Il testo che sto per leggervi è quasi tutto di un anno fa ed è quasi tutto farina del Sub Marcos. Per molto tempo è toccato a lui parlare, non delle compagne indigene zapatiste, ma della loro specifica lotta. Allora le donne zapatiste parlavano attraverso di lui, nel bene o nel male starà a loro decidere se si sono sentite rappresentate oppure no. Sta a loro giudicare. Fortunatamente ora sono le stesse compagne a parlare di loro.
Abbiamo sentito proprio adesso una specie di estratto della genealogia della lotta come donne, come indigene, come zapatiste. Tre generazioni di ribelli zapatiste non solo contro il sistema capitalista, ma anche contro di noi. Su questo tavolo, però, mancano almeno altre due generazioni. La prima generazione è quella che va tra i 12 e 15 anni ed è formata da quelle che stanno diventando promotrici di educazione o salute, o escuchas, o Tercios Compas o insurgentas, o quello che la creatività del popolo zapatista inventerà e aprirà come spazio ribelle e libertario. L’altra generazione è quella delle bambine Zapatiste che sono attorno agli 8 anni che nel ritratto sto provando a fare le sto disegnando come “Difesa Zapatista”. Una bambina irriverente che sintetizza quattro generazioni di lotta e almeno per adesso è imprevedibile.
Nel raccontarci la nostra la loro storia le compagne sono state generose perché hanno omesso una parte, o l’hanno solo menzionata.
Mmi riferisco alla nostra resistenza come uomini zapatisti. La nostra resistenza contro loro, la nostra paura nel vedere come hanno rotto i modelli e gli schemi. Uscendo senza chiedere il permesso dal ruolo che il sistema, non solo, e anche noi uomini avevamo imposto per loro costruito.
Nel rivedere la nostra storia vedo che c’è una sconfitta, che nelle vittorie che abbiamo appena menzionato non si riflette neanche pallidamente. Le difficoltà e gli ostacoli che le donne zapatiste devono affrontare tutti i giorni e tutte le ore, oltre a dover sottolineare che hanno lottato anche contro di noi e che ci hanno sconfitto.
Per questo dietro la loro storia c’è anche la nostra visione, la visione degli sconfitti.
Ma si può dire che non tutto è vero, perché anche noi come la idra capitalista siamo disposti a recuperare le nostre antiche posizione approfittandoci di qualsiasi crepa, segno di debolezza, qualsiasi sintomo che ci indica che hanno abbassato la guardia.
Io che sintetizzo meglio di qualsiasi altro il machismo e il sessismo zapatista (perché esiste esattamente come c’è il sessismo di sinistra, il sessismo libertario) mi metto a pensare alle possibilità che come genere maschile abbiamo di recuperare quello che abbiamo perso.
A ogni sconfitta che le donne ci hanno inflitto dicevo “torneremo e saremo milioni”. Ogni volta invece eravamo di meno. Sembra che i compagni Zapatisti, almeno i più giovani, vedono in modo naturale questi cambiamenti. Il resto cresce già con questa novità, che è una nuova realtà.
Penso che forse potremmo convincere la Comandanta Miriam a non partecipare più al comitato rivoluzionario indigeno comandancia generale dell’EZLN. Non so, potremmo dirle che ha già compiuto il suo dovere, che sarebbe ora di riposarsi, che i suoi figli sono già cresciuti, che ritorni a casa. Lo dubito, ma possiamo provarci.
Penso che potremmo anche provare a convincere le Comandanti Dalia e Rosalinda che sarebbe meglio che cominciassero a pensare di sposarsi, che devono smettere di andare da un posto all’altro in riunione o assistere a questi seminari, che sarebbe meglio che cercassero i loro uomini per formare la loro famiglia. Difficile, ma possiamo tentare.
Penso che possiamo rinunciare alla possibilità di convincere la generazione di Lizbeth e Selena che smettano di lottare come donne che sono, che sarebbe meglio che diventassero come le giovani partidiste e facciano un passo indietro nell’orologio delle lotte per poi diventare il contrario di quello che sono ora.
