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La Jornada – Giovedì 23 agosto 2012

Dirigente campesino peruviano chiede al movimento #YoSoy132 di sostenere gli zapatisti

Hermann Bellinghausen

Il dirigente campesino e direttore della pubblicazione peruviana Lucha Indígena, Hugo Blanco, dal Perú in un messaggio di sostegno alle comunità dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), denuncia lle vere ragioni e le forze che vogliono schiacciare quella che egli chiama la zona liberata dal neoliberismo, dove le persone si governano da sé stesse. Nel 1994, nel momento di massima auge del sistema neoliberale che ci opprime, si è sollevata una voce ribelle, il movimento zapatista del Chiapas.

Blanco esorta il movimento #YoSoy132 a comprendere che è fondamentale il suo compito di difendere l’isola di libertà che si trova nel suo stesso paese; sconfiggere gli zapatisti favorirebbe la sconfitta del movimento #YoSoy132. Considerando che è interesse diretto dell’umanità difendere quest’isola di libertà, Hugo Blanco invita a difendere San Marcos Avilés, condanna le numerose altre aggressioni nella zona e chiama a lottare per la libertà di Francisco Sántiz López ed Alberto Patishtán Gómez.

E ricoerda: Carlos Salinas de Gortari, allora presidente, lanciò una sanguinosa offensiva militare pensando di schiacciare rapidamente la ribellione. Non fu così, la popolazione indigena combattente resistette. Il popolo del Messico si indignò di fronte allo spargimento di sangue e pretese la sospensione dell’attacco. Il governo degli Stati Uniti si mise in allarme, perché con la quantità di messicani e chicani oppressi presenti nel suo territorio, esisteva il pericolo che la ribellione si estendesse alla sede dell’impero. Pertanto ordinò al governo messicano di fermare l’attacco, mentre i ribelli dichiaravano di ubbidire al popolo del Messico che ordinava di fermare la guerra.

Blanco rammenta: Il governo offrì il dialogo, gli zapatisti accettarono. Con lo spirito democratico che hanno sempre dimostrato, non volevano essere loro a parlare a nome degli indigeni messicani, e convocarono indigeni e indigenisti di tutto il paese affinché elaborassero le richieste da presentare. I loro argomenti furono così puntuali che la commissione governativa dovette accettare molti punti. Entrambe le parti firmarono gli Accordi di San Andrés. Siccome questi dovevano avere forma di legge per essere approvati dal parlamento, questo nominò una commissione con l’incarico di dar loro il formato corretto. La commissione svolse il suo compito e lo presentò alle parti, gli zapatisti accettarono, ma il governo no. Al posto di questo presentò un altro documento, tradendo gli accordi che aveva firmato. In Parlamento i partiti si inchinarono all’oltraggio.

Il governo di Ernesto Zedillo lanciò un attacco militare a tradimento nel tentativo di liquidare la dirigenza dell’EZLN. E fallì, sottolinea Blanco, ma, chiunque sia il presidente di turno non abbandona i propositi di distruggere quell’isola di libertà che esiste nel mondo.

Non dimentichiamo che la prima riunione internazionale degli oppressi dal sistema neoliberale che schiaccia il mondo fu convocata dagli indigeni zapatisti e si svolse nel fango del Chiapas anni prima del Forum Sociale Mondiale.

Il dirigente campesino de lPerú rileva: Ultimamente si stanno intensificando gli attacchi contro le comunità zapatiste, il principale e più forte è quello che sta subendo la comunità autonoma zapatista di San Marcos Avilés. Le giunte di buon governo Hacia la Esperanza e Corazón del Arco Iris de la Esperanza denunciano diversi attacchi. Questi, così cme il mantenimento in prigione di Sántiz López e Patishtán Gómez, costituiscono la punta di diamante per schiacciare la zona liberata dal neoliberismo, dove le persone di governano da sé stesse attraverso le giunte che sono considerate un pericoloso nemico dalle multinazionali, perché sono la dimostrazione vivente che un altro mondo è possibile, un mondo dove stanno molti mondi. http://www.jornada.unam.mx/2012/08/23/politica/018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La JBG di Morelia denuncia un’aggressione armata della ORCAO contro basi di appoggio zapatiste

GIUNTA DI BUON GOVERNO CORAZÓN DEL ARCO IRIS DE LA
ESPERANZA, CARACOL
IV. TOVELLINO DE NUESTRAS PALABRAS
ZONA ZOTS CHOJ, MORELIA, CHIAPAS.
giovedì 9 agosto 2012

 Alla società civile nazionale e internazionale

Alle compagne e compagni dell’Altra Campagna nazionale

Alle compagne e compagni della Zezta Internacional

Ai difensori dei diritti umani

Sorelle e Fratelli:

Compagne e compagni:

Il 2 agosto 2012 nell’ejido di Moisés y Gandi regione Che Guevara municipio autonomo  ribelle Lucio Cabañas, zona zots choj, Chiapas, Messico, allee 11:00 del mattino,  20 elementi della ORCAO, tra i quali 4 erano armati, e precisamente Sebastián López Gomez con un fucile calibro 410 e Adolfo López Jimenez, Antonio Gomes López e Nicolás con armi calibro 22 sono entrati nell’ejido.

Uno della ‘ORCAO ha cominciato a spararci addosso ad una distanza di 60 metri, gridando e minacciando che la terra è loro e non vogliono allevatori, perchè i nostri compagni hanno del bestiame che a noi serve per la nostra resistenza.

Mentre i nostri compagni che stavano lavorando venivano aggrediti a colpi d’arma da fuoco, gli altri 16 della ORCAO hanno estratto le armi bianche minacciando tutti di morte.

I 59 compagni presenti all’aggressione hanno allora iniziato a ritirarsi per gli spari e vedendo che i nostri compagni si ritiravano, anche quelli della gli ORCAO a poco a poco se ne sono andati.

I giorni seguenti 3, 4 e 5 agosto 2012, i compagni basi di appoggio hanno ripreso a lavorare nel podere del Carmen non è successo nulla.

Lunedì 6 agosto 2012, alle 7 del mattino, i 59 compagni erano al lavoro per pulire il pascolo nel podere quando, alle ore 9, sono arrivati 3 gruppi di uomini della ORCAO guidati da Tomas López Santiz, capo diacono, e Pedro Velásquez Hernández ex capo della zona della chiesa di Abasolo, Manuel Santiz Hernández ministro della chiesa di Abasolo, Antonio Gómez López base della ORCAO di Abasolo, Adolfo López Jimenez, Cesar López Jimenez, Alonso López Gómez ex capo della zona della iglesia di Abasolo membro della proprietà Los Limares, Sebastián López Gómez del coro della chiesa di Abasolo e Pedro López Gómez, tutti e 9 armati.

Altri 7 uomini della ORCAO erano armati di calibro 22, e precisamente: Nicolás Hernández Velásquez, Diego López Santiz, Pedro Hernández Velásquez, Domingo Hernández santiz, Benito Jimenes Santiz, Juan Hernández Santiz, Nicolás Gómez Santiz,ed altri 4 di cui non si conoscono i nomi. In totale le persone armate erano 20.

Altre 80 persone armate di machete e coltelli hanno circondato su tre lati i nostri compagni che stavano lavorando.

Quelli della ORCAO hanno iniziato a sparare ad una distanza di 100 metri ed i compagni sono corsi ai ripari, mentre altri spargevano erbicidi sul pascolo.

Alle ore 13:00, dopo aver terminato con la fumigazione, sono tornati nel loro villaggio di San Diego che si trova su terre recuperate.

Il 7 e 8 agosto i compagni hanno ripreso il loro lavoro, nonostante la molesta e minacciosa presenza di 4 elementi della ORCAO, di cui 2, perché non hanno paura di queste minacce perché queste terre sono state recuperate nel 1994 con il sangue dei nostri compagni.

I tre livelli del malgoverno organizza gente ignorante contro di noi perché non vogliono che si sappia dei loro inganni e introdurre i loro progetti di morte nei nostri territori autonomi dove ci governiamo alla nostra maniera, come vuole il popolo.

Noi continueremo a lottare e resistere di fronte alle minacce contro le nostre terre; benché sappiamo che dietro queste intimidazioni ci sono i 3 livelli del malgoverno. Noi non lottiamo per obbligo né siamo manipolati da alcuni personaggi, come questi rappresentanti locali, regionali, consulenti della ORCAO e dei presunti governanti federali, statali e municipali che tengono sotto pressione e minaccia la povera gente ignorante, obbligandoli ad accettare miserabili progetti ed obbligandoli a fare provocazioni.

Noi lottiamo in autonomia per difendere i nostri diritti e non siamo come quelli della ORCAO che sono organizzati e manipolati dai malgoverni.

La nostra madre terra è sacra e ci nutre, per questo la preserviamo e la difenderemo come basi di appoggio dell’ EZLN. La nostra terra è maltrattata da quelli della ORCAO che la inquinano con erbicidi prodotti da industrie che uccidono la natura e protette dai cosiddetti governi…

Quelli della ORCAO sono solo gi esecutori ma i veri attori intellettuali si chiamano Felipe Calderó e Juan Sabines Guerrero, perché sono loro ad introdurre nei nostri territori i progetti di morte di guerra che costano milioni di pesos.

Questa situazione non è l’unica, lo scorso 26 luglio 2012, 60 elementi della ORCAO di Abasolo, che abitano nel villaggio di San Diego, nella regione Che Guevara,  alle 8 del mattino sono entrati nel villaggio del Camen a spargere erbicidi su 2 ettari di pascolo con l’intenzione di affamare i nostri compagni e farli così desistere dalla lotta iniziata il 1° gennaio del 1994.

Riteniamo i tre livelli di governo direttamente responsabili delle provocazioni; perchè ora non usano i soldati, né i poliziotti, usano indigeni di piccole organizzazioni affinché ci scontriamo tra indigeni.

Per anni hanno speso milioni di pesos per distruggere e regalare la nostra terra, distruggere i nostri usi e costumi, la nostra lingua, ma che tutti sappiano che noi zapatisti continueremo a lottare e resistere ad ogni costo.

Il loro obiettivo è demoralizzare gli zapatisti ma si sbagliano, e forse si burlano di noi quando non rispondiamo alle loro provocazioni; noi sappiamo che stiamo costruendo la vita e non la morte, come fanno i malgoverni.

Noi non siamo mendicanti come loro, e non c’è d’aver paura di nessun governo che non è riuscito ad eliminarci nemmeno con tutti i suoi milioni di pesosi, figuriamoci una piccola organizzazione come la ORCAO.

Noi zapatisti lottiamo con cuore umile e semplice, siamo costruttori della pace giusta, costruiamo il miglior modo di vivere nelle nostre terre messicane e non cerchiamo il benessere personale.

Noi non siamo provocatori né aggressori né bande paramilitari, né bande criminali; noi siamo gente di lavoro e di pace.

Per noi basi di appoggio zapatiste la terra recuperata nel 1994 è parte dell’organizzazione, non vogliamo che qualcuno fermi la nostra lotta perché siamo organizzati come popoli, secondo i nostri costumi ed in accordo alle decisioni dei nostri popoli.

Sappiamo governarci in autonomia senza dipendere da nessuno, per questo siamo pronti a difendere ad ogni costo quello che è nostro di diritto.

DISTINTAMENTE

LA GIUNTA DI BUON GOVERNO IN CARICA

LA DENUNCIA E’ TIMBRATA DALLA GIUNTA DI BUON GOVERNO CORAZON DEL ARCOIRIRS DE LA ESPERANZA E FIRMATA DA

MARCOS VÁZQUEZ GÓMEZ

FRANCISCA PÉREZ PECH

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2012/08/15/la-jbg-de-morelia-denuncia-ataque-de-la-orcao-con-arma-de-fuego-a-bases-de-apoyo-zapatista/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+EnlaceZapatista+%28Enlace+Zapatista%29

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 http://www.autistici.org/nodosolidale/news_det.php?l=it&id=2199

JUNTA DE BUEN GOBIERNO HACIA LA ESPERANZA
CARACOL 1 MADRE DE LOS CARACOLES MAR DE NUESTROS SUEÑOS

La Realidad Chiapas – Messico, mercoledi’ 15 agosto del 2012

DENUNCIA PUBBLICA.

Alla società civile e internazionale
Alle compagne e compagni dell’Atra Campagna nazionale e internazionale
Alle compagne e compagni della Sesta Internazionale
Agli organismi indipendenti dei diritti umani
Ai mezzi di comunicazione alternativi
Alla stampa nazionale e internazionale
Alle sorelle e fratelli del Messico e del mondo

La Junta de Buen Gobierno Hacia la Esperanza della zona Selva Fronteriza, situata a La Realidad Trinidad municipio autónomo San Pedro de Michoacán DENUNCIAMO PUBBLICAMENTE le provocazioni che stiamo subendo dalle autorità e da un gruppo di persone di Veracruz, frazione del ejido San Carlos, municipio de Las Margaritas, Chiapas, México.

In questa località fu costruita, prima della rivolta armata del 1994, una casa di 30×14 metri come bottega di acquisto e immagazzinamento del caffè, parte della Unione di Ejidos della zona Selva; a partire dal 1° di gennaio del 1994, questa attività finisce in mano ai municipi autonomi ribelli zapatisti.

Posteriormente i quattro municipi autonomi che sono: San Pedro de Michoacán, Tierra y Libertad, Libertad de los Pueblos Mayas y General Emiliano Zapata, si organizzarono per dare vita a un progetto autonomo in queste istallazioni, dove vendevamo merce all’ingrosso e al dettaglio.

Ma un gruppo di persone che vive nelle vicinanze, spinti dalle loro autorità istituzionali, si sono organizzati per togliercela e questo gruppo non ha nessun diritto su questa costruzione: quello che stanno facendo è provocarci senza alcuna ragione, visto che noi non stiamo togliendo niente a nessuno, tanto meno a loro.

Il 3 luglio 2012, si sono presentati all’officina della Junta de Buen Gobierno i signori Rafael Méndez López, agente municipale, e Iván Méndez Domínguez suo vice, dicendoci che il loro gruppo voleva occupare la bottega, perché così saranno finanziati con due progetti dal mal governo e che per questo hanno bisogno dell’immobile; come autorità della Junta de Buen Gobierno si è detto loro che non si sarebbe permessa tale occupazione impropria e che si sbrigassero questa faccenda con chi gli darebbe i finanziamenti ma che non venissero a provocare noi zapatisti per colpa di qualche briciola che gli regala il governo.

I FATTI:

Il giorno 6 agosto, a partire dalle 7.00 del mattino, un gruppo di 45 persone, militanti del Partito Verde e del Partito della Rivoluzione Democratica, capeggiato da Rafael Méndez López, agente municipale, si è diretto alla bottega circondandola con filo spinato e impedendo così l’ingresso.

Dopodiché sono andati dai compagni base d’appoggio che lavoravano nel negozio, chiedendo loro la chiave e intimandoli di abbandonare lo stabile, con un linguaggio aggressivo; ma i nostri compagni si sono rifiutati. Visti i fatti siamo dovuti andari lì il giorno stesso ad aprire un varco affinchè la gente potesse passare senza problemi.

Come se non bastasse il giorno 11 agosto, attorno alle 15.00, un gruppo di 45 persone ha tagliato l’energia elettrica della bottega ed inoltre s’è messo senza permesso nella proprietà del nostro compagno base d’appoggio dell’EZLN Mario Santis Méndez per tagliare anche a lui l’energia elettrica.

Di fronte un agire tanto ingiusto verso noi zapatisti, il 14 agosto abbiamo rinstallato nuovamente l’energia del nostro compagno e della bottega, visto che questo compagno non ha nessun problema con queste persone, che lo stanno provocando per il semplice fatto di essere base d’appoggio zapatista, motivo per cui ci stanno provocando tutti; sappiamo perfettamente che questi fratelli non sono nostri nemici ma, disgraziatamente, per il fatto di non capire, non pensare, si mettono a provocare senza analizzare se gli può andare bene o male e le conseguenze che potrebbero esserci.

Fa male il fatto che questi fratelli si lascino ingannare e manipolare da alcune persone, a loro volta manipolate e appoggiate per i mal governi e risulta ingiusto che questi provocatori, sottomettano per mezzo di sanzioni o minacce altre persone che si rifiutano; perché sappiamo che ci sono fratelli e sorelle che sanno pensare e analizzare le cose ma che per paura si fanno sottomettere, convertendosi in complici di chi sta a capo di queste azioni.

Quello che sta succedendo è principalmente colpa dei mal governi per le briciole che dispensano, è una strategia dei governi corrotti, che sono gli autori intellettuali e la causa di questi problemi, e che finanziano progetti che hanno lo scopo di dividere la gente e creare problemi tra contadini e indigeni e intimidire i nostri compagni col fine di fermare la loro lotta. Quello che diciamo a queste autorità corrotte e a questo gruppo di provocatori, così come alle autorità dei tre livelli di governo: a Felipe de Jesús Ruiz Moreno, presidente municipale de Las Margaritas, a Juan Sabines Guerrero e a Felipe Calderón Hinojosa, che noi non permetteremo queste provocazioni e che ci difenderemo da tutti i progetti come questi che colpiscono i nostri compagni e compagne zapatiste.

Sorelle e fratelli, questi fatti li rendiamo pubblici per farvi sapere quello che stanno facendo i mal governi corrotti tanto quello municipale, quanto statale e federale, che apparentemente sono buoni ma che realmente sono i peggiori che potremmo avere. Ci hanno aggredito senza motivo alcuno, pensando che con questo ci arrenderemo o ci venderemo a queste massa di ladroni, criminali e traditori della patria; se pensano questo si stanno sbagliando, perché queste ingiustizie che subiamo, invece di intimorirci ci danno più coraggio, rabbia e indignazione.

Così che facciamo responsabili il sig. Iván Méndez Domínguez, il sig.Rafael Méndez López e tutto il gruppo che menzionammo per tutto quello che potrà succedere da qui in avanti; ed inoltre denunciamo Felipe Ruiz Moreno, Juan Sabines Guerrero e Felipe Calderón Hinojosa, che se non faranno nulla al rispetto saranno i responsabili immediati e complici di questi aggressori e di tutto quello che potrà succedere.

Ya basta di tante provocazioni ed ingiustizie contro di noi.

Vi facciamo sapere che noi non ci fermeremo e che se non smettono le provocazioni prenderemo misure più serie.

Saremo vigili su ogni cosa che potrebbe succedere.

ATENTAMENTE
JUNTA DE BUEN GOBIERNO
HACIA LA ESPERANZA
ZONA SELVA FRONTERIZA

Traduzione de La Pirata:
http://lapirata.indivia.net/

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La Jornada – 10 agosto 2012

Gli equivoci presidenziali rispetto all’EZLN

Jaime Martínez Veloz

Durante la marcia zapatista del colore della terra, realizzata nel 2001, nel Congresso dell’Unione ci fu un acceso dibattito circa la possibilità che l’EZLN utilizzasse la tribuna del Congresso dell’Unione per esporre le ragioni sulle quali si fonda il suo movimento. La posizione di chi si opponeva a questa misura era rappresentata da Felipe Calderón, coordinatore dei deputati del PAN, e basava la sua opposizione alla presenza zapatista nel Congresso, invocando, a suo modo, aspetti relazionati con la formalità parlamentare ed i rigidi criteri interpretativi del regolamento legislativo.

Chi appoggiava la presenza degli zapatisti nella tribuna parlamentare vinse per 10 voti, ma sapevamo che al di là delle formalità, la questione di fondo era se lo Stato messicano includeva o no tutti i messicani. Gli zapatisti esposero le loro argomentazioni a favore di una nuova relazione tra gli indigeni e lo Stato messicano. Quello che seguì è ormai storia: al Senato i 15 minuti di Fox non arrivarono mai e con un provvedimento legislativo, firmato dai senatori Manuel Bartlett e Diego Fernández de Cevallos, si snaturalizzò l’iniziativa di legge in materia indigena in cambio di un testo costituzionale che prometteva un paradiso che nei fatti risultò essere un inferno per le comunità indigene messicane.

Racconto questo perché lo scorso 26 luglio, in occasione della presentazione del libro Corazón indígena: lucha y esperanza de los pueblos originarios de México, di don Luis H. Álvarez, Felipe Calderón Hinojosa, ora Presidente della Repubblica, fece alcune dichiarazioni che devono essere puntualizzate a salvaguardia dell’interesse generale.

Fu ovvio che Calderón esaltasse generosamente la figura dell’autore del libro presentato, al limite di definirlo un apostolo illustrandone i valori etici che affermò di possedere don Luis H. Álvarez. Nello stesso tempo dichiarò la sua stima per le qualità letterarie del subcomandante Marcos che, come si sa, ha, onestamente, un’eccellente prosa ed un’ottima scrittura.

Le opinioni di Calderón non sembrano inserite in un piano prestabilito, con una strategia  deliberata; hanno la freschezza della sincera improvvisazione, di quell’amena ingenuità che a volte possiede chi non avverte la gravità degli eventi ai quali si riferisce. Queste ed altre opinioni espresse da Calderón durante il suo intervento corrispondono all’esercizio del suo diritto individuale di esprimersi, per quanto controversi possano risultare i suoi punti di vista. 

Il conflitto si presenta quando si considera l’investitura che ostenta Calderón; quando parla, parla il Presidente della Repubblica, ruolo del quale non può spogliarsi neppure per un istante e che lo obbliga a considerare, sempre, il peso e l’impatto che avranno le sue parole.

Durante il suo intervento, Calderón ha evidenziato che manca dell’interpretazione e della politica istituzionale necessarie per capire e risolvere, come Presidente della Repubblica, la crisi in Chiapas, dove sussiste la dichiarazione di guerra che un ampio settore di messicani lanciò contro lo Stato. Nonostante stiano per terminare le sue responsabilità presidenziali, è inquietante pensare che durante quasi sei anni il silenzio del Presidente della Repubblica sull’argomento non rispondeva a cautela, bensì ad ignoranza e superficialità.

Quanto sopra è stato confermato nella chiusura dell’intervento di Calderón, quando ha affermato: Ma, soprattutto, don Luis H. Álvarez è stato una luce che ha cambiato la realtà delle comunità zapatiste, non a partire dalle armi, come in origine, bensì a partire dalla forza dei non violenti, dalla forza dei pacifici, come dice il Vangelo, di cui fa parte questo uomo forte di pace che si chiama don Luis Álvarez e che abbiamo il privilegio di avere con noi.

Il Presidente della Repubblica sbaglia; il suo errore è grave, perché nasce dall’ignoranza di quello che è stato il conflitto chiapaneco dalla sua genesi fino ad ora. È ulteriormente grave perché magnifica i risultati quantitativi dei programmi governativi e degli investimenti  pubblici, senza riflettere sulla mancanza totale di strategia e articolazione con cui alcune importanti politiche pubbliche vengono applicate nelle comunità indigene

Il Presidente della Repubblica è stato negligente nel suo obbligo di riconciliare tutti i messicani, cosa che cerca di occultare dietro una sequela di cifre di investimenti pubblici senza strategia sociale né progetto politico in tutte le regioni indigene. 

Il merito del fatto che il conflitto non si sia aggravato non è del governo, ma delle comunità zapatiste che hanno onorato gli impegni dei loro dirigenti resistendo con lealtà e disciplina alle contrarietà ed alle congiure. 

È interesse nazionale denunciare e farla finita con l’ipotesi che è possibile e conveniente l’amministrazione del conflitto, ad perpetuam, e che il logoramento della dignità indigena finirà per sconfiggere gli insorti. 

Non si deve più tollerare l’omissione né l’esclusione dallo sviluppo sociale con democrazia; è necessario generare le condizioni sociali e politiche per la riconciliazione ed il riscatto della piena sovranità nazionale, mediante la riproposizione e restituzione dei provvedimenti costituzionali che trasformino in mandato gli Accordi di San Andrés firmati tra il Governo Federale e l’EZLN. http://www.jornada.unam.mx/2012/08/10/opinion/022a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – martedì 7 agosto 2012

Tzeltales temono lo sgombero delle basi di appoggio nel caracol di Oventic

Hermann Bellinghausen

Secondo le informazioni della comunità tzeltal San Marcos Avilés, appartenente al caracol zapatista di Oventic, si starebbe pianificando un nuovo sgombero delle basi di appoggio zapatiste della località. Questo potrebbe avvenire nei prossimi giorni con l’intervento di elementi dei partiti politici locali appartenenti al gruppo di scontro che ha tormenta le basi ribelli di San Marcos Avilés dal 2010. Questi sono in assemblea straordinaria per discutere questi temi, aggiungono, ed hanno reso noto il piano di sgombero violento. La comunità aggredita riferisce che questi stanno tentando di reclutare persone nelle comunità di Pantelhó, Corralito e La Providencia per realizzare lo sgombero; si vantano di essere in grado di farlo poiché il candidato Leonardo Guirao Aguilar (PVEM) ha vinto le recenti elezioni nel municipio di Chilón, il suo partito le ha vinte a livello statale ed il PRI a livello federale.

Gli indigeni identificati come i promotori di queste minacce sono Lorenzo Ruiz Gómez e Manuel Díaz Ruiz (PVEM) ed i priisti Vicente Ruiz López, José Cruz Hernández, Carmelino Hernández Hernández, Ernesto López Núñez, Manuel Vázquez Gómez, Aristeo ed Alejandro Núñez Ruiz.

Oltre all’annuncio del piano di sgombero dei gruppi di scontro citati, recentemente c’è stato un aumento preoccupante di insulti, distruzione di campi e raccolti e furti nella comunità, riferiscono a loro volta le organizzazioni civili. A causa delle aggressioni, quest’anno le provviste alimentari per le famiglie zapatiste di San Marcos Avilés non saranno sufficienti. Nelle settimane scorse, minacce e aggressioni si sono intensificate tanto che si teme la ripetizione di quanto successo nell’agosto del 2010, o forse peggio; la vita delle basi di appoggio zapatiste di San Marcos Avilés è in serio pericolo. Gli indigeni in resistenza e perseguitati, circa 200 persone, comprarono il terreno 12 anni fa e possiedono i documenti di proprietà. Tuttavia, come in tutto il territorio zapatista, questo non ferma i governi che continuano a consegnare la terra ad altri in cambio dello spostamento forzato di ciò che più temono quelli che stanno sopra: il buon esempio, sottolineava giorni fa un appello alla solidarietà internazionale delle organizzazioni dell’Altra Campagna che hanno manifestato molta preoccupazione per la sorte di questa comunità. Prossimamente, una carovana civile percorrerà alcuni punti nevralgici della geografia della resistenza e della contrainsurgencia.

Negli ultimi giorni ci sono state altre nuove minacce verso le basi di appoggio dell’EZLN di San Marcos Avilés da parte del gruppo di scontro, il quale ha dichiarato che sequestrerà le autorità comunitarie zapatiste e così caccerà con la forza le basi di appoggio dall’ejido. Chi denuncia le aggressione è minacciato di arresto. Le organizzazioni allertano: Per tutto questo si teme lo sgombero forzato della comunità come avvenne nel 2010.

L’inizio della sventura di San Marcos Avilés è stata la costruzione della scuola Emiliano Zapata, parte del Sistema Autonomo Educativo Zapatista, nell’agosto di quell’anno. I filogovernativi lanciarono le ostilità e poche settimane dopo le famiglie zapatiste dovettero rifugiarsi sulle montagne per 33 giorni. Al loro ritorno, trovarono le sue case ed i campi saccheggiati e distrutti. Due anni dopo, e spronati dalla vittoria elettorale del loro correligionario Manuel Velasco Coello, i gruppi di scontro sembrano prepararsi a consumare le aggressioni ed i furti ampiamente annunciati, davanti alla passività del governo statale. http://www.jornada.unam.mx/2012/08/07/politica/018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – 6 agosto 2012

A seguito delle aggressioni paramilitari, gli zapatisti fondano il villaggio Comandante Abel

Hermann Bellinghausen. Enviado. San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 agosto. A seguito delle aggressioni dei paramilitari, la comunità zapatista San Patricio, del municipio autonomo La Dignidad (caracol Roberto Barrios), nel maggio scorso ha deciso di spostarsi su un altro podere di terre recuperate dall’EZLN nel 1994 e fondare il nuovo villaggio Comandante Abel

Lo Spazio di Lotta contro l’Oblio e la Repressione, in coordinamento con la Rete contro la Repressione e per la Solidarietà in Chiapas, ha presentato un rapporto delle brigate di osservazione a San Patricio il quale descrive il cambiamento risultato di un processo di  dignità di lotta delle famiglie basi di appoggio zapatiste che costantemente, e impunemente, subiscono la persecuzione paramilitare.

Nel 1994 la mobilitazione della società civile fermò la guerra, ma il governo messicano l’ha continuò con altri mezzi con il Piano Campaña Chiapas 94, la cui fase offensiva ordinava testualmente, “spostamento forzato della popolazione sotto influenza zapatista verso rifugi o zone di rifugio ufficiali; neutralizzazione della diocesi di San Cristóbal; cattura di messicani aderenti all’EZLN; espulsione di stranieri perniciosi; uccisione o controllo del bestiame equino e vaccino; distruzione di campi e raccolti ed uso della ‘autodifesa civile’ per rompere il rapporto di sostegno tra la popolazione ed i trasgressori della legge”.

Nella regione chol (Tila, Tumbalá, Sabanilla, Salto de Agua, Palenque e Yajalón), la strategia si realizzò attraverso Desarrollo, Paz y Justicia, organizzazione paramilitare formata, finanziata, addestrata e protetta da strutture di governo, che non è mai stata disarmata, e le cui armi fornite direttamente dallo Stato, 18 anni dopo continuano a minacciare l’integrità delle basi di appoggio zapatiste. Tra il 1995 e 1997 i paramilitari sfollarono migliaia di persone. Controllavano le strade, sequestravano, torturavano, violentavano, facevano sparire le persone, assassinavano, bruciavano le case, rubavano i raccolti, gli animali, i beni. Ora, col ritorno del PRI alla presidenza della Repubblica e di Manuel Velasco Coello, del Partito Verde Ecologista (l’altra faccia della medaglia del PRI) al governo dello stato, le condizioni favoriscono il gruppo paramilitare, sostiene il rapporto.

