.youtube.com/watch?v=rDiPRlOgwt8&x-yt-ts=1422327029&feature=player_embedded&x-yt-cl=84838260

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Il caso Ayotzinapa non si chiude con le deboli e pretestuose dichiarazioni della PGR. “Non ci lasciate altra scelta che lottare”

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IMG_9560-500x333Il governo del Chiapas sgombera gli ejidatarios di Bachajón dalle loro terre

Chiapas, Messico, 9 gennaio. “Oggi alle ore 6:30 circa del mattino, più di 900 elementi della polizia federale e statale, hanno sgomberato i nostri compagni e compagne che proteggevano le terre recuperate lo scorso 21 dicembre”, denunciano gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, dal centro turistico delle Cascate di Agua Azul.

Gli indigeni tzeltal aderenti alla Sexta, accusano il governo di spogliarli delle loro terre, attraverso il segretario di governo Eduardo Ramírez Aguilar. “Sono degli svergognati, traditori della patria, corrotti, ma la loro cattiva politica non distruggerà la nostra lotta perché non permetteremo che continuino a derubarci a loro piacimento. Continueremo le nostre azioni in difesa della madre terra”, dichiarano.

Nelle ultime ore hanno comunicato di aver localizzato in una comunità del Centro de Población Alansac–Jun, i compagni di cui non si avevano notizie da oltre 8 ore: Mariano Pérez Álvaro, Miguel Jiménez Silvano, Juan Deara Perez, Antonio Gomez Estrada, Manuel Gómez Estrada, Juan Gomez Estrada, Pacual Gómez Álvaro e Martín Álvaro Deara, che dicono di stare bene e di essere riusciti a sfuggire dalle mani dei poliziotti che tuttora presidiano le cascate di Agua Azul.

Precedenti: http://redtdt.org.mx/2015/01/ejido-san-sebastian-bachajon-en-riesgo-de-ser-desalojado-nuevamente/

Audio denuncia: http://komanilel.org/wp-content/uploads/2015/01/desalojo-en-Bachajón.mp3

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Pronunciamento del Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo 

Ai popoli del mondo.

Dal Chiapas, Messico, ci rivolgiamo alle donne e uomini dal basso, delle campagne e delle città, in Messico e nel mondo, a coloro che seminiamo resistenze e ribellioni contro il capitalismo neoliberale che tutto distrugge.

Ci siamo riuniti i giorni 21, 22 e 23 dicembre nella comunità ñahtó di San Francisco Xochicuautla, Stato del Messico; i giorni 22 e 23 dicembre nella comunità nahua di Amilcingo, Morelos; i giorni 24, 25 e 26 dicembre, nella sede del Fronte Popolare Francisco Villa Indipendente, a Città del Messico; i giorni 28 e 29 dicembre nella comunità di Monclova, Campeche; i giorni 31 dicembre e primo di gennaio nel caracol Zapatista di Oventic, Chiapas; i giorni 2 e 3 gennaio al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Ci siamo incontrati per fare condivisioni, che significa non solo condividere, ma imparare e costruire insieme. Condivisioni nate dal profondo dolore che è nostro e dalla rabbia che è nostra, per la sparizione ed assassinio degli studenti della Normale Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, Guerrero. Un atto criminale che è a sua volta il riflesso della politica di morte che i malgoverni ed i capitalisti hanno proiettato in ogni angolo del paese e del mondo, perché loro, quelli che ci mancano, sono i nostri desaparecidos e noi, che siamo della Sexta Nazionale ed Internazionale, del Congresso Nazionale Indigeno, dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, non smetteremo di lottare fino a trovarli.

I capitalisti ed i loro tirapiedi dei malgoverni hanno lasciato distruzione nel nostro cuore come individui ed hanno lasciato una grande distruzione nel nostro cuore collettivo di popoli, di genitori dei giovani che ci hanno strappato e di organizzazioni solidali decise a ricostruire la vita dove i potenti hanno seminato lutto e morte.

Nelle nostre comunità indigene, i colpi del sistema capitalista si subiscono col sangue e col dolore dei nostri figli che sono l’unico futuro possibile per questo pianeta che chiamiamo Terra, nel quale in mezzo alle distanze ed ai differenti colori che ci rendono quello che siamo e ci fanno esistere, manteniamo la certezza che è nostra madre e che è vivo, e che affinché continui ad essere così, la giustizia è una domanda che si intesse con le azioni e le convinzioni di coloro che appartengono al mondo del basso, quelli che non aspirano a governarlo ma a costruirlo.

Dagli oceani, le spiagge, le montagne, le città e le campagne, costruiamo e ricostruiamo insieme alle assemblee, organizzazioni e collettivi che tessono in diverse forme autonome gli spazi ed i modi di organizzazione e solidarietà capaci non solo di contenere questa distruzione capitalista che non distingue popoli e colori e che nella sua cecità cronica riconosce solo tutto ciò che alimenti questa stessa distruzione vestita di guerre permanenti, mercati ingiusti ed enormi guadagni per pochi, valori estranei ai popoli e contrari agli antichi accordi con la nostra madre terra che danno senso alla vita nel mondo, che ci danno libertà e ci rendono degne, degni di vivere e difendere la vita.

Ma i capitalisti che dicono di governare ma che in realtà vogliono solo dominare, gestire e sfruttare, hanno un limite, una grande barriera nella dignità di una persona, di una famiglia, di un collettivo, di una società che hanno danneggiato nel profondo, ai quali hanno strappato ed ammazzato una parte del cuore, scatenando un’esplosione di ribellione come quella che ha illuminato questo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il capitalismo che chiamiamo “Dove quelli di sopra distruggono, quelli di sotto ricostruiscono”, perché stiamo in basso, dal basso capiamo il mondo, dal basso ne abbiamo cura, dal basso ci guardiamo gli uni con gli altri e da lì, insieme, ricostruiamo il destino che credevamo nostro fino a che ce l’hanno strappato i potenti e solo allora abbiamo imparato, solo da allora sappiamo che quello che è realmente nostro è quello che possiamo costruire o ricostruire dove il capitalismo ha distrutto.

Il dolore che si trasforma in degna rabbia dei famigliari degli studenti assassinati e scomparsi della scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos è il dolore che ha sequestrato e fatto sparire anche noi, quindi non smetteremo mai di lottare fino a trovarci, insieme al fratello o la sorella assassinati, scomparsi, torturati, sfruttati, disprezzati o spogliati in qualunque punto della selvaggia geografia capitalista, in qualunque frontiera del mondo, in qualunque prigione.

Il cammino dei popoli del mondo delle campagne e delle città, con la propria direzione, si sviluppa nel marco lasciato dai propri antenati, strade che si dividono, si intersecano ed incrociano con le nostre, fino a trovare una stessa direzione, contrassegnata dalla dignità ribelle che parla molte lingue ed è di tanti colori come la natura stessa intessuta con piccoli ricami per costruire quello che dobbiamo essere.

Dunque, fratelli e sorelle di questo mondo dolente ma vivace per la ribellione che ci alimenta, invitiamo a continuare a camminare con passo piccolo ma deciso, a continuare ad incontrare, condividere, costruire ed imparare, tessendo l’organizzazione dal basso e a sinistra della Sexta. Solo dalla nostra ribellione e dalla nostra resistenza nascerà la morte dal capitalismo, vivrà un nuovo mondo per tutti, per tutte.

San Cristóbal de las Casas, Messico 3 gennaio 2015

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

SEXTA INTERNAZIONALE

SEXTA NAZIONALE

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Cala il sipario sul primo Festival mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo

Posted by Andrea Cegna on 04/01/2015

 

“Dove quelli in alto distruggono quelli in basso ricostruiscono.”

Potrebbe essere una buona parte della sintesi di questi 14 giorni di condivisione politica, viaggi infiniti, vita comunitaria e scambio culturale.

Oltre 2600 persone di oltre 49 lingue hanno condiviso le loro lotte, i loro dolori e le loro rabbie.

Tante storie almeno quante sono le privazioni sistemiche che il capitalismo si porta in dote.

Di solito su questo blog raccontiamo storie ma alla fine di questi giorni intensi e prima di partire alla volta de La Realidad e La Garrucha per portare una parte dei soldi raccolti con la vendita del libro 20ZLN mi prendo la libertà di scrivere una cosa un po’ diversa.

La dimensione di questo festival è stata principalmente messicana. Il dialogo EZLN – CNI ha creato questo momento molto importante per attivare la rete indigena nazionale. Molte delle realtà indigene in lotta avevano bisogno di conoscere altre esperienze in movimento per uscire dall’io narrante e “lottante” e passare al noi.

La credibilità e la capacità di convocazione dell’EZLN ha permesso così di rompere alcune barriere del mondo indigeno.

Quando il festival è stato pensato non solo non era successa la tragedia di Ayotzinapa, ma nemmeno era pensabile che esplodesse un movimento politico di dimensione nazionale, inedito e simile per dimensione solo a quello visto nel 1994, attorno ad una storia lunga e radicale come quelle delle scuole Normali Rurali.

Non si può non pensare che il festival sia stato ripensato dopo il 26 settembre, e non solo per la scelta dell’EZLN di lasciare i loro interventi programmati ai familiari e amici dei 43 desaparecidos.

La centralità della lotta di Ayotzinapa è stata centrale quindi anche dentro il festival. Oggi prima di iniziare il loro viaggio verso il Guerrero hanno detto alcune cose molto interessanti:
La necessità di lottare congiuntamente con l’EZLN è una certezza. Il festival è stato importante per trovare e creare contatti utili per costruire un percorso di trasformazione del paese.
L’assemblea nazionale popolare, uno dei percorsi di rete e convergenza della sinistra messicana, ha sicuramente funzionato ma non è sufficiente. Per questo gli studenti di Ayotzinapa invitano la Sexta a entrare in dialogo con questo percorso.
Il discorso di saluto dei genitori si è chiuso con la speranza di una nuova “Altra Campagna” e rilanciando la lotta contro le elezioni 2015.

Questi 14 giorni sembrano essere l’anticamera del dialogo tra diversi soggetti in lotta in Messico. In un Messico attraversato da correnti e tendenze diverse, questo festival è una sorta di percorso trasversale.

Tra qualche giorno l’EZLN, come annunciato da Moisés, prenderà nuovamente la parola. I risultati del festival saranno resi pubblici con un testo capace di tenere assieme le differenti voci che hanno preso la parola.

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale si dimostra credibile a livello nazionale e internazionale. Si dimostra capace non solo di convocare migliaia di persone ma anche di cogliere istanze sociali.
Questo si somma alla capacità di costruire relazione politiche, reti sociali e proposta; il tutto continuando internamente il percorso dell’autonomia.

Nelle conclusioni lette da un rappresentate del CNI si è calcata la mano sulla necessità di creare strutture organizzate, perché senza organizzazione e disciplina non si possono raggiungere risultati nelle lotte.

14 giorni molto intensi, e vedremo se gli interessanti chiari di luna diventeranno anche realtà ribelle e non solo rete di resistenza.

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Discorso dell’EZLN nel 21° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio. Subcomandante Insurgente Moisés. ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

31 Dicembre 2014 e 1° Gennaio 2015

Compagne e compagni familiari degli studenti di Ayotzinapa uccisi e fatti sparire dal malgoverno di questo sistema capitalista:

Compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno:

Compagne, compagni e compañeroas della Sexta del Messico e del mondo:

Compagne e compagni Basi di Apoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazióne Nacionale:

Compagne e compagni comandanti e comandante, cape e capi del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’ EZLN:

Compagne e compagni miliziane e miliziani:

Compagne e compagni insurgentes e insurgentas:

Compas:

Per mia voce parla l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Ricevete tutte, tutti e todoas, sia siate qui presenti o che non siate qui presenti, il saluto degli uomini, donne, bambini, bambine, anziane e anziani zapatisti.

Sia benvenuta la visita, la voce, l’ascolto, lo sguardo, il cuore collettivo dal basso e a sinistra.

Abbiamo qui come invitati d’onore i famigliari di chi ci manca in Ayotzinapa, nel Messico e nel mondo.

Siamo felici di cuore dell’onore che ci fate ad essere qui tra il nostro popolo zapatista.

Ci onorano anche i vostri silenzi e le vostre parole.

Ci unisce e accomuna il vostro dolore e la vostra rabbia.

Noi, zapatisti e zapatiste, non perdiamo di vista né ci tappiamo le orecchie di fronte al dolore ed al coraggio di Ayotzinapa che dimostrano e di cui ci parlano i familiari.

Il dolore per le morti e le scomparse. Il coraggio dei malgoverni di nascondere la verità e negare la giustizia.

Ciò che sappiamo e ricordiamo in questa lotta di Ayotzinapa è che solo come popoli organizzati possiamo trovare la verità.

Non solo la verità scomparsa ad Ayotzinapa, bensì tutte le verità che sono state sequestrate, incarcerate e assassinate in ogni angolo del pianeta Terra.

Su questa verità ora ancora assente potremo costruire la giustizia.

Perché noi, zapatiste e zapatisti, crediamo che non si possa più avere fiducia dei malgoverni che esistono in tutto il mondo.

Questi malgoverni che solo servono i grandi capitalisti.

Questi malgoverni che altro non sono che i dipendenti del capitale. I capoccia, maggiordomi e caporali della grande impresa capitalista.

Questi malgoverni non fanno nulla di buono per il popolo.

Non importa quante parole possano dire, questi governi non comandano perché il mero comando è quello del capitale neoliberale.

Per questo non bisogna credere a nulla dei malgoverni.

Tutto quello che vogliamo come popolo dobbiamo costruirlo tra di noi.

Proprio come stanno facendo i famigliari degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa che costruiscono la ricerca di verità e giustizia.

Così come stanno costruendo la loro stessa lotta.

Vogliamo dire ai padri ed alle madri dei compagni scomparsi di non stancarsi di lottare e non abbandonare la lotta per la verità e la giustizia per i 43.

La lotta dei famigliari di Ayotzinapa è l’esempio e lo stimolo per chiunque vuole verità e giustizia in tutti i paesi del pianeta.

Vogliamo seguire l’esempio dei padri e delle madri che hanno lasciato la loro casa e famiglia per lavorare e incontrarsi con altre famiglie che condividono lo stesso dolore, rabbia e resistenza.

La speranza non sta in un uomo o una donna individualmente, come vorrebbero farci credere quelli che ci dicono “Vota per me” oppure “entra in questa organizzazione perché noi vinceremo”.

Così dicono.

Ma, quale lotta? Noi sappiamo che quello che vogliono loro è il Potere per poi dimenticarsi di tutto e tutti.

Per questo è meglio che prendiamo l’esempio dei famigliari di Ayotzinapa e ci organizziamo.

Bisogna costruire e far crescere l’organizzazione in ogni luogo in cui viviamo.

Immaginare come potrebbe essere una nuova società.

Per questo dobbiamo studiare come stiamo in questa società nella quale viviamo.

Noi zapatiste e zapatisti diciamo che viviamo in una società dove siamo sfruttati, repressi, disprezzati ed espropriati da molti secoli da padroni e leader, e fino ad oggi, alla fine del 2014 e inizio del 2015, questa società continua così.

Ci hanno sempre ingannato dicendoci che loro, quelli che stanno in alto, sono i più forti e invece noi non serviamo a nulla.

Che siamo stupidi e stupide, così ci chiamano.

Dicono che loro sono capaci di pensare, immaginare, creare e che noi siamo solo i peones che eseguono.

“Fanculo tutto questo!”. “Ora Basta!”, così abbiamo detto noi zapatiste e zapatisti nell’anno 1994, e adesso ci governiamo autonomamente.

La vediamo così noi zapatiste e zapatisti, lo sforzo e la lotta colma di ribellione, resistenza e dignità dei famigliari dei compagni studenti desaparecidos ci stanno esortando ad organizzarci affinché non continui tutto nella stessa maniera.

Per lo meno sapere cosa fare prima che tutto continui nella stessa maniera.

O cosa fare affinché non succeda più a nessuno quello che è successo a causa di questo sistema in qui viviamo.

L’hanno spiegato molto bene i famigliari di Ayotzinapa. Come dei buoni maestri, i famigliari hanno spiegato che il responsabile del crimine è il sistema attraverso i suoi capoccia.

Il sistema, veramente, ha le scuole per i suoi capoccia, maggiordomi e caporali, queste scuole sono i partiti politici che vogliono solamente cariche e poltrone sempre più importanti.

Lì è dove si preparano i servi dei malgoverni. Lì imparano a rubare, a ingannare, a imporre e a comandare.

Da lì escono quelli che fanno le leggi, quelli che diventano legislatori.

Da lì esce chi ci obbliga a seguire quelle leggi con la violenza, quelli che diventano presidenti grandi, medi e piccoli, con i loro eserciti e polizia.

Da lì esce chi giudica e condanna chi non obbedisce a quelle leggi, quelli che diventano giudici.

Non importa se questi capoccia, maggiordomi o caporali sono uomini o donne, se sono bianchi o neri, gialli, rossi, verdi, azzurri, color caffè o di qualsiasi altro colore.

Il lavoro di quelli che stanno in alto è non lasciare respirare quelli che stanno in basso.

Talvolta chi manda ad uccidere ha lo stesso colore della pelle di chi viene ucciso.

Talvolta l’assassino e la vittima hanno lo stesso colore e la stessa lingua.

Non importano né il calendario né la geografia.

Quello che ci ha fatto pensare La lotta dei famigliari e dei compagni di Ayotzinapa ci fa pensare che chi sequestra, assassina e mente sono sempre gli stessi.

Chi non cerca la verità è chi dice menzogne.

Chi non fa giustizia è chi impone l’ingiustizia.

Noi pensiamo che questo non può continuare sempre così, in qualsiasi parte e a qualsiasi livello.

Questo è proprio quello che ci insegnano i famigliari di Ayotzinapa, ovvero che è meglio che noi cerchiamo e incontriamo chi subisce questa malattia chiamata capitalismo.

Insieme ai famigliari di Ayotzinapa cerchiamo le desaparecidas che abbiamo in tutti i nostri mondi.

Perché le donne scomparse e assassinate tutti i giorni e in qualsiasi ora ed in ogni luogo sono la verità e la giustizia.

Grazie ai famigliari dei 43 capiamo che Ayotzinapa non è nello stato messicano di Guerrero, ma è in tutto il mondo del basso.

Grazie a loro abbiamo capito che il nemico comune in campagna ed in città è il capitalismo, non solo in questo paese ma in tutto il mondo.

Ma questa guerra mondiale del capitalismo, in tutto il mondo incontra persone che si ribellano e che resistono.

Queste persone che si ribellano e che resistono si organizzano secondo i propri modi di pensare, secondo il luogo, secondo la storia, a modo loro.

Così, con le loro lotte di ribellione e resistenza si conoscono e fanno accordi per raggiungere quello che si vuole raggiungere.

Si conoscono ma non si giudicano tra loro.

Non si mettono in competizione per vedere chi è il migliore. Non si chiedono chi ha fatto di più, chi è più avanti, chi è avanguardia, chi comanda.

Insieme si chiedono se c’è qualcosa di buono in quello che fa il capitalismo.

Iniziando a farsi domande scoprono che NON c’è nulla di buono, anzi, proprio il contrario, fa del male in mille modi quindi è logico che ci siano mille modi di rispondere a questo male.

E allora la domanda è: come ribellarsi contro il male? Come resistere per far sì che il male del capitalismo non distrugga? Come ricostruire quello che viene distrutto, in modo che non torni tutto come prima, ma che sia meglio? Come si rialza chi cade? Come si ritrova un desaparecido? Come si libera un prigioniero? Come vivono i morti? Come si costruiscono la democrazia, la giustizia e la libertà?

Non c’è un sola risposta. Non esiste un manuale. Non esiste un dogma. Non c’è un credo.

Ci sono molte risposte, molti modi, molte forme.

Ognuno guarda i propri risultati e impara dalla sua e dalle altre lotte.

Mentre quelli in alto si arricchiscono con i soldi, quelli in basso si arricchiscono con esperienze di lotta.

Sorelle e fratelli, noi zapatisti e zapatiste diciamo che abbiamo appreso guardandovi e ascoltandovi, e anche guardando e ascoltando il mondo.

Non è stato, non è e non sarà un individuo o individua a regalarci la libertà, la verità e la giustizia.

Perché, amici e nemici, ci risulta che la libertà, la verità e la giustizia non sono un regalo, ma diritti che si devono conquistare e difendere.

E si possono raggiungere solo collettivamente.

Siamo noi, i popoli, le donne, gli uomini, gli otroas, abitanti delle campagne e delle città che dobbiamo prendere per mano la libertà, la democrazia e la giustizia per una nuova società.

Questo è quello che stanno facendo i padri e le madri dei compagni desaparecidos.

In mille maniere dobbiamo lottare per conquistare una società nuova.

Dobbiamo partecipare tutti, con diversi gradi d’impegno, alla costruzione di questa nuova società.

Tutti dobbiamo sostenere la lotta dei famigliari di Ayotzinapa nella ricerca di verità e giustizia, con purezza e semplicità perché questo è il dovere di chiunque sia in basso a sinistra.

Diciamo sostenere perché non si tratta di guidarli, di manipolarli, di usarli, di disprezzarli.

Si tratta di lottare insieme a loro.

Perché nessun essere umano onesto può approfittare di questo dolore e questa rabbia, questa ingiustizia.

Fratelli e sorelle famigliari degli assenti di Ayotzinapa:

Le zapatiste e gli zapatisti vi appoggiano perché la lotta è giusta e vera. Perché la vostra lotta deve essere di tutta l’umanità.

Siete stati voi e nessun altro ad aver inserito la parola “Ayotzinapa” nel vocabolario mondiale.

Voi con la vostra parola semplice. Voi con il vostro cuore addolorato e indignato.

Quello che ci avete mostrato ha dato molta forza e coraggio alle persone semplici in basso e a sinistra.

Lì fuori si dice e si grida che solo le grandi menti sanno come fare, e solo con i leader e caudillos, solo con i partiti politici, solo con le elezioni.

E così se la cantano e se la suonano senza ascoltarsi e senza ascoltare la realtà.

Poi è arrivato il vostro dolore e la vostra rabbia.

Poi ci avete insegnato che era ed è il nostro stesso dolore, che era ed è la nostra stessa rabbia.

Per questo vi abbiamo chiesto di prendere il nostro posto in questi giorni durante il Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo.

Non solo desideriamo che si raggiunga il nobile obiettivo del ritorno in vita di chi oggi ancora manca. Ma continueremo ad appoggiarvi con le nostre piccole forze.

Noi zapatisti siamo sicuri che i vostri assenti, che poi sono anche nostri, quando saranno di nuovo presenti non si meraviglieranno più di tanto del perché i loro nomi hanno assunto diverse lingue e geografie.

Tanto meno del perché i loro volti hanno fatto il giro del mondo. E nemmeno che la lotta per la loro riapparizione in vita è stata ed è globale. Neanche che la loro assenza ha fatto crollare le menzogne del governo e denunciato lo stato di terrore creato dal sistema.

Ammireranno invece la statura morale dei propri famigliari che non hanno mai fatto cadere nel dimenticatoio i loro nomi. Senza arrendersi, senza vendicarsi, senza tentennare hanno continuato a cercarli fino a trovarli.

Quindi quel giorno o quella notte i vostri assenti vi daranno lo stesso abbraccio che adesso vi diamo noi zapatiste e zapatisti.

Un abbraccio affettuoso, con rispetto e ammirazione.

Così vi diamo 46 abbracci per ognuno degli assenti.

– Abel García Hernández

– Abelardo Vázquez Peniten

– Adán Abraján de la Cruz

– Antonio Santana Maestro

– Benjamín Ascencio Bautista

– Bernardo Flores Alcaraz

– Carlos Iván Ramírez Villarreal

– Carlos Lorenzo Hernández Muñoz

– César Manuel González Hernández

– Christian Alfonso Rodríguez Telumbre

– Christian Tomás Colón Garnica

– Cutberto Ortiz Ramos

– Dorian González Parral

– Emiliano Alen Gaspar de la Cruz.

– Everardo Rodríguez Bello

– Felipe Arnulfo Rosas

– Giovanni Galindes Guerrero

– Israel Caballero Sánchez

– Israel Jacinto Lugardo

– Jesús Jovany Rodríguez Tlatempa

– Jonás Trujillo González

– Jorge Álvarez Nava

– Jorge Aníbal Cruz Mendoza

– Jorge Antonio Tizapa Legideño

– Jorge Luis González Parral

– José Ángel Campos Cantor

– José Ángel Navarrete González

-José Eduardo Bartolo Tlatempa

-José Luis Luna Torres

-Jhosivani Guerrero de la Cruz

-Julio César López Patolzin

-Leonel Castro Abarca

-Luis Ángel Abarca Carrillo

-Luis Ángel Francisco Arzola

-Magdaleno Rubén Lauro Villegas

-Marcial Pablo Baranda

-Marco Antonio Gómez Molina

-Martín Getsemany Sánchez García

-Mauricio Ortega Valerio

-Miguel Ángel Hernández Martínez

-Miguel Ángel Mendoza Zacarías

.-Saúl Bruno García

.- Julio César Mondragón Fontes

.- Daniel Solís Gallardo

.- Julio César Ramírez Nava

.- Alexander Mora Venancio

-*-

Compagni tutti, tutte e todoas:

Sono qui con noi le sorelle e i fratelli dei popoli originari che lottano nel grande consesso che si chiama Congresso Nazionale Indigeno.

Da oltre 500 anni abbiamo cercato come popoli indigeni le strade della ribellione e della resistenza.

Da oltre 500 anni abbiamo incontrato dolore e rabbia, giorno e notte, sul nostro cammino.

Da oltre 500 anni è stato nostro impegno conquistare libertà, verità e giustizia.

Da oltre 18 anni ci incontriamo come Congresso Nazionale Indigeno nel nome della scomparsa Comandata Ramona.

Da allora abbiamo cercato di essere allievi della loro saggezza, della loro storia, del loro esempio.

Da allora abbiamo rivelato, insieme, la marcia della tetra carrozza del capitalismo sulle nostre ossa, il nostro sangue, la nostra storia.

Abbiamo citato sfruttamento, saccheggio, repressione e discriminazione.

Abbiamo nominato il crimine e il criminale: il sistema capitalista.

Non solo, con le nostre ossa, con il nostro sangue e storia abbiamo dato nome alla rivolta ed alla resistenza dei popoli originari.

Con il Congresso Nazionale Indigeno abbiamo dato valore al degno colore della terra, quello che siamo.

Con il Congresso Nazionale indigeno abbiamo imparato che dobbiamo rispettarci, che tutto noi abbiamo un nostro posto e nostre domande.

Capiamo che adesso la cosa più importante è la verità e la giustizia per Ayotzinapa.

Oggi la cosa più dolorosa e indignante è che non siamo qui con i nostri 43.

Non vogliamo che domani possa accadere anche a noi, per questo ne parliamo nei nostri villaggi, nazioni, quartieri e tribù.

Abbiamo invitato le nostre comunità a non permettere che continuino ad ingannarci con miserabili pochezze, solo per tenerci in silenzio e che i grandi Capi continuino ad arricchirsi a spese nostre.

Abbiamo unito le nostre rabbie organizzandoci e lottando degnamente senza venderci, senza arrenderci, senza tentennare per i nostri prigionieri politici che sono rinchiusi in carcere per aver lottato contro le ingiustizie che subiamo.

Come popoli originari lottiamo per i nostri diritti, sappiamo come fare, come ci hanno insegnato i nostri bisnonni che non sono riusciti a distruggere come popoli originari di queste terre.

Per questo esistono ancora tante lingue, perché i nostri antenati sapevano come non farsi distruggere, ed ora tocca a noi fare lo stesso.

Tutti devono dire NO alle multinazionali.

Nelle nostre comunità, nazioni, quartieri e tribù tutti dobbiamo pensare cosa dobbiamo fare, come dobbiamo far sapere quello che ci fanno i malgoverni.

Dobbiamo organizzarci e avere cura di noi.

Perché ci vorranno comprare, vorranno darci le briciole, ci offrirano poltrone.

Troveranno tutte le maniere per dividerci e farci litigare e farci ammazzare tra di noi.

Ci vorranno dominare e controllare con idee diverse.

Ci spieranno e ci intimidiranno in mille modi.

Metteranno mille trappole per farci cadere e farci abandonare la lotta per il nostro popolo.

Vogliamo permettere altri 520 anni a farci trattare come spazzatura?

Vogliamo solamente vivere in pace, senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, chiediamo parità tra uomini e donne, rispetto per il diverso, e poter decidere insieme il nostro destino ed il mondo che vogliamo nelle campagne e nelle città.

Sicuramente lo stile di vita migliore che noi chiediamo è diverso da quello che ci impongono.

Noi zapatiste e zapatisti chiediamo alle popolazioni originarie del Congresso Nazionale Indigeno di abbracciare i famigliari di Ayotzinapa ed accoglierli nei loro territori.

Chiediamo che invitino le loro storie ed i loro cuori.

Chiediamo per loro l’onore della vostra parole e del vostro ascolto.

Grande è la saggezza racchiusa nel cuore delle popolazioni originarie, e crescerà ancor di più nella condivisione del dolore e della rabbia di queste persone.

Come guardiani e guardiane della madre terra sappiamo bene che il nostro passo è lungo e ha bisogno di compagnia.

C’è ancora molta strada da fare e non possiamo fermarci.

Così continuiamo a camminare.

Come popoli originari conosciamo bene la terra, lavoriamo la madre terra e viviamo con quello che ci dà, senza sfruttarla.

Curiamo, amiamo e riposiamo in pace con la terra.

Siamo le guardiane ed i guardiani della madre terra.

Insieme a lei possiamo tutto, senza di lei si muore inutilmente.

Come popoli originari è la nostra ora, adesso sempre.

-*-

Compagne, compagni e compañeroas della Sexta nazionale e internazionale:

In questi giorni, presenti o no, si è svolta la condivisione che non è altro che uno dei passi che dobbiamo fare insieme come Sexta, ognuno nel proprio paese di lotta, con le sue modalità e con la propria storia.

Ci sono momenti in cui la storia ci unisce, indipendentemente dalla geografia nel nostro sogno e indipendentemente dal calendario della nostra lotta.

Ayotzinapa è un punto dove ci siamo riuniti.

Non basta.

Lavoriamo, organizziamoci e lottiamo per i/le nostr@ compagn@ desaparecid@s e lottiamo per i/le nostr@ prigionier@ politici.

Formiamo un ciclone nel mondo, affinché ci ridiano in vita i nostri scomparsi.

Facciamolo insieme. Insieme siamo essere umani, ma ci sono bestie che non muoiono, sono i capitalisti.

Formiamo una sola onda e travolgiamo questi animali, e anneghiamo questi malvagi che tanti danni fanno nel mondo.

Facciamolo, come ci stanno insegnano i famigliare di Ayotzinapa.

Senza sosta, come loro, senza sfruttare la situazione per vantaggi o altri interessi.

Compagne e compagni. rimuoviamo dalle nostre menti il significato cattivo della parola “sfruttare”.

Pensiamo al significato buono della parola, sfruttiamo il nostro bene comune. Abbiamo già vissuto il male che fanno quelli che hanno approfittato per sfruttarci.

E ancora ci fanno sparire, ci torturano, ci incarcerano.

Libertà, giustizia, democrazia e pace sono il nostro destino.

Adesso è ora che noi, i poveri del mondo, iniziamo a costruire un mondo diverso, più giusto, dove le nuove generazioni saranno preparate a non permettere più che ritorni il capitalismo neoliberale selvaggio.

Ascoltiamo il grido dei 43 compagni giovani studenti che ci dicono “Cercateci e trovateci, non permettete che soffochino il nostro grido, noi 43 siamo come voi, ci hanno tolto la libertà, sappiamo se lotterete per noi e se non lotterete, significa che non lotterete per quelo che potrebbe succedere a voi.”

Il grido dei 43 compagni ci dice “Aiutateci, supportateci, lottate, organizzatevi, lavorate, muovetevi insieme ai nostri famigliari, li stanno ormai lasciando soli perché si stanno avvicinando le elezioni, questo è quello che stanno facendo quelli che si dimenticano di noi.”

Sommiamo alle nostre lotte, la lotta per i desaparecidos e desaparecidas. Nominiamo gli assenti. Denunciamo chiaramente il crimine. Denunciamo il criminale.

I famigliari di Ayotzinapa hanno alimentato la nostra forza ribelle e di resistenza, ci hanno fatto aprire ancor di più gli occhi ed hanno fatto crescere la nostra degna rabbia.

Ci stanno indicando un cammino e ci stanno dicendo che non gli importa di morire, se è necessario, per i loro desaparecidos.

Ci dimostrano come sia necessario che si organizzi chiunque ha degli scomparsi, e anche chi per ora non ha desapercidos perché li avrà se non si organizza, visto che qui continua il narco-governo.

Ci dimostrano che bisogna lottare, che non importa se si ha visibilità sui mezzi di comunicazione prezzolati, ciò che importa è la vita e non altre morti o sparizioni.

Ci dimostrano che è ora di organizzarci.

E’ ora che decidiamo noi stessi del nostro destino.

Così semplice e così complicato.

Per questo dobbiamo organizzarci, lavorare, lottare, ribellarci e resistere.

Solo con il movimento e l’organizzazione quelli in basso potranno difendersi e liberarsi.

-*-

Compagne e compagni dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale:

E’ stato un anno difficile.

Continua la guerra contro il nostro animo di pace.

Il Capo continua a voler uccidere la nostra libertà.

Continua la menzogna che vuole nascondere il nostro impegno.

Il nostro sangue e la nostra morte continuano a scorrere nelle nostre montagne.

Ormai da tempo, il dolore e la morte che prima erano solo per noi, ora si estendono ad altre parti e raggiungono altre, altri, otroas nelle campagne e nelle città.

L’oscurità si fa più lunga e fitta nel mondo che tocca ad ognuno.

Questo lo sapevamo.

Questo lo sappiamo.

Per questo ci siamo preparati per anni, decenni e secoli.

Il nostro sguardo non guarda solo vicino.

Non guarda solo all’oggi e nemmeno solo al nostro territorio.

Guardiamo lontano nei calendari e nelle geografie, così la pensiamo.

Sempre di più ci unisce il dolore ma anche la rabbia.

Perché adesso, e anche da un po’ di tempo, vediamo che in tanti angoli del mondo si accendono luci.

Luci di ribellione e resistenza.

A volte piccole come la nostra.

A volte grandi.

A volte flebili.

A volte sono un fulmine che si spegne rapidamente.

A volte continuano e continuano senza spegnersi nella memoria.

In queste luci si avvicina il domani che sarà molto diverso.

Questo lo sappiamo da 21 anni, da 31 anni, da 100 anni, da 500 anni.

Per questo sappiamo che dobbiamo lottare tutti i giorni, ad ogni ora in ogni luogo.

Per questo sappiamo che non ci arrenderemo, che non ci venderemo e che non tentenneremo.

Per questo sappiamo che manca quello che manca.

-*-

Compas tutti, tutte, todoas:

Nei prossimi giorni, settimane, mesi, usciranno altre nostre parole su quello che pensiamo e su come vediamo il mondo piccolo ed il mondo grande.

Saranno parole e pensieri difficili perché sono semplici.

Vediamo chiaramente che il mondo non è quello di 100 anni fa e nemmeno lo stesso di 20 anni fa.

Come zapatisti, quindi piccole e piccoli, studiamo il mondo.

Lo studiamo nei vostri calendari e nelle vostre geografie.

Il pensiero critico è fondamentale per la lotta.

Teoria si dice del pensiero critico.

No al pensiero vago, che si accontenta di quello che c’è.

No al pensiero dogmatico, che si fa comando ed imposizione.

No al pensiero ingannevole, che argomenta le menzogne.

Sì al pensiero che domanda, che critica, che dubita.

Non si deve abbandonare lo studio e l’analisi della realtà nei momenti difficili.

Lo studio e l’analisi sono le armi per lottare.

Ma non solo la pratica, non solo la teoria.

Il pensiero che non lotta, non è altro che rumore.

La lotta che non pensa, ripete gli errori e non si risolleva dopo la caduta.

E lotta e pensiero si uniscono nelle guerriere e nei guerrieri, nella ribellione e nella resistenza che oggi scuote il mondo benché il suo suono sia silenzio.

Gli zapatisti e le zapatiste lottano e pensano.

Pensiamo e lottiamo nel cuore collettivo che siamo.

-*-

Compagni, compagne, compañeroas:

Non esiste un solo cammino.

Non esiste una sola direzione.

Non ha le stesse pratiche chi cammina e lotta.

Non è solo chi cammina.

Sono diversi i tempi e i luoghi e molti sono i colori che brillano in basso e a sinistra nella terra che soffre.

Ma il destino è lo stesso: la libertà, La Libertà, LA LIBERTA’.

Compagni, compagne, compañeroas:

Sorelle e fratelli:

21 anni dopo l’inizio della nostra guerra contro l’oblio, questa è la nostra parola:

VERITÀ E GIUSTIZIA PER AYOTZINAPA!

VERITÀ E GIUSTIZIA PER IL MESSICO E IL MONDO!

MUOIA LA MORTE CHE IL CAPITALISMO IMPONE!

VIVA LA VITA CHE LA RIVOLUZIONE CREA!

PER L’UMANITA’ E CONTRO IL CAPITALISMO!

RIBELLIONE E RESISTENZA!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Gennaio 2015

Testo originale

(Traduzione a cura Andrea Cegna e “Maribel” – Bergamo)

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Natale in Messico e #Ayotzinapa

di Fabrizio Lorusso

 Pubblicato: 23/12/2014 12:39 CET Aggiornato: 23/12/2014 12:40 CET

MEXICO-CHIAPAS-SOCIETY-COMMEMORATIONIl Messico riceve oltre 24 milioni di turisti ogni anno, una vera potenza. In queste vacanze natalizie, tra Città del Messico, Oaxaca e soprattutto lo Yucatan, ne arriveranno almeno 500 mila in pochi giorni. Molti di loro pernotteranno e passeranno le giornate in un hotel all inclusive della famosa riviera maya, ottima maniera per rilassarsi e non pensare a niente. Ma il Messico vero, là fuori, non smette di protestare e di mostrare al mondo la vera faccia del paese, il “paese reale”. Quello degli oltre 130 mila morti in 8 anni quello della guerra alle droghe e ai narcos che s’è trasformata in una specie di guerra civile sanguinaria e in un conflitto contro la stessa società, quello dei 27 mila desaparecidos che ormai supererano le cifre delle sparizioni forzate dell’ultima dittatura argentina.

Il periodo di letargo per Natale quest’anno durerà di meno, perché la società pare essersi risvegliata e non c’è giornata che passi senza che venga promossa e realizzata un’iniziativa per i 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, un caso che ha fatto e continua a fare il giro del mondo per la sua crudeltà ed efferatezza, rese ancor più drammatiche dalla certezza che si tratti di un crimine di stato e non di un conflitto tra bande o un problema “politico” di indole locale e circoscritta.

I problemi della violenza e della corruzione in Messico sono strutturali, il tasso di omicidi s’è triplicato in 5 anni, la connivenza del mondo politico e degli apparati di polizia coi narcos e, anzi, il coinvolgimento delle istituzioni (sindaci, funzionari pubblici, esercito, marina, polizia a tutti i livelli, governatori, parlamentari…) nei massacri e nelle desapariciones è evidente: che si tratti di omissioni e coperture o di azioni dirette poco importa.

Il 22 dicembre il National security archive degli Stati Uniti ha reso pubblici dei documenti della procura messicana secondo i quali almeno 17 poliziotti sarebbero stati coinvolti in una delle peggiori mattanze degli ultimi anni, quella di 193 migranti centroamericani a San Fernando, nello stato orientale del Tamaulipas, avvenuta probabilmente nel marzo 2011. Già nell’agosto 2010 altri 72 migranti furono uccisi nella stessa località, in quella che è tristemente nota come la “prima” mattanza di San Fernando. In entrambi i casi la colpa della strage venne attribuita ai membri del cartello degli Zetas, i narcos che dominano le regioni centro-orientali del paese e la zona del Golfo del Messico. Oggi la versione ufficiale viene messa in discussione ed emergono indizi sul coinvolgimento della polizia, come a Iguala il settembre scorso.

La notte del 26 settembre scorso la polizia di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero, ha ucciso sei persone. Tre di queste erano studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa che erano lì per fare una colletta e poter così partecipare alla manifestazione nazionale del 2 ottobre nella capitale. La polizia locale ha sparato contro di loro, l’esercito e la polizia federale si sono tappati gli occhi (e stanno emergendo prove di un loro possibile intervento diretto) e infine la polizia di Iguala, aiutata da quella della vicina cittadina di Cocula, ha consegnato 43 studenti ai narcotrafficanti del cartello locale dei Guerreros Unidos. Secondo la procura e tre detenuti, presunti membri del gruppo criminale, nella notte gli studenti sarebbero stati condotti alla discarica di Cocula e bruciati. I loro resti sarebbero stati dispersi nella discarica e nel fiume sottostante. Le ceneri e alcuni resti ossei sono in Austria per dei complessi studi del DNA e, per ora, solo uno studente è stato identificato: si chiamava Alexander Mora.

Ciò non significa che le responsabilità siano state chiarite, anzi. La versione ufficiale fa acqua da tutte le parti. I periti argentini indipendenti che lavorano sul caso per conto dei familiari delle vittime e della società civile, che non si fida delle autoritò, sostengono che l’identificazione di Alexander è corretta, ma che non c’è nessuna certezza del fatto che i resti siano stati trovati effettivamente nella discarica e che non siano stati portati lì in un secondo momento. Aumentano i sospetti sull’esercito, l’istituzione che storicamente nello stato del Guerrero s’è resa protagonista della guerra sporca (la “Guerra sucia”) contro i gruppi dissidenti, i sindacati, i contadini, gli indigeni, le guerriglie e gli studenti, in particolare quelli legati alla scuola di Ayotzinapa.

Ad ogni modo alcune certezze ci sono. Lo stato messicano ha delle chiare responsabilità nella strage, vista la partecipazione diretta della polizia nell’uccisione di tre studenti e di altre tre persone, oltre che nel sequestro dei 43 normalisti che sono tuttora desaparecidos. Le autorità, la procura e il governo, sapevano della situazione “tesa” a Iguala da mesi, se non da anni. Sapevano del narco-sindaco di Iguala, José Luis Abarca, che avrebbe dato l’ordine di catturare gli studenti e ora è in prigione accusato dell’omicidio di un oppositore politico nel 2013. L’ondata di proteste globali e nazionali per quest’ennessima strage, in un Messico che non vede la luce alla fine del tunnel della violenza, rappresenta un punto di svolta, la rottura dei piani riformatori del governo e il risveglio della società civile, dei movimenti sociali e delle coscienze.

In questo dicembre, per le “vacanze” di Natale, l’ombra di Ayotzinapa aleggerà sulla classe politica e dirigente messicana, in attesa di capire se nel 2015 si privilegeranno le soluzioni fast track autoritarie con “mano dura” e i tentativi di chiudere il caso e superarlo rapidamente, come successo finora, o le opzioni di riforma profonda del sistema e di cambiamento che propongono la società, raccolta intorno ai familiari delle vittime, e i movimenti. Dal Chiapas gli zapatisti hanno organizzato un Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni e hanno deciso di cedere ai genitori di Ayotzinapa i loro spazi durante l’evento che è itinerante e dura dal 21 dicembre al 3 gennaio. Ecco la video-notizia dell’innaugurazione del Festival nei dintorni di Città del Messico.

http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-lorusso/natale-in-messico_b_6367064.html

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PROCESO-1990-192x250Una serie di articoli della rivista Proceso sulla notte di Iguala, collusioni, complicità, insabbiamenti:  Link agli articoli

 

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manta-entradaEJIDO SAN SEBASTIAN BACHAJON ADERENTE A LA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA. CHIAPAS. MESSICO. 21 DICEMBRE 2014

Alle Giunte di Buon Governo

All’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Al Congresso Nazionale Indigeno

Al Festival Mondiale delle Resistenze

AI compagn@ aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona

Ai mezzi di comunicazione di massa ed alternativi

Alla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà

Al Movimento di Justicia por el Barrio di New York

Ai difensori dei diritti umani nazionali ed internazionali

Al popolo del Messico e del mondo

Compagni e compagne, il nostro popolo lotta contro la depredazione e la repressione del malgoverno che ad ogni costo vuole strapparci il nostro territorio, le nostre risorse naturali e la dignità di popolo, ma in tutto questo tempo il nostro popolo si è organizzato per difendersi e far sì che la lotta sia più grande e così il malgoverno non riesce a distruggere questa lotta ed è per questo che ci attacca ed ha assassinato Juan Vázquez Guzmán il 24 aprile 2013, ed al compa Juan Carlos Gómez Silvano il 21 marzo 2014, ci sono anche tre compagni carcerati a Yajalón, Chiapas, Juan Antonio Gómez Silvano, Mario Aguilar Silvano e Roberto Gómez Hernández , che sono stati torturati dalla Polizia Municipale di Chilón e dal Pubblico Ministero Indigeno di Ocosingo, Rodolfo Gómez Gutiérrez, che ha puntato la pistola alla testa del compagno Mario Aguilar Silvano oltre ad un sacchetto di plastica.

Per tutte queste ingiustizie del malgoverno che vuole vederci morti o in prigione, vivere nella miseria e nell’emarginazione perché ci sottrae la nostra terra per darla alle grandi imprese ed ai politici corrotti affinché si arricchiscano, mentre le nostre comunità muoiono di fame, senza ospedali né scuole. Vengono qua solo in campagna elettorale a lasciare le loro briciole per ingannare la gente ed approfittare dei loro bisogni. Respingiamo questa mala politica che sfrutta il popolo, per questo oggi, noi come organizzazione, con le nostre comunità, in assemblea abbiamo deciso di recuperare le terre che ci erano state sottratte dal malgoverno il 2 febbraio 2011, con la complicità del commissario ejidale di allora di San Sebastián Bachajón, Francisco Guzmán Jiménez, alias el goyito ed ora del suo fedele discepolo Alejandro Moreno Gomez ed l suo consigliere Samuel Díaz, che sono al serizio del malgoverno e non del popolo.

Riteniamo responsabili i tre livelli del malgoverno rappresentati dai leader paramilitari Enrique Peña Nieto, Manuel Velasco Coello e Leonardo Guirao Aguilar, di ogni aggressione contro i nostri compagni e compagne che proteggeranno le terre recuperate e che legalmente e legittimamente appartengono al popolo tzeltal di San Sebastián Bachajón e non al malgoverno, che diffidiamo dall’avvicinarsi con i suoi poliziotti o paramilitari.

Chiediamo la liberazione dei nostri prigionieri a Yajalón JUAN ANTONIO GOMEZ SILVANO, MARIO AGUILAR SILVANO e ROBERTO GOMEZ HERNANDEZ; di SANTIAGO MORENO PEREZ, EMILIO JIMENEZ GOMEZ detenuti a Playas de Catazajá; di ESTEBAN GOMEZ JIMENEZ detenuto a El Amate.

Chiediamo a tutti i compagni e compagne, organizzazioni, popoli e comunità del Messico e del mondo di vigilare e di dare la loro solidarietà alla nostra lotta perché insieme possiamo vincere i soprusi e la repressione del malgoverno.

Esprimiamo il nostro totale rifiuto dei megaprogetti di sfruttamento contro i popoli del Chiapas e di tutto il paese, per questo manifestiamo tutta la nostra solidarietà ai compagni e compagne dell’ejido Tila, Los Llanos, Candelaria, San Francisco Xochicuautla, la Tribù Yaqui, compagni e compagne di Puebla, Morelos, Tlaxcala, Oaxaca ed a tutti i popoli che combattono contro la prigione, la morte e la repressione del malgoverno e diciamo loro che continuino a lottare perché non sono soli.

Dalla zona nord dello stato del Chiapas, le donne e gli uomini di San Sebastián Bachajón mandano combattivi saluti.

Nunca más un México sin nosotros.

Atentamente

¡Tierra y libertad! ¡Zapata Vive!

¡Hasta la victoria siempre!

Presos políticos ¡Libertad!

¡Juan Vázquez Guzmán Vive, la Lucha de Bachajón sigue!

¡Juan Carlos Gómez Silvano Vive, la Lucha de Bachajón sigue!

¡No al despojo de los territorios indígenas!

¡Presentación inmediata de los compañeros desaparecidos de Ayotzinapa!

¡JUSTICIA PARA AYOTZINAPA, ACTEAL, ABC, ATENCO!

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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festivalLa Vigilia del Festival

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

19 dicembre 2014

Al Congresso Nazionale Indigeno:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Compas:

Vi mandiamo i nostri saluti. Vi scriviamo per informarvi di come sta andando l’iscrizione dei partecipanti al Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo: “Dove quelli di sopra distruggono, quelli di sotto ricostruiscono”.

1.- Popoli Originari del Messico.- Hanno confermato la loro partecipazione rappresentanti di organizzazioni, autorità tradizionali e persone dei seguenti popoli originari:

Yaqui.
Yoreme-mayo.
Guarijío.
Tohono Odham (pápago).
Wixárika (huichol).
Náyeri (cora).
Nahua.
Coca.
Zoque.
Purhépecha.
Ñahñú (otomí).
Totonaco.
Popoluca.
Migrantes en ciudad (purhépecha, mazahua, mayo, tojolabal, nahua).
Ñahtó (otomí).
Mazahua.
Mephá (tlapaneco).
Na savi (mixteco).
Nancue ñomndaa (amuzgo).
Tojolabal.
Tzeltal.
Tzotzil.
Chol.
Maya peninsular.
Zoque (ampeng).
Binnizá (zapoteco).
Chinanteco.
Ñu savi (mixteco).
Afromestizo.
Triqui.
Cuicateco,
Mazateco,
Chatino.
Mixe.
Ikoot.

2.- Della Sexta in Messico: singole/i, collettivi, gruppi, organizzazioni dei 32 stati della federazione.

3.- Della Sexta Internazionale: singole/i, collettivi, gruppi, organizzazioni dei seguenti paesi:

Messico.
Germania.
Argentina.
Australia.
Belgio.
Brasile.
Canada.
Cile.
Colombia.
Corea del Sud.
Danimarca.
Ecuador.
Spagna.
Stati Uniti.
Francia.
Grecia.
Guatemala.
Honduras.
Inghilterra.
Iran.
Italia.
Norvegia.
Paesi Baschi.
Russia.
Svizzera.
Tunisia.

4.- Vi ricordiamo che la grande inaugurazione si terrà domenica 21 dicembre 2014 nella comunità Ñathó, San Francisco Xochicuautla, municipio di Lerma, Stato del Messico, Messico, alle ore 14:00.

Le condivisioni avranno luogo a San Francisco Xochicuautla ed a Amilcingo, municipio di Temoac, Morelos, nei giorni 22 e 23 dicembre 2014.

I giorni 24, 25 e 26 dicembre a Città del Messico si terrà un Grande Festival Culturale a el Lienzo Charro, a Cabeza de Juárez, Avenida Guelatao #50, Colonia Álvaro Obregón, Delegación Iztapalapa, Messico D.F.

Le condivisioni proseguiranno i giorni 28 e 29 dicembre 2014 a Monclova, municipio di Candelaria, Campeche, Messico.

I giorni 31 dicembre 2014 e 1° gennaio 2015 si svolgerà la Festa della Ribellione e della Resistenza Anticapitalista nel caracol di Oventik, Chiapas, dove avremo l’onore di ricevere todoas, tutte e tutti.

I giorni 2 e 3 gennaio 2015 si terrà la plenaria dele conclusioni, accordi e pronunciamenti presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Il giorno 3 gennaio 2015 ci sarà la chiusura del Festival presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Per l’iscrizione su invito l’indirizzo di posta elettronica è catedratatajuan@gmail.com. Per partecipare al festival culturale l’indirizzo di iscrizione è comparticioncultural@gmail.com.

5.- Gli ospiti d’onore, i famigliari e compagni degli studenti di Ayotzinapa, che mancano a tutt@ noi, hanno confermato la loro partecipazione. Cosicché tutt@ avremo l’opportunità di ascoltarli.

6.- Infine vi informiamo che i nostr@ delegat@ sono pronti a partecipare con ascolto attento e rispettoso. Saremo a volto scoperto per non essere riconosciuti. O meglio, per essere riconosciuti come alcun@ tra i tanti nostri compagni, compagne e compañeroas della Sexta.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Dicembre 2014. Nell’anno 20 dell’inizio della guerra contro l’oblio.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Video delle testimonianze dei sopravvissuti subito dopo il massacro di Acteal

http://regeneracion.mx/causas-justas/matanza-de-acteal-crimen-de-estado-video-inedito/

Regeneración, 18 dicembre 2014. -Il 22 dicembre 1997, ad Acteal, municipio di Chenalhó, Chiapas, paramilitari del PRI, armati ed addestrati dai soldati, assassinarono 45 indigeni, in maggioranza donne e bambini, che stavano pregando in una cappella. Militari e poliziotti restarono a 200 metri da luogo senza intervenire. Le autorità statali e federali furono informate dei fatti ma anche loro non fecero nulla.

Era un mssacro annunciato e indotto dal governo di Zedillo nell’ambito dell’offensiva militare contro le comunità zapatiste e la dirigenza dell’EZLN.

Dopo 17 anni questo crimine di Stato è ancora impunito. I rei confessi del crimine sono stati liberati e sugli autori intellettuali, come Emilio Chuayfett ed Ernesto Zedillo, nessuno indaga.

I sopravvissuti raccontano, il giorno dopo il massacro, come sono andati i fatti e come le autorità sono state complici del crimine.

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Minacce di sgombero ed aggressioni da parte della CIOAC-H contro famiglie tojolabal simpatizzanti dell’EZLN

Frayba Acción Urgente No. 4

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico 17 dicembre 2014

 

Questo Centro dei Diritti Umani ha ricevuto informazioni documentate ed accertate relative a minacce di sgombero ed aggressioni contro famiglie originarie della comunità Primero de Agosto simpatizzanti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), azione perpetrata da membri della Central Independiente Obrera Agrícola Campesina Histórica (CIOAC-H), che sono protetti dal governo municipale di Las Margaritas.

Secondo le informazioni raccolte, oggi 17 dicembre 2014, intorno alle ore 6:00, sono entrate nella comunità Primero de Agosto, 50 persone membri della CIOAC-H provenienti dall’ejido Miguel Hidalgo, tutte armate di bastoni, machete e qualcuno con armi da fuoco.

La situazione di violenza è critica poiché un gruppo di persone della CIOAC-H sta aggredendo le famiglie simpatizzanti dell’EZLN, distruggendo i recinti degli animali e distruggendo le case.

Questo Centro dei Diritti Umani chiede in maniera Urgente ai governi federale e statale:

Primo: Si protegga in maniera urgente la vita e l’integrità fisica delle famiglie simpatizzanti dell’EZLN della comunità Primero de Agosto

Secondo: Si impedisca lo sgombero forzato delle famiglie simpatizzanti dell’EZLN, rispettando e garantendo i diritti sanciti nelle dichiarazioni ed accordi internazionali in relazione all’autonomia ed alla libera determinazione dei popoli indigeni.

Terzo: Si puniscano i membri della CIOAC-H che stanno distruggendo i beni ed aggredendo le famiglie della comunità Primero de Agosto.

Precedenti:

17 famiglie tojolabal, spinte dalla necessità di lavorare ed avere accesso alla terra, si sono impossessate di un terreno incolto chiamato “predio el Roble”, terreno che non era occupato da nessuno, né appartiene all’ejido Miguel Hidalgo. Queste terre sono state recuperate nell’anno 1994 dall’EZLN.

Le famiglie di Primero de Agosto hanno subito aggressioni e minacce da parte di ejidatarios di Miguel Hidalgo, da quando questi si sono impossessati delle terre nel 2013.

Questo Centro dei Diritti Umani si è già rivolto alle autorità del municipio di Las Margaritas fin dal principio del conflitto, con fascicolo 052-004-13/EAI-115/2013. Ciò nonostante la situazione di violenza nella zona è aumentata al punto che il giorno 9 maggio del 2014, Arturo Pérez López era stato ferito gravemente al collo con un colpo di machete da Aureliano Méndez Jiménez, Segretario del Consiglio di Vigilanza di Miguel Hidalgo e membro della CIOAC-H, senza che le autorità abbiano mai agito al riguardo.

Infine chiediamo la solidarietà della società civile nazionale ed internazionale nella diffusione dei fatti denunciati, firmando ed inviando questa azione urgente alle autorità in elenco.

Grazie per inviare gli appelli a:

Lic. Raul Plascencia Villanueva Presidente de la Comisión Nacional de los Derechos Humanos Periférico Sur 3469, Col. San jerónimo Lidice, Delegación Magdalena Contreras, C.P. 10200, México D.F. Teléfonos: (55) 56 81 81 25 y (55) 54 90 74 00

Inviare con copia a: Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos, CP: 29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548 Correo: accionesurgentes@frayba.org.mx

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Info-cdhbcasas mailing list

Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org

http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

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ostula

Denuncia di attacco paramilitare contro comuneros di Santa María Ostula

AI POPOLI DEL MESSICO ED AI POPOLI DEL MONDO

ALLA RETE CONTRO LA REPRESSIONE E PER LA SOLIDARIETÀ

AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ALLA SEXTA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE

Oggi, 16 dicembre 2014, intorno alle tre del pomeriggio un gruppo di 5 persone armate ha teso un’imboscata ad alcuni comuneros di Santa María Ostula, Municipio di Áquila Michoacán, sulla strada costiera numero 200 Manzanillo-Lázaro Cárdenas. Il gruppo di narco-paramilitari voleva uccidere Cemeí Verdía; Comandante ella Polizia Comunitaria di Ostula e Coordinatore Generale delle Autodifese della Costa di Michoacán.

Qualche minuto prima dell’aggressione, Cemeí Verdía insieme ad un gruppo di comuneros di Ostula era arrivato nel villaggio di La Placita, proveniente dal municipio di Coahuayana, dove si erano fermati pochi minuti prima di riprendere la strada costiera 200 in direzione della comunità di Ostula, uno dei camioncini su cui viaggiavano i comuneros è partito per primo e vicino alla località La Peña e stato attaccato dagli uomini armati. In questo attacco sono stati gravemente feriti José Mora Mendoza (24 anni), Félix Mejía Valdovinos (24 anni), Salvatore Mejía Valdovinos (28 anni) ed il bambino Miguel Mejía Mora (5 anni). Tutti sono familiari di José Mora funzionario di Xayakalan, fondata il 29 giugno 2009 sulle terre che la comunità ha recuperato dalle mani di narcotrafficanti e piccoli proprietari del villaggio di La Placita. I comuneros feriti sono stati trasportati d’urgenza nell’ospedale di Tecomán, Colima.

Istanti dopo l’aggressione, la Polizia Comunitaria di Ostula è partita alla caccia degli aggressori riuscendo a fermare Jonathan Aguilar Juan, alias “La changa”, il quale ha confessato che il gruppo armato era formato da cinque persone e guidato da Luis N., alias “el Caracol” che ha partecipato anche alla tortura e successivo assassinio di Trinidad de la Cruz, Don Trino, il 6 dicembre 2011, crimine rimasto impunito. L’aggressore catturato ha detto che la loro intenzione era assassinare Cemeí Verdía, ma hanno sbagliato a colpire l’auto sulla quale viaggiava, e che l’ordine di eseguire l’attacco è stato dato da Federico González, alias “Lico”, capo del cartello dei cavalieri Templari nel municipio di Aquila, e da Mario Álvarez, ex presidente municipale di Aquila ed ex-deputato del PRI.

Bisogna segnalare che Federico González, alias “Lico”, e Mario Álvarez sono i responsabili dei 32 omicidi e 4 sparizioni di comuneros di Ostula tra il 2009 ed il 2012.

La violenza e le aggressioni contro i membri della comunità continuano sotto gli occhi complici dei governi federale, statale e locale.

Chiediamo alla società civile nazionale ed internazionale, così come alle organizzazioni sociali e dei diritti umani solidali, di vigilare su quello che succede nella regione e non permettere un nuovo assassinio, un nuovo sequestro, un nuovo sopruso contro la comunità di Santa María Ostula.

Equipo de Apoyo y Solidaridad con la Comunidad Indígena de Santa María de Ostula.

Messico, 16 dicembre 2014

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/12/18/denuncia-de-ataque-paramilitar-contra-comuneros-de-santa-maria-ostula/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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bergamo ayotzinapa

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Di Ayotzinapa, del Festival e dell’isteria come metodo di analisi e linea di condotta. Subcomandante Insurgente Moisés

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERZIONE NAZIONALE. MESSICO.

Dicembre 2014.

Alle compagne e ai compagni della Sexta nazionale e internazionale: Al Congresso Nazionale Indigeno: Ai familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa:

Sorelle e fratelli:

Ci sono molte cose che vorremmo dirvi. Non le diremo tutte perché sappiamo che ora ci sono questioni più urgenti e importanti per tutte, tutti e tuttei. Ma in ogni caso sono molte cose ed è lunga la nostra presa di parola. Pertanto vi chiediamo pazienza e una lettura attenta.

Noi, le e gli zapasti, qui stiamo. E da qui guardiamo, ascoltiamo, leggiamo che la parola di familiari e compagni degli assassini e scomparsi di Ayotzinapa inizia a restare alle spalle e che ora, per una parte di quelli di là, è più importante…

la parola di altri e altre dalle tribune;

la discussione se i cortei e le manifestazioni appartengano a quelli di buone maniere o ai maleducati;

la discussione su quale tema è più menzionato a maggior velocità nelle reti sociali;

la discussione sulla tattica e la strategia da seguire per “trascendere” il movimento.

E pensiamo che continuano a mancare i 43 di Ayotzinapa, i 49 dell’asilo ABC, le decine di migliaia di assassinate/i e scomparse/i nazionali e migranti, i prigionieri e gli scomparsi politici.

E pensiamo che continua a essere sequestrata la verità, continua a darsi per scomparsa la giustizia.

E pensiamo anche che bisogna rispettare la legittimità e autonomia del vostro movimento.

Le vostre voci, noi zapatisti le abbiamo ascoltate a tu per tu. Migliaia di basi d’appoggio zapatiste lo hanno fatto, e le vostre voci sono poi giunte a decine di migliaia di indigeni. La vostra voce ha quindi parlato in tzeltal, in chol, in tojolabal, in tzotzil, in zoque, in castigliano al nostro cuore collettivo.

Queste voci hanno giudizio, sanno di che parlano, ed è il vostro cuore come il nostro quando diviene dolore e rabbia. Conoscete la vostra strada e la percorrete.

Vi sapete voi. Ci sapete a noi nella rabbia e nel dolore. Non abbiamo nulla da insegnarvi, noi. Abbiamo tutto da imparare da voi.

Perciò ora, quando la vostra voce vuol essere coperta, zittita, dimenticata o distorta, vi mandiamo la nostra parola per abbracciarvi.

Perciò diciamo che la prima cosa, la più importante e urgente, è ascoltare i familiari e compagni dei desaparecidos e assassinati di Ayotzinapa. Sono queste voci ad aver toccato il cuore di milioni di persone in Messico e nel mondo.

Sono queste voci che ci hanno indicato il dolore e la rabbia, che hanno denunciato il crimine e mostrato il criminale.

L’importanza di queste voci è riconosciuta tanto dal governo, che cerca di delegittimarle, quanto dagli avvoltoi, che cercano di distorcerle.

Cerchiamo di restituire il loro luogo e la loro direzione a queste voci.

Queste voci hanno resistito alla calunnia, hanno resistito al ricatto, hanno resistito alla corruzione. Queste voci non si sono vendute, non si sono arrese, non hanno zoppicato.

Queste voci sono solidali. Abbiamo saputo, ad esempio, che quando si accumulavano giovani nelle carceri, e quelli “di buone maniere” consigliavano a quelle voci di non soffermarsi sugli arrestati, che la loro liberazione non era importante perché tanto il governo stava “infiltrando” le mobilitazioni, le voci degne e ferme dei familiari e compagni dei 43 hanno detto, parola più parola meno, che per loro la questione della libertà dei detenuti era parte della lotta per la ricomparsa dei desaparecidos. Ovvero, come si dice, queste voci non si sono fatte ricattare né hanno acquistato la paccottiglia a buon mercato degli “infiltrati”.

Certo, queste voci hanno avuto la fortuna di trovare una popolazione ricettiva nella sua coppia di base: la sazietà e l’empatia. La sazietà di fronte alle forme “classiche” del Potere, e l’empatia tra chi soffre i suoi abusi e costumi.

Però questo si poteva ritrovare già in calendari e geografie diverse. Ciò che pone Ayotzinapa sulla mappa mondiale è la dignità dei familiari e compagni dei giovani assassinati e desaparecidos. La loro tenace e intransigente insistenza nella ricerca di verità e giustizia.

E nella vostra voce si sono riconosciuti molte e molti in tutto il pianeta. Nelle vostre parole hanno parlato altri dolori e altre rabbie.

E le vostre parole ci sono giunte a ricordare molte cose. Ad esempio:

Che la polizia non indaga su furti; la polizia sequestra, tortura, fa sparire e assassina persone con o senza affiliazione politica.

Che le istituzioni attuali non sono il luogo atto a dare risposte all’indignazione, le istituzioni sono proprio ciò che provoca indignazione.

Che il sistema non ha soluzioni al problema perché è esso stesso il problema.

Che, da tempo e in molti luoghi:

i governi non governano, simulano;

i rappresentanti non rappresentano, soppiantano;

i giudici non impartiscono giustizia, la vendono;

i politici non fanno politica, fanno affari;

le pubbliche forze dell’ordine non sono pubbliche e non impongono altro ordine che il terrore al servizio di chi paga di più;

la legalità è il travestimento dell’illegittimità;

gli analisti non analizzano, traslano le loro fobie e le loro preferenze sulla realtà;

i critici non criticano, assumono e diffondono dogmi;

gli informatori non informano, producono e distribuiscono parole d’ordine;

i pensatori non pensano, si bevono le fesserie di moda;

il crimine non si castiga, si premia;

l’ignoranza non si combatte, si esalta;

la povertà è la ricompensa per chi produce le ricchezze.

Perché risulta, amici e nemici, che il capitalismo si nutre della guerra e della distruzione.

Perché è finita l’epoca in cui i capitali avevano bisogno di pace e stabilità sociale.

Perché nella nuova gerarchia dentro al capitale, la speculazione regna e comanda, e il suo è il mondo della corruzione, dell’impunità e del crimine.

Perché risulta che l’incubo di Ayotzinapa non è locale, né statale, né nazionale. E’ mondiale.

Perché risulta che non si va soltanto contro giovani, né soltanto contro uomini. E’ una guerra con molte guerre: la guerra contro il diverso, la guerra contro i popoli originari, la guerra contro la gioventù, la guerra contro chi, con il suo lavoro, fa andare avanti il mondo, la guerra contro le donne.

Perché risulta che il femminicidio è tanto annoso, quotidiano e ubiquo in tutte le ideologie, che è già “morte per cause naturali” all’apertura delle indagini.

Perché risulta che è una guerra che ogni tanto prende nome in un calendario e in una geografia qualsiasi: Erika Kassandra Bravo Caro: donna, giovane, lavoratrice, messicana, 19 anni, torturata, assassinata e scuoiata nel “pacificato” (secondo le autorità civili, militari e mediatiche) stato messicano di Michoacán. “Un crimine passionale”, diranno, come quando si dice “vittime collaterali”, come quando si dice “un problema locale in un municipio del provinciale stato messicano di… (metti il nome di qualsiasi entità federativa)”, come quando si dice “è un fatto isolato, bisogna superarlo”.

Perché risulta che Ayotzinapa ed Erika non sono l’eccezione, ma la riaffermazione della regola nella guerra capitalista: distruggere il nemico.

Perché risulta che in questa guerra il nemico siamo tutte, tutti, tutto.

Perché risulta che è la guerra contro tutto, in tutte le sue forme e in ogni luogo.

Perché risulta che è di questo che si tratta, di questo si è trattato sempre: di una guerra, ora contro l’umanità.

In questa guerra, quelli di sotto hanno trovato nei familiari e compagni degli assenti di Ayotzinapa un eco amplificato della loro storia.

Non più soltanto nel loro dolore e rabbia, ma soprattutto nel loro testardo impegno di trovare giustizia.

E con la loro voce sono terminate le menzogne del conformismo, del “sopportiamo tutto”, del “non succede nulla”, de “il cambiamento è in se stessi”.

Tuttavia, nel mezzo del dolore e della rabbia, di sopra volteggiano nuovamente gli avvoltoi, sull’estesa macchia delle morti e sparizioni menzionate.

Perché laddove alcuni contano le assenze ingiustificate, altri contano voti, vetri, incarichi, nomine, intestazioni, marce, firme, likes, follows.

Ma non bisogna lasciare che ciò che realmente conta e importa rimanga in subordine.

Noi, le e gli zapatisti dell’EZLN, pensiamo che è talmente importante ottenere che riprendano il loro posto le voci dei familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa, che abbiamo deciso:

  1. Di cedere il nostro spazio al Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo ai familiari e compagni dei Normalisti di Ayotzinapa assassinati e desaparecidos. Pensiamo che nelle loro voci e nelle loro orecchie ci saranno echi generosi verso e per tutte e tutti coloro che, essendo o non essendo presenti, parteciperanno al Festival.
  2. Per questo ci siamo rivolgendo alle compagne e ai compagni del Congresso Nazionale Indigeno nelle distinte sedi, alla Commissione Congiunta del CNI-Sexta per il Festival Culturale, e a chi avrebbe appoggiato la nostra delegazione per ciò che riguarda i trasporti, l’alloggio, l’alimentazione, la sicurezza e la salute, per chieder loro di dedicare e applicare i loro sforzi ai familiari e compagni dei Normalisti di Ayotzinapa che oggi mancano a tutte e tutti noi. Perciò chiediamo che li seguano, ascoltino e gli parlino come fossero i 20 zapatisti, 10 donne e 10 uomini, che avrebbero formato la nostra delegazione.
  3. Per questo chiediamo, rispettosamente, ai familiari e compagni degli assenti di Ayotzinapa che accettino il nostro invito e nominino, al loro interno, una delegazione di 20 persone, 10 donne e 10 uomini, e partecipino come invitati d’onore al Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo che sarà celebrato dal 21 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015. Per noi zapatiste e zapatisti è stato molto importante ascoltarvi direttamente. Crediamo che sarà molto ben fatto che tutte le persone che assisteranno al festival abbiano lo stesso onore che è stato concesso a noi. E crediamo anche che vi apporterà molto la conoscenza di altre resistenze e ribellioni sorelle in Messico e nel mondo. Potrete vedere allora quanto è grande ed esteso il “non siete soli”.
  4. L’EZLN parteciperà al Festival. Il nostro orecchio attento e rispettoso sarà lì come uno in più tra le nostre compagne e i nostri compagni della Sexta. Non su palchi o in luoghi speciali. Staremo come ombre, uniti a tutte e tutti, tra tutte e tutti, dietro a tutte e tutti.
  5. La nostra parola per la condivisione è già in un video. Si è data indicazione a “Los Tercios Compas” affinché lo facciano arrivare al momento opportuno nelle diverse sedi del Festival e ai Media Liberi, Alternativi, Indipendenti, Autonomi o come si chiamino, che sono della Sexta, affinché lo diffondiate, se lo considerate pertinente, nei vostri tempi e modi.
  6. Il 31 dicembre 2014 e nel giorno primo dell’anno 2015 sarà un onore per noi ricevere, nel caracol di Oventik, come invitati speciali le donne e gli uomini che, con il loro dolore e la loro rabbia, hanno inalberato in tutto il pianeta la bandiera della dignità che siamo in basso a sinistra.
  7. E non solo, ne approfittiamo anche per invitare tutte, tutti e tuttei quelli della Sexta nazionale e internazionale, incappucciati o no, a partecipare a questa grande condivisione, a parlare delle loro storie e ad ascoltare l’altra, l’altro, l’altroa.

-*-

Dell’isteria come metodo di analisi e linea di condotta.

Noi, le e gli zapatisti, qui stiamo. Da qui vi guardiamo, ascoltiamo, leggiamo.

Nelle recenti mobilitazioni per la verità e la giustizia per i normalisti di Ayotzinapa, si è ripetuta la disputa per imporre il carattere delle mobilitazioni, ora arrivando alla criminalizzazione di chi coincide con uno stereotipo collaudato: giovani, con il volto coperto, vestiti di nero, e che sono o sembrano anarchici. Insomma, sono di cattive maniere. E come tali devono essere espulsi, additati, detenuti, catturati, consegnati alla polizia o alla giusta ira dei settori progressisti.

A questo si è arrivati con reazioni coincidenti o vicine all’isteria in alcuni casi, e alla schizofrenia in altri, impedendo un’argomentazione ragionata e un dibattito necessario.

Anche se abbiamo già assistito in precedenza a tutto questo (nello sciopero della UNAM 1999-2000, nel 2005-2006, nel 2010-2012), il rilancio di questo metodo di analisi e linea di condotta della sinistra di buone maniere, permette alcune riflessioni:

I familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa, come quelli di decine di migliaia di desaparecidos e assassinati, non chiedono carità o condoglianze, ma verità e giustizia.

Chi è che può stabilire che queste domande, che sono le domande di qualsiasi essere umano in qualsiasi parte del mondo, debbano esprimersi nella tale o talaltra forma? Chi scrive il “manuale delle buone e cattive maniere” per esprimere il dolore, la rabbia, la discordanza?

Ma va bene, si può e si deve dibattere su come calza meglio la parola “compagn*”. Se con una voce enfatica dall’alto di una tribuna o se con un vetro rotto. Se con un “Trending Topic” o se con una camionetta della polizia in fiamme. Se con un blog o con un graffito. O magari con tutte o magari con nessuna di queste cose, e ognuno a modo suo crea, costruisce, mette in piedi il proprio modo di appoggiare una lotta.

Ma nemmeno chi ha l’autorità morale e la statura umana per dire “così sì” o “così no”, ovvero i familiari e compagni di quelli che mancano di Ayotzinapa, lo ha fatto.

Dunque, chi ha assegnato gli incarichi di commissari del buon comportamento per l’appoggio e la solidarietà? Da dove viene questo allegro additare gli uni o le altre come “agenti del governo”, “infiltrati” e, orrore degli orrori, “anarchici”?

/ E’ ridicolo che si argomenti “questi non sono studenti, sono anarchisti”. Qualsiasi anarchico ha più bagaglio culturale e conoscenze scientifiche e tecniche della media di chi, come poliziotti del pensiero, li addita e ne chiede il rogo. Per non parlare di chi fa motivo di vanto e orgoglio della stupidità e dell’illegalità come metodo poliziesco (“piaccia o non piaccia”) nel governo di Città del Messico. /

Ma, certo, si può inventare un fantoccio preconfezionato (una specie di anarcoinsurrezionalista regione 4) e ridicolizzarlo assegnandogli un corpo teorico caricaturale, perché possa essere spacciato senza inconvenienti in qualsiasi ministero pubblico mediatico o giudiziatio (certo, se è videoregistrata la sua detenzione, altrimenti, tanto, chi ne sentirà la mancanza?). Dopotutto, l’informazione “giornalistica” proviene da fonti affidabili: le delazioni e la polizia politica.

Non è la stessa cosa additare (chi addita accusa, giudica e condanna, e chiede che la polizia esegua la sentenza), e dibattere. Perché per additare è necessario soltanto essere alla moda (che è comodo, facile, e, ebbene sì, aumentano i “likes” e i “follows“). Per additare non è necessaria un’indagine argomentata, basta “postare” alcune foto.

Così nascono i grandi idilli tra i “leader d’opinione” e le masse dei “seguaci”: la fede cieca sintetizzata in 140 caratteri.

Da “io ti seguo e tu mi segui” a “vissero felici e contenti”, a “Non mi ami perché non mi dai RT né Fav né like. Cambierò Sinsajo*”. (*uccello mitologico inventato da Suzanne Collins, autrice di Hunger Games, che in originale suona “Mockingjay”, N.d.T.).

Per dibattere bisogna indagare (attenzione: al di là del fatto che ci siano differenti anarchismi; attenzione reiterata: al di là che l’ “azione diretta” non è necessariamente violenta), pensare, argomentare e, arghhh!, la cosa più pericolosa e difficile: ragionare.

Dibattere è difficile e scomodo. E ci sono conseguenze per chi dibatte (dico, oltre ai pollici versi, i medi alzati e i “non ti seguo più” a cascata).

Nessun problema, poi c’è gente che non percorre la vita cercando di rendere gradito, di conformare, incassare, attrarre.

Dietro ogni essere critico c’è una lunga lista di “seguaci” che disertano, traslocando dove non si debba pensare e dove il RT non sia un autogol.

E quando il giornalismo “prog” supplisce alle fuzioni del pubblico ministero e accusa, interroga, conclude e condanna, sta additando o dibattendo?

O si tratta di dibattere così? Gli anarchici nelle carceri perseguitati o esiliati, e le buone coscienze negli editoriali, nei microfoni e nel cinguettare?

Ok, ok, ok. Ma almeno siamo d’accordo sull’appoggiare i familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa, o questo ormai non importa?

Nemmeno i bambini nell’asilo ABC, i desaparecidos di Coahuila, i migranti ignorati, i “danni collaterali” della guerra, le donne violentate e assassinate tutti i giorni a tutte le ore in tutti i luoghi in tutte le ideologie?

Importano solo il cambio di nome delle poltrone o il promuovere il lavoro nelle ditte di vetri, cristalli e mensole?

Coloro che insistono nella via elettorale come opzione unica ed escludente, non sono stati accusati di essere “infiltrati”, “sbirri”, “provocatori” o “soldati di leva in abiti civili”. Li si accusa come illusi, ingenui, stupidi, tonti, cercalavoro, opportunisti, intolleranti, ambiziosi, avvoltoi, tiranni e despoti. Be’, anche come fascisti. Ma non come “infiltrati”, sebbene più di uno quadri alla perfezione con il profilo reale di agente governativo o poliziotto politico.

Sappiamo che gli uni e gli altri sono grandi strateghi (basta vedere i risultati che hanno ottenuto), pensano, propongono e impongono che “bisogna trascendere la mobilitazione”. Gli uni con marce benvestite ed educate cercando di contenere e arginare; gli altri con l’azione diretta, violenta ed escludente della rabbia.

Gli uni e gli altri con l’anelito avanguardista, da élite esclusiva, di dirigere, egemonizzare e omogeneizzare la diversità su modi, tempi e luoghi.

Dal “se rompi un vetro sei infiltrato” al “se non lo rompi… pure”.

Per gli uni e gli altri ciò che conta è il centro geografico e ciò che in esso converge: il potere politico, economico e mediatico.

Se non accade a Città del Messico, non importa, non ha validità, non conta. Lo “storico” è loro patrimonio esclusivo.

Non esistono per essi mobilitazioni nel Guerrero, Oaxaca, Jalisco, Veracruz, Sonora, e altri angoli del Messico e del mondo.

Ma poiché negli uni e negli altri regna la pigrizia per l’analisi critiva, non si rendono conto che non è lì il centro del Potere.

Là sopra le cose sono cambiate, e molto.

Finché si continuerà ad abbandonare l’analisi seria e profonda del nuovo carattere del Potere, seguendo a ruota i calendari di sopra (elettorali e istituzionali) da una data all’altra, o la pressione del “bisogna far qualcosa, qualsiasi cosa” anche se inutile e sterile, si continueranno a reiterare gli stessi metodi di lotta, gli stessi riflussi, le stesse sconfitte.