Non mi viene in mente come potremmo provare a relazionarci con la generazione della Toña, di Lupita e Stefanía, per dirle che sarebbe meglio se smettessero di studiare, che sarebbe meglio che imparassero a impastare a mano invece di imparare ad usare il cellulare, il computer, la videocamera e internet per la lotta zapatista.
Guardate sarò sincero riguardo alla bimba “Difesa Zapatista” mi viene solo in mente di compatire quello che sarà suo marito o sua marita. Se mi domandate di cosa ne sarà di questa generazione, quale sarà il modo, le sue ansie, le sue sfide, risponderei copiando il racconto del Gatto-Cane e direi “non lo sappiamo ancora”
Non mi resta che avvertire il Pedrito che le zapatiste con le quali si relazionerà negli anni futuri saranno altre e che una sua posizione sulla difensiva non potrà fargi male.
Da parte mia, per quanto mi riguarda, facendo bene i conti, tra somme e sottrazioni, intuisco che la nostra sconfitta è irreversibile. Che non solo siamo stati sconfitti, ma siamo stati vinti. E vi dico con sincerità e con il cuore in mano che davanti a questa eroica lotta mi resta solo la consolazione che la nostra stupida resistenza maschile sia stata di aiuto alle nostre compagne per obbligarle ad essere migliori come donne e come zapatiste.
Però se mi chiedete di fare uno sforzo e provare a ritornare all’inizio, all’origine di questa genealogia terribile e meravigliosa, vi direi che tutto ha avuto inizio con le insurgentas. Quelle compagne che sulle montagne ed ovunque hanno rinunciato alle loro vite in e con la famiglia, loro che hanno lottato finora per questo che è e per quello che sarà. Perché se gli domandiamo come vedono quello che si è fatto fino ad ora loro vi risponderanno: “Bene Sup, ma è chiaro che c’è ancora molto da fare”.
31 anni fa quando arrivò in montagna la prima indigena insurgenta ho sentito un brivido freddo percorrere tutto il mio bel corpo, sentii che non era per lei ma per quello che lei rappresentava. Stava arrivando una profezia: “Nessun uomo potrà mai dire che ti ha sconfitto, ma ci sarà chi lo potrà dirloe”. Per il resto, non credite, sono zapatista. Quindi mi verrà in mente qualcosa per controattacare.
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Il SubMoy vi ha già spiegato che nella nostra organizzazione ci sono indigeni e non indigeni. Questo vuol dire che ci sono compagne non indigene che sono zapatiste. Noi zapatisti e zapatiste le consideriamo parte di noi. Così come consideriamo zapatisti questo spazio il CIDECI, e chi qui insegna, studia, lavora e lotta. Il compagno Maestro Zapatista Galeano disse una volta che c’è chi è zapatista e non lo sa, finché non se ne rende conto.
Per le condizioni delle nostre lotte le compagne non indigene non possono mostrarsi neanche camuffandosi. Non sono molte, si contano appena sulle dita di un paio di mani (qu la bimba Difesa Zapatista interrompe per ricordare: “saremo certamente sempre di più”), oltre ad avere un’avversione per i palchi, a mostarsi. Preferiscono l’oscurità, l’anonimato, l’ombra. Quindi penso che neanche con il passamontagna accetterebbero di sedersi qui di fronte a voi. Loro sono nessuno, come nessuno di noi lo è.
Le parole che sto per leggervi sono collettivi anche se sembrerà come se fossero di una sola persona, di una compagna. Il mio lavoro è stato solo di raccoglierle e subire la tormenta che con queste parole si risveglia.
Userò parole un rudi e dure. Devo dire a mia discolpa che tutte queste parole provengono dalle compagne zapatiste nn indigene. Quindi se vi scandalizzate sedetevi perché manca ancora.