Lo schema di contrainsurgencia è vigente in tutto il territorio zapatista. Basta guardare le azioni contro le comunità dei diversi caracoles: Nuevo Paraíso, San Marcos Avilés, Bolom Ajaw o San Patricio. Il Piano Campaña Chiapas 94 è ancora in atto: uccisione o controllo del bestiame, distruzione di campi e raccolti, impiego dell’autodifesa civile (paramilitari). 

San Patricio viene fondato nel 1995. Per anni le famiglie zapatiste saranno vessate dal gruppo Paz y Justicia che crea sfiducia e divisioni. Di fronte alla resistenza dei ribelli, il gruppo paramilitare agisce con alcune famiglie del PRI con l’obiettivo di far fallire il processo autonomistico. Nel maggio scorso, i coloni hanno deciso di spostarsi in un altro spazio di terra recuperata, con l’appoggio di oltre 200 basi zapatiste di altre regioni, nel podere La Lámpara (precedentemente invaso per un mese e mezzo dai paramilitari di Paz y Justcia, ora Uciaf). Così nasce la comunità Comandante Abel. “Hanno lasciato quello che avevano costruito per creare una nuova comunità in onore della volontà, disciplina, amore e convinzione dello scomparso comandante dell’EZLN, che era incaricato della regione tzeltal e chol della zona nord”.

Gli osservatori riferiscono di spari e ricorrenti minacce di sgombero. Durante il trasferimento degli zapatisti (il 16 e 28 maggio) ci sono stati spari e nuove minacce. Ora la comunità resiste e costruisce. A causa dell’invasione a San Patricio nel settembre del 2011, gli indigeni persero i raccolti. Ora, dopo essere stati spogliati dei propri beni, in forma collettiva costruiscono le case, seminano i campi; i lavori collettivi e le cooperative vanno avanti e così la scuola e il sistema di salute autonomi. http://www.jornada.unam.mx/2012/08/06/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 4 agosto 2012

Gli ejidatarios di Tila dovranno aspettare il loro turno affinché la Corte esamini il loro ricorso

Il loro caso è il numero 46 nella lista dei ricorsi che verranno presi in esame nel corso dell’anno.

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 3 agosto. Gli ejidatarios di Tila che si sono mobilitati nella capitale dovranno ora aspettare il loro turno  presso la Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) per reclamare la restituzione delle terre nel centro urbano di Tila. Un avvocato del Centro Pro ha affermato che la dilazione della SCJN è un messaggio molto chiaro delle istanze che amministrano la  giustizia che non hanno la sensibilità di rispondere al ricorso di questa comunità che da generazioni lotta per la rivendicazione della propria terra. (…) http://www.jornada.unam.mx/2012/08/04/politica/016n1pol

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CONVOCAZIONE BRIGATA DI OSSERVAZIONE E SOLIDARIETA’ CON LE COMUNITA’ ZAPATISTE

Dal 10 al 20 agosto 2012

A 18 anni dall’insurrezione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, i popoli indigeni Zapatisti sono riusciti a costruire un processo organizzativo autonomo ed autogestito che ha permesso di ottenere progressi in ambiti come l’educazione, la salute, la partecipazione delle donne, il controllo del territorio, l’agricoltura sostenibile, l’alimentazione, la terra, la casa, i mezzi di comunicazione, tra molti altri. 

Negli ultimi otto anni questo è stato possibile grazie all’esercizio di governare e governarsi attraverso le Giunte di Buon Governo, attraverso le quali i popoli Zapatisti hanno rafforzato il tessuto sociale nelle loro comunità, formando nuove generazioni di compagne e compagni che trasmettono l’esperienza della resistenza, risolvendo i problemi con il dialogo ed il consenso, relazionandosi con diverse organizzazioni, gruppi, collettivi ed individui del Messico e del mondo; tutto questo senza la necessità di alcun partito politico e senza ricevere niente dai malgoverni, insomma, il comandare-ubbidendo e per tutti tutto, sono principi politici che i popoli Zapatisti esercitano quotidianamente in mezzo ad una guerra politica, militare, mediatica ed economica. 

Oggi questa guerra si mostra sempre più dura; mentre il paramilitare che malgoverna lo stato, Juan Sabines Guerrero, del PRD, si mostra agli occhi del mondo come promotore dei diritti umani alla ricerca di un posto nell’Organizzazione delle Nazioni Unite; si acutizzano l’esproprio di terre, le aggressioni, le minacce di morte, i tentativi di omicidio, il furto dei beni, l’implementazione di programmi economici, i prigionieri politici, come forme di contrainsurgencia. 

Dalla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà, osserviamo con indignazione e preoccupazione il clima di impunità nel quale agiscono i tre poteri dello stato in Chiapas coperti da tutto l’apparato dello Stato messicano e dai mezzi di comunicazione di massa del nostro paese, come l’ingerenza dei grandi consorzi stranieri. 

Di fronte a questa situazione riteniamo necessario, nei nostri luoghi di lavoro nelle scuole, fabbriche, quartieri e comunità, denunciare costantemente quello che succede in territorio zapatista, per rompere il cerchio informativo, denunciare gli aggressori e mantenere il principio che è necessaria un’altra forma di fare politica e che un altro mondo possibile esiste già nel Sudest messicano, mostrando i progressi raggiunti attraverso l’organizzazione e la resistenza Zapatista. 

Quindi, nell’ambito della Giornata per le Libertà Politiche e Contro l’Impunità, celebrata i giorni 23 e 24 giugno a Città del Messico, la Rete contro la Repressione e per la Solidarietà convoca compagni e compagne aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed alla Zezta Internazionale ad unirsi a questa Brigata, tenendo presente che questa azione richiede un alto grado di disciplina e impegno, perché il compito da svolgere avviene in una cornice di persecuzione e provocazioni da parte dei tre livelli di governo, tre poteri, partiti politici, mezzi di disinformazione, diverse polizie, gruppi di scontro, militari e paramilitari.

Inoltre, la nostra presenza in territorio Zapatista conferma il nostro detto “non siete soli”, offre solidarietà ai nostri compagni e compagne davanti all’attuale situazione di violenza; contemporaneamente, potremo documentare i progressi dell’Autonomia Zapatista. 

Inizio: 11 agosto 2012 a San Cristóbal de las Casas (SCLC) alle ore 11:00

Programma:

  • Riunione di coordinamento
  • Visita alle Comunità
  • Relazione finale: Redazione congiunta del rapporto finale dei lavori della Brigata
  • Conferenza Stampa: Diffusione ai media liberi, ed a pochi altri media, dei risultati della Brigata sulle azioni di contrainsurgencia e violenza contro i nostri fratelli Zapatisti e sui progressi del Progetto Autonomistico Zapatista.

 Fine della Brigata: Lunedì 20 agosto

Impegno: Diffondere la relazione della Brigata in tutti i luoghi di origine dei brigatisti ed in tutti i luoghi in cui ci sono compagni dell’Altra Campagna e della Zezta Internazionale attraverso bollettini, posta elettronica, blog, reti sociali, incontri, mostre, forum, periodici murales, ecc..

 Per informazioni ed iscrizione:
redcontralarepresion@gmail.com
redmyczapatista@gmail.com
mujeresyla6a@yahoo.com.mx
(0052) 04455 5435 3824
(0052) 04455 8530 6564
http://www.redcontralarepresion.org

Contra el despojo y la represión: la solidaridad.

Red contra la Represión y por la Solidaridad

(RvsR)

¡CONTRA EL DESPOJO Y LA REPRESIÓN: LA SOLIDARIDAD!
Rete Contro la Repressione e per la Solidarietà
email: redcontralarepresion@gmail.com
web: http://www.redcontralarepresion.org
facebook.com/redcontralarepresion
http://twitter.com/RvsRepresion
Telefono: (0052) 55 78 07 75 y 55 78 47 11
Indirizzo: Dr. Carmona y Valle # 32, colonia Doctores, Del. Cuauhtémoc, México D. F. C.P. 06720

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ABBATTIAMO I MURI DELLA PRIGIONE! 

Campagna Mondiale per la Libertà di Patishtán e Sántiz López

Convocazione della quarta tappa:

“A 9 mesi: 9 giorni di Azione Globale per

Abbattere i Muri della Prigione”

 Da lunedì 27 agosto a martedì 4 settembre 2012

1 agosto 2012 
Ai nostri fratelli e sorelle familiari di Francisco Sántiz López:
Ai nostri fratelli e sorelle familiari e compagni di Alberto Patishtán Gómez:
Alle nostre sorelle e fratelli zapatisti:
Ai nostri compagni e compagne dell’Altra Campagna
Ai nostri compagni e compagne della Zezta Internazional:
Ai nostri compagni e compagne aderenti alla Campagna Internazionale a Difesa del Barrio e nostri alleati nel mondo:
Alla società civile del Messico e del Mondo: 

Compagne e compagni: 

Un saluto combattivo ed un caloroso abbraccio da parte del Movimiento por Justicia del Barrio, L’Altra Campagna New York. Con la seguente convocazione speriamo di trascorrere uniti la quarta tappa della nostra Campagna Mondiale per la Libertà di Patishtán  e Sántiz López: Abbattiamo i Muri della Prigione! 

Compas:  Sentiamo l’amarezza per l’ingiustizia, l’impunità, e la violenza, le ceneri della guerra di sterminio dei tre livelli del malgoverno del Messico contro gli Zapatisti e tutt@ coloro che stanno in basso. È il sentimento che proviamo nell’assistere ai due casi di ingiustizia che il malgoverno del Messico considera, nella sua tipica assurdità, “processo”, “legge”, “civiltà”, o “ordine”. Tutto questo odora di pareti di cemento secco, grate di gelido ferro e di un’aria stantia, stagnante che i nostri prigionieri, Francisco e Alberto, ingiustamente privati della libertà, sopportano da troppo tempo. 

Tuttavia, ora le condizioni della nostra campagna stanno cambiando profondamente per i costanti sforzi organizzativi e la crescente pressione nazionale e internazionale che si solleva come candidi uccelli bianchi sul nostro nebuloso orizzonte. Inoltre, a fianco di questa campagna ce n’è un’altra che procede spedita e che ha ottenuto risonanza globale: la campagna “Eco Mondiale in Appoggio agli Zapatisti: Giustizia e Libertà per San Marcos Avilés e Sántiz López“. Rispettiamo le differenze tra le due, apprezzandone i principi ed i punti in cui le nostre tracce si incrociano… Così andiamo avanti, per creare un clima di lotta e di voglia di lottare. 

Qui si possono trovare informazioni sulla campagna “Eco Mondiale in Appoggio agli Zapatisti: Giustizia e Libertà per San Marcos Avilés e Sántiz López:

  http://sanmarcosaviles.wordpress.com/ 

Sentiamo il potere e la presenza di questo clima. Per le forze mondiali che si sono unite in queste campagne ci sentiamo cambiati. Non ci fermeranno più!   

Inoltre, abbiamo già ottenuto qualche piccola vittoria che ci porta sempre più vicini al nostro giusto obiettivo: La piena libertà dei compagni Alberto Patishtán Gómez e Francisco Sántiz López. Passo dopo passo ci avviciniamo alla nostra meta, come se ad ogni azione ed ogni popolo solidale che si unisce questa meta si avvicini sempre di più… Come se questa giusta meta avesse le ali…     

Abbiamo ottenuto vittorie parziali. Ma fino a che Francisco e Alberto non saranno liberi,  ogni vittoria comporterà una sfida. E queste sfide ci manterranno fermi e lucidi, rafforzeranno il nostro impegno verso i nostri due compagni e la voglia di vederli liberi.

La più recente ed emozionante vittoria è stata il ritorno in Chiapas di Patishtán. 

D’altra parte, mentre scriviamo si compiono 9 mesi dall’arresto ingiusto del nostro fratello zapatista, Francisco Sántiz López. Francisco è un bersaglio nella lunga guerra di sterminio che i tre livelli di governo messicano, insieme agli interessi capitalisti neoliberisti di tutto il mondo, stanno portando avanti contro il movimento zapatista in questi ultimi 18 anni. Questi nemici del popolo sono un ulteriore capitolo nella storia del colonialismo e del razzismo – un altro capitolo che, come i precedenti, può essere chiuso con la lotta e l’organizzazione. 

Come hanno detto i nostri fratelli della Giunta di Buon Governo, l’ingiusta detenzione di Francisco Sántiz López è una delle tante facce di questa guerra contro gli zapatisti e – in questo senso – contro tutti coloro che lottano in basso e a sinistra. Lottando per la libertà di Sántiz López, sfidiamo i tentativi del malgoverno del Messico di schiacciare la degna resistenza e autonomia dei popoli zapatisti. Contemporaneamente è parte della lunga guerra colonialista che quelli di sopra mantengono viva da oltre 500 anni. Questa guerra è ancora in atto in un paese con un governo che vende ai turisti ciò che appartiene agli indigeni mentre vuole schiacciare ed imprigionare chi difende il diritto di essere indigeno, quindi il diritto di esistere. 

Bisogna continuare a difendere il lascito della resistenza indigena e delle loro forme di costruire un altro mondo. Bisogna continuare ad ascoltare e rispondere all’appello della Giunta di Buon Governo di Oventic e continuare a far sapere la verità e aumentare la pressione sui malgoverni del Messico fino a che Francisco Sántiz López sia libero.

I nostri cuori, il nostro impegno e la nostra voglia di vivere degnamente, saranno sempre infinitamente più forti delle sue pistole, dei suoi grigi edifici di cemento, delle sue schifose bugie…

Compas: La nostra campagna ha rotto le frontiere, attraversato i deserti e solcato i mari. Abbattiamo i Muri della Prigione! parla ormai dozzine di lingue, si vede sui volantini di protesta, si grida come canto rivoluzionario e si canta come grido di battaglia. Tanti popoli di cuore degno e passo fermo di numerosi paesi e comunità del nostro mondo si sono uniti e continuano ad apportare la loro eco e la loro faccia alla domanda ormai storica e mondiale della libertà e giustizia per Alberto e Francisco, che risuona dalle strade delle città fino ai territori selva. 

Infine, per abbattere i muri in cui hanno rinchiuso Patishtán e Sántiz López, bisogna continuare a lottare più forte, bisogna raggiungere ancora più persone, bisogna far volare la nostra campagna. La sola cosa che libererà i nostri due prigionieri politici siamo noi!    

Ogni volta che ci uniamo, ci avviciniamo sempre più alla nostra meta e nel percorso ci fortifichiamo nelle nostre organizzazioni e comunità, ed assaggiamo un po’ di questa cosa molto strana e fugace chiamata “libertà”.

Per questo, sorelle e fratelli – da questo Barrio di immigrati messicani, da profondo del nostro cuore scuro e ribelle – con le braccia aperte invitiamo tutte e tutti coloro che come noi hanno sete di giustizia e fame di dignità, ad unirsi per organizzare la quarta tappa della Campagna Mondiale per la Libertà di Patishtán e Sántiz López: Abbattiamo i Muri della Prigione! Per protestare contro l’ingiusta detenzione di Francisco, abbiamo nominato questa tappa: “A 9 mesi: 9 giorni di Azione Globale per Abbattere i Muri della Prigione“. Vi chiediamo di unirsi a noi per chiedere ai malpoteri del Messico, in particolare al repressore presidente Felipe Calderón ed al repressore governatore Juan Sabines, di liberare immediatamente i nostri compagni Alberto Patishtán Gómez e Francisco Santiz López.

Per trasformare in polvere questi muri, proponiamo:

          Che tutti insieme uniamo le nostre forze organizzando azioni – nei vostri luoghi e con le vostre diverse forme di lotta – come manifestazioni, marce, eventi informativi, distribuzione di volanti, foum pubblici, teatro, presidi e qualunque altra attività per realizzare il:

 “A 9 mesi: 9 giorni di Azione Globale per

Abbattere i Muri della Prigione”

Da lunedì 27 agosto a martedì 4 settembre d2012

Per ogni mese di ingiusta detenzione, organizziamo un giorno di azione, protesta, e verità al livello mondiale. 

  • Vi chiediamo di comunicarci la vostra partecipazione attraverso il nostro indirizzo di posta elettronica:

movimientoporjusticiadelbarrio@yahoo.com 

Vogliamo ringraziare ancora tutti coloro che hanno partecipato alle tre tappe della campagna fino alla “Lettera Pubblica per la Liberazione Immediata di Francisco Sántiz López ed Alberto Patishtán Gómez”, e ringraziamo anticipatamente coloro che parteciperanno a questa quarta tappa.

Per conoscere la nostra lotta potete consultare il seguente video:

http://www.youtube.com/watch?v=Lj0lUahDzTs 

Già si intravede la libertà… Trasformiamo in martello questo clima pieno di emozione,rabbia, e speranza… E con le nostre mani, ABBATTIAMO! ABBATTIAMO! ABBATTIAMO! ¡A TUMBAR!   

I nostri compagni, Francisco e Alberto, usciranno. Questa guerra contro i nostri finirà.

ABBATTIAMO I MURI DELLA PRIGIONE!

GIUSTIZIA E LIBERTA’ PER ALBERTO E FRANCISCO!

 Abbracci affettuosi e solidarietà. 

Da El Barrio, New York:

Movimiento por Justicia del Barrio
La Otra Campaña Nueva York 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Gli indigeni choles di Tila sono a Città del Messico per esigere giustizia sul loro territorio 

GLORIA MUÑOZ RAMÍREZ E JAIME QUINTANA GUERRERO

FOTO: CLAYTON CONN

 Città del Messico. Sono arrivati sfilando nel centro di Città del Messico in un corteo dignitoso, pacifico e combattivo e si sono installati di fronte al palazzo della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN), a fianco del Palazzo Nazionale. Per essere esatti, sono 187 uomini e 27 donne, tutti choles dell’ejido di Tila, a nord del Chiapas, un villaggio che reclama un verdetto favorevole al ricorso presentato contro l’esproprio di 130 ettari da parte del governo dello stato.

La Carovana per la Terra e il Territorio è stata accolta da diversi collettivi dell’Altra Campagna, di cui fa parte l’ejido di Tila. La Rete Nazionale Contro la Repressione, i contadini di San Salvador Atenco, un gruppo di sindacalisti della Telmex, i lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti (SME), il Fronte dei Popoli, tra altre organizzazioni, hanno accompagnato il corteo partito dal monumento alla Rivoluzione verso lo zócalo capitolino.

Testo completo e fotografie della manifestazione

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La Jornada – Venerdì 27 luglio 2012

Alberto Patishtán, trasferito in Chiapas  
Hermann Bellinghausen

San Cristobal de las Casas, Chis. 26 luglio. Il professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez è stato trasferito in Chiapas e questa notte è già nella prigione di questa città. Dopo 12 anni di carcere, da 10 mesi era in una prigione federale a Guasave, Sinaloa. La richiesta del suo ritorno nello stato e della sua liberazione immediata è cresciuta incessantemente nei mesi recenti.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha confermato il trasferimento ma ha segnalato che solo con la liberazione immediata di Patishtán si sarebbe fatta giustizia, perché attualmente sconta una condanna e 60 anni per rati che, è stato provato, non ha commesso.

Mobilitazioni e proteste nelle sedi consolari messicane si sono svolte in diverse città del mondo per chiedere la sua liberazione. Per il momento, il professor Patishtán torna nella situazione di reclusione in cui si trovava nell’ottobre scorso.

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La Jornada – mercoledì 25 luglio 2012

Basi di appoggio dell’EZLN chiedono il sostegno della comunità globale

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis., 24 luglio. I priisti ci fanno soffrire e non lo accettiamo più, dichiarano le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Librazione Nazionale (EZLN) nella comunità San Marcos Avilés (municipio di Sitalá, nella zona tradizionale dei tzeltales), rivolgendo un appello alla solidarietà internazionale. Denunciano costanti aggressioni, furti e minacce di espulsione: Quando seminiamo i nostri campi di mais non riusciamo nemmeno a portarci a casa le pannocchie. Vengono a rubarci i fagioli, la canna, le banane. In quanto alla canna da zucchero, le tagliano tutte per pura cattiveria. Noi seminiamo e lavoriamo e loro distruggono e non ci resta niente.

Gli indigeni zapatisti aggiungono: Di tutto quello che seminiamo ne approfittano i partiti politici. La situazione delle famiglie in resistenza non interessa perché per le autorità del governo di Felipe Calderón e Juan Sabines Guerrero non ha importanza quello che stiamo reclamando. Sono perfino entrati nelle case. Prima di tutto questo qualcuno aveva un cavallo, del bestiame, delle lamiere per il tetto della casa, un’auto. Hanno portato via tutto. Inoltre, non possiamo godere del frutto del nostro lavoro con i nostri figli, perché se lo godono loro, quelli dei partiti politici PRI, PRD e PAN.

In un video diffuso ieri, gli indigeni, col volto coperto, parlano in lingua tzeltal dell’educazione autonoma: Diamo molta importanza alla scuola. Vogliamo che ci sia un buono insegnamento per i bambini, un buon apprendistato, un buon esempio. Il governo ha le sue scuole, ma non c’è buona educazione né insegnano bene ai nostri figli, e quello che insegnano non ha niente a che vedere con noi. Per questo abbiamo aperto la nostra scuola. Questa è stata il pretesto per i filogovernativi per aggredire le famiglie zapatiste e cacciarle nel 2010, dopo l’inizio delle lezioni il 16 agosto di quell’anno.

Nei giorni successivi un compagno fu convocato dalle autorità ufficiali che tentarono di fargli firmare un documento nel quale dichiarava che qui non c’erano più basi di appoggio dell’EZLN. I nostri compagni si sono rifiutati e le autorità e gli aggressori li hanno messi in  prigione.

Una donna coperta interviene: Non ci prendono in considerazione, ci trattano come cani. Così mi hanno chiamata quando ho partito mio figlio in montagna.

Convocando la società civile e le organizzazioni solidali per fermare questa escalation di violenza che fa temere un nuovo sgombero, dichiarano: Andiamo avanti. Non stiamo commettendo nessun reato. Abbiamo il diritto di lottare affinché ci prendano in considerazione. Libertà, giustizia e pace è quello che chiediamo. Non abbiamo paura perché sappiamo con chiarezza quello che vogliamo e come vogliamo vivere. Uomini, donne e bambini siamo in lotta e vogliamo che si conosca il crimine che sta commettendo il malgoverno qui a San Marcos Avilés. http://www.jornada.unam.mx/2012/07/25/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Da: Movimiento por Justicia del Barrio movimientoporjusticiadelbarrio@yahoo.com

 
NUOVO MESSAGGIO GRAVE E URGENTE DAGLI ZAPATISTI DI
SAN MARCOS AVILÉS
 
Per favore diffondere e far circolare
 
Compagne e compagni del mondo,
 
Il Movimiento por Justicia del Barrio, La Otra Campagna di New York mandano un forte abbraccio.
 
Inviamo un nuovo ed urgente videomessaggio da parte degli zapatisti della comunità in resistenza di San Marcos Avilés.
 
In questo messaggio i nostri fratelli di questa comunità chiapaneca raccontano con le loro parole ed i volti pieni di emozione e rabbia, la storia dell’incubo in cui vivono. Questo incubo è cominciato dopo l’apertura della loro scuola autonoma nel 2010. In particolare denunciano le costanti aggressioni e terrore che perpetuano i gruppi armati che sono il braccio dei partiti politici donimanti nella regione. Questi vogliono distruggere il movimento zapatista e la sua lotta per la giustizia, la dignità, e l’autonomia.
 
Inoltre, in questo videomessaggio i compagni zapatisti di San Marcos Avilés mandano a tutto il mondo alcuni messaggi diretti, in particolare alle donne, ai prigionieri politici e ai popoli degni di tutti i paesi. I nostri fratelli lanciano un appello alla mobilitazione e alla solidarietà nazionale ed internazionale, poiché sono in continuo ed allarmante aumento le minacce e le aggressioni contro di loro.
 
Dopo la diffusione di questo videomessaggio, specialmente negli ultimi giorni, ci sono state altre nuove minacce contro le basi di appoggio zapatiste di San Marcos Avilés da parte del gruppo armato dei partiti locali. Questo gruppo ha minacciato di sequestrare le autorità comunitarie zapatiste, e così sgombererà con la forza le basi di appoggio dell’ejido.  Il gruppo ha anche detto che metterà in prigione tutti coloro che denunciano questi atti di aggressione e minaccia. Per tutto quest, si teme lo sgombero forzato della comunità, come avvenne nel 2010.
 
Qui il link del videomessaggio: 
 

GIUSTIZIA E LIBERTA’ PER GLI ZAPATISTI DI SAN MARCOS AVILES!

 
VIVA L’EZLN! 
Con affetto e solidarietà,
 
Movimiento por Justicia del Barrio
La Otra Campagna New York

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Cherán trasforma il dolore in mobilitazione

15 luglio 2012

Il racconto del sequestro e dell’assassinio dei due comuneros di Cherán e del corso delle successive mobilitazioni per la giustizia.
Intervista (in castigliano) con alcuni membri del Consiglio Maggiore realizzata da Ana Garduño
Ascolta e scarica l’audio (4’00”) qui: http://desinformemonos.org/Audios/consejo%20mayor.mp3

“Come spiego a mio figlio la maniera così vile con cui hanno assassinato suo padre. Esigiamo giustizia”.
Intervista (in castigliano) con la vedova di Guadalupe Gerónimo, uno dei due comuneros assassinati in Cherán realizzata da Ana Garduño
Ascolta e scarica l’audio (3’57”)qui: http://desinformemonos.org/Audios/capsulaviuda.mp3
Gloria Muñoz Ramírez

Messico. “Diciamo addio ai nostri fratelli, ma il nostro dolore non è di disperazione. Stiamo trasformando questo dolore in riflessione e in azioni per ottenere giustizia, democrazia e pace vera”, afferma Salvador Campanur, della comunità purhépecha di Cherán.

Lo scorso 12 luglio, l’intera comunità di Cherán, municipio inchiodato sull’altipiano purhépecha del Michoacán, ha sepolto Urbano Macías e Guadalupe Gerónimo, due comuneros sequestrati e successivamente assassinati dai taglialegna del ranch El Cerecito. Oggi, dichiara Campanur, “il popolo è afflitto, ma non c’è scoraggiamento, semmai una rabbia molto dignitosa”.

Il 15 aprile 2011, i comuneros di Cherán si ribellarono contro i taglialegna, i quali con la complicità del governo, devastavano la comunità saccheggiando il legname dopo aver già distrutto l’ottanta per cento dei boschi (15 mila dei 20 mila ettari). A cominciare dal quel giorno la comunità ha intrapreso la strada dell’autodifesa e nel febbraio 2012 ha ottenuto il riconoscimento ufficiale delle proprie autorità attraverso il Consiglio Maggiore.

La persecuzione tuttavia non è cessata e nemmeno il taglio di legna, in quanto i comuneros non riescono a vigilare sulla totalità dei boschi. Lungo questi 15 mesi di resistenza e autorganizzazione sono stati assassinati 13 comuneros dalla criminalità organizzata, tra cui Urbano Macías y Guadalupe Gerónimo, catturati domenica 8 luglio mentre si stavano dirigendo al loro appezzamento per badare agli animali.

Stanchi di tanta impunità, i comuneros hanno deciso in assemblea una serie di mobilitazioni per “esigere giustizia”, ed è per questo che il 13 luglio hanno occupato i caselli di San Ángel Zurumucapio e Zirahuén dell’autostrada Siglo XXI, evitando che gli automobilisti pagassero il pedaggio.

Con le mobilitazioni, avverte Campanur, “vogliamo che il governo dello stato capisca che vogliamo continuare il dialogo. Si tratta di rendere visibile il dolore e la rabbia che abbiamo, devono fermarli, devono smettere di attaccarci. Se il governo non ce la fa o è con loro, che lo dica apertamente”.

Sulle dichiarazioni del governo statale che etichetta il problema come un conflitto intercomunitario, Campanur afferma che a causa della “loro impotenza vogliono far credere che si tratti di contenziosi tra comunità, ma la realtà è che da un lato c’è la comunità di Cherán e dall’altro la criminalità organizzata, i paramilitari, i taglialegna, e abbiamo già visto che aggrediscono, picchiano, sequestrano e ammazzano la nostra gente. E c’è anche il mal governo, che esercita il disprezzo, la discriminazione e l’oblio, per questo sospettiamo della sua complicità con i delinquenti, perché diversamente risolverebbe il problema”.

“Non è vero”, insiste, “che si tratta di conflitti tra comunità. Come popolo purhépecha siamo fratelli. Quando ci sono delle controversie le risolviamo secondo la nostra cultura, con il dialogo. Quando si sono avuti problemi di terra, non siamo stati noi a crearli, ma i limiti di legge imposti, adesso però la situazione è diversa”.

In questo contesto, afferma il comunero, “esigiamo che i governi federale e statale intervengano e applichino la legge in modo definitivo. Vogliamo un pace degna e stabile, in quanto noi non stiamo aggredendo nessuna comunità. Noi siamo gli aggrediti dalla criminalità organizzata che opera con la complicità dei governi, insieme a quelli che vogliono cambiare la destinazione d’uso delle nostre terre, da montagna naturale a coltivazioni di avocado”.

Da aprile 2011 la comunità mantiene i suoi vigilanti notturni tradizionali, falò e barricate in tutte le entrate del municipio, e le autorità tradizionali hanno concordato riunioni mensili con il governo statale per dare continuazione alla richiesta di sicurezza e smantellamento dei gruppi paramilitari.