Verso un dibattito serio:

Sulle azioni dirette nel corso dei cortei di Città del messico, l’8 e il 20 novembre e il 1 dicembre 2014, chissà non sia il caso di ricordare le seguenti parole di Miguel Amorós:

“In tali eventi la sola presenza di cittadinisti e loro alleati basta per seminare la confusione e convertire le migliore intenzioni radicali in puro attivismo, integrato senza difficoltà nello spettacolo e pertanto manipolabile, come argomento dei governanti per giustificare gli eccessi della forza pubblica o come alibi dei cittadinisti per giustificare il fallimento delle loro aspettative. L’attivismo -violento o solo ideologico- è il miglior rivelatore dell’obsolescenza della rivolta al riflettere la povertà teorica e la debolezza strategica dei nemici del capitale e dello Stato. Incalzati gli attivisti dalla necessità di fare “qualcosa”, gli si puntano contro i cannoni, e cadono pertanto nella trappola mediatica e spettacolare, che li taccia di teppisti e provocatori. Il risultato non è utile che ai governi, ai partiti e agli pseudomovimenti, spazzatura che esiste giusto per impedire la più remota possibilità di una lotta autonoma o di un pensiero rivoluzionario”. Amorós, Miguel. “El Ocaso de la Revuelta”, Ottobre 2001. In “Golpes y Contragolpes”, Pepitas de calabaza ed. & Oxígeno dis. Spagna 2005.

Quel che segue: requisiti per manifestare:

Per lui: tessera elettorale o carta d’identità, comprovante il domicilio (se non ha casa di proprietà, copia del contratto d’affitto; se ce l’ha ipotecata, che cosa ci fa lei qui?), giacca e cravatta (no, smoking no, non bisogna ancora esagerare, quello è per quando attraverseremo trionfanti, portati a spalla dalla moltitudine, la sacra porta che gli incoscienti hanno preteso distruggere), mani e facce pulite, senza tatuaggi visibili, senza piercing, senza pettinature strampalate (strampalato: ciò che non appare nelle riviste di moda), scarpe classiche (niente scarpe da tennis o stivali), firmare una contratto con il quale ci si impegna a rispettare qualsiasi segno di autorità e/o di potere in qualsiasi accezione, così come segnalare qualsiasi attitudine o intenzione di separarsi da queste regole.

Per lei: la stessa roba ma con vestito completo. Oh, mi dispiace, sì, bisogna pettinarsi.

Per luei: non ha i requisiti per manifestare. Per cortesia proceda al water successivo.

Dell’avanguardia del proletariato e di quelli di buone e cattive maniere:

Vi rendiamo noto, perché crediamo non lo sappiate, che il Sindacato Messicano degli Elettricisti (SME) ha negato, al CNI e all’EZLN, il prestito di una delle sue strutture per la celebrazioni e le attività culturali, nel Distretto Federale, del Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo: “Dove quelli di sopra distruggono, noi di sotto ricostruiamo”.

Prima della campagna del “comportati bene e dì NO ai cappucci”, lo SME aveva concesso, generoso, uno dei suoi locali per la festa culturale. Man mano che ha preso piede la campagna del “non temere lo Stato, temi il differente”, sono apparsi i pretesti che preparavano la strada: “è che ci sono le vacanze, non abbiamo chi possa seguire la cosa, non passeremo il Natale così”.

Poi sono stati più chiari e ci hanno detto: “che un settore dentro allo SME era contrario a ciò che si facesse in solidarietà con altre lotte, che in assemblea si era stabilita la necessità di finirla con la storia di stare con quelli di Ayotzinapa, che non era possibile stare da un lato ai negoziati con il governo e dall’altro con un movimento di giovani incazzati, incappucciati, che stavano facendo azioni come quella del Palazzo; e che avevano dovuto bloccare la storia dell’arrivo di giovani che volevano fare sosta nell’impianto sportivo (si riferisce al luogo, proprietà dello SME, che avrebbero prestato), quando sarebbero arrivate le carovane, che poi voi (la Sexta e il CNI) e i vostri incappucciati (nel ruolo degli incappucciati: l’EZLN) che volete fare il vostro festival, che non si può, che cercatevi un altro posto, che sperano che li capiamo”.

Hanno detto altre cose, ma si riferiscono a questioni interne dello SME che non ci spetta ripetere né diffondere.

E quindi? I compagni del Congresso Nazionale Indigeno avevano proposto che fosse in un locale dello SME come riconoscimento e saluto alla loro lotta e resistenza, e noi avevamo appoggiato la loro proposta. E ancora da quelle parti c’è chi pensa che le purghe esisteranno fino all’improbabile momento nel quale l’avanguardia proletaria prenda il Potere.

E allora noi, le e gli zapatisti, comprendiamo. Ma non capiamo. Non capiamo come è potuto accadere che un movimento che ha sofferto una campagna con ogni sorta di calunnie, menzogne e aggressioni (anche più di quella che ora subiscono giovani, anarchici e non anarchici, incappucciati e non incappucciati, studenti e studiosi) come lo SME, si è arreso alla moda di criminalizzare il diverso. Non capiamo come possiate sottoscrivere la moda di turno e decidere di entrare nella cerchia delle buone coscienze e dissociarvi da chi non solo vi rispetta(va), ma per di più vi ammira(va). Questa dissociazione è parte dei principi del nuovo partito politico che costruite? E’ parte della celebrazione dei vostri 100 anni?

Sarebbe stato più facile fare come fanno ora a Città del Messico, e mettere un cartello all’entrata che recitasse “Non sono ammessi gli incappucciati” e via. Non saremmo entrati noi, certo, ma la vostra lotta si sarebbe vista vivificata con tutti i colori che sono il colore della terra nel Congresso Nazionale Indigeno, così come con la diversità di resistenze e ribellioni che, pur non tenendo locali per feste culturali, fioriscono in vari angoli del Messico e del mondo.

Comunque, nelle nostre limitate possibilità, continueremo ad appoggiare la vostra giusta lotta. E, ovviamente, vi mandiamo l’invito al Festival.

Scegli la risposta corretta:

“Vili incappucciati” (o equivalenti con nuovi sinonimi: “anarchici”, “infiltrati”, “provocatori”, “studenti”, “giovani”). Lo ha detto, lo ha twittato, lo ha dichiarato, lo ha firmato, lo ha cantanto, lo ha dipinto, lo ha disegnato, lo ha pensato…

a)- un o un’articolista, intellettuale, caricaturista, giornalista, commentatore dei media conservatori prezzolati. b)- un o un’articolista, intellettuale, caricaturista, giornalista, commentatore dei media progressisti prezzolati. c)- una o un artista conservatore. d)- una o un artista progressista. e)- un generale dell’esercito federale. f)- un leader della Patronal*. (*Confindustria,N.d.T.) g)- un leader sindacale operaio dell’avanguardia del proletariato rivoluzionario. h)- un leader di un partito politico allineato alla destra. i)- un leader di un partito politico allineatro ancora piùa destra. j)- un leader di un partito politico allineato… Va be’, per farla breve: un leader di un partito politico qualsiasi. k)- Epi*(*think tank neoiberista statunitense, N.d.T). l)- Enrique Krauze. m)- tutti i precedenti.

Risultato: Qualsiasi lettera tu abbia selezionato è corretta. Se hai scelto l’ultima opzione, hai non solo verificato, ma anche fatto un monitoraggio esaustivo delle reti sociali e dei media prezzolati e liberi. Non sappiamo se esprimerti felicitazioni o condoglianze. Il proverbio: al giorno d’oggi, se non sei ben confuso è perché non sei bene informato.

Nel balcone delle reti sociali:

Un tweet modello della gente perbene dopo la marcia del 20 novembre 2014 a Città del Messico: “perché la polizia ha arrestato arbitrariamente dei civili invece di arrestare gli anarchici?” Occhio: si noti che solo gli anarchici si fa bene ad arrestarli arbitrariamente, visto che non sono “civili”.

Un commento della gente perbene dinanzi a una foto della polizia del Distretto Federale in modalità “piacciaononpiaccia” mentre picchia una famiglia nei dintorni dello zócalo del DF il 20 novembre 2014: “Io li conosco e questi non sono anarchici”. Occhio: se nessuno lo conosce ed è anarchico, si merita quelle botte.

Un’argomentazione della gente perbene all’inizio del movimento, o dopo, non importa: “Di sicuro questi ayotzinacos* (*crasi tra Ayotzinapa e “naco”, termine utilizzato con significato analogo a paria, tamarro o bifolco, N.d.T.) se la sono cercata, chi gli dice di farsela con gli anarchici“. Occhio: no comment.

Il Dialogo Impossibile:

“Che significa che non capisci com’è questa storia degli incappucciati uguale anarchici uguale infiltrati? Guarda, questa gente non vuole fare politica, vuole solo fare disordine. Questo vuol dire anarchismo: disordine. Il fatto di coprirsi il volto è dovuto alla vigliaccheria. E il fatto degli infiltrati è perché servono al governo. Che? Sì, anche gli zapatisti sono incappucciati ed erano incappucciati quelli che si contrapposero a Ulises Ruiz a Oaxaca, e alcuni di quelli che ora si mobilitano nel Guerrero e a Oaxaca. Ah, ma questi non sono qui, nella nostra città (il “nostra” è stato sottolineato da uno sguardo di avvertimento). Gli zapatisti, quelli di oaxaca e quelli del guerrero, ebbene, sono piccoli indios di buon cuore. Certo, senza alcuna direzione politica chiara. E sono lontani, gli si può mandare aiuti umanitari che è come noi chiamiamo il disfarci di ciò che non serve più o è divenuto inutile, o peggio ancora, fuori moda. Ma questi fottuti anarchici sono qui, prendono le nostre strade (si ripete lo sguardo minaccioso nel “nostre”) e, come dirti?, be’, rovinano il paesaggio. Uno sta qui a sforzarsi di fare un bell’happening molto stile retro, sixties, capisci?, molto pace e amore, dell’età dell’acquario, fiori, canzoni, droghe leggere, smartdrinks, buone vibra insomma. Guarda, ho un’applicazione nel mio cell che caccia luci con tonalità intonate a ciò che mi metto. Eh? No, io non sfilo con un contingente, io cammino sul terrapieno, salgo a… No, non è per vedere meglio il corteo, è perché le masse mi vedano meglio. Guarda tipo, tipa o quello che sei, le manifestazioni qui devono essere come andare al club, mi capisci? Si tratta non di protestare ma di vederci tra noi, salutarci, e il giorno dopo confermare che siamo quelli che siamo, non nella sezione società, ma nelle pagine nazionali. E poi, questi di Ayotzi… No, ormai nessuno dice più Ayotzinapa, fa più fico dire “Ayotzi”. Be’, ti stavo dicendo che Ayotzi ha una ripercussione internazionale ovvero ci dà un’aria molto cosmopolita. Ma quale intellighentzia, quella è roba di destra. Noi, le sinistre moderne, ci facciamo riconoscere in questi eventi. Alla prossima, se non si ripresentano questi tamarri, stiamo vedendo di portare Mijares. Sì, perché ci canti quella del “soldado de amor”. E per essere in tono, che venga anche Arjona e irrompa con quella del “soldado raso”. Sì, sarà una figata con tutti quanti che marciano al ritmo, mano nella mano con le guardie presidenziali e i poliziotti. Magari meglio di notte, tiriamo fuori gli accendini e muoviamo le braccia al ritmo di “soldado del amor, en esta guerra entre tú y yo…” e con Arjona “voy marcando el paso, mientras sobrevivo. No tengo coraje, me ganó el olvido”. Sì, stiamo già vedendo perché, alla prossima, Eugenio Derbez sia l’oratore principale. Sarà geniale! Infiltreremo Televisa e la faremo passare dalla nostra parte! Eh? No, ormai non chiederemo che rinunci Peña… Ma perché ormai è passata la scadenza, ora dobbiamo prepararci per il 2018. Eh? Che importano le domande originali di quelli di là. Certo, poveretti, ma perciò devono accettare la direzione di chi ne sa, cioè noi. Guarda, ciò di cui ha bisogno questo paese non è una rivoluzione, ma un buon “Feat.” di massa ossia noi nel ruolo principale e unico, e la plebe nei cori o come attrezzisti, sì, la storia che vale la pena è un “selfie” con noi in primo piano e le masse dietro e sotto, incipriate, che ci acclamano, e… sì, ho già pronte le parole che dirò quando mi supplicherete di salire sul palco… Ehi! Aspetta! Perché ti neghi al dialogo? Fottuto anarco! Mettiti un cappuccio, va’, che si vede da lontano che sei un tamarro! Ah, ecco perché questo paese non va mai avanti! Ma gli ho fatto la foto, ora la carico sul mio feis perché prendano nota di un altro infiltrato, o era infiltrata? Va be’, non ci ho fatto caso, è che vestiva proprio da robboso, proprio da cliché. Che pena Messico…”

Altre linee di indagine:

1.- Le tre parole che sono valse ad Abarca a stare sotto protezione nel penitenziario dell’Altiplano, e la detenzione alla sua lady di ferro regione 4, entrambi fuori dalla portata dei media: “sono stati i federali“. Dopo di che, non gli hanno più chiesto nulla. Non perché non volessero sapere, ma perché lo sapevano già.

2.- Ora che là sopra stanno seriamente contemplando la possibilità del “sollievo” a Los Pinos (da cui la subitanea eloquenza dei titolari di marina ed esercito, e le caotiche dissociazioni del potere mediatico), chi prima del 1 dicembre chiedeva la rinuncia di Peña Nieto, ora tirerà fuori un documento che si chiami “La Difesa delle Istituzioni e il Rigetto della Rinuncia Presidenziale. Versione giugno 1996, aggiornata al 2014-2015″?

Segnalare e fare i delatori sul serio:

1.- L’analisi che assegna la responsabilità della repressione alle azioni dirette violente di gruppi “anarchici” dovrebbe essere conseguente e, nel caso del Messico, dare la responsabilità della repressione anche a chi ha svelato lo scandalo della cosiddetta “casa bianca” provocando la stizza della coppia presidenziale (che poi però ha compensato assumendo le funzioni di Pubblico Ministero). Ma no, la ripartizione delle colpe è anch’essa di classe. E sta a quelli di buone maniere inalberare la campagna di criminalizzazione dei giovani poveri (secondo la sequenza di equivalenze: infiltrato=incappucciato=anarchico=giovane=povero), che è la stessa che, a suo tempo, ha messo in moto il lungo incubo chiamato ora “Ayotzinapa”.

2.- Secondo le ultime cose che abbiamo visto, letto e ascoltato, gli infiltrati conclamati non si coprono il volto. Infiltrati dal governo di Città del Messico (“la sinistra istituzionale come alternativa”) e dai loro impiegati, sono stati filmati mentre aggredivano manifestanti, facevano detenzioni arbitrarie e “seminavano” cappucci tra gli aggrediti.

Orbene, seguendo il metodo d’analisi consigliato dall’isteria e la logica impeccabile degli sbirri del pensiero e del ben vestire, c’è da attendersi che tutte le persone che non sfilino incappucciate siano potenziali “infiltrati” e debbano essere segnalate, detenute e messe a disposizione dell’autorità “perché lascino manifestare gli incappucciati secondo le loro richieste”. Così che ora, quando nei cortei vedrete qualcuno di non incappucciato, dovreste additarlo ed espellerlo al coro di “no alla violenza, no alla violenza”.

3.- Un po’ di memoria: Quelli che ora criticano le azioni “violente” non sono contro il patrimonio “storico”, commerciale e finanziario nelle manifestazioni per Ayotzinapa nel DF, gli stessi che bloccarono banche, centri commerciali, occuparono “storicamente a Reforma nel 2006 (In favore al mancato presidente López Obrador, N.d.T.) e aggredirono le impiegate dall’uniforme arancione per il fatto di essere “complici” della frode elettorale del 2012? Ah, sì, è che è più grave una frode elettorale che 43 indigeni desaparecidos e decine di migliaia di persone nella stessa situazione.

4.- Il clamore dell’isterica campagna ha avuto eco e mietuto i suoi primi trionfi: alcuni furbacchioni sono detenuti in una casetta, lontani dalla marcia, mentre raccoglievano fondi di sostegno a proprio beneficio; vengono presi ed esibiti trionfalmente nella “presa di Città del Messico” il 6 dicembre 2014. Poi, per la magia dei media, si convertono in “infiltrati” nel corteo, e si segnala che tra di loro ci sono almeno un poliziotto e un militare. Del presunto poliziotto, niente. Il presunto militare: ha 17 anni e “ha confessato” che tra un mese sarebbe entrato nell’esercito. Nessuno si è preso il disturbo di ricordare che tutti i giovani messicani, al compimento dei 18 anni, devono assolvere al Servizio Militare Nazionale. In ogni caso, l’azione è stata applaudita. Si spera che l’isteria come metodo di analisi e linea di condotta si esaurirà quando ci sarà un linciaggio. Allora tutti si volgeranno altrove.

Il temuto svolgimento in 6 tempi di una rinuncia (completare i nomi):

1.- Un partito in crisi teminale. Card_ rinuncia al partito: “continuerò come un cittadino di più”, dichiara.

2.- Dinanzi alla crisi della politica partitica, inizia a essere incoraggiata l’ “opzione cittadina”. Sulla stampa e nei circoli prog si inizia a parlare del sorgere del “Card_ismo sociale”.

3.- Cresce il movimento e si impone a tutti l’unità incondizionata attorno al “cittadino” Card_.

4.- Lop_ si sottrae.

5.- Nuova frode elettorale. Un gran concentramento nello zócalo capitolino. Tra i manifestanti si possono apprezzare cartelli che riproducono le ultime caricature dei caricaturisti prog: “Quelli di Ayotzinapa sono un’invenzione di Salinas” è il comune denominatore. Giunto il suo turno alla tribuna, Ele_ menziona Lop_. Bordata di fischi dalle masse. Il giorno dopo Ele_ chiarisce di aver menzionato Lop_ senza malizia e che, sul piano personale, lo apprezza molto.

6.- Dopo il presidio di rigore, Card_ annuncia che bisogna continuare la lotta… creando un nuovo partito che contenda alle prossime elezioni. No, se vince non sarebbe andata gente di Epi alla comunicazione sociale, né lo scemo del villaggio a fare il portavoce presidenziale. O sì? Gulp.

La storia che non conta per gli happening progressisti:

Sì, c’è chi ricorda che il 6 dicembre di quest’anno si sono compiuti 100 anni dall’entrata degli eserciti villisti e zapatisti a Città del Messico. Noi, in cambio, ricordiamo lo zapatista gesto negativo e di disprezzo di fronte al trono presidenziale: “quando qualcuno di buono si siede qui, diventa cattivo; quando è cattivo, diventa peggiore”, dicono che disse il capo dell’Esercito Liberatore del Sud. E se non lo disse, di sicuro lo pensò.

Consigli non richiesti e che, ovviamente, nessuno seguirà:

1.- Basta cercare il vostro Sinsajo. Lasciate il treno della disillusione, lì la prossima stazione è “apatia e cinismo”. La vostra destinazione finale: “la sconfitta”.

2.- Non fissatevi con i trending topic o come si dice. Lo stesso con i tweet della gente “famosa”, dei “leader d’opinione” o della gente che si presume “intelligente”. Cercate i tweet della gente comune. Lì troverete veri gioielli letterari in miniatura e pensieri di quelli che valgono la pena, cioè che obbligano a pensare. Lì non c’è tweet che sia piccolo.

I trending topic (i “temi del momento”) servono solo come specchio deformante e sono ridicoli come un salone di masturbazione di massa: alla fine terminano tutti insoddisfatti e abbattuti. E viene un momento nel quale i tweet diventano un dialogo da film porno: “oh, sì, sì,così, non ti fermare!”. O è un gran merito battere l’hashtag #WeLoveYourNewHairJustin o quello di #Sammy?

3.- Dar valore a una persona per il numero di seguaci e non per i suoi pensieri e azioni è ozioso e inutile.

Se la merda avesse feisbuc, avrebbe “likes” (e “licks”) di centinaia di migliaia di mosche.

4.- In difesa delle reti sociali, o meglio in difesa dell’uso delle reti sociali, pensiamo che siano comunque un luogo di condivisione se si sceglie dove dirigere lo sguardo e l’ascolto.

Ci sono grandi scrittrici e scrittori, pensatrici e pensatori, analisti e critici, lottatori sociali che non appaiono né appariranno sui grandi mezzi di comunicazione prezzolati. E molti di essi, non perché non li si “scopra”, ma perché hanno scelto un altro canale per esprimersi. Questo non va solo salutato con favore, va alimentato.

5.- Ma, per grandi che siano le possibilità delle reti sociali, lo sono anche i loro limiti. Oltre all’ovvio, cioè che non si possono twittare silenzi e sguardi, anche se è gigantesco l’universo del loro daffare, continua a essere più grande l’universo che resta escluso.

Le reti sociali non servono a soppiantare la comunicazione basica (guardare, parlare, ascoltare, toccare, odorare, gustare), ma a potenziarla.

“Se non è su twitter non esiste”, imita la caduca sentenza “se non sei sui media non esisti”.

Anche se non lo crederete, ci sono molti mondi fuori dallo spazio cibernetico. E vale la pena di unirsi a loro.

Alla fine ci ritroviamo sempre qui* (*Il titolo sarebbe: “Ahí nos estamos vimos viendo”, ripresa testuale di un passo del comunicato del gennaio 2013 scritto da Marcos come poscritto alla quinta parte di “Loro e noi”, N.d.T.):

Sì, ormai sappiamo che siamo scomodi per gli uni e gli altri. Per alcuni siamo radicali, per altri siamo riformisti.

Tutte e tutti, sopra e sotto, dovrete ingoiare questo:

Qua sotto, ogni volta siamo di più a impegnarci a lottare senza supplicare perdono per essere ciò che siamo e senza chiedere il permesso di esserlo.

Ecco.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés. Messico, 12 dicembre 2014. Nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.

Nota: Monitoraggio dei media prezzolati, dei media liberi, autonomi, indipendenti, alternativi o come si chiamino, e di reti sociali, così come l’apporto disinteressato di sarcasmo, divano psicanalitico gratuito, tips di ricerca, consigli inutili, camicie di forza di 140 caratteri in alcune parti e altri effetti speciali: contributo de “Los Tercios Compas” che, come dice il nome, non sono media, né liberi, né autonomi, né alternativi, ma sono compagni. Copyrights annullati a causa dell’uso di cappuccio. Si può citare, recitare e riciclare indicando la fonte come “infiltrata”. Si autorizza la riproduzione totale o parziale di fronte alla torma con uniforme e senza uniforme, sia che si trovi dietro un’arma, uno scudo, una camera, un microfono, uno smartphone, un tablet, o nello spazio cibernetico. In fede: “Winter is coming, perciò non dimenticate le coperte” (uno degli Stark nella prossima stagione di Game of Thrones. Anticipazione a cura de “Los Tercios Compas”. Nah, non c’è di che).

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

 

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ayotzinapa-fue-el-estado1DOPO AYOTZINAPA

LA GUERRA CONTINUA

Il cumulo di abusi, spoliazioni, inganni, imbrogli, arresti, morti, non è iniziato la notte di Iguala, né si ferma ad Ayotzinapa. Quello che invece ora c’è, è un massiccio scontento che si pronuncia e si mobilita. Oltre alla violenza criminale, sempre inclusa, non cessa la catena di aggressioni ed invasioni istituzionali contro i popoli indigeni del paese. Se mettiamo sulla mappa dei puntini rossi, questi coincidono con quasi tutti i territori reali e simbolici dei popoli originari. E questo senza parlare dei delitti e delle discriminazioni che si commettono quotidianamente contro immigrati e residenti indigeni nelle città. La macchina dell’informazione può seguire le proprie rotte, fissazioni, interessi o l’inevitabilità della notizia. I conflitti nelle (e contro) le comunità semplicemente continuano. Non è retorico dire che l’emergenza e l’autodifesa sono parte della loro esistenza quotidiana. E non finisce qui. È proprio in decine di regioni, in centinaia di comunità e villaggi, dove si pratica la resistenza reale, quasi sempre pacifica, anche disarmata, e mai ostile, lì dove il potere applica sistematicamente le sue ricette fatte di aggressione, divisioni deliberate, repressione, persecuzione. Leggi secondarie, decreti perversi, accordi incompiuti. Non dimentichiamo che gli yaqui continuano la lotta contro un governatore ladro di bestiame ed i suoi complici; i wixaritari in Jalisco, Durango e Nayarit sono minacciati ed aggrediti da narcos, cacicchi, poliziotti statali, soldati, ma non mollano. Nella meseta purépecha la vita è stata profondamente alterata dal violento malgoverno nazionale. Lo stesso avviene sulle coste, valli e montagne dei nahua, mixteco, tlapaneca, zapoteca e ñahñú. Nella Huasteca, la catena montuosa di Zongolica ed il nord di Puebla, a chi abbassa la guardia se lo porta via la corrente. Inoltre tutti rivendicano i propri carcerati, assassinati, scomparsi, sfollati; tutti loro gente ammirevole. Le multinazionali e gli investitori collaborano allo spopolamento (sterminio) studiato per i maya di Campeche, gli ijkoot e zapoteco dell’Istmo, gli otomí mexiquense. La guerra contro il mais nativo equivale allo sterminio dei bufali che portò al collasso i popoli indio del Nordamerica. Lo scontento è generalizzato, anche se non si manifesta in egual misura in tutte le parti e non sempre riesce ad articolarsi. Ci sono casi di grande sottomissione, come i mazahua sotto il priismo nello stato del Messico (in particolare sotto l’ex governatore Enrique Peña Nieto, lo stesso di Atenco). O i pima, i mayo-yoreme. O di cooptazione assoluta come i lacandoni.

Elencare i governatori responsabili sarebbe ridondante: lo sono tutti, non solo gli Ulises, i Padrés, gli Aguirre, i Duarte. Nell’apparente caos dei “casi isolati” si riconosce il metodo. È una vera costruzione bellica. Lo scenario “contrainsurgente” di una guerra insidiosa, lenta ma vera, per svuotare dagli indios la terra utile. Così si conquistò il Far West. Così si domò la Pampa. Così si distrugge ogni giorno l’Amazzonia. I neoliberisti hanno aperto in Messico uno scenario da brivido: la guerra contro tutti nello stesso tempo. Su scala maggiore che in Colombia, dove la strategia anti-indigena è radicale e la praticano tutti i poteri reali (governo, narcos, paramilitari, guerriglia).

A tutto questo le resistenze ed autonomie messicane oppongono “modi di vivere migliori” a costo di immani sforzi per rivendicare i loro territori. I maya e zoque del Chiapas, con le loro Giunte di Buon Governo, sono l’esperienza più eloquente, un faro per il movimento indigeno. Altri modi di governo proprio si trovano in Oaxaca, Guerrero e Michoacán. Tutti loro vengono aggrediti. In Chiapas la guerra è applicata da decenni in maniera tenace, corrosiva, costosa, immorale. Ma la resistenza vince sempre le ricorrenti prognosi e diagnosi sulla sua fine.

Il grido dei popoli zapatisti nelle proprie terre è rinnovato (giovane), moltitudinario come nessun’altro, e continua a diffondersi.

I poteri, la guerra che si portano dietro, non l’hanno sconfitto.

Non si credano.

http://www.jornada.unam.mx/2014/12/13/ojarasca212.pdf

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alexander

Identificati in Messico i resti di uno studente di Ayotzinapa, proteste #1DMX #6DMX #YaMeCanse2

Pubblicato il 8 dicembre 2014

di Fabrizio Lorusso – Da Carmilla

“Compagni, a tutti quelli che ci hanno sostenuto, sono Alexander Mora Venancio. Con questa voce vi parlo, sono uno dei 43 caduti del giorno 26 settembre per mano del narco-governo. Oggi, 6 dicembre, i periti argentini hanno confermato a mio padre che uno dei frammenti delle mie ossa mi appartiene. Mi sento orgoglioso che abbiate alzato la mia voce, la rabbia e il mio spirito libertario. Non lasciate mio padre solo col suo dolore, per lui significo praticamente tutto, la speranza l’orgoglio, il suo sforzo, il suo lavoro, la sua dignità. Ti invito a raddoppiare gli sforzi della tua lotta. Che la mia morte non sia avvenuta invano. Prendi la miglior decisione ma non mi dimenticare. Rettifica se possibile, ma non perdonare. Questo è il mio messaggio. Fratelli, fino alla vittoria”.

I genitori dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, nello stato messicano del Guerrero, hanno diffuso il questo messaggio su Facebook. Sono le quattro del pomeriggio. Mentre Città del Messico si prepara a un pomeriggio di cortei contro il crimine di stato del 26-27 settembre a Iguala, nello stato del Guerrero, e per il ritrovamento in vita dei 43 studentidesaparecidos della scuola normale di Ayotzinapa “Raúl Isidro Burgos”, arriva una notizia inattesa. La piazza grida, chiede la rinuncia del presidente Enrique Peña Nieto e del procuratore della repubblica Jesús Murillo Karam. Alcuni normalisti del comitato studentesco di Ayotzinapa hanno appeno fatto un annuncio importante, le emozioni e le reazioni sono contrastanti.

Tra i resti umani trovati dagli inquirenti nella discarica dei rifiuti di Cocula all’inizio di novembre ci sono quelli del diciannovenne Alexander Mora Venancio, uno degli studenti che, secondo le testimonianze di tre narcotrafficanti in stato di arresto, sarebbero stati bruciati per 15 ore nella stessa discarica. Lo hanno confermato i periti argentini dell’Equipe Argentina di Antropologia Forense i quali, su richiesta dei familiari delle vittime, stanno lavorando con la procura alle prove del DNA. I genitori di Alexander, vittima di un attacco da parte di narcos e poliziotti di Iguala e Cocula insieme ad altri compagni, sono partiti immediatamente per la loro terra d’origine, il paesino di Teconoapa, sulla costa del Pacifico, per le esequie. Sono otto gli studenti scomparsi a Iguala che provengono da questa località e i genitori di tutti loro appartengono all’organizzazione indigena, contadina e popolare Unione dei Popoli e Organizzazioni dello Stato del Guerrero (UPOEG).

L’avvocato della UPOEG, Manuel Vázquez, ha confermato che in questi primi due mesi di ricerche, insieme ai genitori di Ayotzinapa, hanno contribuito al ritrovamento di 200 fosse clandestine nella zona di Iguala e in altri comuni vicini. Alcuni reportage recenti, in particolare uno della televisione France 24, hanno rivelato la probabile scomparsa, per mano della polizia di Cocula secondo alcuni testimoni, di altri 31 studenti nella regione tra il marzo e il luglio del 2013. Le denunce relative a 17 di questi desaparecidos sono state confermate dal governo del Guerrero nella sua pagina web. Il 3 dicembre i familiari di altre 375 vittime della polizia collusa coi narcos hanno preso coraggio, dopo anni di silenzio, e hanno manifestato nella piazza centrale di Iguala per denunciare ladesaparición di tanti loro cari negli ultimi anni. Grazie a un frammento d’osso e un molare è stato possibile ricostruire il DNA di Alexander, ma restano da verificare sia i resti in mano ai forensi argentini e alla procura sia quelli che sono stati rinvenuti nel fiume San Juan di Cocula e inviati in Austria per un complesso esame mitocondriale. E soprattutto restano da verificare le migliaia e migliaia di fosse comuni e di resti umani che emergono dalle terre di mezzo paese. “Ne mancano 42 e li rivolgiamo in vita”, ha detto nel comizio finale della giornata di Azione globale per Ayotzinapa del 6 dicembre, #6DMX +#YaMeCanse2. La rivista di Tijuana, Zeta, da anni specializzata nel confronto di dati ufficiali sulla violenza, ha confermato la cifra allucinante di 41mila morti nei primi 23 mesi del governo del “nuovo PRI”.

Continua la protesta globale

Sono state settimane convulse in Messico. La capitale, lo stato del Guerrero, le città solidali del mondo intero sono in ebollizione per l’indignazione e lo sconforto, per il disanimo, la voglia di reagire, gridare e protestare, accompagnate dalla tristezza e dalla paura che tutto torni come prima. Il letargo mediatico, l’apatia sociale, il conteggio dei morti in un box rosso sui principali quotidiani. Una madre, un padre, una famiglia che cercano i loro figli e cari desaparecidos, moltiplicati per 27mila. Un compa che racconta in radio l’ultima estorsione subita dagli sbirri, un tentativo di sequestro, una minaccia di sparizione forzata. Gli universitari che han scoperto d’essere spiati perché in facoltà hanno nascosto delle telecamere. Altri che vengono attaccati da infiltrati e poliziotti nelle assemblee. Le violenze subite nell’anima e nel corpo delle donne, da Ecatepec a Ciudad Juárez, dalle strade alle maquiladoras. E ancora l’azzeramento delle vittime nei meandri della burocrazia e nei corridoi dell’oblio. La paura travestita da normalità. Crimini di stato trasformati in guerra alle droghe e viceversa, in un turbinio. Meglio risvegliarsi, rifondare, che ignorare e normalizzare una strage, quella degli studenti di Ayotzinapa del 26 settembre, che è solo la punta di un iceberg in un mare d’impunità e corruzione.

Mi appresto a scrivere questo aggiornamento mentre vomito notizie e rimastico cronache. Guardo il video del flash mob, l’ennesimo, che 43 ragazzi hanno realizzato alla Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara. Alla fine urlano tutti insieme dall’uno al quarantatré. Per un minuto la Fiera si ferma, la terra non gira, silenzio, giustizia! Finisce il coro, cominciano gli applausi. Un brivido, l’ira, le lacrime, la speranza in un cambiamento. Penso alla grande manifestazione qui a Città del Messico, lunedì primo dicembre, #1DMX. Abbiamo calcolato 50mila persone. Una marcia instancabile ed energetica, nonostante sia finita anche questa volta a manganellate e lacrimogeni, con sette arresti casuali, terribilmente random e violenti, e una serie di incapsulamenti della polizia che solo un cordone di funzionari della Commissione Nazionale per i Diritti Umani, di bianco vestiti, ha potuto bloccare, almeno per un po’. Ora i prigionieri sono tutti liberi, le pressioni internazionali e di tutto il Messico stanno obbligando le autorità a risolvere i problemi da loro stesse provocati in modo più spedito, salvo poi dimenticarsi della legalità e del famigerato stato di diritto non appena i riflettori si spengono. Il rischio è questo, il governo è paziente, ha potere e mezzi per resistere e sfiancare, può aspettare qualche settimana e contrattaccare, sequestrare, riconquistare, offendere. E lo sta già facendo.

Si riconferma la modalità dell’accerchiamento delle forze dell’ordine e dei rastrellamenti a tappeto contro tutto e tutti, ma non contro chi li attacca o ne “giustifica” inizialmente l’intervento. E’ un copione ormai noto: un manipolo di ragazzi incappucciati, ma anche a volto scoperto a volte, causa danni a qualche edificio pubblico o privato. I celerini intervengono, picchiando a destra e a manca senza ritegno, impedendo ai manifestanti disarmati e pacifici di proseguire, di esprimersi, di respirare, per poi catturare un po’ di gente a casaccio. I detenuti del 20 novembre sono stati rilasciati tutti, non c’erano prove né elementi concreti per accusarli di alcunché. I familiari dei prigionieri e dei desaparecidos di Ayotzinapa, accompagnati dalla società civile e dai movimenti, chiedono adesso le dimissioni del procuratore Jesús Murillo Karam, oltre a quelle del presidente della repubblica.

La testimonianza di una signora sotto shock, con la testa spaccata e sanguinante, consolata dalla figlioletta e curata alla buona da un’infermiera (?), diventa virale sui social e suscita la rabbia di chi ha un computer e una connessione, cosa che non è affatto scontata né così generalizzata come molti credono. Le classi medie cittadine hanno internet, ma il Messico guarda la televisione. In TV la storia è sempre un’altra. La padrona delle menti, Nostra Catodica Signora dei rimbecillimenti, passa scene di violenza, immagini di vandalismi e distruzioni, dimenticandosi delle 3 ore di corteo pacifico e del motivo per cui tanta gente scende in piazza sfidando la propaganda governativa e la criminalizzazione delle autorità contro il dissenso sociale.

I 43 studenti desaparecidos non importano più, meglio mostrare due bancomat sfasciati e qualche vetrina imbrattata per giustificare l’azione “gagliarda”, parola usata dal responsabile della sicurezza nella capitale, della polizia. Sì, ma contro chi? Eccoli lì che si scagliano ferocemente contro una signora che cerca lavoro e nemmeno sa che c’è un corteo quel giorno. Eccoli lì che lasciano stare i presunti responsabili degli attacchi nei loro confronti o nei confronti delle “preziosissime” proprietà private e dei palazzi della Avenida Reforma e che aggrediscono famiglie e cittadini, strappano striscioni e rinnegano la loro umanità. Se ti muovi, può toccare anche a te. Se corri, ti prendiamo. Se sei schifato e arrabbiato perché i narcos sono la polizia, lo stato è la mafia o viceversa, e ha sequestrato e ammazzato migliaia di persone in pochi anni, 43 studenti in una notte a Iguala, e poi trova scuse ciniche e idiote per non cambiare nulla, praticando il gattopardismo più becero, meglio che te ne stai zitto e ti dedichi a spendere gli ultimi risparmi, erosi dalla crisi e da un modello consumista sfrenato, per i regali di Natale. Questi i messaggi delle autorità alla gente.

Il cittadino cileno Laurence Maxwell, studente del dottorato in lettere dellaUniversidad Nacional Autonoma de Méxicodetenuto la sera del #20NMX, per cui s’era mosso anche il ministro degli esteri del Cile, denuncerà lo stato messicano per le torture subite e così faranno anche gli altri 10 cittadini detenuti ingiustamente. Ma è l’intero sistema politico ad essere messo alle strette e criticato a fondo, delegittimato come mai prima. La popolarità di Peña è ai minimi storici. E’ scesa al 39%, la più bassa per un presidente dal 1995 ad oggi secondo il quotidiano Reforma. Il 5 dicembre il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon ha sollecitato un’indagine a fondo del caso Ayotzinapa e di tutte le sparizioni forzate in Messico in una conferenza stampa, ribadendo anche l’importanza del diritto alla libertà d’espressione e la necessità di canalizzare le legittime richieste della gente in modo pacifico, nel rispetto dei diritti umani. Avrà cominciato a percepire l’aria che si respira in Messico e la vena repressiva del governo? Non molto. Dopo le critiche, infatti, Ban Ki-moon ha dato il suo beneplacito alle misure autoritarie promosse dall’esecutivo negli ultimi giorni.

Burle presidenziali e cinismi

Nel maggio 2012, quando mancavano meno di due mesi alle elezioni, l’allora presidente Felipe Calderón annunciò la sua appartenenza al grande movimento studentesco e sociale#YoSoy132, che era nato da una contestazione al candidato Peña Nieto alla Universidad Iberoamericana e aveva poi segnato la fine della campagna elettorale, il ritorno del PRI al governo e l’inizio del mandato presidenziale, con le manifestazioni del primo dicembre 2012, sempre #1DMX, represse nel sangue. Fu una mossa elettorale disperata per provare a creare empatia col movimento e con una parte de. Non funzionò, il risultato della candidata del partito di Calderón (PAN), Josefina Vázquez Mota, fu deludente e il presidente fu ricordato per i 100mila morti e la narco-guerra, non di certo per la sua identificazione con gli studenti.

Dopo il megacorteo del 20 novembre scorso, Peña, emulando il suo predecessore in un disperato e calcolato tentativo di riconciliazione, ha cercato di ribadire la sua identificazione con le vittime di Iguala e del Guerrero dicendo che “Tutti siamo Ayotzinapa”. Come conseguenza è stato mandato letteralmente “affanculo”, cioè a“chingar a su madre”, da uno studente della normale “Isidro Burgos”, oratore durante il comizio finale della manifestazione del primo dicembre. Tra le altre cose, gli ha anche ricordato che lui “non è Ayotzinapa, ma è Atlacomulco”, in riferimento alla città natale del presidente intorno alla quale girano tutto il gruppo di potere e le lobby delle correnti dominanti del PRI e degli impresari ad esse legati.

Superatelo, ja ja. Hashtag #YaSupérenlo

Nel suo discorso del 4 dicembre a Iguala, Guerrero, Peña ha chiesto alla comunità di “superare questa fase”, “questo momento di dolore”, per fare “un passo avanti”, dato che la sua geniale idea è molto semplice: voltare pagina, dimenticare l’inferno e salvare la sua immagine. Ottimo montaggio televisivo, un ponte da inaugurare come scusa per andare ad Iguala e dintorni, e infine un po’ di applausi dei burocrati che lo accompagnavano. Un evento pensato ad hoc per farsi vedere nella zona e prendere di nuovo la parola. Il ponte, distrutto nel settembre 2013 dall’uragano Manuel, è stato ricostruito a Coyuca de Benítez, nella Costa Grande al nord di Acapulco. Peña s’è definito come il “grande alleato degli abitanti del Guerrero” e ha indicato che quanto successo coi normalisti di Ayotzinapa “genererà una svolta, segnerà un momento e permetterà la costruzione di istituzioni migliori”. Ciononostante nessuno ha ancora capito come. La comunità sarà felice per il nuovo ponte dell’oblio, dunque, e per l’inizio del corso di superazione personale che pare voler proporre il presidente con le sue frasi ad effetto. “Hanno detto ‘superatelo’ per i femminicidi nel Chihuahua 15 anni fa, e continuiamo a cercare e lavorare, rispondiamo ‘siamo stanchi’ dell’impunità”, ha scritto via Twitter la giornalista Lydia Cacho.

Occupazione simbolica di Città del Messico nella Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa

Intanto il Messico, e soprattutto Guerrero, continuano a bruciare, le proteste non si fermano e anche all’estero la solidarietà s’esprime nelle forme più fantasiose, incessantemente, giorno dopo giorno. Il 3 dicembre ci sono state mobilitazioni in 43 città degli Stati Uniti con l’hashtag #UStired2, oltre 3000 boliviani sono cesi in piazza a La Paz e oltre 10mila uruguayani hanno marciato per Ayotzinapa a Montevideo il giorno dopo. E’ stata la marcia per i 43 normalisti più numerosa realizzata fuori dal Messico. La settimana scorsa in Italia i movimenti sociali e l’associazione Libera hanno promosso decine di iniziative per denunciare il narco-stato messicano e i crimini di lesa umanità in terra azteca con cortei, flash mob, proteste fuori dai consolati e nelle università, diffusione di comunicati e attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Nel pomeriggio del 5 dicembre un corteo di 43 trattori ha sfilato per l’Avenida Reforma, nel centro di Città del Messico. Sabato 6, invece, in decine di città messicane ci sono state manifestazioni e proteste che nella capitale si sono trasformate in un’occupazione simbolica della città. Infatti, a Città del Messico le mobilitazioni della CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educacion), dei genitori dei 43 desaparecidos, protetti dal collettivo Marabunta, degli studenti, del FPFV (Frente Popular Francisco Villa), del Frente de Pueblos para la Defensa de la Tiera di San Salvador Atenco, delle organizzazioni contadine, che sono arrivate a cavallo alle 10 del mattino, e della società in generale sono confluite nella spianata del Monumento a la Revolución.

Hanno dato vita a un’altra oceanica Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa per unire la causa dei 43 desaparecidos al rifiuto delle riforme strutturali, alla difesa dell’acqua, la vita e la terra e alla commemorazione dei cento anni dell’ingresso degli eserciti di Francisco Villa ed Emiliano Zapata nella capitale e l’occupazione indigena della città del 6 dicembre 1914. I megafoni della CNTE hanno annunciato la notizia, ufficializzata poco prima dai periti argentini: i resti di uno dei 43 normalisti sono stati identificati, ma lalucha sigue.

A un lato degli insegnanti dodici persone, tre donne e sei uomini, camminano in fila indiana. Hanno le mani legate e una corda li tiene uniti uno all’altro. Sono dei presunti infiltrati a cui i manifestanti della CNTE hanno appiccicato sul petto un cartello con la scritta “infiltrados” per evitare che facciano danni e si mischino con loro. E arriva anche la notizia che il capo della polizia della capitale, Jesús Rodríguez, ha presentato le sue dimissioni, dopo essere stato aspramente criticato per le sue ciniche dichiarazioni sul “valore e la gagliardia della polizia” durante lo sgombero della piazza del Zocalo il 20 novembre scorso.

Javier Sicilia e movimento per la pace

“Dissi a Peña, durante i dialoghi nel Palazzo di Chapultepec coi candidati alla presidenza, che pareva non avere un cuore, una sensibilità, e si arrabbiò perché gli stavo ricordando la repressione di Atenco del 2006, quando era governatore del Estado de México”, ha spiegato Javier Sicilia, leader del movimento per la pace con giustizia e dignità (MPJD), in un’intervista radiofonica. “Col suo discorso l’altro giorno a Iguala mostra anche una mancanza di intelligenza politica oltre all’insensibilità. Si potrebbe lanciare un messaggio del genere, forse, se almeno fossero state fatte le cose necessaria affinché i fatti non si possano più ripetere, se fosse stata fatta giustizia, se il caso fosse stato risolto, ma non così, quando niente è stato risolto e si ha un mandato per farlo che non viene rispettato. Bisogna rompere e rifondare lo stato, spegnere la emergenza nazionale e ricostruire e questo si fa solo con una logica di giustizia, dignità e servizio al paese, cosa che non è stata fatta, invece stanno facendo sparire più gente…”.

Parlando del superamento del dolore, Sicilia ha sottolineato la profondità della crisi strutturale che sta vivendo il Messico: “Con cosa dovremmo superare il dolore? C’è una questione terribile dietro. E se dall’Austria ci dicono che i resti sono degli studenti, saranno comunque solo alcuni, e gli altri? E le fosse? Non è possibile accettare che non ci sia nulla, che ci sia solo la polvere degli studenti, che non resti più nulla. Perciò li vogliamo vivi, li vogliamo presenti, con un corpo almeno.

esecuzioni

Questa situazione non si ripara in nessun modo, solo se non ce ne saranno mai più”. Il poeta e attivista ha ribadito l’obbligo dello stato chiarire cosa è successo coi ragazzi di Ayotzinapa e “l’ondata di proteste deve spingere affinché i fatti di Iguala non succedano mai più, deve esserci un punto di rottura a partire da questo. Le strutture sono corrotte, e Peña non ha nemmeno la legittimità o l’autorità morale per dire quel che dice di fronte al disastro che stiamo vivendo”. Dal “Mexican Moment” vaticinato dal The Economist nel 2012 e dal miraggio di un presidente che, secondo la rivista Time, stava “Salvando il Messico”, siamo passati inevitabilmente a una realtà fatta di tragedie dalle proporzioni immani, sequel spietato del terrore del sessennio precedente, ma ancor più amara perché s’è imposta sulla propaganda e il marketing governativo a forza di desapariciones, fosse comuni, mattanze dell’esercito, come quella di Tlatlaya del giugno scorso, e morti su morti che ritornano dagli inferi.

Anche alcuni settori della chiesa cattolica sono intervenuti per chiedere giustizia e protestare. Qualche giorno fa un gruppo di religiose ha manifestato per le strade della capitale mentre il 4 dicembre i sacerdoti e i seminaristi della diocesi di Saltillo sono scesi in piazza per chiedere la fine della violenza e il chiarimento della strage di Iguala. “Dinnanzi a quello che succede nel paese e nel Guerrero non possiamo stare zitti e far finta di niente”, ha espresso il vescovo e attivista Raul Vera che era alla testa del corteo.

L’idea che si sia raggiunto un punto di rottura, di non ritorno, nella storia recente del Messico si sta facendo strada nei movimenti e nella società. Ma se non si mantiene la pressione interna ed esterna per il cambiamento, per una “rivoluzione pacifica intelligente”, come l’hanno battezzata i normalisti sopravvissuti della strage di Iguala, per una “rifondazione dello stato”, secondo l’augurio di Sicilia, oppure per una fase costituente, come auspicano altri, insomma, “se non manteniamo la lotta e andiamo avanti per cambiare il paese, ci aspettano cose ancora più inaudite, peggiori di quelle che abbiamo vissuto fino ad ora”, prevede lo scrittore.

Il rischio di isolamento e repressione di chi non vuole e non può accomodarsi di fronte alla tragedia nazionale messicana è alto. Le alternative che Peña ha di fronte sono l’apertura di canali seri di dialogo, anche se è lecito chiedersi fino a che punto il sistema sia capace di riformarsi da solo e di ricevere proposte radicali per una “Convenzione” o una fase costituente, o la repressione. Pare che il governo e il gruppo di potere legato al presidente, spalleggiato da amministratori e governatori affini come Miguel Ángel Mancera, sindaco di Città del Messico, non abbiano dubbi sul fatto che renda di più la seconda opzione, costi quel che costi.

Guerrero seguro e Nuevo Guerrero

Guerrero vanta un indice d’impunità dei delitti del 96.7%, sopra la media nazionale del 93% e peggio degli altri 31 stati del paese. Non si contano chiaramente i reati non denunciati, che sono stimati intorno al 90% del totale. Il tasso d’omicidi ogni 100mila abitanti è di 63, il più alto del Messico. Questo significa 3680 omicidi nei primi 23 mesi di governo di Peña e oltre 1000 nei primi otto mesi del 2014. Seguono lo stato di Chihuahua con un tasso di 59 e Sinaloa con 41. Nel 2013 Acapulco è stata la terza città più violenta del mondo, dopo San Pedro Sula in Honduras e Caracas in Venezuela. Nella città costiera, ex perla turistica messicana, durante i primi 22 mesi del nuovo governo sono stati denunciati 132 casi di sequestro di persona, il numero più alto in Messico. Ecatepec, nel feudo priista del Estado de México, intorno alla capitale, ne hanno registrati 114. Con 447 casi Guerrero è il terzo stato con più rapimenti, dopo Tamaulipas e l’Estado de México.

Questa situazione era nota da tempo, evidentemente. Infatti, nel 2011, il presidente Calderón avviò l’operazione speciale Guerrero Seguro e aumento la presenza militare, una delle tante iniziative infruttuose che hanno martoriato il paese dalla fine del 2006 ad oggi. Peña Nieto ha annunciato il 4 dicembre la riedizione di quel programma per la “sicurezza” e ha lanciato un piano di “pacificazione”, un’operazione militare e poliziesca, per le zone note comeTierras Calientes (territori compresi tra la costa pacifica e le catene montuose dellaSierra Madre Occidental negli stati del Michoacan, Guerrero, Oaxaca, Sinaloa e Morelos) e il piano di sviluppo e investimenti pubblici e privati battezzato Nuevo Guerrero. “Rilanciare lo sviluppo economico e sociale” è la finalità ufficiale dell’operazione. Nei giorni scorsi Peña ha parlato anche della creazione di zone economiche speciali negli stati del Chiapas, del Guerrero e del Oaxaca, il che suona come una riedizione del vecchio e fallito Plan Puebla Panamá di integrazione regionale tra il Messico e l’area centroamericana.

L’invio di truppe

Già da una settimana 2000 uomini della Polizia Federale sono stati mandati a Chilpancingo, la capitale dello stato, e altri 1500 ad Acapulco “per difendere i turisti e le famiglie”. Non si sa da chi li dovrebbero difendere, se poi è la polizia stessa che diventa parte integrante dei narco-cartelli. Adesso comunque arrivano i rinforzi, arrivano i “nostri”. Non bisogna essere esperti di sicurezza e politiche pubbliche per capire che la protezione degli investimenti delle multinazionali del settore minerario e turistico, insieme alla stabilità relativa dei narco-affari, soprattutto delle coltivazioni di papavero da oppio e marijuana, e del settore agricolo legale, sono le priorità sottese a questo piano. La protezione speciale, con più poliziotti e più vigilanza, che verrà offerta al porto e all’aeroporto di Acapulco va lette in questa chiave.

Come nel Michoacan e nel Tamaulipas pare che anche qui si stia cercando un accordo, un nuovo equilibrio tra i gruppi mafiosi in lotta in modo da regolarizzare il business e limitare la violenza: un compito molto complicato, vista la presenza di forti movimenti sociali organizzati e anche la frammentazione estrema, favorita dal tipico effetto cucaracha(scarafaggi che fuggono all’impazzata in ogni dove), che la dissoluzione del cartello dei Beltran Leyva ha portato con sé. In secondo piano passano, invece, la tutela delle comunità più povere e insicure e il rilancio delle zone rurali depresse e di quelle colpite dagli uragani degli ultimi anni. Parte dell’infrastruttura distrutta è stata ricostruita, ma l’economia non decolla. Nel suo complesso l’operazione puzza di controllo sociale e controllo delle proteste che, proprio a Chilpancingo e nel resto del Guerrero, stanno assumendo le forme più rabbiose e violente, con attacchi praticamente quotidiani alle sedi dei partiti e delle istituzioni cui si somma l’occupazione e gestione autonoma di almeno 13 comuni. Quasi non se ne parla, ma le diverse forme di autogoverno e autonomia come quelle dei caracoles zapatisti e della comunità autonoma di Cherán nel Michoacan sono una realtà in tante comunità del Messico.

Il decalogo di Peña Nieto

Il 28 novembre Peña ha enunciato un decalogo di misure e proposte del governo per provare a uscire dall’impasse. E’ una lista imbevuta di autoritarismo, di volontà accentratrice e di vecchie ricette dell’epoca di Calderón che attentano contro i diritti umani. A queste “nuove tavole della legge” si aggiunge anche una beffa: la legge anti-cortei. In questo contesto di escalation delle proteste e della repressione, in attesa di una possibile diminuzione della pressione internazionale e della partecipazione popolare per l’avvicinarsi del periodo natalizio e la chiusura delle università, i legislatori del PRI, del PAN e del Verde Ecologista hanno approvato la cosiddetta “Legge Anti-Corteo”.

Si tratta di una riforma degli articoli 11 e 73 della costituzione affinché il governo federale, le amministrazioni locali e i governi statali possano emettere leggi in materia di mobilità che potranno essere usate dalle autorità per impedire le manifestazioni e la libertà d’espressione e riunione. In pratica si attribuisce la facoltà di promulgare leggi e ordinanze sulla mobilità cittadina, provinciale e regionale che però in realtà nascondono l’inganno e giustificheranno la restrizione del diritto a manifestare e rappresaglie verso diverse forme di protesta sociale. Tra le misure che saranno discusse in parlamento c’è la creazione di un solo corpo di polizia per ogni stato, l’abolizione delle polizie locali o comunali, la possibilità per il governo di dissolvere comuni con infiltrazioni mafiose, la fissazione di un Codice Unico d’Identità personale, la creazione del numero 911 per tutte le emergenze, una riforma della giustizia e nuove operazioni militari per la sicurezza negli stati fuori controllo.

La stretta anti-libertaria del governo non ha comunque bisogno di molte nuove leggi dato che continuano le “vecchie” pratiche del sequestro, dell’arresto arbitrario e delladesaparición come nei casi di tre studenti della Universidad Nacional Autónoma de México che hanno denunciato il tentativo di farli sparire della polizia federale, in azione contro di loro a Città del Messico. Sandino Bucio è stato avvicinato da

Fabbrica di colpevoli

Il 15 novembre il ventiseienne Bryan Reyes e la sua fidanzata Jaqueline Santana, rispettivamente maestro di flamenco e studentessa di economia, entrambi militanti del gruppo Acampada Revolucion 132, stavano camminando in una zona periferica della capitale, si dirigevano al famoso mercato della Merced. Mentre passavano su un cavalcavia sono stati catturati da 14 poliziotti, otto uomini e sei donne, in borghese. Convinti che si trattasse di un sequestro di persona, dato che gli agenti non si sono identificati e li hanno picchiati per forzarli ad entrare con la violenza in un taxi e in un’automobile privata, i due hanno cominciato a gridare. Ulises Chavez, un amico che era con loro, è riuscito a scappare e un poliziotto locale è stato richiamato sul posto dai rumori e le urla, ha puntato la pistola in faccia a uno dei federali e gli ha intimato di liberare i ragazzi.

Quando il federale s’è identificato il poliziotto l’ha lasciato stare ma questo “contrattempo” ha forse salvato la vita a Jaqueline e Bryan che sono stati portati in questura e poi in prigione con delle accuse assurde ma, per lo meno, in vita. Senza il minimo rispetto dei diritti umani e del dovuto processo, in spregio al fatto che i poliziotti federali hanno cercato di sequestrare e, probabilmente, far sparire i due ragazzi, questi sono stati rinchiusi per furto aggravato per aver rubato 30 euro a una poliziotta proprio sul cavalcavia in cui sono stati immobilizzati e rapiti dai federali (in questo video-link la testimonianza della sorella di Bryan). I detenuti del 20 novembre e del primo dicembre sono stati liberati, Bryan e Jaqueline no, e da stanno portando avanti uno sciopero della fame dal 23 novembre.

Una situazione simile ha vissuto Sandino Bucio, studente di Filosofia e Lettere e attivista che lo scorso 28 novembre è stato praticamente sequestrato da alcuni agenti in borghese della polizia federale all’uscita dell’università, dopo aver partecipato all’assemblea degli studenti della sua facoltà. Picchiato e costretto a salire su una macchina bianca, anonima, come se si trattasse di un rapimento o di una sparizione forzata. Per fortuna i passanti e gli studenti che si trovavano nei paraggi hanno filmato l’arresto e hanno diffuso immediatamente l’informazione. Si sono mosse subito le reti sociali e quelle dell’attivismo universitario per organizzare un picchetto di protesta fuori dalla sede della procura, dove intanto era stato condotto Sandino. Dopo poche ore la pressione mediatica e popolare è riuscita a far liberare lo studente. Gli agenti federali coinvolti sono stati sospesi, ma resta critico il livello di guardia dei movimenti e dei cittadini di fronte alle rozze azioni d’intimidazione della polizia, alle sue operazioni delinquenziali e alle offensive legislative del mondo politico. http://lamericalatina.net/2014/12/08/identificati-in-messico-i-resti-di-uno-studente-di-ayotzinapa-proteste-1dmx-6dmx-yamecanse2/

Reportage precedenti: Ayotzinapa @CarmillaOnLine

  1. La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica
  2. Il Messico e Ayotzinapa gridano: 43 con vida ya!
  3. Benvenuti in Messico: desaparecidos e morti di #Ayotzinapa #Fueelestado
  4. Due mesi dopo la strage: le vene aperte del Messico e #Ayotzinapa

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Fuera Pena NietoMessico, Peña Nieto promette riforme (e reprime la protesta)

Federico Mastrogiovanni

3 dicembre 2014

Nell’anniversario dell’insediamento, il presidente illustra un piano poco credibile per rimettere ordine nei rapporti tra polizia e istituzioni corrotte e criminalità organizzata. Continuano ovunque le proteste per chiedere verità sulla sparizione e strage dei 43 studenti

A più di due mesi dalla sparizione forzata di 43 studenti della scuola di Ayotzinapa e l’uccisione di altri sei, non si placa la protesta della società civile messicana. Il primo dicembre era una data importante, il giorno in cui, due anni fa, ha prestato giuramento il presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto e già allora, nel 2012 il primo dicembre si è caratterizzato per proteste di massa dirette al neopresidente e al suo Partito della Rivoluzione Istituzionale (PRI), tornato al potere dopo 12 anni lontano dal governo.

In molti, dalla sparizione degli studenti in poi chiedono che Peña Nieto rinunci, e che si vada a elezioni anticipate. In molti lo hanno fatto di nuovo il primo dicembre con una grande manifestazione pacifica finita male dopo che il corpo di polizia dei granaderos, l’ha dispersa con la violenza. Molte persone sono state ferite dalle manganellate delle forze dell’ordine, tra queste anche alcune donne e ragazzi, colpiti alla testa e al volto.

Il 27 novembre scorso, a due mesi esatti dalla desaparición forzada dei 43 studenti di Ayotzinapa, il presidente Peña Nieto, in un discorso di 46 minuti definito “conferenza stampa” ma che non ha previsto alcuna domanda, ha presentato un piano in 10 punti per risolvere il grave problema della sicurezza in Messico. Nel suo discorso ha menzionato due volte l’espressione “desaparición forzada”, che implica la partecipazione in un sequestro di forze appartenenti allo Stato, sia militari che civili, per azione o per omissione, ma non l’ha mai applicata alla sparizione forzata dei 43 studenti di Ayotzinapa. Nel loro caso ha parlato di semplice privazione illegale della libertà, benché siano stati sequestrati da agenti della polizia municipale di Iguala, con l’appoggio del presidente municipale e con la colpevole distrazione dell’esercito a cui i ragazzi braccati si erano rivolti per chiedere aiuto. Parlando del caso di Iguala Peña Nieto ha parlato di “debolezza istituzionale” invece che di responsabilità diretta delle istituzioni municipali, statali, federali e militari.

I dieci punti di riforma annunciati dal presidente si caratterizzano per la genericità degli interventi. Si parte dalla proposta, al primo punto, di commissariare i municipi in cui ci siano infiltrazioni del crimine organizzato. Una misura potenzialmente positiva, ma sono molti i municipi che, proprio per espellere i rappresentanti dei partiti politici, collusi e legati a doppio filo al crimine organizzato, stanno percorrendo la strada dell’autonomia, prevista dalla Costituzione messicana, alternativa a quella di un controllo rafforzato dei poteri federali che spesso sono collusi o indifferenti verso il crimine locale.

Si parla inoltre di chiarire ruoli istituzionali nelle investigazioni, la costituzione di polizie statali uniche (con enormi costi da parte della Federazione), una blanda riforma del sistema giudiziario, senza specificare in che modo dovrebbe funzionare meglio, la creazione di un pubblico ministero speciale anticorruzione.

Il punto che più ha suscitato proteste e ilarità sui social network è il quarto: la creazione di un numero di telefono federale per le emergenze (già esiste lo 066), che sia, come negli Stati Uniti d’America, il 911, a causa della familiarità dei messicani con i film e le serie statunitensi (sic). In generale le misure presentate sono le stesse già proposte nei governi precedenti, alcune (come la polizia statale) non sono state mai approvate. Ciò che appare chiaro è che di fronte all’opposizione e alle proteste generate dall’impunità, Peña Nieto ha deciso di attribuire la responsabilità ai governi municipali, reiterando l’estraneità del governo federale alle infiltrazioni mafiose e alle collusioni con i gruppi criminali.

Alla fine del suo discorso Peña Nieto ha ripreso il motto di questi ultimi mesi: “Todos somos Ayotzinapa” (Siamo tutti Ayotzinapa). In risposta a quella che molti hanno percepito come una provocazione, uno degli studenti della Normale di Ayotzinapa, al termine della manifestazione del 1 dicembre ha risposto alle parole del presidente: “Vogliamo dire a Peña Nieto che lui non è Ayotzinapa. Ayotzinapa siamo noi e tutta la gente che ci ha appoggiato ovunque siamo andati e che ci ha offerto solidarietà. Come Ayotzinapa abbiamo dignità. Ayotzinapa sono i contadini di origine indigena e non i politici ipocriti collusi con la delinquenza organizzata”.

La protesta si mantiene per lo più pacifica. Ad ogni manifestazione vengono arrestate e picchiate decine di giovani, come i 31 ragazzi arrestati il 20 novembre scorso. Sono per lo più accusati di terrorismo, portati in carceri federali per poi essere generalmente rilasciati per mancanza di prove. Venerdì 28 novembre Sandino Bucio, uno studente di filosofia dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) è stato caricato su un’auto senza insegne da un gruppo di uomini armati con armi da assalto e portato via in pieno giorno in una delle uscite dell’università a Città del Messico. Si trattava di agenti federali in borghese. Il giovane dopo essere stato picchiato, minacciato e torturato è stato rilasciato, anche grazie all’intervento di amici, colleghi e società civile. Sandino, rilasciato poche ore dopo, è accusato di aver fatto parte di un gruppo di incappucciati che durante la manifestazione del 20 novembre lanciava molotov alla polizia.

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(Gli scrittori Juan Viloro e Paco Ignacio Taibo II partecipano alla protesta – Getty Images)

In appoggio ai familiari dei 43 desaparecidos si aggiungono sempre più voci di gruppi della società civile, messicani e stranieri. Il 30 novembre la dirigente storica delle Abuelas de Plaza de Mayo, Estela de Carlotto ha raggiunto alcune madri dei normalistas di Ayotzinapa nella sede del Centro Miguel Agustín Pro Juárez, uno dei centri di difesa di diritti umani più importanti del Messico, che accompagna i familiari delle vittime. La “abuela” argentina, che dopo 36 anni ha ritrovato suo nipote, nato da sua figlia desaparecida in un campo di concentramento durante la dittatura, ha esortato il popolo messicano a far fronte comune in appoggio alle famiglie di Ayotzinapa “Se questi crimini passeranno impuni c’è il pericolo che continuino ad accadere”.

L’incontro è stato molto forte emotivamente per le madri dei normalistas presenti: “Quello che ci ha detto è che dobbiamo essere forti. E lo saremo. Ci ha raccontato come è stato passare per quello che stiamo vivendo noi e per questo motivo sentiamo che ci capisce” ha affermato Hilda Hernández Rivera, madre di César Manuel González, uno dei 43 di Ayotzinapa. “All’inizio non parlavamo a causa di tanto dolore” ha dichiarato Cristina, madre di Benjamín, un altro dei 43 “ma adesso cominciamo a parlare e non ci azzittiranno. Al governo diciamo: non veniteci a dire che i nostri figli sono nelle fosse quando sappiamo che non li state nemmeno cercando!”.

@Fedemast  http://www.pagina99.it/news/mondo/7626/Messico–Pe-a-Nieto-promette.html

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Due mesi dopo la strage: le vene aperte del Messico e #Ayotzinapa

Dove vanno i desaparecidos?
Cerca nell’acqua e nella boscaglia.
E perché spariscono?
Perché non tutti siamo uguali.
E quando torna il desaparecido?
Ogni volta che lo porta il pensiero.
Come gli si parla al desaparecido?
Con l’emozione stringendo il nodo dentro.
Dalla canzone “Desaparecidos” di Rubén Blades

Llamas Peña Nieto

“Sembra esistere l’intenzione di destabilizzare il paese e attentare contro il progetto di nazione”, Enrique Peña Nieto, 18 novembre 2014.

“Forze oscure desiderano destabilizzare la nazione”, Gustavo Diaz Ordaz, agosto 1968.

(Di Fabrizio Lorusso – CarmillaOnLine) Il presidente messicano Díaz Ordaz pronunciò queste parole a poche settimane dal massacro della Plaza de las Tres Culturas, Tlatelolco, del 2 ottobre in cui oltre 300 studenti furono assassinati dall’esercito dopo un comizio. Era un messaggio chiaro, minaccioso, contro i manifestanti, le proteste e ogni forma di critica al governo e allo stato. Proprio come succede oggi.

Due mesi dopo

68 mon a la revolucion26 settembre, 26 novembre 2014. Sono passati due mesi dalla strage degli studenti della scuola normale di Ayotzinapa a Iguala, nello stato messicano del Guerrero. Responsabili ufficialmente non ce ne sono. Quest’anno in Messico le tradizionali cerimonie del 20 novembre per ricordare l’inizio della Revolucion del 1910 si sono svolte in un campo militare mentre decine di migliaia di manifestanti scendevano nelle strade per chiedere giustizia e il ritrovamento “in vita” degli studenti della scuola normale di Ayotzinapa, scomparsi lo scorso 26 di settembre. Ma in questa IV Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa non solo “Giustizia!”, non solo “Vivi li han portati via, vivi li vogliamo!” hanno gridato le piazze, ma anche “¡Fuera Peña!” e “Governo assassino”. E il Messico s’infiamma, brucia un enorme pupazzo del presidente nel mezzo dell’enorme piazza centrale, lo zocalo, ed è una pira sacrificale con le fattezze di Peña. L’allegria per l’oceanica manifestazione, la partecipazione, la nuova gran comunità che si sta creando in Messico, si fonde con la rabbia e la tristezza. I familiari dei 43 studenti chiamano a mantenere vivi il movimento e la protesta.

I fatti secondo il procuratore che dice “#YaMeCanse” (mi son stancato) e l’ombra dell’esercito

La notte del 26 settembre tre studenti sono stati uccisi dalla polizia locale. Quel giorno gli alunni normalisti si trovavano a Iguala per raccogliere fondi e poter partecipare al corteo del 2 ottobre a Città del Messico, che si tiene ogni anno per ricordare la strage di studenti di piazza Tlatelolco nel ’68. Un filo rosso di repressione e sangue lega quindi le due stragi. “Crimine di stato”, si legge su striscioni e manifesti per le strade del Messico. Altre tre persone che si trovavano per caso nel luogo della sparatoria sono state ammazzate. Infine altri 43 studenti sono stati sequestrati dagli agenti di Iguala, aiutati da quelli della vicina città di Colula, e poi, secondo le testimonianze dei detenuti per il caso, sono stati consegnati ai membri del cartello della droga dei Guerreros Unidos, collusi con le forze dell’ordine e agli ordini del sindaco di Iguala, José Luis Abarca. I narcos li avrebbero bruciati per 15 ore, disperdendone poi i resti in un fiumiciattolo e nella discarica della spazzatura di Cocula.

ayotzinapa marchaIl 7 novembre il procuratore della Repubblica, Jesús Murillo, ha riferito questa versione, cercando di chiudere il caso, ma, in mancanza di prove scientifiche per sostenerla, non ha potuto dichiarare “morti” gli studenti che restano, quindi,desaparecidos. I resti trovati nel luogo del rogo indicato dai narcos sono in Austria per uno studio del DNA che dovrà confermare o smentire il procuratore. Alla fine della conferenza stampa, irritato dall’insistenza dei giornalisti, il procuratore ha pronunciato la frase “Ya me cansé” (“ormai sono stanco”) che è diventata virale su Twitter ed è ora il tormentone nelle proteste. La società è stanca di menzogne e giustificazioni. Le dimissioni del governatore, l’arresto di Abarca, della moglie e di una sessantina tra narcos e poliziotti e la recente cattura del capo della polizia di Cocula, César Nava, accusato anche lui della sparizione degli studenti, non bastano e non possono di certo emendare una situazione di marciume strutturale.

Le versioni ufficiali e i polveroni sollevati alla fine di ogni conferenza stampa o dopo ogni rivelazione fatta da qualche detenuto o da presunti testimoni oculari e persone della zona potrebbero costituire un enorme specchio per le allodole che aiuterebbe a nascondere altre piste possibili, per esempio quella che punta verso il 27esimo battaglione d’infanteria dell’esercito a Iguala come possibile responsabile. Non è un’ipotesi scellerata. Nel 2011 HRW (Human Rights Watch) aveva denunciato la sparizione di 6 persone in un club notturno di Iguala, avvenuta alle 22:30 del 1 marzo 2010, filmata da una videocamera e infine confermata da alcuni testimoni che descrivono i sequestratori, e le persone al loro seguito, come appartenenti alle forze armate per i loro veicoli e le uniformi. I PM indagarono, ma rimisero il caso alla giurisdizione militare che nei 18 mesi successivi non accusò nessuno del crimine. HRW conclude che ci sono prove che suggeriscono decisamente il coinvolgimento dell’esercito. I sei desaparecidos non sono più tornati a casa.

La IV Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa e gli arresti arbitrari

“E’ stato lo Stato”, “Vivi li han portati via, vivi li vogliamo” sono gli slogan che da due mesi rimbalzano sui social e in tutte le manifestazioni. Il pomeriggio del 20 novembre migliaia di persone in 150 città hanno espresso la loro solidarietà ai familiari dei ragazzi e al Messico intero, immerso in una spirale di violenza che ha fatto oltre 100mila morti e 27mila desaparecidos in 8 anni. Nella capitale messicana oltre 150mila persone hanno sfilato nel centro per cinque ore. I genitori dei 43 desaparecidos sono arrivati nella capitale dopo aver percorso in tre carovane diversi stati del Messico durante una settimana. E tre erano anche i cortei previsti: uno di professori e studenti, in partenza da Tlatelolco, una marcia dei sindacati, con concentrazione al Monumento a la Revolucion, e infine il più grande, quello della società civile e i collettivi che partiva dall’Angel de la Independencia. “Non abbiamo paura, protestiamo anche per l’impunità, la corruzione, i femminicidi, non solo per Ayotzinapa, è ora di muovere il Messico, ma non come dice il presidente”, spiega Mario, padre di famiglia che marcia con suo figlio in braccio.

68 unaDopo il passaggio dei cortei, pacifici e variopinti, e il comizio dei genitori di Ayotzinapa, la polizia ha sgomberato violentemente la piazza, piena di famiglie e dimostranti che si stavano ritirando. L’operazione è arrivata in risposta a un gruppo di circa 50 manifestanti dal volto coperto, che cercavano di forzare le transenne intorno al Palazzo Nazionale e lanciavano molotov e petardi, però s’è diretta disordinatamente contro la folla, facendo un saldo di decine di feriti e 15 arresti, tra cui alcuni giornalisti e studenti. “L’azione della polizia ha mostrato che non hanno dati d’intelligence, né preparazione per definire che azione realizzeranno”, ha spiegato in un’intervista Maria Idalia Gómez, una giornalista ferita negli scontri.

Quattro detenuti sono stati rilasciati nelle prime 24 ore. Invece a 11 prigionieri non solo è stato confermato il fermo, ma sono stati anche attribuiti capi d’accusa gravissimi e surreali – associazione a delinquere, tentato omicidio e sommossa – per cui sono stati rinchiusi in prigioni di massima sicurezza come fossero pericolosi boss. Le tre ragazze accusate dal pubblico ministero sono state mandate a Veracruz, gli otto ragazzi nel settentrionale stato di Nayarit.

Tra di loro anche un cileno, Laurence Maxwell, studente del dottorato in lettere dellaUniversidad Nacional Autonoma de México, che, arrivato in sella alla sua bici per presenziare alla manifestazione, è stato catturato senza motivo in una piazza invasa da fumogeni e celerini. Il ministro degli esteri cileno ha espresso la sua preoccupazione immediatamente e sta circolando un appello per la sua liberazione (in italiano qui). Il ministro degli esteri messicano, José Antonio Meade, in visita in Cile per un convegno sull’Alleanza del Pacifico e il Mercosur, ha avuto una conversazione col padre di Laurence, Alberto Maxwell che, insieme al resto della famiglia, ha denunciato le irregolarità negli arresti del 20 novembre, le interferenze col dovuto processo e la mala fede da parte dell’avvocato d’ufficio, Rafael Omalaya, e, infine, ha chiesto la liberazione anche degli altri detenuti.

famiglia represion zocalo“La polizia è stata gagliarda”

Nonostante i comprovati eccessi delle forze dell’ordine e la violazione di protocolli e diritti umani a profusione, c’è ancora chi, come il responsabile della sicurezza pubblica della capitale, Jesús Rodríguez Almeida, fa i complimenti ai suoi per come hanno agito il 20. “Mi complimento con il mio personale per il lavoro svolto, per il gran coraggio, la gagliardezza, la responsabilità e soprattutto perché hanno ristabilito l’ordine pubblico, che piaccia o no”, ha dichiarato. Malmenare famiglie e innocenti è un atto da valorosi a detta del capo della polizia. Inoltre già dalla mattinata del 20 giravano fotografie di presunti infiltrati della polizia o delle forze armate (esercito? marina?), seduti all’interno di una camionetta. Questi soggetti, più tardi, sono stati immortalati mentre compievano alcuni degli “atti vandalici” che le autorità hanno condannato.

Dal canto suo anche la Commissione dei Diritti Umani di Città del Messico s’era complimentata con la polizia per come ha operato nella riapertura delle strade bloccate dai manifestanti. Questo è l’ambiente in cui si sviluppano le proteste, impuzzolito e falsificato da buona parte dei mass media (vedi quotidiano Milenio) che aspettano la repressione per accaparrarsi fette maggiori di share, elogiare forze dell’ordine allo sbando o aprire con titoli celebrativi e tendenziosi. E intanto i poliziotti possono picchiare impunemente le donne in manifestazione gridando loro: “Fottute puttane perché siete venute a manifestare!”. Ecco i diritti umani in Messico, la costante e volontaria violazione della fosca frontiera tra delinquenza e legalità che annichila lo stato di diritto e la dignità umana.

Forse per spegnere un po’ l’incendio e la crisi politica, il ministro degli Interni, Miguel Ángel Osorio Chong, ha anticipato le prossime mosse del presidente, che annuncerà “misure importanti” in tema di giustizia e stato di diritto che coinvolgeranno la società civile e i tre poteri dello stato per “modificare completamente questo scenario in cui c’è una debolezza dello stato messicano”. Il ministro non ha fornito ulteriori dettagli al riguardo.tlatelolcoIl presidente del Senato, Miguel Barbosa (del PRD, Partido Revolucion Democratica), ha precisato qualcosa, parlando di una Commissione di Stato per elaborare proposte di riforma e affrontare i problemi della violenza e la sicurezza di cui dovrebbero far parte varie personalità della società civile dalla traiettoria e “qualità morali” riconosciute. L’idea è quella di “creare centri di comando unificati affinché i corpi di polizia locale siano controllati da quelli della polizia statale e questa, a sua volta, da quella federale”. Centralizzare per provare a evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata. Per ora ci sono soltanto un po’ di suspense e molta incertezza, come in una telenovela a basso costo che serve a sviare l’attenzione.

Il movimento in crescita

Rispetto alle precedenti mobilitazioni è cresciuta la partecipazione non solo dei sindacati, dei lavoratori e degli studenti, uniti nell’Assemblea Interuniversitaria con 114 atenei, ma anche di collettivi di artisti e di tantissime famiglie, cittadini e associazioni che di solito non manifestano. L’asse delle proteste s’è spostato: non si chiede solo il ritrovamento degli studenti, ma anche le dimissioni del presidente e dell’Esecutivo. Prende piede anche l’idea di un movimento costituente o di rinnovamento radicale del paese. Nel breve e medio periodo, almeno, non sembra che le mobilitazioni possano fermarsi. La società civile chiede il conto a tutti i partiti e al governo, non solo alle forze dell’ordine e ai politici locali. Gli sforzi della procura e della diplomazia per far passare, tanto in Messico come all’estero, la mattanza di Iguala come un fatto isolato, locale, provocato da narcos e sindaci corrotti, quindi simile a tanti altri, sono stati vani.

ayotzinapa fue el estadoLa pressione internazionale aumenta ed è senza dubbio un fattore determinante per il successo e la legittimità di un movimento senza leader e in crescita, che coinvolge diversi strati della società e si struttura piano piano su obiettivi più ambiziosi, malgrado debba affrontare inevitabilmente seri problemi di coordinamento e di consolidamento di una massa critica.

Ayotzinapa è la punta di un iceberg che sta mettendo a nudo le menzogne delle riforme strutturali, promosse dal presidente Peña per “muovere il Messico tra i paesi che contano”, e del progetto di governo. “Non ci fermeremo, pare che alcune voci della protesta non vogliano che il paese cresca e non condividono questo progetto nazionale”, ha sostenuto Peña nei giorni precedenti alla protesta globale, parlando altresì di “movimenti di violenza che si nascondono dietro al dolore per protestare”. Una minaccia che s’è puntualmente realizzata. “Il presidente ha definito cortei e critiche come tentativi di destabilizzazione, minacciando l’uso della forza e ignorando la grave crisi dei diritti umani del Messico”, ha replicato il direttore Amnesty International-Messico, Perseo Quiroz. “La strage di Iguala non è un fatto isolato e il governo mostra poca serietà in questa situazione”, ha concluso.

Minacce, come nel ‘68

Il presidente Peña Nieto denuncia complotti e tentativi di destabilizzazione, includendo anche lo scandalo mediatico che è scoppiato sull’acquisto della sua residenza, detta “Casa Bianca”, che è probabilmente il più grave conflitto d’interessi della storia messicana recente. L’argomento del complotto e della destabilizzazione per giustificare la repressione è lo stesso del ’68, già usato da Díaz Ordaz, col sostegno dell’intera classe politica dell’epoca, dopo la gran manifestazione del 27 agosto di quell’anno. Oggi, per fortuna, non è più la maggior parte dei politici a seguire il discorso del presidente e la società civile ha altri strumenti per informarsi e ribellarsi. Il consenso sull’uso della violenza per contrastare le proteste cittadine all’interno delle élite politiche non è unitario, ma ciò non è sufficiente a evitare che la tenaglia, piano piano, si stringa sul dissenso, una volta che il caso Ayotzinapa abbia smesso di far parlare di sé, magari dopo che il governo e la procura avranno offerto un’altra “versione verosimile” dei fatti.

tlatelolco treNon lo possiamo sapere, ma Ayotzinapa e Iguala, senza dubbio, sono momenti di svolta e, affinché questa diventi irreversibile e favorisca un vero cambiamento, non esistono strade tracciate e soluzioni preconfezionate. Ilmovimento per la pace (MPJD) del 2011, preceduto dalle mobilitazioni contro la violenza verso i giornalisti scandite dallo slogan Basta Sangre!, e lo studentesco YoSoy132 del 2012 non sono del tutto spenti e sostengono #AyotzinapaSomosTodos. La loro esperienza e i loro insegnamenti sono preziosi, soprattutto perché sono nati anch’essi in modo spontaneo, grazie alle reti sociali, moltiplicate da una parte dei mediamainstream, e all’associazione di collettivi, individui, gruppi sociali e movimenti preesistenti, e si sono organizzati in modo orizzontale, coinvolgendo ampi strati della società civile che erano inerti.