Parla la compagna:
“Voi siete molto stupidi. Credete che se noi ci abbelliamo è per essere di vostro gradimento, oppure per provocarvi, o, come dite voi, ‘perché siamo a caccia’. E’ il momento che capiate che se noi ci agghindiamo è perchécosì ci va di fare, perché così siamo più comode oppure semplicemente perché ci piace quel paio di scarpe, quella blusa, quella gonna, quel pantalone, insomma teniamo al nostro corpo. Oppure, dobbiamo sistemarci perché il maledetto padrone o padrona ci ha detto che così dobbiamo andare a lavorare. E poi, a voi che cosa cavolo interessa del perché ci facciamo belle abbelliamo?
Voi siete come dei cacciatori schizzofrenici. Credete che la città sia un terreno di caccia e che le donne siano delle stupide prede che fanno di tutto per diventare un facile bersaglio. Qualsiasi cacciatore sa bene che non è così. Ma gli uomini “machistizzati” sono così imbecilli che pensano non solo che le donne siano un pezzo da portare a casa, così si dice nel gergo dei cacciatori, ma anche un preda che fa di tutto per essere scoperta e mettersi sotto il tiro della pallottola.
I complimenti. I complimenti, per quanto innocenti siano o possano sembrare, con ragione possono essere percepiti come una molestia. Perché non ci si può aspettare che in una società capitalista come la nostra, parlo del Messico, con il tasso di femminicidio e violenza di genere che abbiamo, non si abbia paura. È ridicolo non aspettarsi una reazione di rifiuto.
Inoltre, io penso che siete solo degli idioti”.
Ovvio, io qui ho fatto la faccia del “voi? ma cosa c’entro io…”
“Cosa credete, che se ci dite ‘mamacita, quanto sei bona’ oppure ci palpate il sedere per strada o sui mezzi pubblici, che inoltre è da vigiacchi per non far vedere che siete stati voi e fare la faccia da ‘nonsonostatoio’, noi ci butteremo nelle vostre braccia dicendovi “prendimi, fammi tua, papacito”? Che poi siete dei codardi perché se noi vi dicessimo ‘papacito che bello che sei’ e vi palpassimo il sedere, vi caghereste addosso dalla paura e non sapreste cosa fare. Voi non volete legarvi o fare sesso, voi volete dominare, comandare, violentare. E poi credete che siamo stupide come voi, quando arrivate e dite ‘ehi compagna, forte questa lotta, spiegami di più, dai prendiamoci un caffè per continuare a parlare, sai che sei proprio intelligente’. E noi stiamo lì a spiegarvi le cose ma voi pensate, da stronzi, che ci stiamo provando, e non passa molto che venite fuori con ‘dái piccola, voglio farlo con te’, ecc. ecc. Ma poi, quando vi facciamo capire che non ci interessa, che era solo per parlare, voi reagite con le solite invettive ‘stronza, lesboterrorista, quello di cui hai bisogno è una bella scopata, così la smetti di dire stronzate, e non sei nemmeno tanto bella’”.
Alcune di queste frasi le ho copiate testualmente dalla conversazione su tuiter di una donna che spiegava il femminismo ad uno dei suoi follower, un macho cibernetico. L’ho fatto vedere alla compagna che ha detto: “è proprio così, e non solo su tuiter, ma anche nella realtà”.
La compagna non la smetteva più ed io, da bravo ometto, spportavo la sua furia. Pensavo soltanto: “porca miseria, e questa da bambina non era zapatista, figuriamoci cosa diventerà labambina Difesa Zapatista quando crescerà”. Vero, sono macho ma non stupido, l’ho solo pensato, ma non l’ho detto.
“Sì, hai ragione quando si dice che noi donne siamo molto più crudeli con le altre donne rispetto agli uomini, che usiamo insulti maschilisti fra di noi e così ci diamo delle “puttane”, “rovina famiglie” o come nel film di Pedro Infante “smorfiosa”, tutte parole inventate da voi. Ma non si dice che tutto è un processo? Che nelle comunità indigene le donne stanno costruendo il loro percorso senza che nessuno imponga loro come farlo, senza che nessuno dia loro degli ordini o che le impongano manuali e ricette? Bene, anche noi stiamo imparando. È la cultura che ci frega con le vostre stronzate, e ci frega anche la nostra testa. E forse è per questo che ci sono tanti femminismi, perchè ognuna di noi ha il suo modo e una sua storia, i nostri fantasmi, le nostre paure e cerchiamo come combatterli e sconfiggerli.