Allo stesso tempo, spiega Campanur, “la comunità unita preserva il lavoro collettivo, dove ognuno ha un ruolo, una funzione e un dovere da compiere. E in questo modo si costruisce la sicurezza della comunità, con tutti gli abitanti, dal bambino fino al nonno più anziano della comunità. Così funziona la protezione, con i nostri usi a cui abbiamo diritto”.

In questi momenti, spiega l’intervistato da Cherán, “siamo stanchi di chiedere al governo lo smantellamento dei gruppi paramilitari che danneggiano questa regione. Loro sanno chi sono e in quali comunità si trovano: Rancho El Cerecito,  Rancho Morelos, Rancho Seco, Santa Cruz Tanaco, Huecate, Aranza, Paracho, Pomacuarán, Capácuaro, San Lorenzo y Nahuatzen. In queste comunità i partiti politici danno vita all’idea che la soluzione passi da loro. Ma in realtà i partiti portano alla divisione, alla disorganizzazione comunitaria e il loro obiettivo è quello di far sparire la nostra cultura”.

“Vogliamo stremare la controparte governativa e porteremo la denuncia anche nelle corti internazionali. Questa non è una faccenda di partiti né uno scontro tra fratelli dello stesso colore. Non ci lasciano altra strada che continuare la lotta, ma lo faremo attraverso le modalità della notra cultura per offrire al nostro popolo sicurezza, libertà e pace degna e vera”, avverte.

Sulle lotte post-elettorali attuali, Campanur riconosce che “ci sono altre lotte, con altri modi e noi le rispettiamo. Quello che diciamo è che stare insieme nel cammino dell’autonomia a noi dà forza per lottare contro la criminalità organizzata e il malgoverno. È questo che c’ha portato dei risultati. Con i nostri saperi stiamo dando una risposta alla crisi del paese, ma non possiamo dire a quanti credono in altre lotte di convertirsi o di fare le stesse cose che facciamo noi, però sì, diciamo che a noi ha portato dei risultati, insieme all’aiuto della società civile nazionale e internazionale”.

fonte: http://desinformemonos.org/2012/07/cheran-transforma-el-dolor-en-movilizacion/

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.orghttp://www.caferebeldefc.org)

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Los de Abajo

Cherán non si arrende

Gloria Muñoz Ramírez

Benché al popolo purépecha di Cherán sia costata cara la sua ribellione, è ben lungi dall’arrendersi. Fino ad ora sono 13 i morti o scomparsi da quando il 15 aprile 2011 decise di ribellarsi non solo contro il crimine organizzato che da anni devastava i suoi boschi, ma contro tutto un sistema che permetteva il controllo assoluto da parte della delinquenza, i talamontes e i paramilitari.

Sì, c’è dolore, dicono i comuneros dalla meseta purépecha, dopo il funerale di Urbano Macías e Guadalupe Gerónimo, solo lo scorso 12 luglio, ma soprattutto, insistono, c’è rabbia e la determinazione di non mollare né rinunciare al diritto all’autodifesa.

Fino al momento, nonostante gli annunci ufficiali, la comunità si difende da sola, perché non è arrivata la sicurezza promessa dai governi statale e federale; i paramilitari imperversano e le minacce incombono sui comuneros che hanno osato sfidare la criminalità organizzata che, denunciano, agisce con la complicità o l’omissione del malgoverno. Le ronde tradizionali, i falò e le barricate a tutti gli ingressi del villaggio sono stati rafforzati tra il dolore per le recenti perdite.

La versione del governo secondo il quale gli omicidi sono avvenuti nel contesto di un conflitto intercomunitario sono assurde e insostenibili. Non c’è conflitto tra le due comunità, bensì, spiega il Consiglio Superiore, c’è il popolo di Cherán da una parte e, dall’altra, ci sono i talamontes, i paramilitari e la negligenza del malgoverno. 

Lungi dal rifiutare il dialogo con i rappresentanti dei governi federale e locale, i comuneros di Cherán vogliono essere ascoltati, anche se fino ad ora hanno ricevuto in risposta la burla o le promesse incompiute che si faranno le indagini del caso, si cercheranno e arresteranno gli assassini, si fornirà sicurezza alla comunità e ci si prenderà cura dei boschi. Ma fino ad ora niente. 

Stiamo esaurendo tutte le possibilità, in primo luogo la richiesta al governo affinché smantelli tutti i gruppi criminali che fanno del male alla nostra regione. Loro, il governo, sanno chi sono e dove si trovano: rancho El Cerecito, rancho Morelos, rancho Seco, Santa Cruz Tanaco, Huecate, Aranza, Paracho, Pomacuaran, Capacuaro, San Lorenzo e Nahuatzen, segnala il Consiglio Superiore. 

Che li fermino, chiedono. E se il governo non può o sta con loro, allora che lo dica apertamente. http://www.jornada.unam.mx/2012/07/14/opinion/012o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://www.desinformemonos.org

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 7 luglio 2012

Gli indigeni tzeltales criticano l’operato del Consiglio Statale dei Diritti Umani del Chiapas e chiedono lo sgombero degli occupanti del botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 6 luglio. Gli ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, sostengono di essere vittime dell’ingiustizia di varie istanze e criticano pesantemente l’operato del Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH) relativamente allo sgombero effettuato lo scorso 19 giugno dalla polizia statale nell’ejido, dopo che gli indigeni dell’Altra Campagna avevano recuperato, fugacemente, il botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul.

Questa è un’ulteriore prova di come istituzioni come il CEDH approfittano della violenza, dicono gli ejidatarios, e rimproverano al consiglio statale di trarre vantaggio dal semplice fatto di conoscere un po’ la sofferenza degli indigeni, perché alcuni membri dell’organismo governativo prima erano con noi; hanno iniziato per la conoscenza ma poi per loro è diventato un affare.

Il CEDH, segnalano, è l’intermediario dei progetti transnazionali, generatore di violenza, testa di ponte del malgoverno. In diverse occasioni, aggiungono, questo è stato dimostrato.

Ricordano che durante le violenze e l’ingiusto arresto dei nostri compagni, il CEDH ha sempre cercato di circuire le vittima, facendoci capire che la soluzione del conflitto era accettare l’accordo redatto dal governo, ma non sono riusciti a convincerci. In occasione della repressione contro gli ejidatarios dell’Altra Campagna del 2 febbraio 2011, i membri del CEDH erano assenti, come se non ci fossero state violazioni dei diritti umani. Agiscono, affermano gli ejidatarios, agli ordine delle corrotte autorità dello stato.

Lo scorso 19 giugno, “800 poliziotti hanno sgomberato violentemente gli ejidatarios dell’Altra Campagna dietro un’ordine di sgombero richiesto dalla CEDH, su richiesta di Francisco Guzmán Jiménez (Goyito) e di Héctor Manuel Velasco Santiago, segretario personale del segretario generale del Governo statale, Noé Castañón León”. Il pretesto della polizia era un possibile scontro tra ejidatarios. Ma quali? Si domandano: “Gli unici che si sono visti erano civili vestiti da poliziotti che accompagnavano i poliziotti veri per indicare ‘chi guida il movimento’ “.

Il CEDH viola le sue stesse leggi quando ordina alla pubblica sicurezza di entrare nelle nostre terre per cacciare chi le difende dal saccheggio del governo. Così facendo legittima il lavoro sporco per imporre il megaprogetto sulle nostre terre attraverso la forza pubblica, violando anche la tutela dell’ejido. Gli ejidatarios considerano i rappresentanti dell’organismo dei burattini del governatore che adesso si riempiono le tasche mentre reprimono il popolo e gli sottraggono la terra su cui vivere. Ritengono responsabile questa istituzione di eventuali possibili scontri.

E avvertono: Abbiamo dimostrato in varie occasioni che non siamo noi a provocare, ma è il governo in complicità con le autorità filogovernative dell’ejido che vogliono consegnare le nostre terre nelle mani del governo dello stato per i suoi progetti transnazionali. Difenderemo le nostre terre, vogliamo continuare ad essere le persone che siamo dove siamo nati, perché da qui noi non ce ne andremo. http://www.jornada.unam.mx/2012/07/07/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Messico – Il silenzio zapatista e le elezioni presidenziali del 2012.

di Iván Gerardo González.

3 / 7 / 2012

           Messico. Lo scorso primo luglio ci sono state le elezioni per il nuovo presidente della repubblica. Gli attori politici: monopoli televisivi, imprenditori, partiti, candidati, giovani (con un uso rivoluzionario dei social network), e alcuni movimenti storici e recenti. Tra questi ultimi, coloro che hanno mantenuto un silenzio categorico sono stati gli zapatisti del Chiapas. Il Subcomandante Marcos e la dirigenza dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Essi sembrano aver osservato il teatrino politico in vista di un’altra frode elettorale – niente di nuovo in questo paese. Però, perché questo silenzio di un movimento che conta, con una presenza morale a livello nazionale e internazionale? Senza dubbio è perché la “sinistra” in Messico è quella che più li ha attaccati, attraverso le simulazioni dei partiti in Chiapas [il riferimento è al partito di centro sinistra PRD che in questi anni in Chiapas ha avuto tanti sindaci e il governatore dello stato, che hanno spesso attaccato e delegittimato l’esperienza delle comunità autonome. n.d.t.].

Un ruolo importante l’hanno svolto anche i governi del PAN [partito della destra imprenditoriale che è stato al potere a livello federale nelle ultime due legislature. n.d.t.] che hanno mantenuto la stessa politica del PRI di guerra di bassa intensità. Stiamo parlando dell’uso clientelare dei programmi di assistenza sociale, col fine di dividere le comunità indigene (strategia di contrainsurgencia). Questi governi federali (2000-2012) hanno promosso questa guerra insieme ai governi statali del PRD in Chiapas, i cui governatori, tutti senza eccezione, erano stati precedentemente parte del Partido Revolucionario Istitucional (PRI). Il Partido de la Revolucion Democratica (PRD) ha sempre avuto un’essenza priista, anche se dopo l’insurrezione armata del ’94 si è presentato con una nuova faccia per simulare una democrazia “reale”. Per questo non è casuale che oggi il Chiapas si svegli con un governo Priista-Verde ecologista [in Messico il partito dei Verdi è un partito di destra. n.d.t.], alla fine la simulazione è crollata.

E’ importante ricordare che il PVE (Partito Verde ecologista) era la terza forza politica in Chiapas ed oggi diventa la prima. Perché? Senza dubbio è perché lo Stato vuole continuare le sue politiche che puntano a fare del Chiapas uno stato turistico, dove si sfruttino le sue risorse naturali e gli ecosistemi come attrattive per i turisti messicani e stranieri, e allo stesso tempo si utilizzi la sua biodiversità per farmaci, biocombustibili ed energie non rinnovabili, tra le altre cose da sfruttare. Gli zapatisti sembrano essere soli e messi alle strette da parte dello stato.

Il silenzio zapatista è servito a rendere evidente quello che già da alcuni anni avevano detto riguardo allo stato, le sue istituzioni e i partiti politici, cioè che “Tutti sono in crisi!” perché non rappresentano il popolo, sono in crisi perché sono tutti uguali: una classe politica corrotta e oligarca, per tanto sono un malgoverno. E la sinistra istituzionale in Chiapas e in altri luoghi del paese, non è una sinistra reale, ma simulata.

          Dopo le elezioni federali del 2006, molti del PRD criticarono il Subcomandante Marcos e l’EZLN di essere opportunisti, di essere i responsabili della sconfitta di Andrés Manuel Lopez Obrador (AMLO) [candidato del PRD alla presidenza federale. n.d.t.].

Oggi il silenzio dimostra che il Subcomandante Marcos e gli zapatisti non sono responsabili del fatto che il PRI si è imposto di nuovo, con l’aiuto del presidente di turno. Sicuramente, questi “critici” dello zapatismo argomenteranno che il Subcomandante e le basi di appoggio dovevano dare l’indicazione di votare per AMLO; che lui è stato l’unico a parlare di loro dicendo che se diventava presidente si sarebbero rispettati gli Accordi di San Andrés [accordi stipulati tra EZLN e governo messicano nel 1996, per riconoscere nella costituzione i diritti delle popolazioni indigene. n.d.t.]. Quando è stato lo stesso PRD a non riconoscere questi accordi [gli accordi furono stracciati dal voto di tutti i partiti in parlamento nel 2001. n.d.t.].

Una cosa evidente è stata che Enrique Peña Nieto e Josefina Vázquez Mota, uno candidato del PRI e l’altra del PAN, non hanno mai fatto alcun cenno al conflitto in Chiapas. Questo ci mostra che le culture indigene e la loro lotta per il riconoscimento dei popoli originari, con i loro “usi e costumi”, continuano a non ricevere nessuna importanza. Come quando non si vuol parlare di qualcuno scomodo. Dunque, il silenzio zapatista e il silenzio dei candidati del PRI e del PAN è un silenzio da battaglia.

           Quello che è chiaro e convincente in termini di lotta è la differenza tra l’Autonomia e la Democrazia rappresentativa: oggi l’Autonomia zapatista è la forma diretta e reale di un autogoverno sociale e orizzontale; la Democrazia rappresentativa è la democrazia verticale che mantiene il dominio sul Messico, dove la società non è altro che uno strumento nel gioco politico tri-partito (PAN-PRI-PRD) che permette la simulazione di quanto richiesto da parte dei cittadini, cioè la democrazia. Quello che noi messicani oggi stiamo vivendo è il perfezionamento di quella che è stata definita la “dittatura perfetta” [termine riferito ai 70 anni di governo di un solo partito, il PRI, dagli anni ’30 al 2000. n.d.t.] che ha smesso di essere presidenzialista per diventare partitista, obbediente come sempre all’oligarchia messicana e nordamericana.

http://www.globalproject.info/it/mondi/messico-il-silenzio-zapatista-e-le-elezioni-presidenziali-del-2012/11910

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Elezioni in Messico: brogli e forse qualcosa di nuovo

Il 1° luglio scorso in Messico si sono svolte le elezioni presidenziali e ad urne ancora aperte capi di Stato, primo fra tutti Barack Obama, e stampa internazionale hanno salutato il “nuovo” presidente Enrique Peña Nieto, il macellaio della repressione di San Salvador Atenco.

Secondo il primo spoglio, visto che

è in corso il riconteggio del 54,5% delle schede, Peña Nieto è stato votato da 17,5 milioni di messicani, su una popolazione di 100 milioni, con un astensionismo vicino al 40%. In pratica, hanno votato 46 milioni di aventi diritto, ma i principali giornali del mondo occidentale democratico non fanno quasi menzione del dato dell’astensionismo perpetrando la menzogna del “governo eletto” quale espressione della maggioranza del Paese e continuare a dipingere il Messico come una democrazia, magari un poco turbolenta, tutta “nuvole e cielito lindo”.

Anche questa volta Andrés Manuel López Obrador, candidato di sinistra del PRD, è arrivato secondo non superando i 14,7 milioni di voti, ed e

sattamente come nel 2006 l’Istituto Federale Elettorale (IFE) è travolto dalle accuse di aver manipolato i numeri per favorire un candidato. Ma, a differenza di allora, questa volta le prove dei brogli sono state immediatamente raccolte e diffuse attraverso la rete. Solo un esempio: su 143 mila verbali elettorali controllati, in 113 mila sono state riscontrate irregolarità. Le cifre riportate nelle tabelle fornite dall’IFE non coincidono con i dati originali, e sempre a sfavore di Andrés Manuel López Obrador, che ha chiesto il riconteggio dei voti.

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Le reti e i media alternativi hanno diffuso centinaia di video, migliaia di immagini e testimonianze che dimostrano la mole di irregolarità a favore del candidato del PRI. La vendita di voti in cambio di generi alimentari, denaro contante e addirittura

buoni spesa da spendere nella catena di supermercati Soriana è orami documentata tanto che i giornali già parlano del “Sorianagate”, e molte delle persone che hanno venduto il loro voto dietro la promessa di denaro, denunciano alla stampa di non essere ancora state pagate. Milioni di voti sono stati comprati con denaro in contanti e c’è da chiedersi da dove vengano tanti milioni di pesos cash, quando solo pochi individui, se non i narcos, dispongono di tanto contante.

Di democratico e trasparente queste elezioni non hanno nulla, come sostengono i ragazzi del movimento

#YoSoy132 che insieme a molti cittadini comuni hanno vigilato sulle elezioni fotografando i tabelloni riassuntivi di ogni seggio per confrontarli con i dati ufficiali dell’Istituto Federale Elettorale (IFE) che, infatti, non coincidono. Centinaia di persone, a costo anche di essere aggredite, con i loro cellulari e macchine fotografiche hanno ripreso e mandato in rete le immagini di militanti del PRI dare fuoco alle urne per impedire il conteggio definitivo delle schede.

Rispetto alle presidenziali del 2006 la cosa più interessante è la mobilitazione della società civile che da subito ha ripudiato il nuovo presidente e il processo elettorale. In Messico sembra essere in atto una presa di coscienza, soprattutto tra giovani e studenti che non accettano più le imposizioni di una classe dirigente che, nel caso del PRD ancora una volta ha usato i movimenti sociali solo come cinghia di trasmissione per le proprie aspirazioni presidenziali, o cementata nell’autoritarismo del PRI che dal 1929 ha messo in atto quella che in America Latina è conosciuta come la “dittatura perfetta”.

E come nel 2006, quando negarono il loro sostegno a Manuel López Obrador, inimicandosi l’intellighenzia di sinistra interessata al potere e alle poltrone e non al vero cambiamento, gli zapatisti non hanno partecipato al circo elettorale. Come da anni gli zapatisti e l’EZLN sostengono e praticano, il voto non cambia la struttura economica, sociale e politica del Messico, e la democrazia non si manifesta nel rito elettorale ma nella partecipazione dei cittadini che si ribellano e si riprendono in mano il proprio destino.

Annamaria Pontoglio Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

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Messico: IFE e Media occultano le irregolarità elettorali

 di Guadalupe Lizarraga

Mercoledì, 4 luglio 2012 06:12

Esattamente come nel 2006, l’Istituto Federale Elettorale (IFE) viene denunciato di manipolare le cifre, corrompere con prebende la stampa nazionale ed i corrispondenti stranieri con l’obiettivo di imporre un candidato

Fonte: Los Angeles Press

Messico, DF.- Il Sistema di Conteggio Elettorale Civico circola tra le reti sociali e media alternativi per verificare il numero di voti ottenuti dai candidati alla presidenza del Messico. Questo sistema è stato implementato come alternativa a quella dell’Istituto Federale Elettorale e mette in evidenza il contrasto tra i numeri diffusi dall’IFE per favorire il candidato del PRI, Enrique Peña Nieto.

Esattamente come nel 2006, l’Istituto Federale Elettorale (IFE) viene denunciato di manipolare le cifre, corrompere con prebende la stampa nazionale ed i corrispondenti stranieri con l’obiettivo di imporre un candidato, ma la differenza questa volta è la massiccia e rapida raccolta di prove che vengono subito e continuamente pubblicate e diffuse in rete.

Un esempio: su 143 mila verbali elettorali controllati, in 113 mila sono state riscontrate irregolarità. Le immagini dei risultati forniti dall’IFE non coincidevano con i dati rilevati dalla PREP, e la vittima è il candidato della Coalizione di Sinistra, Andrés Manuel López Obrador, che ha chiesto il riconteggio dei voti.

Irregolarità senza fine

Le reti ed i media alternativi hanno diffuso oltre 490 video, migliaia di immagini, testimonianze che dimostrano la quantità di irregolarità e reati che favoriscono il PRI. Tra questi, rivelano la vendita di voti in cambio di generi alimentari o denaro contante e buoni spesa del supermercato Soriana. Questo ha irritato profondamente gli elettori defraudati che chiedono un boicottaggio generale di questo supermercato per essersi prestato a perpetrare questo reato.

Molte delle persone che hanno venduto il loro voto, hanno avuto la promessa di denaro dopo l’elezione. Tuttavia, questi denunciano di non essere ancora stati pagati. 

E’ stata ricorrente anche la coazione del voto. Secondo l’IFE, il PRI è stato l’unico che è riuscito a coprire con i suoi rappresentanti il 90% dei seggi, ma c’è stata intimidazione degli elettori e perfino priisti armati. Secondo le informazioni che circolano costantemente in rete, ci sono state problemi tecnici in almeno l’80% dei seggi installati.

Sono stati fermati militanti con 150 schede elettorali già contrassegnate a favore del PRI, così come poliziotti che trasportavano schede elettorali e c’è stato perfino il sequestro di un presidente di seggio. Il Movimento #YoSoy132 ha dettagliato ogni dato con dei video e denunciato la televisione messicana non ha dato notizia di nessuna di queste irregolarità  e nemmeno la stampa nazionale le ha dettagliate.

La stampa complice

Domenica, quando mancavano ancora due ore alla chiusura dei seggi, la stampa straniera dava già la notizia della vittoria di Peñ Nieto. Colombia e Costa Rica sono stati i primi. In Messico, la prima pagina online de El Universal si apriva chiaramente a favore del PRI, come mostra il video del Movimento #YoSoy132.

I media hanno dato la notizia della vittoria di Peña Nieto quando erano state scrutinate poco più di 7 mila seggi su oltre 143 mila. Inoltre, prosegue infinito il racconto delle irregolarità ed il quotidiano spagnolo El País dedica al candidato priista un paio di pagine per descriverne le virtù e titola la notizia enfatizzando sul fatto che “è stato eletto” e che il Messico “lo ha scelto”, nonostante le numerose irregolarità registrate. El País fa inoltre riferimento alla distanza dei voti per Andrés Manuel Lopez Obrador e definisce Peña Nieto come un uomo “galante, pragmatico e introverso”.

Nella lunga biografia del priista, il quotidiano spagnolo evita di citare le denunce presso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani degli attentati contro il suo ex compagno omosessuale e non menziona nemmeno la responsabilità confessa dello stesso priista nel caso Atenco che il 3 maggio 2006 provocò due morti, un giudice assassinato e donne violentate. Non menziona neppure la strana morte di sua moglie né delle sue guardie del corpo nel 2007, proprio quando ci fu l’attentato contro l’ex amante Agustín Estrada Negrete.

Un altro argomento che non cita El País è quello della corruzione a Televisa e della frode in California. Neppure parla degli uomini di Peña Nieto che sono favoriti con contratti per loro e per i loro figli. È dunque una biografia pulita pubblicata ad urne aperte e senza citare le irregolarità ed i reati che potrebbero anche invalidare l’elezione.

 

Elenco dei media che hanno dato notizia della vittoria a seggi ancora aperti:

“Peña Nieto vince le elezioni in Messico” | Handelsblatt (Germania)

“Vázquez Mota ammette la sconfitta: ‘Le proiezioni non sono a mio favore'” | El Mundo de España

“Candidato del PRI vince le elezioni in Messico” | La Nación di San José de Costa Rica

“Candidata alle elezioni in Messico ammette la sconfitta” | El Universal di Caracas

“Elezioni in Messico: Il PRI vince” | El Tiempo di Colombia

“PRI proclama Enrique Peña vincitore delle elezioni presidenziali” | El Mercurio di Santiago

“Enrique Peña Nieto in testa nelle elezioni in Messico” | El Comercio di Lima

“Elezioni presidenziali in Messico: Nieto chiaramente favorito” | The Guardian Inghilterra

“Enrique Peña Nieto si impone nelle elezioni in Messico” | La Nación di Buenos Aires

“I messicani riscoprono i vecchi demoni” | Le Monde audio in francese

“Clima trionfante nella città natale del probabile prossimo presidente del Messico” | Los Angeles Times Los Angeles, California

“Secondo gli exit-pool Peña Nieto è il vincitore delle elezioni in Messico” | The Washington Post

 Media prudenti

“I sondaggi danno Peña vincitore alle presidenziali messicane” | El Mercurio di Santiago

“Il PRI potrebbe tornare a governare in Messico”| El Mundo Spagna

“Peña Nieto, del PRI, potrebbe vincere le elezioni in Messico” | La Tribuna Honduras

Media più attinenti alla realtà

“Sospette frodi nelle elezioni messicane” | Le Fígaro di Parigi

http://www.kaosenlared.net/america-latina/item/23574-méxico-ife-y-medios-ocultan-irregularidades-electorales.html

 

In fondo a questo blog, la prova evidente della frode nel riportare il numero dei voti dai verbali a favore di Enrique Peña Nieto : http://teatrodelamente.wordpress.com/2012/07/02/anonymous-hackea-al-ife-todo-sea-por-la-democracia-2/

 Qui il video di diversi eventi accaduti il giorno delle elezioni: http://www.youtube.com/watch?v=z74yKLL1O_I

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Urne e sangue.

Il Fatto Quotidiano – Martedì 3 luglio 2012

MESSICO, URNE E SANGUE: A NIETO IL 40%. UCCISI TRE DIRIGENTI DELLA SINISTRA

di Federico Mastrogiovanni

Città del Messico. Lo show post elettorale è cominciato. In un Messico che si risveglia dopo una giornata estenuante, con un presunto presidente eletto. Tutti i più grandi media messicani e alcuni internazionali concordano sul risultato e confermano le previsioni che dopo mesi di bombardamento mediatico sono considerate realtà: Enrique Peña Nieto avrebbe vinto con il 40 per cento dei voti. Il conteggio non è ancora terminato, anzi, ci vorranno alcuni giorni, il candidato della coalizione di sinistra, Andrés Manuel López Obrador (Amlo), ha sostenuto di avere a sua disposizione altri dati rispetto a quelli sbandierati fin troppo da tutti gli altri contendenti, e che attenderà il conteggio dell’ultimo voto.

   Il presidente uscente, Felipe Calderón, del Partido de Acción Nacional (Pan, la destra ultracattolica) nel suo discorso a reti unificate ha data per conclusa l’elezione, passando lo scettro al successore del Pri. La confusione regna sovrana. Peña Nieto e Calderón si affannano a sostenere che l’elezione si è svolta in un clima “pacifico”, “tranquillo” e “democratico”. Almeno su questo i fatti li smentiscono. Soltanto domenica sono stati assassinati tre coordinatori del Prd, il  partito di Amlo, in tre Stati diversi, Nuevo León, Guerrero e Guanajuato. A Nuevo Laredo, nello stato di Tamaulipas, considerato un feudo del cartello degli Zetas, è esplosa un’auto-bomba venerdì di fronte al palazzo di governo, e sempre venerdì nello stesso Stato, a Ciudad Victoria, sono state lanciate delle granate contro una caserma della polizia e contro una stazione degli autobus.

   IN TUTTO il Paese sono stati documentate da parte di migliaia di osservatori, che in molti casi hanno filmato le violazioni, intimidazioni da parte di persone armate, centinaia di furti di urne elettorali. La compravendita massiccia di voti da parte del Pri è avvenuta alla luce del sole in tutto il Messico, con denaro, di provenienza dubbia. Alcuni analisti considerano proprio questa una testimonianza della partecipazione dei narcos nell’elezione di Peña Nieto: l’enorme quantità di denaro speso per impedire che si svolgessero elezioni democratiche. E a prescindere dal risultato si sono portate a termine una quantità di irregolarità e violazioni spaventose, sotto gli occhi silenti dell’istituzione che avrebbe dovuto fare da arbitro, l’Instituto Federal Electoral (Ife), che già nel 2006 si è caratterizzato per quella che molti oggi definisconouna frode elettorale che ha portato al governo lo stesso Felipe Calderón. Da anni il duopolio televisivo (Televisa e Tv Azteca) ha sostenuto e costruito la candidatura di Enrique Peña Nieto, il candidato “da telenovela”, operando una massiccia intrusione mediatica in un Paese in cui l’80% dell’opinione pubblica si informa solo attraverso la televisione. Ma l’ombra dei narcos è onnipresente ed è difficile pronosticare i futuri scenari. Secondo il professor Sergio Aguayo, accademico del Colegio de México e uno dei più influenti intellettuali messicani, “con l’elezione di Peña Nieto non si risolverà positivamente il problema dei narcos; la relazione tra Stato e criminalità organizzata è una delle sfide più grandi del Paese. Per risolvere questo problema il nuovo presidente dovrebbe affrontare il tema della corruzione della classe politica, ma come fa, quando il suo partito, il  Pri, proprio negli Stati in cui i narcos la fanno da padrone, governa da anni, con governatori legati a doppio filo con i capi più potenti?”. La vittoria di Peña Nieto garantisce anche continuità con la strategia degli Stati Uniti nella “lotta alla droga”, che presuppone la militarizzazione del Messico, portata a termine da Calderón: ma oltre a non aver diminuito il traffico di droga e di armi (che è invece aumentato), ha prodotto quasi 70mila morti e più di 10mila desaparecidos.

Nonostante le gravi irregolarità il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha già chiamato Peña Nieto, congratulandosi con lui e dichiarando che le elezioni si sono svolte in modo trasparente. Unica nota positiva di questo processo elettorale, marcato da continue violazioni a qualsiasi principio democratico, è il risveglio della società civile. In questo 2012 c’è stato un reclamo democratico più profondo e più radicale da parte di tanti movimenti, a cominciare da quello degli studenti #YoSoy132, che ieri hanno manifestato contri i brogli. Se il ritorno all’autoritarismo, alla violenza e alla corruzione del Pri sono imminenti, ci sono giovani messicani che sembrano pronti a lottare. Forse. Nel frattempo il candidato da telenovela e la sua truppa di Televisa sono ormai pronti per il potere.

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La Jornada – Venerdì 29 giugno 2012

Frayba: In Chiapas la tortura è stata istituzionalizzata come metodo di controllo

Hermann Bellinghausen

Un dato chiaro alla fine di questo sessennio in Messico, in particolare in Chiapas, è che la tortura è lo strumento privilegiato di indagine di polizia e di controllo utilizzato dagli agenti statali, malgrado esistano normative vigenti su scala statale, nazionale ed internazionale per proibirla e sanzionarla, sostiene l’ampio rapporto Dalla crudeltà al Cinismo, del Centro dei Diritti Umani o Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), dimostrando che la tortura è una pratica generalizzata e legittimata dalle autorità chiapaneche.