Le pressioni su Peña Nieto e sua moglie Angelica Rivera arrivano anche dal presunto conflitto d’interessi rivelato da un’inchiesta del portale Aristegui Noticias la quale rivela che sua moglie possiede una villa lussuosissima, la “Casa Blanca”, in un quartiere esclusivo della capitale, in cui vive anche il presidente, e che questa è stata costruita da un’impresa del gruppo Higa, una compagnia che ha vinto decine di appalti milionari quando Peña era governatore del Estado de México, regione limitrofa di Città del Messico, e anche ora che è a capo dell’esecutivo e decide sulle “grandi opere”. Nelle ultime due settimane le relazioni tra business e politica, soprattutto per quanto riguardo il cosiddetto “gruppo della città di Atlacomulco”, legato da anni all’amministrazione del Estado de Mexico e alle correnti del PRI e del mondo imprenditoriale che sostengono Peña, sono state messe a nudo, il che ha generato aspre critiche e perdita di fiducia nei confronti della coppia presidenziale.

enrique y angelicaOsorio Chong, ministro degli interni, ha detto il 22 novembre che la “violenza non sarà mai la strada per ottenere giustizia”. Non si capisce se stia parlando della violenza della polizia messicana o di altri apparati dello stato, sinceramente. Ma ancora più paradossali sono state le dichiarazioni del 21 del presidente: “Ci sono persone interessate a guastare la libertà e questo non lo permetteremo”. Starà parlando di se stesso o del medesimo governo? Pare proprio di sì. Per essere precisi la frase è questa: “Non lo permetteremo perché è un obbligo dello Stato messicano nel suo insieme assicurare che le manifestazioni cittadine non siano sequestrate da coloro che agiscono con la violenza e il vandalismo”, in riferimento al gruppo di una cinquantina di incappucciati che hanno lanciato petardi e molotov contro i poliziotti.

La repressione del #20NovMx

Verso le ore 21 del 20 novembre la piazza è effervescente, il corteo è stato un successo. Alla fine dei comizi iniziano a partire molotov e petardi da un gruppo circoscritto di persone, relativamente inoffensivo e minoritario rispetto alla massa ancora presente nellozocalo, sicuramente controllabile dai 500 celerini che erano schierati e che avrebbero potuto incapsularli e fermarli. Invece no, si decide di attaccare alla rinfusa tutti, di torturare, invadere e fermare i dimostranti a casaccio, come sempre più spesso accade dal primo dicembre 2012, data dell’insediamento di Peña e del “nuovo” PRI che fu segnata dalla militarizzazione della capitale e da decine di arresti. Il copione è sempre quello: manifestazione pacifica, piccolo gruppo, spesso non identificabile e fuggevole, di infiltrati,incappucciati, black bloc, anarchici (secondo le cambianti e fumose definizioni della stampa e dei portavoce ufficiali) e poi repressione violenta con aggressioni contro fotografi, reporter e difensori dei diritti umani, con decine di arresti indiscriminati che, spesso, non possono nemmeno essere confermati per mancanza di prove da parte degli inquirenti. All’arresto, inoltre, segue sempre una lunga serie di abusi e umiliazioni.

zocalo 68Sempre il 20 novembre, durante le manifestazioni e i blocchi stradali realizzati da circa 5-600 dimostranti la mattina, finiti con 16 arresti, sono stati aggrediti ben 18 giornalisti, secondo l’organizzazione per la difesa della libertà d’espressione Article19, mentre nel pomeriggio, nello zocalo, il corrispondente e fotografo cileno dell’agenzia AP, è stato arrestato, e quasi subito rilasciato non prima di vedersi rubare le attrezzature, ed è stato ferito Eduardo Molina, fotografo del settimanale Proceso e autore della foto che apre quest’articolo, diventata il simbolo della IV Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa. Molina è stato colpito da un agente che gli ha scagliato addosso un pezzo di una transenna metallica, per cui ha dovuto farsi ricoverare. Brucia il pupazzo raffigurante il presidente e brucia il Messico, di rabbia e protesta per l’inettitudine e gli inganni delle autorità. E poi arriva la vendetta, la “coreografia infernale”, come l’ha definita lo scrittore Tryno Maldonado in una terrificante e veritiera cronaca dei fatti.

“Nelle azioni della polizia, che conosco bene per aver coperto molte situazioni come questa, si nota che non hanno informazioni d’intelligence, si nota che non hanno una preparazione previa per definire qual è l’azione o operazione che realizzeranno, basta vedere come hanno agito la sera del 20 novembre”, spiegava, ancora scioccata, in un’intervista radiofonica, Maria Idalia Gómez, giornalista di Eje Central, portale informativo di stampo conservatore.

Violenza e negazione

Stava provando a raccontare cosa è successo alla fine di un’enorme e pacifica manifestazione a Città del Messico, quando una cinquantina di incappucciati e indignati hanno cominciato a muovere le transenne protettive e a lanciare petardi e molotov in direzione dei poliziotti che presidiavano il portone del Palacio Nacional, sede del potere presidenziale. C’erano ancora migliaia di persone in piazza e per le strade del centro, una parte dell’ultimo corteo, quello che arrivava dall’Angel de la Independencia, doveva ancora fare il suo ingresso nella piattaforma dello zocalo. Il piazzale era stipato di famiglie, bambini, dimostranti, cittadini, persino turisti e passanti, ma la vendetta poliziesca, perché di vendetta è giusto parlare, è arrivata comunque.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=rz3ygBi0qcc

Comincia l’attacco, la farsa del mantenimento dell’ordine dove l’ordine c’era già. Azioni indiscriminate, ripetute, anche contro chi non aveva partecipato al corteo o comunque non era nel gruppo che aveva provocato i primi scontri. Un’ora di repressione pura della polizia federale e dei granaderos (corpi antisommossa di Città del Messico), attaccando le famiglie alla rinfusa, cercando di catturare gli aggressori che, però, sfuggono, strisciano via. Reati di stato, violazioni ai diritti umani, e nessuno che lo possa negare. Ciononostante c’è chi ci prova, comunque.infiltrados22Come Juan José Gómez Camacho, ambasciatore del Messico in Belgio e presso l’Unione Europea, che il 25 novembre s’è visto costretto a dare udienza a un centinaio di messicani, belgi e cileni, accompagnati da Amnesty International e altre organizzazioni. I presenti l’hanno messo alle corde criticandolo per la sua posizione estremamente “diplomatica” di fronte all’emergenza che vive il paese (video). “Il Messico non ha fatti isolati, in 20 mesi col signor presidente ci sono più di 50mila morti…”, lo increpa una donna.

“No”, la interrompe l’ambasciatore. E lei continua: “Io so che il governo attuale sta lavorando, ma stanno ammazzando molta gente e stanno sparendo in tanti. Mi scusi, ma molti di noi sono qui perché non possiamo stare in Messico, quale sarà la posizione di un Ambasciatore che è indignato e che deve dire ‘stop’ perché in Messico ci sono atti di lesa umanità, crimini di lesa umanità?”. “Non lo condivido”, risponde secco il funzionario mentre i presenti alzano la voce stizziti. Gomez Camacho nega persino le violenze e aggressioni del 20 novembre sostenendo che la polizia ha agito per controllare la violenza. “Io non ho visto nessun incappucciato in arresto”, grida un giovane. “Non so cosa ha visto lei”, risponde il diplomatico. E il giovane ribatte: “Non ho bisogno ormai delle sue parole, ho bisogno delle sue dichiarazioni sul giornale, in cui dice che il Messico non va bene”. Clamando “Rinuncia, rinuncia”, la gente si ritira e il dialogo finisce.

Lo stato vittimizza ripetutamente e il mondo reagisce

“Dai, così vi viene voglia di ritornare”, gridavano i poliziotti mentre picchiavano uomini e donne, anziani e passanti. Scudi contro corpi, sfollagente su ossa e teste. Random. Hanno addirittura tirato sedie addosso ai commensali di alcuni ristoranti coi tavolini all’aperto. ¡Bienvenidos! Tra gas lacrimogeni, inseguimenti perversi, urla e manganellate, arresti arbitrari di cittadini e giornalisti, insulti e torture, le “forze dell’ordine” hanno mostrato la loro impotenza e hanno violentato, ancora una volta, la società e il diritto d’espressione e libera manifestazione, mostrando il vero volto del nuovo autoritarismo messicano, mascherato da riformismo paternalista e modernismo straccione. Il video dell’arresto dello studente Atzín Andrade (Video Link 20 sec) parla da solo.

MOV2 DE OCTUBRE DE 1968 INFORMACION MOVIMIENTO  ESTUDIANTIL EN TLATELOCOPaura, sorpresa, incertezza, violenza e, come è successo a tutti i 31 arrestati del 20 novembre e ai 23 di loro che sono stati trattenuti, la negazione della scelta dell’avvocato difensore e l’impossibilità di comunicare col mondo esterno per molte ore, tra le varie violazioni ai diritti umani subite. Le responsabilità di quanto accaduto deve partire dai corpi di polizia che hanno partecipato allo sgombero ma soprattutto deve arrivare fino ai loro capi.

L’importante, quindi, non è prendere gli eventuali responsabili delle violenze o i colpevoli dei reati, sempre che ne siano stati commessi per davvero, ma instillare la paura, diffondere un messaggio chiaro: se manifesti, può succedere anche te, e non ci interessa che cosa stavi facendo, il manganello colpisce tutti solo per il fatto di essere lì in quel momento. Proprio come la narco violenza che non massacra solamente i trafficanti e i sicari della criminalità organizzata, come cercano di farci credere da 8 anni a questa parte, ma può colpire tutto e tutti, in qualunque momento, su un autobus di linea o in un campeggio, fuori da un bar o in un parco, dentro alla metro o in una festa in piazza.

Ovunque, sempre, anche se non ce ne accorgiamo e se ci ripetono che i “mafiosi” si sparano solo tra di loro. Sì, e i poliziotti invece picchiano e trattengono, torturano e sequestrano solo i delinquenti, non i cittadini “decenti”. Per un po’ volevano farci credere questa favoletta anche nel caso della mattanza degli studenti Iguala. “Le vittime erano dei guerriglieri”, dicevano alcuni. “Ordine è stato fatto”, “Erano legati ai narcos rivali deiGuerreros Unidos, ai Los Rojos”, facevano eco altri, tra giornalisti venduti, pessimi rappresentanti della “legge” e politici in mala fede.

Sprad the news presos 20NLa parola “decente”, contrario di indecente o sconcio, è stata utilizzata anche nella riforma educativa, proprio nella legislazione, per descrivere il tipo di lavoro che “finalmente” potranno ottenere i maestri messicani, come se fino ad oggi fossero stati sconvenienti, immorali, e la riforma, approvata l’anno scorso dal parlamento su proposta presidenziale e contestata duramente dai sindacati dissidenti degli insegnanti, venisse a salvarli dalle loro bassezze. Perversioni del linguaggio e d’una certa classe politica. Il presidente ha sottolineato come ci sia stato un “coordinamento tra le forze federali e quelle della capitale per far rispettare la legge durante le mobilitazioni di giovedì”. Ci vuole davvero del cinismo.

Il discorso ufficiale dice una cosa, però la realtà, ritratta da migliaia di foto e video lo smentisce. Ma la TV ha un potere ancora maggiore delle reti sociali ed ecco che la repressione dello zocalo del 20 novembre deve iniziare e finire prima del telegiornale più seguito, quello delle 22.30. Così si potrà raccontare come la polizia federale e quella della capitale hanno agito per salvare la patria da alcuni facinorosi, 100 o 200mila facinorosi che, tornando a casa, non possono far altro che gridare “Governo assassino!” e “Fuori Peña!” e darsi appuntamento per il prossimo corteo o la prossima assemblea. Il foro globale per Ayotzinapa, formato all’estero da oltre 60 istituzioni e organizzazioni per aumentare la pressione internazionale, per denunciare la situazione e creare iniziative, raccolte dal blog https://ayotzinapasomostodos.wordpress.com/, sta promuovendo un appello Contro la repressione e la criminalizzazione della protesta civile in Messico. La lettera si può firmare a questo LINK.

Che cosa raccoglie un paese che semina corpi?

unam 68Il compositore di salse e ballate panamense Ruben Blades canta e si chiede: “Dove vanno i desaparecidos?”. Alcuni hanno il privilegio di finire nella memoria collettiva, pochi ricompaiono, altri restano con le loro famiglie, come ombre e ricordi della vita che avevano e che lo stato gli ha portato via. Alcuni finiscono sulle foto appese ai muri nelle stazioni della metropolitana e la maggior parte confluisce in una statistica incerta, traballante, come quelle che da un lustro rimbalzano sui media e sui siti governativi del Messico. Paese di fosse comuni, paese di bellezze naturali, deserti, oceani a est, a ovest, e coste infinite, come le piantagioni di papavero da oppio e marijuana. Territorio ricco di tradizioni, tragedie e arti senza eguali, tra i primi esportatori di auto straniere e metanfetamine. Paese di desaparecidos, 22mila, 27mila, 30 mila, nessuno lo sa. Ma si sa che sono tanti.

Come tanti sono i 43 studenti della scuola normale “Isidro Burgos” di Ayotzinapa, sequestrati dai poliziotti di Iguala e Cocula, nello stato del Guerrero, la notte del 26 settembre e consegnati, per ordine del sindaco di Iguala, José Luis Abarca, a una banda di narcotrafficanti dal nome ridicolo e terribile: i Guerreros Unidos. Lo stato c’era, ma non ha agito. La polizia statale e quella federale non sono intervenute. Il 27esimo battaglione dell’esercito, di stanza nella zona, non solo non ha impedito l’uccisione di tre studenti e di altre tre persone, non solo “non ha avvertito” sparatorie e inseguimenti durati ore nella sua zona di competenza, lavandosene le mani, ma i soldati hanno addirittura vessato e maltrattato gli studenti che s’erano rifugiati in un ospedale per chiedere aiuto e soccorso. Li ha chiamati dottore dell’ospedale. Perché?

Sapeva che questi l’avrebbero fatta pagare cara ai “rivoltosi” alunni della normale? Pare proprio di sì. Li ha chiamati perché chi comanda realmente là sono loro? Forse sì. Non il sindaco, corrotto fino all’osso e colluso coi narcos al punto da utilizzarli come braccio armato per tutti i suoi lavoretti, in alleanza con la polizia locale controllata dal suocompadre Felipe Flores. Non sua moglie, sorella di quattro narcotrafficanti e connessione logica tra gli affari sporchi del marito e quelli della sua famiglia d’origine. Non l’ex governatore Aguirre, ora dimissionario ma sempre in attesa di tornare sulla scena politica grazie al sostegno indefesso dei suoi compagni di partito del PRD. O almeno non solo loro.

pri diaz ordaz peña nietoOltre alle zoppicanti versioni della procura stanno circolando altre ipotesi che attribuiscono la responsabilità dei fatti di Iguala all’esercito, come sostengono l’ex Generale Francisco Gallardo, intervistato da Federico Mastrogiovanni per la rivista Variopinto, e un comunicato del gruppo guerrigliero EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario). Entrambi denunciano come fino ad oggi l’esercito abbia condotto nella regione una sorta di guerra permanente di bassa intensità contro studenti e contadini, gruppi insorti e sindacati, che, oltre a rappresentare le voci più critiche a livello politico, s’oppongono allo sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali del settore minerario. A un’ora da Iguala, infatti, c’è la miniera d’oro più importante dell’America Latina e nella zona s’estraggono anche argento, piombo, ferro, rame e zinco.

Forze armate messicane, neoliberalismo e riformismo presidenziale

L’esercito mantiene la sua buona fetta di potere, ingrassato economicamente e potenziato nelle sue funzioni dalla politica di narco-guerra di Calderón (2006-2012) e mantenuto da Peña Nieto, forse impantanato tra la tentazione di ridimensionarne il budget e la presenza sul territorio e l’impossibilità concreta di farlo. Più facile ordinare alle TV amiche e al corpo consolare in tutto il mondo la propagazione di campagne mediatiche e offensive diplomatiche per nascondere i problemi endemici del paese, molto più “strutturali” del pacchetto di riforme costituzionali che sono dette, appunto “strutturali” e sono state approvato in fretta e furia nel 2013 dai partiti del Patto per il Messico, le grande intese alla messicana tra PRI, PRD e PAN (Partito Acción Nazional).

68 dueOggi la “coalizione” per le riforme è fallita, ma ha lasciato una bella eredità al Messico: riforme neoliberali e frettolose in quasi tutti i settori dell’economia e del mondo del lavoro, dall’energia all’istruzione, dalle telecomunicazioni al fisco. Mentre il debito cresce quasi come ai tempi d’oro del vecchio PRI del secolo scorso, non si prevedono le coperture per rimpiazzare la rendita petrolifera generata dalla compagnia statale PEMEX che, asfissiata dai sindacati cooptati dal governo e dal fisco che si porta via a priori i 2/3 del suo fatturato, è in caduta libera. Le entrate statali per gas e crudo verranno presto ulteriormente compromesse dall’ingresso delle multinazionali energetiche straniere, assetate di idrocarburi e forza lavoro capace, disciplinata, ricattabile e iper-flessibile. L’Europa pare seguire il “modello socio-economico messicano” e il Messico lo radicalizza per dare il buon esempio e farsi bello dinnanzi agli investitori europei, cinesi, americani e giapponesi.

Di fronte alla ritirata dello stato e del welfare e all’avanzata del fondamentalismo di mercato, dell’insicurezza fisica, della disuguaglianza economica e dell’incertezza sociale, una risposta logica e spietata sembra essere l’uso delle forze armate come strumento di contenzione, offesa, controllo e stabilizzazione. Ad ogni modo non è un segreto che i militari restino il pilastro della strategia di sicurezza attuale, anche se, fino a poco tempo fa e per un paio d’anni, non se n’è parlato. Ayotzinapa rappresenta in questo senso un doloroso ma formidabile spartiacque, la rottura dei sogni di gloria del dinosauro PRI (Partido Revolucionario Institucional), tornato al potere dopo 12 anni di digiuno.

firme ayotzinapaIn genere le milizie, per continuare a essere determinanti, hanno bisogno delle emergenze e del conflitto, sia esso, nel contesto messicano, tra narco-cartelli o tra diversi livelli di governo (locale, statale e federale), ovvero tra gli apparati dello stato e i trafficanti, se non tra il proprio paese e altri stati. E hanno la necessità di mantenere alto il livello di scontro, inteso anche come guerra di bassa intensità e conflitto sociale, condotti contro i gruppi dissidenti come gli studenti e i maestri delle normali o i sindacati non cooptati dal governo e i campesinos, per proseguire nella gestione di affari e territori, di carriere interne ed equilibri politici locali e, perché no, nazionali. Occorre giustificare ad libitum la propria esistenza e l’aumento delle proprie competenze e risorse. Non tutti la pensano così negli ambienti castrensi, tant’è che nelle elezioni presidenziali del 2012 esistevano settori delle forze armate che sostenevano il candidato di centro-sinistra Andrés Manuel López Obrador perché aveva promesso il ritorno dei militari nelle caserme e la fine della narco-guerra militarizzata.

Guerrero guerrigliero e tradizioni stragiste

A parte le diverse “correnti di pensiero”, c’è anche da considerare che la situazione del Guerrero è peculiare: tra gli stati più poveri della repubblica messicana, è da decenni focolaio di insurrezioni armati e guerrigliere, polizie comunitarie e dissidenze sociali combattive e radicali che hanno nell’esercito il principale nemico, insieme ai governatori di turno e ai vari corpi di polizia. Lo stesso Angel Aguirre, nel marzo 1996, divenne governatore sostituto del cacicco del PRI, Rubén Figueroa, dopo la strage di Aguas Blancasdel 28 giugno di quell’anno, in cui 17 contadini furono ammazzati dalla polizia statale e 21 furono feriti durante un’imboscata pianificata dalle autorità e, presumibilmente, dallo stesso Figueroa. Verso la fine del suo mandato ad interim, fu a sua volta indicato come responsabile del massacro de El Charco del 13 giugno 1998, in cui un battaglione di soldati sparò e uccise 11 presunti guerriglieri disarmati. La mattanza de El Charco è stata considerata come un precedente di quanto avvenuto a Iguala due mesi fa da alcuni giornalisti.

68 centroPer capire le logiche del potere nel Guerrero, basta menzionare il fatto che a Iguala c’è un’intera zona cittadina dedicata alla moglie di Ruben Figueroa, chiamata “colonia Silvia Smutny de Figueroa”, codice postale 40010. Il padre del politico, Rubén Figueroa Figueroa, fu governatore del Guerrero tra il 1975 e il 1981, durante gli anni più duri della guerra sucia (guerra sporca) del governo contro i gruppi guerriglieri e ogni tipo di dissenso sociale. Il leggendario guerrigliero, fondatore del Partido de los Pobres, Lucio Cabañas era un maestro diplomato alla scuola normale di Ayotzinapa, ma soprattutto era un acerrimo nemico di Figueroa. Infatti, il Partido aveva rapito il politico nel maggio 1974 e poi rilasciato tre mesi dopo.

Quando Lucio venne ucciso dall’esercito il 2 dicembre di quell’anno, Figueroa, non soddisfatto, si vendicò su sua moglie Isabel. Una volta eletto governatore, fece liberare lei, sua figlia e sua suocera, che erano detenute in una caserma militare da anni. Con l’inganno indusse Isabel, solo sedicenne, ad andare nel suo ufficio e la violentò. La ragazza perse il figlio del suo aggressore, prodotto di quella violenza, in seguito a un aborto spontaneo pochi mesi dopo. Storie, antiche e odierne, di baroni, eserciti, governanti e popoli in lotta nel Messico profondo. Ne parla la giornalista Laura Castellanos,in Mexico Armado 1943-1981 (Ed. Era, Messico, 2007). Il caso Ayotzinapa ha risvegliato le cellule guerrigliere. Solo il mese scorso i quattro gruppi principali della regione – Ejército Popular Revolucionario (EPR), Ejército Revolucionario del Pueblo Insurgente (ERPI), Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP), le Milicias Populares e le Fuerzas Armadas Revolucionarias-Liberación del Pueblo, hanno emesso 13 comunicati.

Calle 13 e Pepe Mujica

calle13 con papa ayotzinapaSabato 22 novembre, al Palacio de los deportes di Città del Messico c’è stato un concerto particolare. Siccome la costituzione messicana impedisce agli stranieri di realizzare attività politiche nel paese, il “Residente” René Pérez, cantante della band portoricana Calle 13, ha deciso di dare uno spazio ai familiari dei desaparecidos di Ayotzinapa. Il padre dello studente César Manuel González, ha parlato di fronte a 18mila spettatori: “Noi non siamo stanchi, abbiamo camminato e non vi immaginate quanto, ma siamo ancora più forti perché anche se ci dicono che ci sono tombe e fosse, vedrete che raschiando in questo Stato troverete migliaia di morti, non sono solo 43”. Negli ultimi giorni i genitori dei ragazzi hanno continuato a cercare, a esplorare, a scavare nei dintorni di Iguala e hanno trovate sette nuove fosse clandestine, con dentro altri cadaveri e resti da identificare, altri desaparecidos senza identità. “Tutte le cause sociali sono importanti, ma il caso di Ayotzianapa mi pare che vada oltre la politica: trascende il piano dei diritti umani, va oltre il Messico, è una cosa più grande, perché è una situazione molto forte, è una disgrazia”, ha concluso Pérez.

Il presidente uruguayano, José “Pepe” Mujica, in un’intervista per Foreign Affairs ha parlato del Messico come di “una specie di stato fallito, in cui i pubblici poteri sono totalmente fuori controllo, in marcimento”. La cancelleria messicana ha reagito esprimendo “sorpresa e rifiuto”. Mujica ha anche detto che “la parte migliore del Messico è obbligata, cada chi debba cadere, faccia male a chi debba far male, indipendentemente dalle conseguenze, a chiarire questa questione, perché a partire da questo episodio sono sorte cose collaterali, come la scoperta di tombe che non c’erano prima. Vuol dire che ci sono più morti che non sono nemmeno rivendicati. Allora la vita umana vale meno di quella di un cane”.

In chiusura segnalo un ottimo video realizzato dal Centro Universitario di Studi Cinematorgrafici (CUEC) della UNAM, Universidad Nacional Autonoma de México, per descrivere la IV Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa e la mega-marcia nella capitale messicana per protestare contro la sparizione dei 43 studenti normalisti e chiedere la renuncia del presidente Peña Nieto al grido di “¡Fue el Estado!”. 

Link Orignale Vimeo

Lettera/ Petizione per Laurence Maxwell e gli 11 detenuti politici del #20NOVMX

I reportage su Carmilla:

  1. 1. La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica
  2. Il Messico e Ayotzinapa gridano: 43 con vida ya!
  3. Benvenuti in Messico: desaparecidos e morti di #Ayotzinapa #Fueelestado
  4. Due mesi dopo la strage: le vene aperte del Messico e #Ayotzinapa

Ultime narrazioni di Andrea Spotti su Radio Onda d’Urto:

  1. 1. Messico, un 20 novembre di lotta e repressione
  2. Ayotzinapa Somos Todos: IV giornata di Azione Globale

Due documentari di Vice:

Prima parte: The missing 43: Mexico’s disappeared students

Seconda Parte: The search continues: Mexico’s desappeared students

Altri Link Utili:

GlobalProject – Cronaca della IV Giornata Globale per Ayotzinapa e altri articoli

A cosa sono servite per ora le proteste: Infografica

Radiografia delle organizzazioni criminali nel Guerrero

Video dell’intervento della deputata Heinke Hänsel al parlamento tedesco su Ayotzinapa e i Messico.

Video Sgombero Zocalo di Eje Central

https://www.youtube.com/watch?v=2eEOJIkllb0

Video Sgombero by Subversiones

https://www.youtube.com/watch?v=rz3ygBi0qcc

Video IV Jornada de Acción Global Ayotzinapa 20 novembre 2014 di Subversiones

https://www.youtube.com/watch?v=xh96O6pMIC4

 guerrero ayotzinapa crac7

¿Adónde van los desaparecidos?
Busca en el agua y en los matorrales.
¿Y por qué es que se desaparecen?
Porque no todos somos iguales.
¿Y cuándo vuelve el desaparecido?
Cada vez que los trae el pensamiento.
¿Cómo se le habla al desaparecido?
Con la emoción apretando por dentro.”

Da “Desaparecidos” di Rubén Blades

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PRIMO FESTIVAL MONDIALE DELLE RESISTENZE E DELLE RIBELLIONI CONTRO IL CAPITALISMO

 PROGRAMMA GENERALE

INAUGURAZIONE. COMUNITA’ DI SAN FRANCISCO XOCHICUAUTLA, MUNICIPIO DI LERMA, ESTADO DE MÉXICO.

Sabato 20 dicembre 2014:

  • Ore 16:00 Inizio delle registrazioni e ricevimento dei delegati.

Domenica 21 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Proseguimento delle registrazioni e colazione.
  • Ore 13:00-14:00 Pranzo.
  • Ore 14:00-16:00 Inaugurazione del Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni Contro il Capitalismo.
  • Ore 16:00-21:00 Evento culturale.

Nota:

  • Ore 18:00 partenza di delegati e delegate per Amilcingo.
  • Ore 21:00 arrivo ad Amilcingo ed inizio delle iscrizioni de@ delegat@ per questa sede della condivisione.

PRIME CONDIVISIONI A SAN FRANCISCO XOCHICUAUTLA E AMILCINGO.

San Francisco Xochicuautla, Municipio di Lerma, Estado de México.

Lunedì 22 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Cena.

Martedì 23 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Chiusura dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:30 Cena.

Amilcingo, Municipio di Temoac, Morelos.

Lunedì 22 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Benvenuto da parte dei compagni di Amilcingo.
  • Ore 9:30 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Cena.

Martedì 23 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Chiusura dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:30 Cena.

 

GRANDE FESTIVAL CULTURALE A CITTA’ DEL MESSICO 24, 25 E 26 DICEMBRE 2014. Lienzo Charro, Cabeza de Juárez. Av. Guelatao, No 50, Colonia Álvaro Obregón. Delegación Iztapalapa

Nota:

  • 27 dicembre 2014. Partenza dei delegati e delegate del CNI e della Sexta per la sede di Candelaria, Campeche.

TERZA CONDIVISIONE. MONCLOVA, MUNICIPIO DI CANDELARIA, CAMPECHE.

Sabato 27 dicembre 2014:

  • Ore 16:00 Inizio iscrizioni delle e dei delegati a Monclova.

Domenica 28 dicembre 2014:

  • Ore 7:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Benvenuto da parte dei compagni della Península.
  • Ore 9:30 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 12:00 Pausa e pozol.
  • Ore 12:30 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 16:00-17:00 Pranzo.
  • Ore 17:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 20:00 Chiusura.

Lunedì 29 dicembre 2014:

  • Ore 7:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 12:00 Pausa e pozol.
  • Ore 12:30 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 16:00-17:00 Pranzo.
  • Ore 17:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 20:00 Chiusura.

Nota:

Martedì 30 dicembre 2014. Partenza di delegati e delegate del CNI e della Sexta per Oventic.

FESTA DELLA RIBELLIONE E DELLA RESISTENZA ANTICAPITALISTA NEL CARACOL DI OVENTIC, CHIAPAS.

31 dicembre 2014 e Primo gennaio 2015.

PLENARIA CONCLUSIVA, ACCORDI E DICHIARAZIONI. CIDECI, SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS.

2 gennaio 2015:

  • Riassunti delle relazioni di ogni Condivisione.
  • Proposte risultanti.

3 gennaio 2015:

  • Accordi e compiti.
  • Dichiarazioni.

CHIUSURA.

_______________________________________________________________

REGISTRAZIONE ED ISCRIZIONE DEI DELEGAT@.

Potranno registrarsi ed iscriversi per partecipare come delegat@:

  1. Popoli, comunità ed organizzazioni membri del CNI.
  2. Gli aderenti alla Sexta Nazionale ed Internazionale.
  3. Popoli, comunità ed organizzazioni indigene local e regionali invitati direttamente dalle sedi delle condivisioni in accordo con la Coordinación Provisional del CNI.
  4. Le organizzazioni social in resistenza invitate dal Congresso nazionale Indigeno e dall’Esercito Zapatista di Liberazione nazionale.

Potranno registrarsi come stampa:

  1. I media liberi e alternativi aderenti alla Sexta.

Per la registrazione ed iscrizione de@ delegat@ viene costituita una COMISIÓN ÚNICA DE REGISTRO formata dalla Coordinación Provisional del CNI, delegat@ di ognuna delle sedi delle condivisioni ed una commissione della Sexta Nazionale.

  • La registrazione de@ delegat@ del Congresso Nazionale Indigeno avverrà tramite l’indirizzo di posta elettronica catedratatajuan@gmail.com fino a prima del 15 dicembre 2014 specificando chiaramente nella mail il nome de@ delegat@, il popolo di appartenenza (lingua), comunità o organizzazione, municipio e stato. SI DOVRA’ INOLTRE INDICARE A QUALE TAPPA DEL FESTIVAL SI INTENDE PARTECIPARE O SE SI INTENDE PARTECIPARE A TUTTO IL FESTIVAL.
  • La registrazione de@ delegat@ della Sexta Nazionale ed Internazionale e dei media liberi ed alternativi avverrà tramite l’indirizzo di posta elettronica comparticionsexta@gmail.com fino a prima del 15 dicembre 2014 specificando chiaramente nella mail il nome de@ delegat@, organizzazione e/o collettivo o se in forma individuale, stato e paese. SI DOVRA’ INOLTRE INDICARE A QUALE TAPPA DEL FESTIVAL SI INTENDE PARTECIPARE O SE SI INTENDE PARTECIPARE A TUTTO IL FESTIVAL.
  • La registrazione de@ delegat@ direttamente invitati avverrà tramite l’indirizzo di posta elettronica catedratatajuan@gmail.com o direttamente presso le sedi delle condivisioni secondo i tempi definiti nel programma del Festival.

I popoli, comunità ed organizzazioni membri del CNI e della Sexta che desiderino presentare un evento culturale o vendere prodotti durante il GRANDE FESTIVAL CULTURALE A CITTA’ DEL MESSICO dovranno rivolgersi all’indirizzo di posta elettronica comparticioncultural@gmail.com fornendo tutte le informazioni necessarie.

Messico, novembre 2014

DISTINTAMENTE

PER LA RICOSTRUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI

MAI PIU’ UN MESSICO SENZA DI NOI

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

 Traduzione “Maribel” -Bergamo

Testo originale

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Autostrada San Cristóbal-Palenque: “Un’opera che arricchirà chi possiede di più, e resterà ben poco ai popoli originari”

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO

Chiapas, Messico. 25 novembre. “In questi mesi abbiamo chiesto alle nostre comunità se vogliono o no che si costruisca l’autostrada Palenque-San Cristóbal e la loro risposta è stata che si tratta di un’opera che distrugge madre natura. È un’opera che arricchirà chi più possiede, e poco resterà per i popoli originari di queste terre”, affermano popoli maya e meticci che hanno manifestato in migliaia a Tumbalá, San Cristóbal de las Casas, Yajalón, Huixtán, Cancúc, Tenejapa, Oxchuc, Ocosingo, Altamirano, Salto de Agua, e Bachajón.

Nella “Giornata Internazionale Contro la Violenza e lo Sfruttamento delle Donne”, i membri di Pueblo Credyente della Diocesi di San Cristóbal de Las Casas, in diverse manifestazioni in tutto lo stato hanno detto “basta alle diverse forme di corruzione del governo ed alla violenza contro il popolo”. Hanno solidarizzato con le “sorelle colpite fisicamente e psicologicamente, escluse, sfruttate, picchiate, violate, discriminate”, e si sono impegnati “a rispettarle e difenderle di quelle istituzioni o persone che violano i loro diritti, cominciando a casa nostra”.

I cortei si sono svolti anche “in solidarietà con le oltre centomila vittime del crimine organizzato ed in particolare con le famiglie dei giovani morti e dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa, Iguala, Guerrero, e con le vittime di Acteal alle quali il governo non ha fatto giustizia”. Hanno inoltre manifestato il loro appoggio alla comunità di Simojovel: “nella loro lotta per la vita, contro la corruzione e con coloro che sono stati minacciati di morte, come il Professor Marcelo Pérez Pérez ed altre persone del consiglio parrocchiale”.

COMUNICATO E FOTO DELLE MANIFESTAZIONI: http://espoirchiapas.blogspot.mx/2014/11/miles-marchan-en-san-cristobal-contra.html

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6Lettera Internazionale per #Ayotzinapa

Il nostro dolore e la nostra rabbia

Come proseguire in questa nuova tappa?

Dal 26 settembre 2014 il Messico ha visto se stesso e il mondo è tornato a vedere una realtà ormai inoccultabile che si è palesata nella forma più terribile. Iguala è il luogo nel quale il Messico del dolore e della morte non ha più potuto evadere dalla sua realtà, il luogo che ha riempito d’indignazione il mondo intero, il luogo nel quale il segreto di Pulcinella si è convertito in un grido di dolore e rabbia.

43 studenti scomparsi, tre studenti assassinati, due giovani sportivi assassinati, una donna assassinata. Tutti assassinati e fatti scomparire a Iguala, tutti assassinati e fatti scomparire dallo Stato. Tutti assassinati e fatti scomparire per il patto di impunità della classe politica.

Ma stavolta risulta insufficiente parlare di impunità perché le istituzioni che dovrebbero esercitare la giustizia non solo non lo fanno, ma oltretutto si proteggono dai propri delitti: in realtà siamo dinanzi a un sistema che trova sempre come e chi castigare in maniera esemplare e spettacolare (colpevole o innocente che sia) per poter mantenere intatti l’enorme affare della corruzione e le brutali strutture di potere che tengono l’intero paese sommerso nella violenza.

In Messico il sistema non è corrotto, la corruzione è il sistema. Non è che nello Stato si stiano aprendo dei vuoti, è che quelli che sembrano dei vuoti sono pieni della nuova mutazione dello Stato Messicano: il Narco-Stato. La coppia Abarca è una terribile dimostrazione del vincolo tra governo e crimine organizzato, ma la cosa più terribile è che non ne sono l’unica né la peggiore dimostrazione, ma precisamente proprio di ciò che sono oggi le istituzioni in Messico. Iguala, i morti, i 43 studenti di Ayotzinapa sono la prova evidente che le azioni di questo Narco-Stato non sono soltanto controinsurrezionali, non solo ricercano la criminalizzazione della protesta, bensì ricercano il controllo attraverso il terrore, ricercano il genocidio della speranza.

In questo Messico distrutto, sicurezza significa vivere atterriti e circondati di militari e polizia, costantemente sotto controllo. In questo Messico distrutto, gli apparati di diritti umani si utilizzano per assicurarsi che i veri aggressori sfuggano alla giustizia e possano continuare ad aggredire.

In questo Messico distrutto, si accusa l’ex-sindaco di Iguala, José Luis Abarca, di vari delitti, ma non di ciò che implica il riconoscimento della responsabilità dello Stato, le sparizioni forzate.

In questo Messico, distrutto, si danno 40 giorni di detenzione preventiva a Maria de los Angeles Pineda, e si lascia in libertà Noemi Berumen Rodriguez, che ha coperto la coppia accusata, mentre chi si oppone al sistema, chi difende la terra, chi esige giustizia, chi solidarizza con le famiglie dei 43 studenti fatti sparire dallo Stato, chi prorompe in indignazione viene immediatamente incarcerato.

In questo Messico distrutto il potere si scandalizza quando qualcuno brucia una porta di legno, ma per le centinaia di migliaia di morti, per le migliaia di scomparsi, per gli sfollati, ci sono solo montature mediatiche, lunghi procedimenti burocratici e false condoglianze, ma mai giustizia.

Il messaggio che sta dietro al modo con il quale è stato orchestrato tutto quanto a Iguala, dietro le migliaia di morti e scomparsi in tutto il Messico, è che nessuna vita ha valore, che da queste “nuove istituzioni” la morte è la forma di governo.

Pertanto, dopo che il mondo ha aspettato una risposta a proposito di dove siano finiti i 43 normalisti scomparsi, che venisse da un’indagine rigorosa, causa indignazione e dolore che gli incaricati a svolgerla non solo si stiano dimostrando incompetenti, ma stiano anche dimostrando un’impressionante mancanza del benché minimo rispetto verso i familiari delle vittime e attraverso di loro verso la società intera, perché il loro unico fine è depistare le indagini per occultare la realtà.

L’indignazione ha continuato a crescere, traboccando dalle piazze, crescendo di settimana in settimana. Le manifestazioni, le azioni, gli scioperi, dimostrano che al di là delle menzogne, le montature, le calunnie e lo scherno da parte del “Governo Messicano”, sempre assente quando si tratta di dare risposte, il popolo del Messico e di altri luoghi del mondo ha fatto sua la parola d’ordine “vivi se li sono presi, vivi li rivogliamo!”. Si stanno facendo passi importanti in molti luoghi dentro e fuori dal Messico, secondo le nuove grida che risuonano: #NoLesCreemos, #FueElEstado, #YaMeCanse, #AyotzinapaSomosTodos.

A Iguala si è resa visibile la logica politica che ha fatto sì che nel paese si debbano soffrire più di 150mila morti e che continuiamo ad aspettare più di 20mila desaparecidos.

Oggi, ci associamo alla rabbia attiva dei padri e delle madri degli studenti scomparsi, oggi diciamo che stiamo aspettando che i 43 tornino a casa, e che non crediamo alla farsa con la quale pretendono di insabbiare questa indignazione e rabbia globale. Ayotzinapa è l’inizio di qualcosa, che sta crescendo nelle aule e nelle strade.

In queste ultime settimane è avvenuta la gestazione di un movimento che ha ben chiaro chi sono lorsignori, in questo nuovo processo si sta perdendo la paura, diventa impossibile far da spettatori e si apre la possibilità di chiedersi: come fare in modo che questa energia sociale riesca ad aprire un cammino che permetta alla società, dal basso, di imporre al governo la verità con tutte le sue conseguenze? Come continuiamo a camminare in questa nuova tappa?

Ayotzinapa non duole solo al Messico, duole al mondo.

Firme Individuali:

CANADA: Naomi Klein;

STATI UNITI: Noam Chomsky; Michael Hardt; Hugo Benavides (Fordham University);

URUGUAY: Raúl Zibechi;

STATO SPAGNOLO: Manuel Castells; Carina Garcia Sanagustin;

BOLIVIA: Oscar Olivera;

ARGENTINA: Nico Falcoff; COLOMBIA: Dora Muñoz; Constanza Cuetia;

GERMANIA: Sebastian Wolff (Istituto di Ricerche Sociali, Francoforte/Germania);

BRASILE: Kathy Faudry; Jeferson Zacarias; Denise Lopes; Edila Pires; Liliane Bites; Walter Bites;

PAESI BASCHI: Juan Ibarrondo (scrittore);

ITALIA: Adele Vigo; Andrea Paletti; Franco Frinco;Carlotta Mariotti; Filipppo Marzagalli;

MAROCCO: Josiane Pastor Rodriguez;

FRANCIA: Valentin Gaillard; Mathieu Meyer; Talia Rebeca Haro Barón (PhD Erasmus Mundus Dynamics of Health and Welfare, Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali), Michèle Blossier; Patrice Ratheau; PaulVictor Wenner; Myriam Michel; Hilda Leslie Alcocer Martinez; Louise Ibáñez Drillières; Crystel Pinçonnat; Janie lacoste (professoressa); Michel Puzenat; Pierre Banzet; Régine Piersanti; Dominique Mariette; Nathalie Todeschini; Stéphane Lavignotte- pastore (Movimento del cristianesimo Sociale); Farid Ghehioueche (Fondatore/Portavoce dell’organizzazione Cannabis Sans Frontières); Emmanuel Maillard; Myriam Mérino; Ariane Chottin; Valérie Guidoux; Olivier Vendée; Pierre Picquart (Dr in Geopolitica Università di PARIS-VIII) ; Antinea Jimena Pérez Castro; Yann Bagot; Emmanuel Rodriguez; Marie Ibanez; Amparo Ibanez; Gilbert Rodriguez; Marie Ibanez; Jacqueline Henry; Catherine Cassaro; Catherine Bourgouin; Susanna Iglioranza;Sylvie Gauliard; Alain Martinez; Colette Revello; Fatiha Mekeri; Dominique Poirre; Laura Binaghi; Jérôme Bauduffe; Nadia Thomas; Matthieu Texier;Paul Obadia; Vincent Robin; Michel Ibañez; Lise Piersanti; Alain Delprat;Catherine Drillières; Colette Revello; Didier Collot; Marianne Petit; Janine Leroy; Suzy Platiel; Aude Lalande; Mansour Chemali; Corinne Mazel;Celia Ibañez; Pauline Delprat; Michel Contri; Ali Abadie; MercedesCruceyra; José Griault; Annick Laurent; Gérard Henry; Georges Gottlieb; Janie Lacoste; Michel Ibañez; Pilar Sepulveda; Rafael Sepulveda; Pascal Ibañez; Patrick Derrien ; Hélène Derrien ; Lia Cavalcanti (direttrice dell’associazione Espoir Goutte d’Or); Catherine Faudry (Respondabile del progetto “Collectivités Territoriales” Institut Français); Camille Baudelaire;

MÉXICO: Álvaro Sebastián Ramírez (Prigioniero Politico e di Coscienza della Regione Loxicha); Francisco Barrios “El Mastuerzo”; Oscar Soto; Raquel Gutiérrez Aguilar; Mariana Selvas Gómez; Guillermo Selvas Pineda; Rosalba Gómez Rivera; Martha Nury Selvas Gómez; María Josefina Perez Arrezola; María José Pérez Castro; José Cervantes Sánchez (studente ICSyH BUAP); Rosalba Zambrano; Ana María Sánchez; Tamara San Miguel; Eduardo Almeida; Enrique Ávila Carrillo; Ingrid Van Beuren; Leticia Payno; Cecilia Oyorzál; Ignacio Rivadeneyra; María del Coral Morales; Oscar Gutiérrez; Gilberto Payno; Celiflora Payno; Víctor Payno;Patricia Emiliano; Beatríz Acevedo; Francisco Sánchez; Agustina Álvarez;Mariana García; Miguel Ortigoza; José Antonio León; Sergio Cházaro; José Hugo Estrada Zárate; Iliana Galilea Cariño Cepeda; Pablo Reyna;Guillermina Margarita López Corral; Ana María Corro; Lorena Diego yFuentes; Enrique González Ruiz; Ignacio Román; Cecilia Zeledón; Berta Maria Rayas Camarena; Judith Arteaga Romero (docente di Difesa e Promozione dei Diritti Umani UACM); Aurora Furlong; José Luis SanMiguel; Alma Ugarte; Juan Manuel Gutiérrez Jiménez

Organizzazioni:

STATO SPAGNOLO: CGT; ASSI (Acción Social Sindical Internaciolalista); Associació Solidaria Cafè Rebeldía-Infoespai – Barcelona; Centro de Documentación sobre Zapatismo (CEDOZ);

COLOMBIA: Pueblos en el Camino;

GERMANIA: Gruppe B.A.S.T.A., Munster;

BRASILE: CSP-Conlutas –Brasil;

BELGIO: Casa Nicaragua-Liège; CafeZ –Liège;

CORSICA: CorsicA Internaziunalista;

PAESI BASCHI: La Federación Anarquista Ibérica de Euskal Herria (FAI);

ITALIA: Associazione Ya Basta! –Milano; Centro Sociale CasaLoca – Milano; Associazione Ya Basta – Padova; Nodo Solidale (Italia e Messico); Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo;

FRANCIA:Les trois passants– Paris; Caracol Solidario – Besançon; Colectivo Grains de sable; Union local de la Confédération Nationale du Travail (CNT31-Toulouse);Secrétariat international de la CNT – Francia; Tamazgha, asociacion berbères-Paris; Comité de solidarité avec les Indiens des Amériques (CSIA-Nitassinan); Groupe de soutien à Leonard Peltier (LPSG-Francia); La Fédération des CIRCs – Paris; Comité Tierrra y Libertad de Lille; Réseau latino-américain de Lille; Émission Torre Latino/Radio Campus – Lille; Comité de Solidaridad con los Pueblos de Chiapas en Lucha(CSPCL), Paris; Espoir Chiapas – Montreuil; Mut Vitz 13 de Marseille;

REGNO UNITO: UK Zapatista Solidarity Network; Dorset Chiapas Solidarity Group; Edinburgh Chiapas Solidarity Group; Kiptik (Bristol); London Mexico Solidarity Group; Manchester Zapatista Collective; UK Zapatista Translation Service; Zapatista Solidarity Group – Essex;

MESSICO:Enlace Urbano de Dignidad; Nodo de Derechos Humanos; Unidad Obrera y Socialista (¡UNIOS!); Unión de Vecinos y Damnificados “19 de Septiembre” (UVyD-19); La Voz de losZapotecos Xiches en Prisión; Colectivo La Flor de la Palabra; Comité de Solidaridad con Mario González, DF; Colectivo de Profesores de la Sexta; Frente del Pueblo; Serpaj; Colectivo “pensar en voz alta”; UniTierra Puebla; Colectivo Utopía Puebla; Colectivo de Salud adherente a la Sexta; Grupo “Salud y Conciencia”

INTERNAZIONALI: La Internacional de las Federaciones Anarquistas (IFA); Federación Anarquista francófona (Francia, Belgio, Svizzera); RED EUROPEA DE SINDICATOS ALTERNATIVOS Y DE BASE: Confederación General del Trabajo, CGT– Stato spagnolo; Union syndicale Solidaires- Francia; Confederazione Unitaria di Base, CUB – Italia; SUD Vaud, Suiza; ConfederacionIntersindical – Stato spagnolo; Unione Sindicale Italiana, USI – Italia; Intersindical Alternativa de Catalunya, IAC –Catalogna; Confederazione Italiana di Base, UNICOBAS – Italia; Confédération Nationale des Travailleurs Solidarité Ouvrière, CNT-SO – Francia; Transnational Information Exchange , TIE – Alemania; Associazione per i Diritti dei Lavoratori Cobas, ADL COBAS – Italia; Solidaridad Obrera, Estado Español; Confédération Nationale du Travail, CNT –Francia; Sindacato Autorganizzato Lavoratori Cobas, SIAL COBAS – Italia; Sindacato Intercategoriale CobasLavoratori Autorganizzati, SI COBAS – Italia; ESE –Grecia; Union Syndicale Etudiante Fédération Générale du Travail de Belgique, USE –Belgio; Ogólnopolski Zwi?zek Zawodowy Pielegniarek i Poloznych, OZZ PIP –Polonia; Ogólnopolski Zwi?zek Zawodowy Inicjatywa Pracownicza, OZZ PIP – Polonia; ORGANIZACIONES ESTUDIANTILES: Solidaires Étudiant-e-s, Francia; Union Syndicale Étudiante, Belgio; SUD étudiants et précaires, Svizzera.

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Liberateli. Subito.

portada

Los de Abajo

Liberateli. Subito.

Gloria Muñoz Ramírez

Il 20 novembre sarà ricordato come un giorno storico, quando si sono svolte più di 500 mobilitazioni in Messico e nel mondo per chiedere di riavere in vita i 43 studenti di Ayotzinapa, Guerrero, dopo più di 50 giorni in cui sono stati vittime di sparizione forzata e tre dei loro compagni assassinati. La richiesta, anch’essa centrale, delle dimissioni del presidente Enrique Peña Nieto è risuonata contemporaneamente in Corea del Sud, Nuova Zelanda, India ed in centinaia di città di Stati Uniti ed Europa. Ed ovviamente, in tutto il territorio messicano. Il grido di “Andatevene tutti!” è stato certamente sentito dalla classe politica messicana di tutti i colori, i cui membri non osano nemmeno più frasi vedere in queste manifestazioni. Non si salva nessuno.

Questa storica giornata non si è conclusa con atti vandalici, come hanno riferito le grandi catene televisive, e l’irruzione della Polizia Federale e dei granatieri del DF. La carica di un gruppo di agenti in uno Zócalo semivuoto, quando il corteo ancora stava arrivando per avenida Madero, è stata la conclusione di una mobilitazione stracolma di simboli contro il potere.

Dalla notte di giovedì all’alba di venerdì erano iniziate a circolare le immagini che hanno smontato le versioni ufficiali secondo le quali gruppi di attivisti avrebbero attaccato i manifestanti. Una dopo l’latra le testimonianza compongono la realtà di tre ore di cariche e botte della polizia e detenzioni arbitrarie.

Julián Rodrigo Simón accusa: “Erano le 9:15 circa quando abbiamo sentito uno di loro dire agli altri: ‘chínguenselos‘. E subito ci sono stati addosso. Ci hanno preso a calci, a me e le mie due sorelle”.

Le immagini dei video mostrano una donna nella stazione Pino Suárez della Metro, seduta in terra con la figlia tra le braccia, in segno di pace di fronte a centinaia di stivali di poliziotti intorno a lei. Un uomo si siede accanto a lei, e poi un altro, ed un altro ed un altro ancora. Così a formare un cordone di persone sedute in resistenza pacifica che sconcerta gli agenti.

Uno dei video è stato girato dall’hotel Majestic, su di una piazza semivuota che in pochi minuti viene sgomberata. Dalla terrazza si fissano i colpi contro i manifestanti. Gli ospiti, molti turisti stranieri, si affollano alla ringhiera e, mentre uno filma, il resto grida disperatamente: Figli di puttana! Li state massacrando!

Gli arrestati nella mobilitazione devono essere liberati. Subito.

losylasdeabajo@yahoo.com

Testo originale

 

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Ayotzinapa, la storia che non finisce di Gloria Muñoz Ramirez

da Ojarasca, supplemento mensile del quotidiano La Jornada novembre 2014

20/11/2014

Pubblichiamo la traduzione (curata dalla redazione di GlobalProject) di questo articolo tratto da Ojarasca (articolo originale), supplemento mensile del quotidiano messicano La Jornada di Gloria Muñoz Ramirez, Direttrice di Desinformémonos, editorialista de La Jornada ed editrice di Ojarasca (scarica Ojarasca novembre 2014).

Nel secondo mese di una delle crisi di Stato più gravi degli ultimi tempi, la complicità tra i differenti livelli di governo e del crimine organizzato è chiara. “È stato lo Stato”, è la parola d’ordine della terza giornata globale che esige che i 43 studenti della Escuela Normal Rural “Isidro Burgos” tornino a casa e le dimissioni del presidente Enrique Peña Nieto.

Centinaia di migliaia di persone sono scese nelle strade questa settimana. La richiesta di punire i colpevoli dell’omicidio di tre studenti non è ancora stata accolta e niente pare indicare che ciò avverrà. I più di 50 arrestati, tra polizia municipale, appartenenti al crimine organizzato e la coppia “del male” composta dal sindaco di Iguala, José Luis Abarca e sua moglie María de los Ángeles Pineda Villa, non attenua l’indignazione. L’operazione mediatica un giorno prima della grande manifestazione di Città del Messico non ha ridotto l’entità della mobilitazione.

Il messaggio dei compagni dei giovani uccisi e dei 43 detenuti e scomparsi tra il 26 e il 27 settembre in un attacco della polizia di Iguala è chiaro: “Denunciamo che il governo federale sta cercando di insabbiare il problema di Ayotzinapa come è stato fatto con moltissimi casi nel nostro paese. Denunciamo che il Procuratore di Giustizia, il presidente Enrique Peña Nieto e Miguel Ángel Osorio Chong, tutto il Governo, e con loro tutti i partiti politici, vogliono far credere all’opinione pubblica che i nostri compagni sono morti”, comincia il giovane Omar, del Comité Estudiantil de la Normal. “Non lasciateci soli”, gridano i genitori che, uno a uno, alzano il tono delle loro proteste.

Poche volte di fronte al Palacio Nacional si sono ascoltati messaggi tanto forti. Si succedono insulti alla figura presidenziale. “Fuori Peña Nieto”, grida la moltitudine all’unisono nella piazza più grande di questo paese.

La percezione del mondo sul Messico è cambiata, e questo lo riconosce perfino il segretario delle finanze, Luis Videgaray. “Non accettiamo gli esiti delle vostre ricerche”, dice una delle madri dopo l’annuncio dell’arresto della coppia Abarca.

Certamente questo arresto non è sufficiente. Tutto questo è un teatro armato per dare la colpa a qualcuno, per dare la responsabilità a queste persone e niente più, quando il responsabile è lo Stato, che sta cercando di nascondere ciò che è successo realmente. Purtroppo temiamo il peggio, ma questo è un crimine di Stato, non è un crimine di questa coppia”, dice il pittore Gabriel Macotela in una delle tante mobilitazioni. Nelle sue parole si rispecchia la Nazione. Nessuno ci crede.

Ayotzinapa cambia volto

Nell’enorme sala d’aspetto nella quale si è trasformato il campo da basket di questo villaggio di campagna costruito nel 1926, si è formata una comunità che fa vedere qual è l’altra faccia della tragedia. La solidarietà mostra il suo volto con collette alimentari, coperte, materassi, decine di divise di organizzazioni sociali, appoggio economico e centinaia di visite giornaliere, soprattutto da parte di giovani studenti provenienti da tutto il paese, che offrono spalle e mani per quello che serve.

Novembre. Sull’altare dei morti nel patio non ci sono solo i volti di Daniel Solís Gallardo, Julio César Mondragón e Julio César Ramírez Nava, i tre studenti uccisi dalla polizia di Iguala il 26 settembre. “Non sono solo tre o quattro quelli che sono stati assassinati dal governo”, segnala un giovane normalista, che ha condiviso le proteste con Daniel Solis, e che invoca che questi omicidi “non rimangano impuniti”. Ci sono anche Gabriel Echeverrìa e Alexis Herrera Pino, “quelli della mattanza di Ángel Aguirre”, anche loro morti con esecuzione extragiudiziale il 12 dicembre del 2011, durante lo sgombero di una protesta nell’Autopista del Sol. La fotografia di uno di loro, lo mostra a cavallo di un piccolo asino, giocando, mentre l’altro sorride nella cornice.

Le madri e i padri sembrano esausti. Non hanno un minuto di respiro e soprattutto devono incontrare la stampa e le organizzazioni che arrivano per appoggiarli. “Non è che non voglio parlare. Sappiamo che è importante. Però non ce la faccio più. Non sono stanca, è solo che non ce la faccio a parlare di mio figlio”, dice, come scusandosi, una di loro. È che hanno ripetuto fino allo sfinimento la loro storia. Le telecamere dei media nazionali ed internazionali fanno la guardia in queste installazioni di due ettari di territorio assediato dalla Segreteria di Educazione Pubblica, i governi statali in turno, il crimine organizzato, le transnazionali minerarie e i partiti politici. Nessuno nega i litigi interni e le distinte correnti che influenzano questa scuola-convitto, però oggi la tragedia li unisce.

Omar Garcìa, uno dei volti noti degli studenti di fronte ai media, lo stesso che denunciò gli abusi dall’inizio, che chiese aiuto all’Esercito durante gli attacchi e a cui nessuno fece caso, è chiaro quando segnala che non si aspettavano questo appoggio, perché, in primo luogo “mai ci saremmo aspettati che una cosa del genere potesse capitare a noi”. La solidarietà dice, è arrivata soprattutto dai familiari e dai contadini di Tuxtla. Poi sono arrivati gruppi di universitari da molte parti del Messico, tanto che la “nostra scuola, che prima ci sembrava enorme, oggi ci sembra piccola, non abbiamo spazio per tanta gente”.

Non ci sono mai stati tanti giovani insieme nella struttura. Oggi, dice Omar, “il potere e lo Stato non riescono nemmeno ad immaginarlo, come fanno questi ragazzi di 19 o 20 anni a organizzare tanta gente? Che continuino a chiederselo.”

La solidarietà studentesca dietro le quinte è evidente. “Pensiamo ai sacrifici che stanno facendo per stare con noi. Ci domandiamo cosa hanno dovuto dire nei propri posti di lavoro, nelle loro scuole, nei loro luoghi di origine. Con che pretesto sono partiti per venire a trovarci, con che pretesto la signora ha lasciato al marito la cura della casa, o il marito è venuto qui trascurando la famiglia. Con che pretesto il contadino abbia detto, ascolta moglie, dobbiamo portare un chilo di fagioli a questi ragazzi. Tutto questo ce lo domandiamo. Con che coraggio il contadino ha detto, abbiamo poco però bisogna portare cento pesos ai ragazzi per il loro movimento”.

Appena tre giorni prima di questa intervista con Ojarasca, Omar ha parlato di fronte a 200 mila persone in una piazza piena quasi da scoppiare a Città del Messico. Lì ha fatto appello alle organizzazioni per una Carovana Nazionale di Indignazione, che permetta di articolare un “movimento nazionale e se Enrique (Peña Nieto) se ne va, che se ne vada, e preferibilmente che non torni, perché quando torna troverà un altro paese… il fatto che tutto il mondo si sia indignato per quello che è successo il 26 settembre rispecchia chiaramente che non siamo solamente noi gli indignati, come studenti di Ayotzinapa, ma è tutto un paese che ha sofferto per molti anni questi abusi. E non si tratta solo di indignazione per tanta delinquenza ed insicurezza, ma c’è indignazione anche quando vediamo il contadino senza lavoro, l’operaio senza lavoro, lo studente che dopo aver svolto il suo percorso formativo non ha uno sbocco lavorativo… Ogni indignazione della popolazione deve arrivarci fino in fondo, non solo quando si uccide o spariscono 43 studenti. Le cifre qui non importano, siamo migliaia nel paese, siamo migliaia di infelici e calpestati, quotidianamente, e questo è il problema”. http://www.globalproject.info/it/mondi/ayotzinapa-la-storia-che-non-finisce-di-gloria-munoz-ramirez/18248

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Breve documentario sulla Escuela Normal Rural di Ayotzinapa

24/11/2014

Il massacro e la sparizione degli studenti di Ayotzinapa ha riportato al centro del dibattito pubblico messicano la vicenda delle Normales Rurales.

Si tratta di scuole create dal governo messicano a partire dagli anni ’20 del secolo scorso con l’obbiettivo di preparare giovani provenienti da comunità contadine per fare i maestri nelle zone rurali del paese. Per il tipo di formazione e per la composizione dei giovani che vi hanno studiato, queste scuole hanno sempre rappresentato degli ambiti molto critici e politicizzati, con l’aspirazione di rappresentare uno strumento importante per l’emancipazione delle comunità povere del paese.

Per questo motivo da alcuni decenni le Normales Rurales sono state combattute aspramente dai vari governi che si sono succeduti, molte sono state chiuse e soprattutto negli ultimi anni si è generata una criminalizzazione da parte di politici e media che ha prodotto un terreno di legittimità per il massacro del 26 di settembre scorso. Oltre a tutto ciò, le riforme dell’educazione in senso neoliberista e funzionali alla globalizzazione capitalista che sta promuovendo in questi anni il governo messicano vedono in queste scuole, in cui l’insegnamento è gratuito e rivolto ai piccoli produttori agricoli di comunità povere, un ostacolo da combattere.

Vi proponiamo un breve documentario curato dal Centro per i diritti umani Tlachinollan (Guerrero) che spiega l’organizzazione, il funzionamento e la lotta de la Escuela Normal Rural de Ayotzinapa.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=xqTBEb4B1SU

http://www.globalproject.info/it/mondi/breve-documentario-sulla-escuela-normal-rural-di-ayotzinapa/18275

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NI VIVOS NI MUERTOS

Documentario sui desaparecidos in Messico  di Federico Mastrogiovanni e Luis Ramírez Guzmán

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cideciIl Comandante Javier porge il benvenuto alla carovana di Ayotzinapa nel caracol di Oventik, il 15 novembre 2014

Sorelle e fratelli genitori dei 43 studenti desaparecidos, Studenti ed Insegnanti della scuola Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, dello stato di Guerrero.

Buona sera a tutti e tutte.

A nome delle nostre migliaia di compagni e compagne basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, vi diamo il più cordiale benvenuto in questo umile Caracol II di Oventik, Resistencia y Rebeldía por la Humanidad, della Zona Altos del Chiapas, Messico.

Siamo qui quali rappresentanti dei nostri popoli zapatisti per accogliervi a braccia aperte ed ascoltare le vostre parole.

Non siete soli! Il vostro dolore è il nostro dolore! La vostra rabbia è la nostra degna rabbia! E vi sosteniamo nella richiesta di riavere in vita i 43 studenti desaparecidos per l’azione criminale dei malgoverni; accomodatevi, siete a casa vostra, questo è il posto di tutte e tutti coloro che lottano.

Grazie.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

Il Comandante Tacho apre l’incontro dell’EZLN con la carovana di Ayotzinapa, il 15 novembre 2014

Compagne e compagni:

Padri e madri dei giovani studenti desaparecidos della Scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, stato di Guerrero, Messico.

Agli studenti ed a tutti quelli che accompagnano questa carovana e a tutti i presenti.

A nome dei bambini, bambine, ragazzi, ragazze, uomini, donne, anziani ed anziane dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, benvenuti nel caracol di Oventik, Caracol II Resistencia y Rebeldía por la Humanidad.

Compagne e compagni:

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale vuole ascoltare le vostre parole di dolore e rabbia, che sono anche nostre.

Noi non vogliamo sapere dei municipi bruciati, né delle auto bruciate, né di porte, né di palazzi.

Noi vogliamo ascoltare il vostro dolore, la vostra rabbia e la vostra angoscia di non sapere dove si trovano i vostri ragazzi.

Vogliamo anche dirvi che noi zapatisti vi abbiamo accompagnati nelle proteste e mobilitazioni che si sono svolte in Messico e nel mondo, anche se sui mezzi di comunicazione prezzolati non appaiono le nostre azioni di dolore e rabbia, ma vogliamo dirvi che vi abbiamo accompagnati con fatti reali e veri.

Per questo vogliamo che ci parliate e noi vogliamo ascoltarvi.

Se avessimo saputo del vostro arrivo qualche giorno prima, oggi ad accogliervi ed ascoltarvi saremmo stati molto più numerosi.

Noi oggi siamo qui in rappresentanza di tutti per accogliervi con tutto il cuore ed ascoltare il vostro dolore e la vostra rabbia.

È tutto.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

Parole del Comando Generale dell’EZLN, per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, al termine dell’incontro con la carovana di familiari di desaparecidos e studenti di Ayotzinapa, nel caracol di Oventik, il giorno 15 novembre 2014.

Madri, Padri e Familiari dei nostri fratelli assassinati e scomparsi a Iguala, Guerrero:

Studenti della Scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, Guerrero:

Fratelli e sorelle:

Ringraziamo di tutto cuore per averci portato la vostra parola.

Sappiamo che per portarci questa parola diretta, senza intermediari, senza interpretazioni estranee, avete dovuto viaggiare molte ore e soffrire la stanchezza, la fame, il sonno.

Sappiamo anche che per voi questo sacrificio è parte del dovere che vi sentite.

Il dovere di non abbandonare i compagni fatti scomparire dai malgoverni, di non venderli, di non dimenticarli.

E’ a causa di questo senso del dovere che avete iniziato la vostra lotta fin da quando non si faceva alcun caso a essa, e i fratelli oggi scomparsi erano catalogati come “capelloni”, “novellini”, “futuri delinquenti che se lo meritavano”, “picchiatori”, “radicali”, “tamarri”, “agitatori”.

Così li hanno chiamati molti di quelli che ora si affollano attorno alla vostra degna rabbia per moda o convenienza, benché allora volessero incolpare della disgrazia la Normale Raúl Isidro Burgos.

C’è ancora chi tenta di farlo da là sopra, con l’intenzione di distrarre e nascondere il vero colpevole.

Per questo senso del dovere avete iniziato a parlare, a gridare, a spiegare, a raccontare, a usare la parola con coraggio, con degna rabbia.

Oggi, nel marasma di parole vane che uno o l’altro sparge sulla vostra degna causa, litigano ora per stabilire chi ha fatto in modo che foste conosciuti, ascoltati, compresi, abbracciati.

Forse non ve l’hanno detto, ma siete stati voi, i familiari e compagni degli studenti morti e scomparsi, a ottenere, con la forza del vostro dolore, e di tale dolore convertito in rabbia degna e nobile, che molte e molti, in Messico e nel Mondo, si sveglino, facciano domande, pongano in questione.

Per questo vi ringraziamo.

Non solo per averci onorato con l’aver portato la vostra parola perché la potessimo ascoltare, umili come siamo: senza rilevanza mediatica, senza contatti con i malgoverni, senza capacità né conoscenze per potervi accompagnare, spalla a spalla, nell’incessante andirivieni di ricerca dei vostri cari, che ormai lo sono anche per milioni di persone che non li hanno conosciuti; senza le parole sufficienti a darvi consolazione, sollievo, speranza.

Anche e soprattutto, vi ringraziamo per il vostro eroico impegno, la vostra saggia caparbietà di nominare i desaparecidos di fronte ai responsabili della loro disgrazia, di domandare giustizia di fronte alla superbia del potente, di insegnare ribellione e resistenza di fronte al conformismo e al cinismo.

Vogliamo ringraziarvi per gli insegnamenti che ci avete dato e ci state dando.

E’ terribile e meraviglioso che familiari e studenti poveri e umili che aspirano a diventare maestri, si siano convertiti nei migliori professori che abbiano visto i cieli di questo paese negli ultimi anni.

Fratelli e sorelle:

la vostra parola per noi è stata ed è una forza.

E’ come se ci abbiate dato un alimento pur essendo lontani, pur non conoscendoci, sebbene ci separassero i calendari e le geografie, cioè il tempo e la distanza.

E vi ringraziamo anche perché ora vediamo, ascoltiamo e leggiamo che altri cercano di zittire la vostra parola dura, forte, quel nucleo di dolore e rabbia che ha messo in moto tutto.

E noi vediamo, ascoltiamo e leggiamo che ora si parla di porte che prima non importavano a nessuno.

Dimenticando che da tempo tali porte sono servite a indicare a quelli di fuori che non erano affatto tenuti in considerazione nelle decisioni che prendevano quelli all’interno.

Dimenticando che ora tali porte sono parte soltanto di un baraccone inservibile, dove si simula sovranità e ci sono solo servilismo e sottomissione.

Dimenticando che tali porte danno soltanto su un grande centro commerciale al quale non accede il popolo che sta fuori, e nel quale si vendono i rottami di quel che in qualche tempo è stata la Nazione messicana.

A noi non interessano queste porte.

Né ci interessa se le bruciano, se le adorano, se le vedono con rabbia, o con nostalgia, o con desiderio.

A noi importano di più le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

Perché là fuori si parla, si discute, si chiosa su violenza e non violenza, lasciando da parte che la violenza si siede tutti i giorni a tavola con la maggioranza delle persone, cammina con loro al lavoro, a scuola, torna con loro a casa, dorme con loro, diventa incubo che è sogno e realtà indipendentemente dall’età, dalla razza, dal genere, dalla lingua, dalla cultura.

E noi ascoltiamo, vediamo e leggiamo che là fuori si discutono colpi di mano di destra e di sinistra, ovvero chi mandiamo via per vedere chi mettiamo al suo posto.

E si dimentica così che l’intero sistema politico è marcio.

Che non è tanto il fatto di avere relazioni con il crimine organizzato, con il narcotraffico, con le molestie, le aggressioni, gli stupri, le botte, le carceri, le sparizioni, gli omicidi, bensì che tutto questo è già parte della sua essenza.

Perché non si può più parlare della classe politica e differenziarla dagli incubi che soffrono milioni di persone in queste terre.

Corruzione, impunità, autoritarismo, crimine organizzato e disorganizzato, sono già negli emblemi, negli statuti, nelle dichiarazioni di principi e nella pratica di tutta la classe politica messicana.

A noi non importano i perché e percome, gli accordi e disaccordi che quelli di sopra imbastiscono per decidere chi si incarica ora della macchina di distruzione e morte in cui si è convertito lo Stato messicano.

A noi importano le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

E noi vediamo, leggiamo e ascoltiamo che là fuori si discutono calendari, sempre i calendari di sopra, con le loro date ingannevoli che nascondono le oppressioni che oggi patiamo.

Perché si dimentica che dietro Zapata e Villa si nascondono quelli che sono rimasti, i Carranza, Obregón, Calles e la lunga lista di nomi che, sul sangue di chi è stato come noi, prolunga il terrore fino ai nostri giorni.

A noi importano le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

E noi leggiamo, ascoltiamo e vediamo che là fuori si discutono tattiche e strategie, i metodi, il programma, il che fare, chi dirige chi, chi comanda e verso dove è orientato.

E si dimentica che le domande sono semplici e chiare: devono ricomparire in vita tutti e tutte, non solo quelli di Ayotzinapa; devono essere puniti i colpevoli di tutto lo spettro politico e di tutti i livelli; e si deve fare il necessario perché non si torni mai più a ripetere l’orrore contro chiunque in questo mondo, anche se non si tratta di una personalità o di qualcuno di prestigio.

A noi importano le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

Perché nelle vostre parole noi ascoltiamo anche noi stessi.

In queste parole ci sentiamo dire e dirci che nessuno pensa a noi, i poveri di sotto.

Nessuno, assolutamente nessuno pensa a noi.

Fanno solo finta di esserci per vedere cosa cavarne, quanto possono crescere, guadagnare, raccogliere, fare, disfare, dire, tacere.

Molti giorni fa, nei primi giorni di ottobre, quando appena appena si iniziava a comprendere l’orrore di ciò che era avvenuto, vi mandammo alcune parole.

Piccole, come da tempo sono di per sé le nostre parole.

Poche parole perché il dolore non trova mai parole sufficienti che lo dicano, che lo spieghino, che lo allevino, che lo curino.

Allora vi dicemmo che non siete soli.

Ma con ciò vi dicemmo non soltanto che vi appoggiavamo e che, seppure lontani, il vostro dolore era nostro, come nostra è la vostra degna rabbia.

Sì, vi dicemmo questo ma non solo questo.

Vi avevamo detto anche che nel vostro dolore e nella vostra rabbia non eravate soli perché migliaia di uomini, donne, bambini e anziani conoscono sulla propria pelle quell’incubo.

Non siete soli sorelle e fratelli.

Cercate le vostre parole anche nei familiari dei bambini e delle bambine assassinati nell’asilo nido ABC nel Sonora; nelle organizzazioni per i desaparecidos nel Coahuila; nei familiari delle vittime innocenti della guerra, persa fin dall’inizio, contro il narcotraffico; nei familiari dei migliaia di migranti eliminati nell’intero territorio messicano.

Cercatele nelle vittime quotidiane che, in ogni angolo del nostro paese, sanno che l’autorità legale è chi picchia, annichila, ruba, sequestra, estorce, stupra, incarcera, uccide, a volte sotto le vesti di organizzazione criminale e a volte come governo legalmente costituito.

Cercate i popoli originari che, da prima che il tempo fosse tempo, serbano la saggezza necessaria a resistere e che conoscono più di chiunque altro il dolore e la rabbia.

Cercate lo Yaqui e si troverà in voi.

Cercate il Nahua e vedrete che la vostra parola sarà accolta.

Cercate il Ñahtó e lo specchio sarà mutuo.

Cercate coloro che hanno innalzato queste terre e con il loro sangue hanno partorito questa Nazione fin da prima che la chiamassero “Messico”, e saprete che di sotto la parola è ponte che attraversa senza timore.

Perciò ha forza la vostra parola.

Nelle vostre parole si sono visti riflessi in milioni.

Molti lo dicono, anche se la maggior parte lo tace ma fa suo il vostro reclamare e dentro di sé ripete le vostre parole.

Si identificano con voi, con il vostro dolore e la vostra rabbia.

Sappiamo che molti vi richiedono, vi esigono, vi domandano, vi vogliono portare da una parte o dall’altra, vi vogliono usare, vi vogliono comandare.

Sappiamo che è molto il frastuono che vi scagliano contro.

Noi non vogliamo aggiungere frastuono al frastuono.

Noi vogliamo solo dirvi di non lasciar cadere la vostra parola.

Non lasciatela cadere.

Non affievolitela.

Fatela crescere perché si elevi al di sopra del frastuono e della menzogna.

Non abbandonatela perché in lei prosegue non solo la memoria dei vostri morti e desaparecidos, ma cammina anche la rabbia di chi oggi è di sotto perché gli altri siano di sopra.

Sorelle e fratelli:

Noi pensiamo che forse sapete già che può succedere che rimaniate soli, e che siate preparati.

Che può succedere che quelli che ora si affollano su di voi per usarvi a proprio beneficio, vi abbandonino e corrano altrove alla ricerca di un’altra moda, di un altro movimento, di un’altra mobilitazione.

Noi vi parliamo di ciò che conosciamo perché è già parte della nostra storia.

Fate conto che siano 100 quelli che ora vi accompagnano nelle vostre richieste.

Di questi 100, 50 vi sostituiranno per la moda che verrà al prossimo giro di calendario.

Dei 50 che resteranno, 30 compreranno l’oblio che fin d’ora si offre a pagamenti rateali e si dirà di voi che ormai non esistete, che non avete combinato nulla, che siete stati una farsa per distrarre da altre cose, che siete stati un’invenzione del governo affinché non facesse progressi il tal partito o il tal personaggio politico.

Dei 20 rimanenti, 19 fuggiranno impauriti al primo vetro rotto perché le vittime di Ayotzinapa, di Sonora, di Coahuila, di qualsiasi geografia, restano nei mezzi di comunicazione solo un momento e possono scegliere di non vedere, di non ascoltare, di non leggere, girando pagina, cambiando canale o stazione, ma un vetro rotto è, in cambio, una profezia.

E allora, di 100 vedrete che ne resterà solo uno, una, unoa.

Ma questa una o uno o unoa, si è scoperta nelle vostre parole; ha aperto il suo cuore, come diciamo noi, e in quel cuore si sono seminati il dolore e la rabbia della vostra indignazione.

Non soltanto per i vostri morti e desaparecidos, ma anche per quell’uno, una, unoa tra cento, dovete andare avanti.

Perché quell’una o uno o unoa, come voi, non si arrende, non si vende, non zoppica.

Come parte di quell’uno per cento, magari la più piccola, stiamo e staremo noi zapatiste e zapatisti.

Ed allora, vedrete che dei 100 ne resterà solo uno, una, unoa.

Ma non solo.

Ci sono molte, molti, moltei di più.

Perché risulta che i pochi sono pochi finché si incontrano e si scoprono in altri.

Allora accadrà qualcosa di terribile e meraviglioso.

E quelli che si credevano pochi e soli, scopriranno che siamo la maggioranza in tutti i sensi.

E che sono quelli di sopra a essere pochi, in verità.

E allora bisognerà ribaltare il mondo perché non è giusto che i pochi dominino i molti, le molte.

Perché non è giusto che ci siano dominatori e dominati.

Sorelle e fratelli:

Tutto questo diciamo noi, secondo i nostri pensieri che sono le nostre storie.

Voi, nelle vostre storie, ascolterete molti altri pensieri, così come ora ci fate l’onore di ascoltare i nostri.

E voi avete la saggezza per prendere ciò che ci trovate di buono e disfarvi di ciò che vedete di male in tali pensieri.

Noi come zapatisti pensiamo che i cambiamenti che importano davvero, che sono profondi, che creano altre storie, sono quelli che iniziano con i pochi e non con i tanti.

Però sappiamo che voi sapete che sebbene passerà di moda Ayotzinapa, che sebbene falliranno i grandi piani, le strategie e le tattiche, che sebbene passeranno le congiunture e diverranno di moda altri interessi e altre forze, che sebbene se ne andranno quelli che oggi si agglomerano su di voi come animali da carogna che prosperano sul dolore altrui; sebbene tutto questo passerà, voi e noi sappiamo che c’è in ogni luogo un dolore come il nostro, una rabbia come la nostra, un impegno come il nostro.

Noi come zapatisti che siamo vi invitiamo ad andare da questi dolori e queste rabbie.

Cercateli, incontrateli, rispettateli, parlateci e ascoltateli, scambiate i vostri dolori.

Perché noi sappiamo che quando dolori differenti si incontrano non germinano in rassegnazione, tristezza e abbandono, bensì in ribellione organizzata.

Sappiamo che nel vostro cuore, indipendentemente dalle vostre credenze e dalle vostre ideologie e organizzazioni politiche, ad animarvi è la richiesta di giustizia.

Non spezzatevi.

Non dividetevi, a meno che non sia per arrivare più lontano.

E soprattutto, non dimenticate che non siete soli.

Sorelle e fratelli:

Con le nostre piccole forze ma con tutto il nostro cuore abbiamo fatto e faremo il possibile per appoggiare la vostra giusta lotta.

Non è stata molta la nostra parola perché abbiamo visto che ci sono molti interessi, dei politici di sopra in prima fila, che vi vogliono usare a proprio gusto e convenienza, e non ci sommiamo né ci sommeremo al volo rapace degli opportunisti svergognati ai quali non importa nulla che ricompaiano in vita quelli che mancano ora, bensì importa portare acqua al mulino della loro ambizione.

Il nostro silenzio ha significato e significa rispetto perché la dimensione della vostra lotta è gigante.

Perciò i nostri passi sono stati in silenzio, per farvi sapere che non siete soli, perché sappiate che il vostro dolore è il nostro e nostra è anche la vostra degna rabbia.