E voi potete accettare o no la nostra lotta, ma attenzione, ho detto la nostra lotta, voi non siete parte di questa lotta.
Per quanto sensibili e ricettivi siate, non potrete essere femministe, perchè non potrete mai mettervi davvero nei nostri panni, perchè non avrete mai il ciclo mestruale, perchè non avrete mai il desiderio o la paura della gravidanza, non saprete mai cosa vuol dire partorire e mai saprete cosa vuol dire essere in menopausa, non avrete mai paura di uscire in strada alla luce del sole e dover passare davanti ad un gruppo di uomini, non saprete mai cosa vuol dire nascere, crescere e vivere con la paura che hai dentro di essere come sei. Non è che non desideriamo essere donne, che malediciamo di essere nate donne, tantomeno che avremmo preferito essere uomini. No, quello che desideriamo e lottiamo per ottenerlo, è essere donne senza che questo sia un peccato, una mancanza, una macchia, qualcosa che ci predestina a stare sempre sulla difensiva e ad essere delle vittime. Quindi, che non mi si venga a dire che ci sono uomini femministi. Ci sono uomini più a modo, ma non femministi. Solo quando questi uomini mi porteranno un assorbente macchiato del loro sangue mestruale, allora potremmo iniziare a parlarne e forse nemmeno in quel caso.
Nel frattempo io guardavo il corpo della compagna con attenzione. No, non stavo guardandole il sedere né tanto meno le tette, stavo osservando le sue braccia e le sue gambe. Che tipo di scarpe portava. Stavo calcolando il potere d’impatto di un suo pugno o di un suo calcio. Il calcolo è stato spaventoso, quindi mi sono messo a distanza di sicurezza. Era arrabbiatissima.
La compagna aveva le lacrime agli occhi, ma non erano le lacrime di una vittima. Erano lacrime di coraggio e rabbia. Mi sono ricordato allora delle lacrime negli occhi delle compagne e dei compagni di fronte al cadavere del compagno Galeano, delle lacrime dei familiari dei ragazzi assenti di Ayotzinapa quando ci raccontano la loro storia.
“Si lo so che stai per dire che la colpa è del maledetto sistema capitalista. Ma maledetti anche voi che non fate niente, che siete inetti. Continuate a dire che è importante lottare contro il sistema quando anche voi siete un pezzo di questo maledetto sistema. Voi e anche noi. Almeno noi non ci arrendiamo e resistiamo. Voi neanche questo perché siete pigri e stronzi. Lo so che questo è un insulto maschilista, però vi brucia ed è per questo che ve lo dico.
“Guarda, ti dirò che le cose più importanti ce le hanno insegnate le nostre compagne delle comunità zapatiste. Perché anche noi siamo delle stronze, ci crediamo migliori, crediamo di saperne di più, pensiamo di non essere così messe male e vogliamo fare lezione di femminismo e insegnare a lottare per i propri diritti. Queste sono stronzate. Non abbiamo niente da insegnare alle compagne, né con i libri, né con tuiter, né con le tavole rotondo o con le riunioni. Le compagne, quando andiamo da loro o quando loro vengono da noi, non ci dicono cosa dobbiamo fare, né ci criticano, né sparlano, come dicono loro. Ci dicono che vogliono imparare! Ma noi non abbiamo niente da insegnare loro. Loro ci insegnano Con la loro lotta, con la loro storia, loro ci insegnano che ognuno e ognuna ha il suo modo di lottare. Quando ci raccontano le loro storie, ci dicono: “noi facciamo così, ma ognuno ha il suo modo”. La cosa buffa è che con la loro lotta ci fanno mettere in discussione, ci danno una scossa di quelle che ti ribaltano, altro che la sindorme premestruale!