E’ evidente l’inefficienza per sradicarla, segnala il documento di circa 100 pagine. Solo tra gennaio 2010 e dicembre 2011 l’organizzazione ha documentato 47 casi di tortura in Chiapas, otto donne e 39 uomini, che il Frayba considera sopravvissuti a questo crimine di lesa umanità. Inoltre il lettore di La Jornada ricorderà che le decine di detenuti indigeni nello stato che hanno lottato per la loro liberazione durante questo sessennio, sia quelli che hanno ottenuto la libertà sia quelli che ancora sono in carcere, sono stati torturati e a volte per motivi politici.

Il rapporto identifica come esecutori routinari della tortura, con un certo metodo, i poliziotti federali, statali e municipali, i funzionari del Pubblico Ministero, i militari, le autorità giudiziarie e carcerarie. In determinati casi vi partecipano anche civili di organizzazioni filogovernative, alcune riconosciute come paramilitari.

In Chiapas, “gli atti di tortura, maltrattamenti o crudeltà, inumane o degradanti, sono diventati pratica ‘normale’ ed accettata dalle autorità di giustizia, tollerata dall’Esecutivo dello stato”. Questo fa sì che la maggioranza delle denunce presentate al Pubblico Ministero non procedano o trovino ostruzioni, e pertanto rimangano impunite. Questa conclusione si basa sulle informazioni documentate in possesso del Frayba, confrontate con quelle fornite dallo stesso governo statale che nel 2010 ha registrato 11 casi di presunta tortura, per i quali ha presentato al giudice un solo responsabile, e fermato due funzionari dei cinque accusati. A giugno 2011 il governo aveva solo un caso su cui indagare.

Dalla Crudeltà al Cinismo. Rapporto sulla tortura in Chiapas (Jovel, giugno 2012) descrive in dettaglio le torture praticate da funzionari e servitori pubblici del governo di Juan José Sabines Guerrero, e gli effetti psicologici e medici che causano. Si includono i casi documentati nei due anni precedenti come analisi schematica dei metodi e modelli di attuazione dei torturatori.

Si riportano ed analizzano le esperienze di 47 vittime in 15 municipi: Acala, Bella Vista, Comitán, Chilón, Huixtla, El Porvenir, Motozintla, Ocosingo, Palenque, Pueblo Nuevo Solistahuacán, San Cristóbal de Las Casas, Tapachula, Tonalá, Tuxtla Gutiérrez e Villaflores. Si pratica sia su indigeni che meticci. La maggioranza dei casi si pratica nel contesto della guerra dichiarata contro il crimine organizzato dal presidente Felipe Calderón.

I casi a conoscenza del Frayba indicano che queste azioni sono praticate soprattutto da membri della Polizia Ministeriale ascritti alla Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE) per ottenere informazioni o confessioni. Per questi fatti lo Stato è responsabile per azione diretta ed omissione, poiché una volta perpetrata la tortura, lo stato non interviene per punire i colpevoli garantendo l’impunità e legittimando questa violazione delle garanzie elementari. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/29/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. 

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
18 giugno 2012
Comunicato Stampa No. 06 

Nuovo attacco contro il CIDECI – Centro Indigeno di Formazione 

Lunedì 11 giugno 2012, intorno alle 12:30, all’ingresso del Centro Indigeno di Formazione Integrale “Fray Bartolomé de Las Casas” A.C. –Università della Terra Chiapas (Cideci-Unitierra Chiapas) un perito giudiziario, accompagnato da elementi della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE). Chiedevano di essere ricevuti ed entrare nelle strutture del Cideci per svolgere un controllo degli impianti. I membri del Cideci hanno negato loro l’ingresso. 

Al giorno dopo, martedì 12 giugno, intorno alle 14:30, si sono ripresentate le stesse persone e, dopo il rifiuto di farle entrare, hanno lasciato dei documenti arrotolati sulla porta. I documenti si riferiscono a due pratiche, 585/2012 e 586/2012, nelle quali i periti giudiziari Dott. Ma. del Carmen González Flores e Dott. Victor Hugo Rodríguez García, affermano di aver notificato detti documenti ad un presunto “lavoratore di questa associazione civile”. Tuttavia, questa affermazione è falsa e dolosa, dato che il nome al quale si fa riferimento nelle notifiche non corrisponde a nessun membro della comunità del Cideci, e nessun membro del Cideci ha mai ricevuto tali documenti. 

Bisogna ricordare che a metà maggio, ed agli inizi di giugno, sono avvenuti simili episodi. Questi nuovi attacchi da parte della CFE e del Potere Giudiziario dello Stato del Chiapas avvengono dopo diversi eventi politici che si sono svolti all’interno delle strutture del Cideci, i più recenti sono: L’Incontro “Alternativas frente a la violencia de Estado”, il forum “Exclusión… Inclusión neoliberal, Miradas sobre las Ciudades Rurales Sustentables”, ed il forum “Contra la prisión política y por la libertad para Alberto Patishtán”, eventi che hanno disegnato i meccanismo di repressione dei diversi livelli di governo contro la popolazione organizzata del Chiapas. 

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas invita a prestare attenzione a queste recenti azioni di attacco giudiziario contro il Cideci, poiché è un spazio che con dignità accoglie ragazzi di molte comunità che costruiscono alternative educative al sistema formale. Inoltre, le sue installazioni sono state e sono sede di forum, dibattiti e incontri che cercano di costruire alternative al sistema sociale dominante. 

Precedenti

I fatti che ora si denunciano hanno precedenti documenti e denunciati da questo Centro dei Diritti Umani nel Comunicato Stampa No. 20 “La CFEperseguita il Cideci-Unitierra Chiapas”, del 15 di ottobre 2010, disponibile alla pagina web: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/101015_20_hostigamiento_cideci.pdf

È importante sottolineare che il Cideci, dal giugno del 2006 non ha connessione elettrica alcuna con le linee della CFE e le sue installazioni funzionano in maniera alternativa grazie ad un proprio generatore di energia elettrica. 

Comunicate con noi vía Skype: medios.frayba
Gubidcha Matus Lerma
Comunicación Social
Área de Sistematización e Incidencia / Comunicación
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Código Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548
Fax +52 (967) 6783551
medios@frayba.org.mx
www.frayba.org.mx

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Brigata di Lavoro Volontario al caracol La Garrucha

6 luglio 2012

Ai compagni, collettivi e organizzazioni aderenti all’Altra Campagna:

A tutt@ i/le compagn@ che sei anni fa hanno aderito all’Altra Campagna ed hanno fatto propria la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, a tutt@ quest@ compagn@ con cui stiamo creando poco a poco un mondo dove stanno tanti mondi, oggi come in ognuno di questi sei anni, mentre qualcuno si ostina ad occuparsi delle elezioni presidenziali e si dimentica di tutti i conflitti presenti nel paese, avanzare dal basso e a sinistra è diventato più necessario che mai. Voltarsi a guardare i compagni a fianco, quelli in basso, quelli che resistono, quelli che sono morti, quelli desaparecidos, è necessario che torniamo ad avanzare insieme, che tutti gli sforzi fatti in questi anni non restino solo aneddoti, ma che riprendiamo l’esperienza acquisita al fine di riprendere il cammino, per far riascoltare la nostra voce ed esigere che si rispettino i nostri bisogni: casa, terra, lavoro, pane, salute, educazione, indipendenza, democrazia, liberta, giustizia e pace.
Riprendiamo il nostro impegno tra compagni aderenti di andare avanti insieme, perché se toccano uno di noi, toccano tutti.

STOP ALLE AGGRESSIONI CONTRO LE COMUNITA’ ZAPATISTE!
STOP AI PARAMILITARI IN CHIAPAS E IN TUTTO IL PAESE!

Pertanto vi invitiamo a partecipare alla  XXIV Brigata di Lavoro Volontario nel caracol di La Garrucha, Chiapas, territorio autonomo ribelle zapatista.
La Brigata partirà da Città del Messico il 6 luglio 2012 e farà ritorno il 16 luglio.

La Brigata svolgerà lavori di manutenzione e costruzione nel caracol III “La Garrucha”

Il costo di partecipazione è di 1.300 pesos (74,00 Euro, per  trasporto, vitto, materiale da lavoro)

PARTECIPA ED ORGANIZZIAMOCI!

Per maggiori informazioni:

TEL. 044 5528115430

TEL. 044 5536748844

brigadavoluntaria@hotmail.com

Facebook: BTV

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 16 giugno 2012

John Holloway: Ci riconosciamo in Patishtán e Sántiz López; soffrono per noi

Hermann Bellinghausen

Ondate su ondate di protesta per la liberazione di Alberto Patishtán e Francisco Sántiz López, lettere su lettere che arrivano da ogni parte del mondo, ci riconosciamo in loro, comprendiamo che stanno soffrendo per noi, ha affermato il pensatore e professore universitario di origine irlandese John Holloway unendosi alla seconda settimana mondiale per la liberazione dei due prigionieri indigeni di Chiapas, il primo aderente all’Altra Campagna, ed il secondo base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Anche Gustavo Esteva, articolista de La Jornada, sostiene: Pathistán è in prigione ingiustamente da 10 anni. Non possiamo chiudere gli occhi ed alzare le spalle, aggiungendolo alla lunga lista dei prigionieri politici, né tranquillizzarci pensando che Francisco Sántiz è solo da sei mesi in prigione. La detenzione di questi due compagni deve pesare su noi come fosse la nostra stessa detenzione. Perché lo è.

La lotta degli indigeni per la loro libertà è impressionante, scrive Holloway in una lettera ai prigionieri; è quella di tutti quelli che sognano ancora che ci può essere un futuro, una vita degna. La loro detenzione è semplicemente una ulteriore manifestazione che nel capitalismo non c’è posto per l’umanità.

Il sistema attuale “è un’aggressione costante, una macchina di distruzione che vuole distruggere tutto quello che non si sottomette alla sua logica del denaro, che si oppone alla logica del profitto, ma non ci riesce perché c’è gente come Alberto e Francisco che dicono ‘No’ che non lo accettano”. In altri milioni non lo accettiamo, perché siamo in prigione con loro ed affinché respirino e vivano, affinché noi e voi respiriamo, viviamo, dobbiamo abbattere le pareti delle prigioni del Chiapas, delle prigioni del mondo, del sistema-prigione, conclude Holloway.

A sua volta, Esteva ha annunciato dal suo rifugio oaxaqueño che unisce il cuore, la speranza e l’energia a queste domande di libertà: Dobbiamo rompere le barriere che abbiamo in testa che portano a pensare che cambiando qualche cosetta lassù in alto tutto si sistema. E dobbiamo rompere le catene che legano ancora le nostre mani e piedi e ci impediscono di muoverci alla conquista della nostra autonomia in ogni parte del mondo in cui ci tocca vivere. Solo queste autonomie, consolidate in ogni luogo ed unite in maniera solidale ci permetteranno di uscire dalla prigione.

A maggio, durante la prima settimana di lotta mondiale, gruppi ed individui di tutte parti del Regno Unito hanno consegnato lettere all’ambasciata messicana a Londra per posta, fax, posta elettronica, e perfino a mano. I gruppi solidali avevano chiesto una risposta per la seconda settimana di lotta, che, come consuetudine, è stata che non c’era nessuno in ambasciata che poteva rispondere a tali richieste. Il personale dell’ambasciata suggeriva di richiamare il prossimo lunedì.

I gruppi britannici hanno inoltre diffuso un messaggio solidale di organizzazioni della Turchia: Tutti quelli che lottano per la libertà nel mondo sono nostri compagni. Rivolgiamo un appello a tutti i ribelli che hanno il fuoco della libertà nel cuore e che sono di Atene, Amed, Chiapas, Gaza, Toronto o Seattle. Voi non siete soli, anche in altre terre ci sono persone che lottano.  http://www.jornada.unam.mx/2012/06/16/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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19 Giugno 2012

Giornata contro la prigionia politica e per la libertà di Alberto Patishtan

Rumori metallici di porte che si chiudono.

Passi e sguardi che inciampano su sbarre e torrette armate.

Teste rasate per potare idee e personalità.

Ore marcate al ritmo del niente.

Giusto un pezzetto di cielo…

In tutto il mondo così sono le carceri. Nella città, come nelle campagne, i potenti e i ricchi attaccano chi è sfruttato e non allineato. Ci derubano, ci schiavizzano, ci discriminano e alla fine ci arrestano, quando non ci assassinano.

Cercano così di zittirci, dividerci, intimorirci, però non ci riusciranno perché possiamo continuare a lottare anche  dentro il carcere.

Come sempre l’ha fatto Alberto Patishtan Gomez.

Era il 19 giugno del 2000 quando arrestarono Alberto, maestro tzotzil, accusandolo di un delitto che non aveva commesso e che venne fabbricato per punirlo per aver osato stare al lato della gente e contro il sindaco del suo paese, El Bosque, in Chiapas.

Un’ingiustizia che si perpetua da 12 anni. Oggi il compagno Alberto è detenuto in un carcere federale di massima sicurezza, a Guasave (Sinaloa), a più di 2000 Km dalla sua famiglia, i suoi compagni, la sua terra. Lo si punisce con ferocia e rancore perché Alberto ha fatto di ogni carcere una trincea, con un lavoro di politicizzazione dei prigionieri e lottando con e per loro contro le brutalità del sistema di (in)giustizia dello stato messicano.

Come aderenti alla Sesta Dichiarazione dell’EZLN convochiamo nuovamente una mobilitazione per la libertà di Alberto Patishtan, simbolo della lotta contro la prigione, e per gli altri prigionier* politic* della Otra Campaña e del Messico, secondo gli accordi presi durante il “Forum contro la prigionia politica e per la lbertà di Alberto Patishtan” il 12 e 13 Maggio 2012 (Chiapas), organizzato dalla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà.

Invitiamo quindi le organizzazioni, gruppi, collettivi e individui del Messico e del mondo a mobilitarsi secondo le proprie possibilità, il giorno 19 Giugno 2012 per esigere la libertà dei compagn* arrestat* con lo slogan:

Contro la repressione e l’oblio: la libertà.. dal basso e a sinistra!

Quel giorno, dalle 11.00, avrà luogo nella comunità di Alberto, una manifestazione organizzata dal “Movimiento del pueblo de El Bosque por la libertad de Alberto Patishtan”. Invitiamo a segnalare qualsiasi azione, meeting, manifestazione, striscione, volantinaggio, conferenza, trasmissione, incontro informativo, concerto alla mail: foro.presxs@gmail.com

Abbattiamo i muri delle prigioni!

Prigionier* politic* LIBERTÀ!

I/le partecipanti al “Forum contro la prigionia politica e per la lbertà di Alberto Patishtan”

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La Jornada – Martedì 12 giugno 2012

Si diffonde nel mondo la richiesta di liberazione di Santiz e Patishtán

Hermann Bellinghausen

La diffusione di eventi per chiedere la liberazione di Francisco Santiz López ed Alberto Patishtán Gómez, prigionieri indigeni in Chiapas, ha portato la seconda settimana mondiale, denominata Abbattiamo le pareti delle celle, su decine di siti web e numerosi account di Twitter e Facebook, con immagini che mostrano azioni e proteste in luoghi pubblici di diversi stati della federazione e in decine di città in Europa, Africa, America Latina, Stati Uniti e Canada, molte davanti ad ambasciate e consolati del Messico.

Nel frattempo, la Segreteria degli Affari Giuridici e Diritti Umani della Segreteria di Governo ha dichiarato la sua posizione rispetto alle richieste di liberazione dei prigionieri politici del Chiapas che hanno ricevuto le missioni diplomatiche del Messico nei diversi paesi: “In quanto a concedere la libertà immediata a Francisco Santiz López si informa che questo ente non possiede la facoltà di decretare questa sollecitudine”. Rispetto alla sparizione a Banavil di Alonso López Luna nel dicembre scorso, dopo un’aggressione di priisti armati durante i fatti violenti dei quali è accusato Santiz López, base di appoggio zapatista, semplicemente l’ente comunica che c’è un’indagine in corso “per presunto omicidio” del desaparecido. Firma Carlos Garduño Salinas, direttore generale aggiunto di Investigación y Atención de Casos de Gobernación.

Bisogna ricordare che il 28 maggio scorso, il Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad ha permesso al professor Martín Ramírez, rappresentante del villaggio di El Bosque, di esporre il caso di Patishtán ai quattro candidati presidenziali nel Castello di Chapultepec, anche se nessuno ha poi manifestato un suo impegno al riguardo.

Questa settimana sono state diffuse decine di immagini in cui si vedono persone, perfino  gruppi numerosi, che espongono cartelli e foto dei due indigeni chiapanechi e chiedono la loro liberazione immediata in Togo, Olanda, Canada, Belgio e Portogallo. Oppure in città come Valencia, Carcasson, Parigi, Seul, Chicago, Bilbao, Buenos Aires, Torino, Río de Janeiro e Cochabamba.

Nell’edizione di lunedì, il settimanale on line Desinformémonos, per esempio, raccoglie immagini di solidarietà, da Merida e Los Mochis, Valle de Chalco, Cholula, Unión Hidalgo, le spiagge di Huatulco, Cuernavaca, Toluca e Distrito Federal. In Chiapas si sono svolte manifestazioni pubbliche per chiedere giustizia per Santiz e Patishtán a Tapachula, nella Casa del Migrante Hogar de Misericordia in Arriaga, a San Andrés Larráinzar, El Bosque, Oventic ed Acteal. Altre manifestazioni a favore di questa richiesta si sono svolte a Totonacapan, Cherán, San Cristóbal de las Casas, Tuxtla Gutiérrez, Jalapa y Querétaro.

A New York, i gruppi di donne e anti-razzisti del Movimento Occupy Wall Street, si sono uniti alla Seconda Settimana di Lotta Mondiale per la Liberazione di Patishtán e Santiz López.

Tuttavia, né le autorità federali né quelle statali del Chiapas hanno mostrato una migliore disposizione, salvo fare solo dichiarazioni, per rispondere a questa domanda che si basa sulla provata innocenza dei due prigionieri. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/12/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 11 giugno 2012

A 14 anni dal massacro a El Bosque non ci sono colpevoli

In Chiapas si vuole che cessi la persecuzione giudiziaria contro le comunità indigene

Hermann Bellinghausen

Centinaia di indigeni domenica hanno sfilato nel municipio El Bosque, negli Altos del Chiapas, per chiedere che cessi la persecuzione giudiziaria contro abitanti innocenti di San Pedro Nixtalucum, e la liberazione del professor Alberto Patishtán Gómez e dello zapatista Francisco Santiz López, di Tenejapa. Questo, a 14 anni dal massacro di El Bosque, uno dei crimini di Stato meno indagati degli ultimi anni avvenuto tre giorni dopo il massacro di El Charco, in Gueriero, durante il governo di Ernesto Zedillo. Erano trascorsi sei mesi dalla tragedia di Acteal, ed Alberto Albores Guillén era già il mandatario statale.

Intanto, il dirigente contadino e direttore della rivista Lucha indigena en Perù, Hugo Blanco, ha espresso il suo appoggio alla seconda settimana mondiale per la liberazione di Santiz López e Patishtán Gómez: “In Messico le prigioni non sono per i narcotrafficanti, ma per gli indigeni che non hanno fatto niente di male, come Patishtán e Santiz López”. Il loro “reato” è stato “pensare che il Messico deve essere per tutti i messicani, dove tutti lavorino e vivano tranquillamente, senza sfruttare né essere sfruttati, godendo dei frutti che dà la terra”, in un paese “dove tutti possano ricevere un’educazione e assistenza per la propria salute, dove non ci siano milionari né mendicanti, dove tutti si interessino di tutti, come nelle comunità indigene”.

Il Messico, ha detto Blanco, “è diventato un modello per il potente paese del nord, il più consumatore” di stupefacenti, “dove risiedono i baroni della droga; il paese che invia sostanze chimiche per la produzione di cocaina, dove si lava il denaro e da dove si mandano armi ai narcotrafficanti”. Ed aggiunge: Il “Messico serve da laboratorio per la ‘guerra falsamente chiamata al narcotraffico’. Si è mobilitato l’Esercito in questa guerra nella quale muoiono centinaia di innocenti. Il sogno dei baroni della droga degli Stati Uniti è estendere questo modello a tutta l’America Latina per schiacciare i popoli ed arricchirsi”.

Il 10 giugno 1998, circa mille soldati e centinaia di poliziotti statali e federali attaccarono le comunità Unión Progreso e Chavajeval, ed occuparono El Bosque, governato dal consiglio municipale autonomo zapatista di San Juan de la Libertad, i cui membri furono imprigionati. Ad Unión Progreso otto indigeni furono assassinati, sei dei quali erano stati catturati vivi e poi giustiziati, presumibilmente da truppe federali. Il numero delle vittime a Chavajeval, almeno quattro, non si è mai saputo, perché non tutte erano basi di appoggio zapatiste, morirono anche dei priisti ed i loro padroni non poterono alzare la voce.

Il pretesto delle autorità per quell’operativo fu un cruento assalto, all’alba, sulla strada per El Bosque, compiuto dalla banda criminale della comunità Los Plátanos, efficacemente addestrata come gruppo paramilitare, dedita alla coltivazione e spaccio di marijuana con la protezione della polizia, come fu documentato da La Jornada, e ricorrente assalitrice nei mesi precedenti del vicino Unión Progreso. Dopo l’assalto fuggirono in montagna circa 800 indigeni in condizioni straordinariamente precarie. Inoltre, circa 200 persone di Los Plátanos erano da due mesi rifugiate sulle aspre montagne della zona.

Carlos Payán Velver, allora senatore perredista e membro della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), denunciò la “schizofrenia” del governo zedillista che parlava continuamente di pace e volontà di dialogo e contemporaneamente realizzare un operativo “più grave di Acteal”, poiché vi avevano partecipato truppe dell’Esercito con mortai, bazooka ed armi di grosso calibro. Da parte sua, Andrés Manuel López Obrador, in quegli anni dirigente nazionale del Partito della Rivoluzione Democratica, il giorno del massacro dichiarò: “Niente giustifica la decisione del governo di ordinare l’azione dell’Esercito” a El Bosque, Unión Progreso e Chavajeval. L’incursione “è stata criminale ed irresponsabile”, e con questo Zedillo “ha disatteso il suo impegno di non usare la forza per rispondere al conflitto chiapaneco”.

Come dimostra oggi l’incessante lotta per la liberazione di Patishtán, quasi tre lustri dopo quasi sono ancora perte le ferite di quel massacro sul quale non si è mai indagato e per il quale nessuno è stato mai processato. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/11/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Memorie di un’infamia

Atenco non si dimentica

Adolfo Gilly

E’ stato sei anni fa, un giovedì 4 maggio, in piena campagna elettorale presidenziale dell’anno 2006. La Jornada riportò giorno per giorno la repressione poliziesca contro il popolo di San Salvador Atenco scatenata dal governatore dello stato del Messico, Enrique Peña Nieto, e dal presidente degli Stati Uniti Messicani, Vicente Fox. Entrambi, oggi uniti nella campagna per le presidenziali, hanno ammesso pubblicamente la paternità e la responsabilità di quei fatti.

Ci furono due ragazzi uccisi, di 14 e 20 anni; innumerevoli abitanti pestati e umiliati; molte case perquisite e devastate; più di 200 arrestati con violenza.

12 coloni rimasero in carcere per più di quattro anni. A luglio del 2010 la Corte Suprema di Giustizia della Nazione dichiarò la loro innocenza e ne ordinò la scarcerazione. Chi restituirà loro quei quattro anni di vita?

Ci furono infamia mai punita, decine di donne violentate, vessate e umiliate dalle forze di polizia di Fox e Peña Nieto. I responsabili dicono che si trattò di eccessi. Da allora nessuno è stato punito.

Sono riandato alle pagine di La Jordana di quei giorni. Questa è una selezione delle cronache, memorie di un’infamia che i giornalisti, con professionalità e coraggio, registrarono.

* * *

5 maggio 2006

Tremila poliziotti fanno incursione

Con accanimento, la presa di Atenco: altri 110 arresti

Alle cinque e mezza della mattina di giovedì 4 le tenaglie della polizia si sono chiuse intorno a San Salvador Atenco. Mezz’ora più tardi è avvenuto il primo scontro per sgomberare la strada Texcoco-Lechería. Nel villaggio, l’operazione si è sviluppata su vari fronti. C’è stato un bombardamento incessante di gas lacrimogeni. In generale, gli ejidatarios hanno opposto debole resistenza. Subito si sono scatenate una serie di razzie e saccheggi nelle abitazioni nelle quali vengono catturati gli abitanti. Questi sono stati brutalmente picchiati e trascinati sui camion. Secondo le informazioni, al momento sono 217 le persone arrestate in due giorni di violenza.

* * *

7 maggio 2006

La Jornada ha ricevuto alcune lettere degli ejidatarios fermati. Questi sono frammenti delle missive inviate dal carcere di Santiaguito, stato di México:

“Hanno forzato i portoni delle case per accedere dalle terrazze. Una volta all’interno, hanno picchiato anche con le armi e i manganelli i compagni che trovavano nelle stanze, ai quali erano feriti. Sulle donne hanno commesso bassezze, come togliere la biancheria intima e palpeggiarne i seni e le parti intime. Non hanno mai smesso di picchiarci fino a che non ci hanno sbattuto sui camion. Alcuni sono stati trascinati per le scale e presi a calci senza pietà. […] Sui camion sono iniziate le minacce di morte. I soldati erano drogati. E sono cominciate le aggressioni e le violenze sessuali sulle compagne. […]

* * *

8 maggio 2006

189 persone accusate di criminalità organizzata

La Procura Generale dello Stato di México (PGJEM) questa domenica ha consegnato alle 189 persone fermate negli operativi di polizia del 3 e 4 maggio scorsi ad Atenco e Texcoco, un mandato con l’accusa di criminalità organizzata, per cui nessuno dei fermati nella prigione di Santiago potrà ottenere il rilascio. […] L’avvocato Bárbara Zamora ha definito un’infamia accusare di criminalità organizzata persone che sono state tirate fuori con brutalità dalle proprie case.

* * *

Cittadine spagnole raccontano di vessazioni da parte di poliziotti 

María Sastres e Cristina Valls sono due cittadine spagnole che lo scorso mercoledì si trovavano a San Salvador Atenco. […] Dopo l’espulsione, La Jornada le ha intervistate a Barcellona. Si sentono offese e sono molto “colpite” da quanto accaduto a San Salvador Atenco.

Quando la polizia è arrivata in paese hanno lanciato gas lacrimogeni, ci hanno sparato addosso. […] Alla fine una signora i ha aperto la porta di casa e ci siamo rifugiati in circa otto persone. […] Poi ci hanno trovato; ci hanno fatti mettere con la faccia a terra, ci hanno coperto la faccia con dei cappucci e ci hanno legato proprio nel cortile di casa.

Le vessazioni più pesanti sono avvenuti sul camion, insieme a decine di persone: “Ci hanno caricato su un camion dove hanno iniziato a colpirci con calci e manganelli. Ci insultavano pesantemente ed a noi spagnole ci chiamavano militanti di ‘Eta, puttane ed altre cose. Poi ci hanno messo un camion più grande, dove ci hanno contato – credo fossimo 38 – e noi donne siamo state abusate”.

Sugli abusi sessuali subiti, María Sastres racconta: Ci hanno fatto di tutto, e siccome eravamo incappucciate non vedevamo chi erano; riuscivamo solo a vedere il pavimento pieno di sangue ed a sentire le grida di dolore delle persone. Non voglio entrare nei  dettagli delle aggressioni sessuali, ma ci hanno spogliate strappandoci gli abiti e ci passavano da poliziotto a poliziotto, preferisco non dire altro. […] Se cercavamo di parlare con qualche compagno ci insultavano e ridevano di noi.

* * *

9 maggio 2006

Violentate diverse ragazze durante il trasferimento in  prigione

Dal Cile, deportata, in un’intervista con Blanche Petrich, la studentessa di cinematografia Valentina Palma denuncia:

“Posso dirlo con assoluta certezza: diverse ragazze arrestate ad Atenco, con le quali ho condiviso 12 ore in carcere ad Almoloyita, sono state violentate durante il trasferimento. Più di cinque, senza dubbio.

“Le ragazze piangevano; erano coperte di sangue ed  avevano i vestiti stracciati. Nessuna pronunciava la parola violentata, ma era evidente. Le donne, quando subiscono questa violenza, la bloccano. Non hanno voluto farsi visitare dal medico legale. Una disse: ‘mi hanno già messo le mani addosso e non aprirò le gambe ad un altro’. Perché non c’era una dottoressa. C’era un medico senza sensibilità ed estremamente scortese.”

La studentessa del Centro di Formazione Cinematografica narra la sua detenzione:

Ci hanno portato di fianco alla chiesa dove c’erano già molti fermati e ci hanno costretto a metterci in ginocchio. Continuavano a picchiarci. […] Mi hanno rubato tutto: documenti, il mio materiale, la telecamera. Poi ci hanno caricato su un furgone. Mi hanno gettata su alcuni corpi insanguinati. Uno dei soldati mi ha ordinato di mettermi con la faccia sul pavimento, ma c’era una pozzanghera di sangue. Siccome facevo resistenza mi ha schiacciato la testa con lo stivale. Lì sono cominciati gli abusi sessuali. […] Quando siamo arrivati nella prigione, Valentina aveva i pantaloni abbassati ed il corpo macchiato di sangue, suo e di altri. […]

Quando siamo scesi dai camion ci hanno coperto “la testa e fatto passare tra due file di poliziotti che ci prendevano a calci. Hanno poi separato gli uomini dalle donne. Lì ho visto una poliziotta e mi sono detta ‘grazie, finalmente’. Ma appena quella mi ha visto, mi ha detto ‘lasciate a me questa cagna’, ed ha cominciato a picchiarmi sulle orecchie. Ho visto delle ragazze con i pantaloni e la biancheria intima strappati che piangevano. Eravamo 25 o 30 donne, molte in stato di shock. Conosco quella reazione, la crisi dopo un episodio di violenza sessuale. Almeno due avevano subito violenza con penetrazione, anche se nessuna pronunciava quella parola.”