Perciò le nostre piccole luci si sono accese dove nessuno, a parte noi, ne teneva conto.

Chi vede come poca cosa o ignora questo nostro sforzo, e reclama ed esige che parliamo, che dichiariamo, che aggiungiamo rumore al rumore, è un razzista che disprezza ciò che non appare di sopra.

Perché è importante che voi sappiate che vi appoggiamo, ma è importante anche che noi sappiamo di appoggiare una causa giusta, nobile e degna, così come lo è quella che ora anima la vostra carovana per tutto il paese.

Perché questo, sapere che appoggiamo un movimento onesto, per noi è alimento e speranza.

Sarebbe un male se non ci fosse alcun movimento onesto, e che in tutto il grande sotto che siamo si fosse replicata la farsa grottesca di sopra.

Noi pensiamo che chi punta su un calendario di sopra o su una scadenza, vi abbandonerà quando apparirà una nuova scadenza all’orizzonte.

Avendo fiutato una congiuntura per la quale nulla hanno fatto e che all’inizio hanno disprezzato, aspettano che “le masse” gli aprano la strada al Potere e che un uomo supplisca a una altro uomo di sopra mentre sotto non cambia niente.

Noi pensiamo che le congiunture che trasformano il mondo non nascono dai calendari di sopra, ma sono create dal lavoro quotidiano, tenace e continuo di coloro che scelgono di organizzarsi invece di unirsi alla moda di turno.

Certo, ci sarà un cambiamento profondo, una trasformazione reale in questo e in altri territori dolenti del mondo.

Non una ma molte rivoluzioni dovranno scuotere il pianeta.

Ma il risultato non sarà un cambio di nomi e di etichette per cui quello di sopra continui a stare di sopra a spese di chi sta sotto.

La trasformazione reale non sarà un cambio di governo, ma di relazione, per la quale il popolo comandi e il governo obbedisca.

Per la quale essere governo non sia un affare.

Per la quale essere donne, uomini, altri, bambine, bambini, anziani, giovani, lavoratori o lavoratrici della campagna e della città, non sia un incubo o un trofeo di caccia per il piacere o l’arricchimento dei governanti.

Per la quale la donna non sia umiliata, l’indigeno disprezzato, il giovane desaparecido, il diverso dipinto come un diavolo, l’infanzia resa una merce, la vecchiaia accantonata.

Per la quale il terrore e la morte non regnino.

Per la quale non ci siano né re né sudditi, né padroni né schiavi, né sfruttatori né sfruttati, né salvatori né salvati, né leader né seguaci, né comandanti né comandati, né pastori né pecore.

Sì, sappiamo che non sarà facile.

Sì, sappiamo anche che non sarà rapido.

Sì, ma sappiamo bene anche che non sarà un cambiamento di nomi e d’insegne nell’edificio criminale del sistema.

Ma sappiamo che sarà.

E sappiamo anche che voi e tutti gli altri troverete i vostri desaparecidos, che ci sarà giustizia, che per tutti quelli che hanno sofferto e soffrono questa pena ci sarà il sollievo di avere risposte al perché, cosa, chi e come, e su queste risposte non solo si costruirà il castigo dei responsabili, ma anche il necessario affinché non si ripeta e che l’essere giovane e studente, o donna, o bambino, o migrante, o indigeno, eccetera, non sia un marchio attraverso il quale il boia di turno identifichi la sua prossima vittima.

Sappiamo che così sarà perché abbiamo ascoltato qualcosa che abbiamo in comune, tra le moltre altre cose.

Perché sappiamo che voi e noi non ci venderemo, non zoppicheremo e non ci arrenderemo.

Fratelli e sorelle:

Da parte nostra vogliamo soltanto che portiate con voi questo pensiero che vi diciamo dal fondo del nostro cuore collettivo:

Grazie per le vostre parole, sorelle e fratelli.

Ma soprattutto, grazie per la vostra lotta.

Grazie perché, sapendo di voi, sappiamo che già si vede l’orizzonte…

Democrazia!

Libertà!

Giustizia!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno- Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, a 15 giorni del mese di novembre 2014, nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Testo originale

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Benvenuti in Messico: desaparecidos e morti di #Ayotzinapa #Fueelestado

Pubblicato il 8 novembre 2014 · in Osservatorio America Latina ·

di Fabrizio Lorusso

Nel Messico della NarcoGuerra il numero di turisti, paradossalmente, cresce senza tregua. Nel 2013 è stata toccata la cifra record di 24 milioni di visitatori. Le meraviglie in terra azteca sono innumerevoli. A Città del Messico la colonia Roma è una zona rinomata e frequentata, un’isola felice che sta su tutte le guide di viaggio. Si trova a ridosso del centro storico e dalla mattina presto brulica di umanità. I suoi caffè si popolano di avventori autoctoni e stranieri, un flusso ininterrotto che continua fino a sera. Le truppe di spazzini comunali e pepenadores, meticolosi riciclatori di spazzatura che lavorano in proprio, si lanciano per le strade. Il traffico monta. Non è un quartiere chic ma nemmeno decadente, mantiene un sapore antico e un retrogusto genuino di messicanità e una varietà di locali per tutti i gusti. Ti siedi a fare colazione in un merendero. Sul ciglio della strada, a dieci metri dalla caffetteria, c’è un pezzo di carne sanguinolento, ma non te ne accorgi. Sarà un sacco dell’immondizia.

Allucinazioni?

Sono le 10 del mattino del 6 novembre, le piogge non battono più, splenderà il sole fino a maggio. Le vie Anahuac e Quintana Roo si svegliano al ritmo di clacson e strilloni. Arrivano un piatto fumante di uova con chili e pomodori tagliuzzati accompagnato da un succo d’arancia. Guardi in giro e adesso sì, noti qualcosa di strano. Ti alzi, t’avvicini, sei a pochi metri, e ti accorgi che si tratta di un cadavere. Non è intero, è un mezzo corpo, un torso umano, abbandonato senz’anima. Non capisci se è un uomo o una donna, ma di certo è una vittima, un “effetto collaterale” del conflitto interno e della violenza. Ora è un banchetto per i reporter sensazionalisti e per i ratti che si sporgono dai tombini, intimiditi dall’arrivo delle prime pattuglie e dai periti della procura. Ti resta l’immagine impressa, nessuno nei paraggi ha visto niente. Da dove è venuto quel corpo? Oggi decidi di digiunare, paghi e rimandi la colazione a un’altra vita. Pensi alle fosse comuni del Guerrero, del Tamaulipas, di Veracruz, della frontiera statunitense, del centro, del Nord, del Sud, del Messico tutto. Pensi agli oltre 2000 corpi scoperti sottoterra in pochi mesi, alle 250 fosse clandestine ritrovate in meno di un paio d’anni, e alle migliaia di cadaveri ancora sepolti che non saranno mai identificati. Ai familiari che non avranno mai pace.

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III Giornata Globale per Ayotzinapa

Il 5 novembre il centro della capitale è invaso da una massa animata e sfidante. Il grido di dolore dei genitori delle vittime della strage di Iguala del 26 settembre e dei desaparecidos entra in risonanza con la rabbia di studenti, professori, collettivi, ONG, sindacati, artisti, cittadini e lavoratori. Sfonda il torpore dei mass media, s’espande in mezzo mondo, mette in dubbio il ronzio fastidioso delle menzogne governative e propaga i suoi slogan, innalza i suoi cartelli, portatori di desolanti verità: #AyotzinapaSomosTodos (“Ayotzinapa siamo tutti”) e #Fueelestado (“La colpa è dello stato”) sono hashtag, scritte sui muri e striscioni che significano solidarietà e denuncia. E in effetti, anche se a fasi alterne e con diverse intensità, le proteste e le iniziative in Messico e in tutto il mondo non smettono di far parlare del “caso Iguala” e degli studenti della scuola normale rurale “Raul Isidro Burgos” di Ayotzianapa, la peggiore mattanza di studenti dopo la notte di piazza Tlatelolco a Città del Messico quando, il 2 ottobre 1968, l’esercito sparò sui manifestanti e fece oltre 300 vittime.

Un centinaio di migliaia di manifestanti marcia per le strade della città, dalla residenza presidenziale de Los Pinos al Zocalo, l’enorme piazza centrale, passando per la Avenida Reforma, per esigere al governo il ritrovamento dei 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa, stato del Guerrero, sequestrati nella notte del 26 settembre dalla polizia di Iguala e del vicino paese di Cocula e poi consegnati ai narcotrafficanti del cartello locale Guerreros Unidos. I dimostranti chiedono un giusto castigo per i responsabili della mattanza di tre studenti e altre tre persone commessa quella stessa notte e il ritrovamento dei desaparecidos. La terza giornata di azione globale per Ayotzinapa ha mosso coscienze da Torino a Padova, da Zacatecas a Londra e Strasburgo.

Scioperi e denunce

Il governatore dello stato del Guerrero, Angel Aguirre, ha chiesto un “permesso” di sei mesi che il parlamento locale gli ha accordato il 25 ottobre, ma non s’è formalmente dimesso. Diciamo che ha deciso di autosospendersi per un semestre prima di decadere naturalmente, dato che si terranno le elezioni del nuovo governatore nel 2015, e di lasciare l’incarico a Salvador Rogelio Ortega Martinez, segretario generale dell’ateneo Universidad Autonoma de Guerrero e indicato come vicino ai gruppi guerriglieri della regione. Gran parte delle università del paese vota per lo sciopero: gli studenti decretano la sospensione delle attività per tre giorni, da mercoledì 5 a venerdì 7 novembre, in attesa di nuove mosse.

Il movimento d’occupazione dell’IPN, Instituto Politecnico Nacional, continua. L’ateneo è ancora senza rettore. Le negoziazioni col governo per i nuovi regolamenti e la concessione dell’autonomia all’istituto traballano, si rinviano, ma proseguono. “I cittadini devono cominciare a scendere in piazza e a paralizzare il sistema economico pacificamente, obbligandoli puntualmente a cominciare la pulizia dello stato messicano”, sostiene l’accademico, esperto di narcotraffico e sicurezza internazionale, Edgardo Buscaglia. E ribadisce quanto sia necessaria un’azione di azzeramento e “pulizia totale”, l’imposizione di una nuova agenda dal basso contro la corruzione, i narcos, le istituzioni marce e i loro rappresentanti. “Il nuovo patto per la sicurezza non lo deve fare il governo ma la società ne deve dettare i termini”. Il presidente messicano Peña Nieto ha proposto un patto per la sicurezza molto vago, dopo mesi di negazione del problema.

Ogni giorno che passa senza che nulla di sicuro si sappia del destino dei 43 studenti di Ayotzinapa mette sempre più in imbarazzo le autorità che ormai stanno esaurendo tutte le scuse e i colpi mediatici ad effetto per provare a distrarre l’attenzione dal vero problema che, in fondo, è lo stato stesso, il sistema politico corrotto e la penetrazione delle mafie a tutti i livelli, tanto che è ormai legittimo parlare di “Narco-Stato”. Secondo alcune stime, divulgate da Buscaglia, il 67% dei comuni messicani è infiltrato dai narcos e la situazione, quindi, è sfuggita di mano dal livello locale a quelli statale/regionale, nazionale e federale. 6800 soldati, 900 membri della marina e 1870 poliziotti federali sono impegnati nelle ricerche.

Nuovi racconti dei narcos arrestati: li abbiamo bruciati

A sorpresa, nel pomeriggio del 7 novembre, il procuratore generale della repubblica, Jesus Murillo Karam, tiene una conferenza stampa. In mattinata ha incontrato i genitori delle vittime a cui ha comunicato “notizie delicate” in una riunione definita come “tranquilla, dolorosa, molto triste”. Tre membri del cartello Guerreros Unidos hanno confessato di aver ricevuto e giustiziato gli studenti che gli erano stati portati dai poliziotti municipali di Iguala e Cocula il 26 settembre. Patricio Reyes, Jonathan Osorio e Agustín García Reyes, arrestati otto giorni fa, sono i rei confessi. Non è la prima volta che alcuni narcos e poliziotti raccontano i fatti di Iguala dalla prigione. I primi racconti del mese di ottobre sono stati smentiti dai fatti e dalle ricerche per cui anche questi vanno presi con le pinze. Nel paese dei montaggi televisivi e della fabbrica dei colpevoli è saggio aspettare.

Alcuni ragazzi, una quindicina, sarebbero arrivati nelle mani dei narcos già morti, asfissiati. Gli altri, secondo le dichiarazioni, sarebbero stati interrogati e in seguito bruciati per 15 ore nella discarica della spazzatura di Cocula. Un rogo alimentato a turno dai delinquenti con gomme, legna, benzina e plastica per eliminare tutte le tracce della strage. “Li hanno seppelliti con tutto ciò che avevano, li han bruciati con tutti i vestiti”, riporta Karam. “I periti che hanno analizzato il luogo hanno trovato frammenti di resti umani”, specifica.

 

Il pubblico assiste in silenzio alla conferenza, sbigottito, per l’ennesima volta. I video, le mappe della regione di Iguala, le testimonianze e gli interrogatori passano in sequenza sullo schermo controllato dal procuratore. La sua voce è seria, compunta. Uno dei narcos, noto come il “Terco”, il testardo, avrebbe ordinato di fratturare le ossa già calcinate, di raccoglierle in sacchi e scaraventarle giù da un burrone per farle rotolare fino al fiume San Juan. La procura conferma che “sono stati trovati dei sacchetti con resti umani all’interno” che saranno inviati in Austria per realizzare degli studi mitocondriali. Non si sa quando avremo notizie certe, gli studi possono durare giorni, anzi settimane, forse mesi, e sono complicatissimi. Insomma, ufficialmente i 43 normalisti sono ancora desaparecidos.

Queste dichiarazioni potrebbero cambiare il panorama delle indagini e gettano nello sconforto, ma anche nell’incertezza, l’intero paese. Nelle ultime settimane, dopo l’arresto di 36 narco-poliziotti dei comuni di Iguala e Cocula, di 27 narcotrafficanti e dei boss dei Guerreros Unidos, i fratelli Sidronio e Mario Casarrubias, e la rinuncia del governatore, s’è aggiunto anche un altro tassello, senza dubbio importante, ma in fin dei conto poco determinante ai fini delle indagini sugli studenti rapiti dalla polizia. Infatti, il giorno prima della manifestazione, verso le 2 e 30 del mattino del 4 novembre, la polizia federale ha arrestato José Luis Abarca, sindaco di Iguala, e sua moglie María Pineda, presunti autori intellettuali della strage degli studenti di Ayotzinapa e della scomparsa di 43 loro compagni.

L’arresto del sindaco Abarca e di sua moglie

Dopo i primi interrogatori la procura generale della repubblica ha confermato l’incarcerazione all’ex primo cittadino, accusato di omicidio e della scomparsa dei 43 normalisti, mentre la sua consorte rimane agli arresti domiciliari. Ma insieme a loro è stata catturata anche una ragazza. Si chiama Noemì Berumen ed è accusata di averli nascosti e protetti nella casa di suo padre, Salvador Berumen, situata nella zona periferica e labirintica di Iztapalapa, in cui la coppia ha vissuto per alcune settimane. Il padre di Noemì è un imprenditore edile, proprietario della Berumen Gruas (“gru”, in spagnolo) e contrattista del comune di Città del Messico e del partito che lo amministra, il PRD (Partido Revolucion Democratica, centro-sinistra). Grazie a questi scandali e al fatto che il sindaco Abarca e l’ex governatore Aguirre sono proprio del PRD, il partito di governo, il PRI (Partido Revolucionario Institucional), sta cercando di portare acqua al suo mulino, in vista delle elezioni intermedie (parlamentari e di alcuni governi locali) previste a metà del prossimo anno.

Molti sono i mass media allineati che stanno provvedendo a distruggere l’immagine, già deteriorata dalle faide interne, del principale partito che, a fasi alterne, si può considerare d’opposizione. All’estero, invece, quando se ne parla, la tendenza generale sembra essere quella di emettere condanne “soft” contro il Messico per il suo scarso rispetto dei diritti umani e per il massacro di Iguala, anche se poi questo accadimento non viene contestualizzato ed è considerato alla stregua di un conflitto locale, di un episodio circoscritto e risolvibile, come se il paese non fosse immerso in una delle peggiori crisi di governabilità e sicurezza della sua storia, dopo 8 anni di narcoguerra e militarizzazione.

Narco-Sindaco e Narco-(Aspirante)-Sindachessa

La loro fuga è durata un mese, una settimana e un giorno. La notte del massacro i coniugi Abarca ballavano in una festa, a Iguala, mentre la polizia bloccava i normalisti e li consegnava ai narcos. Non volevano che, durante un evento tra il mondano e il politico organizzato dalla signora Maria Pineda, si ripetesse la brutta figura che avevano fatto nel luglio 2013, quando gli studenti di Ayotzinapa erano accorsi per protestare per gli omicidi degli attivisti della Unidad Popular, organizzazione osteggiata dal sindaco Abarca. Tanto osteggiata che il narco-sindaco, secondo un testimone oculare, aveva sparato a uno di loro, Arturo Hernandez Cardona, uccidendolo a sangue freddo.

Quella sera, l’ordine di fermare gli studenti è arrivata via radio. José Luis Abarca si faceva chiamare A-5, nome in codice. Sei morti, cioè tre studenti, un autista, un giocatore di calcio e una signora che viaggiava su un taxi, non bastavano. Ci voleva una lezione per i normalisti “rivoltosi”. E la polizia esegue, i narcos eseguono, i narcos sono la polizia che è il sindaco, che è il capo degli sbirri, che poi si chiama Felipe Flores Vazquez ed è latitante, e che è lo stato. Con calma, sabato 27 settembre, mentre probabilmente i corpi degli alunni della normale stavano bruciando in un immondezzaio comunale nella vicina località di Cocula, il sindaco si degna di rispondere alla chiamata delle autorità statali e dice che non sa niente di niente.

Il 30 chiede un permesso e se ne va, fugge con la moglie finché entrambi non vengono scovati in una casa della periferia della capitale, il 4 novembre. La signora Pineda-Abarca operava per conto dei narcos dei Gurreros Unidos e gestiva i fondi comunali per lo “sviluppo sociale”. “Quest’associazione mafiosa riceveva dal sindaco 2-3 milioni di pesos regolarmente”, spiega il procuratore capo, “ogni mese, ogni due mesi, ogni semestre, e di questi soldi almeno 600mila pesos erano destinati al controllo della polizia locale e i delinquenti decidevano anche chi poteva entrare a far parte della polizia”. Maria Pineda voleva fare la sindachessa, stava già preparando la sua candidatura insieme al marito. Quante Maria Pineda ci sono in Messico?

Distrazione

L’arresto di Abarca e della moglie rischia di diventare un elemento di distrazione, una scusa per non andare a fondo nelle ricerche dei 43 studenti ma soprattutto nello svelamento di quelle reti di connivenza politica delinquenziale che hanno provocato questa e migliaia di altre mattanze negli ultimi anni in Messico. Le decine di cadaveri rinvenute nelle fosse comuni nei dintorni di Iguala e Cocula stanno lì a ricordarci che oltre 100mila morti e 27mila desaparecidos in 7-8 anni non possono venire cancellati dalla martellante propaganda governativa e dallo sforzo diplomatico delle ambasciate messicane nel mondo.

Il giallo della casa in cui sono stati arrestati i coniugi e i loro nessi con la famiglia Bermuden, così come la storia di questo narco-sindaco-pistolero e di sua moglie, sorella di quattro narcotrafficanti, tre assassinati e uno latitante (vedi immagine), e presumibilmente coinvolta negli affari criminosi del marito, costituiscono nuovi tasselli del puzzle, ma oramai il quadro generale è stato rivelato e i nodi vengono al pettine. Le vene aperte del Messico e del caso Iguala/Ayotzinapa non possono confluire semplicemente nello stato del Guerrero ma trasportano il loro sangue fino a tutti gli apparati del sistema della narco-politica e di un narco-stato assuefatto alla violenza come strumento di repressione, controllo e gestione del potere.

E’ stato lo Stato

Tanto le testimonianze degli studenti sfuggiti all’attacco come vari documenti ufficiali, elaborati dalla procura del Guerrero, confermano che alcuni membri dell’esercito, della polizia federale e di quella statale erano presenti quando gli studenti sono stati aggrediti e, prima che venissero rapiti e fatti sparire, non gli hanno prestato aiuto. Anzi, li hanno perquisiti, fotografati, spogliati, ignorati quando chiedevano assistenza medica e accusati di essersela cercata prima di lasciarli in balia dei narcos. Persino i tassisti avevano l’ordine di non aiutare gli studenti. Lo stato c’era, non ha agito e ha addirittura facilitato il lavoro sporco della autorità locali e della criminalità organizzata.

Il direttore per le Americhe di Human Rights Watch (HRW), José Miguel Vivanco ha segnalato in conferenza stampa che gli accadimenti di Iguala sono frutto dell’impunità che regna in Messico da tanti anni e che il presidente ha reagito tardi: “Peña Nieto ha reagito quattro giorni dopo i fatti e l’ha fatto tardi e male perché ha parlato del problema come se si trattasse del Guatemala e invece siamo in Messico. Doveva muovere in quel momento tutti i mezzi e le risorse per impedire quanto successo”. I familiari e le organizzazioni della società civile, insieme ai movimenti sociali, si sono occupate di risvegliare l’attenzione su quanto stava succedendo e di spingere alla ricerca dei desaparecidos e al chiarimento degli eventi. “I diritti umani e la sicurezza pubblica non sono temi prioritari per il governo attuale, infatti sono temi tossici che arrecano un danno all’immagine del paese”, ha spiegato Vivanco.

Volti noti, ma non si interviene

Mario Pineda, El MP, e Alberto Pineda Villa, El Borrado, fratelli di María de los Ángeles Pineda Villa da anni sono volti noti. Sono coinvolti nella operazione pulizia, la Operación Limpieza, condotta nel 2008 dal governo federale in quanto pagatori o operatori finanziari del cartello dei Beltran Leyva, incaricati di versare 450mila dollari al mese a funzionari della procura generale della repubblica, secondo quanto dichiarato dal giornalista esperto di narcotraffico José Reveles. Lo scrittore ha parlato di soldi “per le coperture, per essere avvisati di quando c’erano operazioni di polizia, per essere tenuti informati e protetti”. Anche un documento del 29 luglio 2014 li segnala come alleati de “La Barbie”, il boss Edgar Valdez Villarreal.

I due Pineda Villa avrebbero anche dato 150mila dollari al mese al responsabile della sicurezza dello stato del Morelos, Luis Angel Cabeza de Vaca, secondo quanto riportato dalle conclusioni dell’accusa e dalle testimonianze dello stesso Valdez Villareal. “Il crimine organizzato è arrivato a comprare una franchigia chiamata ‘Comune’”, spiega Reveles. Il sindaco Abarca, tra l’altro, ha sostenuto la campagna elettorale del governatore Aguirre e, insieme a sua moglie, ha costruito un piccolo impero di gioiellerie, negozi e un mini-centro commerciale sparsi tra Iguala e la frontiera con gli USA, il che fa pensare a un business funzionale al riciclaggio di denaro sporco.

Tentativi presidenziali

Il presidente Peña ha presentato l’arresto del sindaco e della moglie come un passo che “contribuirà a chiarire il caso Iguala in modo decisivo” e ha parlato della “cattura dei responsabili”. In realtà non è così. Il caso non è chiuso e le manifestazioni di questi giorni lo dimostrano. Il tassello fondamentale sono i 43 studenti scomparsi che, nonostante le dichiarazioni dei narcos e la conferenza stampa del procuratore, continuano comunque a restare ufficialmente, secondo lo stesso Murillo Karam, “desaparecidos”. Peña ha proposto agli altri partiti e alla società un “patto per la sicurezza”. Lo fa solo ora, dopo aver sottovalutato il problema per quasi due anni, dopo aver tralasciato il tema dell’impunità, del sistema giudiziario viziato e politicizzato e dopo aver nascosto i morti del conflitto interno sotto il tappeto di casa. I familiari hanno incontrato il presidente. Peña li ha ascoltati e ha dialogato. “Gli stessi discorsi di sempre”, “Non ci sono risultati”, hanno detto i genitori deli studenti dopo l’incontro.

 

Alla fine della manifestazione del 5 novembre, durante il comizio finale, i genitori hanno addirittura anticipato l’annuncio del procuratore, annunciando che questi avrebbe presto “risolto il caso” rivelando nuovamente la morte degli studenti e prolungando indefinitamente la raccolta di prove scientifiche che la certificano. “Vogliamo dirvi che non accetteremo che venga fuori il presidente, in una conferenza stampa che sta per annunciare, a dire che nostri figli sono morti”, afferma uno di loro. “Solo vorrei dire al signor Peña Nieto che doveva firmare un accordo per far venire dall’estero dei periti per le ricerche e non l’ha fatto”, dice un altro. E’ un coro di critiche. “In una riunione che abbiamo avuto con il procuratore ci dicono che il sindaco Abarca è innocente perché stava dormendo e non s’è accorto di nulla”, impreca un altro familiare. Una madre conclude: “Facciamo un appello a tutta la cittadinanza affinché non ci lascino soli, rivogliamo vivi i nostri figli, vogliamo giustizia”.

Domande

Di chi sono i 30 cadaveri trovati nelle fosse comuni intorno ad Iguala se, come già dimostrato, non sono quelli degli studenti? Dove sono i responsabili nelle file della polizia che nel 2011 uccisero altri due studenti della normale di Ayotzinapa? Perché, se la procura già nel 2008, nel 2009 e nel 2013 aveva avuto modo di verificare i precedenti criminali di J. L. Abarca e consorte ed era a conoscenza del patto d’impunità in vigore nel Guerrero e a Iguala, non è intervenuta? La strage di Iguala si poteva evitare, così come tante altre. Quanti altri comuni in Messico sono nelle stesse condizioni e nessuno interviene? Quanti sono amministrati dal PRI? Quanti dal PRD o dal PAN (Partido Accion Nacional, di destra)?

Perché le autorità, i militari e gli altri corpi della polizia presenti il 26-27 settembre a Iguala hanno lasciato che i narcos e la polizia locale agissero indisturbati? Perché i narcos imprigionati raccontano versioni diverse ogni due settimane su come e dove avrebbero ucciso gli studenti e nascosto i loro resti? Come mai due importanti personaggi del PRD come Angel Aguirre e René Bejarano sapevano delle reti di narco-politica e non hanno impedito la degenerazione della situazione? La risoluzione di un caso di desaparicion forzata si conclude con la scoperta del luogo in cui si trova, viva o morta, la persona scomparsa, con la definizione completa delle responsabilità e il castigo di tutti i responsabili. Può lo stato messicano processare e punire se stesso? Ayotzinapa #FueElEstado. In tanti l’hanno scritto sulle pareti di decine di città messicane e sull’asfalto delle piazze. E il mondo comincia a crederci e ripete il grido: “¡Vivos se los llevaron, vivos los queremos!”.

http://www.carmillaonline.com/2014/11/08/benvenuti-in-messico-desaparecidos-e-morti-di-ayotzinapa-fueelestado/

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DF

Dopo la caduta

Gustavo Esteva

Giulio Cesare si trovò improvvisamente di fronte al suo assassino. La sua vita finiva. Non sappiamo se nella sua mente passarono le immagini di suo figlio di soli tre mesi; della sua compagna Marisa; della sua famiglia. Quello che sappiamo è che dal suo cuore sgorgò un impulso incontenibile di coraggio e degna rabbia: gli sputò in faccia. Poco dopo, gli strapparono la pelle dal volto.

Di questa pasta sono fatti quei giovani. Di questa dimensione è il nostro dolore.

La degradazione umana che si rivela in quel furore criminale e quanto fatto ai nostri 43 è atroce. È tanto profonda e grave come la degradazione istituzionale in ogni ordine e grado e che si è mostrata apertamente ad Ayotzinapa. È stato lo Stato, ha detto lo Zócalo.

L’indignazione che è cresciuta tra noi ha creato un momento peculiare, forse senza precedenti. Spuntano come funghi, dappertutto, spazi di riflessione. Stiamo pensando l’impensabile, quello che non riuscivamo o non volevamo pensare.

Ci prendiamo innanzitutto le nostre responsabilità. Ci domandiamo com’è che siamo arrivati a tali estremi di degradazione personale e collettiva. Non è accaduto all’improvviso. È stato un lungo processo di decadenza. Perché l’abbiamo permesso?

Molti hanno alzato le spalle; non hanno sentito che il problema era loro o non sapevano che cosa fare. Ma molti altri ci siamo mobilitati. Ora stiamo riflettendo su quello che forse abbiamo fatto male.

È quasi vergognoso ammettere di aver bussato alle porte sbagliate. Gli olmi non producono pere. Ce lo dissero anni fa quelli di Occupy Wall Street: si presentano richieste al governo solo quando si crede che possa soddisfarle. È inutile farlo con chi rappresenta solo l’uno percento e sono del tipo di quelli che stanno manifestando. Si fa nostro il grido argentino del 2001: ¡Que se vayan todos! [Che se ne vadano via tutti!].

L’abbiamoo ripetuto, ciononostante, dobbiamo rimangiarci le parole. Che cosa accadrebbe se all’improvviso se ne andassero via tutti quanti, per qualche cataclisma istituzionale? C’è chi ha la risposta facile: Mettiamoci i nostri. Se ci fossero, miracolosamente, le dimissioni del Presidente, porterebbero nel 2015 l’illusione del 2018. Ma questa fantasia che fino a poco tempo fa attraeva milioni di persone, trova sempre meno eco. Non è dimostrato che gli altri siano più competenti o meno corrotti. Inoltre, anche attribuendo le più alte qualità immaginabili al leader che guiderebbe questa sostituzione, il ricambio sarebbe pericoloso: creerebbe l’illusione che la questione è risolta, che lui metterebbe le cose a posto.

A questo punto la riflessione arriva dove doveva arrivare, ciò che era impensabile fino a poco tempo fa. Non si tratta solo delle persone, di quelle canaglie. Quello che abbiamo permesso che accadesse è che le istituzioni stesse si degradassero. Per prima cosa hanno smesso di svolgere la loro funzione. Poi hanno cominciato a fare il contrario di quello che devono fare. Ora servono solo a dominare, controllare, rubare, distruggere…

Non basta sostituire dirigenti o realizzare riforme. Licenziare poliziotti, come si fa quotidianamente, moltiplica solo delinquenti. L’alternanza, con cui abbiamo già avuto governanti ed amministrazioni di tutti i partiti, ha dimostrato chiaramente che può essere peggio della continuità.

Quindi? Qui inizia la riflessione che ci mancava. E’ chiaro che dobbiamo smantellare questi apparati, cominciando a sopprimere la necessità che esistano. Affinché non si generi l’impressione che così si produrrebbe un vuoto abissale, dobbiamo definire con chiarezza quello che dovremmo fare.

Viviamo ormai nel caos, nell’incertezza, nel malgoverno, questo fango in cui non riusciamo più a distinguere tra il mondo del crimine e quello delle istituzioni. Si vive ormai, come diceva mia nonna, con Gesù in bocca. Ho appena visto un graffito pertinente: Quando la tirannia è legge, la rivoluzione è ordine. È quello che vogliamo. Poter governare i comportamenti e gli eventi. Poter vivere in pace, in tranquillità, invece di essere continuamente esposti a disastri ed atrocità… Ma abbiamo bisogno che le regole della convivenza non vengano dal governo né dalle corporazioni, che ora sono lo stesso fango, bensì da noi stessi. Non si tratta di sopprimere ogni autorità o liquidare servizi pubblici, ma di portare la democrazia dove sono i cittadini, perché in alto si corrompe e si trasforma nel suo contrario. Si tratta di governarci, di fronte all’evidenza che il regime della rappresentanza è finito nel mondo intero. Per proteggerci, cominciamo ad organizzarci in ogni strada, ogni quartiere, ogni comunità…

Benché questo richieda tutto il coraggio e la degna rabbia di Giulio Cesare, non dobbiamo morire come lui. Di fronte a noi non c’è il nostro assassino. Ci siamo noi stessi. Oggi è richiesto il nostro coraggio, la nostra rabbia, la nostra organizzazione e la nostra immaginazione. Che la nostra rabbia si trasformi in ribellione e libertà.

gustavoesteva@gmail.com

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ayotzinapa senza risposte

Gloria Muñoz Ramírez

Mi sono stancato, dice il procuratore, Jesús Murillo Karam. Non lo accettiamo, dicono i genitori dei 43 studenti scomparsi ad Ayotzinapa, dopo l’annuncio ufficiale che sono stati assassinati, bruciati e gettati in un fiume ed in una discarica, ma che continuano ad essere dichiarati desaparecidos.

Il governo federale si è ufficialmente stancato. E non ha risposto agli interrogativi nodali. Perché l’Esercito non è intervenuto di fronte all’emergenza, trovandosi a cinque minuti dal luogo degli attacchi? Dice Murillo Karam: “è un bene che non sia intervenuto… che cosa sarebbe successo se l’Esercito fosse intervenuto, chi avrebbe difeso? Ovviamente l’autorità costituita”. Cioè, è stato un bene che l’Esercito non avesse ricevuto ordini dall’autorità costituita?

“Sono corso verso la strada N. Álvarez, che porta in centro, dove stavano scappando i miei compagni. Quando siamo arrivati, a circa due o tre isolati, c’era l’Esercito che pattugliava. Non la città, il posto, e ci dicevano ‘fate silenzio, ve la siete cercata, volevate fare gli uomini, bene, arrangiatevi ‘. Avevamo paura e rabbia contemporaneamente, perché non potevamo nemmeno ricevere chiamate. Se qualcuno ci chiamava, un militare si metteva lì ad ascoltare e ci diceva quello che dovevamo dire. Volevano nascondersi e ci dicevano di non dire che ci tenevano i militari, di dire che stavamo bene, così dicevano ai compagni che ricevevano chiamate. Poi hanno chiamato un’ambulanza – tra virgolette -, ci hanno fotografato tutti. Perfino al compagno che era ferito, al quale hanno detto che lo fotografavano per mostrare le sue condizioni all’ambulanza che doveva arrivare. Ma l’ambulanza non è mai arrivata”. È la testimonianza del sopravvissuto Omar García, che chiedeva aiuto col suo compagno tra le braccia.

Perché i poliziotti avrebbero consegnato gli studenti ai criminali di Guerreros Unidos? Murillo non dice niente. Solo che poi questo gruppo criminale decise di assassinarli, mutilarli, bruciarli e gettarli nel fiume. Dove sta la spiegazione della complicità delle forze dello Stato, polizia ed Esercito, in questa trama ufficiale? Perché hanno ucciso le prime sei persone? Perché la polizia li ha inseguiti ed uccisi prima di consegnarli ai sicari?

Il presidente Enrique Peña Nieto non poteva reggere il peso dei morti e, soprattutto, dei 43 desaparecidos. Hanno preso tempo e preparato lo show multimediale. “Vogliono che il Presidente dica al mondo che in Messico il problema degli studenti è risolto.”

www.desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2014/11/08/opinion/020o1pol

Copertura completa: https://es-la.facebook.com/Desinformemonos

 

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Messico, 27 mila scomparsi dal 2006
«Lo Stato è responsabile»

Federico Mastrogiovanni, autore di «Ni vivos ni muertos», sulle sparizioni forzate nel Paese: «La vicenda dei 43 studenti scomparsi non è un caso isolato»

di Luca Martinelli

La manifestazione a Città del Messico, il 22 ottobre (Reuters) La manifestazione a Città del Messico, il 22 ottobre (Reuters)
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Martedì 22 ottobre, la piazza principale di Città del Messico si è riempita di gente. Di fronte al Palazzo di governo, i manifestanti chiedevano la «restituciòn con vida», la liberazione dei 43 giovani studenti della Escuela Normal Rural de Ayotzinapa, sequestrati a fine settembre nello Stato del Guerrero, in Messico. Se queste manifestazioni di massa ci lasciano stupiti, è perché negli ultimi anni siamo stati distratti: dal 2006, nel Paese sono scomparse almeno 27mila persone, vittime di «sparizione forzata». Sfruttando lo «scudo» mediatico della guerra al narcotraffico, gli ultimi presidenti della Repubblica -Felipe Calderón ed Enrique Peña Nieto- hanno avviato un politica di sistematico terrore nei confronti della popolazione, e i 43 studenti del Guerrero sono solo la punta di un iceberg. In Messico «il crimine è fuori controllo» ha titolato nei giorni scorsi The Economist, e questo è il Paese descritto nel libro «Ni vivos ni muertos», dal giornalista italiano Federico Mastrogiovanni, uscito in Messico per Grijalbo. «Troppo a lungo, per la stampa messicana ogni caso di desaparicion era a sé, isolato, frutto di una violenza generalizzata, senza nome e senza senso. Ma è impossibile: quello della ‘sparizione forzata’ non può essere considerato un fenomeno casuale, perché non potrebbe avere queste dimensioni» spiega Federico Mastrogiovanni, seduto al tavolo di un caffè-libreria, a Città del Messico.

Nei cartelli esposti in piazza da chi chiede la riapparizione degli studenti si legge «responsabile è lo Stato». Che cosa significa?
È la definizione del delitto di desaparicion forzada adircelo, che nei Trattati internazionali viene descritto come quel sequestro di persona che veda un intervento da parte dello Stato a qualsiasi livello, per azione o omissione. In Messico, in molti casi, l’intervento è diretto, e le desapariciones sono operate fisicamente da agenti dello Stato, da soldati, forze polizia o funzionari pubblici (come nel caso degli studenti di Ayotzinapa), ma spesso si agisce anche per omissione: è molto frequente, ad esempio, che chi va a presentare denuncia dopo un sequestro venga invitato dal pubblico ministero a tornare a casa, che non ne vale la pena. Quella è una omissione, che può essere fatta da un funzionario corrotto, colluso o semplicemente impaurito. In ogni caso, lo Stato è responsabile.

Chi sono le vittime?

La maggioranza delle vittime sono giovani ragazzi maschi, tra i 18 e i 30 anni, di classe bassa e medio bassa. Secondo alcuni, in determinate aree del Paese è in quella classe d’età e sociale che è più facile che si crei scontento, e quei giovani entrino a far parte di movimenti antagonisti. Seminando il terrore in quelle fasce, si cassano così sul nascere alcune opportunità. Se negli anni 70-90, durante la guerra sucia (guerra informale, che contrapponeva apparati dello Stato a gruppi e organizzazioni antagoniste)che ha portato a 1.500 desapariciones, tracciare l’identità «tipo» della vittima di sparizione forzata era facile – o erano appartenenti alla guerriglia, a movimenti radicali e studenteschi, o familiari o amici di queste persone- oggi le vittime hanno un profilo apparentemente casuale, e questo aumenta l’incidenza del terrore, perché tutti siamo possibili vittime. Secondo uno psicologo che ho intervistato, in Messico fino a 3,5 milioni di persone hanno relazioni dirette con vittime di sparizione forzata.

Chi è che ci guadagna? Qual è l’obiettivo di questo fenomeno?
Ci siamo resi conto, analizzando in profondità il fenomeno, che certe pratiche sono legate a luoghi dov’è forte la presenza di risorse naturali. Ad esempio, alla Cuenca de Burgos, territorio tra gli Stati di Tamaulipas, Nuevo León e Coahuila, nel Nord-est, dove ci sono importanti riserve di idrocarburi e dove, dal 2007 in poi, le sparizioni hanno conosciuto una crescita verticale. Le recenti riforme legislative messicane in materia energetica evidenziano come a guadagnare siano le aziende che in certe zone del Paese puntano a sfruttare petrolio, shale gas, anche attraverso la pratica del fracking, acqua e le altre risorse ambientali. Quando tu generi violenza, il desplazamiento forzato della popolazione, e un clima di terrore, difficilmente si crea opposizione nei confronti dei megaprogetti. Nello Stato di Tamaulipas (nella zona del Golfo del Messico, ricca di giacimenti di idrocarburi, ndr) ci sono zone intere dove non vive più nessuno. Dentro un clima di violenza generalizzata, e pertanto più «accettata», diventano vittime anche attori politici di opposizione, leader comunitari, vittime che però non si percepiscono come tali all’interno di un clima di violenza. Si tratta, però, di omicidi o desapariciones forzadas mirate.

Nel libro c’è un parallelo tra il Messico del ventunesimo secolo e pratiche della Germania nazista. Che cosa hanno in comune?
La pratica della sparizione forzata venne «codificata», nel 1941, con un decreto conosciuto come Nacht und Nebel, Noche y Niebla in spagnolo, notte e nebbia in italiano. L’obiettivo, secondo quanto spiegavano i nazisti, era quello di generare un terrore che paralizzasse la società. Attraverso questo messanismo, inoltre, non si creano martiri, né si lascia ai familiari la possibilità di avere pace».

Il terrore è, dev’essere permanente, perché «la morte uccide la speranza, ma la desaparición è intollerabile perché anche se non uccide non ti permette di vivere». Queste parole di Elena Poniatowska, scrittrice ed intellettuale messicana, stanno scritte su un muro del «Museo de la memoria indomita», a Città del Messico, circondate dalle fotografie in bianco e nero delle vittime della guerra sucia, di coloro che non sono mai rientrati.

http://www.corriere.it/esteri/14_ottobre_23/messico-27-mila-scomparsi-2006-76bf7596-5ab4-11e4-a20c-1c0cce31a000.shtml

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jornada 
Ayotzinapa: la popolazione civile contro lo Stato
http://www.kaosenlared.net/america-latina-sp-1870577476/al2/mexico/98492-las-dos-agendas-en-torno-a-ayotzinapa-la-población-civil-contra-el-estado
 
Città del Messico: Nello Zócalo, testimoni, lacrime, rabbia, impotenza…
http://www.proceso.com.mx/?p=385567
 
Esplode l’indignazione in Messico e nel mondo per il caso Ayotzinapa
http://www.jornada.unam.mx/2014/10/23/

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43

22 Ottobre 2014

Da Helsinki a Nuova Delhi, in tutto il mondo oggi si è manifestato per chiedere giustizia in Messico, per i 43 studenti vittime di sparizione forzata nello stato di Guerrero il 26 settembre scorso, per gli oltre 20mila desaparecidos degli ultimi 6 anni.

Desaparecidos, questa brutta parola che pensiamo legata agli anni 70, e alle dittature, è ancora tra noi. Presente. Presente ovunque tranne sui media italiani, che al Messico in fiamme -un importante partner commerciale diceva nei primi mesi del 2024 il premier Letta, in visita ufficiale- non dedicano nemmeno un centesimo dell’attenzione verso il Medio Oriente. Sarà che quel petrolio, quello del Golfo del Messico, è per statuto degli USA, e quindi si ha l’obbligo di mantenere il silenzio, seguir callados di fronte a un regime del terrore cui il popolo messicano -per fortuna- non vuole sottomettersi. Ya basta!, ora basta.

Luca Martinelli

Foto e servizi sulle manifestazioni nel mondo: Link

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Il 26 settembre nella città di Iguala, nello stato di Guerrero della Repubblica Messicana, gli studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa stavano realizzando una raccolta fondi per partecipare alla manifestazione nazionale in memoria del massacro di centinaia di studenti a Tlatelolco il 2 ottobre 1968.
Si trovavano su degli autobus quando dei mezzi della polizia ha bloccato loro la strada, gli studenti hanno cercato di stabilire un dialogo con i poliziotti e poter passare ma sono stati accolti a spari uccidendo immediatamente uno degli studenti; il risultato finale è stato di 6 persone uccise, 25 feriti e 43 studenti desaparecidos dalla polizia municipale.
Secondo le dichiarazioni di alcuni detenuti, l’ordine di sequestrare gli studenti è arrivato dal dal direttore della Pubblica Sicurezza del municipio – oggi latitante – e l’ordine di ucciderli è arrivato da El Chuky, membro dell’organizzazione mafiosa“Guerreros Unidos”.
Sono stati ritrovati dei resti in alcune fosse clandestina che però non corrispondono ai corpi degli studenti desaparecidos.
C’è una raccolta di firme per sottoscrivere un comunicato per denunciare che questo è un crimine di stato, chiedere giustizia e la riconsegna in vita dei desaparecidos.
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Ayotzinapa: Crimen de Estado

A la opinión pública nacional e internacional A la sociedad civil A los pueblos y naciones que integramos a la nación mexicana
Anteprima per Yahoo

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Video-doc sulla guerra di Bassa Intensità contro le comunità Zapatiste e l’EZLN
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Lavoro editoriale svolto da Andrea Cegna nel maggio-giugno 2014.
Il progetto partendo dall’omicidio del Compagno Galeano del 2 maggio 2014 percorre 20 anni di lotta zapatista e narra le diversi fasi di contrapposizione repressiva operata dai Governi e del neoliberismo contro lo Zapatismo.
Le parole di quello che era il Subcomandante Marcos ora Subcomandante Galeano si mescolano a una importante intervista a Pedro Faro, responsabile comunicazione del Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomè de Las Casas. Immagini d’epoca si miscelano a riprese e immagini di oggi.
Un lavoro interessante per chi vuole capire le fasi di controinsurgencia e la situazione attuale in cui vive la lotta Zapatista.
A breve anche con sottotitoli in Italiano.
La colonna sonora scelta per il video presenta brani di BB King, Amparanoia, Lo Stato Sociale, Rage Against The Machine e Punkreas, da il ritmo alla narrazione ma è anche elemento di narrazione e contenuto.

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La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica

di Fabrizio Lorusso

Marcha Ayotzinapa 8 oct 179 (Small)Il Messico si sta trasformando in un’immensa fossa comune. Dal dicembre 2012, mese d’inizio del periodo presidenziale di Enrique Peña Nieto, a oggi ne sono state trovate 246, a cui pochi giorni fa se ne sono aggiunte altre sei. Sono le fosse clandestine della città di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero. Tra sabato 4 ottobre e domenica 5 l’esercito, che ha cordonato la zona, ne ha estratto 28 cadaveri: irriconoscibili, bruciati, calcinati, abbandonati. E’ probabile che si tratti dei corpi interrati di decine di studenti della scuola normale di Ayotzinapa, comune che si trova a circa 120 km da Iguala. Infatti, dal fine settimana precedente, 43 normalisti risultano ufficialmente desaparecidos. “Desaparecido” non significa semplicemente scomparso o irreperibile, significa che c’è di mezzo lo stato.

Vuol dire che l’autorità, connivente con bande criminali o gruppi paramilitari, per omissione o per partecipazione attiva, è coinvolta nel sequestro di persone e nella loro eliminazione. Niente più tracce, i desaparecidos non possono essere dichiarati ufficialmente morti, ma, di fatto, non esistono più. I familiari li cercano, chiedono giustizia alle stesse autorità che li hanno fatti sparire. Oppure si rivolgono ai mass media e a istituzioni che in Messico sono sempre più spesso una farsa, una facciata che nasconde altri interessi e altre logiche, occulte e delinquenziali. E nelle conferenze stampa, senza paura, dicono: “Non è stata la criminalità organizzata, ma lo stato messicano”.

La strage di #Iguala #Ayotzinapa

Marcha Ayotzinapa 8 oct 149 (Small)La sera di venerdì 26 settembre un gruppo di giovani alunni della scuola normale di Ayotzinapa si dirige a Iguala per botear, cioè racimolare soldi. Hanno tutti tra i 17 e i 20 anni. Vogliono raccogliere fondi per partecipare al tradizionale corteo del 2 ottobre a Città del Messico in ricordo della strage  di stato del 1968, quando l’esercito uccise oltre 300 studenti e manifestanti in Plaza Tlatelolco. I normalisti decidono di occupare tre autobus. I conducenti li lasciano fare, ci sono abituati. Sono le sette e mezza, fa buio. Fuori dall’autostazione, però, ad attenderli c’è un commando armato di poliziotti. Fanno fuoco senza preavviso. Sparano per uccidere, non solo per intimidire. Hanno l’uniforme della polizia del comune di Iguala e sono gli uomini del sindaco José Luis Abarca Velázquez e del direttore della polizia locale Felipe Flores, entrambi latitanti da più di una settimana. Ma i pistoleri poliziotti non restano soli a lungo, presto sono raggiunti da un manipolo di altri energumeni in tenuta antisommossa. Il fuoco delle armi cessa per un po’, ma l’attacco è stato brutale, indignante e irrazionale.

La persecuzione continua. Partono altri spari. Muoiono tre studenti, altri 25 restano feriti, uno in stato di morte cerebrale. Per salvarsi bisogna nascondersi, buttarsi sotto gli autobus. Non muoverti, se no gli sbirri ti seccano. Alcuni cercano di scappare, scendono dai bus, il formicaio esplode nell’oscurità. Gli uomini in divisa caricano decine di studenti sulle loro camionette e li portano via. Pare che l’esercito, la polizia federale e quella statale abbiano scelto di non intervenire. Lasciar stare.

Intanto sopraggiungono altri soggetti con armi di alto calibro, narcotrafficanti del cartello dei Guerreros Unidos, una delle tante sigle che descrivono il terrore della narcoguerra e la decomposizione del corpo sociale in molte regioni del paese. Non contenti, i poliziotti, in combutta con i narcos, si spostano fuori città, pattugliano la strada statale che collega Ayotzinapa a Iguala e fermano un pullman di una squadra di calcio locale, los avispones. Assaltano anche quello, pensando che sia il mezzo su cui gli studenti stanno facendo ritorno a casa. Bisogna sparare, bersagliare senza tregua. E ora sono in tanti, narcos e narco-poliziotti, insieme, probabilmente per ordine de “El Chucky”, un boss locale, e del sindaco Abarca.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 234 (Small)Ammazzano un calciatore degli avispones, un ragazzo di quattordici anni che si chiamava David Josué García Evangelista. I proiettili volano ovunque, sono schegge di follia e forano la carrozzeria di un taxi che, sventurato, stava passando di lì. Perdono la vita sia il conducente dell’auto sia una passeggera, la signora Blanca Montiel. Il caso, la mala suerte si fa muerte. Poche ore dopo in città compare il cadavere dello studente Julio Cesar Mondragón, martoriato. Gli hanno scorticato completamente la faccia e gli hanno tolto gli occhi, secondo l’usanza dei narcos. La macabra immagine, anche se repulsiva, diventa virale nelle reti sociali. E si diffondono globalmente anche le testimonianze dirette dell’orrore che stanno rendendo i sopravvissuti.

Le reazioni alla mattanza

Dopo il week end del massacro a Iguala i compagni della normale di Ayotzinapa e i familiari delle vittime e dei desaparecidos si organizzano, reclamano, tornano sul luogo della strage e indicono una manifestazione nazionale per l’8 ottobre a Città del Messico per chiedere le dimissioni del governatore statale, Ángel Aguirre, la “restituzione con vita” dei desaparecidos e giustizia per le vittime della mattanza.

Cresce la pressione mediatica e popolare per ottenere giustizia. Arrivano i primi arresti. 22 poliziotti al soldo delle mafie locali e 8 narcotrafficanti sono imprigionati e la Procura Generale della Repubblica comincia a occuparsi del caso. Alcuni degli arrestati confessano i crimini commessi e parlano di almeno 17 studenti rapiti e giustiziati. Indicano la posizione esatta di tre fosse clandestine in cui sarebbero stati interrati. L’esercito e la gendarmeria commissariano l’intera regione e blindano le fosse comuni che non sono tre, sono sei. La morte si moltiplica. I corpi recuperati sono 28, non 17. I desaparecidos, però, sono 43.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 020 (Small)I numeri non tornano. I familiari non si fidano, chiedono l’invio di medici forensi argentini, specialisti imparziali e qualificati. Ci vorrà tempo per avere certezze, se mai ce ne saranno. I risultati dell’esame del DNA tarderanno ad arrivare almeno due settimane. Nel frattempo, il 7 ottobre, seicento agenti delle polizie comunitarie della regione della Costa Chica, appartenenti alla UPOEG (Unione dei Popoli Organizzati dello Stato del Guerrero), hanno fatto il loro ingresso a Iguala per cercare “vivi o morti” e “casa per casa” i 43 studenti scomparsi. Altri gruppi della polizia comunitaria di Tixla, autonoma rispetto alle autorità statali, hanno scritto su twitter: “Con la nostra attività di sicurezza stiamo proteggendo la Normale di #Ayotzinapa“.

Dov’è finito il sindaco del PRD (Partido de la Revolución Democrática, di centro-sinistra) José Luis Abarca? E sua moglie, anche lei irreperibile? E cosa fa il governatore dello stato, il “progressista”, anche lui del PRD, Ángel Aguirre? Pare che lui conoscesse molto bene la situazione già da tempo. Il loro partito ha scelto di espellere il sindaco e sostenere il governatore per non perdere quote di potere in quella regione. Abarca ha chiesto 30 giorni di permesso e poi è sparito. Ora è ricercato dalla giustizia e vituperato dall’opinione pubblica nazionale. Aguirre, che non ha potuto impedire la strage né ha bloccato la concessione permesso richiesto dal sindaco prima di scappare, cerca di difendere l’indifendibile e, per ora, non presenta le sue dimissioni. Anzi, scambia abbracci e si fa la foto con Carlos Navarrete, nuovo segretario generale del PRD eletto domenica 5 ottobre.

Narco-Politica

La gravità della situazione è palese, anche perché è nota da anni e non s’è fatto nulla per denunciarla ed evitare la sua degenerazione violenta. José Luis Abarca, sindaco di Iguala al soldo dei narco-cartelli, ha un passato inquietante alle spalle, ma è riuscito comunque a diventare primo cittadino e a piazzare sua moglie, María Pineda, come capo delle politiche sociali municipali, cioè dell’ufficio del DIF (Desarrollo Integral de la Familia), e prossima candidata sindaco. Il giorno della strage la signora Pineda doveva presentare la relazione dei lavori svolti come funzionaria pubblica e, temendo un’eventuale incursione dei normalisti nell’evento, avrebbe richiesto al marito di “mettere in sicurezza” la zona.

Abarca avrebbe quindi lanciato l’operazione contro gli studenti con la collaborazione piena del capo della polizia municipale, suo cugino Felipe Flores. Costui era già noto per aver “clonato” pattuglie della polizia col fine di realizzare “lavoretti speciali” e per i suoi abusi d’autorità. La moglie del sindaco è sorella di Jorge Alberto e Mario Pineda Villa, noti anche come “El borrado” e “El MP”, due operatori del cartello dei Beltrán Leyva morti assassinati. Salomón Pineda, un altro fratello, sta con i Guerreros Unidos dal giugno 2013. In uno degli stati più poveri del Messico, Abarca e consorte prendono, tra stipendi e compensazioni, 20mila euro al mese che pesano direttamente sulle casse comunali.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 175 (Small)“Mi concederò il piacere di ammazzarti”, avrebbe detto nel 2013 il sindaco Abarca ad Arturo Hernández Cardona, della Unidad Popular di Guerrero, prima di ucciderlo, secondo quanto racconta un testimone di questo delitto per cui Abarca non è stato condannato, ma che è depositato in un fascicolo giudiziale.

Il 30 maggio 2013 otto persone scomparvero a Iguala. Erano attivisti, membri della Unidad Popular, un gruppo politico vicino al PRD. Tre di loro sono stati ritrovati, morti, in fosse comuni. La camionetta su cui viaggiavano venne rinvenuta nel deposito comunale degli autoveicoli di Iguala. Human Rights Watch, Amnesty Internacional e l’Ufficio a Washington per gli Affari Latinoamericani chiesero invano alle autorità federali di chiarire il caso, essendoci il fondato sospetto di un’implicazione delle autorità locali. Cinque attivisti sono tuttora desaparecidos.

I sicari con l’uniforme della polizia e quelli in borghese lavorano per lo stesso cartello, quello dei Guerreros Unidos che è in lotta con Los Rojos per il controllo degli accessi alla tierra caliente, la zona calda tra lo costa e la sierra in cui prosperano le coltivazioni di marijuana e fioriscono i papaveri da oppio, che qui si chiamano amapola o adormidera. Le bande rivali sono nate dalla scissione dell’organizzazione dei fratelli Beltrán Leyva, ormai agonizzante. Il 2 ottobre, mentre 50mila persone sfilavano per le strade della capitale per non far sbiadire la memoria di una strage, a Queretaro veniva arrestato l’ultimo dei fratelli latitanti, Hector Beltrán Leyva, alias “El H”, un altro figlio delle montagne dello stato del Sinaloa. “El H” era diventato un imprenditore rispettato. Originario della Corleone messicana, la famigerata Badiraguato, e antico alleato dell’ex jefe de jefes, Joaquín “El Chapo” Guzmán, che sta in prigione dal febbraio scorso, s’era costruito una reputazione rispettabile, onorata. Ma già da tempo il gruppo dei Beltrán s’era diviso in cellule cancerogene e impazzite secondo il cosiddetto effetto cucaracha: scarafaggi in fuga, un esodo di massa per non essere calpestati.

Ed eccoli qui che giustiziano studenti insieme ai poliziotti che, a loro volta, aspirano a posizioni migliori all’interno dell’organizzazione criminale, sempre più confusa con quella statale, e s’occupano della compravendita di protezione e di droga. L’eroina tira di più in questo periodo e Iguala è una porta d’accesso importante, una plaza di snodo. L’eroina bianca del Guerrero è un prodotto che non ha niente da invidiare, per qualità e purezza, a quella proveniente dall’Afghanistan. Anche per questo la regione è la più violenta del Messico da un anno e mezzo a questa parte e ha spodestato in testa alla classifica della morte altri stati in disfacimento come il Michoacan, il Tamaulipas, Sonora, il Sinaloa, Chihuahua, l’Estado de México e Veracruz.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 292 (Small)I responsabili del massacro di Iguala

I poliziotti detenuti accusano Francisco Salgado, uno dei loro capi, finito anche lui in manette, di avere ordinato loro di intercettare gli studenti fuori dalla stazione degli autobus. Invece l’ordine di sequestrarli e assassinarli sarebbe arrivato dal boss mafioso El Chucky. Chucky, come il personaggio del film horror “La bambola assassina” di Tom Holland. Il procuratore di Guerrero, Iñaki Blanco, ritiene che il principale responsabile della mattanza e della desaparición dei 43 normalisti sia il sindaco Abarca che “è venuto meno al suo dovere, oltre ad aver commesso vari illeciti”. Il procuratore parla solo di “omissioni”, promuoverà accuse per “violazioni alle garanzie della popolazione” e la revocazione della sua immunità, ma dal suo discorso non si capisce chi sarebbero tutti i responsabili né come saranno identificati e processati.

Chi ha ordinato ai (narco)poliziotti di fermare i normalisti e di sparare? Com’è possibile che il sindaco e il capo della polizia e delle forze di sicurezza locali, Felipe Flores, siano riusciti a fuggire? Perché i due, ma anche l’esercito e le forze federali, hanno lasciato gli studenti alla mercé della violenza? Perché la polizia prende ordini dai narcos e, anzi, fa parte del cartello dei Guerreros Unidos? Com’è possibile che tutto questo sia tragicamente così normale in Messico? Come mai nessuno l’ha impedito, se già da anni si era a conoscenza della situazione?

Infatti, ci sono prove del fatto che, almeno dal 2013, il governo federale e il PRD hanno chiuso entrambi gli occhi di fronte all’evidenza: José Luis Abarca e sua moglie María Pineda avevano chiari vincoli col narcotraffico e con la morte di un militante come Arturo Hernández Cardona. Ma già dal 2009, quando il presidente era Felipe Calderón, del conservatore Partido Acción Nacional (PAN), la Procura Generale della Repubblica aveva reso pubbliche la relazioni della signora Pineda e dei suoi fratelli con il cartello dei Beltrán Leyva. La polizia di Iguala era in mano ai narcos e sono tantissime le realtà locali in Messico ove predomina questa situazione.

L’esperto internazionale di sicurezza e narcotraffico, il prof. Edgardo Buscaglia, ha parlato di Peña Nieto e di Calderón come figure simili tra loro, come coordinatori del patto d’impunità e della perdita di controllo politico nazionale: “Sono cambiate le facce, ma hanno lo stesso ruolo”.  Perciò, ha segnalato l’accademico, bisogna cominciare dal presidente per trovare i responsabili. Mentre la comunità internazionale “fa come se non stesse accadendo nulla”, nel paese “il denaro zittisce le coscienze collettive” e, secondo Buscaglia, “il sistema giungerà a una crisi e ci sarà una sollevazione sociale in cui si fermerà il paese e soprattutto il sistema economico”.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 129 (Small)Le scuole normali messicane

Resta il fato che sparuti gruppi di studenti, seppur combattivi, di un’istituzione rurale non sono pericolosi trafficanti né rappresentano minacce sistemiche. Perché annichilarli? Forse la storia ci aiuta a ipotizzare delle risposte. Le scuole normali messicane, nate negli anni ’20 e impulsate dal presidente Lázaro Cárdenas negli anni ’30 come baluardi del progetto di educación socialista per il popolo e le zone rurali del paese, sono considerate oggi dalla classe politica tecnocratica come un pericoloso e anacronistico retaggio del passato. Un’appendice inutile da estirpare per entrare appieno nella globalizzazione.

Di fatto i governi neoliberali, dai presidenti Miguel de la Madrid (1982-1988) e Carlos Salinas (1988-1994) in poi, hanno costantemente attaccato e minacciato la sopravvivenza del sistema scolastico delle normali che, ciononostante, ha saputo resistere. La funzione sociale di questi centri educativi è sempre stata fondamentale perché è consistita nell’istruire le classi sociali più deboli e sfruttate, specialmente i contadini e gli abitanti delle campagne, affinché potessero difendersi dai soprusi dei latifondisti e dei politici locali, secondo un chiaro progetto politico-educativo di emancipazione e ribellione allo status quo. L’alfabetizzazione della popolazione rurale e la formazione di maestri coscienti socialmente sembra essersi trasformata in un’anomalia per tanti settori benpensanti, politici e metropolitani.

Anche per questo gli studenti delle normali, in quanto portatori di modelli di lotta e di formazione antitetici rispetto a quelli delle élite locali e nazionali e dei cacicchi della narco-agricoltura e della narco-politica, sono già stati vittime in passato della barbarie e della repressione. Nel dicembre 2011 la polizia ne uccise due proprio di Ayotzinapa durante lo sgombero di un blocco stradale e di una manifestazione. Una violenza smisurata venne impiegata dalla Polizia Federale nel 2007 per reprimere gli alunni di quella stessa cittadina che avevano bloccato il passaggio in un casello della turistica Autostrada del Sole tra Acapulco e Città del Messico. Nel 2008 i loro compagni della normale di Tiripetío, nel Michoacán, furono trattati come membri di pericolose gang e, in seguito a una giornata di proteste e scontri con la polizia, 133 di loro finirono in manette.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 008 (Small)Tradizione stragista

La criminalizzazione dei normalisti va inquadrata anche nel più esteso processo di criminalizzazione della protesta sociale che incalza con l’approvazione di misure repressive, come la “Ley Bala”, che prevede l’uso delle armi in alcuni casi nei cortei da parte della polizia, con l’inasprimento delle pene per delitti contro la proprietà privata e l’ampliamento surreale delle fattispecie legate ai reati di terrorismo e di attacco alla pace pubblica. Tutti contenitori pronti per fabbricare colpevoli e delitti fast track. Il caso di Mario González, studente attivista arrestato ingiustamente il 2 ottobre 2013 e condannato, senza prove e con un processo ridicolo, a 5 anni e 9 mesi di reclusione, sta lì a ricordarcelo.

Ma la “tradizione stragista” e di omissioni dello stato messicano è purtroppo molto più lunga e persistente. Basti ricordare alcuni nomi e alcune date, solo pochi esempi tra centinaia che si potrebbero menzionare: 2 ottobre 1968, Tlatelolco; 11 giugno 1971, “Los halcones”; anni ’70 e ‘80, guerra sucia; 1995, Aguas Blancas, Guerrero; 1997, Acteal, Chiapas; 2006, Atenco y Oaxaca; 2008 y 2014, Tlatlaya; 2010 e 2011, i due massacri di migranti a San Fernando, Tamaulipas; 2014, caracol zapatista de La Realidad, Chiapas; 2014, Iguala; 2006-2014, NarcoGuerra, 100mila morti, 27mila desaparecidos…

La OAS (Organization of American States), Human Rights Watch, la ONU, la CIDH (Corte Interamericana dei Diritti Umani) si sono unite al coro internazionale di voci critiche contro il governo messicano. La notizia delle fosse comuni e della mattanza di Iguala sta cominciando a circolare nei media di tutto il mondo e si erge a simbolo dell’inettitudine, dell’impunità e della corruzione. In pochi giorni è crollata la propaganda ufficiale che presentava un paese pacificato e sulla via dello sviluppo indefinito.

“Estamos moviendo a México”

Marcha Ayotzinapa 8 oct 225 (Small)Gli spot governativi presentano un Messico che si muove, che sta sconfiggendo i narcos e che, grazie alla panacea delle “riforme strutturali”, in primis quella energetica, ma anche quelle della scuola, del lavoro, della giustizia e delle telecomunicazioni, si starebbe avviando a entrare nel club delle nazioni che contano: una retorica, quella delle riforme necessarie e provvidenziali, che suona molto familiare anche in Europa e in Italia e che, in terra azteca, copia pedantemente quella dei presidenti degli anni ottanta e novanta, in particolare di Carlos Salinas de Gortari. Dopo la firma del NAFTA (Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord) con USA e Canada, Salinas preconizzava l’ingresso del Messico nel cosiddetto primo mondo. Invece alla fine del suo mandato nel 1994 l’insurrezione dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) in Chiapas, l’effetto Tequila, la svalutazione, indici di povertà insultanti e la fine dell’egemonia politica del PRI (Partido Revolucionario Institucional, al potere durante 71 anni nel Novecento) attendevano al bivio il nuovo presidente, Ernesto Zedillo (1994-2000).

Oggi Peña Nieto, anche lui del PRI, dopo aver approvato le riforme costituzionali e della legislazione secondaria in fretta e furia, cerca di vendere il paese agli investitori stranieri, mostrando al mondo come pregi gli aspetti più laceranti del sottosviluppo: precarietà e flessibilità del lavoro; salari da fame per una manodopera mediamente qualificata, non sindacalizzata e ricattabile; movimenti sociali anestetizzati; un welfare non universale, discriminante e carente; riforme educative dequalificanti per professori e alunni ma “efficientiste”; stato di diritto “flessibile”, cioè accondiscendente con i forti e spietato coi deboli.

Marcha Ayotzinapa 8 oct 276 (Small)Il presidente annuncia lo sforzo del Messico per consolidare l’Alleanza del Pacifico, un’area commerciale sul modello del NAFTA per i paesi americani affacciati sull’Oceano Pacifico, e la prossima partecipazione di personale militare e civile alle “missioni di pace dell’ONU” come quella ad Haiti, la missione dei caschi blu chiamata MINUSTAH, che pochi onori e tante grane ha portato al paese caraibico e agli eserciti latinoamericani, per esempio il brasiliano, l’uruguaiano e il venezuelano, che vi partecipano attivamente.

Questa politica da “potenza regionale”, però, deve fare i conti con la cruda realtà. L’inserto Semanal del quotidiano La Jornada del 5 ottobre ha pubblicato un box con un piccolo promemoria: dal dicembre 2012 al gennaio 2014 ci sono stati 23.640 morti legati al narco-conflitto interno, 1700 esecuzioni al mese, con Guerrero che registra, da solo, un saldo di 2.457 assassinii, secondo quanto  riferisce la rivista Zeta in base all’analisi dei dati ufficiali. Nel 2011 Fidel López García, consulente dell’ONU intervistato dalla rivista Proceso (28/XI/2011), aveva parlato di un milione e seicentomila persone obbligate a lasciare la loro regione d’origine per via della guerra. Anche per questo il Messico rischia di trasformarsi in un’immensa fossa comune (e impune).

Ayo foto corteo lungoPost Scriptum. Il corteo.

“¿Por qué, por qué, por qué nos asesinan? ¡26 de septiembre, no se olvida!” (“Perché, perché, perché ci assassinano? Il 26 settembre non si dimentica”).  E’ stato il grido di oltre 60 piazze del Messico e decine in tutto il mondo nel pomeriggio dell’8 ottobre 2014.

“Gli studenti sono vittime di omicidi extragiudiziari, si sequestrano e si fanno sparire non solo studenti ma anche attivisti sociali e quelli che vanno contro il governo […] è una presa in giro verso il nostro dolore, non sappiamo perché fanno questo teatrino politico”. Così ha espresso la sua rabbia Omar García, compagno degli studenti uccisi, in conferenza stampa. L’esercito, che nei tartassanti spot governativi viene ritratto come un’istituzione integra, fatta di salvatori della patria e protettori dei più deboli, ha vessato gli studenti di Ayotzinapa che portavano con loro un compagno ferito:

“Ci hanno accusato di essere entrati in case private, gli abbiamo chiesto di aiutare uno dei nostri compagni e i militari han detto che ce l’eravamo cercata. Lo abbiamo portato noi all’ospedale generale ed è stato lì a dissanguarsi per due ore. L’esercito stava a guardare e non ci hanno aiutato”, continua Omar. “Il governo statale sapeva quello che stavamo facendo, non eravamo in attività di protesta ma accademiche ed è dagli anni ’50 che occupiamo gli autobus e la polizia se li viene riprendere, ma non deve aggredirci a mitragliate”.

Il normalista ha infine parlato del governatore Aguirre: “Il nostro governatore ha ammazzato 13 dirigenti di Guerrero e due compagni nostri nel 2011 e per nostra disgrazia questi sono rimasti nell’oblio. La Commissione Nazionale dei Diritti Umani, cha aveva emesso un monito, non ha più seguito la cosa e il caso è rimasto impune, chi ha ucciso è rimasto libero”.

Perseo Quiroz, direttore di Amnisty in Messico, ha spiegato che non serve a nulla che il presidente Peña si rammarichi pubblicamente dei fatti di Iguala perché “questi incubavano tutte le condizioni perché succedessero, non sono fatti isolati […] lo stato messicano colloca la tematica dei diritti umani in terza o quarta posizione e per questa mancanza di azioni accadono come a Iguala”.

Ayo Polizia comunitaria a AyotzinapaAnche il Dottor Mireles, leader del movimento degli autodefensas del Michoacán e incarcerato dal luglio 2014, ha mandato un messaggio dal carcere solidarizzando con i normalisti di Iguala. Il suo comunicato è importante perché sottolinea il doppio discorso e le ambiguità del governo: da una parte la connivenza narcos-autorità-polizia è la chiave di un massacro di studenti nel Guerrero, per cui i vari livelli del governo sono immischiati e responsabili; dall’altra si mostra una falsa disponibilità al dialogo con gli studenti del politecnico (Istituto Politecnico Nazionale, IPN) che hanno occupato l’università due settimane fa per chiedere la deroga del regolamento, da poco approvato alla chetichella dalle autorità dell’ateneo, che attenta contro i principi dell’educazione pubblica e dell’università. Nonostante le dimissioni della rettrice dell’IPN e l’intimidazione derivata dal caso Ayotzinapa, la protesta studentesca continua, chiede la concessione dell’autonomia all’ateneo (cosa già acquisita da tantissime università del paese) e mette in evidenza la scarsa volontà di dialogo dell’esecutivo.

A San Cristobal de las Casas, nel Chiapas, gli zapatisti hanno proclamato la loro adesione alle iniziative di protesta di questa giornata e in migliaia hanno realizzato con una marcia silenziosa alle cinque del pomeriggio.

L’EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario) ha emesso un comunicato in cui ha definito il massacro come un “atto di repressione e di politica criminale di uno stato militare di polizia”.

Il sindacato dissidente degli insegnanti, la CNTE (Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación), era presente alle manifestazioni che sono state convocate in decine di città messicane e presso i consolati messicani in oltre dieci paesi d’Europa e delle Americhe. La Coordinadora ha anche dichiarato lo sciopero indefinito nello stato del Guerrero. Nella capitale dello stato, Chilpancingo, hanno marciato oltre 10mila dimostranti.

A Città del Messico abbiamo assistito a una manifestazione imponente, non solo per il numero dei manifestanti, comunque alto per un giorno lavorativo e stimato tra le 70mila e le 100mila persone, quanto soprattutto per la diversità e il forte coinvolgimento delle persone nel corteo. Hanno risposto alla convocazione dei familiari delle vittime e degli studenti scomparsi centinaia di organizzazioni della società civile, tra cui il Movimento per la Pace e l’FPDT (Frente de los Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco), che sono scese in piazza con lo slogan “Ayotzinapa, Tod@s a las calles” mentre su Twitter e Facebook gli hashtag di riferimento erano  #AyotzinapaSomosTodos e #CompartimosElDolor, condividiamo il dolore.

Ayotzinapa resiste cartelloNel Messico della narcoguerra le mattanze si ripetono ogni settimana, da anni, e così pure si riproducono le dinamiche criminali che distruggono il tessuto sociale e la convivenza civile. Solo che ultimamente non se ne parla quasi più. I mass media internazionali e buona parte di quelli messicani hanno semplicemente smesso d’interessarsi della questione, seguendo le indicazioni dell’Esecutivo.

La strage di Iguala e il caso Ayotzinapa stanno facendo breccia nella cortina di fumo e silenzio alzata dal nuovo governo e dai mezzi di comunicazione perché mostrano in modo contundente, crudele e diretto la collusione della polizia, dei militari e delle autorità politiche a tutti i livelli con la delinquenza organizzata. Sono i sintomi della graduale metamorfosi dello stato in “stato fallito” e “narco-stato”. Disseppelliscono il marciume nascosto nella terra, nelle sue fosse e nelle coscienze, nei palazzi e nelle procure. Smascherano la violenza istituzionale contro il dissenso politico e sociale, aprono le vene della narco-politica ed evidenziano omertà e complicità del potere locale, regionale e nazionale. Per questo Iguala e le sue vittime fanno ancora più male.

[Questo testo fa parte del progetto NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga]

P.S. Mentre stavo per pubblicare quest’articolo, il governo messicano, attaccato da tutti fronti per la strage di Iguala e i desaparecidos di Ayotzinapa, ha annunciato la cattura di Vicente Carrillo, capo del cartello di Juárez. Un altro colpo a effetto al momento giusto per distrarre l’opinione pubblica, ricevere i complimenti della DEA (Drug Enforcement Administration) e provare a smorzare gli effetti dell’indignazione mondiale. A che serve catturare un boss importante se continuano comunque le mattanze come a Iguala e tutto resta come prima?

Galleria fotografica della manifestazione a Città del Messico: LINK

Video Cori e Sequenze del Corteo: LINK

Riassunto Fatti di Iguala – Andrea Spotti/Radio Onda D’urto: LINK

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marcia silenziosa

MARCIA SILENZIOSA DELL’EZLN IN SEGNO DI DOLORE E RABBIA PER AYOTZINAPA

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO 7 ottobre 2014

 San Cristóbal de las Casas, Chiapas. 8 ottobre. Provenienti da diverse zone del Chiapas, gli Zapatisti hanno sfilato a San Cristóbal “IN APPOGGIO ALLA COMUNITÀ DELLA SCUOLA NORMALE DI AYOTZINAPA, E PER CHIEDERE VERA GIUSTIZIA”.

Migliaia di Basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), HANNO realizzato una “MARCIA SILENZIOSA IN SEGNO DI DOLORE E RABBIA”, per l’omicidio di 6 studenti e la scomparsa di altri 43 della Normal Rural de Ayotzinapa, di Iguala, Guerrero.

“IL VOSTRO DOLORE E’ IL NOSTRO DOLORE, LA VOSTRA RABBIA E’ ANCHE LA NOSTRA”, si leggeva su cartelloni e striscioni portati dai ribelli chiapanehi.

La marcia partità questo mercoledì alle ore 16:30 dalla strada che porta a San Juan Chamula, è proseguita su Manuel Larráinzar, per poi prendere Avenida Diego de Mazariegos e così dirigersi verso il centro di San Cristóbal. Hanno quindi circondato il palazzo del municipio sfilando a lato della cattedrale senza fermarsi, per poi tornare da dove erano partiti.

Non è la prima volta che l’EZLN manifesta contro atti violenti in Messico. Nel maggio del 2011 avevano manifestato rispondendo alla convocazione della Marcia Nazionale per la Giustizia e Contro l’Impunità, ed in un comunicato dichiaravano: “QUESTE VOCI CHE SORGONO DA DIVERSE ZONE DEL NOSTRO PAESE CI INVITANO A MOBILITARCI E MANIFESTARE PER FERMARE LA FOLLIA ORGANIZZATA E DISORGANIZZATA CHE STA COSTANDO VITE INNOCENTI”.

E così come fecero il 21 dicembre 2012, donne, uomini e bambini zapatisti sono tornati a manifestare in silenzio per le strade di San Cristóbal, ora in appoggio agli studenti assassinati e desaparecidos in Messico lo scorso 26 settembre.

A San Cristóbal, nella cornice delle manifestazioni nazionali per la giustizia per Ayotzinapa, si sono mobilitati anche il Coordinamento dei Lavoratori della Scuola, studenti dei licei e universitari e del Cesmeca, docenti in pensione ed il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas. Altre manifestazioni si sono svolte a Tuxtla Gutiérrez, Tapachula e Palenque.

FOTO: https://www.facebook.com/pozol.colectivo

VIDEO: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=S3Rz7iVvTcg

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo) 

 

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

OTTOBRE 2014

AGLI STUDENTI DELLA SCUOLA NORMALE “RAÚL ISIDRO BURGOS”, DI AYOTZINAPA, GUERRERO, MESSICO:

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

AI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO:

SORELLE E FRATELLI:

COMPAGNE E COMPAGNI:

AGLI STUDENTI DELLA SCUOLA NORMALE DI AYOTZINAPA, GUERRERO, MESSICO, E AI LORO FAMILIARI, COMPAGNE/I DI SCUOLA, MAESTRE/I E AMICI, VOGLIAMO SOLO FAR SAPERE CHE:

NON SIETE SOLI.

IL VOSTRO DOLORE E’ IL NOSTRO DOLORE.

E’ NOSTRA ANCHE LA VOSTRA DEGNA RABBIA.

-*-

CHIAMIAMO LE COMPAGNE E I COMPAGNI DELLA SEXTA NEL MESSICO E NEL MONDO A MOBILITARSI, IN BASE AI LORO MEZZI E MODI, IN APPOGGIO ALLA COMUNITA’ DELLA SCUOLA NORMALE DI AYOTZINAPA, E SECONDO LA DOMANDA DI GIUSTIZIA VERITIERA.

-*-

COME EZLN CI MOBILITEREMO UGUALMENTE, SECONDO LE NOSTRE POSSIBILITA’, IL GIORNO 8 OTTOBRE 2014, CON UNA MARCIA SILENZIOSA IN SEGNO DI DOLORE E RABBIA, A SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS, ALLE ORE 17.

DEMOCRAZIA!

LIBERTA’!

GIUSTIZIA!

Dalle montagne del Sudest Messicano
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, Ottobre 2014. Nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.

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Gli studenti di Ayotzinapa: “Scade oggi il termine affinché il governo ci consegni vivi i nostri compagni”

 Gli studenti che hanno manifestato sull’autostrada del Sole, tra Chilpancingo ed Acapulco, smentiscono che siano dei loro compagni i corpi ritrovati nelle fosse clandestine (ancora non si conoscono i risultati dell’esame del DNA) ed avvertono che se non saranno riconsegnati vivi, le azioni in tutto lo stato saranno più forti.  

Chilpancingo, Guerrero. 5 ottobre 2014. A poche ore dall’annuncio del governo di Guerriero del ritrovamento di fosse clandestine con dei cadaveri che potrebbero essere degli studenti scomparsi lo scorso 26 settembre ad Iguala, la richiesta degli studenti e dei famigliari è che i 43 giovani sequestrati “dalla polizia” siano riconsegnati vivi, perché, dicono, ci sono prove filmate che mostrano che gli studenti sono stati caricati vivi sui veicoli della polizia, dopo che tre di loro erano stati uccisi insieme ad altri due in episodi separati ma legati allo stesso operativo.