Quello che ha fatto avvicinare me ecredo altre compagne allo zapatismo, non sono state le compagne. Verto anche le compagne zapatiste. Non perché volevamo essere come loro. ma ci sono di mezzo anche i maledetti compagni zapatisti.
Il fatto è che lo zapatismo è grande, è qualcosa che ti fa desiderare di essere migliore ma senza smettere di essere quello che sei. Non ti dice di andare a vivere in comunità o di imparare la loro lingua, di coprirti il volto, di abbandonare tutto, anche la famiglia, per salire in montagna con le insurgentas od ovunque esse siano. Ma ti dice e ti chiede “Noi siamo qui a fare questo, e tu cosa fai là?”. Lo zapatismo ignora stupidate del tipo sei grassa, magra, bassa, alta, scusa, oppure bianca, vecchia, giovane, saggia, ignorante, campagnola, cittadina.
Credimi, non c’è amore più puro di questo, che ti rispetta, che ti ama per come sei ma ti avvelena perché allo stesso tempo ti fa desiderare di essere migliore come persona, come donna. Nessuno ti obbliga, nessuno te lo chiede. Nessuno nemmeno lo pensa. Questa è la fregatura, perché questo desiderio nasce dentro di te. E non c’è nessuno contro cui reclamare o al quale rendere conto se non il maledetto specchio. E non possiamo dare la colpa agli uomini, o al sistema, o alle condizioni. È così forte che ti rovescia addosso tutto, ti obbliga ad essere responsabile di questo amore. Non ti concede nemmeno un dannato angolo in cui nasconderti. Maledetto zapatismo”.
Mi sono comprtato come un macho, ho scritto tutto senza cambiare nulla. Le parole sono tali e quali come le ho ascoltate. Sono le stesse non perché le ho registrate, ma perché, e sarete d’accordo con me, sono parole difficili da dimenticare.
Alla fine ho detto alla compagna che avrei presentato queste parole al seminario, se voleva quindi aggiungere ancora qualcosa per chiudere. Lei ci ha pensato qualche secondo e poi ha detto:
“Sì, dì a quegli stronzi degli uomini che se la prendano con i loro padri, sì con i loro padri non con le loro madri, perché le madri non hanno colpa se sono così stupidi. Poi, dì alle compagne che…. che…
La compagna zapatista che ancora non sa di esserezapatista, cerca un una parola che non riesce a trovare.
che… che… guarda, io non sono credente, ma in questo momento non trovo altra parola per dire ciò che penso, quindi di alle compagne che…. che dio le benedica, che un giorno spero di ritrovarmi non di fronte a loro, ma accanto a loro, e di non sentire la vergogna che mi brucia in petto. Che spero che arrivi il giorno in cui mi chiamino “compagna”, perché lo sono. Bene, adesso ho da fare con Los Tercios Compas e devo occuparmi della rivista e dei comunicati sulla pagina web, trascrivere la registrazione, controllare il testo, l’artigianato, andare alla riunione e al lavoro, alla lotta sempre alla lotta. Ah! Dì gatto-cane che se piscia ancora sulla sedia mi sentirà”.
La compagna se n’è andata. Io mi controllo per assicurarmi di non avere nessuna frattura o emorragia, nessuna ferita, se non avevo perso niente altro che la superbia. Vedendo che le mie belle parti del corpo erano ancora intatte, sono andato al computer a trascrivere queste parole. Certo, primo ho avvisato il gatto-cane di cercare un paese dove non ci sia il trattato di estradizione.
Con questo è dimostrato che noi uomini abbiamo sempre l’ultima parola e…..
Grazie. Grazie alle Insurgentas. Grazie alle donne zapatiste, indigene e no. Grazie alle donne della Sexta. Grazie alle donne che non sono della Sexta ma che lottano.
Subcomandante Insurgente Galeano
San Cristobal De Las Casas
6 maggio 2015
Traduzione “Maribel” – Bergamo
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