* * *

La Jornada e El Universal in quei giorni pubblicarono una lettera datata 13 maggio 2006, firmata da 2.500 donne, eccone un estratto:

“Le 2.500 donne firmatarie di questa lettera: studiose, attrici, ballerine, registe, deputate, designer, scrittrici, studentesse, femministe, fotografe, medici, designer, membri di ONG, direttrici di musei, musiciste, pittrici, giornaliste, professioniste, religiose, restauratrici, eccetera:

“Esprimiamo la nostra indignazione e orrore per la violenza, gli abusi sessuali e le violazioni esercitati dai poliziotti statali e federali contro le donne feramte ad Atenco il 3 e 4 maggio. […]

“Sono pubbliche le testimonianze di Valentina Palma, studentessa cilena illegalmente espulsa; di Cristina Valls e di María Sastres, cittadine spagnole espulse. Le tre dichiarano di essere state palpeggiate, abusate, picchiate, insultate ed umiliate in ogni modo. È pubblica la testimonianza di due studentesse, tuttora in arresto, che riferiscono la stessa cosa. Tutte dicono che questo è accaduto a tutte le donne fermate, arrivate in prigione piangendo e con i vestiti lacerati. […]

“Le autorità hanno detto che si tratta di bugie e propaganda e che siccome non ci sono denunce non si può indagare. Ma “ci sono denunce formali, fino ad ora 23 casi denunciati più le tre espulse. […] Siamo di fronte alla violenza sessuale di gruppo di personale di polizia in servizio. […] Non si tratta che ogni donna abusata denunci. Si tratta di punire tutti i responsabili. […]

“Noi crediamo alla testimonianza delle donne abusate. Sappiamo quanto sia difficile denunciare, mancano le parole per esprimere quanto si è subito. E sappiamo che possono ricevere minacce. Diamo loro solidarietà, rispetto e sostegno. […]

Vogliamo la punizione dei responsabili diretti e dei mandanti. Lo vogliamo non solo perché è chiaramente una questione di giustizia, ma perché questo crescente impiego dell’abuso sessuale da parte della polizia deve essere fermato quanto prima. Non possiamo permettere che diventi abituale e che noi donne in Messico dobbiamo vivere sotto questa minaccia. “

* * *

Queste sono le memorie. Atenco non si dimentica. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/09/politica/013a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 3 giugno 2012

La disputa per la selva Lacandona e le sue risorse nasce da due visioni distinte

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 2 giugno. Secondo una ricerca dell’Università Autonoma Metropolitana (UAM) Xochimilco, intorno alle risorse della selva Lacandona ed alla loro gestione esistono due posizioni fondamentali: Chi ritiene che la natura deve essere conservata e non c’è spazio per i gruppi umani, e che luoghi come la Lacandona valgono a partire dalla loro mercificazione, dove le comunità locali hanno poca partecipazione nella presa delle decisioni rispetto alle risorse presenti nei loro. Questa visione conservazionista tende solo a recuperare l’ambito locale, perché si è scoperto che si può commercializzare in uno schema globalizzato: ecoturismo, bioprospezione, monocolture. Progetti di questo tipo sono presentati come opportunità produttive che garantiscono l’attenzione per l’ambiente, ma in realtà quello che perseguono è il saccheggio e lo sfruttamento delle comunità locali.

La seconda posizione sarebbe il contrario, sottolinea la ricercatrice Adriana Gómez Bonilla: È la visione dell’autonomia, la quale critica il neoliberismo e ritiene che devono essere gli attori locali a decidere come utilizzare le risorse, ma soprattutto quali devono essere le strategie per preservarle, e che nello stesso tempo si rispetti il modo in cui interagiscono con l’ambiente.

La disputa tra le due posizioni si fa sempre più accesa perché i conservazionisti hanno fretta, aggiunge Gómez Bonilla. Tuttavia, la resistenza delle comunità zapatiste è maggiore. Davanti ai fallimenti degli sgomberi delle comunità per impadronirsi delle risorse naturali e della loro conoscenza, gli interessi conservazionisti, in complicità col governo messicano, hanno optato per la violenza sotto forma di militarizzazione, col pretesto di un drammatico aumento delle attività criminali, in particolare del narcotraffico.

Un buon esempio della posizione conservazionista è fornito dalla monografia Usumacinta. Bases para una política de sustentabilidad ambiental, pubblicata da Julia Carabias e Javier de la Maza (Natura y Ecosistemas Mexicanos e Instituto Mexicano de Tecnología del Agua, 2011). Parte dalla premessa, fondata, dell’allarmante deterioramento ambientale al quale si deve provvedere con urgenza. Essendo i suoi autori ex funzionari ambientali ed attori attivi nell’attuale gestione della selva Lacandona e Montes Azules, la pubblicazione, impattante per il suo contenuto visivo, può essere interpretata anche come un progetto politico, una proposta per il prossimo governo.

Riferendosi al bacino del grande fiume mesoamericano, il volume propone linee strategiche di azione immediata per le unità socioambientali della regione selvaggia messicana, dopo l’analisi delle cause del degrado ambientale. Benché citi gli abitanti della zona, si tratta di un’argomentazione istituzionale in continuità con le politiche di conservazione che ha promosso nella zona.

Sebbene in Usumacinta siano assenti i concetti di ecoturismo, bisogna segnalare che l’organizzazione privata Natura, col sostegno del Ministero dell’Ambiente e delle Risorse Naturali, è esattamente il promotore del centro turistico nella laguna di Miramar, già preso in esame dal nostro giornale.

La seconda posizione rispetto alla preservazione della selva alla quale alludee Gómez Bonilla, venendo dal basso, affronta enormi sfide e non poche contraddizioni. Il suo studio (nel volume collettivo Luchas muy otras. Zapatismo y autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas, UAM, Ciesas y Universidad Autónoma de Chiapas, 2011) postula che, riprendendo la terra tra il 1994 e il 1998, gli zapatisti hanno avviato un processo di recupero degli ecosistemi, principalmente il sistema alta selva perennifoglia. Ma è danneggiata, “ci vorrà motlo perché torni ad essere ‘montagna’, perché qui per molto tempo ci sono state le mucche”, dice un abitante del municipio autonomo Ricardo Flores Magón.

Tra le cause del deterioramento percepite dagli indigeni ci sono i programmi governativi, come quello della Certificazione dei Diritti Ejidales e di Proprietà dei Casolari Urbani (Procede), Oportunidades e Procampo. Prima arrivano nelle comunità quelli del malgoverno che dicono che bisogna accettare il Procede, che porterà vantaggi e che gli indigeni avranno le loro terre in maniera più sicura. Ma non è vero, perché quando avviene la certificazione arriva gente da fuori e compra le terre, e le comunità devono andare via, e quelli che hanno comperato la terra introducono ecoturismo, biocoyotes, palma africana, e con la terra ormai venduta i popoli non possono fare più niente. Alla fine, col Procede le autorità vogliono mettere in conflitto tra loro le comunità e distruggere l’organizzazione. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/03/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 2 giugno 2012

Le comunità si oppongono ai progetti ecoturistici nella Lacandona. Per gli zapatisti, la finalità è spogliarli delle loro terre

  • Analisi della ricercatrice Alicia Gómez della UAM-Xochimilco

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º giugno. Come rivela un recente studio, le comunità zapatiste del nord della selva Lacandona, dalla sua resistenza si oppongono ai progetti ecoturistici nella regione, così come alle monocolture ed alle industrie dell’agro-alimentare, agli agenti chimici usati in agricoltura, alla bioprospezione (dei biocoyotes), e percepiscono i programmi sociali del governo come strategie per dividere le comunità ed alienare le loro terre ed i mezzi di sussistenza. Lo studio conclude che i contadini autonomi hanno una chiara coscienza del deterioramento della selva e dell’impegno per la preservazione ed il ristabilimento dell’ecosistema.

No, l’ecoturismo non serve. E’ una bugia che sia di aiuto agli indigeni. Io sono stato a Chajul, per Benemerito de las Américas, dove c’è uno di questi progetti. La gente è proprio fregata, perché non ha più la terra. Dicono che non hanno distrutto la selva, ma non è vero, io ho visto che hanno tagliato molti alberi e quando attraversano la laguna lo fanno con una lancia che sporca l’acqua, e poi quelli che vengono qui per l’hotel si portano via animali e piante. L’ecoturismo è solo per i gringos che stanno col malgoverno, che vogliono portarsi via le ricchezze e le vogliono privatizzare perché non appartenga più alle comunità.

Sulla base di testimonianze come questa, la ricercatrice Alicia Gómez Bonilla, dell’Università Autonoma Metropolitana (UAM) Xochimilco, ha realizzato un’analisi su Visioni e sensazioni sul deterioramento ambientale (2011) delle basi di appoggio zapatiste nel municipio autonomo Ricardo Flores Magón. Dopo diversi anni di osservazione diretta, Gómez Bonilla ha scoperto che per gli zapatisti i problemi ambientali sono causati direttamente o indirettamente dalle politiche governative, e la loro conseguenza è una diminuzione della qualità della vita. Anche che la gestione sostenibile è un punto importante per garantire l’autonomia del municipio zapatista.

Lo studio che si basa sulle percezioni ambientali della società zapatista, e sull’osservazione delle sue pratiche agricole e di relazione con l’ambiente naturale, ha rilevato che la bioprospezione promossa dai conservazionisti di professione della selva, secondo i popoli non apportano niente, rappresentano una mancanza di rispetto ed un furto della conoscenza delle comunità che va solo a beneficio delle imprese farmaceutiche.

Le monocolture spinte dal governo, come le fumigazioni del programma Moscamed, danneggiano la natura; il secondo è stato utilizzato come parte della contrainsurgencia. Anche gli zapatisti ritengono che gli incendi, che negli anni passati hanno colpito la selva, furono provocati dai paramilitari, il governo lì pagò per farlo. L’idea di distruggere la montagna era per lasciare senza risorse le basi di appoggio e indebolire la resistenza. Altri responsabili del fuoco furono i militari che bruciarono la montagna col pretesto di snidare gli zapatisti, scrive Gómez Bonilla.

Un sentimento comune degli intervistati è che è ingiusto incolpare i popoli del deterioramento ambientale. Molti dicono che sono i popoli che distruggono la selva, che tagliano gli alberi, che cacciano, e con questo pretesto vogliono toglierci le nostre terre e mandarci da un’altra parte, ma ai grandi proprietari terrieri non dicono niente anche se sono loro a disboscare la selva, si dice in un’altra testimonianza. Per i contadini adulti, i progetti di conservazione del governo sono una contraddizione, poiché per molti anni hanno promosso il disboscamento.

Un altro problema che documenta lo studio è il deterioramento del suolo per uso agricolo, ed in particolare per l’impiego di sostanze chimiche, che a Flores Magón praticamente non esiste. Gli indigeni all’inizio li rifiutavano perché venivano dal governo, ma col tempo hanno scoperto che era meglio non usarli, danneggiano la terra e ci rendono dipendenti; è come una droga. In quello che risulta essere più di una metafora della politica governativa, uno zapatista dice: I priisti, ogni volta che seminano ne hanno sempre più bisogno. Il contrario dell’autonomia e della sostenibilità. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/02/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 1 giugno 2012

Municipi aderenti all’Altra Campagna denunciano aggressioni dei paramilitari

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 31 maggio. I rappresentanti delle comunità in resistenza che fanno parte dell’organizzazione Pueblos Unidos por la Defensa de la Energía Eléctrica (PUDEE), aderenti all’Altra Campagna nel municipio di Tila, Sabanilla, Tumbalá, Yajalón e Salto de Agua hanno denunciato aggressioni dei “i gruppi paramilitari di Paz y Justicia” che operano nella zona nord, in particolare nella comunità di Jolnopá Guadalupe (Tila), guidati da Efraín Encino Parcero, Roberto López Vázquez, Luciano Martínez Encino e Bernardo Encino García, oggi delegati ed attivisti del Partito Verde Ecologista del Messico, in alleanza col Partito Rivoluzionario Istituzionale, al quale prima appartenevano.

Riferiscono che il 7 maggio,  vicino alla casa del menzionato Encino Parcero, un trasformatore ed un cavo che fornisce l’energia elettrica sono brucati a causa di un incidente atmosferico. Da tre settimane siamo senza energia elettrica. Da quella data i nostri compagni in resistenza vengono minacciati e vessati da questi paramilitari. I nostri compagni si sono organizzati riparare il guasto. I paramilitari che non permettono che si facciano le riparazioni, hanno detto alla Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) che siamo noi i responsabili, quando in realtà non c’è stato alcun responsabile. I tecnici della CEF sono solo venuti a vedere, ma non hanno eseguito riparazioni.

Il 25 maggio si è presentata una persona della CFE per tagliare il cavo passante di un membro della PUDEE, lasciandolo sul soffitto di una casa, e minacciando di lasciare senza luce i nostri compagni in resistenza e basi di appoggio dell’EZLN adducendo ordini del governo.

La popolazione in resistenza accusa i paramilitari di Paz y Justicia che hanno agito sempre in questa comunità e nella zona nord in complicità con i malgoverni ed i partiti politici. La PUDEE ricorda che questi gruppi sono gli autori materiali ed intellettuali degli omicidi avvenuti nella zona bassa di Tila ed in altri municipi tra il 1995 e 1996, e particolarmente sono quelli che hanno compiuto l’attentato contro la carovana del vescovo Samuel Ruiz, mentre rientrava da una visita pastorale a Jolnopá Guadalupe.

Vengono inoltre accusati di avere diviso la comunità con uno scisma cattolico quando hanno realizzato il tempio di San Pedro sulla strada Tila-Limar. Fanno parte della contrainsurgencia creata dal malgoverni e tentano di impedire la costruzione dell’autonomia dei popoli.

Denunciano che il leader Encino Parcero è commissario della comunità e condiziona le donne che ricevono gli aiuti del programma Oportunidades, mentre si prende gioco di quelli che si oppongono al pagamento dell’energia elettrica. Col proprio funzionario rurale, il gruppo opera congiuntamente con l’autorità municipale, statale e federale.

PUDEE esige dalla CFE il ristabilimento del servizio e l’intervento delle autorità competenti per evitare scontri e che si violi la pace e l’armonia nella comunità. Chiedono il rispetto delle proprie garanzie come indigeni: Solo con l’autonomia dei nostri popoli possono tornare la pace e la tranquillità. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/01/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 27 maggio 2012

Le comunità indigene si oppongono al progetto di turismo d’avventura in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. Laguna Miramar, Chis., 26 maggio. La bella e grande laguna che segna il confine con i Montes Azules è la nuova meta degli investitori turistici. Approvato dal Ministero dell’Ambiente e Risorse Naturali e dalla Commissione per l’Ambiente, Risorse Naturali e Pesca del Senato, il progetto Estancias Vivas Natura Miramar contempla la costruzione di alloggi turistici nelle acque della laguna, un hotel che le autorità definiscono turismo alternativo.

Nel progetto ufficiale viene considerato solo l’ejido Emiliano Zapata; sulle sue terre si costruirebbero 11 alloggi doppi e quattro suite, ristorante, bar, uffici, lavanderia e alloggi dei dipendenti. Non tutti sono d’accordo; molti non sono stati nemmeno consultati. Da anni qui esiste un flusso turistico regolare, mai affollato, che non sembra alterare la vita del villaggio. Un maggiore impatto qui, e peggio nel vicino ejido San Quintín, è rappresentato dalla grande base militare, a pochi chilometri dalla laguna.

Emiliano Zapata, Benito Juárez, Nueva Galilea e Tierra y Libertad sono i villaggi intorno a Miramar, anche se solo il primo è legale; i suoi abitanti si considerano i guardiani della laguna, benché anche altri lo siano, come a loro modo gli zapatisti di Nueva Galilea che la difendono senza aiuti del governo né investimenti turistici sempre più numerosi e sempre di più privati.

In una località di isolotti all’interno della laguna, un cartellone esprime la loro opposizione: “Non vogliamo turismo d’avventura. Il governo sta creando turismo d’avventura per l’inferno. Questo progetto è pieno di ladri e sorci. È una campagna di contrainsurgencia e guerra di bassa intensità. Qui vogliamo giustizia, libertà e democrazia. Qui il popolo comanda ed il governo obbedisce. EZLN”.

In un angolo della laguna vivono basi di appoggio zapatiste e dicono di prendersi cura dell’ultimo confine, l’attuale frontiera tra la selva dell’uomo e quella che prescinde dall’umanità nell’alternanza dei secoli. Visto da qui, rappresenta l’ultimo avamposto del Deserto della Solitudine, come lo chiamavano i primi conquistatori; oggi riserva integrale della biosfera o colloquialmente biosfera dei Montes Azules, sia che siano monti, e che siano azzurri. Nel periodo classico maya ci furono città e comunità di agricoltori nel cuore di questa selva oggi riserva, come Tzendales (notevole vestigia archeologica inesplorata, vicino al río Negro), Miramar e, chiaramente, Bonampak all’estremo nord.

Gli investitori promettono agli indigeni il sole, la luna e le stelle sotto forma di infrastruttura per turismo nella natura. Qui dove già ci sono il sole, la luna e le stelle, l’acqua migliore ed il cielo più grande della selva Lacandona, che altro possono offrire albergatori, ristoratori, costruttori, appaltatori, funzionari ambientali ed agrari del settore turistico, senatori, governatori, candidati, televisioni, imbottigliatori, banche? Che cosa meglio di questo?

Alcune comunità sono – e tutte dovrebbero esserlo – guardiane della selva, l’acqua, il territorio e quello che questa contiene ed alimenta, quello che ricevono ogni mattina dalla terra, chiamata Madre nelle quattro lingue maya che sfociano in questa sommità delle valli, convergenza anche delle strade che verso Las Margaritas ed Ocosingo riescono a sembrare carrozzabili. È dove il vivace fiume Perla si unisce al maestoso e calmo, infine navigabile, fiume Jataté, un corso d’acqua imponente che diventa il Lacantún e poi Usumacinta, lontano da quelle giovani cascate incuneate tra Corralito, negli Altos, tra Oxchuc ed Ocosingo.

Emiliano Zapata, sebbene a maggioranza chol, è una delle poche comunità della selva dove vivono anche tzeltales, tojolabales e tzotziles. Una delle più cosmopolite. Gli ejidatarios (non tutti lo sono a Zapata) tendono a criticare i vicini villaggi che non hanno titoli di proprietà, ed in particolare accusano quelli di Benito Juárez di distruggere i boschi ed inquinare il lago. L’imbarcazione di Benito Juárez, una terribile lancia, normalmente usava il motore, ma ora non gli è più permesso. Ora devono remare per raggiungere Zapata, che è la via d’uscita per gli abitanti della riva. O lo era, perché la strada che viene da Amatitlán, a valle di Lacantún, ha già raggiuntoChuncerro, dentro i Montes Azules.

Secondo Cesare, un giovane chol che guida gli inviati di La Jornada per la laguna, l’attuale gestione dei visitatori è razionale, sufficiente e fino ad un certo punto autosufficiente, non ha bisogno di un hotel privato. Chi vuole venire a Miramar, da qualunque parte provenga, viene. Solo alcuni giorni fa sono arrivati 20 visitatori da Comitán e Tuxtla Gutiérrez. Famiglie. Sono arrivati con dei furgoncini e si sono accampati per tre giorni, belli tranquilli. Gringo e francesi arrivano a ondate. Nel periodo delle vacanze si accampano fino a 50 persone o appendono le amache sulla spiaggia. Un turismo modesto, presumibilmente ecologico (più di quello di un hotel), sufficiente per una comunità che mangia della terra e vive circondata dall’acqua, tra due grandi fiumi ed una laguna portentosa.

http://www.jornada.unam.mx/2012/05/27/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 26 maggio 2012

La CIDH concede misure cautelari al detenuto Patishtán

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 maggio. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha annunciato il conferimento di misure cautelari urgenti (MC 77/12) in favore del prigioniero di coscienza Alberto Patishtán Gómez, per il grave pericolo che corrono la sua vita e la sua salute a causa del peggioramento di un glaucoma non curato. Questo, mentre aumentano le umiliazioni ed i maltrattamenti contro il professore tzotzil che ora riferisce di essere stato rapato nella prigione di Guasave, Sinaloa, dove si trova da ottobre.

La CIDH ha sollecitato il governo del Messico ad istruire le autorità competenti per realizzare gli esami medici che permettano di valutare la salute del detenuto ed offrirgli il trattamento adeguato.

Da parte sua, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ricorda che nonostante le riforme all’articolo primo della Costituzione, il governo non rispetta l’obbligo di rispettare, proteggere e garantire i diritti umani riconosciuti dalla Costituzione e dagli strumenti internazionali che ha firmato e ratificato.

Patishtán, aderente dell’Altra Campagna, riferisce in una lettera: Con profondo dispiacere, quando mi tocco la testa rapata, mi rendo conto che le autorità che parlano del rispetto dei diritti umani non fanno altro che demagogia politica per ingannare. Le autorità del carcere di Guasave hanno agito non solo contro la mia volontà ed attentando contro la mia dignità di indigeno ed essere umano, ma anche contro i miei usi e costumi perché da secoli, come indigeni, portiamo i capelli di lunghezza normale per proteggerci durante il lavoro nei campi, ed oggi guardandomi riflesso in un pezzo di lamiera che funge da specchio non ho potuto evitare di versare una lacrima, pensando che la mia famiglia mi vedrà totalmente senza capelli, questo è un ulteriore scherno al quale mi trovo sottoposto come rappresaglia per la lotta che sto sostenendo per la mia libertà. Ancora per quanto, signori governanti, dovremo sopportare queste vessazioni? Non è la giustizia che ho chiesto. Esigo ancora una volta l’immediata liberazione di noi de La Voz del Amate e Solidarios de la Voz del Amate ed il rispetto dei nostri usi e costumi.

Di fronte a questo, il Frayba ha condannato le recenti azioni del governo federale che violano l’accesso alla giustizia e alla difesa del detenuto. Dopo aver dimostrato il suo ingiustificato trasferimento dal Chiapas a Sinaloa ordinato dal segretario di Governo, Noé Castañón León, il Centro ha presentato un ricorso che è stato accolto favorevolmente con l’ordine del suo ritorno immediato nella prigione di San Cristóbal.

Ciò nonostante, il governo federale ha continuato ad ostacolare il ritorno e la liberazione presentato un nuovo ricorso che è stato rimesso al tribunale collegiale di Cancun, Quintana Roo, ‘affinché in aiuto ai lavori di questo tribunale, detto organo giurisdizionale pronunci la sentenza corrispondente’ “. Questo, secondo il Frayba, è un palese impedimento all’accesso alla giustizia del governo federale, in complicità con quello del Chiapas, a danno di Patishtán, che a giugno compirà 12 anni di reclusione.

http://www.jornada.unam.mx/2012/05/26/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 26 maggio 2012

Secondo il Consiglio Regionale è falso che il governo proteggerà Wirikuta

Ariane Díaz

Il Consiglio Regionale Wixárika per la Difesa di Wirikuta ha dichiarato che la cessione del lotto minerario di 761 ettari dell’impresa mineraria canadese First Majestic Silver (corrispondente alla concessione di Minera Real Bonanza) al governo federale non rappresenta una soluzione, perché non preserva il territorio sacro huichol, mentre in realtà il progetto di sfruttamento dell’impresa resta intatto nello schema governativo.

In una conferenza stampa ha definito una farsa e una menzogna l’annuncio fatto giovedì scorso dalle autorità federali riguardo la protezione delle terre sacre di questa regione con la cancellazione dello sfruttamento minerario ed il decreto che dichiara riserva mineraria nazionale 45 mila ettari di questo territorio, perché non si cancella il settore minerario nella totalità del territorio sacro di Wirikuta.

L’annuncio, incompleto e pieno di dati falsi che distorcono la realtà del luogo sacro, è solo una strategia per approfittare della copertura mediatica del Wirikuta Fest (concerto che si svolgerà questo sabato presso il Foro Sol, con la partecipazione di numerose band per raccogliere fondi per la difesa legale di questa terra) e dare un’immagine distorta della sua presunta responsabilità sociale.

Inoltre, denuncia che l’identificazione geografica degli altari sacri realizzata dal governo non ha ricevuto il consenso del popolo wixárika né si sono svolte consultazioni con tutte le assemblee e le autorità, motivo per cui hanno respinto i risultati presentati giovedì a solo due dei 27 rappresentanti le autorità del popolo huichol.

Nonostante la grande preoccupazione delle autorità wixárikas per l’annuncio del governo, queste hanno riconfermato l’intenzione di dialogo e di stabilire accordi con lo Stato messicano per la difesa integrale della zona.

Ha spiegato che il lotto minerario ceduto al governo federale, non al popolo wixárika né gli abitanti di Wirikuta, era già stato già offerto dalla compagnia mineraria a gennaio del 2011 ed il popolo non aveva accettato ritenendo che Wirikuta non è composta solo dal il colle Quemado, ma è costituita da almeno 140 mila 212 ettari.

Questa area, dichiara Santos de la Cruz, membro del consiglio, rappresenta solo lo 0,5% della superficie totale del territorio sacro.

Inoltre, il lotto di Real Bonanza è zona sterile senza mineralizzazione economica e parte di una regione che non era nei piani di sfruttamento minerario di questa compagnia. Il progetto di La Luz de First Majestic e Minera Real Bonanza prosegue il suo corso, sottolineano.

Restituire concessioni prive di interesse minerario né economico è la dimostrazione che First Majestic vuole ingannare la società messicana, afferma Rurik Hernández, del Frente en Defensa de Wirikuta. Aggiunge che una delle omissioni dell’annuncio governativo è che il progetto Universo, di Revolution Resources, è ancora vigente.

Attualmente, informano, le imprese minerarie sono attive nella regione in 79 concessioni che abbracciano un’estensione di quasi il 70% del territorio sacro di Wirikuta, che rappresenta circa 97 mila ettari di concessioni, di quali 59 mila corrispondono al progetto Universo.

I rappresentanti del popolo huichol e gli attivisti per la difesa di questo territorio ricordano che l’attività mineraria non si riduce solo allo sfruttamento, ma comprende anche le attività di esplorazione, per cui l’affermazione del governo secondo cui non esistono danni alla riserva è falsa. Sembra ignorare le esplorazioni di molte imprese minerarie, testimoniate e fotografate, e la devastazione delle industrie agricole che il popolo Wixárika denuncia da un anno.

Sulla riserva mineraria nazionale, rilevano che non sono state rilasciate concessioni minerarie; tuttavia, non è una garanzia definitiva che non ci saranno miniere attive in questi 45 mila ettari, segnala Tunuary Chávez, del Fronte.

Mentre le organizzazioni nell’incontro con i media denunciavano l’intenzione del  governo di migliorare la sua immagine, la Segreteria per lo Sviluppo Sociale ha emesso un comunicato sugli aiuti sociali concessi agli abitanti di quest zona.

http://www.jornada.unam.mx/2012/05/26/sociedad/033n1soc

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ancora Cherán.

Los de abajo

 Ancora Cherán

Gloria Muñoz Ramírez

 Nella comunità purépecha di Cherán, Michoacán, non si smette di trovare i morti. La sua lotta in difesa dei boschi iniziata nell’aprile del 2011, è costata la vita ai comuneros che vogliono difendersi. I falò e le barricate posizionate alle entrate del villaggio continuano ad essere più che necessarie, perché i governi non hanno fatto niente per fermare la criminalità organizzata, dichiarano i membri del Consejo Mayor.

La settimana scorsa la comunità aveva riferito della scomparsa di Jesús Sebastián Ortiz, di 70 anni, uscito di casa per andare nei campi a lavorare e non più tornato. Questo 24 maggio il suo corpo è stato trovato senza vita in località Las Arenas, a nord di Cherán, molto vicino al rancho El Pueclito, villaggio segnalato come uno dei più pericolosi per la presenza dei talamontes.

Anche senza conoscere le cause ufficiali della sua morte, in quanto il corpo in stato di decomposizione è stato consegnato al Pubblico Ministero, le autorità di Cherán anticipano che questo fa parte di una nuova minaccia di azioni violente da parte di gruppi di talamontes e del crimine organizzato. “Quando vedono persone sole non si inteneriscono. Vogliono accrescere la paura affinché interrompiamo le azioni di difesa. Si tratta di un’azione vigliacca di gente cattiva e proprio nel luogo dove è stato trovato Jesús sono caduti altri nostri compagni.”

Nell’aprile del 2011 la comunità di Cherán si armò di pietre e bastoni per frenare il saccheggio dei suoi boschi. Nel febbraio scorso il Concejo Mayor si è insediato ed è diventato il primo governo autonomo riconosciuto dallo Stato di Michoacán.

Solo qualche settimane fa – pochi giorni dopo la festa nella comunità per l’anniversario della sollevazione – in un’imboscata sono stati assassinati altri due comuneros: Santiago Ceja Alonso e David Campos Macías, mentre svolgevano lavori di pulizia e rimboschimento. Nell’imboscata sono rimasti feriti anche Salvador Olivares Sixtos e Santiago Charicata Servín.

La situazione a Cherán esige una soluzione. Se lo Stato messicano ed i governi federale e statale avessero preso in considerazione quello che denunciamo da più di un anno, le condizioni di sicurezza sarebbero molto diverse. Oltre ad occasionali pattugliamenti di corpi misti (convogli di soldati dell’Esercito e di poliziotti federali, statali, municipali e forestali), nessun altro compromesso ha compiuto il governo non ha mantenuto nessun altro impegno e le minacce contro di noi continuano ad essere le stesse, denunciano i comuneros.