Mentre i famigliari si sottopongono ai test del DNA per controllare se i corpi ritrovati ieri nelle fosse clandestine appartengono ai loro figli, corpi che sembra siano stati bruciati con la benzina, centinaia di studenti e genitori hanno manifestato su oggi sull’Autopista del Sol, prima all’ingresso di Chilpancingo e poi al casello di Palo Blanco, a pochi chilometri da Acapulco, dove hanno bloccato il traffico, ad intermittenza ogni 20 minuti, fino alle 16:45.

Diego Genaro Meza, del Comité Ejecutivo Estudiantil Ricardo Flores Magón, della Escuela Normal de Ayotzinapa, in un’intervista a Desinformémonos ha dichiarato che “lo stato di Guerrero adesso è fuori controllo”, e che i fatti del 26 di settembre, “non hanno una spiegazione, sono morti diversi compagni della Normale ed altri sono detenuti-desaparecidos, così li consideriamo perché sono stati i poliziotti municipali a portarsi via i nostri compagni”, ha detto.

“Ci dispiace”, ha affermato in uno dei presidi, “del ritrovamento delle fosse. Ma vogliamo sapere dal governatore cosa si sta facendo realmente, perché sembra che stiano solo giocando con i sentimenti dei genitori. Non si può giocare con i sentimenti perché è un dolore troppo grande la perdita di un figlio, sapere che un figlio è morto, o non sapere se è vivo oppure no”.

“Se sono i corpi dei compagni”, dice il rappresentante studentesco, “vogliamo che il governo dello stato lo dica, e se non è competente per il caso, ci rivolgiamo al governo federale affinché prenda il testimone, perché sono troppi giorni che i nostri compagni sono scomparsi”.

Genaro Meza conferma che gli studenti non hanno nessuna linea di comunicazione col governo dello stato guidato da Ángel Aguirre Rivero, del PRD, ed aggiunge “nemmeno la vogliamo avere perché è un assassino”. Dopo nove giorni dalla scomparsa, dice di non sapere ancora “se li stanno cercando o no, o che cosa sta succedendo. Per noi forse un giorno è breve, ma un secondo per i nostri compagni scomparsi è eterno”.

L’altra richiesta degli studenti sono le dimissioni del governatore Aguirre Rivero, “perché sia sottoposto a processo e punito a dovere”.

Sulla possibile partecipazione della criminalità organizzata negli omicidi delle cinque persone ad Iguala e nella scomparsa dei loro compagni, il rappresentante della Normale dice: “Non sappiamo cos’è la narcopolitica, non ci mischiamo con questo tipo di persone perché non hanno niente a che vedere in tutto questo. Conosciamo le targhe delle pattuglie: 017, 018, 020, 021, 022 e quella che ha più attaccato i nostri compagni della Normale è la 302. Dopo che hanno portato via i nostri compagni, siamo andati a cercarli ovunque, nelle caserme dell’esercito, dalla polizia municipale, negli ospedali, al Semefo (Servizio Medico Forense), ma niente. Allora, che cosa sta succedendo?”.

Il termine fissato dagli studenti e dai famigliari per la riconsegna dei desaparecidos vivi, è oggi (5 ottobre), “e se non avverrà, le azioni di protesta saranno più forti”, afferma l’intervistato.

Da parte sua, Manuel Martínez, portavoce dei genitori, smentisce categoricamente che i corpi ritrovati nelle fosse siano quelli dei loro figli: “smentiamo quello che ieri ha detto il governatore, perché è una mancanza di rispetto. Ce li devono riconsegnare oggi perché altrimenti sarà responsabile di quello che accadrà nello stato, sia chiaro”.

Segnala Martínez, “se il governatore ha una dignità, rinunci al suo incarico, ma prima, oggi, riconsegni i 43 giovani che lui sa dove sono, e che sono vivi. Che smentisca quanto ha dichiarato ieri, perché ha giocato con i sentimenti delle persone a livello nazionale ed internazionale. E che conti i giorni di permanenza in questo stato, perché sa bene che se ne dovrà andare dal Guerriero”, conclude.

Proveniente da Cerro Gordo, ad Ayutla, il padre di Carlos Iván, di 18 anni, informa di aver eseguito il test del DNA per confrontarlo con quello dei cadaveri ritrovati, ma “non ci sono i risultati. Non sappiamo niente, vogliamo che liberino i nostri ragazzi, siamo disperati”.

Un’altra madre con gli occhi colmi di lacrime chiede: “Li hanno presi vivi, e vivi li rivogliamo. I ragazzi non sono né assassini né vandali, devono restituirceli”.

Il blocco stradale è stato rimosso alle 16:45 di oggi, ed i manifestanti si sono quindi diretti alla Scuola Normale di Ayotzinapa. Durante la protesta gli studenti hanno distribuito volantini agli automobilisti con le notizie aggiornate: 43 studenti scomparsi, sei persone assassinate (tre di queste studenti) e quattro gravemente feriti. Questo il saldo fino ad oggi dei fatti del 26 settembre, quando la polizia di Iguala ha represso e sparato contro gli studenti della Normale che si erano impossessati di alcuni autobus per organizzare una raccolta di fondi.

http://desinformemonos.org/2014/10/vence-hoy-el-plazo-para-que-el-gobierno-nos-entregue-con-vida-a-nuestros-companeros-estudiantes-de-ayotzinapa/

 

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Guerrero

Una protesta il 5 ottobre 2014 per chiedere la verità sulla
scomparsa degli studenti in Messico. (Felix Marquez, Ap/Lapresse)

Messico

Cosa sappiamo dei 43 studenti scomparsi in Messico

Internazionale.it  6 ottobre 2014

Le autorità messicane hanno annunciato il recupero di 28 corpi nelle fosse comuni ritrovate nella stessa zona in cui sono spariti 43 studenti, il 26 settembre.

Il procuratore dello stato di Guerrero Iñaky Blanco ha dichiarato in una conferenza stampa che serviranno almeno due settimane per identificare i resti umani che sono stati ritrovati nelle fosse.

Blanco ha anche confermato che sono in carcere i 22 poliziotti coinvolti nel caso della scomparsa dei ragazzi.

Intanto continuano le proteste nel paese: centinaia di persone chiedono che sia fatta chiarezza sulla scomparsa degli studenti. È stata anche bloccata la strada che collega Acapulco a Città del Messico.

Ecco quello che sappiamo e quello che è ancora da capire sulla scomparsa dei 43 studenti:

  • Il 4 ottobre sono state ritrovate tre fosse comuni a Pueblo Viejo, a 15 chilometri da Iguala, dove sono scomparsi i 43 studenti dopo scontri tra polizia e manifestanti il 26 settembre. I corpi erano appoggiati su una struttura di legno e rami che è stata incendiata con benzina o petrolio.
  • Le autorità hanno detto che non è ancora possibile mettere in relazione le fosse comuni con gli studenti scomparsi. Ci vorrà una settimana per avere i risultati delle analisi sui cadaveri ritrovati. Ma le fosse sono state individuate grazie alla testimonianza di alcuni poliziotti arrestati.
  • Ci vorranno 15 giorni per conoscere i risultati delle analisi del dna sui resti ritrovati.
  • Al momento sono in carcere 30 persone, tra cui 22 poliziotti. Secondo gli inquirenti, i poliziotti lavoravano per un gruppo criminale legato al clan dei Beltrán Leyva.
  • La notte del 26 settembre un gruppo di studenti si sono impossessati di tre autobus per protestare, la polizia locale ha aperto il fuoco contro i manifestanti e ha ucciso uno studente. Nelle ore successive, mentre gli studenti denunciavano l’accaduto, un gruppo armato li ha attaccati. Allo stesso tempo un altro gruppo ha aperto il fuoco contro un autobus che trasportava una squadra di calcio, uccidendo un giocatore. È stato dimostrato che le armi usate dal commando erano della polizia. Dopo questi avvenimenti 56 studenti risultavano scomparsi, il 29 settembre sono stati ritrovati 13 studenti, ma 43 persone sono ancora disperse.

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Denuncia dell’Ejido San Sebastián Bachajón

EJIDO SAN SEBASTIAN BACHAJON ADERENTE ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA. CHIAPAS. MESSICO. 27 SETTEMBRE 2014
Alle Giunte di Buon Governo

Al Congresso Nazionale Indigeno
Ai compagn@ aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona
Ai mezzi di comunicazione di massa ed alternativi
Alla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà
Al Movimento per la Giustizia del Barrio di New York
Ai difensori dei diritti umani nazionali ed internazionali
Al popolo del Messico e del mondo

Compagne e compagni

Denunciamo che il malgoverno ha aumentato le pene per i nostri compagni Juan Antonio Gómez Silvano, Mario Aguilar Silvano e Roberto Gómez Hernández perché ha cambiato il reato a loro attribuito da lesioni aggravate a tentato omicidio del poliziotto municipale di Chilón, Alfredo Bernabé Aguilar Fuentes, affinché non escano su cauzione e rimangano ancora più tempo ingiustamente in prigione per un reato che non hanno commesso, e che è un reato fabbricato dal malgoverno e per questo sono stati maltrattati e torturati per nove ore dai poliziotti municipali di Chilón, e pure il pubblico ministero di Ocosingo, Chiapas, Rodolfo Gómez Gutiérrez, ha puntato una pistola alla testa del compagno Mario Aguilar Silvano e gli ha anche infilato la testa in un sacco di plastica.

Il giudice Omar Heleria Reyes è complice del malgoverno perché ha firmato l’atto di arresto formale perché così glielo ordina il padrone, il governo, non agiscono così i giudici dei nostri villaggi, ci vogliono saggezza e intelligenza per risolvere i problemi, ma queste persone non fanno altro che violare i diritti e proteggere quelli che fanno il lavoro sporco del malgoverno.

Denunciamo che ai nostri compagni in carcere, Juan Antonio Gómez Silvano, Mario Aguilar Silvano e Roberto Gómez Hernández, nella prigione 16 di Ocosingo, Chiapas, viene chiesto denaro all’interno della prigione da parte dei cosiddetti portavoce o favoriti che collaborano con le autorità della prigione, per questo esigiamo che il malgoverno rispetti la vita e l’integrità dei nostri compagni perché sono prigionieri politici e nessuna persona deve essere molestata in prigione per obbligarla a versare denaro o svolgere lavori contro la dignità della persona.

Chiediamo al malgoverno la liberazione immediata dei nostri compagni JUAN ANTONIO GOMEZ SILVANO, MARIO AGUILAR SILVANO E ROBERTO GOMEZ HERNANDEZ che sono stati torturati dal malgoverno e sono privati ingiustamente della libertà dal 16 settembre 2014 perché lottano per la giustizia e la difesa del proprio territorio.

Chiediamo inoltre la liberazione dei nostri compagni rinchiusi della prigione di Playas de Catazajá, SANTIAGO MORENO PEREZ in carcere dal 2009, EMILIO JIMENEZ GOMEZ in carcere dal luglio 2014 e ESTEBAN GOMEZ JIMENEZ in carcere dal 2013 a Playas de Catazajá e poi trasferito a El Amate.

Chiediamo al malgoverno ed al commissario ejidale filogovernativo di San Sebastián Bachajón, Alejandro Moreno Gómez, di smetterla di depredare territorio e risorse naturali al nostro popolo, perché il popolo continuerà a difenderli.

Dalla zona nord dello stato del Chiapas, le donne e gli uomini di San Sebastián Bachajón inviano saluti combattivi.

Mai più un Messico senza di noi.

Distintamente

¡Tierra y libertad!
¡Zapata Vive!
¡Hasta la victoria siempre!
Presos políticos ¡Libertad!
¡Juan Vázquez Guzmán Vive, la Lucha de Bachajón sigue!
¡Juan Carlos Gómez Silvano Vive, la Lucha de Bachajón sigue!
¡No al despojo de los territorios indígenas!

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/09/29/denuncia-de-san-sebastian-bachajon/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Il giudice di Ocosingo, Omar Heleria Reyes, decreta l’arresto per gli indigeni tzeltal obbligati a confessare sotto tortura

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO 23 settembre 2014

Chiapas, Messico. 24 settembre. Il giudice di Ocosingo, Omar Heleria Reyes, decreta l’arresto per gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, malgrado il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) abbia documentato torture e trattamenti crudeli, inumane e/o degradanti, compiuti da elementi della Polizia Municipale di Chilón contro gli indigeni tzeltal. “I tre indigeni che non sanno né leggere né scrivere, sono stati obbligati a porre la loro impronta digitale sulla deposizione della quale non hanno ricevuto lettura, inoltre non hanno avuto l’assistenza di un interprete”, denuncia il Frayba.

Il Frayba inoltre sollecita la Procura Generale dello stato del Chiapas “a svolgere indagini contro i poliziotti municipali di Chilón ed il Pubblico Ministero Rodolfo Manuel Gómez Gutiérrez per il reato di tortura”, poiché Mario Aguilar ha denunciato che è stato sottoposto ad asfissia con una borsa di plastica e di aver ricevuto colpi in testa affinché confessasse di aver sparato e ferito un poliziotto municipale.

In conferenza stampa gli indigeni di San Sebastián Bachajón, insieme al loro rappresentante legale, hanno denunciato che nel caso dei loro compagni detenuto Juan Antonio Gómez Silvano, Mario Aguilar Silvano e Roberto Gómez Hernández della comunità Virgen de Dolores “non è stata rispettata la legge, perché non sono stati presentati al pubblico ministero che si trova a 5 minuti dal luogo di detenzione”. “Sono stati trattenuti per 9 ore sotto custodia di polizia senza essere presentati al PM”, segnalano.

I tre indigeni tzeltal erano stati fermati lo scorso 16 settembre dal comandante Francisco Sánchez Guzmán con l’accusa di aver sparato ai poliziotti di Chilón, malgrado la prova del guanto di paraffina avesse dato esito negativo. Il fermo è iniziato alle 4:30 del mattino e l’ufficiale li ha presentati al PM Ocosingo all’01:30 del pomeriggio, informa l’avvocato difensore.

“Mostravano evidenti segni di percosse in volto e sul corpo e lesioni interne certificate dal PM”, aggiunge il legale. Quando è stato chiesto ai poliziotti il perché del ritardo nel presentare i detenuti, hanno risposto che avevano dovuto pattugliare la città a causa del maltempo nella regione, spiega l’avvocato, anche difensore dei diritti umani, ed aggiunge che la corte suprema stabilisce che tutti gli elementi che derivano da una detenzione come quella degli indigeni tzeltal sono illegali.

Durante la conferenza stampa è stato inoltre spiegato che il reato degli ejidatarios di Bachajón è stato riclassificato da lesioni aggravate a tentato omicidio che non prevede cauzione. La difesa farà appello contro l’arresto per i gravi reati inventati contro gli indigeni. http://www.pozol.org/?p=9851

BOLLETTINO DEL FRAYBA: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/140924_boletin_26_tortura_tseltales.pdf

COMUNICATO DELL’EJIDO SAN SEBASTIÁN BACHAJÓN: http://kolectivozero.blogspot.mx/2014/09/comunicado-de-san-sebastian-bachajon.html?spref=fb

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portada-rz3Editoriale del N. 3 della Revista Rebeldía Zapatista

Oltre la condivisione

 

La condivisione è qualcosa che va oltre.

Compagne e compagni della Sexta del Messico e del mondo.

Per noi la condivisione è stata uno stringerci la mano, vederci come siamo e che cosa pensiamo.

Conoscerci gli uni con gli altri, noi che siamo in basso e originari di queste terre.

Non rappresentanti, non leader, noi basi dei popoli, nazioni e tribù, noi che non abbiamo avuto l’opportunità di stringerci la mano e conoscerci e toccare i nostri cuori da più di 520 anni.

Alla Realidad, Caracol degli zapatisti, si è realizzata la nostra convivenza di indigeni originari, è diventato realtà l’incrocio di parole degli uni con gli altri e le altre.

Quando parliamo tra di noi basi, non leader, ci capiamo, ci comprendiamo.

E quello che ci fa comprendere subito tra di noi, è la vita che stiamo vivendo, la vita tanto brutta che viviamo, ed oramai non solamente noi che stiamo già così, ma anche gli uomini e le donne poveri che vivono in città.

Abbiamo parlato di come ci vuole il capitalismo e perché ci tiene così, e che cosa ci succederà se continuiamo a stare come ci vogliono i capitalisti.

In 5 giorni ci siamo messi d’accordo nelle 28 lingue che hanno parlato in quella riunione, per vedere quale sarà il nostro camminare con i popoli sfruttati delle campagne e delle città.

I nostri orizzonti si sono fatti grandi ed abbiamo convenuto che dobbiamo unirci con le città e le campagne. Dobbiamo condividere con le compagne ed i compagni della Sexta del Messico e del mondo. Per conoscere come sono le loro lotte ribelli e la loro resistenza. Vogliamo che vengano a condividere proprio le compagne ed i compagni di base.

Perché solo chi è alla base e sta in basso sa come deve nascere una nuova società. Non ne sanno niente quelli che vengono dai partiti politici, né dai nuovi partiti politici, né i politici, servitori del capitalismo.

Popoli, nazioni, tribù. Quartieri poveri, i poveri lavoratori e le lavoratrici sfruttati delle campagne e delle città sono coloro che sanno come deve essere un mondo nuovo, un nuovo modo di governare. Perché? Perché loro hanno subito ingiustizia, miseria, disuguaglianza. Hanno sofferto la tristezza, il dolore, l’amarezza, la solitudine. Hanno patito le prigioni, la tortura, le sparizioni. Hanno subito secoli e secoli di inganni, discriminazione, cose molto orribili, crudeltà disumane, hanno subito umiliazioni, depredazioni, sono secoli e secoli di scherni e di vita senza pace per colpa di quelli di sopra, del sistema capitalista. E lì che sono infognati i partiti politici ed i politici. Le nostre spalle sono solo le scale che salgono i politici verso il potere, le nostre spalle sono consumate dal tanto salire e scendere al potere di quei mafiosi.

Abbiamo parlato anche di molte altre cose, sono venute fuori centinaia di proposte ed abbiamo concordato su una: ritornare nei nostri villaggi, nazioni e tribù e fare grande questa prima condivisione, cioè moltiplicare la condivisione e preparare l’altra condivisione con le compagne ed i compagni della Sexta nazionale e mondiale.

Dalla condizione delle basi dei popoli, nazioni e tribù sono emerse molte altre cose ricche e contemporaneamente tanto chiare e veritiere.

Nella condivisione si è comunemente rilevato che c’è sempre stato qualcuno che parlava per noi e di noi, che diceva di lottare per noi e sono stati 520 anni di bugie e di sfruttamento.

Si è condiviso che la lotta del popolo povero del Messico del 1810 e del 1910 è stata sfruttata per portare al potere i latifondisti proprietari terrieri, ed oggi al potere sono i loro trisnipoti che rovinano e distruggono la nostra madre terra di questo paese che si chiama Messico.

Tutte e tutti siamo tornati con forza e con dignità come i compagni GALEANO E DAVID, che saranno sempre con noi. Come tutt@ i nostri caduti nella lotta.

Siamo tornati con l’intento di una strada migliore per il nostro futuro.

Abbiamo imparato e sappiamo molto, ma c’è ancora molto da conoscere tra noi originari di questa terra, sia nazionale che mondiale e qui va questo camminare.

Vogliamo lottare insieme anche se non indigeni, compagne e compagni della Sexta, sorelle e fratelli delle campagne e delle città, vi vogliamo per lottare, perché nessuno lotterà per noi.

Cosicché preparatevi compagne e compagni, per l’incontro di condivisione mondiale dal 22 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015.

Da quella condivisione uscirà tutta la nostra saggezza che ci dirà come proseguirà la nostra lotta.

Che siano le nostre basi a comandare in questa condivisione, che parlino loro, discutano, spieghino le lotte che ognuno fa là dove vive, lavora e lotta.

Perché si è visto che la cosa migliore è che parlino le basi. Non lo diciamo noi zapatisti. Lo dice la realtà di quanto fatto nella condivisione del Caracol della Realidad, dove hanno parlato le basi ed è venuto fuori come deve essere. Il popolo comanda.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, agosto 2014. A venti anni dall’inizio della guerra contro l’oblio.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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  sub Genealogia di un ologramma: Marcos, Galeano e noi

Pubblicato il 21 settembre 2014 · in Osservatorio America Latina · CARMILLA OnLine

di Martino Sacchi

“Iniziò così una complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meraviglioso, un malizioso trucco del nostro cuore indigeno, la saggezza indigena sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione. Incominciò allora la costruzione del personaggio chiamato Marcos”

Nel maggio di quest’anno un gruppo di paramilitari uccide in un’imboscata il maestro Galeano, figura di spicco all’interno dell’escuelita zapatista, un progetto che nel corso del 2013 aveva aperto le comunità zapatiste a migliaia di attiviste e attiviste per farne conoscere i percorsi d’autonomia. Pochi mesi dopo l’attacco paramilitare, esce il comunicato Entre Luz y Sombra (tra la luce e l’ombra) in cui Marcos si destituisce enigmaticamente come portavoce del movimento zapatista, per ricomparire sul palco pochi secondi più tardi come “Subcomandante Galeano”.

Entre Luz y Sombra non è però una semplice commemorazione di un compagno ucciso: parlando di Galeano, il comunicato ripercorre l’intera storia della lotta zapatista. Ripensando a questa storia sembra che, fin dalla presa di San Cristobal de Las Casas nel 1994, Marcos abbia costituito in qualche modo la cartina tornasole di questa lotta: è stato leader militare dell’EZLN, “delegato zero” durante la Otra Campaña (che si opponeva dal basso alla campagna elettorale per le elezioni politiche del 2006), è stato a lungo la faccia senza volto che appariva sui media globali e potente simbolo per movimenti politici da tutto il mondo. Eppure, nel comunicato del maggio scorso, il portavoce dell’EZLN dichiara: “se posso definire il personaggio di Marcos, direi senza indugio che è stato una montatura”. Nient’altro che un “trucco”, un “ologramma”, dunque. Ma c’è di più: questa “montatura”, dopo la escuelita, non è nemmeno più necessaria. Affinché Galeano possa continuare a vivere, un altro dovrà morire, e sarà proprio Marcos. Ma attenzione: ciò che la morte si porterà via al posto di Galeano non sarà “una vita, ma solo un nome, poche lettere prive di senso, senza storia propria, senza vita”.

Cosa è cambiato con l’escuelita zapatista? Cosa significa la “morte” di Marcos? Che cosa è Marcos? Per comprendere l’intelligenza politica di una scelta tanto misteriosa si potrebbe quasi fare una genealogia di questo “trucco” chiamato Marcos: cioè una storia dei modi attraverso i quali il movimento zapatista si è letteralmente reso intellegibile a sé stesso e al mondo. Quando gli indigeni occuparono San Cristobal nel 1994 come un “esercito di giganti”, dice il comunicato, “ci rendemmo conto che quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione. Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio con addosso un passamontagna, ovvero, non guardavano”.

Fu così che questo esercito di giganti si ritrovò costretto a inventare “qualcuno piccolo come loro” affinché attraverso di lui, il mondo intero potesse vederli: “incominciò allora la costruzione del personaggio chiamato Marcos”. E’ una storia vecchia quanto il colonialismo: è la storia che lega capitalismo e modernità in una geografia fatta di centri europei e periferie coloniali, in cui tutto ciò che sta alla periferia esiste solo attraverso le parole di chi sta nel centro. Ma è anche una storia di classe, di “quelli in basso” contro “quelli in alto”, di razza, dei “meticci” e degli “indigeni, e di genere, delle mujeres rebeldes e del patriarcato messicano. Ecco che possiamo porre una prima tesi: ciò che per un certo periodo si è chiamato “Marcos” è stata la mediazione necessaria affinché questa molteplicità di storie divenisse strumento di ribellione per popoli che sono sistematicamente spossessati di ogni strumento: primo fra tutti il linguaggio, la facoltà di parlare ed essere compresi, di denunciare, urlare per dire “non può continuare così”.

Ma se Marcos è questa mediazione, in che senso ora, dopo l’escuelita, non è più necessaria? Per capirlo è utile notare come, facendo questa genealogia dell’ologramma-Marcos, incontriamo due tipi diversi di rotture, di discontinuità, di cambiamenti nel modo in cui lo zapatismo si è presentato nel corso della sua storia.

Ci sono discontinuità verso l’esterno. C’è, ad esempio, un superamento della tradizione avanguardista e guevarista a lungo centrale in Latinoamerica, così come della non-violenza della teologia della liberazione: entrambe tradizioni che hanno influenzato lo zapatismo. In questo senso è anche significativo che l’insurrezione zapatista scoppi nel contesto della sconfitta sandinista nel 1990 e l’affermarsi del capitalismo neoliberale.

Dall’altro lato, e questo è l’elemento più importante, lo zapatismo ha posto delle discontinuità dal suo interno. In parole più semplici, è un movimento che è stato capace di reinventarsi costantemente, dettandosi da solo i tempi di questo cambiamento. Spesso, qui in Italia, ci interroghiamo sulla difficoltà di uscire da una logica “reattiva” rispetto al potere: notiamo come il nostro mobilitarsi sia spesso la “risposta” a uno sgombero, a degli arresti o a un corteo nazionale di cui, anche quando delle contraddizioni esplodono, abbiamo difficoltà a trattenere la potenza politica. Ecco, potremmo dire che lo zapatismo ha saputo dare una durata a questi momenti di rottura senza per questo rimanere sempre uguale a sé stesso. Ma soprattutto, ha saputo decidere i tempi e gli spazi di questo cambiamento, la sua “geografia” e il suo “calendario”, in maniera autonoma.

Proseguendo nella nostra genealogia, ci accorgiamo quindi che questo processo di cambiamento politico coincide anche con un progressivo decentramento della figura di Marcos che, da leader-simbolo negli anni ‘90 diviene progressivamente marginale: niente più che un “trucco” o “ologramma” dopo l’escuelita di quest’anno. Fare una genealogia dello zapatismo significa dunque cercare di comprendere la relazione tra questi due movimenti: il decentramento di Marcos da un lato, le forme di autorganizzazione dall’altro. E’ attraverso la messa in relazione di questi due processi, quasi due facce della stessa medaglia, che è possibile cogliere l’autonomia zapatista.

Senza entrare troppo nei dettagli, possiamo semplicemente dire che il progressivo decentramento di Marcos corrisponde a un decentramento dell’Esercito Zapatista (struttura tutt’ora gerarchicamente militare) e alla venuta in primo piano della base sociale (della popolazione delle comunità, le cosiddette “bases de apoyo”).

Nel 2003 già nascevano le Giunte di Buon Governo, istituzioni municipali che si prendevano carico dell’amministrazione dei territori occupati secondo il principio del “comandare obbedendo”. Le Giunte di Buon Governo sostituivano gli aguascalientes, luoghi in cui la base sociale incontrava l’esercito zapatista, e ponevano al centro dell’agenda politica le pratiche quotidiane dell’autogoverno nelle comunità. Le Giunte del 2003 sono quindi una delle discontinuità che scandiscono questo doppio movimento dell’autogoverno e del personaggio-Marcos.

Si tratta di un processo che attraversa la storia dello zapatismo fin dal periodo di clandestinità negli anni ‘80, quando un manipolo di guerriglieri marxisti leninisti arrivano nella selva e decidono di imparare dagli indigeni anziché semplicemente “organizzarli”, e che giunge fino a noi e alla escuelita, durante la quale gli attivisti non hanno incontrato i quadri dell’esercito ma proprio la popolazione comune. Nel 2006, con la Otra Campana e la Sexta Declaracion de la Selva Locandona, incontravamo una ulteriore discontinuità: fine di ogni speranza di contrattazione con le istituzioni e sempre più forte legame con i movimenti anticapitalisti globali.

L’escuelita del 2013-14 è dunque l’ultima di queste continue riconfigurazioni del progetto politico zapatista. Si tratta, in sintesi, di un progressivo costituirsi di un soggetto collettivo, dotato di un proprio linguaggio, calendario e geografia, e di cui Marcos è stato tanto lo strumento quanto il prodotto.

Eppure c’è nell’escuelita e nel comunicato Entre Luz y Sombra qualcosa di particolarmente importante, che getta luce su tutte le precedenti discontinuità (ne ho citate alcune arbitrariamente e a titolo di esempio). Anche dopo questa simbolica morte di Marcos e rinascita di Galeano, morte di un nome che troppo a lungo è stato associato a una leadership, è chiaro che la persona-Marcos continuerà a svolgere un ruolo chiave nella lotta del sud-est messicano. Ma ciò che è importante capire è la sostanza estremamente materiale di questo ologramma: i tanti modi verticali attraverso cui lo zapatismo si è rapportato con il potere e con il mondo, avevano sempre delle condizioni di possibilità orizzontali nelle reti di cooperazione e autogoverno che venivano sperimentate nei pueblos della gente comune.

Lo scontro verticale con il potere e con i media che, come si è detto, “sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione”, ha potuto esistere solo grazie a qualcosa che stava fuori da questo teatro mediatico, cioè l’apprendimento quotidiano all’autorganizzazione. Il 21 dicembre 2012, anno della fine del mondo seconda la tradizione Maya, gli zapatisti hanno nuovamente invaso San Cristobal dopo dieci anni in cui poco si è saputo di loro fuori dal Chiapas. Ma a differenza del 1994, l’hanno fatto in silenzio e senza armi.

Questo non è pacifismo, ma la potenza silenziosa di chi sa che ora ha le forze materiali per smettere di parlare il linguaggio mediatico che è stato a lungo costretto a utilizzare per farsi ascoltare. Nella marcia silenziosa, il personaggio-Marcos già moriva, non più necessario: negli anni di silenzio, le pratiche di autogoverno si erano sviluppate. Si trattava ora di mostrare che fuori dai riflettori mediatici un altro tempo di lotta aveva continuato a battere nelle comunità. Si trattava di mostrare ciò che a lungo e in silenzio si andava ancora costruendo, passo a passo, con tentativi e ripensamenti. E così, venne inaugurata una “piccola scuola zapatista”.

Ovviamente uno scontro “verticale” con il potere e i media c’è sempre stato e continuerà ad esserci, come la guerra paramilitare e la morte di Galeano ha mostrato. Ma è sul piano “orizzontale” e quotidiano che la risposta politica viene messa in pratica. L’escuelita zapatista non è stata una piattaforma politica tra realtà di movimento e quadri dell’EZLN, ma un momento in cui gente qualsiasi è stata ospitata in casa da indigeni zapatisti. Anziché scrivere un manifesto politico ci si è sforzati di comunicare tra lingue diverse delle quali, questa volta, lo spagnolo coloniale era quella straniera e i dialetti indigeni quella quotidiana. Si è imparato che “tradurre” è sempre cosa complicata, sia che si tratti di una lingua che di una pratica politica.

Abbiamo lavorato nei campi, letto libri e condiviso il cibo, ma non per imparare un modello di autonomia da esportare nei nostri paesi di provenienza. Al contrario, abbiamo sperimentato la differenza e il duro tentativo di dialogo tra lotte e vite completamente diverse tra loro. Non conosco di nessuna altra rete di popoli in guerra nel mondo intero capace di un simile sforzo umano e organizzativo. Fa sorridere pensare come qualcosa di così vero, così fisico e palpabile, sia stato reso possibile da un “ologramma”, durato vent’anni.

“Avevamo bisogno di tempo per incontrare chi ci vedesse non dall’alto, non dal basso, ma di fronte, che ci vedesse con uno sguardo da compagni”

Ghost Track

[Due segnalazioni di libri sullo zapatismo, usciti in Italia recentemente e complementari. Il primo, di Alessandro Ammetto, osservatore attento della ribellione zapatista sin dai suoi inizi (Ed. Red Star Press, 2014), s’intitola Siamo ancora qui. Uno storia indigena del Chiapas e dell’EZLN ed è tra i testi più completi e dettagliati in circolazione sulla storia del movimento zapatista e sul contesto politico, storico e sociale che ha preceduto l’insurrezione del 1994 e che ha segnato tutte le evoluzioni successive della lotta. Il secondo, di Andrea Cegna e Alberto “Abo” di Monte (AgenziaX, 2014) completa la storia e la arricchisce di testimonianze dirette e recenti. Si basa sull’esperienza della escuelita ma anche sul raccordo di più voci di movimenti, media indipendenti e militanti tra Messico e Italia (tra cui il centro per i diritti umani Frayba, la Brigada Callejera di Città del Messico, Promedios, Centro de medios libres, alcuni storici comitati italiani e artisti solidali come Rouge, 99 posse, Lo stato sociale e Punkreas). S’intitola 20zln. Vent’anni di zapatismo e liberazione. F. L.]

http://www.carmillaonline.com/2014/09/21/genealogia-ologramma-marcos-galeano/

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bachajon

Il Pubblico Ministero Rodolfo Gómez Gutiérrez ha torturato un indigeno tzeltal”, denunciano gli ejidatari di Bachajón

 

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO 19 settembre 2014

Chiapas, Messico. 18 settembre. “Rodolfo Gómez Gutiérrez, Pubblico Ministero ascritto alla Procura Specializzata in Giustizia Indigena con sede in Ocosingo, Chiapas, ha torturato MARIO AGUILAR SILVANO affinché si autoacusasse dei fatti a lui imputati e firmasse una confessione”, denunciano gli indigeni tzeltal della comunità Virgen de Dolores, dell’ejido San Sebastián Bachajón, catturati violentemente il passato 16 settembre dalla polizia di Chilón.

“Gli ha puntato una pistola alla testa, gli ha infilato un sacco di plastica in testa per provocargli asfissia e lo ha picchiato in volto a mano aperta, e questo è accaduto il pomeriggio del 17 settembre”, dichiarano gli ejidatari e raccontano di essere stati sottoposti a trattamenti crudeli, disumani e tortura durante il loro fermo di polizia a Chilón. Sono stati trascinati sulla strada sterrata provocando gravali ferite sul corpo mentre gli elementi della polizia municipale si prendevano gioco di loro, aggiungono.

Gli indigeni tszltal aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, JUAN ANTONIO GOMEZ SILVANO, MARIO AGUILAR SILVANO e ROBERTO GOMEZ HERNANDEZ sono stati consegnati dal Pubblico Ministero ascritto alla Procura Specializzata di Giustizia Indigena con sede a Chilón, Chiapas, al Giudice Misto di Prima Istanza del Distretto Giudiziario di Ocosingo, per il reato di lesioni aggravate a danno di elementi della polizia municipale di Chilón il 16 settembre 2014.

Il giudice misto di prima istanza di Ocosingo, Omar Heleria Reyes ha fissato una cauzione di 300mila pesos per ognuno degli indigeni fermati, “cosa assolutamente incostituzionale perché sproporzionata rispetto alla situazione economica dei compagni e viola il principio della presunzione di innocenza”, sostiene la difesa. “Viene impedito loro di esercitare il diritto costituzionale ed internazionale di affrontare in libertà il loro processo”, aggiunge l’avvocato.

Il termine per definire la loro posizione giuridica scade mercoledì 24 settembre. “Useremo ogni risorsa della difesa per ottenere la loro libertà entro questo termine” assicura il legale.

Gli ejidatari fermati denunciano che al momento della loro cattura hanno riconosciuto uno dei poliziotti di nome Agustín Sánchez che vive nel villaggio di Carmen Xaquilá, e che è amico stretto e vicino di Sebastián Méndez Hernández, che ha parteciato all’omicidio di Juan Carlos Gómez Silvano, membro della comunità Virgen de Dolores, il 21 marzo 2014 e che ora è rinchiuso nella prigione EL Amate in attesa di processo.

I fermati affermano che i poliziotti di Chilón stanno agendo in rappresaglia contro di loro per l’arresto del poliziotto Méndez Hernández

FONTE: AVVOCATO RICARDO LAGUNES

Testo originale

COMUNICATO DELLA COMUNITA’ VIRGEN DE DOLORES:

Video: Terra e resistenza a San Sebastián Bachajón

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SPECIALE YAQUI

Mario Luna

Yaquis, racconto della lotta per l’acqua e del loro prigioniero politico

 L’arresto di Mario Luna, una delle autorità yaqui più visibili nell’opposizione all’Acquedotto Indipendenza, ha acuito il conflitto. La sua tribù non è disposta a cedere né l’acqua, né la libertà.

 Mario Luna, autorità yaqui, racconta la sua cattura e l’arresto

GLORIA MUÑOZ RAMÍREZ

In un intervista inviata per iscritto, il portavoce e autorità della tribù yaqui racconta i momenti della sua cattura lo scorsoo 11 giugno, il suo trasferimento nel carcere di Hermosillo, la visita del vice-procuratore, la solidarietà degli altri detenuti, mentre spera che oggi ci si pronunci sulla sua libertà o arresto. (proseguire la lettura)

Rabbia e speranza an Vícam

CAROLINA BEDOYA MONSALVE/ INVIATA

L’arresto del portavoce yaqui, Mario Luna Romero, ha suscitato nei membri della tribù maggior voglia di lottare. “Nessuno può dire che la nostra lotta non è giusta”, segnalano dal presidio che blocca la strada. (proseguire la lettura)

La polizia federale minaccia gli yaquis di Vícam

CAROLINA BEDOYA MONSALVE/ INVIATA

La presenza della polizia er le strade e uomini in abiti civili che sorveglano la casa di Mario Luna e di altri yaquis non scoraggia la tribù che si è riunita per decidere i prossimi passi. (proseguire la lettura)

Disprezzo, illegalità e negoziato politico dietro l’arresto del leader yaqui

ADAZAHIRA CHÁVEZ PÉREZ

Oltre agli abusi ed il razzismo, la contesa tra il miliardario Germán Larrea ed il governatore di Sonora contro Enrique Peña Nieto è parte fondamentale nell’arresto di Mario Luna, concordano gli analisti. (proseguire la lettura)

Indignazione tra i popoli indigeni per l’arresto di Mario Luna

ADAZAHIRA CHÁVEZ PÉREZ

Comunità appartenenti al Congresso Nazionale Indigeno avvertono che prenderanno provvedimenti contro “l’ingiustizia” commessa contro l’autorità tradizionale degli yoeme. (proseguire la lettura)

Altri yaqui si uniscono alla ltta per la difesa del fiume di di Mario Luna

CAROLINA BEDOYA MONSALVE/ INVIATA

La lotta contro l’Acquedotto Indipendenza proseguirà anche con il suo portavoce yaqui in prigione, perché “è un intero popolo ad essere colpito”, dichiarano da Vicam. (proseguire la lettura)

“Il fiume ci manca moltissimo”: dicono le donne yaqui

CAROLINA BEDOYA MONSALVE/ INVIATA

Per gli yoeme, l’acqua del fiume Yaqui è la vita e fondamento della loro cultura. “Vogliamo che torni ad esserci l’acqua, affinché torniamo a riavere quello che avevamo”, chiedono. (acoltare l’audio)

“Il governo deve costruire l’immagine che noi siamo aggrappati ad un capriccio, ma non è vero”: Tribu Yaqui

GLORIA MUÑOZ RAMÍREZ
FOTO: EFRAÍN RUÍZ NIEBLAS

Sulla stampa locale si parla della divisione all’interno della tribù, ma “in realtà questa lotta ha riunito tutte le truppe della tribù e generato consenso sulla difesa del territorio ed il rifiuto dell’Acquedotto Indipendenza”. (proseguire la lettura)

La tribu yaqui con la legge a su favore ed il governo contro

GLORIA MUÑOZ RAMÍREZ

Alejandro Olea, incaricato della difesa legale del bacino del fiume Yaqui, racconta i dettgli di un processo iniziato dal 2010 contro l’Acquedotto Indipendenza, opera la cui costruzione è viziata da irregolarità. (proseguire la lettura)

“Vogliono farci sparire”: Mario Luna dal carcere

OTRAS VOCES OTRA HISTORIA, MAS DE 131, RADIO ZAPOTE, REGENERACIÓN RADIO, LA OTRA VALLE DE CHALCO, RAPS

In un’intervista con i media liberi, il portavoce yaqui racconta il disordine e la corruzione che imperano nella gestione dell’acqua in Sonora; denuncia la banda del governatore Padrés che specula sul’acqua e descrive la campagna di odio scatenata contro il suo popolo. (proseguire la lettura)

Mario Luna, la voce degli yaqui in resistenza

ENRIQUETA LERMA

Il suo incarico di segretario è il più umile dentro la struttura del governo tradizionale, e l’aver svolto il suo compito di rappresentare la sua gente davanti agli yoris (i bianchi,)nella lotta per l’acqua, l’ha condotto in prigione. (proseguire la lettura)

Acqua, la vera faccia della Guerra del Yaqui

ELEUTERIO GABÓN

AUDIO: ACCIÓN SOCIAL SINDICAL INTERNACIONALISTA

Un viaggio nella storia di questo popolo mostra la sua resistenza al genocidio e all’esprioprio dei territori e ricorda un detto: “anche se restasse in vita un solo yaqui, in lui sarebbe rappresentata tutta la cultura del suo popolo”. (proseguire la lettura)

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“…desinformémonos hermanos
hasta que el cuerpo aguante
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y revolucionémonos.”
Mario Benedetti

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Mujeres-y-ninos “Esprimiamo la nostra protesta e la nostra preoccupazione per il sacheggio delle nostre terre”, denunciano gli indigeni del Chiapas.

 

Chiapas, Messico, 13 settembre. “Esprimiamo la nostra protesta e preoccupazione di fronte al saccheggio delle nostre terre con i mega progetti imperialisti”, dichiarano le comunità che formano la Red Contra las Altas Tarifas de Energía Eléctrica “La Voz de Nuestro Corazón”, tra cui figurano La Grandeza, El Madronal, Rancheria Santa Anita, Teopisca, Nuevo Tepeyac, La Gloria, Santa Lucia, San Vicente, Oxchuc, Candelaria el Alto, San Juan de las Tunas, Guadalupe Xuncalab e Marcos E. Becerra.

All’interno dei megaprogetti che denunciano gli indigeni degli Altos del Chiapas, ci sono miniere, parchi eolici, strade, strutture tecnologiche, centrali idroelettriche. Inoltre aggiungono che “inoltre c’è l’inganno della cosiddetta Crociata Nazionale Contro la Fame che attraverso la distribuzione di cibo e case sono una trappola per le donne e gli uomini dei nostri villaggi e la sola cosa che generano è creare sempre più dipendenza e farci dividere all’interno delle nostre comunità”.

In un comunicato le/gli ejidatari organizzati spiegano che tali programmi governativi “sono una modo dei grandi impresari per approfittarsi della povertà della gente e vendere le nostre terre alla Banca Mondiale ed alle multinazionali di Canada, Europa e Stati Uniti, cambiando le leggi a loro favore, come è stato per la riforma Agraria ed Energetica”.

“Ci dichiariamo contrari a tutte queste riforme per che portano inquinamento dell’acqua e dell’aria, la morte degli animali ed anche degli esseri umani”, affermano gli agricoltori indigeni e rivolgono un appello “a tutt@ i compagni dei villaggi e dei quartieri ad organizzarsi nei modi che ritengono opportuni per difendere i nostri diritti di popoli e difendere la nostra terra e territorio”.

“Impariamo a lavorare la nostra terra. Difendiamo i nostri diritti. Non lasciamoci ingannare dai partiti politici”, esortano le contadine e i contadini. Nello stesso tempo esprimono la loro solidarietà con le comunità che stanno lottando contro la costruzione dell’Autostrada San Cristobal-Palenque, “vi diciamo che non siete soli, noi vigileremo su quanto potrebbe accadere”, sottolineano.

Testo originale

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO

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pronunicamentoPRONUNCIAMENTO DEL CNI E DELL’EZLN PER LA LIBERTA’ DI MARIO LUNA, PORTAVOCE DELLA TRIBU’ YAQUI.

Settembre 2014

 

ALLA TRIBU’ YAQUI:

AL POPOLO DEL MESSICO:

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

AI GOVERNI DEL MESSICO E DEL MONDO:

“Esigiamo la cancellazione immediata degli ordini di arresto e della fabbricazione di delitti contro i membri della tribù yaqui e condanniamo la criminalizzazione della loro lotta, dicendo ai malgoverni emanazione dei partiti politici, che il fiume yaqui è stato storicamente il portatore della continuità ancestrale della cultura e del territorio della tribù yaqui e, noi che costituiamo il Congresso Nazionale Indigeno, reiteriamo che se toccano uno di noi toccano tutti, e pertanto risponderemo di conseguenza dinanzi a qualsiasi tentativo di reprimere questa degna lotta o qualsiasi altra lotta” (Caracol di Oventic, 7 luglio 2003, comunicato congiunto CNI-EZLN).

Non hanno potuto uccidere i nostri popoli. Infatti come semi continuano a crescere. Ci hanno voluto uccidere con armi da fuoco; non riuscendoci hanno cercato di ucciderci con le malattie, e di nuovo hanno fallito. I potenti hanno usato molte strade per sterminare noi indigeni.

Oggi ci vogliono uccidere con l’energia eolica, con le autostrade, con le miniere, con le dighe, con gli aeroporti, con il narcotraffico; oggi, soprattutto, ci ferisce che ci vogliano uccidere nel Sonora, con gli acquedotti.

Il passato giovedì 11 settembre, membri, apparentemente, della Procura Generale di Giustizia dello stato di Sonora, hanno trattenuto il nostro fratello Mario Luna, portavoce della tribù yaqui, accusandolo falsamente di crimini che sono stati fabbricati ad arte; con ciò pretendono di incarcerare la lotta stessa della tribù yaqui per difendere le acque che nel 1940, dopo una lunga guerra, furono riconosciute come sue da parte di Lázaro Cárdenas e che dal 2010 i padroni del denaro vogliono portarsi via, attraverso l’acquedotto Independencia, calpestando una risoluzione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione e calpestando tutti i diritti che le Convenzioni Internazionali ci riconoscono.

L’acquedotto Independencia non serve manco per scherzo affinché i poveri abbiano acqua e progresso, come lo chiamano quelli di sopra: serve affinché i ricchi si portino via l’acqua appartenuta da secoli agli yaqui. Invece di alimentare campi e seminativi, vogliono portarsi via l’acqua per i grandi industriali di Sonora.

Questa spoliazione è stata la bandiera del progresso dei malgoverni, come quelli di Guillermo Padrés Elías, Governatore dello Stato, e di Enrique Peña Nieto, capo supremo dei paramilitari alla testa del megaprogetto. Ma così come il dittatore Porfirio Díaz proclamò lo sterminio dei nostri popoli, e in particolar modo della tribù yaqui, in nome del progresso, noi sappiamo che gli sproloqui di Padrés y Peña Nieto sono menzogne; perché questi megaprogetti possano esistere, noi popoli originari dobbiamo scomparire, ma una volta per tutte diciamo a voi di sopra che sparire non rientra nei nostri piani. Se avete arrestato il nostro fratello Mario Luna, è perché ha rifiutato di vendersi, di arrendersi, perché è stato fratello nella lotta di tutti noi che vogliamo che questo mondo cambi in basso e a sinistra.

Noi non chiediamo nulla ai malgoverni, ma in questo momento vogliamo invece dire chiaro una cosa: che la libertà del nostro compagno Mario Luna non vi appartiene e che non gliela potete togliere come nulla fosse. Vi diciamo che questa libertà è sua e del suo popolo e che dovete restituire quel che avete preso con la forza.

Al nostro compagno Mario diciamo che noi camminiamo insieme da più di 500 anni, che la sua tribù cammina nella lotta, senza che importi se i codardi governanti li deportino come schiavi dall’altro lato del paese: gli yaqui tornano a Vícam, Pótam, Tórim, Bácum, Cocorit, Huiriris, Belem y Rahum, perché è lì che scorre il loro sangue; che noi siamo yaqui, anche se siamo zoque o mame o tojolabal o amuzgo o nahua o zapotechi o ñahto o di qualsiasi altra lingua, e come yaqui che siamo non lasceremo che ci rubino la nostra acqua e tantomeno la nostra libertà.

Esigiamo la liberazione immediata di Mario Luna, esigiamo la cancellazione degli ordini di arresto e della fabbricazione di delitti contro membri della tribù yaqui e, insieme, esigiamo la libertà di tutte e tutti i nostri prigionieri e in particolare quella dei nostri fratelli nahua Juan Carlos Flores Solís ed Enedina Rosas Vélez, prigionieri del malgoverno dall’aprile di quest’anno, accusati allo stesso modo di falsi delitti, con il fine di frenare la lotta del Fronte dei Popoli in Difesa dell’Acqua e della terra di Morelos, Puebla e Tlaxcala contro il progetto integrale di Morelos.

Messico, settembre 2014.

MAI PIU’ UN MESSICO SENZA DI NOI. PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI.

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’EZLN

Comunicato originale

 

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no avionesLA NUOVA BATTAGLIA DI ATENCO

“Non gli daremo mai la soddisfazione di installare il loro maledetto aeroporto sulle nostre terre”

Gloria Muñoz Ramírez / Carolina Bedoya Monsalve

L’elicottero presidenziale sorvola la manifestazione dei contadini di Atenco che si oppongono alla costruzione del multimilionario progetto dell’aeroporto. Non è da escludere che lo stesso presidente Enrique Peña Nieto stia monitorando coloro che da sempre considera nemici, gli stessi contro i quali ordinò la repressione nel 2006 [allora era governatore dello stato dove si trova Atenco ed ordinò un operativo di polizia che portò all’omicidio di due ragazzi, più di 200 arrestati e circa 30 donne fermate che furono violentate dai poliziotti, n.d.t.]. Il corteo si dirige verso il Tribunale Superiore Agrario (TSA) nella capitale Città del Messico, a cui chiedono di prendere in considerazione il ricorso che hanno presentato contro il cambio di uso dei loro terreni da proprietà collettiva (ejidal) a proprietà privata. Cioè, chiedono che gli rendano le loro terre, che sono inalienabili.

I volti scuri degli abitanti di Atenco sono conosciuti. C’è Ignacio del Valle e Trinidad Ramirez, simboli della resistenza di 13 anni fa. Ci sono anche rappresentanti di otto comunità del municipio di Atenco. Uomini e donne tornano a battere i loro machete sul cemento. Fazzoletti rossi al collo, e portano anche pannocchie di mais. Alcuni decidono di piantarle nei giardini del Tribunale Agrario mentre aspettano la delegazione. È la prima volta che tornano a scendere in piazza dopo l’annuncio presidenziale trionfalista del nuovo aeroporto che, inoltre, non sarà solo un ampliamento dell’attuale, ma dal 2020 lo sostituirà.

Mentre il governo federale inonda tutti gli spazi di comunicazione a livello nazionale ed ha messo in moto una campagna propagandistica internazionale per diffondere le “bontà” di un’opera progettata 15 anni fa, i contadini raggruppati nel Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra (FPDT) affermano che “è un inganno”, visto che “è una menzogna che le terre collettive non saranno occupate, come invece assicurano le autorità”, dichiara Ignacio del Valle, il dirigente rimasto in carcere per quattro anni (dal 2006 al 2010) come vendetta per la lotta che guidò nel 2001, dopo che il governo di Vicente Fox pubblicò i decreti di esproprio di più di 5 mila ettari di terra nella regione di Texcoco per la costruzione del nuovo aeroporto di Città del Messico. La vittoria giunse un anno dopo con l’abrogazione di tale decreto. E adesso, il progetto è stato rilanciato.

“Terra si, aerei no”, è il grido che riempie la piazza. Ignacio del Valle spiega che “il decreto di esproprio è stato annullato nel 2002 grazie ad una resistenza di più di nove mesi, dove abbiamo dimostrato al mondo che queste terre le abbiamo ereditate e non si toccano. Oggi si riattiva questo progetto che per noi rappresenta la morte”.

In realtà i governi federali precedenti non hai mai rimosso l’attenzione su questa vicenda. In questi 13 anni hanno proseguito la costruzione dell’infrastruttura parallela all’aeroporto. Hanno ingannato la gente andando casa per casa a chiedere che vendessero le loro terre. Questa strategia governativa ha raggiunto il culmine nel giugno scorso, quando in una assemblea che il Fronte dei Villaggi ha definito illegale, è stato imposto il cambio del regime di proprietà della terra e con questo si sono aperte le porte alla privatizzazione. Per questo, la battaglia ora è far dichiarare illegale quell’assemblea dai tribunali.

Lizbet e Carmen, che fanno parte del FPDT, dichiarano ad Ojarasca che “l’aeroporto significa la distruzione della nostra identità e della nostra vita come popolo originario, la distruzione del futuro”. Quest’opera, aggiungono, “distruggerà la storia, la cultura e gli stili di vita comunitari, trasformando San Salvador Atenco nel ‘cortile’ dell’aeroporto.”

È stato lo scorso 3 settembre che Enrique Peña Nieto ha dichiarato ufficialmente ciò che gli abitanti di Atenco sapevano da tempo: una mega opera che occuperà 4 mila e 600 ettari dei 12 mila 500 di riserva naturale dei terreni federali adiacenti all’attuale aeroporto.

“La nostra opposizione è la stessa del 2001, con gli stessi timori ma con qualche certezza, cioè che il governo con i suoi inganni vuole rompere il tessuto sociale delle nostre comunità”, afferma Ignacio del Valle ed aggiunge che non conosce il numero esatto di ettari di terre che saranno realmente danneggiati, perché i terreni confinano anche con altre comunità, ma che solo ad Atenco almeno 80 persone saranno colpite in maniera diretta; e le terre fertili dell’altopiano della regione ne subiranno le conseguenze.

La mobilitazione è accompagnata da organizzazioni e persone solidali. Felix Rojas, contadino di Jalisco, denuncia che “Atenco è un simbolo di ciò che sta succedendo in tutto il paese: l’espropriazione della terra e della vita comunitaria. Io penso che tutti noi messicani dobbiamo sentire Atenco come nostro, perché questo tipo di opere non rappresenta il progresso per i contadini. I problemi che sta vivendo Atenco oggi sono gli stessi che stanno accadendo o che accadranno in tutto il paese e non possiamo restare indifferenti di fronte a questo”.

Nel 2001, quando l’allora presidente Vicente Fox annunciò il decreto di esproprio, Ernesto Cruz era solo un bambino. Oggi, lui e molti altri ragazzi, alcuni tra i quali non sanno lavorare la terra, sentono un attaccamento verso essa e l’obbligo di continuare a difenderla. “Il governo dice che queste terre non servono più a niente, ma per noi vivere nel campo significa molto. Qui la terra è tanto buona che da sola ci fornisce il cibo, dai vegetali fino all’erba medica; noi sappiamo che questa terra non ci lascerà mai morire di fame, come invece succede nelle città”, dice il giovane, machete in mano.

Il governo, dice, confonde la gente. Prima dice di non sapere niente dell’acquisto di terre ed ora dice il contrario, che è vero che sono stati comprati 550 ettari di terre ejidales, ma che erano terreni improduttivi. Parte di queste terre che si stanno rubando appartengono alla laguna di Xalapango che è l’ultimo bacino naturale di quello che fu il lago di Texcoco. In questo luogo arrivano le anatre provenienti dal Canada, cresce spontaneamente l’alga spirulina e sono presenti circa 144 specie, alcune endemiche.”

“Loro sono sicuri di aver già vinto, ma sappiamo anche che temono i popoli che si organizzano e così vinceremo questa battaglia. Non gli daremo mai il gusto di installare il loro maledetto aeroporto sulle nostre terre”, afferma María de Lourdes, contadina di San Miguel de Tocuila.

Pubblicato da Ojarasca: http://www.jornada.unam.mx/2014/09/13/oja-atenco.html

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banavilDonne di Banavil, Chiapas: “Siamo ancora sfollate, viviamo in condizioni disumane e vogliamo condividere con voi la nostra memoria”.

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO  5 Settembre 2014

Chiapas, Messico. 5 settembre. “Siamo ancora sfollate, viviamo in condizioni disumane e vogliamo condividere con voi la nostra memoria”, denunciano le donne simpatizzanti zapatiste di Banavil, municipio di Tenejapa. Le indigene sono state aggredite da priisti armati e sfollate insieme alle loro famiglie il 4 dicembre di 2011 e da due anni e nove mesi continuano a chiedere giustizia.

Nello stesso tempo le abitante degli altos del Chiapas dicono che il governo vuole costruire l’autostrada San Cristóbal-Palenque, che passa per Banavil, “questo significa che distruggeranno le nostre terre e non sappiamo se è per questo motivo che hanno cercato di provocare conflitti all’interno della stessa comunità” aggiungono.

“Noi donne sfollate abbiamo preso la parola per dire quello che sentiamo e pensiamo di questa aggressione armata. Abbiamo perso tutto quello che avevamo anche se i priisti ed il governo dicono che le nostre cose non sono andate perse, qui in città non abbiamo che i nostri vestiti, a volte non abbiamo nemmeno il cibo sufficiente e per questo soffriamo, ed ancora di più i bambini e le bambine”, dicono in un comunicato.

Le indigene tzotzil ricordano che dal 4 dicembre il loro papà, Alonso López Luna, “è desaparecido e a tutt’oggi risulta scomparso”. “Il governo statale e federale non ha fatto niente per ritrovarlo, neanche il Pubblico Ministero per la Giustizia Indigena”, denunciano.

Le madri dicono di essere abituate a seminare la terra e spiegano: “qui non c’è dove seminare ed abbiamo appena dove dormire e le nostre terre sono là e questo ci addolora molto. È molto difficile vivere in città dove non c’è legna e così usiamo la segatura che qualcuno ci regala e con questa cuciniamo un po’ di cibo per i nostri figli”.

Le indigene di paraggio Banavil chiedono l’intervento dei tre livelli di governo affinché si creino le condizioni per il ritorno nella loro comunità ed esigono inoltre la verità sulla sparizione forzata di loro padre Alonso López Luna.

DENUNCIA DI BANAVIL: http://chiapasdenuncia.blogspot.mx/2014/09/a-dos-anos-y-nueve-meses-exigiendo.html 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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cartello

Messico: Guerra contrainsurgente di Tv Azteca e PROFEPA contro i popoli zapatisti

di Carolina BT

 

Questo tipo di reportage, con petizioni al governo non è nuovo, ricordiamo Atenco, quando giornalisti di TvAzteca chiedevano l’intervento della forza pubblica, e sappiamo cosa è successo

 Il 20 agosto, Javier Alatorre, nel notiziario Hechos riferisce che: “la selva Lacandona è saccheggiata da poche famiglie appartenenti all’EZLN”. Cinque giorni dopo (25 agosto 2014) un funzionario del governo dello stato del Chiapas, in un’intervista per TvAzteca, dice che esistono 3 insediamenti irregolari nella zona della Selva Lacandona e minacce di invasione. Nello stesso reportage il corrispondente dice che AztecaNews ha indagato ed in realtà sono 16 “le invasioni”, che nove di queste sono dell’EZLN e le restanti della ARIC (gruppo paramilitare legato al PRI). Giorni dopo il titolare della PROFEPA, Guillermo Haro, conferma quanto affermato dal giornalista di Azteca. La questione è che questi insediamenti irregolari, o invasioni, sono considerate da TvAzteca la causa del disboscamento smodato e chiede al governo di espellere questi insediamenti. Questo tipo di reportage con petizioni al governo non è nuovo, ricordiamo Atenco, quando giornalisti di TvAzteca chiedevano l’intervento della forza pubblica, e sappiamo cosa è successo. Indubbiamente la ARIC non ha problemi col governo, data la sua affiliazione al partito e le azioni paramilitari realizzate contro le BAEZLN, ma gli zapatisti non negoziano col governo, né vogliono la sua elemosina, né essere ricollocati.

Lo stesso giornalista intervista abitanti di Nueva Palestina, comunità legata al PRI e che chiede indennizzi per il suo ricollocamento e per smettere di disboscare, ed è in questa stessa logica che collocano i compagni dell’EZLN, come invasori della propria terra che vogliono distruggere la Selva Lacandona tagliando illegalmente gli alberi.

Ora tocca alla Procura Federale per la Protezione dell’Ambiente (PROFEPA); come parte della guerra contrainsurgente condotta dal governo statale e federale, a nome delle imprese, straniere e locali, TvAzteca e la PROFEPA definiscono il territorio Zapatista come insediamenti irregolari. La PROFEPA dice che ha degli aerei che vigilano sulla zona (la Selva Lacandona); che il disboscamento è colpa degli “invasori”, e pertanto sono loro ad aver fatto sparire gli alberi di noce e mogano, legnami che si vendono molto bene sul mercato capitalista. Ed è questo il motivo della menzogna del malgoverno e che ripete TvAzteca; sono arrabbiati perché non possono fare affari. Non c’è più legname da vendere perché gli zapatisti proteggono i boschi dai priisti, dai verdi, dalle imprese che vogliono appropriarsene con l’unico obiettivo di generare profitti attraverso la distruzione.

 

Nota: Il 9 agosto, durante la condivisione del CNI con i popoli zapatisti, due aerei avevano sorvolato la zona. Non si può affermare che fossero della PROFEPA, ma lo diciamo perché coincide con quanto dichiarato da Guillermo Haro: “abbiamo aerei che vigilano sulla zona”.

http://www.kaosenlared.net/america-latina-sp-1870577476/al2/mexico/94844-méxico-guerra-contrainsurgente-desde-tv-azteca-y-profepa-contra-pueblos-zapatistas

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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TilaDenuncia dell’Ejido Tila: “Gente del governo si sta organizzando per creare lo scontro con gli ejidatarios”

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO  2 Settembre 2014

Chiapas, Messico. 2 settembre. “Gente del governo sta organizzandosi per creare lo scontro con gli ejidatarios e c’è il rischio di un grave conflitto”, avvertono gli indigeni aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’ejido chol di Tila, dopo che il 31 agosto scorso un gruppo di circa 150 persone che non fanno parte dell’assemblea ejidal, si sono riunite per pianificare la destituzione delle autorità ejidales alle spalle dell’assemblea che difende la sua Terra e Territorio.

In un comunicato gli indigeni chol denunciano pubblicamente la Procura Agraria con sede a Palenque, Chiapas, la sottosegretaria di governo della città di Yajalón e la giunta di Tila di coordinare gli ex commissari Evaristo Martínez, Mateo Torres Martínez, Mateo Ramírez Martínez, tra altri, per destituire l’attuale assemblea ejidal. “Queste persone sono ex autorità che non partecipano più all’assemblea generale perché sono contro l’ejido e sono al soldo dei malgoverni” affermano gli ejidatarios.

In riferimento agli ex commissari, gli ejidatarios aderenti alla Sexta sostengono: “Questi gruppi sono mafiosi con i quali il governo lavora per destabilizzare la pace sociale provocando omicidi, sgomberi, intimidazioni, sequestri e sparizioni, come sta succedendo in molte parti del Messico, e come è successo alla Realidad e in villaggi nei dintorni di Ocosingo e Chilón”.

Alla riunione del 31 agosto scorso nella scuola primaria statale Ángel Albino Corzo, “la maggior parte erano professionisti e coloni che non fanno parte dell’assemblea ejidal perché non sono ejidatarios; all’assemblea sono intervenuti solo pochi ejidatarios perché ignorano i loro diritti ed obblighi”, precisano gli indigeni della zona nord del Chiapas.

“Abbiamo allertato tutte le organizzazioni sociali indipendenti non governative affinché siano vigili, poiché viviamo momenti molto difficili e chiediamo la solidarietà per rendere pubblica questa denuncia e contemporaneamente denunciare qualunque vessazione contro di noi”, sottolinea nel suo comunicato l’Ejido Tila.

COMUNICATO: http://laotraejidotila.blogspot.mx/2014/09/denuncia-sobre-los-planes-del-mal.html

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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cartelloMessico: Guerra contrainsurgente di Tv Azteca e PROFEPA contro i popoli zapatisti

di Carolina BT

Questo tipo di reportage, con petizioni al governo non è nuovo, ricordiamo Atenco, quando i giornalisti di TvAzteca chiedevano l’intervento della forza pubblica, e sappiamo cosa è successo.

 

Il 20 agosto, Javier Alatorre, nel notiziario Hechos riferisce che: “la selva Lacandona è saccheggiata da poche famiglie appartenenti all’EZLN”. Cinque giorni dopo (25 agosto 2014) un funzionario del governo dello stato del Chiapas, in un’intervista per TvAzteca, dice che esistono 3 insediamenti irregolari nella zona della Selva Lacandona e minacce di invasione. Nello stesso reportage il corrispondente dice che AztecaNews ha indagato ed in realtà sono 16 “le invasioni”, che nove di queste sono dell’EZLN e le restanti della ARIC (gruppo paramilitare legato al PRI). Giorni dopo il titolare della PROFEPA, Guillermo Haro, conferma quanto affermato dal giornalista di Azteca. La questione è che questi insediamenti irregolari, o invasioni, sono considerate da TvAzteca la causa del disboscamento smodato e chiede al governo di espellere questi insediamenti. Questo tipo di reportage con petizioni al governo non è nuovo, ricordiamo Atenco, quando giornalisti di TvAzteca chiedevano l’intervento della forza pubblica, e sappiamo cosa è successo. Indubbiamente la ARIC non ha problemi col governo, data la sua affiliazione al partito e le azioni paramilitari realizzate contro le BAEZLN, ma gli zapatisti non negoziano col governo, né vogliono la sua elemosina, né essere ricollocati.

Lo stesso giornalista intervista abitanti di Nueva Palestina, comunità legata al PRI e che chiede indennizzi per il suo ricollocamento e per smettere di disboscare, ed è in questa stessa logica che collocano i compagni dell’EZLN, come invasori della propria terra che vogliono distruggere la Selva Lacandona tagliando illegalmente gli alberi.

Ora tocca alla Procura Federale per la Protezione dell’Ambiente (PROFEPA); come parte della guerra contrainsurgente condotta dal governo statale e federale, a nome delle imprese, straniere e locali, TvAzteca e la PROFEPA definiscono il territorio Zapatista come insediamenti irregolari. La PROFEPA dice che ha degli aerei che vigilano sulla zona (la Selva Lacandona); che il disboscamento è colpa degli “invasori”, e pertanto sono loro ad aver fatto sparire gli alberi di noce e mogano, legnami che si vendono molto bene sul mercato capitalista. Ed è questo il motivo della menzogna del malgoverno e che ripete TvAzteca; sono arrabbiati perché non possono fare affari. Non c’è più legname da vendere perché gli zapatisti proteggono i boschi dai priisti, dai verdi, dalle imprese che vogliono appropriarsene con l’unico obiettivo di generare profitti attraverso la distruzione.

Nota: Il 9 agosto, durante la condivisione del CNI con i popoli zapatisti, due aerei avevano sorvolato la zona. Non si può affermare che fossero della PROFEPA, ma lo diciamo perché coincide con quanto dichiarato da Guillermo Haro: “abbiamo aerei che vigilano sulla zona”.

http://www.kaosenlared.net/america-latina-sp-1870577476/al2/mexico/94844-méxico-guerra-contrainsurgente-desde-tv-azteca-y-profepa-contra-pueblos-zapatistas

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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women-gathering-tim-russo-3Caracol Resistencia Hacia un Nuevo Amanecer – Denuncia di aggressioni da parte della ORCAO in diverse comunità BAZ della Garrucha

Caracol Resistencia Hacia un Nuevo Amanecer

Giunta di Buon Governo El camino del futuro

La Garrucha Chiapas

Messico, 14 agosto 2014

Alle compagne d ai compagni della Sexta Nazionale ed Internazionale

Ai media alternativi nazionali ed internazionali della Sexta.

Al popolo del Messico e del mondo.

DENUNCIAMO PUBBLICAMENTE

I fatti sono iniziati il giorno venerdì 25 luglio 2014. Non abbiamo voluto renderli pubblici a motivo della condivisione che si sarebbe svolta nel Caracol della Realidad dal 4 al 9 agosto, per non turbare la grande condivisione tra i popoli originari di questo paese.

Abbiamo avvertito solo il centro dei diritti umani Fray Bartolome de las Casas Chiapas.

Ma poiché queste provocazioni proseguono, questi sono i fatti.

1.- Un gruppo di 19 persone del villaggio Pojkol, Municipio di Chilón, dell’organizzazione ORCAO, del quartiere chiquinaval, citiamo alcuni nomi di queste persone, sono Andrés Gutierrez Guillen, Andrés Gutierrez de Meza, Eliceo Ruiz Gutierrez, Guillermo Pérez Guillen, Vidal Gutierrez Gomez e Juan Ruiz Gutierrez, questi ultimi due sono i proprietari dei camioncini che trasportavano le persone, è entrato nel villaggio San Jacinto dei compagni basi di appoggio zapatisti, del Municipio autonomo di San Manuel del caracol di La Garrucha.

Alle 6 del mattino del giorno 25 luglio, sono arrivati armati e sparando in aria hanno occupato la terra recuperata.

Hanno distrutto il cartello installato per denunciare l’assassinio del compagno Galeano.

Hanno costruito delle baracche che sono ancora lì. Continuamente minacciavano verbalmente i nostri compagni e compagne basi di appoggio. Siccome lì vicino ci sono gli altri villaggi dei compagni basi di appoggio zapatisti, i villaggi El Egipto ed El Rosario, sono andati anche lì a minacciare di cacciarli e poi sono tornati nelle loro baracche. Nella mattina del giorno 26 luglio, alle ore 1:30 si sono si ritirati.

2.- Il giorno 30 luglio sono tornati alle 6 del mattino ed hanno fumigato il campo di 3 ettari con una sostanza che non conosciamo, proprio lì dove si trovava il bestiame collettivo del Municipio San Manuel, spingendo il bestiame ad andare ad alimentarsi dove avevano fumigato.

Hanno ferito con un pugnale un torello, proprio vicino al corno dove si trova il punto per ucciderlo. Sul terreno hanno tracciato la scritta “Territorio Pojkol” e formato una croce con bossoli di fucile calibro 22 e calibro 20.

Alle 4 del pomeriggio si sono ritirati.

3.- Il 1° agosto alle 11:30 di notte, sono ritornati a San Jacinto, sempre armati gli stessi di Pojkol, del quartiere santiago, ecco alcuni nomi di queste persone: Bersain Gutierrez Gomez, Víctor Gutierrez Gomez, Valdemar Gutierrez Gomez, Romeo Gutierrez Gomez. Questi paramilitari hanno ucciso un torello, mentre altri sparavano in aria e poi si dirigevano verso il villaggio zapatista El Egipto, tutti con le torce in mano, per questo motivo i compagni, le compagne, i bambini e le bambine alle 12:30 del mattino si sono rifugiati in un altro villaggio zapatista dove si trovano tuttora.

Quelli che hanno ucciso il torello erano arrivati su 2 motociclette, 4 persone, e si sono portati via la carne lasciando solo le ossa.

4.- Il 6 agosto, alle 7:30 del mattino, gli stessi di Pojkol sono arrivati su 2 camioncini Nissan, con 15 persone ed una motosega, sono arrivati sparando ed hanno abbattuto un grande albero, al crollo dell’albero hanno cominciato a sparare in aria per tenere lontane le persone e che nessuno li vedesse mentre si ritiravano nel pomeriggio hanno continuato a sparare.

Passando nel villaggio dei compagni basi di appoggio El Rosario, hanno esploso 5 colpi. Passando nel villaggio dei compagni basi di appoggio El Kexil hanno esploso 2 colpi contro la casa di un nostro compagno base di appoggio, hanno sparato dal veicolo Nissane poi si sono diretti al villaggio Pojkol.

5.- EIl giorno giovedì 14 agosto, alle 4:50 del mattino, sono arrivati in 18, gli stessi di Pojkol, armati, appartenenti alla ORCAO, ed hanno circondato il villaggio dei compagni di San Jacinto.

Hanno sparato con armi di diverso calibro contro i muri delle case dove stavano dormendo i compagni che hanno dovuto cercare rifugio in un altro villaggio zapatista, abbandonando ogni cosa.

Solo così sono riusciti ad evitare un massacro come ad Acteal.

Fuggendo hanno potuto sentire il frastuono dei danni che stavano facendo i paramilitari.

Fino ad ora sappiamo che:

5 case sono danneggiate e 50 fgli di lamiera distrutti.

7 sacchi di mais e 130 chili di mais in grani rubati.

Dov’è la pace tanto declamata da Peña Nieto? Questa è la pace di cui parla Manuel Velasco? Ed il presidente Municipale di Ocosingo, Octavio Albores, crede che sia pace quello che stanno facendo alle compagne e compagni basi di appoggio zapatisti?

Che ci pensino se vogliono la pace. Perché loro sono i responsabili di tutto quello che può succedere o succederà.

Se governano come dicono, perché non controllano i paramilitari di Pojkol del quartiere Chiquinival del Municipio di Chilón?

Non li controllano perché sono loro stessi che finanziano, organizzano e realizzano questi attacchi contro di noi.

Ai governanti ed ai paramilitari diciamo che sono di sangue, ossa e carne come noi, ma noi non siamo drogati come voi e come questi paramilitari. Diciamo loro di non manipolare la gente, di non pagare i malviventi,di non spendere denaro per peggiorare la vita dei poveri che è già grama di per sé.

Davvero noi vogliamo la pace, se non c’è pace lotteremo fino a che ci sia la pace.

Non ci vendiamo, non ci arrendiamo, non claudichiamo.

Noi siamo organizzati per una pace giusta e degna. Voi, 3 livelli del malgoverno, non volete la pace, sappiamo che non vi pentite, ma sarete condannati dal popolo del Messico povero e noi siamo con il popolo.

Dunque compagne e compagni del Messico e del mondo, bisogna essere vigili, questi selvaggi ci attaccano e noi e saremo vigili.

Questa è la nostra denuncia.

Distintamente

Autorità dela Giunta di Buon Governo di La Garrucha

Jacobo Silvano Hernandez
Rudy Luna Lopez
Fredy Moreno Rominguez
Elizabeth Ruiz Camera
Yornely Lopez Alvarez

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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FraybaSan Cristóbal de Las Casas, Chiapas

15 de agosto de 2014

Acción Urgente No. 03

Actualización

Desplazamiento, riesgo de despojo y amenazas a Bases de Apoyo del EZLN

El Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas documentó nuevos actos de agresión perpetrados por integrantes de la Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo de (ORCAO) en contra de Bases de Apoyo del Ejército Zapatista de Liberación Nacional (BAEZLN), ocurridos en las tierras de trabajo colectivo1 del Municipio Autónomo Rebelde Zapatista (MAREZ) San Manuel (Municipio oficial de Ocosingo), perteneciente a la Junta de Buen Gobierno (JBG) “El Camino del Futuro”, del Caracol III de La Garrucha, Zona Selva Tseltal en Chiapas.

  • El día 13 de agosto de 2014, por acuerdo de Zona de la JBG, nueve familias BAEZLN construyeron nueve casas (en una de ellas una tienda de abarrotes) fundando así el Nuevo Poblado “San Jacinto” en las tierras recuperadas, de trabajo colectivo, pertenecientes al MAREZ San Manuel que colinda con las comunidades de Egipto y El Rosario; ese mismo día se presentaron también 250 BAEZLN para realizar tareas de roza para preparar el terreno para la siembra.
  • El día 14 de agosto, aproximadamente a las 3:50 horas, un grupo de 18 personas armadas con escopetas y armas calibre .22, provenientes de la comunidad Pojcol, municipio de Chilón, pertenecientes a la ORCAO, rodearon el terreno de trabajo colectivo y comenzaron a disparar al aire sus armas durante aproximadamente 40 minutos. Según testimonios de las personas que dormían esa noche ahí, los agresores gritaban: “estas armas que usamos son de gobierno”, “estas tierras son nuestras y no de esos pinches zapatistas”, advirtiéndoles a la vez que las BAEZLN tenían un plazo de 6 horas para que desalojaran el lugar.

Para evitar que fueran atacadas, las nueve familias (que suman 40 personas entre niñas, niños, mujeres y hombres) más 250 BAEZLN que descansaron en el lugar, decidieron retirarse hacia distintas direcciones. Tras el desplazamiento, los integrantes de la ORCAO de la comunidad Pojcol destruyeron las nueve casas (incluyendo la tienda de abarrotes), robándose la mercancía que se encontraba en la tienda y dinero en efectivo que estaba en las viviendas; además quemaron la ropa que dejaron todas las personas que se encontraban en el lugar, destruyendo 150 techos de lona y nylon, robándose los machetes con los que estaban trabajando la tierra. Los daños hasta el momento no se han terminado de cuantificar.

El mismo 14 de agosto, aproximadamente a las 20:30 horas, se tuvo información de que las mujeres, niñas y niños de la comunidad El Rosario, pertenecientes a la ORCAO, abandonaron la comunidad quedándose únicamente los hombres, mientras según testimonios, se amenazaba con un desalojo inmediato a las BAEZLN. Como consecuencia de ello, las mujeres, niñas y niños de la misma comunidad, pero pertenecientes a las BAEZLN, también decidieron salir ante el riesgo de una posible agresión, quedando también únicamente los hombres.

Durante las últimas horas se nos reportó que las amenazas de la ORCAO contra BAEZLN en la Comunidad de El Rosario se intensifican amenazando con consumar un posible despojo.

Ante esta situación, expresamos nuestra preocupación por el inminente riesgo a la vida, integridad y seguridad personal en que se encuentran expuestas las BAEZLN de las comunidades El Rosario, Kexil, Egipto y Nuevo Poblado San Jacinto pertenecientes al MAREZ de San Manuel.

Ante el desplazamiento de BAEZLN de las comunidades Egipto, Nuevo Poblado San Jacinto y El Rosario por actos de hostigamiento, amenazas, agresión y destrucción de su patrimonio responsabilizamos al gobierno de Chiapas por hacer caso omiso de los hechos denunciados inicialmente, permitiendo que gradualmente se sigan perpetrando violaciones flagrantes a los Derechos Humanos con agravantes cada vez más serios.

Ante estos hechos, este Centro de Derechos Humanos exige a las autoridades del gobierno estatal y federal que:

  1. Cesen las amenazas de muerte, hostigamiento, agresiones, daños e intentos de despojo que han motivado el desplazamiento de BAEZLN de tres comunidades hasta el día de hoy.
  1. Se garanticen adopten las medidas e investigaciones necesarias a fin de favorecer condiciones para proteger la vida, integridad y seguridad personal de las BAEZLN del MAREZ San Manuel, respetando su proceso de autonomía que vienen construyendo en el marco del derecho a la libre determinación de los pueblos, contemplado en los Acuerdos de San Andrés y establecido en tratados internacionales como el Convenio 169 sobre Pueblos Indígenas y Tribales en Países Independientes y en la Declaración de las Naciones Unidas sobre los Derechos de los Pueblos Indígenas.

A la sociedad civil nacional e internacional reiteramos el llamado a solidarizarse para difundir los hechos denunciados y manifestar su indignación ante las agresiones sistemáticas contra las BAEZLN pertenecientes a la JBG de La Garrucha (municipio oficial de Ocosingo).

 

Agradecemos que, en solidaridad, envíen sus llamamientos a:

Lic. Enrique Peña Nieto

Presidente de la República

Residencia Oficial de los Pinos

Casa Miguel Alemán

Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF

Tel: (52.55) 2789.1100 Fax: (52.55) 5277.2376

Lic. Miguel Ángel Osorio Chong

Secretario de Gobernación

Bucareli 99, 1er. Piso, Col. Juárez,

Del. Cuauhtémoc, C.P. 06600 México D.F.

Fax: (52 55) 50933414;

Correo: secretario@segob.gob.mx

Lic. Jesús Murillo Karam

Procuraduría General de la República

Av. Paseo de la Reforma #211-213 Col. Cuauhtémoc, Deleg. Cuauhtémoc

Distrito Federal CP. 06500,

Teléfono: 5346-0000 ext. 0108 Fax: 5346-0000 ext. 0908

Lic. Raul Plascencia Villanueva

Presidente de la Comisión Nacional de los Derechos Humanos

Periférico Sur 3469, Col. San jerónimo Lidice,

Delegación Magdalena Contreras, C.P. 10200, México D.F.