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org

http://www.jornada.unam.mx/2012/05/26/opinion/016o1pol

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 25 maggio 2012

Il Frayba denuncia i reiterati ostacoli del governo alla liberazione di Alberto Patishtán

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 24 maggio. Dalla prigione federale di Guasave, Sinaloa, il professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez ha fatto avere un breve manoscritto in cui denuncia aggressioni alla sua dignità da parte dei suoi carcerieri, che sono arrivati a livelli estremi di umiliazione e maltrattamento che sono davvero troppo perfino per un indigeno rinchiuso da 12 anni in tre prigioni del Chiapas, incatenato per mesi al letto di un ospedale ed ora in punizione in un penitenziario di massima sicurezza a 2 mila chilometri dal suo luogo di origine.

Privato ingiustamente della mia libertà da più di dieci anni, ho cercato di conservare sempre la mia essenza indigena, cosa che non è stata facile. Attualmente, sembra impossibile stante i maltrattamenti che denigrano non solo la mia dignità di essere umano, ma attentano alla mia salute a causa di un tipo di alimentazione che rompe le abitudini che la mia etnia ha cercato di mantenere per secoli, afferma Patishtán.

Il regime alimentare al quale mi costringe l’autorità federale penitenziaria contro la mia volontà, diventa un ulteriore al quale sono sottoposto come conseguenza dell’ingiustizia che riguarda la mia situazione legale. 

Ancora una volta chiede al presidente della Repubblica Felipe Calderón Hinojosa il rispetto dei suoi diritti e chiede la liberazione immediata a nome dei suoi compagni carcerati della Voz del Amate, Solidarios de la Voz del Amate e Voces Inocentes.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) a sua volta denuncia che il governo è tornato ad impedire la liberazione di Patishtán. Ha ricordato che il 29 febbraio a Tuxtla Gutiérrez, il giudice competente aveva accolto il ricorso presentato dai suoi avvocati per essere ritrasferito in Chiapas. Tuttavia Felipe Calderón, attraverso la Segreteria di Pubblica Sicurezza Pubblica Federale, il 3 aprile ha presentato appello per ritardare o annullare il trasferimento.

Insegnante di una scuola primaria pubblica nel municipio El Bosque, nel 2000 “fu coinvolto nell’omicidio di sette poliziotti con un membro delle basi di appoggio dell’EZLN”, ricorda il Frayba. Inspiegabilmente fu condannato malgrado si fosse dimostrato che l’accusatore, il figlio minorenne del presidente municipale, aveva chiaramente mentito, e per questo il giudice assolse il coimputato, ma non Patishtán. 

“Per più di 11 anni di immeritata condanna, Alberto è stato un modello di attivista sociale a favore della causa dei più dimenticati, generalmente poveri ed indigeni. La sua incessante lotta ha permesso la liberazione di centinaia di persone accusate di reati inesistenti o non commessi da loro, ma tutto questo non è bastato ad ottenere la scarcerazione di un uomo innocente, un attivista sociale, un prigioniero politico per il quale Tatic Samuel chiese la liberazione, ed il governatore Juan Sabines Guerrero ha riconosciuto la sua innocenza”, riferisce l’organizzazione civile.

Nel 2010 gli è stato diagnosticato un glaucoma (malattia irreversibile che fa perdere lentamente la vista). La sua situazione di salute si è aggravata per l’assoluta mancanza di assistenza medica all’interno delle carceri in Chiapas. Come punizione per la sua lotta per la sua libertà e la difesa dei diritti umani, il 20 ottobre del 2011, mentre era in sciopero della fame con i Solidarios de La Voz del Amate, è stato trasferito nel carcere di Guasave, su richiesta del segretario di Governo Noé Castañón León, come ha documentato lo stesso Frayba settimane fa. http://www.jornada.unam.mx/2012/05/25/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 22 maggio 2012

Critiche al progetto di riduzione delle emissioni. E’ un ecocidio che implica lo sgombero forzato e la distruzione di intere comunità

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 21 maggio. Nessun paese in cui è stato introdotto il programma di Riduzione delle Emissioni per la Deforestazione e Degrado delle Foreste (REDD) è stato esente da critiche. In Chiapas si è appena cominciato e popoli indigeni, organizzazioni sociali, alcuni centri di ricerca ed ONG indipendenti si sono riunite per discutere del progetto e della sua gestione, perché questo può distruggere le comunità che vivono dentro la selva, togliere loro il diritto di essere ascoltate e partecipare alle decisioni sul loro territorio, sostiene Ingrid Fadnes, dell’organizzazione norvegese Latinamérika Gruppene (LAG), presente da molti anni in Chiapas, in una ricerca svolta per gli Studi Latinoamericani della UNAM.

Dal 2007 le Nazioni Unite hanno intensificato i programmi per affrontare il cambiamento climatico. REDD è il risultato di questi sforzi. Da quando è stato avviato in paesi in via di sviluppo, secondo diversi rapporti serve solo a far sì che i paesi industrializzati possano comperare “lavarsi la coscienza” e continuare ad inquinare nei rispettivi paesi. Sono indulgenze, ironizza Fadnes.

A dicembre del 2010, il Messico ha aderto al REDD. In Chiapas, uno dei polmoni del pianeta, un milione e 300 mia ettari sono protetti in 48 riserve o Aree Naturali Protette. Circa la metà nei Montes Azules. Ma dentro la selva vive “quello che il governatore chiama anche ‘il nemico del bosco: l’uomo’ che qui sarebbero i popoli indigeni”. Il saccheggio è stato una forma storica per rimuovere gli ostacoli nella selva dichiarata riserva. Oggi, gli unici abitanti legali sono i lacandoni, benché vi vivano anche altri popoli maya. Quando il governatore dice che le future generazioni ringraziano perché potranno vivere della conservazione del bosco, dell’ecoturismo e della produzione di gomma e palma da olio, parla per il suo governo e per i pochi indigeni che beneficiano del progetto, non delle comunità che lottano per mantenere la loro cultura ed il loro territorio, e per seminare le piante native come mais e fagioli.

Sia il Quadro Intergovernativo dei Cambiamenti Climatici (IPCC) sia il documento del governo messicano che prevede il REDD come strategia nazionale, riconoscono la necessità della partecipazione dei popoli indigeni e che siano ascoltati quando si compiono azioni nel loro territorio, ma non è stato così. Ci sono voci molto critiche a livello internazionale. In Messico e Chiapas ci sono organizzazioni e comunità che si oppongono al progetto, mentre alcune comunità indigene hanno accettato di partecipare, cita Fadnes. Tra i primi si trovano i firmatari, nel 2010, della Dichiarazione del Forum dei Montes Azules (30 organizzazioni indipendenti contadine e indigene, università e collettivi); tra i secondi, quasi esclusivamente si trova la cosiddetta comunità lacandona.

Ai concetti governativi secondo i quali il progetto è la soluzione ai cambiamenti climatici, allo sradicamento della povertà in Chiapas e all’incremento dello sviluppo economico dei popoli indigeni, la ricercatrice Ingrid Fadnes contrappone, tra gli altri, le critiche dell’organizzazione Maderas del Pueblo del Sureste, per la quale REDD è un ecocidio, implica lo spostamento forzato e la distruzione dei popoli originari; conviene solo ai paesi ricchi.

L’origine di queste soluzioni si rifà alla rivoluzione verde pubblicizzata come un successo ma che nel tempo ha generato una forte opposizione a causa della distruzione della biodiversità e all’avvelenamento di suoli e acqua attraverso le monocolture e i pesticidi. Sulla stessa linea, all’interno di REDD si programmano piantagioni di alberi della gomma, palma da olio ed eucalipto, monocolture che richiedono grandi quantità di pesticidi e danneggiano i suoli. La rivoluzione verde aveva cercato di rispondere alla domanda di cibo ed ha finito col cercare di controllare la natura, senza considerare le conseguenze per l’ecosistema, la biodiversità, la salute umana ed il lavoro contadino. http://www.jornada.unam.mx/2012/05/22/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 21 maggio 2012

La mercificazione delle foreste è alla base della cacciata delle comunità che vivono nelle foreste in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 maggio. Tra i principali motivi economici per ritirare le comunità che vivono nelle foreste c’è la vendita dei bonus per le emissioni di carbonio, sostengono organizzazioni civili appartenenti alla Rete per la Pace Chiapas (Sipaz, Desmi, Frayba ed altre). Nella COP 16 (Conference of the Parties) di Cancun, a dicembre 2010, il Messico era entrato nel programma Riduzione delle Emissioni Prodotto della Deforestazione e del Degrado Ambientale (REDD Plus) la cui idea base è che i paesi pronti o che possono ridurre le emissioni di carbonio che provengono dalla deforestazione devono essere compensati finanziariamente.

In una relazione di 122 pagine, critica nei riguardi del progetto di città rurali e delle politiche ambientali in Chiapas, diffuso questa settimana, gli organismi civili ricordano che  il governatore firmò un accordo con i suoi pari di allora di California, Arnold Schwarzenegger, ed Acre, Brasile, Arnobio Márques de Almeida, e iniziò un mercato di compra-vendita di bonus per le emissioni di carbonio che fa parte del progetto REDD Plus.

Nel 2009 era stato avviato il Programma di Azione Di Fronte al Cambiamento Climatico in Chiapas (PACCCH) con l’appoggio dell’ambasciata britannica, di Conservation International, ONG conservazioniste (che fanno da intermediarie con le comunità) ed istituzioni accademiche come La Scuola della Frontiera Sud, che ha collaborato per implementare il progetto REDD Plus con la Commissione Nazionale Forestale; sebbene recentemente abbia cercato di dissociarsi pubblicamente, non l’ha fatto con sufficiente chiarezza.

Il governatore del Chiapas, sottolinea la relazione, “è convinto che aderire al ‘pagamento per i servizi ambientali’ è un progetto di vita”, e cita il mandatario: I suoi figli e nipoti lo ringrazieranno perché vivranno grazie a questo, riceveranno denaro per prendersi cura dell’ambiente, scommettiamo su di loro che sono piccoli, affinché voi abbiate la certezza di dare da vivere ai vostri figli in futuro, vivranno della conservazione delle riserve, del turismo e della produzione di gomma o palma da olio.

Gli interessi ecologici dei piani di sviluppo implicano la mercificazione delle foreste, per cui le autorità ritengono necessario che le comunità che vivono all’interno delle riserve siano ricollocate o non utilizzino le terre per attività agricole, come succede a El Triunfo, riserva con la quale il governo chiapaneco è entrato nel mercato dei bonus delle emissioni di carbonio. Ma il gioiello di questo mercato, come si vedrà nelle prossime informazioni, sarebbe la riserva dei Montes Azules, nella selva Lacandona.

La relazione della missione della Rete per la Pace rileva: Come è noto, per i popoli indigeni il mais che si coltiva nelle terre chiapaneche da migliaia di anni, ha una grande importanza alimentare e culturale. Tuttavia, uno degli argomenti del governo per conservare la biodiversità è quello di smettere di seminare mais. Il mandatario ha detto che fa molto male al pianeta, mentre la riserva, la grande ricchezza che hanno i suoi abitanti, si esaurirebbe.

REDD Plus promuove la riconversione produttiva affinché i contadini smettano di produrre i propri alimenti, come mais, e coltivino prodotti per combustibili o materiali da costruzione (gomma, palma africana). La vendita di carbonio alle multinazionali che si vuole fare nelle foreste e boschi del Chiapas implica anche lo spostamento delle comunità per portare a termine un altro progetto del governo: le città rurali sostenibili. http://www.jornada.unam.mx/2012/05/21/politica/014n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 16 maggio 2012

■ Dicono che oggi verranno a prenderle e ad ucciderle se non avranno lasciato la comunità

Minacce dei paramilitari alle donne di Cintalapa se non lasceranno le loro case

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 15 maggio. “I paramilitari hanno minacciato di venire il 16 maggio ad uccidere le compagne che non avranno lasciato la comunità”, denuncia Armando Méndez Núñez, originario della comunità Cintalapa, municipio di Ocosingo, rappresentante di un gruppo di famiglie sfollate dal villaggio da marzo del 2007. Le minacce sono state pronunciate lo scorso 10 maggio da Herlindo López Pérez e Domingo Gutiérrez Hernández, leader priisti membri della Organización para la Defensa de los Derechos Indígenas y Campesinos (Opddic).

“Hanno detto alle compagne che se non lasciano le case, mercoledì arrivano e le portano in montagna per ucciderle”, aggiunge il campagnolo tzeltal, appartenente ad un gruppo di 13 famiglie sgomberate dalla Opddic degli ejidoso Cintalapa e Busiljá, i quali si dichiarano aderenti all’Altra Campagna.

A Busiljá, a luglio del 2011 è stata sequestrata, e risulta ancora desaparecida, la bambina Gabriella Sánchez Morales. L’ultima notizia era che si trovava in condizioni di schiavitú a casa di un altro membro di Opddic, organizzazione indicata come paramilitare in molte comunità della zona nord dello stato e nel nord della selva Lacandona.

Armando Méndez Núñez, lui stesso ex “prigioniero politico”, ha chiesto inoltre la liberazione di Amílcar Méndez Núñez, di Cintalapa, in carcere dal dicembre del 2008, e di Elías Sánchez Gómez, di Busiljá, arrestato a dicembre del 2011. Entrambi si trovano nel carcere  N. 17 di Playas de Catazajá “ingiustamente”, sostiene.

Settimane fa, il 24 marzo, gli abitanti di Busiljá denunciarono che i paramilitari erano “entrati in ogni casa, andando poi fino alla sorgente, ci hanno aggrediti lanciando pietre e ci hanno molto spaventato perché erano armati, indossavano divise e giubbotti antiproiettile.”

Poi sono scesi in strada “con l’intenzione di uccidere qualche autotrasportatore per poi accusare di questo il nostro compagno Elías Sánchez Gómez (padre), ma hanno fermato un veicolo privato su cui viaggiavano dei militari”. I paramilitari “hanno iniziato a sparare ed i militari hanno risposto ferendo un paramilitare, Enoc Gómez Gutiérrez”. Dopo questi fatti, i soldati hanno trovato due armi a canna lunga ed una motocicletta di colore rosso di proprietà dei paramilitari dell’ejido Busiljá.

Le famiglie sfollate avvertono del pericolo che corrono le loro compagne che sono rimaste nelle loro case, chiedono l’arresto dei loro aggressori, saccheggiatori e invasori impuniti da 5 anni, e garanzie per lasciare l’esilio e potere ritornare nelle proprie comunità.

“Chiediamo la punizione dei paramilitare di questi ejidos che sono i responsabili del sequestro e di tutti i reati già denunciati ai pubblici ministeri di Palenque, Ocosingo e San Cristóbal de las Casas”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 14 maggio 2012

ONG presenta le conclusioni di una missione di osservazione in Chiapas nell’ottobre scorso e denuncia un piano di disintegrazione sociale attraverso le città rurali sostenibili

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 13 maggio. Dietro il Programma Città Rurali Sostenibili soggiace un processo di riordinamento territoriale attraverso le strutture dello Stato che risponde ad interessi dettati dagli organismi finanziarie multinazionali al fine di instaurare un nuovo ordine sociale. I governi federale e statale hanno implementato progetti e programmi che in teoria si propongono di sradicare la povertà portando sviluppo presso i villaggi, ma che in pratica sono processi di disintegrazione comunitaria, saccheggio del territorio e sradicamento culturale. Questo processo di sradicamento smantella ogni possibilità per i popoli di riuscire ad esercitare il diritto alla libera determinazione.

Questa è la principale conclusione del rapporto della Red por la Paz Chiapas (formata da nove importanti organizzazioni civili) ed il Colectivo de Análisis e Información Kolectiva (CAIK), prodotto della missione civile di osservazione realizzata nelle città rurali del Chiapas nell’ottobre scorso. Le organizzazioni hanno visitato due città rurali gà abitate (Juan de Grijalva e Santiago El Pinar) ed altre quattro in costruzione o progettate, con lo scopo, affermano, di documentare la situazione attuale in materia di diritti umani nella quale si trova la popolazione direttamente coinvolta nel Programma Città Rurali Sostenibili (Programa CRS) che il governo sta portando avanti nello stato.

Tra le principali conclusioni, la relazione sostiene che nel settembre del 2009 il presidente Felipe Calderón inaugurò la prima città rurale sostenibile del mondo, chiamata Nuevo Juan de Grijalva, entità che, secondo i funzionari, era la risposta finale al binomio povertà-dispersione. Con questo pretesto, e per il fatto che i villaggi ai quali si rivolge il progetto si trovano in zone a rischio, le comunità sono state o saranno ricollocate in città rurali senza essere state adeguatamente consultate. Questa risposta alla povertà nelle campagne, sottolinea la relazione, è stato criticata fortemente dalle comunità che devono essere sfollate, così come da persone ed organizzazioni della società civile. Il primo motivo di queste opere non sembra sempre essere l’attenzione per le comunità, poiché gli interessi delle imprese private svolgono un ruolo importante, così come gli interessi politici dei governi statale e federale. Le testimonianze delle persone colpite raccolte nella relazione, dimostrano i diversi modi in cui il Programa CRS viola diritti umani internazionalmente riconosciuti, tra questi quello alla libera determinazione dei popoli. Le violazioni documentate dalle organizzazioni rivelano che i popoli non hanno partecipato né sono mai stati consultati in nessuna delle fasi del progetto, al contrario, per lo più sono stati sgomberati con minacce di smantellamento delle infrastrutture dei servizi nelle loro comunità o infondendo loro paura a vivere in zone dichiarate a rischio dal governo. Queste violazioni, si aggiunge, non rispettano gli accordi internazionali in materia di diritti umani firmati e ratificati dal governo messicano. La relazione ritiene preoccupante che la capacità collettiva di decidere come organizzarsi, così come qualunque tentativo di costruzione sociale che emani dai popoli indigeni e contadini che differisca dal modello statale, sembrino avere come destino la frammentazione, l’annullamento o la criminalizzazione. http://www.jornada.unam.mx/2012/05/14/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Ancora aggressioni

Gloria Muñoz Ramírez

Nelle ultime settimane si sono acuite le aggressioni contro la comunità di San Sebastián Bachajón, municipio ufficiale di Chilón, Chiapas, appartenente alla regione autonoma zapatista di San José en Rebeldía. Si tratta di un villaggio aderente all’Altra Campagna che ha intrapreso la difesa di un territorio assediato dall’industria turistica perché possiede uno dei complessi naturali più bramati da tutto il paese: le cascate di Agua Azul.

La persecuzione contro i suoi abitanti ha provocato che tre si trovino in prigione per motivi politici nelle prigioni di El Amate, Ocosingo e Catazajá. Inoltre, giorno dopo giorno si aggrava la pressione contro gli ejidatarios. Ne è prova la recente aggressione armata perpetrata dalla Unión Campesina Indígena y Forestal, guidata da Victor Manuel Vázquez López, della coalizione PRI-Verde Ecologista. Secondo la denuncia della comunità, lo scorso 10 maggio è avvenuta un’imboscata da parte di quattro uomini armati che hanno ferito gravemente Javier Pérez Jiménez, di 17 anni.

Che cosa c’è a Bachajón? Una informativa della Red contra la Represión capítulo Chiapas e del Grupo de Trabajo No Estamos Todos spiega che nel marzo del 2008 le compagnie Norton Consulting, INC ed EDSA Construcción proposero di far crescere l’economia nella zona selva del Chiapas attraverso il  turismo. Lo studio, segnalano, “aveva l’obiettivo di sviluppare un piano strategico per identificare spazi e progetti che potevano esaltare l’offerta turistica. La prima tappa del progetto contempla lo sviluppo di una catena alberghiera in stile longe/retreat per trasformare le Cascate di Agua Azul in una “delle esperienze di resort più esclusive dell’emisfero ovest”, basate su quattro concetti di hotels/resorts nei quali investiranno le catene più lussuose del turismo mondiale: hotel boutique esclusivi; lodge/retreal – vicino alle Cascate di Agua Azul -; hotel di catene europee a cinque stelle, resort con hotel, centri conferenze e golf. Gli operatori coinvolti nell’investimento, riporta l’informativa, sono: Luxury Collection, Orient Express ed Arman, che hanno tariffe da 300 a mille dollari a notte per camera. Tra gli hotel europei si distinguono Sonesta, Barceló, Sol Meliá, Kempinsky; oltre a Camino Real, Posadas, Park, Royal, Marriot, Hyatt e Westin.

Il messaggio degli ejidatarios dopo avere denunciato l’imboscata è: “Non tollereremo più repressione ed aggressioni da parte di membri dei partiti… il malgoverno repressore di Juan Sabines controlla la giustizia a suo piacimento per vendetta politica contro coloro che si rifiutano di appoggiare i suoi progetti transnazionali”. http://www.jornada.unam.mx/2012/05/12/opinion/016o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 11 maggio 2012

I paramilitari attaccano gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 10 maggio. Elementi di Unión Campesina Indígena y Forestal (Uciaf), affiliati ai partiti Verde Ecologista e Revolucionario Institucional, hanno teso un’imboscata armata contro abitanti dell’ejido San Sebastián Bachajón, provocando un ferito grave, Javier Pérez Jiménez, di 17 anni che, secondo gli ejidatarios dell’Altra Campagna è in coma presso l’ospedale Las Culturas di questa città.

L’aggressione è avvenuta domenica scorsa sul tratto di strada Chilón-Carmen Xaquila, guidata da Víctor Manuel Vázquez López, originario di San José Chapapuyil (tutto questo nel municipio di Chilón) e rappresentante della Uciaf, organizzazione che in precedenza, con il nome di Desarrollo Paz y Justicia, è stata la presenza paramilitare nella zona nord dello stato alla fine degli anni ’90. Gli altri tre attaccanti non sono stati identificati.

Nel villaggio di San José, denunciano oggi gli ejidatarios dell’Altra Campagna, esiste un gruppo di 12 persone guidate da Manuel Vázquez Ruiz, dirigente della Uciaf, con precedenti di partecipazione a diversi atti violenti ed attualmente membri del PRI-Verdi Ecologisti. Sono riconosciuti come i principali agitatori della comunità di questo villaggio, prodotto delle intense campagne di quei partiti politici che li hanno impiegati per molte azioni violente.

Javier e suo fratello maggiore, rimasto illeso, si stavano dirigendo a casa quando improvvisamente, senza motivo, quattro persone  armate sono sbucate dalla boscaglia sparando contro di loro a sangue freddo.

I 29 aprile del 2011 lo stesso Vázquez López aggredì con un coltello Florentino Pérez Gómez, che ha riportato la perdita di alcune parti del corpo conservate ora in un vaso di vetro, raccontano gli indigeni. Al riguardo esiste un mandato di cattura contro Vázquez López ed i responsabili, che però le autorità hanno ignorato.

Pérez Gómez ha chiesto giustizia per quello che gli era successo, ma la giustizia non è mai arrivata, spiegano i querelanti. Anche se persone povere di mezzi, un giorno si sono recate negli uffici della Procura di Giustizia dello Stato, a Yajalón, per sollecitare la collaborazione delle autorità per eseguire il mandato di cattura contro i responsabili. Con loro sorpresa, queste autorità dissero alla famiglia dell’indigeno che ci volevano 6 mila pesos per fermare il responsabile e che la giustizia costava molto.

Gli ejidatarios tzeltales denunciano quali principali responsabili di questa violenza le autorità di giustizia. Avvertono: “Non possiamo più tollerare repressione ed aggressioni da parte di membri di partiti politici”, e concludono: “È chiaro chi sono i responsabili; se l’autorità competente non interviene, lo faremo noi, perché non è la prima volta che siamo vittime dell’ingiustizia con l’unico scopo di disintegrare la nostra organizzazione ed intimorirci per fermare la nostra lotta a difesa delle nostre terre e territori. Questo è un altro esempio che dimostra che sono i partiti politici a generare violenza, scontro e disintegrazione attraverso i loro progetti”. http://www.jornada.unam.mx/2012/05/11/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 9 maggio 2012

Campagna internazionale per la liberazione di Alberto Patishtán e Francisco Santiz López

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 8 maggio. Nell’ambito della settimana di lotta mondiale per la liberazione dei prigionieri politici indigeni Alberto Patishtán e Francisco Santiz López, che si svolgerà dal 15 al 22 maggio, per il giorno 18 è annunciata una marcia nel municipio El Bosque, di dove è originario Patishtán, oltre ad un “incontro di voci” ed un meeting nella piazza del municipio con la partecipazione degli abitanti del capoluogo e delle comunità vicine.

Alla convocazione del Frayba e del Movimiento por la Justicia en el Barrio di New York, si sono uniti collettivi e gruppi di Messico, Sudafrica, Brasile, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti ed Argentina pronti a “lottare affinché finalmente, come dice Gaby Patishtán, figlia di Alberto, in un recente videomessaggio, ‘siano liberati i nostri fratelli e sia data giustizia alle nostre famiglie’ “.

La prossima fine settimana a San Cristóbal de Las Casas si terrà un forum contro la detenzione politica e per la liberazione degli indigeni zapatisti ed aderenti all’Altra Campagna, convocato dalla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà.

Con altre iniziative, il Movimento delle chiese per la pace il primo maggio ha installato il presidio intitolato “Libertà” nella Piazza delle Tre Culture di Città del Messico ed ha osservato una giornata nazionale di digiuno e preghiera. La Rete di Solidarietà col Messico di Chicago ha iniziato l’invio di lettere di sostegno a Patishtán “per dargli forza e rompere l’isolamento nel carcere in Sinaloa, lontano oltre 2 mila chilometri dalla sua famiglia.”

A sua volta, collettivi di diverse parti del Regno Unito hanno indirizzato una lettera al presidente Felipe Calderón per chiedere la liberazione dei due prigionieri politici indigeni del Chiapas: “Vediamo con preoccupazione e rabbia che in Messico le persone che si organizzano per difendere i propri diritti sono punite. Con la prigione li si vuole condannare all’olbio, al silenzio, alla sottomissione. Da lì ci giungono chiaia la loro voce ed il loro esempio”. Si dichiarano convinti dell’innocenza di Patishtán e Santiz López “perché sono attivisti sociali impegnati e perché questa è stata documentata dagli avvocati e dai centri dei diritti umani.”

Gli attivisti ricordano che Patishtán, in prigione dal 2000, ha fatto della prigione la sua trincea, con dignità sopporta la pena” ed inoltre “ha organizzato altri prigionieri politici per cercare di ottenere la libertà”. Per questo “è stato mandato in diverse prigioni e la sua ‘dimora’ attuale, a Guasave, Sinaloa, gli è stata assegnata come punizione per aver partecipato all’ultimo sciopero della fame intrapreso in Chiapas nel 2011”. Segnalano che il professore tzotzil “è diventato in una figura simbolo per i movimenti sociali”. E’ proprio per la sua degna ribellione che lo Stato messicano si accanisce contro di lui”.

Il “reato” di Santiz López è essere una base di appoggio dell’EZLN. “Per questo è in carcere e non per un presunto reato commesso a dicembre del 2011 a Banavil, Tenejapa. Come è stato dimostrato, non si trovava neppure sul luogo del reato al momento dei fatti”. http://www.jornada.unam.mx/2012/05/09/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 29 aprile 2012

Profughi zapatisti chiedono di ritrovare il padre

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 28 aprile. Famiglie della comunità tzeltal di Banavil, municipio di Tenejapa, simpatizzanti zapatisti sfollate il 4 dicembre dopo essere state aggredite dai cacicchi filogovernativi a capo di circa 30 persone, chiedono di ritrovare il proprio padre Alonso López Luna e la liberazione immediata di Francisco Sántiz López, base di appoggio zapatista accusato falsamente di aver aggredito gli aggressori mentre non si trovava nemmeno sul luogo dei fatti.

Lorenzo López Girón, figlio del desaparecido, era stato colpito da due colpi di arma da fuoco dai cacicchi del PRI Alonso López Ramírez e Diego Méndez López, ed è rimasto tre mesi in carcere accusato di lesioni. Inoltre, hanno fatto sparire Alonso. “Fino ad oggi non abbiamo nessuna notizia riguardo alle indagini per scoprire dove si trovi”, dicono i familiari che hanno dovuto abbandonare Banavil.

Il 23 dicembre è stato trovato un braccio nell’ejido Mercedes. Il Pubblico Ministero della Procura Indigena l’ha inserito agli atti. “Abbiamo riconosciuto l’arto di nostro padre. Fino ad oggi non sappiamo che cosa hanno fatto gli aggressori col suo corpo ed esigiamo un’indagine per ritrovarlo”. Hanno identificato gli aggressori: López Méndez e Guzmán Méndez, Agustín Méndez Luna, Manuel Méndez López, Alonso e Agustín Guzmán López, Antonia Girón Gómez, Lucía López Ramírez e Antonia López Pérez (di Banavil), insieme a Pablo López Intzin, Antonio ed Alonso López Méndez.

I familiari ricordano che la Giunta di Buon Governo di Oventic ha denunciato che Alonso è stato picchiato quando gli aggressori appartenenti ai partiti politici hanno fatto irruzione nella sua casa il 4 dicembre, e testimoniano: “Abbiamo visto che lo portavano via e secondo la gente di Banavil, lo hanno ammazzato, squartato e nascosto i resti”. Invece, si accusa il desaparecido di avere ucciso Pedro Méndez López, priista, morto nell’attacco.

Il pubblico ministero aveva promesso ai familiari di restituire il braccio ritrovato alla chiusura dell’indagine preliminare, ma avvertono: “Non riprenderemo niente fino a che non ci consegneranno il corpo completo, ne abbiamo il diritto, esigiamo rispetto e la punizione dei responsabili di tutto quello che abbiamo subito”.

Raccontano che il priista Pablo López Intzin “è entrato in casa nostra e con calci e cazzotti ha preso nostro padre Alonso; abbiamo saputo che ora ha paura di finire in prigione ed è scappato al nord lasciando moglie e figli; sa di essere colpevole.”