Teléfonos: (55) 56 81 81 25 y (55) 54 90 74 00

Lada sin costo 01800 715 2000

E-mail: correo@cndh.org.mx

Lic. Manuel Velasco Coello

Gobernador Constitucional del Estado de Chiapas

Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 1er Piso
Av.
 Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009
Tuxtla
 Gutiérrez, Chiapas, México

Fax: +52 961 61 88088 – + 52 961 6188056; Extensión 21120. 21122;

Correo: secparticular@chiapas.gob.mx

Lic. Oscar Eduardo Ramírez Aguilar

Secretario General de Gobierno del Estado de Chiapas

Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 2do Piso

Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009

Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México

    1. Conmutador: + 52 (961) 61 2-90-47, 61 8-74-60; Extensión: 20003;

    2. Correo: secretario@secgobierno.chiapas.gob.mx

Lic. Raciel López Salazar

Procuraduría General de Justicia de Chiapas

Libramiento Norte Y Rosa Del Oriente, No. 2010, Col. El Bosque

C.P. 29049 Tuxtla Gutiérrez, Chiapas

Conmutador: 01 (961) 6-17-23-00. Teléfono: + 52 (961) 61 6-53-74, 61 6-53-76, 61 6-57-24.

Correo: raciel.lopez@pgje.chiapas.gob.mx

Lic. Octavio Elías Albores Cruz

Presidente Municipal de Ocosingo

Domicilio Conocido , Centro C.P. 29950 Ocosingo, Chiapas.

Teléfono: (919) 67 3-05-06, 67 30015, 67-30500 Fax: 67-30015

Lic. Leonardo Rafael Guirao Aguilar

Presidente Municipal de Chilón

Domicilio Conocido S/N, Presidencia Municipal C.P. 29943 Chilón, Chiapas.

Teléfono: (01 919) 6710115, 6710230, 6710116, 6710030, Fax: 6710034

Enviar con copia a:

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.

Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos, CP: 29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México

Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548

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Subcomandante Moises

 

Trascrizione della Conferenza stampa dell’EZLN con i Media Liberi, autonomi, alternativi o come si chimano, del 10 agosto 2014, a La Realidad Zapatista, Chiapas, Messico.

Seconda Parte: Sub Moisés

Bene, compagni e compagne, avete ascoltato il compagno Subcomandante Insurgente Galeano. Questo è come la vediamo, come la pensiamo.

Ovvero, abbiamo bisogno della forza di ognuno perché se abbiamo capito come va la vita, allora perché non capiamo come dobbiamo collegarci gli uni con gli altri.

Alcuni compagni che sono qua in veste di media liberi e contemporaneamente come CNI, questi e queste compagne li avete ascoltati e li avete visti. Ora dovete fare condivisione tra di voi, perché non è la stessa cosa che io parli se però non ho ascoltato.

È qui dunque che dobbiamo unirci, dobbiamo prenderci per mano gli uni con gli altri.

Come si chiedeva ai compagni del Congresso Nazionale Indigeno, se dobbiamo stare insieme, cioè indigeni e non indigeni, la parola salirà in una sola voce? Sì. Cioè, i compagni capiranno la vita di quelli che non sono indigeni, quindi come faremo, come lotteremo?

Cioè, c’è un gran lavoro da fare, noi pensiamo che è molto difficile per quelli che vivono in città, ma anche per noi che viviamo nelle comunità come Congresso Nazionale Indigeno, anche se qui per lo meno c’è ancora il senso di comunità, ma nelle città no.

Dietro le mura domestiche, non si sa nulla dei problemi del proprio vicino, a volte nemmeno si sa chi è il vicino; e tra le tre pareti, io vivo qui e lì vive l’altra, l’altro vicino e lì un altro; il mio vicino non si preoccupa di cosa mi succede, né io mi preoccupo di lui o di lei. E così si resta incatenati.

Dunque è un lavoro molto duro quello di cui parlano i compas “la bestia che arriva”, perché sennò ci distruggeranno. Allora come possiamo fare questo lavoro. Ma noi non vi stiamo chiedendo di diventare indigeni, ma nemmeno chiedete a noi di pensare o comportarci come cittadini.

No. Ognuno faccia la sua lotta ma restiamo uniti. Ricordate che come diceva il defunto SubMarcos, per quanto abbiamo ascoltato e sentito nei vari caracol dove abbiamo fatto incontri, abbiamo cercato di dire che cosa è importante ed è il momento – certo, diverse volte è stato fatto qui -, che arriviamo ad un accordo. Tutti hanno buone idee ma non vengono fuori perché si vuole che per forza sia accettato quello che dice uno, quello che dice un altro, e un altro ancora, ma compagni, quello che possiamo fare è vedere quale idea funziona, e questo possiamo scoprirlo solamente se ascoltiamo e osserviamo.

Avete visto che qualcuno di quelli arrivati in ultimo, alla chiusura dell’assemblea del CNI, si aspettavano che qualcuno prendesse la parola per chiudere, e non è che avevamo concordato che si sarebbe chiusa così, perché hanno chiuso i compagni stessi, e non era stato concordato.

Allora si sono accorti che è arrivato uno che ha detto, ‘ah, anche io voglio dire una cosa’. Quando è cominciata volevano fare una condivisone, ma hanno visto che oramai era la chiusura. Poi si è chiuso tutto, perché? Perché il senso è che l’assemblea è dei compagni e pertanto sono i membri dell’assemblea che devono chiudere l’assemblea. Ecco, un esempio.

Dobbiamo vedere che cosa funziona e che allora si capisce che tutti siamo uguali. Non “io sono il più importante o la più importante”. No. Pensiamo che questo sia un esempio di come possiamo fare questo tutti insieme. Cioè che troviamo quello che diciamo essere un mondo nuovo.

Bisogna continuare a lavorarci. E’ questo che hanno detto i compagni del Congresso Nazionale Indigeno: dobbiamo condividere, non solo noi indigeni, vogliamo condividere con i compagni e compagne della Sexta nazionale ed internazionale. Quindi, come facciamo a condividere, perché bisogna pensare a quelli che non entrano nella Sexta, come condividiamo con loro?

Cioè, come ci rispettiamo? Come costruiamo questo rispetto? Perché bisogna costruire questo rispetto, così come stiamo facendo adesso. E credo che allora dobbiamo dare l’esempio, compagni e compagne della Sexta della città, e compagni e compagne della Sexta delle campagne, e che ci incontriamo e ci sentiamo uno solo, senza chiedere di smettere di essere quello che siamo, ma che ci uniamo a quello che vogliamo, a questo mondo.

Per esempio, quando stavamo preparando questa condivisione con i compagni basi di appoggio, i compagni e le compagne pensavano che noi (noi come comandanti), avremmo detto loro “questo è quello che dovrete fare”. No. Si è fatta un assemblea qui dove siete seduti adesso e sono cominciate a venire fuori le idee fino a trovare quello che sentivamo, come dicono i compas, questi i punti.

Ma sono venuti fuori un mucchio di appunti fino a che tutti insieme hanno detto ‘ecco, è questo’. Per questo si è molto arricchito, perché i nostri compagni dicevano: la terra – la madre terra, come diciamo – nel marxismo, nel leninismo si dice che la base principale del capitalismo sono i mezzi di produzione, che è la terra. Ma i compagni dicevano di no.

E domandavamo loro perché. Perché no, sappiamo che il capitalismo pensa così e quelli che hanno trasmesso l’idea ce l’hanno lasciato per iscritto, ma noi dobbiamo capire, dobbiamo lottare per dire, no accidenti! Non permetteremo che sia così.

Quindi la terra, la madre terra, è la base fondamentale della vita degli esseri viventi, è venuto fuori questo da quelli che stavano seduti qua.

Vediamo, compagno, compagna, dimmi.

Sì – dice –, perché esseri umani della campagna e della città vivono la terra, e tutto quello che c’è sopra la terra, gli insetti, più quello che c’è sotto, i vermi, è la base della vita. Perché permettiamo a queste bestie di distruggere?

E poi si entra nella discussione:

Ah, chingá! Come facciamo? Come facciamo perché stiamo dicendo che bisogna prendersi questi mezzi di produzione.

Così abbiamo detto, perché ricordate che in uno degli incontri al CIDECI, il defunto SubMarcos quando parlò della bottigli di coca cola, è lì che dicevamo che i mezzi di produzione devono essere nostri, allora bisogna prenderli. Allora come ha detto il compas del CNI, dobbiamo capirlo che dobbiamo prenderci i mezzi di produzione.

Un’altra volta abbiamo discusso di questo. Il problema qui è chi ha le terre migliori e chi si impadronisce delle risorse della terra. E’ qui che abbiamo cominciato a separare l’argomento.

No, sono i transnazionali o i proprietari terrieri, e quindi bisogna cacciarli.

Bisogna cacciarli, ora sì, tutti noi che viviamo su questa terra, la madre terra, tutti dobbiamo prendercene cura. E ci sono altri compagni che dicono:

Sì, perché quelli che vivono nelle città producono tonnellate di escrementi che vanno nei fiumi e li inquinano. E gli industriali distruggono la madre terra.

Ma questa è solo una piccola parte, in realtà è molto più ricca quando vediamo le cose in maniera comune. Vi sto raccontando questo perché c’è bisogno di condivisione. Non so come la farete, perché ci deve essere organizzazione, lavoro, bisogna pensarci.

Ma credo che nello spazio già concordato con i compagni, nello spazio dei compagni e delle compagne della Sexta, ognuno deve organizzarsi e lottare per ciò che deve trasmettere.

Davvero si sente se qualcuno trasmette quello che ha osservato, o quello che ha elaborato, o quello che ha convissuto col popolo. (……….) Cioè, lo stai trasmettendo a lui, a lei, e come stavamo dicendo tra noi come CNI, dobbiamo consolidare quello che era prima, che veramente raccontavano i compagni, le compagne.

Perché ancora esistono. Indubbiamente vogliono distruggere tutto, ma il capitalismo non c’è riuscito. In parte sì, ma è per il controllo che esercita.

Quindi crediamo che ci sarà altro lavoro da fare. Ma non pensate che noi abbiamo pianificato tutto questo, questa è una delle tante cose, noi non abbiamo pianificato niente, tutto è venuto fuori dai compagni e dalle compagne; questo è quanto è stato condiviso con i compagni alla fine dell’assemblea.

E questo vogliamo condividere anche qui con i media liberi, perché quando parliamo alle nostre basi, ai nostri popoli, dobbiamo appoggiarli e concordare con loro quello che uscirà dalla loro partecipazione.

Sembrava che noi dovessimo trasmettere un eredità. Ma la sola eredità che trasmettiamo è mostrare come si deve lavorare, come si deve proseguire e tutto questo, perché è l’organizzazione dell’EZLN e dell’autonomia.

Allora i compagni e le compagne dicevano, “manca qualcosa, perché che cosa facciamo, non sappiamo che cosa fare con questa cosa – riguardo all’Altra Campagna -. Ed è stato anche lì che ci hanno svegliato, perché che cosa avremmo detto dell’Altra. Allora abbiamo detto:

– Spetta a voi. Quello che vogliamo dall’Altra è che il popolo si organizzi e che un giorno comandi, cioè è quello che voi state facendo. Quindi voi dovete condividerlo con i compagni della Sexta, quelli che hanno aderito alla Sexta. Quella fu una campagna, per questo si chiama L’Altra Campagna, ma quelli che hanno aderito alla Sexta per organizzarsi, lottare ed essere anticapitalisti, devono condividerlo con gli altri compagni e compagne.

Questo è venuto fuori dalla discussione..

– Bisogna quindi fare una scuola – dicono i compas.

E nasce da qui la escuelita, chiamata così dai compagni perché è una cosa piccina, una escuelita. Allora proviamo e facciamola. Ed è stata di molto aiuto, e molti dei compagni e compagne, degli alunni ed alunne che sono venuti, ora hanno un altro modo di pensare, perché hanno visto con i propri occhi, non perché glielo hanno raccontato, non è perché hanno visto un film, ma hanno vissuto lì.

Sicuramente quei compagni alunni ed alunne che sono venuti, magari vorranno condividere.

Questo è quello che vediamo.

Molte volte quando facciamo questo tipo di condivisione, c’è qualche minuto di calma e poi cominciano a farci domande su tutto quello che abbiamo detto. Che cosa abbiamo visto?Che cosa pensiamo? Che cosa crediamo?

Allora compagni, quelli che sono stati qui come Congresso Nazionale Indigeno, e quelli che ci ascoltano, come la vedono? Che cosa immaginano? Forse i media che sono venuti ad ascoltare quello che hanno detto i compagni in chiusura avranno delle domande da fare, perché attraverso le domande riusciamo a chiarire quello che non è stato chiaro, quindi se avete delle domande da fare, fatele, e se non ne avete vuol dire che tutto è chiaro… o che non si è capito niente.

(Fine dell’intervento del Sub Moisés, seguono interventi e domande dei media liberi e de@ compas de la Sexta mondiale presenti)

(Trascrizione dell’audio originale a cura dei “Los Tercios Compas”)

Copyleft: “los tercios compas” 12 agosto 2014. E’ permessa la riproduzione in vitro, la circolazione anche con carico veicolare ed il consumo smodato.

Traduzione a cura del Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo, che chiede scusa per la traduzione imperfetta del complesso ed affascinante linguaggio del Sub Moisés.

– Testo originale

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Il subcomandante Marcos è «morto», ora parla Galeano

Luca Martinelli, LA REALIDAD, 13.8.2014

Media. Come cambia il “punto di vista” della rivoluzione zapatista

Il subcomandante Galeano a La Realidad  © Luca Martinelli

Il sub­co­man­dante Mar­cos –sto­rico por­ta­voce dell’Esercito zapa­ti­sta di libe­ra­zione nazio­nale– è scom­parso, e al suo posto c’è il Sub­co­man­dante Galeano, che ha accolto il nome dell’indigeno zapa­ti­sta ucciso a La Rea­li­dad nel mag­gio del 2014.

Per molti media main­stream, anche in Ita­lia, con que­sta scelta il «Sup» — come viene chia­mato Mar­cos — avrebbe abban­do­nato l’Ezln, ma dome­nica 10 ago­sto, al mar­gine dell’incontro tra Ezln e Con­gresso nazio­nale indi­geno (Cni), il “nuovo” sub­co­man­dante Galeano ha accolto a La Rea­li­dad i mezzi d’informazione liberi, auto­nomi e indi­pen­denti, pren­dendo la parola per la prima volta e spie­gando «la morte di Marcos».

«I mezzi d’informazione — ha detto Galeano, che si è presentato con l’occhio coperto da una benda e un guanto “sche­le­trico” alla mano sini­stra — hanno ana­liz­zato la scelta degli zapa­ti­sti come se fosse una mossa con­tro i mezzi d’informazione, ma non è così: ciò che accade, invece, è che l’Ezln ha scelto di cam­biare punto di vista, sistema di relazioni».

È stata una scelta poli­tica, insomma, che vede oggi un nuovo inter­lo­cu­tore per gli zapa­ti­sti nei mezzi d’informazione indi­pen­denti, che met­tono a dispo­si­zione il pro­prio lavoro libe­ra­mente in rete e — come è suc­cesso a La Rea­li­dad, il 9 e 10 ago­sto– si coor­di­nano per con­di­vi­dere foto, video, inter­vi­ste radio e arti­coli. «Abbiamo fidu­cia, non spe­ranza nel vostro lavoro — ha detto Galeano, rivol­gen­dosi ai pre­senti nell’auditorium che fino al giorno prima aveva ospi­tato il con­fronto con il Con­gresso nazio­nale indigeno-. Vogliamo con­fron­tarci con per­sone che abbiano voglia e capa­cità di ascoltare”.

Galeano ha spie­gato che que­sto pro­cesso era in corso, ma che la morte di Galeano, cioè Jose Luis Solis Lopez, base d’appoggio dell’Ezln, ucciso a La Rea­li­dad a ini­zio mag­gio, ha acce­le­rato e in parte modi­fi­cato il pro­cesso di con­di­vi­sone della deci­sione zapa­ti­sta: «Que­sto momento di con­fronto avrebbe dovuto tenersi ad Oven­tic, a mag­gio. E la con­vo­ca­zione ini­ziale chia­mava a par­te­ci­pare anche i media che offrono infor­ma­zione a paga­mento». È stato il modo in cui que­sti hanno “trat­tato” l’assassinio di Galeano a cam­biare l’attitudine zapa­ti­sta: «Qual­cuno, tra i gior­na­li­sti, dopo l’omaggio a Galeano che abbiamo orga­niz­zato a La Rea­li­dad a fine mag­gio è arri­vato a dire “tutto que­sto per un morto”. Noi sap­piamo, però, che se lasciamo pas­sare un morto poi ce ne sarà un secondo, e infine migliaia. Non pos­siamo per­met­tere che uno di noi siamo assas­si­nato impu­ne­mente». Il Sub­co­man­dante Galeano ha ricor­dato che Galeano, l’uomo assas­si­nato, aveva il com­pito di rice­vere e accom­pa­gnare i gior­na­li­sti che arri­va­vano nella Selva Lacan­dona per inter­vi­stare l’allora Sub­co­man­dante Mar­cos, per ascol­tare le parole della Coman­dan­cia dell’Ezln. «Per loro — ha detto il Sup Galeano — era solo un altro indi­geno; molti, pro­ba­bil­mente, gli affi­da­vano le loro vali­gie, erano sod­di­sfatti per le sue atten­zioni, ma non gli hanno nem­meno mai chie­sto il suo nome».

Anche per que­sto, a La Rea­li­dad — alla con­fe­renza stampa aperta da Galeano e pro­se­guita con il sub­co­ma­dante Moi­ses — la stampa “a paga­mento” non era invi­tata. L’analisi degli zapa­ti­sti, però, guarda anche alla deca­denza dei media tra­di­zio­nali che in Mes­sico — spie­gano — avreb­bero «abbrac­ciato una classe poli­tica anch’essa in deca­denza». La stampa a paga­mento avrebbe ancora un senso, secondo Galeano, solo se «pro­du­cesse ana­lisi e inchie­ste», ma non lo fa. Anzi, il capi­ta­li­smo avrebbe tra­sfor­mato il “pro­dotto infor­ma­zione” per far sì che i media siano pagati per non infor­mare, per non pro­durre una infor­ma­zione decente.

Ai media liberi e indi­pen­denti, il Sup Galeano ha posto però una que­stione fon­da­men­tale, cioè quella della loro soprav­vi­venza: «O cre­scete, o siete desti­nati a scom­pa­rire» ha spie­gato, accen­nando anche al pro­blema del rico­no­sci­mento di un com­penso per coloro che ope­rano in que­sti spazi d’informazione on line: «Lo spa­zio non può fun­zio­nare solo fino a quando c’è la dispo­ni­bi­lità di qual­cuno, per­ché poi c’è da garan­tire anche la soprav­vi­venza di chi lavora, come essere umano, ed il rischio è che quando que­sta per­sona si trovi di fronte alla neces­sità di gua­da­gnare per vivere abban­doni que­sto lavoro d’informazione». Che è fon­da­men­tale, e per­ciò — forte anche della “fidu­cia” accor­data dall’Ezln — deve adesso tro­vare il modo di garan­tire la pro­pria sostenibilità.

Il Manifesto 14 agosto 2014 http://ilmanifesto.info/il-subcomandante-marcos-e-morto-ora-parla-galeano

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Trascrizione della conferenza stampa dell’EZLN con i Media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino, del 10 agosto 2014, a La Realidad Zapatista, Chiapas, México.

Prima Parte: parole del SupGaleano

 Buongiorno Gotham City… Mentre finite di fare le vostre foto lì nel padiglione, qui iniziamo la conferenza stampa.

Prendete posto per favore, in modo che iniziamo a breve e poi ve ne potete andare. Per favore, accomodatevi, compagni, compagne. Seduti.

Buongiorno Gotham City (questo è un saluto a un compagno che twitta così).

Quello che avete appena visto, in termini militari si chiama manovra diversiva, in termini comuni è magia. E ciò che ha richiesto pochi minuti, a qualcun altro è toccato farlo per vent’anni, perché riuscisse così.

Vorremmo iniziare, approfittando della presenza dei media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino, e di compagni della Sexta nazionale e internazionale, rendendovi grazie. E per rendervi grazie vi racconterò la storia di una morte.

Questo 25 agosto si compiranno 10 anni dalla morte del Tenente Insurgente Eleazar. Nel 2004, ma fin dal 2003, iniziò ad avere una malattia di quelle che compaiono solo nel Dr. House o cose così, che si chiama Guillain-Barré, che consiste nel deterioramento progressivo di tutto il sistema vitale fino alla morte. Non ha cura, bisogna tenere in vita il malato artificialmente, collegato.

Iniziò ad ammalarsi e lo portarono a Tuxtla Gutiérrez in un ospedale. Lì gli diagnosticarono questa malattia e iniziarono a dirgli che sarebbe stato meglio che se ne andasse, che non era grave; sebbene quando mi dissero che malattia era sapessi di che si trattava; ma i medici, vedendolo indigeno, sapevano che non avrebbe potuto pagare il trattamento. In realtà è un trattamento di sopravvivenza, non c’è cura possibile.

Mh… vediamo se si riesce a intrufolare i miliziani all’ombra, se no lì cuoceranno vivi, diamine…

La benda è perché pensiate che ho un occhio di vetro, ma no. Io e le mie maledette trovate, ora me la devo tenere addosso.

Ebbene, quella malattia… in Chiapas, e mi immagino anche nel resto del paese, la posizione rispetto al paziente è che il medico calcoli se possa pagare o no il trattamento. Se non lo può pagare, sempre secondo i suoi calcoli, allora gli si dice che non ha nulla o gli si danno dei placebo perché pensi che si curerà, e lo si manda a morire a casa sua.

Noi dicemmo di no. Iniziammo a spendere il fondo di guerra o fondo di resistenza, finché non fu più sufficiente. Allora facemmo appello, sto parlando del 2003 quando ancora ci amava un certo settore dell’intellettualità artistica, per chiedere un sostegno per poter continuare a mantenere in vita questo compagno. Risero di noi, ovvero: gli indigeni si possono ammalare di vaiolo, morbillo, di tifoidea, di tutte queste cose, ma non di un’infermità tanto aristocratica, diciamo, giacché colpisce sono uno su un milione, come la malattia di Guillain-Barré.

Quando non potemmo più mantenerlo, portammo il Tenente Eleazar a Oventic e lì, con le strumentazioni che riuscimmo a trovare, lo mantenemmo in vita, finché un 25 agosto di 10 anni fa morì.

Dieci anni dopo, con la disgrazia dell’omicidio del compagno Galeano, per mano dei paramilitari della CIOAC-Histórica sono state distrutte la scuola e la clinica che erano autonome, ossia erano degli zapatisti di qui de La Realidad.

E per la ricostruzione non siamo andati a cercare l’appoggio di quella gente, ma siamo ricorsi alla gente di sotto, ai nostri compagni, compagne e compagnei della Sexta nazionale e internazionale.

Il compagno Subcomandante Insurgente Moisés, qui presente, con il Comandante Tacho, insieme alle autorità zapatiste di La Realidad, ha fatto un calcolo del materiale necessario, insieme ai compagni che sanno di costruzioni, e ha calcolato 209 mila pesos e rotti. Il calcolo che noi facevamo è: bene, dunque siamo alla frutta, raschiando il fondo del barile forse si arriverà alla metà e un’altra metà la possiamo tirare fuori dal fondo di resistenza o chiediamo supporto agli altri Caracoles.

La storia di quel che poi successe la conoscete perché voi siete i protagonisti. E con “voi” mi riferisco non solo a quelli che sono qui, ma anche a coloro che attraverso di voi vengono a sapere quel che sta succedendo qui, ossia i nostri compagni, compagne e compagnei della Sexta in tutto il mondo.

Avete quintuplicato in eccesso, ormai l’ultimo conto dà il quintuplo rispetto a quella richiesta di appoggio. Noi vorremmo rendervi grazie per questo, perché mai prima d’ora l’EZLN aveva ricevuto tanto sostegno e questo sostegno è stato superiore a quel che avete. Perché noi sappiamo che i compagni della Sexta non ci hanno dato quel che gli avanzava, ma ciò che gli mancava. Abbiamo letto nei vostri media liberi, nei vostri tuitter e i vostri feisbuc, storie che ci riempiono di orgoglio.

Sappiamo che in molti avete dovuto battagliare perfino per mettere insieme i soldi per venire fino a qua, avete perfino raschiato il fondo per mettervi qualcosa sotto i denti, o per cambiarvi –stavo per dire calzoni- quello che usate, ma comunque sia avete fatto lo sforzo per ottenere questo e mostrare cos’è l’appoggio tra compagni e non l’elemosina che viene da sopra.

Quindi la prima cosa che voglio che diciate ai compagni e alle compagne di tutto il mondo, nelle vostre lingue, idiomi, modi, tempi e geografie, è grazie, davvero. Avete dato una bella lezione, non solo a quella gente che là sopra ripartisce elemosine, ai governi che abdicano ai loro doveri e per di più promuovono la distruzione, ma avete anche dato a noi, gli zapatisti, una bella lezione, la più bella che abbiamo ricevuto negli ultimi anni da quando è uscita la Sesta Dichiarazione.

Il senso di questa conferenza stampa era assolvere a un dovere. Originariamente questa conferenza stampa avrebbe dovuto tenersi a Oventic, quando ci sarebbe stata la condivisione con i popoli indigeni, e poi avrebbe dovuto essere al momento del funerale del compagno Galeano, ovverosia l’omaggio. E si trattava essenzialmente delle ultime parole o del congedo del Subcomandante Marcos e delle prime parole del Subcomandante Insurgente, ora Galeano, ma che allora si sarebbe dovuto chiamare in altro modo.

Ed è importante quello che vi sto dicendo, quello che avrebbe dovuto essere, ossia come era stato pensato, per proporvi un’altra possibile lettura di quel che è stato l’omaggio a Galeano e questo transito tra la morte e la vita che è stata la scomparsa della buonanima del Subcomandante Insurgente Marcos, che ora il diavolo gli sta torcendo le narici, proprio così, bel tomo, a ciascuno il suo. Questo era sarcasmo, non so se si è…riesco ancora a distinguere queste cose.

Guardate, compagni, per capire ciò che è accaduto all’alba del 25 maggio bisogna capire quel che era successo prima, quel che sarebbe stato. Ho letto e ascoltato interpretazioni più o meno documentate, la maggior parte delle quali completamente strampalate, su ciò che ha significato quell’alba del 25 maggio. Altre più ingegnose, come per esempio che tutto era un trucco per eludere la pensione familiare (pensione ottenibile sommando i contributi dei coniugi, N.d.T.) o la paternità.

Ma la maggior parte prescindeva da tutto ciò che era successo; per esempio, la si mise che gli zapatisti dicevano che i media prezzolati non esistono, che ora erano il nemico, che era un’azione contro i media prezzolati, etc. Ma se avete un po’ di memoria, nell’invito originario l’evento era aperto a tutti, quando era a Oventic. Vuol dire che sarebbero entrati anche i media prezzolati.

Quello che sarebbe successo allora è che Marcos sarebbe morto e si sarebbe congedato dai media prezzolati, per spiegare come li vedevamo allora, a ringraziarli di tutto. E si sarebbe diretto e presentato ai media liberi, alternativi, autonomi o come si chiamino. Voglio dire con questo che una possibile lettura, magari non la più documentata, dell’alba del 25 maggio 2014, è che l’EZLN sta cambiando interlocutore, ed è per questo che vi ho raccontato la storia del defunto Tenente Insurgente di Fanteria Eleazar, veterano di guerra, che combatté, nel 1994.

Sì, noi zapatisti non solo non abbiamo detto che i media prezzolati non esistono, scemenza che qualcuno ha detto; ma aggiungiamo che ciò che sta succedendo con i media prezzolati è un’altra cosa, che non ha a che vedere con noi e ha a che vedere con l’avanzata del capitalismo a livello mondiale.

I media prezzolati hanno presentato qualcosa che è meraviglioso all’interno del capitalismo, perché è una delle poche volte in cui vediamo che il capitalismo converte in merce la non produzione. Si presume che il lavoro dei media di comunicazione sia produrre informazione, farla circolare in modo che sia consumata dai suoi diversi pubblici o ricettori, mentre il capitalismo ha ottenuto che i media guadagnino per non produrre, ovvero per non informare.

Quel che è successo negli ultimi anni è che, con l’avanzare dei mezzi di comunicazione di massa non in possesso privato, ossia che sono contesi o in lite, o che sono quasi terreno di lotta come internet, la stampa tradizionale è andata via via perdendo potere, potere di diffusione e ovviamente capacità di comunicazione.

Ho qui con me alcuni dati e citerò l’autore perché chiede che ogni volta che si usano i suoi dati lo si citi, autore che è Francisco Vidal Bonifaz, il quale fa un‘analisi della tiratura dei principali giornali in Messico(nota: probabilmente chi parla si riferisce al libro “I padroni del quarto potere“, Editorial Planeta, nel quale l’autore Francisco Vidal Bonifaz fa un’analisi esaustiva della stampa in Messico. In questo libro e nel blog “la ruota della fortuna“ – ruedadelafortuna.wordpress.com -, si possono trovare questi dati così come le tirature di ogni pubblicazione, lo status economico e il livello d’istruzione dei suoi lettori, etc. Il libro e il blog sono raccomandabili a chiunque volesse conoscere più a fondo quanto si riferisce alla stampa messicana. Nota cortesia de “Los Tercios Compas”).I principali giornali in Messico, secondo questa specie di provincialismo inverso tipico dei  chilangos (abitanti di Città del Messico, N.d.T.), considerano giornali nazionali quelli che si producono nel DF, sebbene la tiratura di quelli di provincia sia maggiore.

Nel 1994 si tiravano, a volte in senso più che figurato, più di un milione di esemplari tra i principali giornali. Nel 2007 la produzione era caduta a 800.000 e anche il numero di lettori era diminuito scandalosamente. In un modo o nell’altro il giornalismo d’inchiesta e quello di analisi, che è il terreno che avrebbe permesso ai media prezzolati di competere con l’informazione istantanea che è possibile attraverso internet, furono abbandonati e lasciati ai margini.

Sui media prezzolati – in realtà non è un insulto, è una realtà, è un mezzo che vive a pagamento, no? – qualcuno dice:“no, è che quello che passa dai mezzi prezzolati si sente molto forte, di brutto, meglio che usiate i mezzi commerciali“. Si sente peggio un media commerciale che un media a pagamento.

I giornali non vivono della circolazione, ossia della vendita del loro materiale, vivono della pubblicità. Quindi per vendere la pubblicità hanno bisogno di dimostrare, a chi comprerà pubblicità, a chi si stanno indirizzando e quali sono i loro lettori.  Per esempio, si dice –questi sono i dati fino al 2008 perché poi tutti i giornali hanno chiuso l’accesso alle informazioni su loro stessi-, El Universal e Reforma arrivavano quasi al 70% di tutta la pubblicità che si paga a Città del Messico, e il restante 30% se lo contendevano gli altri giornali.

Pertanto ogni giornale ha un profilo, diciamo, del proprio lettore, una classe alla quale si dirige, il suo livello di istruzione, e così via, e così si presenta a chi compra la propaganda. Vale a dire, se io sono El Despertator Mexicano e il mio principale consumatore sono indigeni, ebbene allora vendo a El Huarache Veloz (catena di ristorazione, N.d.T.) uno spazio pubblicitario perchè venda huaraches o pozol (antipasto e bevanda tipici messicani, N.d.T.), o quel che sia.

Nientemeno, tutti i giornali stampati, compresi quelli che si dicono di sinistra, presentano nella loro analisi il profilo del loro lettore, e tutti, assolutamente tutti, hanno tra il 60% e il 70% dei loro lettori nelle classi con alto potere di acquisto. Gli unici che riconoscono che i propri lettori sono di basso potere di acquisto e di basso livello d’istruzione sono Esto, Ovaciones e La Prensa. Tutti gli altri giornali si rivolgono alla classe alta, diciamo, o a quelli di sopra. E‘ evidente che questa classe con maggior potere di acquisto può accedere all’informazione in forma più istantanea. Perché aspettare per vedere cosa succederà, o cosa sta succedono in un’altra parte del mondo; cosa esce a fare il giornale, se in questo istante posso sapere cosa sta succedendo a Gaza, per esempio? Perché aspetterò il notiziario o di leggere se posso vederlo comunque?

Non c’è partita perché la supervelocità di quei mezzi di comunicazione fa che le esclusive o le primizie di una notizia sfumino dinanzi alla competizione di questa velocità. Pertanto tutti questi media, inclusi i progressisti, stanno combattendo per il rating, ossia per quel pubblico di classe medio-alta e alta, e poi c’è un’altra classe che è ricchissima, che è più in là di tutto, e io credo che siano coloro che producono l’informazione.

I media a pagamento hanno solo due opzioni per sopravvivere, perché sono a pagamento. Uno: contrattano la propria sopravvivenza con chi ancora può pagare, ossia la classe politica, che fa i propri affari e la propria propaganda ma in un altro senso; se vedete le tariffe che applica ogni giornale per inserzioni a tutta pagina, mezza pagina, tre quarti, fino ad arrivare al modulo, come lo chiamano, che è il più piccolo, c’è una tariffa speciale per pubblicazioni non commerciali, che sono le governative, e un’altra tariffa per le notizie in breve, che sono per esempio le interviste, che nessuno capisce che ci facciano in un giornale, perché a nessuno interessa cosa dica certa gente, però paga. Le tariffe più alte sono le non commerciali, ossia quelle che paga il governo, e le notizie in breve, le inserzioni pagate mascherate da informazione.

L’altra opzione che avevano era sviluppare il giornalismo di inchiesta e di analisi che internet non offriva. Non lo offriva fino a che non sono apparsi spazi come quelli ai quali oggi ci riferiamo come media liberi, autonomi, alternativi (a questo punto dirò eccetera, altrimenti ci passo la vita intera).

Quel che si sarebbe potuto fare è che, di ciò che sta accadendo con l’informazione che fluisce così tumultuosamente, si facesse un’analisi, una dissezione, si tirassero le somme e si indagasse cosa c’è dietro, ad esempio, alla politica del governo israeliano a Gaza o alla politica di Manuel Velazco in Chiapas, o lo stesso in qualsiasi altra parte.

Nessuno con un minimo di criterio informa attraverso i giornali su ciò che sta accadendo. Voi siete un cattivo esempio perché voi non siete la classe media-alta né la classe alta, se lo foste non sareste qui. Ossia la ciurma, la banda dice: “no, cioè, voglio sapere cosa sta succedendo in Chiapas, leggerò la profonda analisi giornalistica di inchiesta di Elio Enriquez“… nessuno lo fa.

Nessuno dice: “cosa sta succedendo a Gaza? Leggerò Laura Bozzo perchè mi dica come stanno le cose“. No, questo terreno è stato completamente abbandonato, ma in cambio è attraverso le pagine e i blog che si sta recuperando terreno.

Questo languido scomparire o retrocedere dei media prezzolati non è responsabilità dell’EZLN, e ovviamente nemmeno della buonanima del SubMarcos. E‘ responsabilità dello sviluppo del capitalismo e di questa difficoltà ad adattarsi. I media a pagamento dovranno evolversi e convertirsi in media di intrattenimento, ovvero: se non ti posso informare quantomeno divertiti con me.

Per quanto riguarda il giornalismo di analisi e inchiesta, qualsiasi reporter che sia onesto, di un media prezzolato, ti può dire: “no, il fatto è che questo non me lo pubblicano“; e il giornale guadagna di più a non pubblicare questo tipo di articoli che a pubblicarli.

Questo è quel che vi dicevo del fatto che la non produzione si converte in una merce, in questo caso il silenzio. Se un giornalista mediamente decente e con un minimo di etica facesse un’inchiesta sull’implicazione dei governi statali di Salazar Mendiguchía, Juan Sabines Guerrero e Manuel Velazco con la CIOAC-Histórica, verrebbe fuori che c’è molto denaro che si sta muovendo da quelle parti, compreso quello che ripartisce la signora Robles della campagna nazionale contro la fame.

Però si vende meglio il non pubblicare il tale articolo che il pubblicarlo, perché chi lo leggerà, lo leggeranno i nemici di questi notabili della patria? Al contrario, tacendo, o meglio ancora parlando di quanto sta venendo bene la capitale Tuxla Gutiérrez con le opere urbanistiche che stanno facendo Toledo, che è il presidente municipale, e Manuel Velazco, sì che si vende, anche se è pura menzogna. Noi controlliamo i twitter dei giornalisti, sono giornalisti a pagamento, lavorano, cioè, per media prezzolati, ma stanno informando di tutto questo, dell’immagine di guerra che presenta la capitale del Chiapas a causa di queste opere completamente anacronistiche e assurde che si stanno facendo.

Ma per esempio, venisse gente da Veracruz, io credo che direbbe: “Ebbene, il fatto è che noi per sapere quel che sta accadendo a Veracruz leggiamo l’Heraldo de Xalapa – sempre che esista”. Direbbe: “Non rompere Sub, perché continui se questi non c’entrano niente”.

Pertanto il problema che abbiamo tutti nel mondo è: se nei mezzi di comunicazione non ci sono più, se mai ci sono state, né l’informazione, né l’analisi, né l’inchiesta, allora dove le troveremo? C’è quindi un vuoto nello spazio mediatico che viene conteso.

Ciò che si trattava parimenti di segnalare in quel congedo è che i mezzi che tanto si vantavano di creare personaggi, si vantavano ad esempio di aver creato loro Marcos, sebbene fin da allora si siano sforzati di creare personaggi, non solo non riescono a costruire un personaggio internazionale, ma nemmeno uno nazionale come Lòpez Obrador, sebbene li si paghi.

Non si può. Ora i personaggi che sono sorti, che hanno commosso o mosso in qualche misura l’informazione a livello nazionale, non provengono dai media, ma piuttosto sono nonostante questi.

Non so se lo dirò bene, ma Giulian Assange, che con la rivelazione di tutti i documenti dimostrò ai mezzi di comunicazione a livello mondiale che non stavano informando su ciò che stava accadendo, si converte in un referente. Sebbene sia parte di un collettivo, i media lavorano su di lui. C’è persino un film su di lui come personaggio, anche se tutti sappiamo che è un collettivo.

La signora Chelsea Manning, che si è fatta un’operazione per essere ora Chelsea Manning, e Snowden, non hanno fatto che rivelare quel che è occulto e quel che avrebbe dovuto essere lavoro dei mezzi di comunicazione rivelare. Ma quelli che realmente hanno messo scompiglio nel mondo dell’informazione sono collettivi nei quali l’individuo è completamente diluito, come Anonymous, di cui ora si dice: “E‘ che diAnonymous non si sa nulla, non si mostrano”. La qual cosa è assurda poiché se sono anonimi perché mai gli dovremmo chiedere che si mostrino.

Insomma, quel che noi abbiamo visto è che l’anonimato del collettivo è ciò che sta venendo a supplire e a mettere in crisi questo affanno mediatico di quelli di sopra di incontrare individualità e personalità.

Noi pensiamo che ha molto a che vedere con la formazione dei media. Se nei media prezzolati c’è una struttura che invidierebbe qualsiasi esercito quanto a verticalità, autoritarismo e arbitrarietà, per quanto riguarda un media collettivo, media alternativo, libero, autonomo, eccetera, vige un’altra forma di lavoro e un altro modo di fare.

Diciamo che nei media prezzolati importa di più chi ha prodotto l’informazione. Se voi riguardate le notizie uscite sui media prezzolati al compimento dei 20 anni della sollevazione, nel gennaio di quest’anno, la maggior parte delle notizie sono di ciò che i giornalisti fecero 20 anni prima e non di quel che è accaduto:“io ho intervistato Marcos“, “io ho fatto la tale intervista“, “io sono stato il primo a entrare“, “io ho scritto il primo libro“. Che pena che in vent’anni non abbiamo fatto altro che ricordarsi. Però su di loro pesa questo criterio: l’esclusiva. Non sapete quanto importi a un giornalista e cosa lo porti a fare, e faccia, ottenere un’esclusiva. Il fatto di poter avere l’esclusiva dell’ultima intervista di Marcos o la prima di Galeano vale, costa, anche se non si pubblica, perché, come vi sto spiegando, anche tacere è una merce e si può vendere. Al contrario mi piace pensare che nei collettivi dei quali fate parte voi e altri che non sono potuti venire, la maniera di lavorare fa in modo che pesi più l’informazione che chi la produce. Certo, ci sono alcuni che devono ancora imparare a redigere, ma la grande maggioranza rivaleggia in ingegno, in analisi, in profondità e in indagine su quel che sta accadendo.

Quello che noi vediamo, in questo casino che è il modo capitalista, è dove troviamo l’informazione. Se ce ne andiamo in Internet e googleiamo, come si dice ora, Gaza, possiamo trovare che i palestinesi sono degli assassini che si stanno immolando solo per distruggere moralmente l’esercito israeliano, o il contrario. Si può trovare qualsiasi cosa. Dove troverai l’informazione di ciò che sta realmente accadendo? L’ideale sarebbe che i palestinesi ci dicessero quello che sta accadendo, non attraverso di altri.

In questo caso, per esempio, noi diciamo: non sarebbe meglio sapere cosa stanno dicendo gli zapatisti? Meglio rispetto a che qualcuno ci dica quel che lui crede che avrebbero dovuto dire, che non è nemmeno quel che credono che abbiamo detto, è quel che dobbiamo aver detto.

Come dire che nel testo della luce e dell’ombra, Marcos dice che non scriverà più e quindi Galeano non potrà scrivere, anche se non si sono accorti che quando tutti si sono congedati il gatto-cane resta. Ci sono molte cose che si possono capire da lì, ma ora non importa.

Quel che noi vogliamo segnalare è che la miglior informazione è quella che viene dall’attore e non da chi sta coprendo la notizia. Chi può fare questo sono i media liberi, autonomi e alternativi. Quello che vi sto dicendo compagni, compagne e compagnei è una tendenza, non è qualcosa che succederà ora, ovvero non pavoneggiatevi come a dire:“ora sì che siamo la créme e il mondo dipende da noi”.

E‘ una tendenza che noi vediamo con questa maledizione che abbiamo di vedere le cose prima che accadano. Vediamo che i media prezzolati, come mezzi di informazioni, sono in franca decadenza, non per loro colpa, ma per aver abbracciato una classe politica che anch’essa va in decadenza per sopravvivere, e questo si capisce.

Noi non questioniamo che qualcuno lavori per un media e di questo viva. Pensiamo piuttosto che la dignità e la decenza abbia un limite e che ci sono limiti che si stanno ormai sorpassando, ma questo è un problema di ciascuno. Noi non lo giudicheremo. Quello che vediamo è che il problema in un media prezzolato è la sopravvivenza, quindi la loro sopravvivenza sta su una strada che non stanno seguendo, perché stanno inseguendo di più l’immediatezza.

A lungo termine il media prezzolato, come qualsiasi cosa che compri e consumi, scomparirà. Perché compri il giornale se puoi consultare la rete? Allo stesso modo non vai a cercare lì l’informazione, non vai a cercare l’analisi di quello che sta accadendo.

Quindi noi diciamo che, se volessimo sapere cosa sta accadendo in Michoacán, l’ideale sarebbe che quelli di Michoacán ci dicessero quello che sta accadendo. Noi pensiamo che se la gente dalle altre parti del mondo e del paese vuole sapere cosa sta accadendo con gli zapatisti, ci sia quanto meno uno spazio dal quale possano saperlo.

Voglio dire con questo che noi non vogliamo militanti a tal fine, militanti della comunicazione zapatista, per quello c’è la maledetta idea dei terzi media. Noi vogliamo orecchie, ossia che la gente che vuole sapere venga a conoscenza di qualcosa di verace, o di un’analisi profonda o di una inchiesta reale, prendendo in considerazione quanto è importante una notizia o un’informazione, e non chi la produce.

Noi vediamo che a lungo termine i media liberi, autonomi, alternativi, riempiranno o possono riempire – non sappiamo se lo faranno – possono riempire quel vuoto che si sta producendo ora nello scambio di informazioni a livello globale. Internet non lo riempie, sebbene lo crediate, su internet puoi trovare quello che vuoi, se sei a favore di qualcosa trovi argomenti a favore, se sei contro qualcosa trovi gli argomenti contrari.

C’è bisogno quindi che questa informazione abbia uno spazio dove si sistemi, che sia leggibile. Ed è, noi diciamo a grandi linee e tendenzialmente, lo spazio che copriranno i media di comunicazione alternativi, autonomi, liberi, o come si chiamano.

E questo è ciò che vi avremmo voluto dire a Oventic: che non avete una fottuta idea dell’impegno che vi ricade addosso. Non è che noi vi ammorbiamo sul fatto che ora veniate a La Realidad, che ora andiate al tal posto e lì vanno i media terzi, o i quinti, che sia, i quinti no, ho pensato, ma è un gioco di parole, quindi meglio che gli abbiamo messo il nome di terzi media (nota: è evidente che chi parla è colpito dall’essere guercio, perché in realtà avrebbe dovuto dire “i terzi compagni” e non “i terzi media“, e gli mandiamo subito un’energica protesta affinché la pubblichi nello stesso spazio e con la stessa importanza del suo strafalcione. Nota cortesia di “Los Tercios Compas”).

No, quel che ve ne viene è la speranza di molta gente. Noi non nutriamo speranza nei vostri confronti, abbiamo fiducia in voi, non soltanto voi che siete qui, ma anche per ciò che siete, la tendenza che possiate coprire questo spazio.

Il problema che noi vediamo è quello che dei soldi, ora sì. I media autonomi, liberi, tutto questo, si sostengono…la maggior parte delle volte succede che quelli che ne entrano a far parte cooperano ma hanno altri impegni, quindi il media autonomo, libero, alternativo, è come i terzi media (nota: strafalcione e proteste reiterate. Cordialmente “Los Tercios Compas”), ossia funziona in base alle possibilità perché bisogna sbattersi, bisogna stare al passo per poter ottenere i soldi. Oppure durano finché dura il grano, e quando finisce il grano il media scompare. E può anche essere che duri, magari non succede così, quando il calendario impone la sua logica ai componenti, cioè, quando crescono e maturano, come dicono là sopra, e la smettono con le pazzie e le ribellioni.

Pensiamo quindi che avete questo problema e lo dovete risolvere in qualche modo, non so come. Io vedo che su alcune pagine già compaiono cose come consigli per scendere di peso, su come non invecchiare, sul ferro per stirare la pelle, non so come lo dite, lifting, quelle robe che si mettono, cose così ed esoterismo e vaffanculo. Si, magari chi vede questo media alternativo non fa caso a queste cose e vi entrano due soldi. Alcuni fanno così, ma pure perché vi diano questo voi dovete dimostrare che qualcuno entra nella vostra pagina, qualcuno oltre a voi.

Noi scherzavamo molti anni fa con quelli che si incaricavano della pagina prima di tutto questo, che dicevano: “no, è che il tale comunicato ha avuto tante visite“. Gli dicevo: “bugia, siamo noi che siamo lì a fare clic, clic, clic, clic, invece no“.

Non so, è la stessa cosa che vi ha portato a lavorare in collettivo, a parte che che molti fanno artigianato urbano, o non so come si chiami, che producono e così via; forse allo stesso modo,  collettivamente, potete trovare la maniera affinché il media non decada, si mantenga e cresca. Non vi resta altra possibilità, compagni, mi spiace di darvi questa informazione, però o crescete  scomparirete. Compresi quelli che sporadicamente tirano fuori informazioni; vi rimane solo questa possibilità perché anche tra di voi inizia a esserci questo sviluppo. Magari questa disparità di sviluppo si deve alla profondità dell’analisi, alla capacità dell’inchiesta, o quel che sia, e non perché alcuni abbiano risolto il problema dei soldi e altri no. Fateci caso, perché c’è molta gente che sta aspettando da voi più di quanto voi vi immaginiate.

Riassumendo. I media prezzolati esistono, sono reali, hanno la loro importanza, questa importanza sta diminuendo tendenzialmente e quel che ha fatto l’EZLN è cambiare radicalmente la sua politica sui media. Non vogliamo parlare con quelli di sopra, a proposito di questo vi spiegherà di più il Subcomandante Moisés nella sessione di domande e risposte, che consiste nel fatto che i media zapatisti fanno le domande e voi date le risposte e non il contrario.

Quindi quello che ha fatto l’EZLN è dire: non ci interessano più coloro a cui era necessario rivolgersi attraverso Durito, il Vecchio Antonio, ovvero della stampa prezzolata, bensì ora ci interessa la gente che capisce il fatto stesso di un gatto-cane; questo riconoscimento della differenza e il riconoscere che ci sono cose che non capiamo, ma non perché non le capiamo le giudicheremo o le condanneremo – come un gatto-cane che esiste, non lo crederete ma esiste, è reale.

Quello che ci interessa è parlare con voi, è ascoltarvi, e con questo voglio dire anche la gente che attraverso di voi ci ascolta e che attraverso di voi parla con noi. Se noi volessimo sapere che cosa sta succedendo nel tal luogo, noi prima cercheremmo sui media liberi alternativi, nei quali l’informazione è poca ma anche se poca è molto meglio di quella di qualsiasi media prezzolato, nei quali oltretutto bisogna iscriversi con carta di credito per poter leggere i Laura Bozzo che ci sono da tutte le parti.

Cos’è accaduto allora che ha alterato questo piano di congedo, ossia di dire ai media prezzolati “grazie per ciò che…”, sebbene la maggior parte di loro siano stati, loro malgrado, complici involontari di ciò che è stato, di ciò che avete visto poco fa: una manovra diversiva o un atto di magia, e avvertirvi del fatto che ora sì che la maledizione vi arriva addosso.

La maggior parte di voi è giovane. Noi pensiamo che la ribellione non abbia e non dovrebbe avere a che vedere con il calendario, perché noi vediamo gente che ora che ha l’età non ha comunque giudizio perché…(incomprensibile), ma continuano a essere ribelli. E noi abbiamo la speranza che voi continuate, anche se non sarete proprio voi, forse alcuni si dividono il lavoro, “allora voi a cercare i soldi e noi a questo, facciamo a turno o qualcosa del genere“, ma non abbandonatelo quell’impegno, è davvero importante.

Cos’è accaduto? Perché se voi prendete in considerazione questo piano originario rispetto al quale sarebbero entrati tutti i media prezzolati, pensate che si manteneva ancora due settimane prima, quindici giorni prima che si dicesse no, non entreranno all’omaggio a Galeano.

Quel che è accaduto è stata una morte. Su questo fatto ho letto solo, non dico che non esista, un articolo di John Gibler, che risulta andare in questo senso. Lui raccontava di aver detto a qualcuno come era stato l’omaggio a Galeano e questa persona con cui parlava gli diceva: “ma tutto questo solo per un morto?“, e lui cercava di dire che un morto, insomma cercò di spiegare meglio che poteva. E noi vogliamo dirvi quanto è importante per noi un morto.

Se noi lasciamo passare una morte ne lasciamo passare due, se ne lasciamo passare due saranno dieci, poi cento, poi mille, poi decine di migliaia come nella guerra che fece Calderón contro il presunto narcotraffico: si lasciò passare una morte e poi se ne lasciarono passare decine di migliaia. Noi no. Moriremo sì di morti naturali o di morti giuste, cioè lottando, ma non permetteremo che nessuno dei nostri compagni e compagne e compagnei sia assassinato impunemente, non lo permetteremo e metteremo in moto tutte le forze anche se si trattasse di uno solo, o il più ignorato, o il più disprezzato,  il più sconosciuto.

E la rabbia che sentivamo rispetto a Galeano è dovuta al fatto che questo questo compagno Galeano era colui che si incaricava di ricevere questi della stampa prezzolata, caricava i loro zaini, li portava con i suoi cavalli fino a dove facevano le interviste o i loro reportage, li riceveva nella sua casa e dava loro da mangiare. A questi che hanno ignorato e disprezzato la sua morte, e hanno innalzato i paramilitari come fossero eroi, vittime di un’arbitrarietà, suvvia, e quando arrivavano nemmeno si prendevano il disturbo di chiedergli alcunché, anche se per vent‘anni lui si incaricò di riceverli, e con alcuni di loro fece persino scommesse di calcio quando c’erano i mondiali.

Noi ci aspettavamo una reazione, da qualcuno con cui hai una relazione così, ma non sapevano nemmeno chi fosse. Loro venivano a intervistare Marcos, loro venivano a vedere Marcos, loro vedevano che il cavallo, che l’arma, che quello che ha letto, sebbene la buonanima di Marcos sapeva che libri aveva letto. Vedevano tutte queste cose e non importava chi fosse colui che li stava ricevendo.

Magari comprendiamo che non gli importasse perché era un indigeno, che per giunta non aveva nemmeno volto, tuttavia gli dava da mangiare, gli caricava le cose, li aiutava con il cavallo, li accompagnava, gli diceva da dove passare, da cosa bisognava guardarsi e così via. Comprendiamo che non gli importasse ma a noi sì che importa, Galeano e tutti e ciascuno degli zapatisti. Abbiamo fatto questo casino e continueremo ogni volta a fare casino, perché non permetteremo nessuna morte, non ne accadrà una sola che resti impunita, perciò abbiamo cambiato tutto, e nella rabbia che sentivamo accadde che il Subcomandante Moisés, che è chi comanda ora su questo, ha detto non entra nessuno della stampa, e non entrò nessuno della stampa prezzolata sebbene originariamente sarebbero dovuto entrare tutti.

Lì in quella stanza c’è stato il cadavere del compagno Galeano; c’è un video dove c’è il cadavere, sono circondati e ci sono i compagni che recriminano con quelli della CIOAC per la morte di Galeano. Non li hanno toccati, compagni; io, che si suppone sia un essere controllato eccetera, quantomeno gli avrei dato uno spintone: niente, gli gridano contro ma non li toccano. Da qualsiasi altra parte li avrebbero linciati sul posto perché erano corresponsabili di quella morte e lì stava il cadavere. Lì arrivammo noi. Noi eravamo ad Oventic a preparare, io stavo saggiando una sedia a rotelle; qui quel giorno entrai a cavallo, lì sarei entrato su una sedia a rotelle per alimentare la diceria che fossi molto malato, molto fottuto, e alla fine mi sarei alzato perché mi dolevano le ginocchia dall’esercitazione.

Quando lo abbiamo saputo siamo venuti qua e abbiamo visto, e guardate quel che non uscì sulla stampa e ne uscirà: uno di qui, uscendo di qui, l’altro di lì, l’altro di lì, l’altro di lì, l’altro di lì, sono quelli che erano nella zuffa e venivano qui alla porta del Caracol a burlarsi dei compagni che stavano qui rinchiusi perché non li aggredissero, lì come siete ora voi, stavano loro.

E si facevano beffe di come ballava, dicevano del defunto, con le mazzate che gli stavano dando; si facevano beffe di come gli hanno sparato, di come lo hanno preso a colpi di machete, e tutte quelle cose che abbiamo pubblicato nell’inchiesta perché sono dolori nostri. Il Subcomandante Insurgente Moisés ha ormai terminato l’inchiesta, ma non verrà resa pubblica per evitare la vendetta. La si consegnerà al Frayba con i nomi eccetera, perché ormai sappiamo chi è stato. Eravamo in questa situazione, compagni, e non potevamo rispondervi nemmeno minimamente perché era una prateria secca, e con niente, una scintillina, si sarebbe incendiato tutto, e qui sarebbe stato un pandemonio di sangue. Abbiamo sopportato e sopportato ma questa rabbia non l’abbiamo slegata. Non l’abbiamo slegata ancora.

Allora la risposta, John Gibler, è: per gli zapatisti una morte ingiusta è troppo e per questo siamo disposti a tutto.

Questa conduzione dei media impone una logica inumana, assurda, fuori luogo in tutto il mondo. Guardate, per esempio i bambini e le bambine in Palestina: hanno dimostrato una grande pazienza nel morire, perché muore uno e non gli fanno caso, e continuano a sommare cadaveri finché prima i grandi mezzi comunicazione si voltino a vedere, e continuano a morire perché esca l’immagine. E continuano a morire perché l’immagine sia vista e devono morire in una forma scandalosa, indignante, perché la gente di sopra inizi a dire:“ sentite, no, cosa stiamo facendo lì?”, ossia per fare qualcosa. A noi zapatisti sorprende ogni volta di più quanto poco di umano ci sia nell’umanità di sopra.  Perché è necessario tanto sangue affinché dicano qualcosa? E poi viene fuori che sfumano la loro posizione: “sì, ammazzateli, ma non mostratelo perché ci mette in evidenza”.

Robert Fisk, che scrive su The Independent, della Gran Bretagna, diceva in altro modo quello che stiamo dicendo adesso: il fatto è che i grandi mezzi di comunicazione sono in crisi perché la gente che li legge – che è la classe alta, con alto poter di acquisto e ben informata, dicono – , è indignata perché i mezzi di comunicazione la trattano da idiota, cercando di presentare il massacro che avviene a Gaza come fosse uno scontro o come se la colpa fosse di Hamas. La gente si sente insultata, non è perché hanno i soldi che siano stupidi, alcuni sì che lo sono, ma in genere sono intelligenti e si sentono insultati, e lo riconosceva in un articolo, diceva: “è che siamo in crisi, la gente non ci crede più, non ci prende sul serio, e per di più reclama”. Da altre parti questo succede da anni, come qui in Messico. Tutto ciò che sta succedendo in Palestina, di cui nessuno parla, di questa pazienza mortale dell’infanzia palestinese, noi diciamo che è responsabilità del governo di Israele. Noi differenziamo sempre i governi dai popoli, sappiamo che c’è una tendenza naturale, anche se in altre occasioni abbiamo detto che il problema non è sionismo o antisemitismo, come continuano a dire le grandi teste pronunciando stupidaggini in grande stile.

Noi non possiamo dire che, poiché il governo di Israele è assassino, che il popolo di Israele sia assassino, perché allora direbbero che il popolo messicano è idiota perché il governo messicano è idiota, e noi, quanto meno, non siamo idioti. C’è gente in Israele, non sappiamo quanta, nobile, cosciente, onesta, e non ha bisogno di essere di sinistra, perché la condanna per ciò che sta accadendo in Palestina non ha a che vedere con la posizione politica, ha a che vedere con la decenza umana: nessuno può vedere quel massacro e dire che non sta accadendo nulla o che è colpa di un altro.

Quel che vi sto spiegando sulla crisi dei media prezzolati e l’emergere dei media liberi, alternativi o autonomi è una tendenza nella quale, nel lungo cammino dei media liberi o autonomi, vi accadranno cose: io non vorrei dirvelo, ma bisogna dirvelo.

C’è gente che si demoralizzerà, dicono i compagni, che è quando si arrende qualcuno, quando lascia il suo lavoro, la lotta, dicono che si è demoralizzato, che ha lasciato la lotta.

Gente a cui i media prezzolati diranno così: vieni dalla nostra parte – a mangiare merda, disse un subdirettore di un giornale, ma ti pagheranno per mangiare merda -, sia perché scrive bene, perché fa buone analisi o perché inquadra bene la foto, il video o quel che sia.

E alcuni se ne andranno, altri vi tradiranno, diranno: “no, non ce n’è, quel testo non è veritiero, lo hai inventato”, e così via. E altri che zoppicheranno. La claudicazione è una parola che i compagni capiscono bene, che vuol dire che sei lungo una strada e dici: ”ah no, sempre no, di qui no, meglio che vada altrove”. Quasi sempre in questo caso la questione ha a che fare non con il lasciare un impegno poiché a volte uno deve lavorare per vivere, ma con il lasciare una posizione rispetto all’utilizzo dell’informazione, in questo caso dei media liberi, autonomi, alternativi.

Uno dei problemi che avrete è quello dei soldi, ossia dovrete sopravvivere. Sopravvivenza. Questo è il vostro problema, non solo come media ma anche come essere umani: non dovete ancora mangiare? Anche se alcuni ormai stanno superando il problema, tuttavia…

Ciò che inoltre vogliamo sappiate, e attraverso di voi altri media liberi, è che noi vi riconosciamo questo sforzo e sacrificio. Sappiamo che è una cazzata venire fin qua per chi ha i soli, ma per chi non ce li ha è qualcosa di eroico. Noi ve lo riconosciamo, vi conosciamo, lo sappiamo e vi salutiamo. Tenete per certo che se c’è qualcuno che prende in considerazione quel che fate, siamo noi. Dove cercheremo l’informazione? Sui media prezzolati? No. Nelle reti sociali? Nemmeno. Nell’instabile e increspato mare della rete? Ti dico che nemmeno lì puoi trovare quel che cerchi.

Dunque c’è un vuoto su dove stia l’informazione. Il mezzo che usate ora è anche il vostro limite, arrivate a più gente ma è anche un limite perché la gente che non ha internet a media velocità, io li sfido a scaricare ora una vostra pagina, diamine, va a finire che succede un’altra guerra, un’altra sollevazione e arriviamo a vincere la guerra e non ha ancora finito di scaricare. Ci dovrebbe essere una versione più leggera o qualcosa del genere, da smartfon o roba simile. Ma la maggior parte dei vostri interlocutori o di quelli che dovrebbero essere i vostri interlocutori non lo sa usare, ma questo può cambiare. Noi diciamo che in questi tempi il mezzo principale di comunicazione è l’ascolto, per questo noi ci riferiamo a voi come gli ‘ascolta’. C’è gente, lo dicevo a Moi, che ha bisogno di parlare, non gli importa che non lo stiano ad ascoltare, deve parlare di qualsiasi cosa. Ma c’è gente che si preoccupa che l’ascoltiate, e affinché la ascoltiate sta scommettendo perché questo messaggio e questa parola arrivino più lontano.

La preoccupazione dei compagni e compagne del CNI che avete visto, è che portavano l’incarico che li ascoltaste. A differenza dell’Altra Campagna. Io mi ricordo di quegli incubi multipli, del divano collettivo del “flagellatevi, noi andiamo”, che è stato l’Altra Campagna, dove chiunque diceva quello che gli veniva in mente, non gli importava se lo stavano ascoltando oppure no, se lo stavano capendo oppure no, il gusto stava nel cavarsi, come si dice, la voglia. Per di più era gratis, immaginati quanto spenderesti dallo psicanalista o dallo psichiatra o come si dice ora.

Quindi non si tratta di altro che di avvisarvi che il mezzo è anche il limite e che bisogna ricercare. La fonte diretta appare ora come la principale, e noi diciamo: i popoli originari sono gli specialisti dell’ascolto. In verità vi sto avvertendo di ciò che verrà con il festival mondiale della ribellione e della resistenza, ossia è un’esortazione che non diventi il cartellone delle riunioni de La Otra, le assemblee preparatorie eccetera, perché questi compagni e compagne dei popoli originari sono specialisti nell’arte dell’ascolto, nella comunicazione per eccellenza.

Il fatto che chi in questo momento è l’attore, o sta soffrendo, o sta esercitando un’azione, ti dica come la vede, non impedisce che ci sia un’analisi. E’ quel che tu mi dici, ma io vedo questo e quest’altro. E’ cioè il lavoro dell’informatore.

E noi vediamo anche in questo utilizzo dei media, a partire dalla disgrazia della morte di Galeano, che anche nei media c’è questa differenza tra elemosina e il sostegno. Se i mezzi di comunicazioni prezzolati ti danno attenzione devi ringraziare, e qualcosa che non perdonano agli zapatisti, “non solo vi porgiamo la mano”, direbbero, “ma ci mordete la mano che vi aiuta”. Noi non vogliamo fare indigestione, sputiamo sulla mano, perché anche l’attenzione dei media è un’elemosina. Al contrario, per i media liberi, alternativi, autonomi, eccetera, non è una elemosina. E’ un dovere a cui stanno assolvendo, e lo fanno nonostante tutte le difficoltà che hanno, ed è il caso in cui diciamo “un media compagno”. So già che Tacho vi ha fatto a pezzi, e per questo che abbiamo tirato fuori il fatto dei ‘terzi compagni’ (nota: ora sì che chi parla ha detto giusto. Cordialmente “Los Tercios Compas”).

Ma questa è la differenza tra un media prezzolato e un media compagno. Non è che uno abbia i soldi, o guadagni, o no. La differenza sta nel fatto che per alcuni siamo una merce, sia che parlino di noi sia che non parlino; e per altri, come i vostri e come ce ne sono migliaia in tutto il mondo, siamo uno spazio di lotta.

Nell’evento di ieri che era aperto alla stampa, sono venuti solo tre giornalisti, anzi quattro: uno era dei tre visconti che hanno calunniato la morte di Galeano, e non è entrato. Gli altri tre erano uno di Proceso, uno che lavora nella stampa alla frontiera sud e un’altra che lavora con Aristegui. Fino ad ora avevo citato solo quello di Proceso, ma non è venuto nessun altro media, non so se è una cosa tipo “Paquita la del barrio” (nome d’arte di Francisca Viveros Barradas, cantante messicana, N.d.T.), per dispetto, ma sia come sia.

Oh quanti morti, poiché non era un evento dell’EZLN, era del CNI, oh quanti morti deve avere il CNI perché si voltino a guardare. “Molti”, diranno i media, “perché diventi una merce, e poi per vedere se vendiamo menzionandoti o vendiamo non menzionandoti”. La differenza per noi è che l’appoggio che si dà al compagno non pone condizioni perché sa che è davvero parte della stessa lotta.

Quindi, quello che noi vediamo in questo panorama caotico che vi sto presentando è che con l’ultra velocità e l’indigestione, l’eterogeneità delle informazioni, è paradossale che il miglior livello o il livello supremo di comunicazione sia la condivisione, questo livello diretto.

I compagni hanno scoperto qualcosa che voi avete scoperto nel vostro lavoro, che è il potere dell’ascolto. Se non è possibile che tutti stiamo ascoltando, allora serve qualcuno che afferri questa parola e la scagli indietro, come diciamo noi, ossia ai popoli, che è ciò che fanno gli “ascolta”. E in una maniera o nell’altra è quel che fate voi.

Ma siccome (secondo noi, già lo sapete, noi che non sappiamo nulla di mezzi di comunicazione) il livello supremo ora è la condivisione, coloro che lo usano meglio sono proprio coloro che bisogna ascoltare. Mi risulta che i popoli originari sono tosti in questo, quanto a pazienza, ma ve ne parlerà di più il Subcomandante Moisés.

Questo è quanto volevo dirvi. Compagni e compagne, non ci saranno domande perché mi risulta che in 20 anni mi avete ormai domandato tutto quello che mi dovevate domandare e credo di aver ricevuto un certificato di impunità per non rispondere nulla; ma questa ve la dovevamo.

Lo avremmo fatto comunque in quell’alba, ma siccome ora mi avete come terzo media (nota: mh… quello che parla non impara. Los Tercios Compas!) e stavo controllando che vi stavano piratando tutto, abbiamo detto no, meglio che vi lanciate perché non è giusto quello che stanno facendo i media prezzolati, perché non è stato soltanto un furto ma una sottrazione per disprezzo. O sia, me lo piglio e non dico di chi è perché a chi importa quel fottuto tuit o quella fottuta pagina che nessuno vede.

Era il reclamo, secondo quanto ci raccontano, che facevano i grandi mezzi di comunicazione che arrivarono a San Cristóbal: “quel Marcos è pazzo, come fa a scegliere gente che non ha nemmeno dieci visite nella sua pagina – quindi cliccate di più (incomprensibile), arrivate a 100 -, e non noi che abbiamo milioni di lettori”.

Quindi ve la dovevamo, compagni, ecco. Galeano non resterà in silenzio; a volte parlerà Tacho, a volte Moisés, a volte Galeano, a volte qualcun altro, il gatto-cane, o chissà. L’importante qui è che: uno, è cambiato l’interlocutore. Due, l’importante è la tendenza che noi vediamo nella vostra comparsa come media liberi, autonomi, alternativi, eccetera.

Il fatto è che abbiamo creato i terzi media (nota: argh! L-o-s T-e-r-c-i-o-s C-o-m-p-a-s!) perché non dobbiate farvi questo sbattimento di venire fin qua per mandarvi i materiali.

Non solo riconosciamo e diamo valore al vostro lavoro, soprattutto riconosciamo e diamo valore al sacrificio e allo sforzo che fate per voltarvi a vedere da questa parte.

Perciò, specialmente a voi, e in generale a tutti i compagni della Sesta, grazie.

E’ tutto Gotham City. (nota: chi parla ha voluto imitare la voce del supervillano, Mr Bane, però non gli è riuscito).

Fine dell’intervento del SupGaleano.

(Trascrizione dell’audio originale a carico de “Los Tercios Compas”. Sì, protestando e un po’ incazzati per gli strafalcioni, ma non importa, così è la storia, bisogna sopportare).

Copyleft: “los tercios compas” 12 agosto 2014. E’ consentita la riproduzione senza ricorrere all’autoerotismo, la circolazione underground e il consumo in modalità “impantanatevi che c’è fango”.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/08/14/trascrizione-della-conferenza-stampa-dellezln-con-i-media-liberi-autonomi-alternativi-o-come-si-chiamino-del-10-agosto-2014-a-la-realidad-zapatista-chiapas-mexico-prima-parte-parole-del-supg/

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In Chiapas la «condivisione» di tutte le ribellioni

Luca Martinelli, LA REALIDAD, 13.8.2014

Zapatisti. Lo scorso weekend l’Ezln ha riunito nella Selva Lacandona i popoli indigeni del Messico. E annunciato per fine anno il primo «Festival mundial de las resistencias y rebeldias». La lotta e la festa, il «baile» e le rivendicazioni di chi la terra la abita e la cura

Selva Lacandona, il 10 agosto scorso  © Luca Martinelli

Al Cara­col de La Rea­li­dad ci sono quasi due­mila per­sone. Alla mez­za­notte del 9 ago­sto si muo­vono sul campo da basket per il baile (ballo) che con­clude ogni grande mani­fe­sta­zione pro­mossa in Chia­pas, nel Sudest mes­si­cano, dall’Esercito zapa­ti­sta di libe­ra­zione nazionale.

In que­sto ago­sto del 2014, l’Ezln ha dato appun­ta­mento nella Selva Lacan­dona ai popoli indi­geni di tutto il Mes­sico, riu­niti nel Con­gresso nazio­nale indi­geno (Cni). Dal 4 al 9 ago­sto, i dele­gati una tren­tina tra popoli, tribù e nazioni, arri­vati da tutto il Paese, hanno messo in comune le pro­prie lotte, le «resi­stenze» e le «ribel­lioni« che in tutto il Mes­sico riven­di­cano il rico­no­sci­mento dei diritti dei popoli ori­gi­nari sulle terre che abi­tano e che curano.

Poi, il 9 ago­sto, La Rea­li­dad ha accolto anche osser­va­tori nazio­nali e inter­na­zio­nali, per l’evento con­clu­sivo dell’incontro, che fin dal titolo — Com­par­ti­cion entre Cni e pue­blos zapa­ti­stas– richiama all’idea di «con­di­vi­sione». Alla ceri­mo­nia, con la let­tura dei docu­menti frutto dei cin­que giorni di lavoro, ha potuto par­te­ci­pare anche la stampa. Ezln e Cni hanno così annun­ciato che dal 21 dicem­bre 2014 al 3 gen­naio 2015 ospi­te­ranno il primo incon­tro mon­diale delle resi­stenze e delle ribel­lioni (Festi­val mun­dial de las resi­sten­cias y rebel­dias), un’iniziativa iti­ne­rante che verrà inau­gu­rata nell’Estado de México, pre­vede ini­zia­tive a Città del Mes­sico, il Capo­danno nel Cara­col zapa­ti­sta di Oven­tic, in Chia­pas, e la chiu­sura presso l’Universita della terra di San Cri­sto­bal de Las Casas.

foto Luca Martinellifoto Luca Martinelli

Il mes­sag­gio è chiaro: solo le lotte dal basso hanno il potere di cam­biare il Paese, di creare un mondo in cui pos­sano con­di­vi­dere molti mondi, tra cui quello indi­geno. Era il 2001 quando Ezln e Cni, insieme, rag­giun­sero Città del Mes­sico, nella «Mar­cia del colore della terra», per chie­dere il rico­no­sci­mento costi­tu­zio­nale dei diritti dei popoli indi­geni, come pre­vi­sto dagli Accordi di San Andres siglati nel 1996 tra Ezln e governo mes­si­cano. Ven­nero rice­vuti dal Parlamento messicano.

Tre­dici anni dopo quella richie­sta rimane ine­vasa, ma nel frat­tempo sono cam­biate molte cose. Anche la strada che porta a La Rea­li­dad, entrando nella Selva a Las Mar­ga­ri­tas, che ormai è “pavi­men­tata” fino alla comu­nita di Gua­da­lupe Tepeyac: non ser­vono più quat­tro ruote motrici per rag­giun­gere il rin­con zapa­ti­sta più cono­sciuto, ma il mes­sag­gio dell’Ezln e dei popoli indi­geni del Mes­sico si deve arram­pi­care ancora per sen­tieri impervi, per cer­care l’ascolto.

Il governo mes­si­cano, ad esem­pio, ha recen­te­mente appro­vato una legge di riforma ener­ge­tica, che apre la strada a pra­ti­che come il frac­king (la frat­tu­ra­zione idrau­lica per estrarre petro­lio e gas) e alla pri­va­tiz­za­zione della pro­du­zione e distri­bu­zione di ener­gia elet­trica e petro­lio, finora affi­date alle imprese pub­bli­che Cfe e Pemex.

La riforma del set­tore mine­ra­rio, appro­vata invece negli anni Novanta, e col­le­gata al Trat­tato di libero com­mer­cio del Nord Ame­rica tra Canada, Mes­sico e Stati Uniti d’America, ha invece por­tato alla con­ces­sione (tra atti­vita di esplo­ra­zione e sfrut­ta­mento dei gia­ci­menti) di una super­fi­cie pari a circa il 16% del ter­ri­to­rio nazionale.

Quando sabato mat­tina arri­viamo a La Rea­li­dad, men­tre la com­mis­sione di sicu­rezza («ofi­cina de vigi­lan­cia de los pue­blos») con­trolla i nostri pas­sa­porti all’ingresso del Cara­col, ascol­tiamo la fine dell’assemblea, con la let­tura del docu­mento che verrà pre­sen­tato nel pomeriggio.

È una lista di grandi opere (inu­tili), che come in Ita­lia vanno dalle auto­strade — come la San Cristobal-Palenque, qui in Chia­pas — ai grandi pro­getti ener­ge­tici, tra cui risal­tano dighe e gasdotti, come quello di 160 chi­lo­me­tri tra gli Stati di Pue­bla e Tlax­cala, nel cen­tro del Mes­sico. Si tratta di uno dei due inter­venti che, secondo la denun­cia del Con­gresso nazio­nale indi­geno, coin­vol­ge­rebbe un’impresa ita­liana, la Bonatti spa, che ha sede a Parma, si occupa di infra­strut­ture ener­ge­ti­che e ha par­te­ci­pato con alcuni pro­pri dele­gati alla mis­sione del gen­naio 2014 dell’allora pre­si­dente del Con­si­glio Enrico Letta. L’altra impresa ita­liana rite­nuta respon­sa­bile di vio­la­zioni ai danni dei popoli indi­geni si chiama invece Enel Green Power, par­te­ci­pata dallo Stato ita­liano, attra­verso Enel, e risulta impe­gnata nello svi­luppo di pro­getti eolici su terre comu­nali nella zona dell’Istmo di Tehuantepec.

Sotto il sole, alle tre del pome­rig­gio (ma alle quat­tro nel Sudest mes­si­cano, dove vige sem­pre la hora de Dios, quella solare), tutte le per­sone pre­senti si accal­cano di fronte al palco.

Tutte le foto scat­tate dai rap­pre­sen­tanti dei mezzi d’informazione pre­senti, quasi tutti indi­pen­denti, rac­con­tano que­sto momento della gior­nata, che si è tenuto nel tem­plete mon­tato a fianco del campo da basket, e ha visto i rap­pre­sen­tanti dell’Ezln e del Cni inter­ve­nire pro­tetti da un cor­done di sicu­rezza, neces­sa­rio dopo che pro­prio a La Rea­li­dad, nel corso di un’imboscata, il 2 mag­gio scorso era stato assas­si­nato un indi­geno, base d’appoggio dell’Esercito zapa­ti­sta di libe­ra­zione nazionale.

foto Luca Martinellifoto Luca Martinelli

Durante la ceri­mo­nia, che si e aperta con l’inno mes­si­cano e chiusa con quello zapa­ti­sta, il Sub­co­man­dante insur­gente Moi­ses, che guida l’Ezln, ha spie­gato che nes­suno «sa piu imma­gi­nare come deve essere la giu­sti­zia, e che solo il sudore può aiu­tare a capirla», aggiun­gendo che «biso­gna cono­scere il dolore, per capirla». «Siamo uomini e donne di mais, e come una milpa siamo ancora capaci di fio­rire. Men­tre il potere distrugge, noi dal basso rico­struiamo» ha con­cluso Moi­ses, lan­ciando l’invito al Festi­val che si aprira il pros­simo 21 dicem­bre anche Oltreo­ceano, abbrac­ciando ideal­mente ini­zia­tive come il Forum con­tro le grandi opere inu­tili e impo­ste (per l’Italia par­te­ci­pano, tra gli altri, il Movi­mento No Tav, re:Common e Opzione Zero, che si batte con­tro l’autostrada tra Orte e Mestre) e il Forum ita­liano dei movi­menti per la terra e il pae­sag­gio (www​.sal​via​moil​pae​sag​gio​.it).

Oltre all’appuntamento poli­tico, pero, l’iniziativa de La Rea­li­dad ha rap­pre­sen­tato uno spa­zio impor­tante di con­di­vi­si­zione («com­par­ti­cion» si legge sullo stri­scione espo­sto all’ingresso del Cara­col). Biso­gnava esserci, così, per vedere e rac­con­tare tutto il resto: il baile, le cucine sem­pre attive: «Per coloro che si alzano pre­sto per par­tire, le com­pa­ñe­ras hanno assi­cu­rato che dalle tre il caffè è pronto; dalle 4.30 ci sarà anche il pozole» (bevanda a base di acqua e mais, ndr) ha detto sabato sera, intorno alla mez­za­notte, uno zapa­ti­sta al micro­fono, inter­rom­pendo il ballo. Le file ordi­nate per usare le docce e i bagni, piatto, cuc­chiaio e bic­chiere, uno a testa, da con­ser­vare (con cura) vicino al pro­prio gia­ci­glio. Fri­jo­les, arroz, tor­til­las de mais y agua de limon, il menù. I «mili­ziani» che, armati di scope e sec­chielli, puli­vano e disin­fet­ta­vano i bagni.

La Rea­li­dad — che all’alba del 10 ago­sto è avvolta da una neb­bia quasi irreale — si è tra­sfor­mata in una cit­ta­della della spe­ranza. Che dalle mon­ta­gne del Sudest mes­si­cano — come si firma la coman­dan­cia dell’Ezln nei comu­ni­cati — ha lan­ciato un mes­sag­gio uni­ver­sale di «demo­cra­zia, giu­sti­zia, libertà».

Il Manifesto 14 agosto 2014 – http://ilmanifesto.info/in-chiapas-la-condivisione-di-tutte-le-ribellioni/

 

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Trascrizione della Conferenza stampa dell’EZLN con i Media Liberi, autonomi, alternativi o come si chimano, del 10 agosto 2014, a La Realidad Zapatista, Chiapas, Messico.

Seconda Parte: Sub Moisés

Segunda parte: palabras del Sub Moisés.

Bueno, compañeros, compañeras, escucharon lo que dijo el compañero Subcomandante Insurgente Galeano. Eso es lo que vemos, eso es lo que pensamos.

O sea necesitamos la fuerza de uno a otro porque si lo entendemos de cómo está la vida, entonces por qué no lo entendemos de cómo tenemos que enlazarnos unos a otros.

Algunos otros compañeros que quedan acá, que estuvieron como medios libres pero al mismo tiempo como CNI, esos y esas compañeras los escucharon y los vieron. Deben ahora sí que hacer compartición entre ustedes porque no es lo mismo de que yo platico pero yo no he escuchado.

Es allí donde se siente entonces que tenemos que enlazarnos, tenemos que agarrarnos de las manos unos a otros.

Como se les preguntaba a los compañeros del Congreso Nacional Indígena, de que tenemos que agarrarnos juntos, o sea indígenas y no indígenas, y los compañeros, ¿en una sola voz sale pues la palabra? Sí. O sea que los compañeros se entiende la vida de los que no son indígenas, entonces cómo vamos a hacer eso, ¿cómo vamos a luchar?

O sea hay un gran trabajo que es mucho más, nosotros pensamos que es mucho más difícil pues a ustedes los que viven en la ciudad, aunque también nosotros, los que vivimos en las comunidades como Congreso Nacional Indígena, pero por lo menos ahí todavía queda lo que es lo común, pero en las ciudades no.

Atrás de la barda de donde vive uno no sabe qué problema tiene su vecino, a veces ni lo conoce quién es su vecino; y en las tres paredes, yo vivo aquí y ahí vive la otra, el otro vecino y ahí vive el otro; no se preocupa mi vecino qué me está pasando a mí, ni yo me preocupo por parte de él o de ella. Y así está encadenado.

Entonces pues es un trabajo muy fuerte, con lo que viene, lo que dicen los compas “la bestia que viene”, pues entre todos nos van a destruir. Entonces cómo podemos hacer ese trabajo. Pero ahí lo que nosotros pensamos, no les estamos pidiendo de que entonces háganse indígenas, pero ni nos pidan tampoco que pensemos o que seamos como ciudadanos que están ahí.

No. Cada quien luchemos pero estemos unidos. Recuerden que como decía el finado SubMarcos, por tanto que hemos escuchado, por escuchar en varios de los caracoles que hemos hecho encuentro, tratamos de decir qué es lo importante y la hora de –por cierto, varias veces se hizo aquí–, no llegamos de acuerdo. Todos tienen las ideas buenas y no sale pues porque a fuerzas quieren que sea aceptado lo que dice uno, lo que dice otro, y esto, pero a los compañeros, lo que podemos hacer es ver cuál es lo que sí les funciona, pero solamente esto podemos detectarlo si es que escuchamos y si es que observamos.

Ya ven que algunos aquí, los que ya habían entrado ya en la última, el cierre de la asamblea del CNI, esperaban los compañeros que alguien va a dar la palabra para que se cierra, y no es que así lo teníamos acordado que así se iba a cerrar, bueno, para los que lo vieron, porque son los mismos compañeros lo cerraron, no estaba acordado.

Entonces se dieron cuenta de que pasó uno, ‘ah, entonces yo también quiero decir’. Cuando empezó querían dar todavía como compartición, pero se dieron cuenta de que no, ya es el cierre. Se encarrilaron ahí luego, luego y así se cerró, ¿por qué? Porque es nada más el sentido de que es de los compañeros la asamblea y por lo tanto son los asambleístas los que tienen que cerrar la asamblea. Esas cosas, por ejemplo.

Necesitamos ver qué cosa es que funciona y que entonces se sienten que todos somos iguales. No es eso de que “yo soy la más importante o el más importante”. Pensamos nosotros es que no. Pensamos que ése es ejemplo, cómo podemos hacer entre todos nosotros eso. O sea que vayamos encontrando cómo es eso que decimos que un mundo nuevo.

Hay que ir trabajando eso. Tan es así que los compañeros del Congreso Nacional Indígena dijeron: sí necesitamos compartir, no sólo nomás nosotros los indígenas, queremos compartir con los compañeros y compañeras de la Sexta nacional e internacional. Luego entonces, cómo vamos a compartir, porque hay que pensar los que no le entran a la Sexta, ¿cómo vamos a compartir con ellos y con ellas?

O sea, ¿cómo vamos a respetarnos? ¿Cómo vamos a construir ese respeto? Porque hay que construir ese respeto, así como estamos ahorita, esto. Y creo que entonces tenemos que mostrar ese ejemplo, compañeros y compañeras de la Sexta de la ciudad, y compañeros y compañeras de la Sexta en el campo, y que nos encontremos y nos sentimos uno solo, sin pedirnos dejar lo que somos, sino que nos unimos a lo que queremos, a este mundo.

Por ejemplo, cuando estábamos preparando esta compartición con los compañeros bases de apoyo, pensaban los compañeros y compañeras que (nosotros como mandos) íbamos a decirles “esto es lo que van a hacer”. No. Se tuvo que hacer la asamblea aquí donde están sentados ahorita, y empezó a salir las ideas y hasta que lo encontramos donde lo sentimos, como dicen los compas, estos son los puntos.

Pero salieron un montón de apuntes y hasta que comúnmente dijeron ‘esto es’. Para eso se enriqueció mucho, porque decían nuestros compañeros: la tierra –la madre tierra, como hablamos– se dice que en el marxismo, en el leninismo se dice que la base principal del capitalismo es los medios de producción, que es la tierra. Entonces los compañeros dicen no.

Y les preguntábamos por qué. Porque no, sí sabemos que así piensa el capitalismo y así nos hizo el favor de dejar escrito, ésos, los que transmitieron la idea, pero nosotros tenemos que entender, tenemos que luchar para decir ¡ni madres! No vamos a permitir que sea así.

Entonces la tierra, la madre tierra, es la base fundamental de la vida de los seres vivos, así sale de los que estábamos sentados acá.

A ver, compañero, compañera, argumenta eso.

Sí –dice–, porque entonces campo y ciudad, seres humanos en el campo y en la ciudad viven la tierra, y todo lo que hay encima de la tierra, los bichos, más lo que hay abajo, también es su base de la vida, los gusanitos, eso. ¿Por qué vamos a permitir a esos bestias que vienen a destruir?

Y luego entra en discusión otra vez así:

¡Ah, chingá! ¿Cómo vamos a hacer? Cómo vamos a hacer porque estamos diciendo de que es medio de producción y hay que quitárselos.

Así dijimos, porque se acuerdan que en uno de los encuentros ahí en CIDECI, el finado SubMarcos cuando presentó el bote de la coca ahí es donde decíamos que sí es medio de producción para nosotros, entonces que hay que quitar. Entonces cómo vamos a hablar con los compas del CNI, que tenemos que entenderlo que tenemos que quitar como medio de producción.

 

Otra vez empezamos a discutirlo eso. El problema de aquí es quién tiene las mejores tierras y quién se adueña de la riqueza que tiene la tierra. Ahí es donde empezamos a apartar eso.

No, pues es que son los transnacionales o los terratenientes, y por lo tanto sí se necesita de que hay que quitárselo.

Hay que quitárselo, nada más que ahora sí, entre todos los que vivimos en esa tierra, la madre tierra, todos tenemos que cuidarlo. Y hay compañeros que ahí dicen otra vez:

 

Sí, porque los que viven en la ciudad cuántas toneladas le va ahí en el excremento y se va en un río, entonces contaminan el río. Y los empresarios lo tienen jodido a la madre tierra.

Pero bueno, es nada más una partecita, cómo es tan rico cuando vemos común. Entonces les estoy pasando eso porque como que se necesita que haya compartición. No sé cómo lo vayan a hacer eso, porque se necesita organización, se necesita trabajo, se necesita pensar pues.

Pero creo que en el espacio que ya acordaron los compañeros, en el espacio como compañeros y compañeras de la Sexta, que se vaya organizándose eso y cada quien va a tener que luchar de lo que va a tener que transmitir.

De verás que se siente que si alguien transmite lo que ha observado, o lo que ha trabajado, o lo que ha convivido con el pueblo. Porque luego se siente de que alguien así como presumiendo “es que yo”, “es que mí” o “él”, o “ella”. O sea, lo estás levantando a él, a ella, y lo real, no es cierto, es lo que estábamos explicando entre nosotros como CNI, que tenemos que consolidar lo que era antes, que verdaderamente representaban a los compañeros, las compañeras.

Porque todavía existen. Claro que lo quieren destruir por completo, pero no han podido el capitalismo. Pero sí hay una buena parte ya que sí, pero es por el control está haciendo su trabajo.

Entonces creemos de que con esto algo va a tener que venir, otro trabajo. Porque esto, no se crean que nosotros lo planeamos, ésa es una de las cosas, nosotros no lo planeamos esto, vino del mismo de los compañeros y las compañeras; eso es uno de lo que les compartía a los compañeros casi finalizando la asamblea.

Y eso queremos compartirles también aquí como medios libres, porque vemos que cuando hablamos a nuestras bases, a nuestros pueblos, nada más tenemos que apoyarlos a ellos y acordar con ellos y con ellas si les parece pues de lo que sale en su participación de ellos y de ellas.

Estaba eso de que nosotros estábamos como entregando la herencia, como decimos. Y la única herencia que íbamos pasándoles de cómo se tiene que trabajar, cómo se tiene que cuidar y todo eso, pues es la organización como EZLN y la autonomía.

Entonces los compañeros y las compañeras decían, “te falta otra, porque qué vamos a hacer, no sabemos qué vamos a hacer con eso –sobre de la Otra Campaña–. Y es también ahí donde a nosotros eso nos despertaron porque entonces qué íbamos a decir de la Otra. Ahí es donde les dijimos:

Pues más bien ustedes. Lo que queremos de la Otra es que el pueblo se organiza y que un día tiene que mandar ese pueblo, o sea es lo que ustedes están haciendo. Entonces ustedes tienen que compartir con los compañeros de la Sexta, los que le entran al trabajo de la Sexta. Eso fue una campaña que hicimos, por eso se llama Otra Campaña, pero los que le entran al trabajo de lo que dice la Sexta, que es organizarse, que es luchar y ser anticapitalistas, entonces hay que compartir con esos compañeros y compañeras.

Como estábamos discutiendo eso, ya entre todos y todas, ahí es donde sale.

Pues como que hay que hacer una escuelita entonces –dicen los compás.

Por eso de ahí nace, pues se va a llamar escuelita porque así sienten, sintieron los compañeros que es una cosa chiquitita, es una escuelita. Entonces vamos a probar y vamos a hacer. Y sí, ayudó mucho, y muchos de los compañeros y compañeras, de los alumnos y alumnas que vinieron, tienen otro forma de pensar ahora porque ya lo vieron en sus propios ojos, no es porque se lo cuentan, no es porque vieron en película, sino que las vivieron esas horas que estuvieron ahí.

Entonces de seguro que esos compañeros alumnos y alumnas que vinieron, algo quizás, nos van a querer compartir.

Entonces eso es lo que vemos.

Pero muchas veces cuando hacemos ese tipo de compartición, a veces se calma unos minutos y luego nos empezamos a hacernos pregunta de todo lo que ya dijimos. ¿Qué vimos? ¿Qué pensamos? ¿Qué creemos?

Entonces aquí los compañeros, los que estuvieron como Congreso Nacional Indígena, y lo que ahora escucharon otra vez ahorita, ¿cómo lo ven? ¿Qué se imaginan? Y como medios que llegaron pues escucharon lo que presentaron los compañeros en la clausura, a lo mejor de ahí tienen alguna pregunta pues, porque dentro de la pregunta vámonos ayudando y vámonos aclarando lo que no está claro, así que si tienen pregunta hagan la pregunta y si no hay quiere decir que todo está claro… o nada se entendió.

(Fin de la intervención del Sub Moisés, siguen las intervenciones y preguntas de los medios libres y l@s compas de la sexta mundial presentes)

(Transcripción del audio original a cargo de “Los Tercios Compas”)

Copyleft: “los tercios compas” 12 agosto del 2014. Se permite la reproducción in vitro, la circulación aún con carga vehicular y el consumo desmedido.

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Trascrizione della Conferenza Stampa dell’EZLN con i Media Liberi, Autonomi, Alternativi o come si chiamano, del 10 agosto 2014 a La Realidad, Chiapas, Messico – Prima Parte: SupGaleano

Prima parte: SupGaleano

SupGaleano Video onferenza Stampa

https://www.youtube.com/watch?v=tSVH87oUMb4

Primera parte: palabras del SupGaleano

Buenos días ciudad Gótica… Ya que acaben de tomar sus fotos allá en el templete, acá vamos a empezar la conferencia de prensa.

Váyanse sentando por favor para que empezamos ya en unos minutos y se puedan ir. Por favor acomódense, compañeros, compañeras. Sentados.

Buenos días ciudad Gótica (ése es un saludo a un compañero que tuitea así).

Eso que acaban de ver hace unos momentos, en términos militares se llama maniobra de diversión, en términos comunes es magia. Y eso que tomó unos minutos, a otro le tocó hacerlo 20 años para que así saliera.

Queríamos empezar, aprovechando que están los medios libres, autónomos, alternativos o como se llamen, y compañeros de la Sexta nacional e internacional, para darles las gracias. Y para darles las gracias les voy a contar la historia de una muerte.

Este 25 de agosto van a cumplirse 10 años de la muerte del Teniente Insurgente de Infantería Eleazar. En 2004, pero desde 2003, empezó con una enfermedad de ésas que sólo aparecen en doctor House o cosas así, que se llama Guillain-Barré, que consiste en un deterioro paulatino de todo el sistema de vida hasta que muere. No tiene cura, hay que mantener al enfermo con vida artificial, conectado.

Empezó a enfermarse y lo llevaron a Tuxtla Gutiérrez a un hospital. Ahí le diagnosticaron eso y empezaron a decirle que mejor se fuera, que no era grave; aunque cuando a mí me dijeron qué enfermedad era sí sabía de qué se trataba; porque los médicos, como lo veían indígena sabían que no iba a poder pagar el tratamiento. En realidad es un tratamiento de supervivencia, no tiene cura.

Mta… a ver si pueden jalar a los milicianos a la sombra, si no ahí se van a cocer vivos, Lico…

El parche es para que piensen que tengo ojo de vidrio, pero no. Yo y mis malditas ocurrencias, ahora lo tengo que traer puesto.

Bueno, esa enfermedad… en Chiapas, me imagino que en el resto del país, la posición con el paciente es que el médico calcula si es que puede pagar o no el tratamiento. Si no lo puede pagar, eso según sus cálculos, entonces le dicen que no tiene nada o le dan unos cuantos placebos para que piense que se va a curar y lo mandan a morir a su casa.

Nosotros dijimos que no. Empezamos a gastarnos el fondo de guerra o fondo de resistencia, hasta que ya no pudimos sostenerlo. Nos dirigimos entonces, estoy hablando del 2003 cuando todavía nos quería un cierto sector de la intelectualidad artística, para pedirles apoyo para poder seguir manteniendo con vida a este compañero. Se rieron de nosotros, o sea los indígenas se pueden enfermar de viruela, de sarampión, de tifoidea, de todas esas cosas, pero no de una enfermedad tan aristocrática, digamos, porque sólo le da a uno en millones de casos, como es la Guillain-Barré.

Cuando ya no pudimos sostenerlo nos llevamos al Teniente Eleazar a Oventic y ahí con los aparatos que pudimos conseguir lo mantuvimos con vida, hasta que un 25 de agosto hace 10 años, murió.

Diez años después, con la desgracia del asesinato del compa Galeano, se destruyeron por parte de los paramilitares de la CIOAC-Histórica la escuela y la clínica que eran autónomas, o sea eran de los zapatistas de aquí de La Realidad. Y para la reconstrucción no acudimos a pedir el apoyo de esa gente, sino que acudimos a la gente de abajo, a nuestros compañeros, compañeras y compañeroas de la Sexta nacional e internacional.

El compañero Subcomandante Insurgente Moisés, aquí presente, con el Comandante Tacho, junto con las autoridades zapatistas de La Realidad, hicieron un cálculo del material, junto con los compañeros que le saben a la construcción, y calculó 209 mil pesos y pelos. El cálculo que nosotros hacíamos es:

Bueno, pues la banda está jodida, ahí rascándole lo que puede tal vez se llegará a la mitad y la otra mitad la podemos agarrar del fondo de resistencia o le pedimos apoyo a los otros caracoles.

La historia de lo que pasó ustedes la conocen porque ustedes son los protagonistas. Y ustedes me refiero no sólo a los que están aquí, sino a los que a través de ustedes se enteran de lo que está pasando aquí, o sea nuestros compañeros, compañeras ycompañeroas de la Sexta en todo el mundo. Quintuplicaron excedido, ya la última cuenta quintuplicó esa solicitud de apoyo.

Nosotros queríamos darles las gracias por eso, porque nunca antes el EZLN había recibido tanto apoyo y ese apoyo fue superior a los que sí tienen. Porque nosotros sabemos que los compañeros de la Sexta no dieron lo que les sobraba, sino lo que les faltaba. Estuvimos leyendo en sus medios libres, en sus tuiter y en sus feisbuc, historias que nos llenan de orgullo.

Sabemos que muchos batallaron incluso para conseguir la paga para venir para acá, incluso le rascan para llevarse cada día algo a la boca, o para cambiarse de –iba a decir calzones–, o de lo que usen, y como quiera hicieron el esfuerzo para conseguir esto y dar una muestra de lo que es el apoyo entre compañeros y no la limosna que viene de arriba.

Entonces lo primero que quiero que le digan a los compañeros y compañeras de todo el mundo, en sus lenguas, idiomas, modos, tiempos y geografías, es gracias, de veras. Han dado una hermosa lección, no sólo a esa gente que allá arriba reparte limosnas, a los gobiernos que abandonan sus obligaciones y además promueven la destrucción, sino también nos han dado una hermosa lección, la más hermosa que hemos recibido en los últimos años desde que salió la Sexta Declaración a nosotros, los zapatistas.

El sentido de esta conferencia de prensa era cumplir un debe. Originalmente esta conferencia de prensa iba a ser en Oventic, cuando iba a ser la compartición con los pueblos indios, y luego iba a ser cuando el funeral del compañero Galeano, el homenaje pues. Y era principalmente las últimas palabras o la despedida del Subcomandante Marcos y las primeras palabras del Subcomandante Insurgente, ahora Galeano, entonces se iba a llamar de otra forma.

Y es importante lo que les platico, lo que iba a ser, o sea cómo se había pensado, para proponerles otra posible lectura de lo que fue el homenaje a Galeano y este tránsito entre la muerte y la vida que fue la desaparición del finado Subcomandante Insurgente Marcos, que el diablo le está retorciendo las narices, eso sí, guapo el hombre, lo que sea de cada quien. Ése fue sarcasmo, no sé si se… todavía puedo distinguir esas cosas.

Miren, compañeros, para entender lo que pasó la madrugada del 25 de mayo hay que entender lo que había pasado antes, lo que iba a ser. He leído y escuchado interpretaciones más o menos acertadas, la mayoría de ellas completamente descabelladas, sobre lo que significó esa madrugada del 25 de mayo. Algunas ingeniosas, como por ejemplo, que todo era un truco para eludir la pensión familiar o la paternidad.

Pero la mayoría prescindía de todo lo que había pasado, por ejemplo, se manejó que los zapatistas decían que los medios de paga no existían, que ahora eran el enemigo, que era una acción contra los medios de paga, etcétera. Pero si tienen un poco de memoria, en la invitación original, el evento era abierto para todos, cuando era en Oventic. Quiere decir que también iban a entrar los medios de paga.

Lo que iba a pasar entonces es que Marcos se iba a morir y se iba a despedir de los medios de paga, a explicar cómo los veíamos entonces, a darles las gracias e iba a dirigirse y a presentarse con los medios libres, alternativos, autónomos o como se llamen. Quiero decir con esto que una posible lectura, a lo mejor no es la más acertada, lo de la madrugada del 25 de mayo del 2014 significa que el EZLN está cambiando de interlocutor, y por eso les conté la historia del finado Teniente Insurgente de Infantería Eleazar, veterano de guerra, que combatió en 1994.

Sí, los zapatistas no sólo no hemos dicho que los medios de paga no existen, como alguien dijo esa tontería por ahí, lo que está pasando es otra cosa con los medios de paga, que no tiene que ver con nosotros y tiene que ver con este avance del capitalismo a nivel mundial.

Los medios de paga han presentado algo que es maravilloso dentro del capitalismo, porque es de las pocas veces donde vemos que el capitalismo convierte en mercancía la no producción. Se supone que el trabajo de los medios de comunicación es producir información, circularla de modo que se consuma para sus distintos públicos o receptores, y el capitalismo ha conseguido que los medios cobren por no producir, es decir, por no informar.

Lo que ha pasado en los últimos años es que con el avance de los medios masivos de comunicación no de posesión privada, o sea que están en litigio o en pelea, o que son como terreno de lucha como el internet, la prensa tradicional ha ido perdiendo poder, poder de difusión y por supuesto, capacidad de comunicación.

Tengo aquí unos datos y voy a citar al autor porque pide que cada vez que se usen sus datos se le cite, que es Francisco Vidal Bonifaz, él hace un análisis del tiraje de los principales periódicos en México (nota: probablemente el de la voz se refiere al libro “Los Dueños del Cuarto Poder”, editorial planeta, donde el autor, Francisco Vidal Bonifaz hace un análisis exhaustivo de la prensa en México. En ese libro y en el blog “La Rueda de la Fortuna – ruedadelafortuna.wordpress.com-, se pueden encontrar esos datos, así como los tirajes de cada publicación, el estatus económico y educativo de sus lectores, etc. El libro y el blog son recomendables para cualquiera que quiera conocer más a fondo lo referente a la prensa mexicana. Nota cortesía de “Los Tercios Compas”). Los principales periódicos en México, en esta especie de provincialismo inverso que tienen los chilangos, consideran periódicos nacionales los que se producen en el DF, aunque el tiraje de los que hay en provincia sea mayor.

En 1994 se tiraban, a veces en sentido más que figurado, más de un millón de ejemplares entre los principales periódicos. En 2007 la producción había caído a 800 mil, el número de lectores también había disminuido escandalosamente. De una u otra forma el periodismo de investigación y el de análisis, que es el terreno que le hubiera permitido a los medios de paga competir con la información instantánea que es posible por internet, fue abandonado y dejado de lado.

Los medios de paga -en realidad no es un insulto, es una realidad, es un medio que vive de la paga ¿no?-. Alguien dice “no, es que eso de medio de paga se oye muy fuerte, muy feo, mejor usen medio comercial”. Se oye peor un medio comercial que un medio de paga.

Los periódicos no viven de la circulación, o sea de las ventas de su material, viven de la publicidad. Entonces para vender la publicidad necesitan demostrarle al que va a comprar publicidad a quién se están dirigiendo y cuáles son sus lectores. Por ejemplo, si dice –estos son los datos hasta 2008 porque luego todos los periódicos cerraron la información sobre ellos mismos–, El Universal y Reforma llegaban casi al 70% de toda la publicidad que se paga en la ciudad de México, el resto, 30% se lo peleaban los demás periódicos.

Entonces cada periódico tiene un perfil, digamos, de su lector, una clase a la que se dirige, su nivel de educación, todo eso, y es lo que se le presenta al que compra la propaganda. Es decir, si yo soy El Despertador Mexicano y mi principal consumidor son indígenas pues entonces le vendo al Huarache Veloz una plana de publicidad para que venda huaraches, o pozol, o lo que sea.

Nada más que todos los periódicos de prensa, incluso los que se dicen de izquierda, presentan en su análisis el perfil de su lector, todos, absolutamente todos, tienen entre el 60 y el 70% de sus lectores en las clases con alto poder adquisitivo. Los únicos que reconocen que sus lectores son de bajo poder adquisitivo y de baja educación son Esto, el Ovaciones y La Prensa. Todos los demás periódicos se dirigen a la clase alta, digamos, o a los de arriba.

Es evidente que esa clase con mayor poder adquisitivo puede acceder a la información en forma más instantánea. ¿Para qué esperarse a ver qué va a pasar, qué está pasando en otra parte del mundo, a que sale el periódico, si en ese instante puedo saber qué está pasando en Gaza, por ejemplo? ¿Por qué me voy a esperar al noticiero o a leer si ahí puedo ver?

Ahí no hay terreno de competición porque la súper velocidad en esos medios de comunicación hace que las exclusivas o las primicias en una noticia se esfumen ante la competencia de esta velocidad. Entonces todos estos medios, incluyendo los progresistas, se están peleando por el rating, o sea, por ese público de clase media-alta y de alta, hay otra clase que es riquísima, que es más allá de todo, yo creo que son los que producen la información.

Sólo tienen dos opciones para sobrevivir los medios de paga, porque son de paga. O contratan su supervivencia con quien todavía puede pagar, o sea la clase política, que hace sus comerciales y su propaganda pero en otro sentido, incluso si ven las tarifas que ponen cada periódico por desplegado de plana entera, media plana, tres cuartos, hasta el módulo que le dicen, que es el más chiquito, hay una tarifa especial para publicaciones no comerciales, que son las gubernamentales, y otra tarifa para las gacetillas, que son por ejemplo las entrevistas, que nadie entiende qué hace en un periódico porque a nadie le interesa qué vaya a decir tal gente, es que paga. Las tarifas más altas son las no comerciales, o sea las que paga el gobierno, y las gacetillas, las inserciones pagadas disfrazadas de información.

La otra opción que tenían era desarrollar el periodismo de investigación y de análisis que no ofrecía internet. No ofrecía hasta que aparecieron espacios como al que hoy nos referimos como medios libres, autónomos, alternativos (etcétera voy a decir ya, porque en eso se me va la vida). Lo que sí se podía hacer es que, de lo que está pasando de la información que fluye así atropelladamente, se hiciera un análisis, una disección, se acomodara y se investigara qué hay detrás, por ejemplo, de la política del gobierno israelí en Gaza o de la política de Manuel Velazco en Chiapas, o así en cualquier parte.

Nadie con un mínimo de criterio se informa a través de los periódicos de lo que está pasando. Ustedes son un mal ejemplo porque ustedes no son clase media-alta ni alta pues, si fueran no estarían aquí. O sea la broza, la banda dice “no, pues quiero enterarme qué está pasando en Chiapas, voy a leer el profundo análisis periodístico de investigación de Elio Enriquez”. Nadie lo hace.

Nadie dice “¿qué está pasando en Gaza? Voy a leer a Laura Bozzo para que me diga cómo está explicando”. No, ese terreno ha sido completamente abandonado, en cambió son a través de las páginas y de los blogs donde se está cubriendo ese terreno.

Este lánguido desaparecer o retroceder de los medios de paga no es responsabilidad del EZLN, por supuesto tampoco es responsabilidad del finado SubMarcos. Es responsabilidad del desarrollo del capitalismo y de esta dificultad para adaptarse. Los medios de paga van a tener que evolucionar a convertirse en medios de entretenimiento, es decir, si no te puedo informar cuando menos diviértete conmigo. S no incide por el otro lado el periodismo de análisis y de investigación, que cualquier reportero que sea honesto, de un medio de paga, te puede decir “no, pues es que eso no me lo publican”; y gana más el periódico por no publicar ese tipo de artículos que por publicarlos.

Es esto que les decía de que la no producción se convierte en una mercancía, en este caso el silencio. Si un periodista medianamente decente y con un mínimo de ética hace una investigación sobre la implicación de los gobiernos estatales de Salazar Mendiguchía, Juan Sabines Guerrero y Manuel Velazco con la CIOAC-Histórica, saldría que hay mucho dinero que se está moviendo ahí, incluyendo el que reparte la señora Robles de la campaña nacional contra el hambre.

Pero se vende mejor el no publicar ese artículo que el publicarlo, porque quién lo va a leer, ¿lo van a leer los enemigos de esos próceres de la patria? En cambio callando y mejor hablando de lo bien que está quedando la capital Tuxtla Gutiérrez con las obras urbanísticas que están haciendo Toledo, que es el presidente municipal, y Manuel Velazco, eso sí vende aunque sea pura mentira. Nosotros checamos los twitters de los periodistas, son periodistas de paga, trabajan en medios de paga pues, pero que sí están informando de eso, de la imagen de guerra que presenta la capital de Chiapas por estas obras completamente anacrónicas y absurdas que se están haciendo.

Pero por ejemplo, viene gente que viene de Veracruz, yo creo que esa gente diría “bueno, pues es que nosotros para saber que está pasando en Veracruz leemos el Heraldo de Xalapa –si es que existe’. Van a decir ‘oye, no chingues Sub, por qué estás si ésos no tienen nada que ver”.

Entonces el problema que tenemos todos en el mundo es, si ni la información, ni el análisis, ni la investigación están ya en los medios de comunicación, si es que alguna vez estuvieron, entonces dónde los vamos a encontrar. Hay un vacío pues en el espacio mediático que está en disputa.

Lo que se trataba de señalar también en esa despedida es que los medios que tanto se habían preciado de crear personajes, se preciaban por ejemplo de haber creado ellos a Marcos, aunque desde entonces se han esforzado por crear personajes y no sólo no consiguen construir un personaje internacional, mucho menos nacional, aunque les pagan, como López Obrador.

No se puede. Ahorita los personajes que han surgido, que han conmovido o movido algo la información a nivel nacional, no provienen de los medios, más bien son a pesar de ellos. No sé si lo voy a decir bien, Julian Assange, que con la revelación de todos los documentos le demostró a los medios de comunicación a nivel mundial que no estaban informando lo que estaba ocurriendo y se convierte en un referente. Aunque es parte de un colectivo los medios trabajan sobre él. Incluso hay una película sobre él como personaje, aunque todos sabemos que es un colectivo.

La señorita Chelsea Manning, que se hizo una operación para ser ahora Chelsea Manning, y Snowden, todos ésos lo que han hecho es revelar lo que está oculto y lo que debió haber sido trabajo de los medios de comunicación el haber revelado. Pero los que realmente han trastocado el mundo de la información son colectivos donde el individuo está completamente diluido, como Anonymous, que ahora se dice “es que de Anonymous ya no se sabe nada, no se muestran”. Lo que es absurdo porque si son anónimos por qué les vamos a pedir que se muestren.

En fin, lo que nosotros hemos visto es que el anonimato del colectivo es el que está pasando a suplir y a poner en crisis este afán mediático de los de arriba de encontrar individualidades y personalidades.

Nosotros pensamos que tiene que ver mucho con la formación del medio. Si en los medios de paga es una estructura que envidiaría cualquier ejército en cuanto a su verticalidad, autoritarismo y arbitrariedad, con lo que es un medio colectivo, o sea medio alternativo, libre, autónomo, etcétera, es otra forma de trabajo y otra forma de hacer.

Digamos que en los medios de paga importa más quién hizo la información. Si ustedes revisan las noticias que hubo en los medios de paga cuando se cumplieron 20 años del alzamiento, en enero de este año, la mayoría de las noticias son de lo que los periodistas hicieron 20 años antes, no de lo que pasó: ‘yo entrevisté a Marcos’, ‘yo hice la tal entrevista’, ‘yo fui el primero que entré’, ‘yo escribí el primer libro’. Qué pena que en 20 años no hayan hecho otra cosa de la que acordarse.

Pero es ese criterio el que pesa. La exclusiva. No saben lo que importa tanto en un periodista y lo que lo lleva a hacer, a que haga pues, por conseguir una exclusiva. El hecho de poder tener la exclusiva de la última entrevista de Marcos o la primera de Galeano vale, cuesta, incluso aunque no se publique, porque como les explico, también callar es una mercancía y se puede vender.

En cambio yo quiero pensar que en los colectivos de los que forman parte ustedes y otros que no pudieron llegar, la forma de trabajo hace que pese más la información que quién la produce. Cierto, hay unos que todavía tienen que aprender a redactar, pero la gran mayoría rivaliza en ingenio, en análisis, en profundidad y en investigación de lo que está ocurriendo.

Lo que nosotros vemos es, en este desmadre que está el mundo capitalista, dónde conseguimos la información. Si nos vamos a internet y googleamos, como se dice ahora, Gaza, pues podemos encontrar que los palestinos son unos asesinos que están inmolándose nomás para destruir moralmente al ejército israelí, o al revés. Puedes encontrar lo que sea. ¿Dónde vas a encontrar la información de lo que realmente está pasando? Lo ideal es que los palestinos nos dijeran qué está pasando, no a través de otros.

En este caso, por ejemplo, nosotros decimos, ¿no sería mejor saber qué están diciendo los zapatistas? a que alguien nos diga lo que él cree que debían haber dicho, ni siquiera es lo que creen que dijimos, es lo que debimos haber dicho. Como quien dice que en el texto de la luz y la sombra, Marcos dice que ya nunca va a escribir, por lo tanto Galeano no va a poder escribir, aunque no se fijaron que cuando todos se despidieron, el gato-perro queda. Hay muchas cosas que se pueden ver ahí pero no importa ahorita.

Lo que nosotros queremos señalar es, la mejor información es la que proviene del actor no del que está cubriendo la noticia. Los que pueden hacer eso son los medios libres autónomos y alternativos. Lo que les estoy diciendo, compañeros y compañeras ycompañeroas, es una tendencia, no es algo que va a pasar ahorita. O sea, no se pongan como pavorreales, a decir “ahora sí que somos la neta y el mundo depende sobre nosotros”.

Es una tendencia que nosotros vemos con esta maldición que tenemos de ver las cosas antes de que pasan. Vemos que los medios de paga, como medios de información, están en franca decadencia, no por su culpa pues, tiene que ver con haber abrazado a una clase política que también va en decadencia para sobrevivir y eso se entiende.

Nosotros no criticamos que alguien trabaje en un medio y de eso viva. Sí pensamos que la dignidad y la decencia tienen un límite y que hay límites que ya se están pasando, pero eso es cosa de cada quién, nosotros no los vamos a juzgar. Lo que vemos es que el problema en un medio de paga es la supervivencia, entonces su supervivencia va por un lado al que no están siguiendo y están siguiendo más a lo inmediato.

A largo plazo el medio de paga, como algo que compras y consumes, va a desaparecer. ¿Para qué compras el periódico si lo puedes consultar en la red? Pero además no vas a buscar la información ahí, no vas a buscar el análisis de lo que está pasando.

Entonces nosotros decimos, si nosotros queremos saber qué está pasando en Michoacán, lo ideal sería que nos dijeran los de Michoacán qué está pasando. Nosotros pensamos que si la gente de otras partes del mundo o del país quiere saber qué está pasando con los zapatistas hay cuando menos un espacio donde sí se pueden enterar.

Quiero decir con esto que nosotros no queremos militantes para eso, militantes de la comunicación zapatista, para eso está la maldita idea de los tercios medios. Nosotros queremos escuchas, o sea que la gente que quiere enterarse se entere de algo veraz, o de un análisis profundo o de una investigación real, tomando en cuenta lo importante que es una noticia o una información, y no quién la produce.

Nosotros vemos que a largo plazo los medios libres, autónomos, alternativos, van a llenar o pueden llenar –no sabemos si lo van a hacer–, pueden llenar ese vacío que se está produciendo ahora en el intercambio de información a nivel mundial. Internet no lo llena aunque lo crean, en internet puedes encontrar lo que tú quieras, si estás a favor de algo encuentras argumentos a favor, si estás en contra de algo ahí mismo encuentras los argumentos en contra.

Se necesita pues que esa información tenga un espacio donde se acomode, que sea legible. Y ése es, nosotros decimos que a grandes rasgos y en una tendencia, es el que van a cubrir los medios de comunicación alternativos, autónomos, libres, o como se llamen.

Y eso es lo que les queríamos decir cuando iba a ser en Oventic, que no tienen una puta idea de la chamba que se les viene encima. Que no es que nosotros los atiborremos de que ahora vengan a La Realidad, ahora vayan a tal lado y ahí van los tercios medios, o los quintos, como vaya a salir, los quintos no, pensé, pero es albur, entonces mejor les pusimos tercios medios (nota: es evidente que al de la voz le afecta el estar tuerto, porque en realidad debió decir “los tercios compas” y no “los tercios medios”, y ya le mandamos una enérgica protesta para que la publique en el mismo espacio y la misma importancia que su gazapo. Nota cortesía de “Los Tercios Compas”).

No, lo que se les viene es la esperanza de mucha gente. Nosotros no tenemos esperanza en ustedes, tenemos confianza en ustedes, no en ustedes nada más los que están aquí sino en lo que son, la tendencia de que puedan cubrir ese espacio.

El problema que nosotros vemos es el de la paga ahora sí. Los medios autónomos, libres, todo eso, se sostienen… la mayoría de las veces es que los que le entran se cooperan pero tienen otra chamba, entonces el medio autónomo, libre, alternativo, es como los tercios medios (nota: gazapo y protesta reiterados. Atentamente “Los Tercios Compas”), o sea funciona cada que puede porque hay que ir a chambear, hay que talonearle para poder conseguir la paga. O duran mientras dure la lana, ya cuando se acaba la lana pues el medio desaparece. Y también puede ser que dure, ojalá no pase así, cuando el calendario impone su lógica a los integrantes, es decir, cuando crecen y maduran, como dicen allá arriba, y se dejan de locuras y de rebeldías.

Pensamos pues de que tienen ese problema y lo tienen que resolver de alguna forma, no sé cómo. Yo veo que en algunas páginas ya aparecen cosas como consejos para bajar de peso, cómo no envejecer, plancha para la piel, no sé cómo le dicen, lifting, ése que se ponen, cosas así y esoterismo y la chingada. Sí, pues el que ve ese medio alternativo pues no se fija en esas cosas y algo le entra de paga. Algunos hacen así, pero incluso para que les den eso ustedes tienen que demostrar que alguien entra a su página, alguien además de ustedes.

Nosotros bromeábamos hace muchos años con los que se encargaban de la página antes de todo esto, que decían “no, es que tal comunicado tuvo tantas entradas”. Le digo “mentira, somos nosotros que estamos clic, clic, clic, clic, clic, pero no’”.

No sé, lo mismo que los llevó a trabajar en colectivo, aparte de que varios pues le hacen a la artesanía urbana o no sé cómo le dicen, que producen y todo eso, a lo mejor mismo en colectivo pueden encontrar la forma de que ese medio no se caiga, que se mantenga y que crezca. No les queda otra, compañeros, lamento darles esa información, pero o crecen o van a desparecer. Incluso a los que esporádicamente sacan información, sólo les queda eso porque también entre ustedes empieza a haber ese desarrollo. Ojala que esa disparidad de desarrollo sea por la profundidad del análisis, por la capacidad de la investigación y lo que sea, y no porque unos sí resolvieron la paga y otros no.

Ahí lo vean pues, porque sí hay mucha gente que está esperando más de ustedes de lo que ustedes se imaginan.

Entonces sólo para aclarar el resumen. Los medios de paga existen, son reales, tienen su importancia, esta importancia se está disminuyendo tendencialmente y lo que ha hecho el EZLN es cambiar radicalmente su política de medios. No queremos hablar con los de arriba, ya les va a explicar el Subcomandante Moisés más eso en la sesión de preguntas y respuestas, que consiste en que los medios zapatistas en que nosotros hacemos las preguntas y ustedes dan las respuestas, no al revés.

Entonces lo que ha hecho el EZLN es decir: ya no nos importan ésos a los que había que dirigirse a través de Durito, del Viejo Antonio, de la prensa de paga pues, sino que ahora nos interesa la gente que entiende el hecho mismo de un gato-perro; ese reconocimiento de la diferencia y el reconocer que hay cosas que no entendemos y no porque no las entendamos las vamos a juzgar o a condenar –como un gato-perro que existe, no me lo van a creer pero existe, es real.

Lo que a nosotros nos interesa es hablar con ustedes y escucharlos a ustedes, y con eso quiero decir a la gente que a través de ustedes nos escucha y que a través de ustedes habla con nosotros. Si nosotros quisiéramos saber qué está pasando en tal lado, nosotros primero buscamos en los medios libres alternativos, es poca la información pues, pero aun así que es poca, es mucho mejor que cualquier medio de paga, que además hay que inscribirse con tarjeta de crédito para que puedas leer a los Laura Bozzo que hay en cada lado.

¿Qué pasó entonces que alteró este plan de despedida? O sea de decirle a los medios de paga ‘gracias por lo que…’, aunque la mayoría de ellos fueron cómplices involuntarios y a su pesar, de lo que fue, lo que vieron hace rato, una maniobra de diversión o un acto de magia, y advertirles a ustedes pues ahora sí que la maldición que se les viene encima.

La mayoría de ustedes son jóvenes. Nosotros pensamos que la rebeldía no tiene que ver con el calendario, no debería tener que ver con el calendario, porque nosotros vemos gente que ahora sí que ya tiene edad, no tiene juicio pues porque… (inaudible), pero siguen siendo rebeldes. Y nosotros tenemos la esperanza que ustedes sigan, aunque no sea ustedes pues, a lo mejor algunos se dividen el trabajo, “pues ustedes a conseguir la paga y nosotros a esto, nos turnamos o algo así”, pero no la dejen pues esa chamba, es realmente importante.

¿Qué fue lo que pasó? Porque si ustedes toman en cuenta este plan original donde iban a entrar todos los medios de paga, se mantenía todavía dos semanas antes, 15 días antes de que se dijera no, no van a entrar al homenaje de Galeano.

Lo que pasó fue una muerte. Sobre este hecho sólo leí, no digo que no existe, un artículo de John Gibler, que resulta que anda por ahí. Él contaba que le decía a alguien lo que había sido el homenaje a Galeano y esa persona con la que hablaba le decía ‘¿pero todo eso sólo por un muerto?’, y el trataba de decir pues es que un muerto, le explicó pues lo mejor que pudo. Y nosotros queremos decirle lo importante que es para nosotros un muerto.

Si nosotros dejamos pasar una muerte dejamos pasar dos, si dejamos pasar dos serán diez, luego cien, luego mil, luego decenas de miles como en la guerra contra el supuesto narcotráfico que hizo Calderón, se dejó pasar una muerte y después se dejaron pasar decenas de miles. Nosotros no. Sí vamos a morirnos de muertes naturales o de muertes justas, decimos que es luchando, pero no vamos a permitir que nadie, ninguno de nuestros compañeros y compañeras y compañeroas sea asesinado impunemente, no lo vamos a permitir. Y vamos a mover todas las fuerzas aunque sea uno solo, o el más ignorado, o el más despreciado, o el más desconocido.

Y el coraje que teníamos con Galeano, es que ese compañero Galeano era el que se encargaba de recibir a ésos de prensa de paga, les cargaba sus mochilas, los llevaba en sus caballos hasta donde hacían las entrevistas o hacían sus reportajes, los recibía en su casa y les daba de comer. A ésos que ignoraron y despreciaron su muerte, y levantaron a los paramilitares como si fueran héroes, víctimas de una arbitrariedad, vaya, a la hora que llegaban ni siquiera se tomaron la molestia de preguntarle cómo se llamaba y durante 20 años él se encargó de recibirlos, con alguno de ellos hasta cruzó apuestas de futbol cuando eran los mundiales de futbol.

Nosotros esperábamos una reacción de alguien con quien llevas una relación así, pero ni siquiera sabían quién era. Ellos venían a entrevistar a Marcos, ellos venían a ver a Marcos, ellos veían que el caballo, que el arma, que si qué leyó, aunque el finado Marcos sí sabía qué libros había leído. Todas esas cosas veían y no le importaba quién era el que lo estaba recibiendo.

Tal vez lo entendemos que no les importa pues era un indígena, que además ni siquiera tenía rostro, pero que le daba de comer, le cargaba las cosas, le ayudaba en el caballo, lo acompañaba, le decía dónde recorrer, de qué había que cuidarse, de todo eso. Entendemos que no le importara pero a nosotros sí nos importa, Galeano y todos y cada uno de los zapatistas. Hicimos ese desmadre y seguiremos haciendo cada vez ese desmadre, porque no vamos a permitir una sola muerte, no va a aparecer una sola que quede impune.

Y por eso cambiamos todo, y en el coraje que teníamos fue que el Subcomandante Moisés, que es el que manda ahora en eso, dijo no entra nadie de prensa, y no entró nadie de prensa de paga aunque originalmente iban a entrar todos.

Ahí en ese cuarto estuvo el cadáver del compañero Galeano. Hay un video donde está el cadáver, están rodeados y están los compañeros recriminándoles a los de la CIOAC la muerte de Galeano. No los tocaron, compañeros, yo que se supone que soy un ser controlado y todo eso cuando menos les hubiera dado un empujón. Nada, les están gritando pero no los tocan. En cualquier otro lado ahí mismo los hubieran linchado porque eran corresponsables de esa muerte y ahí estaba el cadáver.

Ahí llegamos nosotros. Nosotros estábamos en Oventic preparando, yo estaba ensayando con una silla de ruedas, aquí ese día entré a caballo, ahí iba a entrar en una silla de ruedas para alimentar esto de que estaba muy enfermo, muy jodido, ya luego al final me iba a levantar porque ya me dolían las rodillas de estar practicando.

Cuando supimos nos venimos para acá y vimos, y miren lo que no salió en la prensa ni va salir, el de ahí, aquí saliendo, el de ahí, el de ahí, el de ahí, el de ahí, son los que estuvieron en la bronca y venían aquí a la puerta del Caracol a burlarse de los compañeros que estaban aquí encerrados para que no los agredieran, así como están ustedes, estaban ellos.

Y se burlaban de cómo bailaba, decían del finado, con los garrotazos que le estaban dando, se burlaban de cómo le dispararon, cómo lo machetearon, todas esas cosas que hemos editado en la investigación porque son dolores que son nuestros. La investigación ya la terminó el Subcomandante Insurgente Moisés, no se va a hacer pública para evitar la venganza. Se le va a entregar al Frayba con los nombres y todo eso, ya sabemos quién fue.

En esa situación estábamos, compas, y no podíamos contestarles ni siquiera en lo mínimo porque era una pradera seca, con tantito, una chispita, se prendía todo, y hubiera sido un aquelarre de sangre aquí. Aguantamos y aguantamos pero ese coraje no lo soltamos. Todavía no lo soltamos.

Entonces la respuesta, John Gibler, es, para los zapatistas una muerte injusta es demasiado y por eso estamos dispuestos a todo.

Este manejo de los medios impone una lógica inhumana, absurda, fuera de lugar en todo el mundo. Miren, por ejemplo los niños y niñas en Palestina han demostrado una gran paciencia para morirse, porque se muere uno y no le hacen caso, y van sumando cadáveres hasta que primero los grandes medios de comunicación voltean a ver, y siguen muriendo para que ya salga la imagen. Y siguen muriendo para que la imagen sea vista y tienen que morirse de una forma escandalosa pues, indignante, para que la gente de arriba empiece a decir “oigan, no, qué estamos haciendo ahí”, o sea para hacer algo.

Cada vez nos sorprende más a los zapatistas lo poco de humano que hay en la humanidad de arriba. ¿Por qué es necesaria tanta sangre para que digan algo? Y luego resulta que matizan su posición: “sí mátenlos pero no lo muestren porque nos pone en evidencia”

Robert Fisk, que escribe en El Independiente, de la Gran Bretaña, decía de otra forma esto que estamos diciendo: es que los grandes medios de comunicación están en crisis porque la gente que los lee –que es clase alta, de alto poder adquisitivo y bien informada, dicen–, está indignada que por qué los tratan como idiotas los medios de comunicación tratando de presentar la masacre que hay en Gaza como si fuera un enfrentamiento o como si la culpa fuera de Hamas. Se siente la gente insultada pues, no porque tengan paga son tontos, algunos sí lo son, pero sí tienen inteligencia y se sienten insultados, y lo reconocía en un artículo, decía ‘es que estamos en crisis, la gente ya no nos cree, no nos toma en serio, pero además nos lo reclama’. En otros lados eso ya tiene años que está ocurriendo, como aquí en México.

Esto pues que está pasando en Palestina, de lo que nadie habla, de esa paciencia mortal de la niñez palestina, y nosotros decimos que es responsabilidad del gobierno de Israel. Nosotros siempre diferenciamos los gobiernos de los pueblos, sabemos que está la tendencia natural, aunque en otra ocasión habíamos dicho que el problema no es sionismo o antisemitismo, como quiera siguen los grandes cabezas diciendo tonterías por el estilo.

Nosotros no podemos decir que porque el gobierno de Israel es asesino, el pueblo de Israel es asesino, porque entonces van a decir que el pueblo mexicano es idiota porque el gobierno mexicano es idiota, y nosotros, cuando menos, no somos idiotas. Hay gente en Israel, no sabemos cuántos, noble, consiente, honesta, no necesita ser de izquierda, porque la condena a lo que está pasando en Palestina no tiene que ver con la posición política, es una cuestión de decencia humana, nadie puede ver esa masacre y decir que no está pasando nada o que es culpa de otro.

Esto que les explico de la crisis de los medios de paga y la emergencia de los medios libres, alternativos o autónomos, es una tendencia en la que en el largo camino de los medios libres o autónomos les van a pasar cosas, yo no quería decírselos, pero hay que decírselos.

Hay gente que se va a desmayar, dicen los compas, que es cuando se rinde uno, cuando deja su trabajo, la lucha, es que se desmayó dicen, es que se dejó la lucha.

Gente a la que los medios de paga le van a hacer así, ven para acá –a comer mierda, dijo un subdirector de un periódico, pero te van a pagar por comer mierda–, sea porque escribe bien, porque tiene buenos análisis, o porque encuadra bien la foto, el video o lo que sea.

Y se van a ir unos, otros que los van a traicionar, van a decir “no, ni madre, ese texto no es cierto, lo inventó”, o lo que sea. Y otros que van a claudicar. La claudicación es una palabra que entienden bien los compas, que quiere decir que estás en un camino y dices “ah no, siempre no, por aquí no, mejor me voy por otro”. Casi siempre en este caso tiene que ver no con dejar una chamba, que a veces uno tiene que trabajar para vivir, sino con dejar una posición respecto a lo que es el manejo de la información, en este caso de los medios libres, autónomos o alternativos.

Los problemas que van a tener es el de la paga, o sea tienen que sobrevivir. Supervivencia. Ése es su problema, no sólo como medios sino también como seres humanos tienen que comer todavía, ¿no? Aunque algunos ya lo están superando pero…

Lo que queremos que sepan ustedes también, y a través de ustedes otros medios libres, es que nosotros sí les reconocemos ese esfuerzo y sacrificio. Sabemos que es un pedo venir hasta acá para alguien que tiene paga, para alguien que no tiene paga es algo heroico. Nosotros se los reconocemos, lo conocemos, lo sabemos y los saludamos. Tengan seguro pues que si alguien va a tomar en cuenta eso que están haciendo, somos nosotros.

¿Dónde vamos a buscar la información? ¿En los medios de paga? No. ¿En las redes sociales? Tampoco. ¿En el inestable y encrespado mar de la red? Tampoco, te digo, puedes encontrar lo que sea.

Entonces hay un vacío sobre dónde está la información. El medio que usan ahora es también su límite, llegan a más gente pero también es el límite porque la gente que no tiene internet de mediana velocidad, que yo los reto a que bajen ahorita una página de ustedes, mta, me cae que hay otra guerra, otro alzamiento y hasta ganamos la guerra y no acaba de bajar completo. Debiera haber una versión así más ligera o algo así, la de esmarfon o lo que sea. Pero la mayor parte de sus interlocutores, o de los que debieran ser sus interlocutores no lo manejan, pero esto puede cambiar.

Nosotros decimos que en estos tiempos el medio principal de comunicación es la escucha, por eso nosotros nos referimos a ustedes como los “escuchas”. Hay gente, le decía yo a Moi, que tiene necesidad de hablar, no le importa si no la están escuchando, tiene que hablar y sobre lo que sea. Pero hay gente que sí se preocupa porque la escuchen, y para que la escuchen es que está apostando porque ese mensaje o esa palabra llegue más lejos.

La preocupación de los compañeros, compañeras, del CNI que vieron, es que traían encargo de que los escucharan. A diferencia de la otra campaña. Yo me acuerdo de esas pesadillas múltiples, el diván colectivo de “azótese, nosotros vamos”, que fue La Otra Campaña, donde cada quien decía lo que le venía, no le importaba si lo estaban oyendo o no, si le estaban entendiendo o no, el chiste era sacar ahora sí que como quien dice, su gana. Además era gratis, imagínate lo que te sale eso en el psicoanalista o en psiquiatra o como se diga ahora.

Entonces nomás avisarles que el medio es también el límite y hay que buscar. La fuente directa aparece ahora como la principal, y nosotros decimos: los pueblos originarios son los especialistas en escuchar. En realidad les estoy advirtiendo lo que se viene con el festival mundial de la rebeldía y la resistencia, o sea como un exhorto a que no sea el papelón de las reuniones de La Otra, las preparatorias y todo eso, porque estos compañeros y compañeras de los pueblos originarios son especialistas en el arte de la escucha, en la comunicación por excelencia.

Que el que está siendo el actor, o padeciendo, o ejerciendo una acción, te diga cómo lo ve, eso no impide que haya un análisis. Es lo que tú me dices pero yo veo tales cosas. Es el trabajo pues del informador.

Y nosotros vemos también en este manejo de los medios, a partir de la desgracia de la muerte de Galeano, que también en los medios está esta diferencia entre la limosna y el apoyo. En los medios de comunicación de paga si te ponen atención es algo que debes agradecer, y es algo que no le perdonan a los zapatistas, “todavía de que les echamos la mano”, ellos dirían “y nos muerdes la mano que te ayuda”. Nosotros no queremos indigestarnos, escupimos la mano, porque también la atención de los medios es para ellos una limosna.

En cambio, para los medios libres, alternativos, autónomos, etcétera, no es una limosna. Es un deber que están cumpliendo, que lo hacen a pesar de todas las dificultades que tienen, y es lo que nosotros decimos “un medio compa”. Ya sé que Tacho les hizo pedazos, por eso sacamos lo de los tercios compas, pues (nota: ahora sí el de la voz lo dijo correctamente. Atentamente “Los Tercios Compas”).

Pero ésa es la diferencia entre un medio de paga y un medio compa. No es que uno tiene dinero, o cobra, o no. La diferencia está en que para unos somos una mercancía, sea que hablen de nosotros o que no hablen; y para otros somos un espacio de lucha como el que ellos tienen y como hay miles en todos los rincones del mundo.

En el evento de ayer que era abierto a la prensa, sólo vinieron tres periodistas, cuatro, uno era de los tres vizcondes que calumniaron la muerte de Galeano, ése no entró. Los otros tres: era uno de Proceso, uno que hace trabajo en prensa en la frontera sur y otra que trabaja con Aristegui. Hasta ahorita sólo había sacado el de Proceso, pero ningún otro medio vino, no sé si es así tipo Paquita la del barrio, de despecho, lo que sea pues.

O cuántos muertos, porque no era un acto del EZLN, era del CNI, o cuántos muertos tiene que tener el CNI para que lo volteen a ver. “Muchos”, dirán los medios, para que se hace una mercancía, y luego para ver si vendemos que te mencionamos o vendemos que no te mencionamos.

La diferencia para nosotros es que el apoyo que se da al compañero no pone condiciones porque sabe que en realidad es parte de la misma lucha.

Entonces lo que nosotros vemos en este panorama caótico que les presento, es que con la ultra rapidez y el atiborramiento, abigarramiento, de información que hay, es paradójico que el mejor nivel o el nivel supremo de comunicación sea la compartición, este nivel directo.

Los compas han descubierto algo que ustedes han descubierto en su trabajo, que es el poder de la escucha. Si no es posible que todos estemos escuchando esto entonces se necesita alguien que agarre esa palabra y la aviente para atrás decimos nosotros, o sea con los pueblos, que es lo que hacen los escuchas. Y de una u otra forma es lo que hacen ustedes.

Pero como éste es el (según nosotros, ya saben, nosotros no sabemos nada de medios de comunicación), el nivel supremo ahora es la compartición y por lo tanto los que mejor lo manejan es a los que hay que escuchar. Me cae que los pueblos originarios están cabrones en eso, de la paciencia, todo eso, pero ya les va a platicar más el Subcomandante Moisés de eso.

Eso es lo que yo les quería decir. Compañeros y compañeras, no va a haber preguntas porque me cae que en 20 años ya me preguntaron todo lo que me tenían que preguntar, y yo creo que he recibido un certificado de impunidad para no contestar nada, pero ésta se las debíamos.

Todavía lo íbamos a hacer en esa madrugada pero como a mí me tienen ahora de tercio medio (nota: mmh… el de la voz no aprende. ¡Los tercios compas!) y estaba checando que les estaban pirateando todo, dijimos no, mejor que se lancen porque no es justo lo que están haciendo los medios de paga, porque además fue, no fue un robo, fue un despojo de desprecio. O sea, voy a agarrar y no voy a decir de quién fue porque a quién le importa ese pinche tuit o esa pinche página que nadie ve.

Que era el reclamo, según nos cuentan, que hacían los grandes medios de comunicación que llegaron a San Cristóbal: “ese Marcos está loco, cómo escoge a gente que ni siquiera tiene diez entradas en su página –así que denle más clic (inaudible), lleguen si quiera a cien–, y no nosotros que tenemos millones de lectores”.

Entonces se las debíamos, compañeros, ahí está. Galeano no se va a quedar callado, a veces va a hablar Tacho, a veces Moisés, a veces Galeano, a veces el que sea, el gato-perro, el que sea. Lo importante aquí es que cambió el interlocutor, uno. Dos, lo importante es la tendencia que nosotros vemos en su aparición como medios libres, autónomos, alternativos, etcétera.

El hecho de que hayamos creado los tercios medios (nota ¡Arghhhh! L-o-s T-e-r-c-i-o-s C-o-m-p-as!) para que no tengan que pararse esta chinga de venir hasta acá, para estarles mandando material. Es no sólo eso que reconocemos y valoramos su trabajo, sobre todo reconocemos y valoramos el sacrificio y la chinga que hacen para voltear a ver para acá.

Por eso también a ustedes en especial y en general a todos los compañeros de la Sexta, gracias.

Es todo ciudad Gótica. (nota: el de la voz quiso imitar la voz del supervillano Mr Bane, pero no le salió)

Fin de la intervención del SupGaleano.

(Transcripción del audio original a cargo de “Los Tercios Compas”. Eso sí, bajo protesta y algo encabronad@s por los gazapos, pero ni modos, así es la chamba, que se sufre pues)

Copyleft: “los tercios compas” 12 agosto del 2014. Se permite la reproducción sin recurrir al autoerotismo, la circulación underground y el consumo en modo “atásquense que hay lodo”.

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clausura2SECONDA DICHIARAZIONE DELLA CONDIVISIONE CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO ED ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

LA SPOLIAZIONE DEI NOSTRI POPOLI

“La terra ci ha visto nascere, ci dà la vita ed in essa infine riposiamo in eterno. Per questo siamo di tutti i colori che siamo, di tutte le lingue che parlano i nostri cuori, per questo siamo popoli, siamo tribù e siamo nazione. Siamo le guardiane ed i guardiani di queste terre, di questo paese, il Messico, di questo continente e del mondo”. (EZLN, agosto 2014)

 

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Ai popoli del mondo che resistono e fanno sbocciare ribellioni.

La spoliazione di quello che siamo come popoli originari è il dolore che ci riunisce nello spirito della lotta che oggi commemoriamo nel nostro compagno David Ruíz García, deceduto condividendo il dolore dei fratelli dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per l’assassinio del compagno Galeano e per essere uno nella nostra storia e nella nostra speranza.

La morte del compagno, che rinasce oggi collettivamente nei 28 popoli, colori e lingue riuniti nel Caracol Zapatista della Realidad, nella condivisione come popoli originari ci suscita la gioia di incontrarci, di saperci vivi come vivi sono i popoli, le lingue, la storia collettiva che si fa memoria, resistenza e conseguenza verso la nostra madre che è la terra che è anch’essa viva ed alla quale dobbiamo tutto.

La nostra lotta è diversa ed il nemico si chiama spoliazione perché è quello che vediamo, moriamo e viviamo tutti i giorni, in maniera collettiva come è il mais, come è il compagno Galeano, come è il compagno David e come sono i nostri fratelli e sorelle alle quali è stata strappata la vita in questa guerra di sterminio.

È diversa questa spoliazione che ha un solo nome, si chiama capitalismo.

Dal princpio il capitalismo è cresciuto sulla SPOLIAZIONE e sullo SFRUTTAMENTO. SPOLIAZIONE e INVASIONE, sono le parole che meglio descrivono quello che chiamarono la conquista dell’America, spoliazione e furto delle nostre terre, dei nostri territori, dei nostri saperi, della nostra cultura. SPOLIAZIONE, accompagnata da guerre, massacri, prigione, morti ed ancora morti che diventano vita collettiva perché noi popoli siamo qui, e continueremo ad esserci.

Dopo la guerra di Indipendenza, la nascita della nuova nazione, la riforma liberale e la dittatura di Díaz, il Messico è nato negando i nostri popoli attraverso costituzioni e leggi che privatizzavano le nostre terre e legittimavano il saccheggio dei nostri territori. Migliaia di nostri fratelli, decine di nostri popoli sono stati sterminati con campagne militari ed il loro esilio di massa.

Nonostante un milione di indigeni e contadini morti durante la rivoluzione, le leggi agrarie varate poi, furono inspirate da Venustiano Carranza e Álvaro Obregón, gli assassini di Emiliano Zapata, col fine di proteggere i latifondi, impedire la restituzione delle terre, acque, aria e monti comunali dei popoli e trasformare la proprietà comunale in ejidal. Cioè, hanno voluto ammazzarci una ed un’altra volta, ammazzarci come popoli ed ammazzarci individualmente. E dopo tanta morte continuiamo ad essere i popoli vivi e collettivi che siamo.

La risposta alla spoliazione e allo sterminio furono la ribellione e la resistenza. Centinaia di ribellioni in Bassa California, Sonora, Chihuahua, Nayarit, Jalisco, Guanajuato, Michoacán, Querétaro, Veracruz, Stato del Messico, San Luis Potosí, Hidalgo, Morelos, Puebla, Guerrero, Oaxaca, Chiapas, Yucatan, Campeche e Quintana Roo, ed in particolare la rivoluzione zapatista; sfidarono la società colonialista, esplose tutte dopo la riforma liberale sfociarono nel movimento armato del 1910 e difesero con le armi il possesso della terra comunale fino ai tempi della riforma agraria e dell’esproprio petrolifero cardenista.

Attualmente i capitalisti neoliberali, con l’appoggio di tutti i partiti politici ed i malgoverni capeggiati dal criminale e capo paramilitare Enrique Peña Nieto, applicano le stesse politiche di spoliazione su grande scala che applicavano i liberali del diciannovesimo secolo, i carranzas o gli obregones, appoggiandosi alla militarizzazione e paramilitarizzazione, assistiti dai servizi segreti statunitensi, in quelle regioni dove le resistenze si oppongono al sopruso.

Come i governi di quei tempi, gli attuali governanti consegnano i nostri territori ed i beni che si dicono della Nazione, alle grandi imprese nazionali e straniere, perseguendo la morte di tutti i popoli del Messico e della nostra madre terra, ma la morte tra i nostri popoli rinasce nella collettività.

Ribadiamo che le nostre radici sono nella terra, e le spoliazioni di cui abbiamo riferito nella Cattedra Tata Juan Chávez Alonso nell’agosto del 2013 sono il nostro dolore e la nostra rabbia; da dove nascono la nostra determinazione e la nostra ribellione. Che sono la nostra lotta irrinunciabile e la nostra stessa vita. Sono spoliazioni ancora tanto vive come allora e che inoltre si sono moltiplicate in nuove forme ed in nuovi luoghi, che diventano lotte e resistenze nelle quali vediamo specchi che si riflettono nello specchio che siamo:

Specchio 1: Sulla costa nahua dello stato di Michoacán, l’ambizione sulle ricchezze naturali è stata motivo, dall’anno di 2009, di 31 omicidi e 5 sparizioni per mano dei Caballeros Templarios che dipendono dalla corruzione nelle strutture del malgoverno, che hanno protetto l’esproprio di terre comunali di presunti piccoli proprietari che a loro volta sono elementi del crimine organizzato della regione, il saccheggio illegale di minerali e legni preziosi per essere esportati da imprese transnazionali cinesi dai porti di Manzanillo e Lázaro Cárdenas amministrati dal malgoverno e dalla sua corruzione che ha lasciato una scia di lutti, di dolore, brutalità di fronte a cui la comunità di Ostula si è rafforzata con la crescente ribellione che gli permette di mantenere la sicurezza e fermare il saccheggio delle sue risorse. Tutto questo mentre i malgoverni non smettono di minacciare di disarticolare il diritto dell’autodifesa indigena imprigionando o ammazzando i leader comunitari, come un avviso di distruzione.

Specchio 2: Il territorio nahua e totonaco del Totonacapan, Veracruz, è distrutto dai fuochi dei gas, dagli sversamenti tossici dai condotti danneggiati che hanno devastato le fonti di acqua della regione. Tutto questo come parte del Proyecto Paleocanal de Chicontepec, ora rinominato Aceites Terciarios del Golfo dove si sfruttano 29 campi petrolieri su una superficie di 3.875 chilometri quadrati, dove si stanno sfruttando 1.500 pozzi petrolieri in 14 province della regione, uccidendo fiumi e ruscelli a causa di centinaia di sversamenti provenienti da 2.220 guasti nelle condutture che si sono verificati dal 2010 ad oggi, con la minaccia di altri 33 mila guasti da riparare, secondo le informazioni della Commissione Nazionale per gli Idrocarburi. Si sono verificate rotture per lo scoppio di dinamite e fratture idrauliche (fracking) in 1.737 pozzi in tutta la zona. In questa stessa area sono state inoltre rilasciate numerose concessioni minerarie che mettono a rischio l’integrità del territorio.

Specchio 3: Il Popolo Wixárika anche se si trova sui confini degli stati di Jalisco, Nayarit e Durango, ha un territorio continuo e la sua organizzazione autonoma è forte ed ancestrale. Oggi affronta attacchi su diversi fronti, dalle antiche invasioni agrarie per le quali è stata ordinata la restituzione delle terre alla comunità di San Sebastián Teponahuaxtlán, ma la restituzione non è avvenuta a causa dei confini non definiti tra gli stati. Il suo territorio è attraversato da strade il cui obiettivo è la sottrazione delle risorse naturali della regione, come nel caso della comunità di Santa Catarina Cuexcomatitlán, che dal 2008 sta bloccando, attraverso forti mobilitazioni, la costruzione della strada Amatitán-Bolaños-Huejuquilla ed attualmente il governo dello stato di Jalisco si rifiuta di riparare i danni causati al suo bosco, alla sua strada comunale ed i suoi luoghi sacri, malgrado la comunità abbia ottenuto sentenze giudiziarie favorevoli.

Nello stato di Durango, la Comunità Wixárika Autonoma di Bancos de San Hipólito continua la sua lunga lotta per il riconoscimento del proprio territorio ancestrale, esercitando l’autonomia come unica via per continuare ad esistere come popolo originario.

Per i nostri popoli il territorio non solo è agrario ma cerimoniale e per il popolo Wixárika il principale dei suoi luoghi sacri si trova nel deserto di Wirikuta, San Luis Potosí, che oltre ad essere minacciato da 5 imprese minerarie che possiedono più di 78 concessioni, viene saccheggiato senza alcuna autorizzazione da risorse quali antimonio, uranio, oro ed argento nelle zone di San José de Coronados e la Presa Santa Gertrudis, nei municipi di Catorce e Charcas.

Specchio 4: Nel municipio di Villa Guerrero, Jalisco, la comunità Autonoma Wixarika-Tepehuana di San Lorenzo de Azqueltán nonostante possieda titolo di proprietà vicereale dall’anno 1733, non è riconosciuta nel suo territorio ed al contrario, si è messa alla mercé di cacicchi e governi la superficie territoriale che è sempre stata sua. La foresta è disboscata, il territorio invaso e distrutti i suoi luoghi sacri, come il Cerro Colotlán, dove il malgoverno ha dato il suo avallo e denaro ai proprietari terrieri perché usino centinaia di pietre cerimoniali come muri di pietra per presunte opere di protezione del suolo. Questo non solo è una spoliazione, ma un genocidio.

Specchio 5: Nell’Istmo di Tehuantepec, dove vivono i popoli Ikoots e Binniza delle comunità di San Mateo del Mar e San Dionisio de Mar, così come il popolo di Juchitán e della colonia Álvaro Obregón, le imprese Endesa, Iberdrola, Gamesa ed Unión Fenosa Gas Natural Fenosa, Demex, filiale di Renovalia Energy, Electricité de France (EDF), Eolicas del Sur, Zapotecas de Energia, Grupo Mar, Preneal, Ener green Power, stanno sottraendo terre comunali e distruggendo i luoghi sacri in tutta la regione, dove dal 2001 sono stati occupati in maniera illegale più di 32 mila ettari, dove hanno installato su terre comunali 1.600 generatori eolici a Juchitan ed Unión Hidalgo per i parchi eolici Biiyoxo e Piedra Larga I e II, attualmente l’assemblea dei comuneros di Unión Hidalgo si oppone all’espansione di questi parchi sui terreni comunali di Palmar, El Llano, sulle aree protette delle piantagioni a sud delle comunità Binizaa. Territorio difeso dai nostri compagni della Asamblea Popular del Pueblo Juchiteco, Asamblea de Pueblos Indígenas del Istmo de Tehuantepéc en Defensa de la Tierra y el Territorio (APIITDTT).

Nella stessa zona dell’Istmo, la regione di San Miguel Chimalapas e Santo Domingo Zanatepec, Oaxaca, è stata invasa da 3 concessioni minerarie rilasciate alla Cooperativa la Cruz Azul nel lotto minerario chiamato Chincuyal, alla Minera Cascabel nel lotto minerario Mar de Cobre ed alla Minera Zalamera nel lotto minerario Jackita, sussidiaria della Mina Orum Gold Corporation, che coprono una superficie di 7.310 ettari su terreni dei nostri popoli. Dove esiste un’invasione da parte del governo dello stato del Chiapas, di ricchi allevatori e dell’Esercito Messicano.

A nord dell’Istmo di Tehuantepec, a sud di Veracruz, il territorio Nahua Popoluca nella Sierra di Santa Martha, è minacciato da un progetto minerario che comprende tre concessioni chiamate La Morelense 1, La Morelense 2 e L’Ampliación che mette a rischio l’ambiente e l’integrità di questa zona indigena.

Specchio 6: Nelle comunità ñatho di San Francisco Xochicuautla e Huitzizilpan, così come in un’ampia frangia dell’Alto Lerma, Stato del Messico, l’impresa Autovan vuole costruire la strada privata Toluca-Naucalpan, distruggendo un totale di 23 chilometri di bosco, oltre alla costruzione di migliaia di case e campi da golf parte come del progetto chiamato Gran Reserva Santa Fé. Questo territorio è difeso dai nostri fratelli del Frente de Pueblos Indígenas en Defensa de la Madre Tierra.

Specchio 7: Nella comunità nahua di Tuxpan, Jalisco, su pressione dei malgoverni e degli investitori nazionali e stranieri, gli indigeni hanno dovuto affittare le terre ejidali ad imprese aguacateras transnazionali con sede in Michoacán, e sono depredati dalle serre di aziende straniere come Driscolt e Aguacates Los Tarascos, che hanno provocato un cambio climatico impedendo la pioggia.

Specchio 8: La comunità coca di Mezcala, Jalisco, soffre e continua a difendere il suo territorio contro l’impresario Guillermo Moreno Ibarra che ha invaso un podere nella zona forestale della comunità, e preserva il suo possesso e proprietà ancestrale sulla Isla Sagrada che i malgoverni considerano solo un affare milionario che si può mettere in vendita alle imprese turistiche straniere.

Specchio 9: In territorio Chinanteco, nello stato di Oaxaca, sono state imposte riserve ecologiche che sottraggono il controllo territoriale ai popoli, mentre contemporaneamente il malgoverno implementa progetti di distruzione e morte come la strada Tuxtepec-Huatulco ed il Corridoio Turistico Chinanteco.

Specchio 10: Nella Huexca, Morelos, zona nahua ad oriente dello stato, è stata imposta una delle due centrali Termoelettriche nella zona a rischio vulcanico, che fanno parte del Proyecto Integral Morelos, promosse dall’impresa Abengoa e dalla Commissione Federale di Elettricità, con l’appoggio dei tre livelli di governo, dell’Esercito Messicano e della polizia statale. Inoltre, come parte di questo progetto, si vuole costruire un acquedotto per l’estrazione dell’acqua dal fiume Cuautla, che colpirà 22 ejidos del municipio di Ayala.

Specchio 11: Ad Amilcingo e Jantetelco, ei Morelos, zona nahua ad oriente dello stato e nella regione nahua della Valle de Puebla, nelle comunità di San Geronimo Tecuanipan, San Lucas Atzala, San Andres Calpan, Santa María Zacatepec, San Lucas Tulcingo, Santa Isabel Cholula, San Felipe Xonacayucan, Santa Lucia Cosamaluapan, San Isidro Huilotepec, San Buenaventura Nealtican, San Juan Amecac ed altre comunità di Puebla e Tlaxcala si vuole costruire un gasdotto di 160 chilometri in zona a rischio vulcanico, anche questo come parte del Megaproyecto Integral Morelos, promosso dalla CFE, dalle imprese spagnole Elecnor, Enagas e dall’italiana Bonatti. Negli ultimi anni in tutte le comunità i tre livelli di governo hanno esercitato una repressione brutale.

Specchio12: A Tepoztlán, Morelos, appartenente al popolo nahua, si vuole spogliare la comunità non solo delle sue terre ma anche della biodiversità del suo territorio e della cultura millenaria con l’ampliamento dell’autostrada La Pera-Cuautla, per cui sono stati abbattuti alberi ancestrali e luoghi sacri presenti sul territorio da molte generazioni, permettendo con questo l’arrivo di imprese private e l’industrializzazione delle zone più ricche di risorse naturali dello stato di Morelos. La risposta dei malgoverni è stata una campagna di discredito contro i popoli originari per giustificare la spoliazione.

Specchio13: In territorio nahua della comunità di Ayotitlan, sulla Sierra di Manantlán nello stato di Jalisco, il saccheggio di due milioni di tonnellate di ferro e di legni preziosi con l’appoggio del crimine organizzato, è stato compiuto con omicidi e sparizioni di comuneros ed ejidatarios.

Specchio 14: Nella comunità nahua di Zacualpan, nello stato di Colima, in mesi scorsi un impresario di nome Verduzco, con la complicità del governo dello stato e della Procura Agraria, ha cercato di imporre una miniera di ferro, oro, argento e manganese sul Cerro Grande, nei cui boschi si produce la totalità delle acque che forniscono Colima e Villa di Alvarez; nello stesso tempo, sul Cerro Grande il governo promuove programmi di presunta conservazione ambientale, pretesto col quale ha spogliato la comunità delle sue acque comunali.

Specchio 15: La comunità di Cherán, Michoacán sulla meseta Purhépecha, ha subito la devastazione ed il furto di migliaia di ettari di boschi d parte di taglialegna legati alla criminalità organizzata in complicità col malgoverno, che hanno esercitato una violenza senza precedenti contro i comuneros, che esercitano il loro diritto ancestrale all’autodifesa del territorio nella cornice di autonomia e libera determinazione ed hanno realizzato il proprio modo di governo secondo gli usi e costumi.

Specchio 16: In territorio maya di Campeche, la spoliazione si maschera con l’affitto delle terre nelle comunità della regione dei Chenes da parte di gruppi chiamati menoniti, dove il malgoverno consegna loro denaro per rafforzare la sottrazione dei territori, oltre ad imporre la semina di coltivazioni transgeniche di soia.

Nel frattempo nelle regioni indigene della cosiddetta Riviera Maya sono stati accelerati processi di privatizzazione per progetti turistici nazionali e stranieri, così come la distruzione di innumerevoli luoghi sacri.

Il popolo Maya di Bacalar, nello stato di Quintana Roo, subisce l’imposizione di coltivazioni di soia transgenica da parte delle imprese Monsanto, Singenta e Pioneer con la complicità dei malgoverni, che mettono a rischio i suoi semi nativi, la salute e l’alimentazione come popolo originario.

Il Popolo Maya di Yucatan è minacciato da diversi megaprogetti come il parco eolico a Dzilam de Bravo, la semina di mais transgenico, il progetto del treno Transpeninsular e lo sviluppo immobiliare a beneficio solo di pochi impresari e politici corrotti.

Specchio 17: Nel villaggio Tzeltal di Chilón, Chiapas, è stata imposta la costruzione dell’autostrada San Cristóbal-Palenque sul territorio della comunità.

Specchio 18: La comunità nahua di San Pedro Tlanixco nello Stato del Messico, è stata spogliata delle sue sorgenti e delle acque del fiume Texcaltenco mediante concessioni a beneficio di ricchi impresari agroindustriali del municipio di Villa Guerrero, cosa che è costata la prigione per i suoi leader comunitari.

Specchio 19: Nello stato di Guerrero, nei municipi di Xochistlahuaca, Tlacoachistlahuaca, ed Ometepec, centinaia di comunità amuzgas, mixtecas e afrometicci, sono minacciati dalle opere di intubazione del fiume San Pedro per portarlo nella città di Ometepec, attentando al diritto basilare alla vita che abbiamo come popoli.

Specchio 20: La comunità nahua di Xoxocotla, del Ponente Sud di Morelos, in zone limitrofe al luogo sacro denominato Xochicalco è minacciata da un progetto minerario che comprende 7 concessioni in 3 municipi su una superficie di 15 mila ettari a Xoxocotla, Temixco, Xochitepec e Miacatlán, nelle comunità Tetlama, Alpuyeca, Coatetelco, La Toma, Xochicalco.

Specchio 21: Nel territorio Yaqui dello stato di Sonora, me mire sull’acqua del Fiume Yaqui sono state motivo di aggressioni storiche contro la tribù ed attualmente si vuole portare l’acqua verso la città di Hermosillo mediante l’acquedotto Independencia, a danno sia degli Yaqui, sia di centinaia di ettari della tribù mayo yoreme e degli agricoltori della Valle del Yaqui.

Specchio 22: Il popolo Náyeri, nello stato di Nayarit, è stato il guardiano storico del fiume San Pedro, dove si trova il suo sito sacro chiamato Muxa Tena, che oggi è minacciato dalla costruzione della diga Las Cruces.

Specchio 23: Nello stato di Sonora, con la costruzione della diga Los Pilares si distruggeranno i luoghi sacri del popolo Guarijío.

Specchio 24: Bachajón, Chiapas, popolo Tzeltal, è spogliato della sua terra, acqua e cultura dalla costruzione di complessi turistici nelle cascate di Agua Azul, oltre a strade e hotel, e con la repressione dei paramilitari.

Specchio 25: Il popolo Ch’ol di Xpujil, nello stato di Campeche, è stato sgomberato dal suo territorio per l’imposizione del decreto sulla Riserva della Biosfera di Calakmul che di fatto limita assolutamente l’accesso della comunità al proprio territorio.

Specchio 26: In territorio Nahua e Totonaco del Sierra Nord di Puebla, nei municipi di Tlatlaqui, Zacapoxtla, Cuetzalan, Zoquiapan, Xochiapulco e Tetela, Zautla, Ixtacamaxtitlán, Olintla, Aguacatlán, Tepatlán, Xochitlán, Zapotitlán, Zoquiapan e Libres, i progetti capitalisti di morte vogliono impadronirsi di ogni angolo del territorio attraverso l’estrazione a cielo aperto di minerali e centrali idroelettriche. Oggi il 18% del territorio della Sierra Nord di Puebla è in concessione ad imprese minerarie, poiché il governo ha rilasciato 103 concessioni alle imprese messicane Grupo Ferrominero, Industrias Peñoles e Grupo Frisco, ed alla canadese Almaden Minerals. D’altra parte esistono sei progetti idroelettrici che colpirebbero 12 fiumi su una superficie di 123 mila ettari ripartita in 18 municipi.

Specchio 27: Il territorio del popolo Kumiai ha subito invasioni di massa dovute al mancato riconoscimento, all’imposizione di ejidos ed all’attribuzione di beni nazionali nelle sue terre. Negli ultimi anni sono stati imposti progetti eolici sulle sue terre e nel territorio del popolo Kiliwa.

Specchio 28: La comunità di Nurío Michoacán nella meseta Purépecha, è stata spogliata della maggior parte del suo territorio da sentenze dettate dalle autorità agrarie dello Stato Messicano che hanno provocato numerosi morti per scontri tra comunità confinanti.

Specchio 29: Nelle comunità di Bochil, Jitotol e Pueblo Nuevo, appartenenti al popolo Tzotzil degli Altos, Chiapas, denunciano che esistono progetti di dighe che minacciano questo territorio.

Queste sono le spoliazioni che subiamo, che ci fanno essere in un’emergenza che attenta alla nostra vita ed oggi diciamo ai potenti, alle imprese ed ai malgoverni, capeggiati dal criminale capo supremo dei paramilitari Enrique Peña Nieto, che non ci arrendiamo, che non ci vendiamo e non tentenniamo.