I familiari di Alonso López Luna (Lorenzo, Petrona, Antonia e Miguel López Girón, María e Petrona Méndez López, e Lucía López Méndez) denunciano che alla vigilia dell’aggressione, il 3 dicembre, i priisti “era già venuti a casa nostra per picchiare Lorenzo, e di questo avevamo avvertito il delegato di Governo che disse che avrebbe avvisato il pubblico ministero e suggerì ‘state attenti e domani vediamo’, ma le autorità non sono state capaci di intervenire per evitare i fatti di sangue.”

Dal luogo in cui sono sfollati, gli indigeni chiedono la libertà di Francisco Sántiz López (base zapatista attualmente in prigione) “che non si trovava nemmeno sul luogo dei fatti”, e ribadiscono: “Non siamo stati noi ad aggredire, sono venuti loro a picchiarci”.http://www.jornada.unam.mx/2012/04/29/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 27aprile 2012

Sul punto di esplodere il conflitto per l’ondata di invasioni di terre a La Garrucha

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 26 aprile. La Giunta di Buon Governo (JBG) El camino del futuro, del caracol Resistencia hacia un nuevo amanecer con sede a La Garrucha, ha denunciato invasioni ed aggressioni in particolare contro il villaggio autonomo Nuevo Paraíso, dove abitanti di Pojkol, Guadalupe Victoria e Las Conchitas (dei municipi di Ocosingo e Chilón) si sono introdotti nelle terre recuperate dalla comunità ribelle “e stanno provocando danni ai nostri compagni”.

I problemi a Nuevo Paraíso, secondo la JBG sono iniziati lo scorso 26 ottobre, “quando abitanti di Pojkol sono entrati nelle nostre piantagioni di caffè per tagliare le piante; erano armati ed hanno sparato diversi colpi di grosso calibro”. Gli invasori hanno danneggiato 3 ettari e sottratto 1.800 chili di caffè. A novembre hanno rubato la milpa del collettivo, 4 ettari che rendono 100 zontes (circa 35 sacchi) di mais.

Il 9 gennaio gli invasori di Pojkol (Chilón) “hanno cominciato a tagliare gli alberi, e questo fino ad oggi”, su terre recuperate “che sono state pagate col sangue dei nostri caduti”. La JBG denuncia come responsabili i dirigenti di questo ejido, Miguel Gutiérrez Feliciano e Domingo Gutiérrez Ruiz.

Anche gli abitanti di Las Conchitas hanno sottratto a Nuevo Paraíso circa 16 ettari di milpa. Il mais rubato “l’hanno venduto in diversi posti”. Il 31 dicembre “sono arrivati sparando ed hanno distrutto tre ettari di piantagione di caffè collettiva”. Il 3 febbraio quelle stesse persone hanno tagliato la recinzione “e tutto il bestiame è scappato”. Il 4 aprile hanno incendiato i pali e si sono portati via 8 rotoli di filo di ferro. “Hanno recintato la sorgente da dove prendiamo l’acqua. Dentro ci stanno mettendo animali morti e biancheria intima femminile. Hanno tagliato le canne ed abbattuto tutti i grandi alberi grandi e seminato milpa. Hanno fatto lo stesso in altre sorgenti”.

Intanto “intrallazzano col governo per legalizzare le nostre terre recuperate. Le hanno invase perché ce le vogliono togliere”.

Gli invasoti di Las Conchitas appartengono alla Asociación Rural de Interés Colectivo-Unión de Uniones (Aric) “storica”, rappresentata da Marcos Gómez Morales, “conosciuto come difensore dei diritti umani”, Plácido, Marcos e Fidelino Gómez Morales, Fidelino Gómez Lorenzo, Carmelino Ruiz Guillén e Reynaldo Morales González (“noto assassino con precedenti penali”, dichiara la JBG).

I filo-governativi di Guadalupe Victoria hanno invaso piantagioni di caffè in novembre ed abbattuto tre ettari. Il 17 marzo hanno distrutto un altro ettaro che appartiene al municipio autonomo Francisco Villa e seminato a milpa. Il 27 marzo hanno invaso sei ettari di pascolo, fumigato con sostanze chimiche rubato la recinzione. Hanno inoltre fumigato un ettaro e mezzo di campo di foraggio. Quello stesso giorno sulla strada che conduce ai campi, cinque uomini armati hanno impedito il passaggio ai contadini zapatisti.

Il 22 aprile, su 16 camion, 119 membri della Organización de Caficultores de Ocosingo (Orcao)  sono arrivati sul terreno recuperato, ora invaso e danneggiato, per programmare un’altra invasione, guidati dai dirigenti Antonio Juárez Cruz e José Pérez.”Stanno registrando la terra recuperata che appartiene ai nostri compagni basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e tra pochi giorni arriveranno i poliziotti a Guadalupe Victoria per provocare i compagni. I dirigenti dell’Aric “storica” sono Marcelo Jiménez Pérez presidente, Julio e Javier Toledo Córdova, sostengono gli invasori di Las Conchitas.

“Vogliamo che il governo ritiri la sua gente che ha organizzato apposta nelle località citate”. Ed avvertono: “Non cerchiamo la morte, ma diciamo chiaro ai malgoverni che se non ci rispettano nemmeno noi lo faremo, cioè se vogliono che si torni a come abbiamo cominciato, dunque l’avranno. Basta di furto di terre, basta con le loro ruberie. Se i governanti non riescono a controllare le loro persone, sono affari loro e la smettano di rubare al nostro Messico. Ya basta”. http://www.jornada.unam.mx/2012/04/27/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Intellettuali e organizzazioni mondiali chiedono lo “Smantellamento dei gruppi paramilitari ed il riconoscimento del diritto all’autodifesa di Cherán”


Noam Chomsky, Luis Villoro, Pablo González Casanova, Raúl Zibechi, Javier Sicilia, Adolfo Gilly, John Holloway e James Petras, tra altri, chiedono “la fine della persecuzione contro la comunità”

Desinformémonos


México DF. Intellettuali, organizzazioni, collettivi e centri dei diritti umani nazionali ed internazionali, insieme a centinaia di persone della società civile, chiedono al governo federale e statale la punizione dei colpevole di omicidi, sequestri, sparizioni ed estorsioni commessi a Cherán, Michoacán, “come conseguenza della legittima difesa del territorio e  dellerisorse naturali da parte della comunità.”

Leggere la notizia completa ed il comunicato con le firme

Video:

Cherán, più che mai

Realización: Subversiones Otramérica

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Geografia della Resistenza

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La Jornada – Venerdì 30 marzo 2012

Gli abitanti di Mitzitón ammettono l’errore di strategia

Hermann Bellinghausen

La comunità tzotzil di Mitzitón, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, che come aderente dell’Altra Campagna si è opposta all’autostrada San Cristóbal-Palenque, in un documento collettivo riconosce di aver commesso errori sorti nella contingenza dello sciopero della fame dell’anno scorso dei prigionieri politici in Chiapas, tra loro “due dei nostri compagni. Come comunità, decidemmo la partecipazione e le autorità si incaricarono di partecipare alle riunioni (con funzionari governativi) e poi informare la comunità”.

Come si ricorderà, il 14 ottobre 2011 fu diffuso un comunicato in cui si ringraziava il governo del Chiapas per la liberazione dei compagni detenuti della comunità di Mitzitón, misura che, attraverso l’intervento della Commissione Statale dei Diritti Umani, provocò una scissione nello sciopero della fame in corso tra settembre e novembre dei prigionieri politici dell’Altra Campagna in tre prigioni chiapaneche.

La comunità sostiene: Questa missiva indirizzata al malgoverno era firmata dalle autorità e dai rappresentanti che in quel momento erano competenti e ne avevano facoltà. Tuttavia, il modo in cui il documento fu firmato fu ingannevole e con mancanza di chiarezza da parte dei pochi rappresentanti nei confronti della comunità e della maggioranza delle autorità; fu un errore e lo riconosciamo. Nei mesi successivi, aggiungono, abbiamo verificato e mantenuto l’unità della nostra comunità parlando tra di noi e con i compagni di altre organizzazioni, mentre quei rappresentanti non sono stati disponibili a chiarire quello che era successo.

Ora la comunità denuncia che questi hanno tradito la fiducia del popolo, perché si sono venduti al malgoverno per ottenere qualche progetto; ancora non sappiamo per quanti soldi hanno venduto la dignità e la lotta di Mitzitón. I rappresentanti ejidali oggi delegittimati sono Manuel Díaz Heredia, Osvaldo Blas Díaz Jiménez, Juan de la Cruz Hernández e Juan Manuel Díaz Jiménez.

Queste persone hanno tradito la resistenza del popolo per pochi pesos, hanno tradito la fiducia che compagni e compagne del Messico e del mondo avevano nel popolo di Mitzitón. Gli indigeni riconoscono il loro errore e che per colpa di queste persone si  interrompesse lo sciopero della fame dei prigionieri politici togliendo forza alla lotta per la loro liberazione. Successivamente abbiamo tenuto assemblee e nominato nuove autorità e rappresentanti che saranno maggiormente controllati dal popolo. E con maggiore chiarezza.

Soprattutto continuiamo la lotta, Mitzitón resiste e non si è venduto. Gli indigeni dichiarano: “Non cederemo e non cadremo nei trabocchetti del malgoverno. Difenderemo la nostra terra ed il nostro popolo. L’autostrada San Cristóbal-Palenque non passerà per le nostre milpas e sulle nostre case. Continueremo in lotta e organizzati insieme all’Altra Campagna, ai compagni zapatisti e a tutti coloro che nel mondo resistono per una vita libera e degna”.

Per confermare che Mitzitón c’è, la comunità ha realizzato un blocco sulla strada che attraversa il villaggio nel quadro della mobilitazione nazionale contro le tariffe dell’energia elettrica lanciata questo giovedì in almeno 11 stati del paese. http://www.jornada.unam.mx/2012/03/30/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 25 marzo 2012

Avanza l’ecoturismo nella selva del Chiapas che calpesta la popolazione originaria

Hermann Bellinghausen. Inviato Palenque, Chis. 24 marzo. L’ecoturismo avanza nella selva nord del Chiapas e sottomette ai suoi piani la popolazione originaria – perfino quella urbana – a fini commerciali, minacciando la proprietà e l’autodeterminazione comunitaria. E chi esprime critiche od oppone resistenza a queste nuove pratiche turistiche, promosse dalle autorità e dagli investitori, viene espulso da questo mercato che è tradizionale nella zona. Ciò fa sì che gli operatori del settore che sono in disaccordo non osino manifestarlo apertamente.

A Palenque circola un volantino anonimo in cui si dice: “La stagione turistica condiziona l’economia e la assoggetta ad interessi schiavisti, impedendo così la stabilità economica e strozzando con i debiti. L’ecoturismo è utilizzato per comprare le coscienze, identificare gli oppositori ed attaccarli tramite i paramilitari”.

L’ecoturismo, reclamizzato come panacea economica e benefico per l’ambiente minacciato, “è uno strumento politico-economico-militare contro l’autonomia indigena”, si aggiunge nel messaggio. “Si insegna informatica e inglese per ‘civilizzare’ l’agricoltore e trasformarlo in lavoratore dipendente al minimo salariale. Passatempi umilianti, piaceri nocivi, racconti insultanti, ambiente inquinato e profezie televisive sono parte della guerra totale contro di te”.

Bisogna ricordare che la zona nord del Chiapas da oltre 15 anni è lo scenario ricorrente della violenza paramilitare, soprattutto del gruppo priista conosciuto come Paz y Justicia, sebbene periodicamente cambi nome e filiazione di partito. I suoi membri sono stati anche perredisti ed ora una percentuale significativa appartiene al Partito Verde Ecologista del Messico, al quale il tricolore sembra aver ceduto questa zona in vista della prossima tornata elettorale; il candidato a governatore di PRI-PVEM sarà, molto probabilmente, il leader statale dei verdi.

Il turismo non solo esercita nuove pressioni sugli abitanti della selva nord, soprattutto a Palenque ed i vicini Salto de Agua, Playas de Catazajá ed Ocosingo. Le agroindustrie per la produzione di agrocombustibili si sono estese negli allevamenti, sulle piantagioni agricole e terre ejidali. Affittati o venduti, da Palenque fino a Marqués de Comillas, già nella selva Lacandona, migliaia di ettari sono stati riconvertiti in piantagioni di palma africana.

Organizzazioni civili ambientaliste, come Otros Mundos, hanno documentato la “disastrosa” monocoltura della palma, molto diffusa nel municipio di Palenque. Il governo del Chiapas, secondo Otros Mundos (ottobre 2011), obbliga i contadini che accettano il programma di riconversione “a non tagliare la pianta olearia per 25 anni”, e questo “è un modo di rubare la terra all’ejidatario” che non può seminare alimenti né allevare bestiame. “Regala le sue proprietà e ci mette manodopera a basso costo, il governo regala o sovvenziona le piante ed il guadagno se lo portano via le imprese”.

Le piantagioni per il combustibile vegetale del futuro “distruggono boschi, foreste, biodiversità, piante medicinali, fiori ed animali, frutti, legname, fibre, carne, miele, funghi; degrada, erode, inquina ed impoverisce i suoli. Restano solo ‘deserti verdi’ con temperature insopportabili per altre forme di vita”.

Contraddicendo le ottimistiche cifre ufficiali in materia di impiego, Otros Mundos sostiene che non genera molti posti di lavoro, “donne e uomini che lavorano nelle piantagioni passano mesi senza stipendio, senza attrezzi adeguati, in cattive condizioni lavorative e senza assistenza sociale”.

Il governo sostiene che “la palma darà migliori condizioni di vita ai produttori indigeni e contadini, migliori entrate economiche e più posti di lavoro; che con le piantagioni si rimboschisce, si combatte il cambiamento climatico, si recuperano i bacini e non si danneggia l’ambiente”. Ma la riconversione produttiva e le monocolture di palma “non potranno mai essere sostenibili”, sostiene Otros Mundos. http://www.jornada.unam.mx/2012/03/25/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 24 marzo 2012

I megaprogetti turistici minacciano le aree naturali protette del Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. Palenque, Chis. 23 marzo. Un fantasma si aggira nelle regioni indigene del Chiapas: l’espansione territoriale ed economica del turismo transnazionale che pone a rischio la vita produttiva, la cultura maya millenaria e l’ambiente, elementi che la propaganda degli investitori dice, al contrario, di proteggere. L’epicentro dell’imminente riconversione culturale e produttiva si trova a Palenque, ma mira anche alle lagune della selva Lacandona, principalmente Miramar, ancora oggi uno dei grandi prodigi naturali del Messico.

A Palenque gli investitori si fregano le mani. Nonostante i “contrattempi” di ordine sociale che hanno suscitato i progetti e megaprogetti programmati nella regione (espressi nell’opposizione attiva di comunità indigene in resistenza che ne verrebbero colpite) e le  impreviste limitazioni di bilancio imposte dall’attuale governo, si calcola che in due anni, con la notevole zona archeologica come epicentro, questa regione del nord chiapaneco entrerà nel mercato globale – specificamente rivolto al consumatore statunitense – come “destinatario” di primo livello di “avventura” light (tipo Costa Rica).

Durante il governo di Calderón si è proclamato che questi progetti turistici e infrastrutturali faranno esplodere lo sviluppo.

Secondo la testimonianza di un agente turistico di lunga esperienza che ha chiesto l’anonimato, ma che conosco bene, le autorità “vogliono privatizzare le aree naturali protette, e di fatto si sono già insediate qui le segreterie del ministero del Turismo e Ambiente e Risorse Naturali e l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia, in un progetto che conta sull’appoggio finanziario di agenzie statunitensi come la USAID”.

L’informatore prevede, così come le autorità e gli investitori, la resistenza di abitanti ed operatori del settore dei servizi tradizionali che verrebbero rimpiazzati da una “nuova generazione” di guide, mentre gli autotrasportatori sarebbero dedicati ad un simpatico “treno archeologico” o autobus per il trasporto dei turisti dal nuovo aeroporto la cui costruzione “ora” sembra procedere.

Con questa “fusione” istituzionale si vogliono superare le scomode contraddizioni e confusioni legali tra parco nazionale, zona archeologica e zona turistico-alberghiera. “Ce n’è per tutti”, dice l’intervistato. “Le grandi catene alberghiere costruiranno i loro hotel nelle vicinanze della zona archeologica (a 9 km dalla città di Palenque), con centri commerciali e tutti i servizi”. Questo turismo pre-confezionato prescinderà dai servizi forniti dalla popolazione locale.

Come si è visto in anni recenti, il principale “ostacolo” sono le popolazioni indigene considerate nel progetto (come quelle che vivono ad Agua Azul, Agua Clara o Roberto Barrios), dove gli abitanti sono divisi o in conflitto, alcuni a favore dei progetti, altri che si oppongono.

Nell’area di Palenque ci sono in particolare due proprietà che, rifiutando di vendere, saranno espropriate “a prezzi stracciati”, “e già sono previsti gli interventi della forza pubblica, se necessario, nella comunità indigena El Naranjo, vicina alla zona archeologica; l’altra sono alcune capanne per turisti nell’area protetta”.

Le nuove guide addestrate per questo nuovo progetto di turismo sono state selezionate tra comunità choles, tzeltales e lacandone, tra i gruppi filogovernativi, impedendo che abbiano legami tra loro. La loro formazione omette conoscenze storiche a favore di un “turismo naturale” ed un addestramento “di sopravvivenza” studiato “secondo i gusti dei gringos; gli indigeni vengono perfino nutriti con hamburger Burger King, come se fosse una cosa straordinaria”. http://www.jornada.unam.mx/2012/03/24/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Domenica 18 marzo 2012

A Tenejapa, Chiapas, arrestato Francisco Sántiz López, base di appoggio dell’EZLN

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 17 marzo. La Giunta di Buon Governo (JBG) Corazón Céntrico de los Zapatistas Delante del Mundo, con sede nel caracol di Oventic, ha denunciato l’arresto ingiustificato di Francisco Sántiz López, base di appoggio dell’EZLN nel municipio ufficiale di Tenejapa, accusato di un crimine successo quando lo stesso Lopez non si trovava sul luogo dei fatti. Il 4 dicembre 2011 era stato fermato a Tenejapa, “accusato falsamente di aver guidato una provocazione in cui era  rimasto ucciso Pedro Méndez López, del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) dell’ejido Banavil”.

La cattura era stata ordinata dai giudici Alonso Méndez Guzmán e Juan Fernando Guzmán López, e da Alonso López Hernández, comandante in seconda della polizia municipale. Priíiti degli ejidos Mercedes, Santa Rosa e Banavil “hanno fatto pressione presso il pubblico ministero per far arrestare definitivamente Francisco, per soddisfare il volere dei cacicchi”. Il detenuto ha rivelato che le autorità gli avevano detto: “Ti teniamo qua un po’ per proteggerti da eventuali aggressioni da parte dei priisti”. È da allora che è rinchiudo “ed ora hanno costruito dei reati contro di lui” riportati negli atti 177/2011.

Secondo queste false accuse, Francisco si sarebbe “trovato in casa di Antonio López Girón insieme a Lorenzo e Pedro López Girón ed Alonso López Luna”, ed ognuno di loro si presume “avevano armi da fuoco”. La JBG ha concluso le proprie indagini ed appoggia le versioni del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) e dei coloni di Banavil che furono aggrediti dai priisti delle comunità citate. Durante i fatti perse la vita Pedro Méndez che, insieme ad una cinquantina di priisti “armati di bastoni, machete ed armi avevano aggredito Alonso, Antonio, Lorenzo e Pedro nelle loro case”.

I López Girón “non sono zapatisti né appartengono a qualche partito politico” ma sono innocenti, sostiene la JBG. Da parte sua, Francisco qualche ora dopo, a Tenejapa, aveva incontrato Petrona ed Anita, figlie di Alonso López Luna. “Anita sanguinava ancora per le bastonate ricevute e dissero che avevano ammazzato il loro papà e che loro erano presenti quando questo è avvenuto ed hanno denunciato gli aggressori al pubblico ministero”. Francisco ha dei testimoni che dichiarano che egli non si trovava sul luogo dei fatti: Diego Girón Hernández, Rosa Pérez Luna, Daniel Pérez Sántiz e María Girón Jiménez, che hanno già depositato le loro testimonianze.

Il Frayba ha raccolto altre testimonianze che confermano l’innocenza degli arrestati. Ciò nonostante, “i giudici, i funzionari e la commissione de diritti umani del malgoverno sono rimasti sordi ed inumani, ed è chiaro che stanno proteggendo e difendendo i veri colpevoli”.

Gli aggressori di Banavil da tempo minacciavano di espellere o ammazzare le famiglie López Girón ed Alonso López Luna, che da allora è desaparecido e si teme per la sua vita, benché le autorità non sembrano stare indagando sul caso.

“I cacicchi di queste tre comunità hanno organizzato la provocazione”, prosegue la JBG. Circa 50 uomini armati “circondarono la casa e tirarono fuori Alonso per picchiarlo. Lorenzo, suo figlio, per difenderlo, fu colpito da colpi di pistola al petto e all’inguine”. In quell’attacco “organizzato dai cacicchi morì uno degli aggressori”.

La JBG chiede la libertà immediata e incondizionata del suo compagno Francisco Sántiz e di Lorenzo López Girón, in prigione da 104 giorni. È stata offerta loro la libertà “pagando una cauzione di 32 mila pesos per l’omicidio e 40 mila per porto d’armi” ognuno. Somme che si rifiutano di pagare “perché il loro arresto è ingiusto”.

La JBG ritiene “insopportabile, inaccettabile ed inumano l’atteggiamento dei giudici, del ministero e dei malgoverni statale e federale, corrotti ed abituati a fabbricare reati e condannare persone innocenti”. Gli attacchi “violenti e assurdi”, conclude, sono contro l’autonomia delle comunità e dei municipi zapatisti; il loro obiettivo è impedire “l’esercizio del nostro diritto all’autonomia ed alla libera determinazione come popoli originari”. http://www.jornada.unam.mx/2012/03/18/politica/017n1pol

Comunicato della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

 Deve essere liberato

Gloria Muñoz Ramírez

 Il professor Alberto Patishtán Gómez, professore tzotzil e membro della Voz del Amate, è stato arrestato in Chiapas nel 2000 e condannato a 60 anni di prigione. Difensore della sua comunità e dei diritti degli indigeni ingiustamente imprigionati, oltre ad essere membro dell’Altra Campagna, lo scorso 20 ottobre è stato ingiustificatamente trasferito in una prigione federale di Guasave, Sinaloa. Da 12 anni gli abitanti della sua comunità, gruppi sociali ed organizzazioni per i diritti umani lottano per la sua libertà.

Il 29 febbraio scorso, il giudice di distretto di Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, ha ordinato il ritorno del professor Patishtán nel Carcere numero 5, con sede a San Cristóbal de Las Casas, a riconscimento dei suoi diritti umani violati. Questo vuol dire che da un momento all’altro l’attivista sociale sarà di nuovo in Chiapas, più vicino ai suoi familiari, ma anche che continuerà a restare in carcere per un delitto che non ha commesso, per essere indigeno e, la cosa peggiore, per essersi organizzato dentro le prigioni per chiedere la sua libertà e quella dei suoi compagni.

Accusato di aver ucciso sette poliziotti a Las Limas (El Bosque), nel giugno del 2000, Patishtán, insieme ad altri detenuti accusati di reati inventati, aveva organizzato scioperi della fame e mobilitazioni internazionali, ottenendo la liberazione di molti di loro. Questo ha fatto sì che improvvisamente lo trasferissero in una prigione federale a 2 mila chilometri di distanza, azione che è stata deplorata dai difensori dei diritti umani del Messico e del mondo, come Amnesty International che ha denunciato che il trasferimento è una rappresaglia per il suo ruolo attivo negli scioperi della fame e nelle rivendicazioni per il rispetto dei diritti umani dei detenuti.

Patishtán apparteneva ad un gruppo di comuneros avversari dell’allora presidente municipale di El Bosque, il priista Manuel Gómez Ruiz, che li teneva sotto minaccia. Il giorno dei fatti, Patishtán si trovava nel municipio di Huitiupan insieme a dei padri di famiglia, perché lì dirigeva una casa d’accoglienza, fatto esposto chiaramente negli atti. La sua liberazione deve essere immediata.

(Circola una campagna di solidarietà con la comunità di San José del Progreso, Oaxaca, dove è stato assassinato Bernardo Vásquez, dirigente della sua comunità contro il progetto dell’impresa mineraria canadese Fortuna Silver Mines, e membro del Tribunale Permanente dei Popoli.Per aderire, scrivere all’indirizzo di posta elettronica: afectadosambientales@yahoo.com.mx)

http://www.jornada.unam.mx/2012/03/17/opinion/017o1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 15 marzo 2012

Funzionari della commissione dell’ambiente minacciano tre comunità dei Montes Azules che hanno una settimana di tempo per abbandonare le terre che occupano; in caso contrario arriverà la polizia

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 14 marzo. Anche se ufficialmente non lo ammettono, funzionari della commissione dell’ambiente hanno ribadito la minaccia di sgombero contro le comunità di San Gregorio, Salvador Allende e Ranchería Corozal, nei Montes Azules, Il direttore regionale, Francisco Javier Jiménez González, ed il direttore della riserva della biosfera, Julio César Romi Cortez, entrambi della Commissione Nazionale per le Aree Naturali Protette, “hanno mandato una persona dell’ejido Candelaria nei tre villaggi per trasmettere il messaggio di questi due funzionari, ovvero: ‘i tre villaggi hanno solo una settimana di tempo, a partire da lunedì 12, per accettare il denaro e lasciare le terre che stanno occupando; in caso contrario, i poliziotti federali e statali sono pronti a cacciarli’ “.

Questo ha denunciato la Asociación Rural de Interés Colectivo Unión de Uniones Independiente y Democrática (ARIC-UUID), alla quale appartengono questi villaggi che si trovano nella cosiddetta zona lacandona, con le cui autorità per i beni comunali sono arrivati ad un accordo diretto, tra comunità, e che ora i funzionari vogliono violentare. Si sa che il governo e gli investitori privati vogliono realizzare progetti turistici e commerciali autorizzati dalla legge dentro la “riserva” della selva. E per fare questo, le popolazioni indigene sono d’intralcio.

Firmata dalla presidentessa della ARIC-UUID, Vicenta Méndez Ruiz Salvador Lorenzo, la denuncia dice: “Dopo più di 35 anni di conflittualità agraria tra i beni comunale zona lacandona (BCZL) ed i tre villaggi collocati in terreni della zona, siamo giunti ad un accordo di conciliazione che ha posto fine al conflitto agrario ed a permesso il riconoscimento da parte dei BCZL del possesso dei terreni dei nostri tre villaggi”.

In conseguenza di questo, le autorità ejidali della zona lacandona “hanno chiesto alla Segreteria della Riforma Agraria che, come stabilito dalla legge agraria, articolo 93, procedesse ad espropriare i loro terreni e consegnarli ai fratelli tzeltales e tzotziles dei tre villaggi”.

I due gruppi “abbiamo proceduto congiuntamente per avere giustizia, ma fino ad ora abbiamo trovato solo omissioni e minacce di sgomberare i tre villaggi”. L’ultima, riferiscono, “è arrivata l’11 marzo”.

Di questa, “illegale secondo gli articoli 1, 2 e 27 della Costituzione Politica”, l’ARIC-UUID ritiene responsabili i segretari federali del Ministero dell’Ambiente e Risorse Naturali e della Riforma Agraria, il delegato nazionale per le Aree Naturali Protette, ed in generale lo Stato messicano, per “le azioni che hanno compiuto, come le minacce e le omissioni nelle quali sono incorsi non rispondendo alla richiesta di regolarizzazione attraverso l’esproprio agraria, come previsto dagli accordi raggiunti”.

L’organizzazione dichiara: “Non permetteremo più lo sgombero, il diritto e la ragione sono dalla nostra parte come popoli indigeni e secondo i nostri diritti umani. Inoltre, ricordiamo loro, siamo discendenti ed eredi del popolo maya che ha abitato e vissuto su queste terre da prima della colonizzazione”. http://www.jornada.unam.mx/2012/03/15/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 13 marzo 2012

Il Frayba ed i familiari chiedono la liberazione immediata del professore tzotzil Alberto Patishtán

HERMANN BELLINGHAUSEN

Con l’eccezionale sostegno di più di 60 organizzazioni, comitati e commissioni indipendenti per i diritti umani di tutto il paese, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ed i familiari del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez questo lunedì hanno chiesto la liberazione immediata del forse più importante prigioniero di coscienza del paese. Hanno inoltre comunicato che il 29 febbraio scorso Patishtán ha vinto un ricorso per essere riportato a San Cristóbal de las Casas.

Hanno denunciato che il governo del Chiapas è responsabile della “punizione” inflitta al docente ed attivista indigeno, che dopo 11 anni trascorsi nelle prigioni statali scontando una condanna a 60 anni, è stato trasferito per punizione alla lontana prigione federale di Guasave, Sinaloa. Questo, per uno sciopero della fame dei detenuti dell’Altra Campagna in tre prigioni chiapaneche, del quale era portavoce. Le organizzazioni sostengono che le autorità statali volevano spedirlo alle isole Marías.

“Il governo del Chiapas ha sempre negato di aver chiesto questo trasferimento” segnalano. “Tuttavia, nelle carte del ricorso appare chiaramente che il segretario generale di Governo, Noé Castañón León, sollecitava il suo trasferimento ‘al complesso penitenziario isole Marías o ad altro centro penitenziario fuori dal Chiapas’, mostrando chiaramente l’intenzione di allontanarlo dalla degna lotta per la sua libertà”.

Ricordano che “come punizione per questa lotta e per difendere i diritti umani, il 20 ottobre del 2011, per uno sciopero della fame della Voz del Amate e dei Solidarios de La Voz del Amate in Chiapas, è stato trasferito al Centro Federale di Reinserimento Sociale numero 8 di Guasave, dove si trova attualmente”.