La nostra memoria è viva perché noi siamo lei ed a lei dobbiamo e diciamo che non c’è miglior memoria che quella dei nostri popoli che oggi si riuniscono per guardarsi gli uni negli altri e la nostra lotta non finirà, perché se non ci hanno ammazzato in 520 anni di resistenza e ribellione non lo faranno né ora né mai, perché noi popoli di mais sappiamo che la milpa è collettiva e di colori diversi, così diversi che vogliamo dire una sola parola, ribelle ed anticapitalista, con coloro i quali sono fratelli della Sexta Nazionale ed Internazionale. Oggi come il mais, ci rinnoveremo nella decisione di costruire dal basso e a sinistra un mondo dove stanno molti mondi.

“IL CUORE DELLA NOSTRA MADRE TERRA VIVE NELLO SPIRITO DEI NOSTRI POPOLI”

ANDIÜMAATS NANGAJ IüT MEAWAN NÜTs KOS NEJ ÜÜCH IKOOTS MONAPAKÜY (LENGUA OMBEAYETS/IKOOT)

NA MA JOIIY RA PUIY Y RA VENI GUI JIINI (OTOMÍ)

LADXIDO GUIDXILAYU NABAANI LU XQUENDA CA GUIDXI XTINU (LENGUA DIIDXAZA/BINNIZA)

I PUJUK’AL LAK´ÑA LUM KUXUL TYI CHULRL LAK LUMALO’ (CHOL)

TE YO TALN TEJ NANATIL LUM CUXUL SOL XCHULEL TEJ LUMALTIC (TZELTAL)

LI YOON JMETIK BALUMILÉ KUXUL XCHULEL TAJ TEKLUMALTIK (TZOTZIL)

JAS J’UJOL JAJ NANTIK LU’UM ZAK’AN JAB’AYALTZIL JAJ CHONA B’LLTIK (TOJOLABAL)

IN YOLOTL TO TLALTICPAC NEMI IEKAUILKOPA TO ALTEPEUAN (NAHUA)

TA TEI YURIENAKA IYARIEYA TAKIEKARIPA YEYEIKA (WIXARIKA)

U KUXTAL K-LÚUMIL TÍAN TI U YÓOL LE KÁAJILO’OB. (MAYA PENINSULAR)

JUCHARI MINTSÏTA P’ARHAKPINIRHU IREKASÏNI TSÏPIKUANIRHU JUCHARI IRETA (LENGUA PURE/P’URHEPECHA)

TU TLAL UI NANA IYULO ISTOK I TUNAL PAN CHINANKOME (NAHUA)

XNAKU KIN TSEKAN TIYAT STAKGNAMA CHI KGALHI LISTAKGNI NAK KIN PULATAMANKAN (TOTONACO)

BI MAMA NAX BI TZOKOY JEJPA NETZANKUYJO BI KOXEN KUMKUYDE KAY JENAN (ZOQUE)

UU JIAPSI Y iiTOM AYEE VUIAPO ITOM JIPSICO JIAPSA ITOM PUEBLOMPO (MAYO YOREME)
NA’ T’SATS´OOM TYUAA MAYA NA’ M´AA NAQUII´ NTAAYA JA NA NNA NCUEE (ÑOMDAA/AMUZGO)

 

Dalla Realidad Zapatista, Agosto 2014

PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI
MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI!
CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

da Radio Zapatista: http://radiozapatista.org/?p=10375

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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video Moises

Conferenza stampa del’EZLN con i media indipendenti, autonomi e alternativi

12 / 8 / 2014

Dopo la conclusione della “Prima Condivisione tra i popoli indigeni e i popoli zapatisti“, terminata con la lettura di due dichiarazioni congiunte e dell’invito al Primo Festival mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni, si è svolta la conferenza stampa dell’EZLN.

Prima ha parlato il Subcomandante Galeano e poi il Subcomandante Insurgente Moises ha mostrato i lavori di ricostruzione a La Realidad e ha raccontato la situazione attuale

AUDIO DEL SUBCOMANDANTE GALEANO TRATTO DA radiozapatista.org

PER ASCOLTARE L’AUDIO CLICCA QUI

VIDEO DEL SUBCOMANDANTE INSUGENTE MOISES TRATTO DA www.pozol.org

 

 

Estratto dell’audio della conferenza stampa dell’EZLN: l’intervento del  Subcomandante Galeano:

Per ringraziare tutti quelli che hanno sostenuto gli zapatisti in questi mesi nella ricostruzione delle strutture distrutte nell’aggressione paramilitare,  il  Subcomandante Galeano è partito dal racconto di come nel passato per aiutare un compagno zapatista a cui era stato riscontrato un male incurabile (di quelli per cui se hai i soldi vieni accudito, se no vieni rimandato a casa ad aspettare la morte), dopo aver usato i loro fondi, si erano rivolti a persone e settori, che allora li appoggiavano e potevano dare una mano a sostenere i trattamenti necessari, ma non avevano ricevuto niente e alla fine il compagno è stato assistito ad Oventic dove è morto nel 2004.

10 anni dopo quando, con l’attacco paramilitare costato la vita al compagno Galeano, sono state distrutte la scuola e la clinica alla Realidad gli zapatisti hanno scelto di chiedere solidarietà direttamente a chi sta in basso, ai compagni e alle compagne della Sesta Nazionale ed Internazionale. E questa solidarietà è arrivata.

“Mai l l’EZLN aveva ricevuto così tanto appoggio” ha sottolineato “Grazie veramente, è la lezione più bella che ci è stata data da quando c’è La Sexta”.

Ha poi continuato ricordando come questa conferenza stampa avrebbe dovuto tenersi, quando era stato convocato per i primi di giugno l’incontro indigeno a San Cristobal e Oventic, poi l’avevano annunciata, dopo i fatti della Realidad, nei giorni dell’Omaggio al compagno Galeano.

Era stata pensata allora come la conferenza stampa per le ultime dichiarazioni del Subcomandante Marcos. 

“E’ importante che racconti quel che avevamo pensato, perchè si possa dare una ulteriore interpretazione di cos’è avvenuto il 25 maggio con le parole della sparizione di Marcos e le prime parole come Galeano o con qualsiasi altro nome che ci sarà” ha continuato, aggiungendo che per capire quel che è successo bisogna capire quello che era avvenuto prima e quel che ci sarebbe stato dopo.

“Si sono sentite un sacco di interpretazioni su quel che è successo. Interpretazioni a volte fantasiose e assurde ma che prescindevano da quel che era successo, come per esempio il fatto che gli zapatisti dicessero che i media a pagamento non esistevano, che erano il nemico, che era un’azione contro di loro.”

“Ma se avete un po di memoria” –  ha aggiunto – “l’evento  originariario che doveva essere a Oventic era aperto a tutti, anche ai mezzi a pagamento”. Marcos sarebbe morto e si  sarebbe accomiatato in quanto tale dai media a pagamento e si sarebbe presentato poi ai media alternativi.

“Quel che è successo il 25 maggio è che l’EZLN ha cambiato interlocutore .. per questo il mio intervento è iniziato con la storia che vi ho raccontato”.

Ha poi proseguito dicendo che gli zapatisti non hanno mai detto che i media a pagamento hanno smesso d’esistere, il che sarebbe una stupidata.

I media a pagamento sono qualcosa di “meraviglioso” perchè sono una delle poche volte in cui il capitalismo converte in merce la non produzione. Si suppone infatti che il lavoro dei media a pagamento sia produrre informazione ed il capitalismo ha fatto sì guadagnino senza produrre, senza informare.

“Quello che è successo in questi anni con i cambiamenti della tecnologia è che i media a pagamento stanno perdendo il proprio potere” ha detto, citando  analisi di mercato sulla stampa dei giornali, ed aggiungendo inoltre che il giornalismo d’analisi e d’investigazione, che avrebbe potuto rappresentare una alternativa alla progressiva informazione in tempo reale data da Internet, è stato messo da parte.

Dopo un’analisi della crisi dei media a pagamento, connessa al sistema pubblicitario e al loro audience (oggi in grado di avere le notizie in tempo reale dalla rete)  il Subcomandante Galeano ha sottolineato come restavano loro due opzioni: attaccarsi al sistema politico che può finanziarli o investire nel giornalismo d’inchiesta e di analisi che non c’era in Internet fino all’apparizione dei media alternativi, indipendenti.

La situazione attuale dei media a pagamento, visto l’abbandono del giornalismo d’inchiesta e d’analisi, fa sì che che si preferisca non pubblicare piuttosto che dare un certo tipo di informazione. Una tendenza peraltro confermata dai giornalisti che provano a fare dei pezzi di un certo tipo ma poi non se li vedono pubblicati. 

Dopo aver fatto una serie di esempi concreti di informazione taciute, il Subcomandante Galeano ha aggiunto che abbiamo tutti un problema nel mondo: se l’informazione, l’analisi, l’inchiesta non sono più nei media dove possiamo trovarla? C’è un vuoto nello spazio mediatico che è in disputa.

Un’altra aspetto che si voleva segnalare nell’addio di Marcos è che se i media si sono vantati tanto di creare personaggi, (anche quello di Marcos) oggi chi attira l’attenzione non nasce nei media a pagamento, come nel caso di Assange ed ancor più nel caso di  forme collettive, diluite come Anonymous.

Da qui il SupGaleano parte per una riflessione sulla differenza tra l’organizzazione autoritaria, arbitraria dei media a pagamento, dove vale chi ha scritto il pezzo, i giornalisti sempre in cerca dell’esclusiva, rispetto alle esperienze collettive dei media indipendenti, alternativi dove vale più l’informazione.

Per gli zapatisti l’importante è che a parlare ed a raccontarsi siano gli stessi protagonisti di ciò che accade, non chi ci scrive sopra. Questo è il ruolo e la possibilità dei media liberi, indipendenti autonomi. Ovviamente aggiunge questa è una tendenza.

“Quel che vediamo in prospettiva è che i media a pagamento sono in fase decadente, connessi alla politica decadente, spariranno perchè le notizie si troveranno sempre più in Internet dove di per sè non trovi analisi e approfonimento”

I media liberi potrebbero riempire questo vuoto a livello mondiale, Internet di per sè non lo riempe anche se lo crea, ha concluso, ribadendo che si tratta di una prospettiva e che queste sarebbero state le cose che sarebbero state detto a Oventic.

Quello che hanno gli zapatisti è una speranza, la fiducia nei media indipendenti. Certo c’è il problema dei fondi, di come sopravvivere. Questo si può risolvere solo ragionando in forma collettiva, non c’è una strada  già data, non è facile, così come non è semplice aumentare le proprie visite. Non c’è alternativa o si cresce o si sparisce. “C’è molta gente che aspetta da voi più di quel che voi vi aspettate.” ha affermato.

 In questo scenario quello che l’EZLN ha fatto è stato cambiare radicalmente l’approccio con i media: “non vogliamo parlare con quelli dall’alto, quello che ci interessa è parlare ed ascoltarvi, ed attraverso voi parlare ed ascoltare chi attraverso voi parla ed ascolta.”

Per condividere questo processo si è dato vita all’esperienza tra gli zapatisti dei “Tercios compas” e contribuire alla circolazione dell’informazione.

Cosa è successo che ha cambiato il piano del discorso che Marcos avrebbe fatto, accomiatandosi dai media a pagamento ad Oventic e che ha portato al fatto che all’omaggio a Galeano gli zapatisti non hanno voluto i media a pagamento?

A questa domanda il Subcomandante Galeano risponde dicendo che c’è stata una morte e che l’assassinio di un compagno non può essere fatto passare. Se se ne fa passare una se ne accettano tante altre.

Continua poi raccontando come siano stati volutamente travisati i fatti successi, come sulla morte di Galeano e l’aggressione paramilitare ci sia stata una disinformazione inaccettabile, in molti casi proprio da parte di quei giornalisti che tante volte lo stesso Galeano aveva accompagnato quando arrivavano a La Realidad per fare delle interviste. Come se lui non contasse, perchè indigeno. Di fronte a questi atteggiamenti inaccettabili gli zapatisti hanno preso la decisione di non fare entrare nessun giornalista dei media a pagamento all’Omaggio a Galeano.

Dal Chiapas la riflessione si sposta su un altro massacro inaccettabile quello a Gaza, sull’assurdità del sistema informativo attorno a quel che sta succedendo al popolo palestinese. 

Di come i morti possano essere valutati come una merce che fa vendere o meno.

Nell’ultima parte del suo intervento il Subcomandante Galeano si sofferma sull’importanza dell’ascolto reale, del reciproco ascolto come potrà succedere nel Primo Festival delle Resistenze e delle ribellioni. 

“Nel tempo caotico presente, dell’ultrarapidità e della divorazione dell’informazione il miglior livello di comunicazione è la condivisione, il potere dell’ascolto. la pazienza dell’ascolto, che i popoli originari sanno fare bene”.

http://www.globalproject.info/it/mondi/la-realidad-conferenza-stampa-dellezln-con-i-media-indipendenti-autonomi-ed-alternativi-o-come-si-chiamano-/17642

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festivalPrima Dichiarazione della Condivisione del Congresso Nazionale Indigeno ed Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

La Repressione Contro i Nostri Popoli

La guerra contro i nostri popoli indigeni dura da oltre 520 anni, il capitalismo è nato dal sangue dei nostri popoli e dei milioni di nostri fratelli e sorelle che sono morti durante l’invasione europea, bisogna sommare quelli che sono morti nelle guerre di indipendenza e di riforma, con l’imposizione delle leggi liberiste, durante il porfiriato e la rivoluzione.

In questa nuova guerra di conquista neoliberale la morte dei nostri popoli è la condizione di vita di questo sistema.

Negli ultimi decenni migliaia e migliaia di noi sono state torturati, assassinati, fatti sparire ed imprigionati per aver difeso i nostri territori, le nostre famiglie, le nostre comunità, la nostra cultura, la nostra stessa vita.

Non dimentichiamo. Perché quel sangue, quelle vite, quelle lotte, quella storia sono l’essenza della nostra resistenza e della nostra ribellione contro chi ci uccide; essi vivono nella vita e nella lotta dei nostri popoli.

Quest@ sono i nostri morti più recenti:

CHIAPAS

Il compagno Galeano della Giunta di Buon Governo della Realidad e Votán de lla Escuelita La Libertad según l@s Zapatistas, assassinato crudelmente nel caracol della Realidad, Municipio Autonomo Zapatista, San Pedro Michoacán, lo scorso 2 maggio dai paramilitari della CIOAC-H, protetti dal paramilitare Manuel Velazco Coello e dal massimo capo paramilitaret Enrique Peña Nieto.

Il 22 dicembre 1997, un gruppo di 49 persone di Las Abejas, compresi 4 bambini non ancora nati, mentre pregavano nella località di Acteal, municipio di Chenalhó, sono stati brutalmente assassinati da un gruppo di paramilitari priisti protetti dal governo dello stato e dal criminale Ernesto Zedillo Ponce de León.

Gli adulti assassinati: Manuel Santiz Culebra, Daniel Gómez Pérez, Victorio Vázquez Gómez, Miguel Pérez Jiménez, Ignacio Pucuj Luna, Alonso Vázquez Gómez, Lorenzo Gómez Pérez, Antonio Vázquez Luna, María Pérez Oyalté, Marcela Capote Ruiz, Marcela Pucuj Luna, Catalina Luna Pérez, Manuela Pérez Moreno, Manuela Paciencia Moreno, Margarita Méndez Paciencia, Marcela Luna Ruiz, Juana Pérez Pérez, Florinda Pérez Pérez, María Gómez Ruiz, Verónica Vázquez Luna, Paulina Hernández Vázquez, Susana Jiménez Luna, Rosa Pérez Pérez, Antonia Vázquez Pérez, Marcela Vázquez Pérez, Juana Luna Vázquez, Juana Gómez Pérez, María Capote Pérez, Marcela Capote Vázquez.

I minorenni assassinati: Martha Capote Pérez, Rosa Vázquez Luna, Loida Ruiz Gómez, Micaela Vázquez Pérez, Josefa Vázquez Pérez, Sebastián Gómez Pérez, Juana Pérez Luna, Roselina Gómez Hernández, Lucía Méndez Capote, Graciela Gómez Hernández, María Luna Méndez, Silvia Pérez Luna, Vicente Méndez Capote, Micaela Vázquez Luna, Juana Vázquez Luna, Alejandro Pérez Luna , Juan Carlos Luna Pérez, Guadalupe Gómez Hernández.

Juan Vázquez Guzmán e Juan Carlos Gómez Silvano, della comunità Tzeltal di San Sebastián Bachajón, assassinati il 24 aprile 2013 ed il 21 marzo del 2014 rispettivamente, per la difesa del territorio nel conflitto con le Autorità ejidali ed i tre livelli del malgoverno.

Filemón Benítez Pérez, Antonio Benítez Pérez, María Núñez González e Vicente Pérez Díaz, assassinati il 13 novembre 2006, membri dell’organizzazione Xi-Nich, choles della comunità di Viejo Velasco, Ocosingo, per mano di elementi della Polizia Settoriale con armi di grosso calibro.

OAXACA
Héctor Regalado Jiménez, membro dell’Assemblea Popolare del Popolo Juchiteco, morto il primo agosto 2013 a causa delle ferite provocate dalla Policía Auxiliar Bancaria Industrial y Comercial e da pistoleros della società Gas Natural Fenosa, che fungevano da vigilanti dentro il parco eolico.

Pablo Jarquín Ruiz, mixe assassinato per aver protestato per gli spari esplosi che spaventavano i bambini della scuola primaria del villaggio quando l’esercito era entrato nella sua comunità il 17 dicembre 2012.

Maximino Salinas Hernández, presidente del Commissariato Ejidale della sua comunità, Fuerza Chinanteca Kia-nan, di San Antonio Las Palmas, Jocotepec, assassinato il 30 giugno 2013, due mesi dopo che il suo villaggio aveva sequestrato le atrezzature del municipio per esigere che si facessero opere pubbliche.

Carlos Sánchez López assassinato l’8 agosto 2003, a Juchitan Oaxaca, Manuel Posada Chévez assassinato il 5 aprile 2004 a Unión Hidalgo, Oaxaca, nel contesto della lotta del Consiglio Cittadino contro il Piano Puebla-Panama e la corruzione del sindaco priista Armando Sanchéz

JALISCO
Aristeo Flores Rolón e Nazario Aldama Villa, rappresentanti indigeni della comunità nahua di Ayotitlán, Sierra di Manantlán, membri del Consiglio degli Anziani, Autorità Tradizionali del Sierra di Manantlán e che sono stati assassinati a settembre del 2001 e maggio del 2003.

Juan Monroy e José Luis Rosales Conteras delle comunità della parte alta dell’Ejido nahua di Ayotitlán, nella delegazione di Telcruz: Perseguiti ed uccisi a colpi d’arma da fuoco per aver difeso l’organizzazione contro il disboscamento smodato nella zona.

MICHOACÁN
Diego Ramírez Domínguez, Simón Pineda Verdía, Simón Pineda (figlio), Quintín Regis Valdez, Erik Nemecio Domínguez, Ernesto Nicolás López, Pedro Nazario Domínguez, Pedro Guzmán Ramírez, Ambrosio Verdía Macías, Francisco Verdía Macías, Pedro Leyva, Isidro Mora Domínguez, Feliciano Cirino Domínguez, Jonathan Verdía Gómez, Fortino Verdía Gómez, Nicolás de la Cruz Rojas, Rafael de la Cruz, Juan Faustino Nemesio, J. Trinidad de la Cruz Crisóstomo, Crisóforo Sánchez Reyes, Teodulo Santos Girón, Feliciano Corona Cirino assassinati tra il 2008 ed il 2013 della comunità nahua di Santa María de Ostula, Michoacán.

Per tutt@ loro chiediamo GIUSTIZIA!

Quest@ sono i nostri desaparecid@s:

JALISCO
Celedonio Monroy Prudencio, nahua della comunità di Loma Colorada, dell’ejido nahua di Ayotitlán, Sierra de Manantlán, Jalisco, desaparecido da presunti poliziotti ministeriali dal suo domicilio il 22 ottobre 2012.

Agustín Mancilla Partida, nahua desaparecido nel mese di ottobre del 2012 nella comunità nahua di Villa Purificación.

MICHOACÁN
Javier Martínez Robles, Gerardo Vera Orcino, Francisco de Asís Manuel, Enrique Domínguez Macías e Martín Santos Luna, comuneros nahuas di Santa Maria Ostula, desparecidos tra il 2010 e 2013.

La famiglia Guzmán Cruz: Amafer, Solón, Armando, Venustiano e José de Jesús Guzmán Jiménez, desaparecidos il 24 luglio 1974, perseguiti per la loro militanza politica, l’Esercita Messicano entrato nella comunità purépecha di Tarejero, municipio di Zacapu, Michoacan, si è portato via la famiglia durante un operativo.

DISTRITO FEDERAL
Teodulfo Torres Soriano, migrante indigeno di Oaxaca, desaparecido tra il 23 e 26 marzo 2013 per essere il principale testimone dell’aggressione e poi la morte di Juan Francisco Kuykendall il primo dicembre 2012.

VERACRUZ
Flabio Granado Llanos e Cornelio Viberos Venabidez originari di San Francisco Agua Fría, municipio di Tatahuicapan, venivano da San Antonio, desaparecidos dal 21 dicembre 2012.

Se li sono presi VIVI, VIVI li rivogliamo!

Quest@ sono i nostri prigionieri:

OAXACA
Alejandro Regalado Jiménez, binnizá di Juchitán de Zaragoza, arrestato il 3 aprile 2013 e condannato a 10 anni nella prigione di Tehuantepec, detenuto per essere indigeno zapoteco e vivere nella settima sezione del villaggio dove l’Assemblea Popolare del Popolo Juchiteco (APPJ) difendeva la terra, il territorio e l’aria contro l’invasione del parco eolico Bii Yooxh’o dell’impresa spagnola Gas Natural Fenosa.

Álvaro Sebastián Ramírez, Justino Hernández José, Eleuterio Hernández García, Abraham García Ramírez, Zacarías Pascual García López, Agustín Luna Valencia e Fortino Enríquez Hernández, indigeni binnizá di San Agustín Loxicha, maestri e contadini, guardiani delle loro comunità, in carcere da 18 anni, condannati a 20 e 30 anni di prigione.

Pablo López Alavez, indigeno binnizá di San Isidro Aloapan, detenuto nella prigione di Villa de Etla, sequestrato nel 2010 da presunti mobilieri e poi comparso in questa prigione. Difensore dei boschi, del territorio e delle risorse naturali della sua comunità.

Dionisio Tapia Isidro, Sixto José Miramar e Filomeno Ortiz Antonio, indigeni mixe di San Lucas Camotlán, Oaxaca, arrestati il 17 dicembre 2012 solo per aver chiesto all’esercito messicano il motivo per cui era entrato nella loro comunità.

PUEBLA
Enedina Rosas Vélez commissaria ejidale di San Felipe Xonacayucan, Atlixco, indigena nahua membro del Fronte dei Pooli in Difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala FPDTA-MPT, arrestata il 6 aprile scorso, detenuta nella prigione di Atlixco, per ave difeso e rispettato la decisione del suo villaggio contro l’esproprio di terre per il Proyecto Integral Morelos (PIM) e denunciata dall’impresa Italiano Bonatti.

Juan Carlos Flores Solís, di San Andres Cholula, regione nahua della valle di Puebla, membro del FPDTA-MPT, rinchiuso il 7 aprile scorso nella prigione di San Pedro Cholula, por aver difeso il diritto dei popoli di fronte alla depredazione provocata dal PIM, denunciato dal malgoverno di Rafael Moreno Valle, contro di lui sono stati spiccati due mandati di cattura, uno dall’impresa italiana Bonatti e l’altro dalla Commissione Federale di Elettricità.

CHIAPAS
Alejandro Díaz Santís, tzotzil di Mitontic, condannato a 30 anni di prgione senza avr commesso alcun reato, è rinchiuso nella prigione di San Cristoóal de las Casas.

QUERETARO
Rubén Díaz Orozco in carcere da 17 anni per essere dirigente attivista sociale, si trova nella prigione di San José El Alto, Querétaro, dal marzo del 1998. Il compagno sta per compiere settant’anni ed ha seri problemi di salute. (Si chiede il suo rilascio per l’avanzata età ed i gravi problemi di salute).

ESTADO DE MÉXICO
Rómulo Arias Mireles, Pedro Sánchez Berriozabal e Teófilo Pérez González, difensori dell’acqua della comunità Nahua di San Pedro Tlanixco: condannati a 54, 52 e 50 anni di prigione rispettivamente; Lorenzo Sánchez Berriozabal, Marco Antonio Pérez González e Dominga Martínez González, attualmente reclusi nella prigione di Santiago, Almoloya de Juárez, per aver lottato contro il saccheggio delle acque delle falde del vulcano Xinantecatl da parte delle grandi aziende floricoltrici.

Vogliamo la loro LIBERTÀ!

Vogliamo inoltre la cancellazione dei mandati di cattura contro le/i nostri seguenti fratelli e sorelle:

OAXACA
Mariano López Gómez, Raymundo Regalado Jiménez e Carlos Sánchez Martínez, membri dell’Assemblea Popolare del Pooloe Juchiteco, denunciati per reati falsi e fabbricati dalla multinazionale eolica Gas Natural Fenosa, devono vivere in costante allerta.

PUEBLA
Avelino Velazques Tapia, Eusebio Aguilar Torres, Alejandro Torres Chocolatl, Adela Ramos Villalba, Juan Álvares Tapia, Federico Villalba Ramos, indigeni nahua membri del Fronte dei Pooli in difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala FPDTA-MPT, denunciati dalla Commissione Federale di Elettricità per aver difeso la terra e l’acqua in opposizione al Proyecto Integral Morelos.

JALISCO
Cirilo Rojas López e Casiano Pérez Magallón, Jorge de los Santos Pérez, Vicente Paredes Perales, José Abraham de la Rosa Sanabria, Ismael de los Santos González, Petra Sanabria Claro e Manuel Alejandro Jacobo Contreras, abitanti e comuneros della comunità coca di Mezcala de la Asunción, da settembre 2011 denunciati e perseguiti ingiustamente dall’invasore Gullermo Mreno Ibarra per aver difeso il territorio comunale. Salvador de la Rosa Paredes è stato nuovamente denunciato ora dall’invasore sopracitato.

Esigiamo altresì la cessazione della persecuzione e delle minacce contro i nostri seguenti fratelli e sorelle:

PUEBLA
Il 4 agosto scorso, mentre realizzavamo questa condivisione, 10 funzionari pubblici dell’Istituto Federale delle Comunicazioni (IFETEL), capeggiati da Raúl Leonel Mulhia Arsaluz ed accompagnati da due pattuglie e tre camionette della Polizia Federale Preventiva, hanno perquisito violentemente le installazioni di Radio Zacatepec, della comunità nahua di Santa María Zacatepec, nel Municipio di Juan C. Bonilla, sequestrando un trasmettitore, due microfoni, un trasformatore, una CPU ed una consol; qualche minuto dopo, otto uomini in abiti civili, con pantaloni e camicia bianca senza insegne, con un cartellino della IFETEL come riconoscimento ed accompagnati da tre pattuglie della Polizia Federale Preventiva che bloccavano l’accesso alla strada, hanno minacciato la compagna María Eugenia Toxcoyoa, operatrice di Axocotzin Radio, della comunità nahua di San Bernardino Tlaxcalancingo, nel Municipio di San Andrés Cholula, esigendo di entrare nella sede della radio, altrimenti sarebbero ricorsi alla forza pubblica; sno entrati sei uomini che hanno danneggiato le appaecchiature della radio, si sono portati via il trasmettitore, il monitor, tre microfoni e la CPU che contiene la memoria storica, sociale e politica racoclta dalla radio nella Giunta Ausiliare di Tlaxcalancingo. Queste azioni sono state orchestrate dal governo federale e dal governo di Rafaél Moreno Valle al fine di frenare la lotta della gente di Tlaxcala, Puebla e Morelos contro il Plan Integral Morelos.

MICHOACÁN
Il comandante della polizia comunitaria di Santa María Ostula, Cemei Verdía Zepeda, contro il quale è stata montata un’accusa di omicidio per la sua lotta contro l’esproprio della terra e delle risorse naturali.

ESTADO DE MÉXICO
Rey Pérez Martínez, ex-presidente del Commissariato Ejidale di San Pedro Tlanixco, e Santos Alejandro Álvarez Zetina, contro i quali è stata scatenata una repressione sistematica con incursioni notturne nelle loro abitazioni; da 11 anni non possono rientrare nelle proprie case.

OAXACA
Carmen Ruiz Martínez, membro della APPJ, che ha ricevuto minacce di morte telefoniche da sicari dell’impresa Gas Natural Fenosa, che ha tentato di sequestrarla.

Raúl Javier Gatica Bautista, indigeno mixteco esiliato dal paese per le costanti minacce di morte che riceveva per difendere il diritto dei popoli che formano il Consiglio Indigeno Popolare di Oaxaca Ricardo Flores Magón (CIPO-RFM).

Dal nostro dolore è nata la nostra rabbia, dalla rabbia la nostra ribellione, e dalla ribellione nascerà la libertà dei popoli del mondo.

Dalla Realidad Zapatista, Agosto 2014

Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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cni2

Capitalismo “Dove Quelli in Alto Distruggono, Quelli in Basso Ricostruiscono”

Sabato, 9 agosto 2014

INVITO AL FESTIVAL DELLE RESISTENZE E DELLE RIBELLIONI

“Veniamo per condividere i nostri sentimenti e dolori che ci ha causato questo sistema neoliberale. Ma è altrettanto certo che condividiamo le valide conoscenze, esperienze di lotta, di organizzazione. Impegni e sfide di fronte ai capitalisti invasori e neoliberali che tanto danno ci hanno causato.”(EZLN, agosto 2014)

Ai fratelli e sorelle della Sexta nazionale e internazionale:

Riuniti i nostri popoli nella Condivisione dei Popoli Zapatisti e del Congresso Nazionale Indigeno “David Ruíz García”, abbiamo parlato delle nostre sofferenze, delle nostre parole ed esperienze di lotta, ribellione e resistenza.

Insieme sappiamo che nelle nostre ribellioni ci sono i nostri “NO” alla politica di distruzione che fa il capitalismo in tutto il mondo. E sappiamo che nelle nostre resistenze ci sono i semi del mondo che vogliamo.

Queste ribellioni e resistenze non sono solo dei popoli originari del Messico. Sono anche nei passi dei popoli originari di tutto il continente e in tutti gli angoli del pianeta dove individu@, gruppi, collettivi e organizzazioni non solo dicono “NO” alla distruzione, ma anche stanno costruendo qualcosa di nuovo.

In questa condivisione che è stata possibile in gran misura grazie all’appoggio dei fratelli e sorelle della Sexta nazionale e internazionale, confermiamo che la nostra madre terra, che da la vita a tutto il pianeta, è in pericolo e con lei l’umanità intera; vediamo che è il capitalismo neoliberale che provoca tanto dolore, tanta distruzione e tanta morte, che ci spolia, sfrutta, disprezza e reprime.

Nella difesa della madre terra, nella lotta per l’umanità e contro il neoliberismo, non c’è una lotta piccola.

Fratelli e sorelle della Sexta nazionale e internazionale, poiché sappiamo che questo capitalismo selvaggio e di morte non è invincibile, come ci insegnano, oltre all’esperienza zapatista, le ribellioni e resistenze che fioriscono in tutto il pianeta, e che i loro dolori sono i nostri, e che le loro lotte sono le nostre, e che i loro sogni sono i nostri, vogliamo condividere con voi le parole, le esperienze, i cammini e la decisione condivisa che è possibile un mondo che contenga molti mondi. Andiamo concretando questi passi per raggiungere questo sogno, è necessario condividere tra di noi, sapere quel che pensiamo, ascoltarci per sapere come sono le nostre lotte, per conoscere le nostre ribellioni e imparare dalle nostre resistenze.

I popoli, tribù e nazioni abbiamo accordato in questa assemblea di realizzare insieme con voi il “Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo” con lo slogan “DONDE LOS DE ARRIBA DESTRUYEN LOS DE ABAJO RECONSTRUIMOS (dove quelli in alto distruggono, quelli in basso ricostruiscono)”.

Questa gigantesca condivisione mondiale sarà nei giorni dal 22 dicembre del 2014 al 3 gennaio 2015 nei seguenti luoghi:

Inaugurazione nella comunità Ñatho di San Francisco Xochicuautla, Lerma, Estado de México, il giorno 21 dicembre 2014.

Condivisione nelle comunità di San Francisco Xochicuautla e in Amilzingo, Morelos i giorni 22 e 23 dicembre 2014.

Gran Festival Culturale nel Distrito Federal i giorni 24, 25 e 26 dicembre 2014.

Continuazione della condivisione nelle comunità di Binnizá di Juchitán, Oaxaca, e nella penisola di Yucatán, i giorni 28 e 29 dicembre del 2014.

Festa della ribellione e resistenza anticapitalista nel Caracol di Oventic i giorni 31 di dicembre e il primo gennaio 2015.

Conclusioni e chiusura, pronunciamento e dichiarazioni nel CIDECI, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, i giorni 2 e 3 gennaio 2015.

La nostra condivisione in questo “Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo” sarà tra i popoli zapatisti, i popoli, tribù, nazioni e quartieri del Congresso Nazionale Indigeno, i popoli originari del continente e i popoli, collettivi ed individui aderenti alla Sexta nazionale ed internazionale in tutto il mondo.

Nei prossimi giorni faremo conoscere più dettagli di questa convocazione.

I nostri popoli che siamo di mais nel condividere con voi saremo come la milpa che fiorisce, per rafforzati nelle nostre resistenze e custodire la nostra madre terra in questo nuovo cammino che vogliamo condividere.

Dalla Realidad Zapatista, Agosto 2014

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli.

Mai più un Messico senza di noi.

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

E gli individui, gruppi, collettivi, organizzazioni della Sexta in tutto il mondo che si uniscono a questo invito.

http://radiozapatista.org/?p=10383

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Moises Galeano Tacho

Grazie davvero, è la lezione più bella ricevuta dagli Zapatisti da quando è stata lanciata la Sexta

La Realidad Chiapas, 10 agosto.

“Grazie, davvero, è la lezione più bella ricevuta dagli Zapatisti da quando è stata lanciata La Sexta“, assicura il Subcomandante Insurgente Galeano, riferendosi all’appoggio che aderenti nazionali ed internazionali hanno dato per la ricostruzione della scuola e della clinica autonome della Realidad.

Nella conferenza stampa per media liberi, il portavoce zapatista spiega che quanto successo lo scorso 25 maggio durante l’omaggio al maestro della scuola zapatista, è che l’Esercizio Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha cambiato interlocutore, questo poiché i media pagati sono inseriti nella logica del capitalismo di trasformare in merce la non produzione, cioè, di guadagnare più soldi non informando ma facendoli.

Durante il suo intervento il Subcomandante Galeano inoltre avverte che “non permetteremo che uno solo dei compagni muoia impunemente”, e sottolinea che non si deve trascurare una morte perché poi ne accadono decine di migliaia come nel sessennio dell’ex presidente Calderón, per cui si chiede quante altre morti ci devono ancora essere nel Congresso Nazionale Indigeno perché le sue denunce siano prese in considerazione……

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO http://www.pozol.org/?p=9707

(Traduzione “Maribel” -Bergamo)

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Foto: S. Herrera

Foto: S. Herrera

Sì alla Resistenza.- Parole di chiusura della Condivisione CNI-EZLN del Subcomandante Insurgente Moisés

Da: RadioZapatista

La Realidad Chiapas. 9 agosto. “No alle privatizzazioni, sgomberi ed omicidi, sì alla resistenza”, dichiara il Subcomandante Insurgente Moisés nel suo discorso di chiusura dell’ Incontro dei Popoli Zapatisti con i popoli Originari del Messico “David Ruiz García”, che si è svolto dal 4 al 9 agosto alla Realidad, Chiapas.

“Nessuno sa bene come deve essere una buona giustizia di chi ha l’odore del sudore e della povertà”, assicura l’insurgente indigeno, ed aggiunge “il ricco non puzza, non sa come deve essere la legge”.

“Vogliamo camminare insieme, non importa il colore, ma importa se si è sfruttati ed umiliati”, dive il portavoce zapatista, ed afferma che nell’EZLN c’è una nuova generazione di giovani che non permetteranno il ritorno di personaggi come Absalon Castellanos Dominguez, alludendo all’ex governatore del Chiapas.

Da parte sua il Comandante David ha definito storico l’incontro del Congresso Nazionale Indigeno e suggerito di dargli continuità da parte delle nuove generazioni. I popoli originari del Messico membri del CNI, con un pronunciamento hanno denunciato la depredazione, la repressione e gli ingiusti arresti di cui sono stati oggetto.

All’alba di questo sabato 9 agosto sono state registrate le voci delle compagne e dei compas dei media liberi, diretti alla Realidad, Chiapas.

http://kehuelga.net/diario/spip.php?article2979

Rispondendo all’appello dell’EZLN, decine di compas di molte parti del mondo sono accorsi in territorio zapatista per testimoniare l’incontro tra i guardiani della terra e per riflettersi nello specchio delle comunità zapatiste in resistenza. Ulteriori informazioni nei prossimi giorni.

Per altri materiali dei media liberi al riguardo, andare ai seguenti link

http://sancristencia.org/ y http://archivo.sancristencia.org/

Ascolta e condividi!

In linea: Scaricare l’audio

Durante la cerimonia di chiusura è stata anunciata una prossima iniziativa dal titolo: 1° Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni “Dove quelli che stanno sopra distruggono, quelli che stanno in basso costruiscono”, che si svolgerà dal 22 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015 presso comunità in Morelos, Yucatán, Oaxaca, Distrito Federal e Chiapas.

http://radiozapatista.org/?p=10378

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Primo resoconto sul Progresso nella Ricostruzione a La Realidad Zapatista.

9 agosto 2014

(Chiarimento: secondo quanto ci hanno detto in base a un’informazione sbagliata, i compagni dei Media liberi, alternativi, autonomi o come si chiamino, non sarebbero potuti venire alla chiusura e alle risoluzioni finali della prima Condivisione (e, pertanto, non avrebbero potuto riportare i lavori di ricostruzione della scuola e della

clinica distrutte dai paramilitari della CIOAC-Histórica), a causa del fatto che non avessero i soldi, la grana, i dindi, il money, il supporto finanziario, la liquidità, la solvenza economica, il credito, ecc… per venire qua. Per questa causa, motivo o ragione, “Los Tercios Compas”, sempre disposti all’appoggio dei Media compagni, hanno mobilitato una squadra speciale multimediale, multiarea e multidisciplinare, molto nella modernità insomma, con abbastanza giga e pozol negli zainetti, per fare foto e interviste che si possano diffondere. Quando già si era nel caos, come suol dirsi, della “post-produzione” del materiale informativo, ci è arrivata un’altra informazione sul fatto che i compagni Media avevano sì trovato il modo, la maniera, il bisness insomma, per riuscire a venire fin qua e fare il loro lavoro di mandare lontano ciò che accade qua. Ossia, come suol dirsi, sì che vengono. Ossia sbattimento inutile. Comunque sia vi mandiamo il materiale casomai servisse a qualcosa. Ecco).

-*-

Intervista realizzata il 5 agosto 2014 nelle ore serali (ossia: dopo il pozol), nella comunità de La Realidad Zapatista, nelle montagne del sudest messicano. Condizioni climatologiche: il calore era molto tosto, a malapena si sopporta il passamontagna, ma non importa, che ci dobbiamo fare.

Compagna: Buonasera, compagno.

M: Buonasera, compagna.

Compagna: Come si chiama?

M: Io mi chiamo M.

Compagna: Che lavoro fa?

M: Sono un’autorità di questo villaggio de La Realidad. Appartengo al commissariato ejidal (del fondo collettivo, N.d.T.) di questa comunità, La Realidad.

Compagna: Ho una domanda: come va la ricostruzione della scuola?

M: La costruzione della scuola l’abbiamo iniziata il 31 del mese passato, quindi da pochissimi giorni. Non sono neanche otto giorni, quindi è appena agli inizi. Appena adesso si sta iniziando con le armature, a mettere le gabbie d’armatura, che è la base principale. La costruzione utilizzerà sulle 25 o 26 gabbie d’armatura, quindi si è appena riusciti a metterne sei. Ecco come va, ora come ora, la costruzione, non è iniziata da molto. Sono appena sei giorni che abbiamo iniziato.

Compagna: Che materiali mancano?

M: Ora abbiamo già quasi tutti i materiali. Siamo già andati a comprarli alla ferriera, è ormai tutto pronto. Ora quel che manca è fare arrivare tutti i materiali qui nel villaggio La Realidad. Ossia, abbiamo già tutto ciò che riguarda le sbarre, i cavi, tutto questo. Ora quel che ci manca è fare arrivare il blocco, 430 sacchi di cemento e 9 involti di lamina (nota: un involto porta 10 lamine in un solo pacco) e alcuni chiodi per la costruzione della casa. Questi sono i materiali che ci devono ancora arrivare qui nella comunità. Ora comunque la maggior parte dei materiali è già qui a La Realidad.

Compagna: E quando terminerà la costruzione?

M: Secondo i muratori presenti, i capomastri, secondo i loro calcoli serviranno 80 giorni. Ecco cos’hanno calcolato loro, i capomastri. E’ quanto ci hanno detto che impiegheranno.

Compagna: E come siete organizzati nel lavoro?

M: Ebbene, qui ci siamo organizzati su turni. Faremo a turni, a seconda della quantità di aiutanti che ci chiederanno i capomastri, ovvero il muratore. Se dice: “no, allora, oggi ho bisogno di 10 aiutanti, l’indomani ne ho bisogno di 8″, allora in base alle sue richieste forniremo la gente e faremo i turni. Oggi ne sono serviti 8, l’altro giorno 8 e così secondo la quantità che ci dice il capomastro. Ecco come siamo organizzati. Chi sta lavorando qui è il villaggio di La Realidad che sta facendo ora il lavoro, e i muratori sono compagni che stanno dirigendo il lavoro. Ecco com’è organizzato.

Compagna: Come avete pensato che verrà la costruzione?

M: Be’, i capomastri, i muratori, ci hanno chiesto come vogliamo la costruzione, che genere di costruzione vogliamo che venga. Allora noi abbiamo detto loro che la vogliamo così e così, a due piani. Allora c’è stato qualcuno, un architetto che ci ha fatto un disegno in base a come noi abbiamo detto di volerla. Per farvelo vedere ne abbiamo qui alcuni, già in base a come verrà, a come ci hanno disegnato le costruzioni dell’edificio, ossia il modello, il tipo. Ecco di che tipo sarà. Quella che sta qui alla mia destra, mostra una visuale frontale e quella che è qui alla mia sinistra è la vista del retro. Ecco il modello, la forma di come verrà la costruzione finita, ecco come si vedrà. Così è come abbiamo pensato di realizzare questo edificio.

Compagna: E questa casa grande che stiamo guardando, a cosa la state adibendo?

M: Be’, questa casa, da molto prima, quando non si era ancora verificato questo problema, quello del 2 maggio,

da molto prima stavamo pensando che farne; il villaggio si è organizzato, abbiamo detto che avremmo fatto un negozio collettivo del villaggio, tra i compagni e le compagne. Allora abbiamo detto: -Faremo un edificio diviso in due stanze. Una stanza per le compagne, perché la usino loro, solo per abiti da compagne, e una stanza per i compagni”. Questi erano i piani, avrebbe dovuto essere un negozio collettivo del villaggio La realidad, ma venendo fuori questo problema e dopo che avvennero i fatti abbiamo iniziato a renderci conto che…

– E ora? Ci hanno mandato a farsi fottere la scuola, ci hanno mandato a farsi fottere la casa di salute. Ora che facciamo.

Allora abbiamo iniziato a discutere, come villaggio La Realidad abbiamo iniziato a discutere il da farsi. Sono uscite proposte sul fatto che avremmo messo a posto la scuola, sul fatto che bisogna ristrutturarla, sistemarla. Altri di noi hanno detto:

– No, neanche per sogno. Non la ricostruiremo più.

Abbiamo quindi iniziato a ragionare, e per scegliere tra le proposte abbiamo iniziato a dire:

– Ma perché? Chi dice che bisogna sistemarla, perché? E chi dice di no, perché?

Allora siamo dovuti arrivare a una soluzione, a una via d’uscita secondo la quale abbiamo detto:

– Che resti, allora che resti.

Perché? Il motivo, ossia la ragione sta nel fatto che abbiamo detto:

– Noi non piangeremo per il fatto che ce l’abbiano distrutta e non sarà un ostacolo tale dal farci desistere dalla nostra educazione. No. Se l’hanno distrutta ne costruiremo un’altra. Non è per una scuola che resteremo senza educazione.

Ora non abbiamo una scuola, dovremo prestare una casa o mettere a disposizione la nostra casa a turno per insegnare ai nostri figli, ai nostri bambini. E quello lo lasceremo perché lo vedano quei cornuti, quei ciaoaquistas, perché vedano per tutta la loro fottuta vita il casino e il delitto che hanno fatto, e in futuro i figli dei ciaoaquistassi renderanno conto e chiederanno perché quella scuola è ridotta così. E allora chissà che bella storia racconteranno ai loro figli i genitori, sempre che non gli dicano “Mah, non so“.Allora quel bambino si renderà conto di cosa hanno fatto i suoi genitori. Il bambino dovrà decidere “Farò così o meglio che non faccia così?“. Il bambino prenderà la sua strada, prenderà le sue decisioni, deciderà se fare come ha fatto suo padre. Per questa ragione abbiamo detto:

– Lasciamola questa scuola, cerchiamo dunque un’altra parte in cui farla.

Quindi abbiamo detto:

– Perché ora i bambini non restino senza educazione abbiamo qui questo edificio destinato a negozio, allora in base a ciò che vogliamo ora facciamone uso per una scuola. Allora il villaggio ha detto:

– Va bene. Allora lasciamo stare, per il momento non pensiamoci come a un negozio. Pensiamo a una scuola, un edificio scolastico. Allora abbiamo detto:

– Sono poche quelle stanzette, due stanzette ma va bene – e così siamo rimasti, abbiamo destinato questo edificio a scuola. Quindi è così, questa casa che si vede è già destinata a scuola, ma per il momento l’abbiamo messa così perché, intanto che i bambini non stanno studiando, non stanno andando a scuola, l’abbiamo destinata a locanda per i brigatisti della costruzione della scuola autonoma, ma comunque è adibita a scuola ed è proprio questa casa che si vede.

Compagna: Bene, molto bene compagno, moltissime grazie per la chiacchierata.

M: Bene, compagna.

-*-

Hanno riportato per “Los Tercios Compas”: la compagna insurgenta di trasmissioni Angelina al microfono, e la compagna insurgenta di fanteria Erika alla telecamera. Mentre arriva la registrazione della Giunta di Buon Governo, si permette la riproduzione consensuale e responsabile, la circolazione coronaria (quindi buona per il cuore) e il consumo senza limitazioni nella salita e nella discesa (ossia, come suol dirsi, l’ “upload” e il “download).

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/08/08/primer-reporte-de-avance-en-la-reconstruccion-en-la-realidad-zapatista/

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OLYMPUS DIGITAL CAMERAOmaggio al compagno DAVID RUIZ GARCÍA nell’ambito della Condivisione tra i Popoli Originari ed i Popoli Zapatisti

Discorso del compagno del Congresso Nazionale Indigeno, Armando García Salazar, del popolo hñahñu´ di San Francisco Xochicuautla, in omaggio al compagno scomparso DAVID RUIZ GARCÍA nell’ambito della Condivisione tra i Popoli Originari ed i Popoli Zapatisti, il 4 agosto 2014. E DUE BREVISSIME CRONACHE DELL’OMAGGIO

 

  1. – Discorso del compagno Armando García Salazar, a nome della famiglia e dei compagni del compagno scomparso David Ruiz García.

Buongiorno a tutti e tutte. Buongiorno fratelli, sorelle, nonni, bambini e bambine e tutti i compagni che rappresentano questo movimento.

Due mesi fa un nipote, un figlio, è giunto in queste terre in appoggio al nostro fratello Galeano, sfortunatamente durante il viaggio di ritorno è stato vittima di un incidente.

Da otto anni era in questo movimento con il suo impegno di lotta per difendere la giustizia ed i diritti degli indigeni. Aveva tanta voglia di venire a conoscere i fratelli zapatisti, e perché non dirlo, stringere la mano al Subcomandante Marcos. Era il suo più grande desiderio. L’ha esaudito. È venuto fino alla Realidad.

Sfortunatamente il destino è così. Oggi tuttavia, noi, i suoi fratelli, i suoi famigliari, siamo nuovamente qui. Non facciamo nessun passo indietro perché così voleva David.

Fin dalle sue prime lotte si domandava perché alcuni hanno tanto mentre molti hanno poco. Non sono mai riuscito a rispondergli perché io stesso non l’ho ancora capito. Tuttavia egli credeva che un giorno questo sarebbe cambiato, e lo stiamo facendo.

Tutti noi qui presenti abbiamo un obiettivo. Tutti noi qui presenti siamo convinti e stiamo facendo quello che tanta gente ha fatto: alzare la voce, non arrendersi, reclamare quello che è nostro e cacciare l’invasore.

Questo era uno degli obiettivi di David, ed io umilmente vengo in commissione in questo giorno a fare quello che facciamo nella nostra comunità secondo i nostri usi e costumi: vengo a deporre una croce nel luogo del suo incidente.

Moltissime grazie fratelli zapatisti.

David, nella sua prima visita in questo bellissimo stato lo disse, ‘devo venire e devo far valere anche la voce della nostra tribù, del nostro popolo indigeno otomí o hñahñu´.

Moltissime grazie per avermi ascoltato e per condividere la nostra esperienza in questo luogo.

Grazie fratelli.

  1. – DUE CRONACHE

UNA…

Si è svolta la cerimonia di apertura della condivisione con il CNI E GLI ZAPATISTI ed il compagno comandante Tacho ha letto il discorso. Dopo il discorso, tutte le compagne e compagni sono andati ad omaggiare il compagno David Ruiz García sul luogo dell’incidente.

Un famigliare del compagno scomparso David ha detto che era stato programmato di deporre una croce. Siamo partiti camminando in due colonne, un compagno ha mostrato dove è avvenuto l’impatto e dove è morto il compagno David per mettere lì la croce. Il compagno subcomandante insurgente Moisés ha cominciato a pulire l’area ed il compagno comandante Tacho ed un altro compagno hanno scavato una buca per piantare la croce. Mentre le compagne ed i compagni del CNI bruciavano incensi, pregavano e cantavano nel loro modo di offrire omaggio al compagno di lotta David. Erano molto addolorati per questa morte, e la volontà delle compagne e compagni è continuare la lotta. Hanno cantato una canzone dal titolo” eroi e martiri”, e poi sono saliti sul pendio a deporre la croce, dove è stata piantata tra le pietre, con rami fioriti e candele. Di nuovo hanno pregato e cantato. Ci sono stati evviva: DAVID VIVE, GALEANO VIVE E LA LOTTA CONTINUA ed applausi. Uno dei compagni di lotta del compagno David ha detto che il compagno David è presente qui ed in tutte le lotte del nostro paese, ed è stato consegnato uno striscione al compagno subcomandante insurgente Moisés che a sua volta ha detto che il compagno David è con noi e resterà con noi in territorio ribelle e la cosa bella per il compagno David è stato sapere dove aver vissuto gli ultimi momenti della sua vita. Infine qualcuno del CNI ha chiesto di cantare l’inno zapatista e poi siamo tornati.

L’ALTRA…

Compagni e compagne di oggi 4 agosto 2014. Oggi si è svolta l’inaugurazione dei compagni del Congresso Nazionale Indigeno. Prima ha parlato il comandante Tacho. Dopo il comandante Tacho, ha parlato il compagno subcomandante insurgente Moisés ed ha detto di andare dove c’è stato l’incidente al compagno David. Siamo arrivati sul luogo dell’incidente e la famiglia del compagno David aveva una croce di ferro, e mazzi di fiori, e semi di fagioli e mais che hanno seminato. Hanno cantato canzoni per il compagno. In verità la famiglia è molto addolorata ma nello stesso tempo è forte perché seguirà l’esempio del compagno David, che non è morto in un luogo qualunque, ma è morto in territorio zapatista. Dopo che tutto è finito, la famiglia ha consegnato un paliacate ed un ricamo al compagno subcomandante insurgente Moisés, e poi il compagno subcomandate insurgente Moisés ha parlato e ha detto che il compagno David sapeva dove ha dato la sua vita, e che lui sarà sempre con noi. Poi siamo tornati ed abbiamo proseguito con i lavori.

-*-

Nella redazione e immagini, per Los Tercios Compas (I Compas Terzi) hanno lavorato la compagna insurgenta di trasmissioni Angelina e la compagna insurgentadi fanteria Erika

Nota: “Los Tercios Compas”, come dice il loro nome, non sono media, tanto meno liberi, né autonomi, né alternativi, o come si chiamino, ma sono compas… credo. È un collettivo diffuso per calendario e geografia, e sarebbe assolutamente anonimo se non fosse che i suoi membri siano rivelati dalla loro irriverente ribellione. Sono i mass mediadell’EZLN e funzionano come possono, che a volte è molto. È formato da esseri umani ed animali, anche se a volte non si differenziano gli uni dagli altri. Comprende coloro che elaborano e controllano testi ed immagini, lavorano nel cyberspazio, tolgono, mettono e, a volte con successo, riescono a pubblicare qualcosa di mediamente comprensibile. Il suo logo è un gatto-cane che lascia il suo marchio liquido dove si deve, cioè, in basso e a sinistra.

La registrazione presso la Giunta di Buon Governo è in corso per il motivo che tutt@ sono alla condivisione.

Si autorizza la sua riproduzione senza scopi demografici, la circolazione in senso contrario ed il consumo non consumistico.

In fede: miau… o era guau?

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(Traduzione“Maribel” – Bergamo)

Testo originale

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Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de las Casas

Comunicato stampa No. 22

 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas

4 agosto 2014 

Sfollamento di Basi Zapatiste per il rischio di un attacco

 – 32 persone della Comunità Autonoma Egipto, appartenente al Caracol di La Garrucha, sfollate forzatamente

– Abitanti dell’Ejido Pojcol invadono le terre recupérate dalle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN)

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) documenta lo sgombero forzato di 32 persone della Comunità Egipto, del Municipio Autonomo Ribelle Zapatista (MAREZ) San Manuel, appartenente alla Giunta di Buon Governo (JBG) “El Camino del Futuro”, del Caracol III, di La Garrucha, Zona Selva Tseltal, in Chiapas, (Municipio ufficiale di Ocosingo).

I fatti sono avvenuti il 1° agosto, alle ore 23:30, quando un gruppo di persone armate, provenienti dall’Ejido Pojcol, municipio di Chilón, hanno invaso le terre coltivate collettivamente del Municipio Autonomo San Manuel, recuperate dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Su queste terre, confinanti con le Comunità Autonome El Rosario ed Egipto, le persone armate hanno ucciso un torello e sparato con armi da fuoco.

Mentre il gruppo dell’Ejido Pojcol occupava il terreno e minacciava con le armi, alcuni membri della Comunità Autonoma Egipto hanno notato alcune persone che con delle torce in mano si dirigevano verso il loro villaggio. Per questa ragione e per evitare un possibile attacco, il 2 agosto, alle ore 0:30, 32 persone (donne, bambine, bambini ed anziane, anziani) sono sfollate forzatamente e camminando fino all’alba hanno raggiunto un altro villaggio zapatista dove attualmente sono ospitati.

Questi nuovi fatti di minacce, sottrazione di territorio ed aggressioni avvengono nella cornice della Prima Condivisione dei Popoli Zapatistas e dei Popoli Originari del Messico “Compañero David Ruiz García”, riunione del Congresso Nazionale Indigeno iniziata questo lunedì 4 agosto nella Comunità Autonoma La Realidad.

Di fronte al rischio imminente ed alla gravità dei fatti accaduti nel MAREZ di San Manuel, appartenente alla JBG “El Camino del Futuro”, del Caracol III di La Garrucha, chiediamo alla Società Civile Nazionale ed Internazionale di mantenersi vigili affinché non proseguano i fatti di violenza contro le BAEZLN.

Precedenti:

Venerdì 25 luglio, alle ore 6:00, per la prima volta 19 persone armate erano entrate nel terreno collettivo del Municipio Autonomo San Manuel; avevano costruito tettoie, distrutto, bruciarono ed usato come legna i cartelli che le BAEZLN avevano installato in segno di protesta per l’assassinio del Maestro Galeano. Gli aggressori avevano anche esploso 3 colpi in aria, calibro .22 sia la mattina che nel pomeriggio; alle ore 1:30 del 26 luglio, erano poi usciti dalla comunità. Per il tempo che erano rimasti, avevano minacciato le BAEZLN delle Comunità Autonome El Rosario ed Egipto di spogliarli delle loro terre.

Mercoledì 30 luglio, il gruppo aggressore era tornato per pulire una parte del terreno, fumigando 3 ettari di prato, ferendo poi con coltello un torello zebù ed incidendo sul terreno la scritta “territorio Pojcol” .1

Per questi fatti, questo Centro dei Diritti Umani è intervenuto puntualmente, inviando documenti al governo dello stato del Chiapas affinché si adottino le misure necessarie per impedire conseguenze di difficile o impossibile recupero.

Il Frayba ha documentato altre aggressioni contro le BAEZLN, tra le quali: l’assassinio di José Luis Solís López “Maestro Galeano” e la distruzione della clinica e della scuola autonomo zapatiste lo scorso 2 maggio nella Comunità Autonoma La Realidad, Municipio ufficiale di Las Margaritas. Fatti perpetrati da militanti del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM), Partita Azione Nazionale (PAN) e membri della la Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H); questi fatti sono avvenuti prima della riunione annunciata del Congresso.

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1. Precedenti di altre denunce della JBG di La Garrucha per aggressioni di elementi dell’ejido Pojcol: Il malgoverno intensifica la campagna di contrainsurgencia, 7 luglio 2011. Disponible in: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/07/09/el-mal-gobierno-intensifica-la-campana-de-contrainsurgencia-denunciala-jbg-de-la-garrucha/

2. Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, Comunicato stampa 16, 5 maggio 2014. Disponible in: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/140505_boletin_16_agresiones_jbg.pdf

 

CENTRO DE DERECHOS HUMANOS FRAY BARTOLOME DE LAS CASAS

BRASIL 14, BARRIO MEXICANOS, CP 29240. SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS, MÉXICO.

TELEFAX + 52 (967) 678 3548, 678 3551, 678 7395, 678 7396

frayba.org.mx   frayba@frayba.org.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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INAUGURAZIOLYMPUS DIGITAL CAMERAONE DELLA PRIMA CONDIVISIONE DEI POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO CON I POPOLI ZAPATISTI

PAROLE DEL COMANDANTE TACHO, A NOME DEL COMITÉ CLANDESTINO REVOLUCIONARIO INDÍGENA-COMANDANCIA GENERAL DEL EZLN, ALL’INAUGURAZIONE DELLA PRIMA CONDIVISIONE DEI POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO CON I POPOLI ZAPATISTI:

3 AGOSTO 2014.

COMPAGNE E COMPAGNI DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO:

COMPAGNI E COMPAGNE DEI POPOLI ORIGINARI CHE CI VISITANO:

Vi salutiamo sperando che tutte e tutti siano arrivati bene in queste terre zapatiste.

In questo lungo viaggio che hanno fatto da terre lontane, per incontrarci qui in quest’altro angolo di queste terre ribelli Zapatiste del sudest messicano.

Compagne e compagni:

Benvenute e benvenuti, compagne e compagni dei popoli originari, guardiane e guardiani della madre Terra.

Benvenuti, benvenute ai popoli, nazioni e tribù.

Benvenute e benvenuti sorelle e fratelli:

COMPAGNE E COMPAGNI DEI POPOLI ORIGINARI CHE CI VISITANO:

NAHUAS. PURÉPECHAS MAYA PENINSULARES MAZAHUA ZOQUE WIXARIKA MIGRANTE TEPEHUANO COCA HÑAHÑU MAYO TRIQUI NAZA BI BINNI ZAA CHINANTECO IKOOT AFROMEXICANO POPOLUCA TZOTZIL CHOL TOJOLABAL TZELTAL TOTONACO CHOL KUMIAI AMUZGO HUARIJIO MIXE ÑHATO CHONTAL

BENVENUTI POPOLI ORIGINARI!

Benvenute e benvenuti a tutte e tutti i rappresentanti basi d’appoggio dei popoli Zapatisti.

Benvenuti compagni subcomandanti insorti.

Subcomandante insurgente Moisés. Subcomandante insurgente Galeano. Del Comando generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Speriamo che tutte e tutti siano bene arrivati per poter effettuare questa prima condivisione tanto importante tra il Congresso Nazionale Indigeno e i popoli Zapatisti.

Condivisione che porta il nome del compagno “David Ruiz García”.

Mandiamo anche i nostri più sinceri saluti a tutti e tutte i nostri compagni insorti.

Alle compagne e compagni, anziani, giovani e bambini, basi d’appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Così come a tutti i compagni e le compagne delle Forze Messicane di Milizia di tutto l’EZLN.

Ai membri di tutti i MAREZ (Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti) e a tutti e tutte i compagni che formano le Giunte di Buon Governo.

Compagni e compagne del Congresso Nazionale Indigeno.

Veniamo a condividere le nostre sofferenze e dolori che ci ha inferto questo sistema Neoliberista.

Ma non solo.

Di certo veniamo anche a condividere le preziose conoscenze, le esperienze di lotta, di organizzazione, le sfide.

Dinanzi ai capitalisti invasori Neoliberisti che ci hanno causato tanti danni.

Questi invasori non si sono saziati, non gli è bastato il furto e il saccheggio che fecero i conquistatori nel 1492.

Quei conquistatori incontrarono la resistenza dei popoli, tribù, nazioni originarie di queste terre, di questo paese che è il Messico.

Assassinarono coloro che si opposero a essere sottomessi al potere della monarchia spagnola.

Questi malvagi carnefici invasori macchiarono le loro mani di sangue indigeno, rubarono le ricchezze di cui avevano cura i nostri più vecchi avi.

Ma non solo, perseguitarono i popoli indigeni del Messico e di tutta l’America Latina con il proposito di cancellare e sradicare l’esistenza dei popoli originari.

Non ci riuscirono, prova ne è che siamo qui presenti.

Così si perse la comunicazione tra i popoli dei nostri avi, si perse la relazione tra i popoli.

Ma la saggezza e l’intelligenza dei nostri più vecchi nonni, si celarono all’invasione spagnola.

Così fecero in modo che di nuovo esistessero i popoli originari.

Siamo cresciuti sotto l’oblio dei potenti, e così sono passati i 500 anni in tutti gli angoli della nostra patria messicana.

Noi popoli originari siamo stati ignorati, ingannati, dimenticati, sfruttati, per più di 500 anni, schiavizzati sotto la dominazione.

E ora di nuovo è presente il marchingegno dei potenti neoliberisti, la macchina di distruzione e scomparsa dei nostri popoli.

Lo hanno rifatto più grande e moderno, forti di leggi e malgovernanti per invaderci da capo.

Con il loro nuovo piano di spoliazione, sottraendoci la nostra madre terra, con la macchina del potere del denaro a saccheggiare tutte le ricchezze che possiede la madre terra, che le tiene in serbo da milioni di anni.

A questa macchina si accompagnano la morte e la distruzione dei nostri popoli e della nostra madre terra.

E quando diciamo queste due parole tanto conosciute dai nostri popoli, queste parole di morte e distruzione, indirizziamo il nostro cuore e i nostri sguardi al popolo PALESTINESE. Perché abbiamo ascoltato e abbiamo letto che dicono che è “il conflitto di Gaza”, come se fossero due forze uguali che si stanno affrontando, come se al dire “conflitto” si nascondessero la morte e la distruzione e così non uccidesse la morte e non distruggesse la distruzione.

Ma come indigeni che siamo lo sappiamo bene che quello che sta succedendo non è un “conflitto”, bensì è UN MASSACRO, che ciò che c’è, è il governo di Israele che fa una guerra di sterminio contro il popolo PALESTINESE. Il resto sono parole che vogliono nascondere la realtà.

Ma sappiamo anche, come indigeni che siamo, che il popolo della PALESTINA resisterà e si solleverà di nuovo e ripartirà e saprà allora che, sebbene lontani nelle carte geografiche, noi popoli zapatisti lo abbracciamo oggi così come abbiamo fatto in passato, come faremo sempre, ossia lo abbracciamo con il nostro cuore collettivo.

E qui dal nostro versante, questa macchina di guerra del potere del denaro è senza testa, smemorata, fatta di malvagi, animali selvaggi contro i nostri popoli indigeni del Messico.

Non gli importa la distruzione, la morte di nostri popoli interi, di tribù e nazioni.

Noi popoli originari del Messico siamo privi di protezioni da parte di leggi e malgoverni.

La speranza che c’è siamo noi stessi.

Nessuno verrà a salvarci, nessuno assolutamente nessuno lotterà al posto nostro.

Non ci sono né partiti politici, né politici, né leggi, né nient’altro per noi.

Compagne e compagni. I partiti politici, le leggi, e i malgoverni lo hanno già dimostrato chiaramente.

Non potranno più continuare a ingannare, perché questi 83 anni lo hanno già dimostrato. Tutti loro stanno al servizio dei capitalisti transnazionali.

Perciò dobbiamo lottare insieme per difenderci e difendere la nostra madre terra.

La terra che ci ha visti nascere, che ci dà vita e nella quale infine riposiamo eternamente.

Perciò siamo tutti i colori che siamo, tutte le lingue che parlano i nostri cuori, perciò siamo popoli, siamo tribù e siamo nazione. Siamo i guardiani di queste terre, di questo Messico, di questo continente e del mondo.

Così che, compagne e compagni, oggi sarà il nostro inizio nel camminare e ricercare come dobbiamo difenderci in maniera comune, non c’è più tempo.

Lavoriamo in questi giorni con saggezza e intelligenza.

Ché oggi stiamo inaugurando questo nostro incontro di condivisione intitolato al compagno David Ruiz García, ché il suo cuore continui a camminare nei nostri passi, essendo le ore 10 e 21 minuti, del giorno di oggi 3 agosto 2014.

A nome del Comité Clandestino Revolucionario Indígena- Comandancia General dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, e a nome di tutte le donne, bambini, uomini e anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale…

Dichiaro formalmente inaugurata questa prima Condivisione.

Siate tutte e tutti benvenuti.

Benvenuta la parola di coloro che resistono e lottano. Benvenuto l’udito che ascolta e il cuore compagno.

Molte grazie.

Dalla Realidad Zapatista.

Comandante Tacho.

Messico, Agosto 2014. Nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.

foto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota sulle foto:

Occhio: Sui crediti delle foto, se vengono male o sono sfocate e, in generale, non sono utilizzabili, metteteci che sono CNN, EFE, AFP, Reuters, AP o Notimex o qualche altra di quelle agenzie che disinformano sul crimine in marcia contro il Popolo Palestinese. Se si vedono bene, o più o meno, e in generale, servono a qualcosa di più che a rubare bytes alle vostre pagine, metterci “Foto cortesia del collettivo di mass media del EZLN “Los Tercios Compas” che, come dice il nome, non sono media né tantomeno sono liberi, né autonomi, né alternativi, o come si chiamino, ma sono compagni. Si permette la riproduzione, circolazione e il consumo, sempre e quando non sia con fini esoterici né niente con molte X. Pratica di permesso della JBG in corso.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/08/04/inauguracion-de-la-primera-comparticion-de-pueblos-originarios-de-mexico-con-pueblos-zapatistas-palabras-del-comandante-tacho-a-nombre-del-comite-clandestino-revolucionario-indigena-comandancia-gene/

 

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Sono arrivati, tutto bene.

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

3 agosto 2014

Per la Sexta in Messico e nel Mondo: Per i media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino:

Compas:

Ricevete i nostri saluti zapatisti.

PRIMO. – Vi scrivo per informarvi che sono già arrivati, e sono arrivati bene, i partecipanti del Congresso Nazionale Indigeno a questa Prima Condivisione dei Popoli Zapatisti e dei Popoli Originari del Messico “Compañero David Ruiz García”. E sono già arrivati anche le compagne e compagni basi di appoggio che condivideranno la loro storia di lotta.

Ecco i dettagli:

1. – Del Congresso Nazionale Indigeno e gruppi sociali, popoli, tribù e nazioni originarie del Messico sono arrivati 312 partecipanti di:

NAHUA PURÉPECHA MAYA PENINSULAR MAZAHUA ZOQUE WIXARIKA MIGRANTE TEPEHUANO COCA HÑAHÑU PAME TRIQUI MIXTECO BINNI ZAA CHINANTECO IKOOT AFROMEXICANO POPOLUCA TZOTZIL CHOL TOJOLABAL TZELTAL TOTONACO KUMIAI AMUZGO MESTIZO HUARIJÍO MIXE ÑHATO CHONTAL

2. – Da parte dei popoli zapatisti partecipano:

.- 50 compartidoras e compartidores. .- 50 relatrici e relatori. .- 1200 escuchas dei popoli zapatisti.

Totale: 1300 basi di appoggio zapatiste.

Tutte e tutti sono arrivati bene. Ve lo dico affinché avvisiate anche nei loro luoghi cosicché le famiglie di chi viene da lontano non stiano in pensiero.

SECONDO. – Su proposta delle compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno, l’atto di chiusura di questa prima Condivisione, il giorno sabato 9 agosto 2014, sarà aperto alla stampa in generale.

TERZO. – Sono invitat@ speciali ad assistere all’atto di chiusura, le compagne ed i compagni della Sexta Nazionale e Internazionale.

QUARTO. – Sono invitat@ speciali, le compagne ed i compagni dei media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino.

QUINTO. – Le compagne ed i compagni della Sexta Nazionale e Internazionale possono arrivare dal venerdì 8 agosto 2014, e ripartire quando riterranno meglio.

Chiediamo ai media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino, per favore di trovare il modo di rimanere un giorno in più dopo la chiusura per la citata conferenza stampa che dovevamo, e che non abbiamo tenuto la volta scorsa perché sono dovuti partire in fretta perché i media prezzolati stavano rubando loro il materiale realizzato per L’Omaggio al defunto compagno Galeano. Il capitalismo è fatto così, ruba quello che producono altri. Dunque vedete se potete organizzarvi per coprire la chiusura e poi faremo la conferenza stampa.

Il SupGaleano mi dice di avvisare i media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino che vengano preparati perché li intervisteremo noi. Dice che nella nostra rivista REBELDÍA ZAPATISTA ci sarà una sezione intitolata “I paperi sparano ai fucili” e lì ci saranno le interviste che vi faremo. Il SupGaleano dice che voi sapete bene perché si chiama così questa sezione della rivista.

Ed infine, per oggi, vi mando alcune foto scattate dal SupGaleano dei preparativi. Speriamo di riuscire a mandarle perché Internet è talmente lenta che sembra una lumaca zoppa. Dice che alle foto bisogna mettere il titolo “L’Alternativa Zapatista contro il Fondo Monetario Internazionale e la banca usuraia: la banca mobile zapatista”. Se non si riescono a mandare le foto, vedrete la banca mobile zapatista quando sarete qui.

banco

 

 

Potrete anche vedere come vanno i lavori di ricostruzione della clinica e della scuola distrutte dai paramilitari della CIOAC-Histórica.

Quindi è bene se farete foto, video o quello che sia affinché la brava gente che ha sostenuto questa giusta causa veda sui vostri media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino, che stiamo facendo quello che abbiamo detto e non come i malgoverni che si tengono tutto e dicono che fanno miglioramenti sociali ed invece rubano soltanto.

Per adesso è tutto, compagne e compagni della Sexta Nazionale ed Internazionale. Già domani lunedì, dopo l’inaugurazione, incominciano i lavori della Condivisione. Vi manderemo il discorso di apertura che toccherà al compagno Comandante Tacho a nome di tutte e tutti gli zapatisti.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés. Messico, 2 agosto 2014. Nell’anno 20 dell’inizio della guerra contro l’oblio.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Testo originale

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Luglio 2014

Ai compagn@ della Sexta in Messico e nel Mondo:

A tutte e tutti coloro che ci hanno aiutato nella ricostruzione della scuola e della clinica delle compagne e dei compagni della Realidad:

Compagn@:

Gli zapatisti vi salutano.

Vogliamo informarvi perchè sappiate:

1.- Con i 958.646,26 pesos messicani ricevuti per la ricostruzione nel villaggio della Realidad, le compagne ed i compagni zapatisti della Realidad hanno deciso di sostenere il Congresso Nazionale Indigeno sapendo che ne hanno bisogno per completare i trasferimenti per partecipare alla condivisione nel Caracol della Realidad.

2.- Secondo i conti inviati dal CNI, hanno bisogno di circa 200,000.00 pesos (duecentomila pesos) e dispongono già di aiuti da parte di musicisti, compas della Sexta in Messico e nel Mondo, e di gente buona che li ha aiutati da subito senza nessun interesse. Ma hanno ancora bisogno di qualcosa per il noleggio dei camion per arrivare fino al CIDECI a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dove andremo a prenderli per portarli alla Realidad zapatista.

3.- Le basi di appoggio zapatiste della Realidad, che hanno ricevuto l’appoggio di tutti voi per ricostruire quanto distrutto dai paramilitari della CIOAC-Historica, sono stati consultati riguardo al problema di soldi dei compagni e compagne del Congresso Nazionale Indígena. Li abbiamo consultati perché questi soldi sono per loro, non per l’EZLN. Noi siamo solo la loro voce che chiede aiuto e raccogliamo i soldi che ci mandate. Cioè, noi come EZLN non possiamo decidere sull’uso di questi soldi. E così abbiamo spiegato ai compas zapatisti della Realidad che quel denaro è stato donato per la ricostruzione e se è destinato per qualcosa d’altro dobbiamo dirlo, perché non si può fare come i malgoverni che dicono che i soldi sono per una cosa e poi vengono usati per un’altra. Così abbiamo detto.

4.- Quindi, si sono riuniti alla Realidad zapatista ed hanno pensato di condividere 59.000 pesos (cinquantanovemila pesos) per aiutare i trasferimenti del Congresso Nazionale Indigeno alla condivisione che si svolgerà nei prossimi giorni. Dunque, dichiarandosi “d’accordo” hanno deciso di condividere l’aiuto ricevuto. E ci hanno detto di avvisarvi di questo accordo affinché non ci siano trucchi né inganni.

5.- Quindi, secondo l’ultimo resoconto che vi abbiamo mandato, restano $899, 646.26 (ottocentonovantanovemilaseicentoquarantasei pesos e ventisei centesimi). Forse ne arriveranno ancora, ma ve lo faremo sapere.

Stiamo completando le strutture per la condivisione con i fratelli e le sorelle dei popoli originari, e siamo con gli ultimi dettagli affinché tutto sia pronto per ricevere con gioia le nostre invitate ed invitati.

Poi si inizierà con la costruzione della nuova scuola e della nuova clinica, anche questo con allegria. Perché dove quelli di sopra distruggono, quelli del basso ricostruiscono.

Per adesso questa è l’informazione..

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, Luglio 2014. Nell’anno 20 dell’inizio della guerra contro l’oblio.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/07/25/para-que-sepan/

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RealidadQuasi 5 volte

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

Luglio 2014

A@ compagni@ dela Sexta in Messico e nel Mondo.

Compas tutt@:

Noi zapatisti salutiamo tutt@ coloro che hanno aiutato i nostri compagni e compagne basi di appoggio. Un abbraccio a tutt@ quelli che ci hanno aiutato a raccogliere i soldi per la ricostruzione della scuola e della clinica della Realidad zapatista, distrutte dai malgoverni attraverso i loro paramilitari della CIOAC-Histórica.

Oggi 18 luglio 2014 vogliamo comunicarvi l’ultimo resoconto di quanto raccolto fino ad ora, perché dopo il rimo resoconto che avevamo mandato, sono arrivati altri soldi da coloro che avevano avuto difficoltà ad inviarli. Per esempio, i nostri compas della Sexta in Europa avevano avuto problemi a mandarli ma poi li hanno risolti. E così per altri compas e collettivi del Messico e del Mondo.

Cosicché, includendo quanto già raccolto e comunicato a giugno, qui c’è il totale generale di quello che sappiamo è stato raccolto, anche se non tutto è arrivato fino a qua, ma è in buone mani e sicuramente arriverà.

Da collettivi di tutto il mondo (compresi i 344,612 pesos già raccolti), un totale di: 937,922.26 pesos (novecentotrentasettemilanovecentoventidue pesos e ventisei centesimi – 53.440 Euro).

Da singole persone da tutto il mondo, un totale di 20,724.00 pesos (ventimilasettecentoventiquattro – 1.190 Euro).

In totale: 958, 646.26 pesos 54622(novecentocinquantottomilaseicentoquarantasei pesos e ventisei centesimi – 54.622 Euro).

La forza del collettivismo insieme ai singoli ha permesso di raccogliere quasi cinque volte più del costo della ricostruzione. Ovvero, abbiamo ricevuto quasi il quintuplo, perché la cifra che avevamo chiesto era di 200, 209.00 pesos (11.408 Euro).

E ci dcono che manca quello che si raccoglierà al concerto di domani 19 luglio 2014 nello stadio SME-Coapa, dove ci saranno musicisti impegnati come Ideología Vigente, MC Lokoter, Sonora Skandalera, El Aarón, Barricada Sur, NARS MC, Mexikan Sound Sytem, Su Merce, To Ciuc Libre, Sound Sisters, Kori Fyah, Los Zopes, Resistencia de México. E scusate se non indico correttamente i nomi perché li stiamo leggendo da un twitter dove si vede un cartellone che dice che comincia alle 11:30 e finisce alle 19:30. Cioè, 8 ore di resistenza musicale.

Con questo le compagne e compagni della Realidad zapatista potranno avere attrezzature e medicine.

A nome delle nostre compagne e compagni basi di appoggio dell’EZLN non ci resta che ringraziarvi per la vostra coscienza di lotta e appoggio.

Con questo si vede chiaramente che si sbagliano le grandi menti che dicono che siamo soli e dimenticati.

Presto inizieranno i lavori di ricostruzione e si vedrà molto bene che i contras non sono riusciti a distruggere né fermare la lotta per costruire un mondo nuovo. La scuola e la clinica saranno addirittura migliori di prima.

E’ così, compagn@ della Sexta, perché noi che diciamo di stare in basso e a sinistra e della Sexta anticapitalista, dobbiamo essere decisi.

Perché guardiamo il compagno Galeano: non l’hanno assassinato perché rubava o perché non pagava i suoi debiti in dollari o euro a quei capitalisti. Non rubava e non ha debiti con nessuno nel suo villaggio. Al contrario tutti gli devono.

L’hanno assassinato perché stava in basso e a sinistra ed era anticapitalista.

Gli assassini materiali sono ancora liberi, sono in carcere solo alcuni degli organizzatori. Non c’è giustizia.

Lo stiamo ricordando in questi giorni, perché ci stiamo riunendo per i lavori della Condivisione con i compagn@ del Congresso Nazionale Indigeno. E leggendo l’elenco dei delegati e delegate, spunta il suo nome ed i compagn@ presenti, sentendo il nome del compagno Galeano, hanno detto: Presente!

Dunque, il lavoro va avanti e così la lotta.

Abbiamo poco tempo per aiutare i compagn@ del Congresso Nazionale Indigeno nei loro trasferimenti alla Condivisione.

Ma la lotta di ognuno ci aiuta ad andare avanti.

Quindi, adelante compañer@s.

Perché la lotta del basso e a sinistra e anticapitalista continua.

Per ora è tutto. Vi terremo informati.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, Luglio 2014. Nell’anno 20 dell’inizio della guerra contro l’oblio.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/07/18/casi-5-veces/

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