In conferenza stampa, con la presenza , tra altri, del direttore del Frayba, Víctor Hugo López, e della figlia del professore, Gabriela Patishtán, avvocatessa, è stato diffuso un pronunciamento in cui si sottolinea: “Questo caso è un chiaro esempio del grave problema nell’amministrazione della giustizia in Messico”. L’arresto risale al 19  giugno 2000, “condannato a 60 anni con l’accusa di imboscata ed omicidio di poliziotti del municipio di El Bosque”.

Oggi è stata decretata la sua innocenza. Durante la sua detenzione, “Patishtán ha sempre partecipato attivamente alla vita politica del suo municipio”, e denunciato la corruzione dell’allora giunta, sollecitando le dimissioni del sindaco “e la creazione di un consiglio municipale”, raccontano gli organismi dei diritti umani.

In quegli anni era in auge la contrainsurgencia del governo federale e del governatore Roberto Albores Guillén, proprio in questo municipio, dove nel 1998 soldati e poliziotti misero a ferro e fuoco il municipio autonomo zapatista San Juan de la Libertad, imponendo un sindaco priista complice di molti delitti. Il massacro di poliziotti del quale Patishtán è unico accusato non è mai stato chiarito in maniera soddisfacente. Come neppure il massacro precedente di zapatisti e perfino priisti.

Sottoscrivono il documento il vescovo Raúl Vera, Javier Sicilia, Gustavo Esteva, Magdalena Gómez e decine di altre persone, insieme a numerose organizzazioni nazionali e di una decina di paesi che dicono di unirsi alla “degna lotta” di Patishtán. “Dalla prigione ha lavorato per la difesa dei diritti delle persone private della libertà, denunciando le violazioni delle garanzie che avvengono nel sistema penitenziario in Chiapas”, sostiene la denuncia collettiva.

Il 29 febbraio, il giudice di distretto di Tuxtla Gutiérrez, “ha ordinato il ritorno di Patishtán nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas, dove si trovava prima”. Questo, “in restituzione dei suoi diritti umani violati”.

Il pronunciamento conclude: “Per la sua azione politica prima della sua detenzione e per la sua difesa dei diritti umani è un prigioniero politico, per questo chiediamo al governo messicano la sua immediata liberazione”. http://www.jornada.unam.mx/2012/03/13/politica/016n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ROBERTO BARRIOS

DIFENSORE DELLA RIFORMA AGRARIA

Gloria Muñoz Ramírez

Nell’ottobre del 1991, nello sprint finale dei preparativi per lo smantellamento delle conquiste rivoluzionarie plasmate nell’articolo 27 della Costituzione, il settimanale Punto mi mandò ad intervistare Roberto Barrios Castro, capo del Dipartimento dell’Agricoltura all’epoca del presidente Adolfo López Mateos (1958-1964). Si trattava di conoscere la sua opinione sulla fine della ripartizione agraria, al quale si era dedicato durante quell’amministrazione, ed è così che il suo nome arrivò in Chiapas, e sull’inizio della privatizzazione della terra. Venti anni dopo, tra i ruderi apparve un libro intitolato El hombre es la tierra [L’uomo è la terra – n.d.t.], dedicato da Roberto Barrios a quell’autunno. E’ da allora che ho potuto vincolare questo ex funzionario pubblico al nome della comunità zapatista del nord del Chiapas in cui si trova uno dei cinque Caracoles, sedi del governo autonomo dell’EZLN. In quell’ottobre fui accolta da un signore ultraottantenne che sarebbe poi scomparso proprio nel 1994, a 86 anni. Due anni dopo la riforma al testo originale dell’articolo 27, relativo alla proprietà della terra e delle risorse naturali promossa dall’allora presidente Carlos Salinas de Gortari, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) sarebbe stato protagonista di un’insurrezione che aveva come uno dei suoi assi principali la difesa della terra. Questo, esattamente 18 anni fa; e la riforma ha compiuto venti anni lo scorso 6 gennaio, data in cui il decreto fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Le conquiste agrarie promosse dal Movimento Zapatista del 1910 erano plasmate nell’articolo 27 della Costituzione nata da un processo rivoluzionario. Insieme all’articolo terzo, relativo all’educazione, ed al 123, dedicato al lavoro, rappresentava la conquista più significativa della rivoluzione dell’inizio del secolo XX. Poco o nulla resta ormai di questi tre commi. Nel libro El hombre es la tierra, scritto nel 1966, Roberto Barrios, che fu anche segretario generale della Confederación Nacional Campesina (CNC) e del Sindacato degli Insegnanti, oltre che deputato e dirigente Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), rileva: “Il problema agrario in Messico ha profonde radici storiche che si manifestano in maniera graduale fino a prendere corpo in tensioni e conflitti sociali che spesso hanno portato a ribellioni ed importanti movimenti armati …nel divenire storico, il Messico ha imparato che il diritto alla terra e alla libertà sono concetti e realtà in mutua relazione. La libertà del messicano è in rapporto diretto con il possesso della terra, fatto dimostrato con l’analisi della struttura agraria durante la Colonizzazione, l’Indipendenza e la Rivoluzione del 1910”. Non sappiamo cosa possa aver pensato dell’insurrezione del 1994, ma nelle sue dichiarazioni del 1991 alla rivista Punto denunciava chiaramente che la ripartizione agraria in Messico non era conclusa e che c’erano ancora terre da distribuire, e difendeva in ogni momento la validità dell’articolo 27. “I nostri popoli indigeni assegnavano alla terra una funzione sociale, imponendo obblighi verso la società a chi traeva benefici dal suo sfruttamento. Questa struttura dei popoli autoctoni non era motivata da scopi economici – avevano poca popolazione e molto territorio – ma, piuttosto, era la base della loro organizzazione sociale. Così facendo, arrivarono al nocciolo della questione: impedire che la terra in sé avesse un fine commerciale, riconoscendo il lavoro dell’uomo come vero valore”.

Nei momenti precedenti l’inizio della privatizzazione della terra in Messico, Roberto Barrios riaffermava nell’intervista quanto scritto nel libro El hombre es la tierra: “La commercializzazione illimitata della terra e la libera appropriazione delle nostre risorse sono contrari al benessere collettivo ed allo sviluppo economico”. Originario di Atlacomulco, Stato di México, culla di priisti di dubbia reputazione, Roberto Barrios è stato insegnante delle elementari prima di iniziare la carriera  politica. La sua passione era la riforma agraria ed al suo passaggio per l’allora Dipartimento dell’Agricoltura  stabilì le fondamenta dell’attuale Segreteria della Riforma Agraria. Fondatore della Lega delle Comunità Agrarie, Barrios Castro figura come uno degli uomini illustri di Atlacomulco, nei cui registri spicca la sua opera come scrittore ed intellettuale: “Scrisse poesie e tenne conferenze sul tema della riforma agraria, materia nella quale era un’autorità indiscussa. Scrisse e pubblicò diversi libri, tra i quali: Seis años de política agraria del presidente Adolfo López Mateos (1958-1964); El hombre es la tierra (1966), che tratta della riforma agraria nel mondo; El Istmo de Tehuantepec en la encrucijada de la historia de México (1987); México en su lucha por la tierra. De la Independencia a la Revolución (1987) e Vientos y sombras (1991). Scrisse articoli per El Sol de México e per alcune riviste a carattere storico e letterario. Fondò l’Associazione Nazionale dei Maestri in Pensione Lauro Aguirre AC”.

In Chiapas alcune comunità portano il suo nome. C’è, ovviamente, la comunità zapatista della zona nord, sede del CaracolQue habla para todos” e della Giunta di Buon Governo “Nueva Semilla que va a Producir” (il nome non gliel’hanno dato gli zapatisti). C’è un’altra comunità Roberto Barrios a Marqués de Comillas, vicino alla frontiera, che nel passato è stata legata agli affari del narcotraffico. Ed un altro nel municipio di Mapastepec, sulla costa. http://www.jornada.unam.mx/2012/03/10/ojarasca179.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 25 febbraio 2012

Una delegazione spagnola della Confederazione Generale del Lavoro (CGT) visita i detenuti zapatisti e dell’Altra campagna

Hermann Bellinghausen

Dopo la visita in Chiapas ai detenuti zapatisti e dell’Altra Campagna, una delegazione spagnola della Confederazione Generale del Lavoro (CGT) ha dichiarato di aver constatato il loro eccellente stato d’animo, nelle circostanze in cui sopravvivono, e la loro ferma determinazione collettiva di continuare a resistere alla loro ingiusta detenzione che si inserisce nei progetti predatori del governo di Juan Sabines Guerrero.

La delegazione della CGT ha visitato le prigioni numero 5 e 14, a San Cristóbal de las Casas e Cintalapa, dove hanno trovato impressa l’impronta del professor Alberto Patishtán Gómez, prelevato all’alba del 20 ottobre 2011 in pieno sciopero della fame per essere trasferito nella prigione federale di Guasave, Sinaloa, ad oltre 2 mila chilometri dal Chiapas. Questo fatto, che rappresenta un grave attentato alla libertà di espressione di Patishtán ed una violazione della legislazione vigente, non ha sconfitto la sua resistenza.

Gli attivisti spagnoli rilevano che, mentre i compagni della prigione 5 li ricevevano per festeggiare il terzo compleanno di Leonardo, figlio di Rosa López Díaz ed Alfredo López Jiménez, nella prigione 14 è stato permesso loro di parlare con i detenuti solo in parlatorio.

Nella stessa prigione 5 hanno incontrato Francisco Santiz López, base di appoggio zapatista, e Lorenzo López Girón, simpatizzante zapatista ferito da pallottole ed ospedalizzato in carcere. Francisco e Lorenzo hanno espresso alla delegazione la speranza che il loro caso si risolva, ma sempre inserendolo nel contesto ampio della guerra contro le comunità zapatiste. Entrambi sono stati arrestati lo scorso 4 dicembre sulla base di prove false, dopo un’aggressione di priisti a Banavil (municipio di Tenejapa).

I detenuti hanno incentrato le loro recenti denunce sull’allarmante negligenza medica delle autorità. Oltre al costante attentato alla salute, sono in condizioni di sovraffollamento e subiscono continui abusi che restano impuniti, e che sono proprio i detenuti e gli attivisti sociali a combattere questo stato di cose.

La delegazione ha visitato anche la prigione 14 (El Amate) per solidarizzare con Enrique Gómez Hernández, Solidario de la Voz del Amate, e Miguel Demeza Jiménez, aderente all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, che insieme a Miguel Vázquez Deara, nella prigione 16 di Ocosingo, è protagonista de conflitto turistico ed agrario di Bachajón. Ma le coordinate di guerra non si interrompono lì, perché quella che Sabines ha scatenato in Chiapas vuole spegnere i focolai di resistenza in tutti gli strati della società, in particolare vuole minare l’autonomia zapatista. E riferiscono che, come hanno detto gli stessi zapatisti, i fatti della propaganda governativa sono solo immondizia. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/25/politica

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 23 febbraio 2012

Il professor Patishtán chiede al governatore Sabines di mantenere la parola data di liberarlo e ritiene il suo trasferimento nel carcere di Sinaloa “la punizione per aver chiesto giustizia”

Hermann Bellinghausen

Il professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez, prigionieri politico della Voz del Amate e aderente all’Altra Campagna dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), in carcere da 12 anni –e che qualche mese fa è stato trasferito dal Chiapas al Carcere No. 8, chiamato Norponiente, a Guasave, Sinaloa–, accusa il governatore del Chiapas, Juan Sabines Guerrero, di non mantenere il suo impegno di intervenire per la sua liberazione presso le autorità federali.

“A quasi due anni da quando il governatore del Chiapas dichiarò pubblicamente la mia innocenza e si impegnò a liberarmi, questo impegno è rimasto solo nelle parole e non nei fatti”, sostiene il prigioniero di coscienza e difensore dei diritti umani della popolazione carceraria.

“Questo è avvenuto durante la sua visita all’Ospedale Vida Mejor dove ero ricoverato a causa del mio glaucoma”. Il fatto fu ampiamente reclamizzato dallo stesso governo chiapaneco. Nonostante questa dichiarazione – aggiunge il docente indigeno – “e la mia malattia agli occhi, sono stato vittima di un trasferimento a Guasave dopo che i detenuti della Voz del Amate e Solidarios de la Voz del Amate abbiamo dichiarato lo sciopero della fame, digiuno e presidio allo scopo di chiedere giustizia per la nostra ingiusta detenzione”. Ovvero, è stato punito per aver protestato.

Patishtán, portavoce della protesta durata 39 giorni tra settembre e novembre 2011, ha subito un “trasferimento violento” il 20 ottobre. “Attualmente, dopo quattro mesi dal mio trasferimento, il medico del carcere e le autorità hanno ignorato la mia malattia e l’assistenza e la situazione ora è critica e rischio di perdere la vista da un momento all’altro”, e ritiene responsabili anche le autorità federali.

Inoltre, chiede loro “di prendere posizione” ed esorta il presidente della Repubblica, Felipe Calderón Hinojosa, a concedergli “la libertà immediata e incondizionata, congiuntamente con i detenuti solidali della Voz del Amate, ingiustamente detenuti”.

Il professore, accusato falsamente di aver compiuto da solo un massacro di poliziotti nel municipio di El Bosque, Chiapas, nel 2000, fatto per il quale è stata pienamente provata la sua innocenza, nonostante la condanna, dichiara: “Le morti di innocenti, le sparizioni e le ingiuste detenzioni in Messico non cessano; attualmente vediamo solo le innumerevoli violazioni dei diritti umani da parte delle autorità federali e statali, e la cosa più triste, deplorevole, crudele e inumana è quando vengono violati i diritti di un detenuto innocente ed ammalato”.

La sventura di Patishtán è che è servito da capro espiatorio per non indagare a fondo su quei gravi fatti avvenuti sulla strada El Bosque-Simojovel. Se sarà liberato, le autorità dovranno indagare nuovamente sui veri colpevoli di quel massacro; questo metterebbe in dubbio l’ex governatore Roberto Albores Guillén, allora mandatario del Chiapas ed attualmente alleato politico di Sabines Guerrero. Sarebbe evidente che questo è un crimine non risolto e dal quale non sono mai state chiaramente definite le responsabilità delle autorità statali di allora. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/23/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 22 febbraio 2012

Comunicato Stampa No. 02

La Suprema Corte di Giustizia della Nazione, il cinismo dell’impunità per il Massacro di Acteal

  •  La Suprema Corte di Giustizia della Nazione ordina la scarcerazione di altre sei persone riconosciute come autori materiali del Massacro di Acteal
  • La Suprema Corte di Giustizia della Nazione, di fatto, nega che il Massacro di Acteal sia mai avvenuto

Di fronte alle recenti scarcerazioni di sei autori materiali del Massacro di Acteal, questo Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) conferma la complicità della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) nel proteggere chi è stato protagonista nel nostro paese di crimini di lesa umanità. In questo modo, le sentenze emesse dalla SCJN affrontano requisiti di forma senza indagare il caso, perpetuando l’impunità per i responsabili materiali e intellettuali di questo crimine di Stato avvenuto il 22 dicembre 1997.

Le sei persone rimesse in libertà lo scorso 1° febbraio con il riconoscimento di innocenza, hanno ricorso in appello che la SCJN ha concesso senza discutere né tenere in considerazione che le persone erano state indicate come autori materiali del massacro, fatti per i quali erano state condannate a 36 anni di prigione, secondo l’atto di procedura penale No. 224/1997, per i reati di Omicidio Aggravato, Lesioni Aggravate, Porto d’Armi senza licenza e di uso esclusivo dell’Esercito e Forza Aerea; i rilasciati sono: Juan Sántiz Vázquez, Lorenzo Gómez Jiménez, Mariano Pérez Jiménez, Agustín Pérez Gómez, José Ruiz Tzucut e Bartolo Luna Pérez. Con questa azione, degli 87 processati come autori materiali, la SCJN ha ordinato, fino ad ora, la liberazione di 50 responsabili, solo 28 persone restano in prigione poiché altre sei erano state assolte dall’inizio dei processi dai giudici federali, due liberate per ragioni umanitarie ed una deceduta durante il processo.

Le vittime e sopravvissuti del Massacro di Acteal hanno ripetutamente denunciato che le persone beneficiate dalla decisione della SCJN – i cui appelli sono stati sostenuti dal Centro di Ricerche e Docenza Economiche (CIDE) – sono tornate gradualmente nei loro luoghi di origine causando tensione, insicurezza nella comunità e re-vittimizzazione delle persone colpite, quale visibile realtà che contrasta con le azioni reclamizzate dal governo dello stato del Chiapas circa la prevenzione del possibile ripetersi di tali atti.

D’altra parte, si conferma che i governanti in Messico hanno procurato ed approfondito l’impunità per i fatti del Massacro di Acteal, poiché hanno impedito di denunciare i responsabili intellettuali del massacro, tra i quali figurano, l’ex Presidente della Repubblica Ernesto Zedillo Ponce de León che per le sue funzioni di Comandante in Capo delle Forze Armate Messicane, [1] aveva la responsabilità di organizzare, equipaggiare, addestrare e gestire le Forze Armate come stabilito dalla relativa legislazione [2]. Inoltre questo significa che la SCJN nega ed occulta, nei fatti, che il Massacro di Acteal sia avvenuto come parte della diffusa strategia di contrainsurgencia che dal 1994, realizza azioni in Chiapas.

Ernesto Zedillo, in qualità di Comandante in Capo delle Forze Armate, guidava la catena di comando e sotto i suoi ordini agivano altre autorità coinvolte, pertanto ribadiamo che, trattandosi dell’esecuzione di una strategia di guerra, è innegabile che fosse a conoscenza e fosse responsabile delle diverse operazioni militari contro la popolazione civile.

In questi anni, le persone sopravvissute al Massacro di Acteal, l’Organizzazione Società Civile Las Abejas di Acteal e questo Centro dei Diritti Umani, hanno chiesto indagini e la punizione degli autori materiali ed intellettuali, tuttavia, a 14 anni e due mesi da questo crimine di lesa umanità, è evidente l’insabbiamento da parte dei diversi poteri dello Stato messicano che tergiversano ed impediscono di far luce sui fatti affinché si conosca la verità storica e siano applicati i principi etici di giustizia in questo paese.

Infine, il Frayba conferma il suo impegno di continuare ad accompagnare i popoli e le organizzazioni che nella memoria storica costruiscono alternative di giustizia e risarcimento, che ricostituiscono il tessuto sociale delle comunità che sono state violentate dalle politiche di Stato.

 

Seguiamo l’esempio dell’Organizzazione Società Civile Las Abejas di Acteal sulla strada che hanno percorso costantemente per consentire che la verità, la giustizia e la pace siano possibili e costruite da e per i popoli contro la complicità delle strutture dello Stato messicano in questa strategia di guerra contro la popolazione civile organizzata, oggi generalizzata.

——

1 Art. 89 sezione VI della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani; Art. 11, 13 e 17 Legge Organica dell’Esercito e Aereonautica dell’Esercito Messicano.

2 Manuale di contrainsurgencia Piano della Campaña Chiapas ’94 della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena).

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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Honduras: Solidarietà e unità di lotta nel Bajo Aguán

Positivo l’Incontro Internazionale per i Diritti Umani e contro il modello di sfruttamento

di Giorgio Trucchi – Rel-UITA
Martedì, 21 Febbraio 2012

Con l’obiettivo di denunciare e dare visibilità alla grave situazione di violenza e violazione dei diritti umani e impunità nel paese e nel Bajo Aguán, solidarizzare con le vittime della repressione e scambiare esperienze per trovare strategie comuni di lotta, dal 16 al 20 febbraio la città di Tocoa, Colón, ha ospitato l’Incontro Internazionale per  diritti umani in solidarietà con Honduras, convocato dall’Osservatorio permanente dei diritti umani ad Aguán e da un nutrito gruppo di organizzazioni nazionali ed internazionali.

Galleria fotografica martiri del Aguán
Galleria fotografica repressione militare
Galeria fotografica apertura dell’Incontro

Per quattro giorni gli oltre 1.200 delegati e delegate provenienti da tutto il territorio honduregno e da diversi paesi del mondo, hanno potuto conoscersi, analizzare ed effettuare scambi sulla crisi dei diritti umani che vive il paese, in modo particolare il Bajo Aguán.

Hanno inoltre condivisero le strazianti testimonianze delle vittime della persecuzione e della repressione, così come le diverse forme di lotte delle organizzazioni contadine che chiedono l’accesso alla terra e il diritto alla sicurezza alimentare rispetto al modello della monocoltura predatore e sfruttatore, finanziato dagli organismi finanziari internazionali.

“La solidarietà internazionale ha risposto in massa all’appello. Ora ci resta la sfida di continuare a tessere questa articolazione solidale ed avanzare fino ad arrivare ad un movimento internazionale contro il golpismo, la violazione dei diritti umani e l’impunità”, ha detto a Sirel, Bertha Cáceres, coordinatrice del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH).

Durante l’Incontro, in alcuni insediamenti contadini si sono svolti laboratori tematici di genere, sull’infanzia e popoli indigeni e discendenti afro.

“Il risultato ha superato ogni aspettativa. La presenza di un centinaio di delegati e delegate internazionali e più di trenta giornalisti stranieri ci incoraggia e ci dà molta speranza per il futuro”, ha dichiarato Caceres.

Ci sono stati anche momenti molto commoventi, come per esempio l’omaggio reso alle vittime e martiri del Bajo Aguán e le testimonianze dei sopravvissuti. In poco più di due anni sono 45 i contadini organizzati che hanno perso la vita nell’ambito del conflitto agrario in questa regione.

“E’ stato un momento straziante. Sui volti dei parenti delle vittime si percepiva la necessità di giustizia ed il senso di impotenza. La sfida ora è canalizzare e trasformare il dolore in lotta”, ha affermato la dirigente indigena.

Per Esly Banegas, dirigente del Coordinamento delle Organizzazioni Popolari dell’Aguán (COPA), l’Incontro ha permesso di smascherare l’ipocrisia del regime.

“Vogliono far credere a livello internazionale che, solo per avere firmato accordi con qualche gruppo di contadini, il conflitto nel Bajo Aguán sia risolto. Sappiamo che non è così e che il regime continua la sua politica di violenza e terrore.

Dobbiamo continuare a dare visibilità a quello che sta succedendo nella regione, moltiplicando la solidarietà, combattendo l’impunità, promuovendo l’unità”, ha detto la presidentessa della sezione di Tocoa del SITRAINA, che ha ringraziato la presenza della Rel-UITA all’Incontro e la copertura garantita al conflitto nel Bajo Aguán.

A conclusione delle attività, il comitato organizzatore ha reso nota la Dichiarazione Finale l dell’Incontro, nella quale si chiede, tra le altre cose, una soluzione definitiva del conflitto agrario nel Bajo Aguán “senza negoziati indegni di compravendita della terra”.

Si chiede inoltre la libertà immediata del prigioniero politico del Movimento Contadino dell’Aguán (MCA), José Isabel Morales, l’archiviazione delle denunce contro più di 500 contadini e la smilitarizzazione del territorio, la fine dell’impunità ed il rafforzamento dell’Osservatorio permanente internazionale dei diritti umani nell’Aguán.

Infine, i delegati e delegate nazionali ed internazionali hanno deciso di promuover varie azioni il cui risultato sarà monitorato da una Commissione ad hoc.

Fonte: Rel-UITA

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 9 febbraio 2012

Ejidatarios cedono alle pressione del governo e cominciano a vendere le terre

Hermann Bellinghausen. Inviato. Estación Catorce, SLP, 8 febbraio. Ha suscitato forte emozione in tutta la regione dell’Altopiano potosino la mobilitazione dei popoli wixaritari, conclusasi questo martedì sul monte El Quemado. Già da giorni prima, mentre i pellegrini “huicholes” iniziavano il loro viaggio verso Wirikuta, in questi villaggi ed ejidos, fino alle lontate città di Matehuala e Saltillo, la notizia correva di bocca in bocca, per radio, nei sermoni nelle parrocchie, e alle vigilia, nei notiziari. Tutti sapevano il motivo dell’arrivo degli indigeni. Per protestare e difendere le terre del deserto.

I conflitti sono iniziati quando a Santa Gertrudis l’intrusione del Progetto Universo, di un’importante impresa mineraria canadese, Revolution Resources, sta provocando sgomberi violenti, incursioni dell’Esercito federale per reprimere ed espellere i coloni. Uno dei leader è stato fermato dalla polizia statale ed ora si trova in carcere. sembra che proprio sotto il villaggio passi una grande vena d’oro che percorre il deserto all’estremità di ponente.

A differenza dei wixaritari che hanno convissuto con questo deserto per secoli e di questi ejidos stabiliti qui da oltre un secolo che si oppongono in blocco allo sfruttamento minerario e all’industria agroalimentare del pomodoro, molti ejidatarios hanno ceduto alle pressioni del governo e delle imprese e stanno affittando o vendendo le loro terre senza opporre resistenza. Molti di loro sono agricoli ed allevatori di capre, soli e scoraggiati  come le donne, spesso senza marito perché andato “al nord”.

Meglio che arrivino le imprese minerarie a dare lavoro che morire di sete, senza lavoro né soldi. I huicholes non ci danno lavoro, e se tutto questo è per il loro peyote, le terre sono nostre e basta – dice una commerciante in questa stazione ferroviaria dove una volta c’era la vita quando passava il treno del nord.

Pochi ejidos si sono rifiutati di vendere, come Las Margaritas e San Antonio el Coronado. Nelle città, l’opposizione alle miniere viene repressa. A Charcas, che è un insediamento  minerario ma presenta zone rurali, le case degli oppositori, a sud del deserto, sono state incendiate. Mentre all’estremo nord, a Cedral, presunti narcotrafficanti hanno minacciato chi si oppone all’industria dei pomodori, l’altro invasore e devastatore dell’altopiano.

La presenza di gente armata e gruppi dediti all’estorsione hanno fatto sì che a Vanegas ci sia ormai un accampamento militare, ed un paio di mesi fa c’è stato uno scontro a fuoco con inseguimenti che ha raggiunto l’acciottolato che sale a Real de Catorce, dove dopo un nuovo scontro sono morti due presunti criminali. Parlandone in giro, tutti li chiamano Zeta. Questo dicono di essere.

Qui i contadini vivono del taglio e lavorazione dell’agave lechuguilla, allevano capre, sono agricoltori. Ma quest’anno il mais non è cresciuto nemmeno di 20 centimetri. Si tratta di una regione colpita da quelle calamità oggi così diffuse in Messico: siccità cronica, povertà, disoccupazione, settore minerario su vasta scala, abbandono del governo, criminalità organizzata, crescente militarizzazione, delusione e paura tra la popolazione.

Sia gli ejidatarios che i wixaritari dicono che si devono trovare soluzioni che portino beneficio agli agricoltori ed ai commercianti del deserto, che fermino l’emigrazione e si possa avere qui un buon livello di vita, sfruttando questo territorio che è duro, ma è stato anche generoso fino a poco tempo fa. Gli interessi economici sono sul punto di devastarlo.

“Un centro cerimoniale molto esteso, di oltrei 140 mila ettari”, come lo vede un pellegrino wixárika. Una vera e propria miniera d’oro per gli investitori internazionali. Un luogo senza futuro per molti dei suoi abitanti. Una riserva naturale ineguagliabile, secondo gli scienziati e gli ambientalisti. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/09/sociedad/041n1soc

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 3 febbraio2012

Il Frayba identifica gli aggressori dei simpatizzanti dell’EZLN a Tenejapa

HERMANN BELLINGHAUSEN

Sulla base di numerose testimonianze, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha identificato gli aggressori delle famiglie simpatizzanti dell’EZLN dell’ejido Banavil (Tenejapa) Chiapas, avvenute due mesi fa e che hanno provocato un morto, un desaparecido, diversi feriti, quattro famiglie tzeltales sfollate ed un indigeno, base di appoggio zapatista, in prigione senza che fosse stato presente sul luogo dei fatti.

L’aggressione dei priisti è avvenuta il 4 dicembre, ed il Frayba ha emesso un’azione urgente il 19 gennaio, dopo essere venuto a conoscenza ed aver indagato sul caso. Il centro ricorda che in quell’occasione un gruppo armato di elementi del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) ha aggredito quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN in un’azione che come risultato ha avuto la morte di Pedro Méndez López ed altri sei feriti, tutti del PRI; la sparizione forzata di Alonso López Luna, simpatizzante zapatista; la detenzione di Lorenzo López Girón, ferito da arma da fuoco ed accusato di lesioni aggravate e “la detenzione arbitraria di Francisco Sántiz López, base di appoggio zapatista”, che al momento dei fatti, “secondo informazioni certe”, non si trovava a Banavil.

Secondo le testimonianze raccolte dal Frayba, gli aggressori identificati sono, tra gli altri, Alonso López Ramírez, che “ha sparato a Lorenzo colpendolo al petto”; Diego Méndez López, che “ha sparato a Lorenzo colpendolo alla gamba”; Alonso López Méndez, della comunità Mercedes, “che aveva una pistola ed era quello che ordinava di ammazzare Alonso che veniva trascinato nella scuola”; quella persona “sa dove tengono Alonso, e  dice che ‘l’hanno mandato al Nord col suo zaino”‘.

Diego Guzmán Méndez, Agustín Méndez Luna, Manuel Méndez López, Alonso e Agustín Guzmán López, tutti di Banavil, hanno picchiato e sequestrato il ferito chi si teme possa essere morto. Le testimonianze aggiungono che Pedro Méndez López ed Alonso López Méndez, entrambi dell’ejido Santa Rosa ed ex consiglieri comunali di Tenejapa, il primo con proprietà a Banavil, sono quelli segnalati come gli organizzatori delle aggressioni.

Per la scomparsa di López Luna, i suoi famigliari hanno presentato una denuncia alla Procura Specializzata in Giustizia Indigena (indagine 698/201), che l’ufficio competente  numero 5 ha classificato come omicidio. “Una grave imprecisione”, sottolinea il Frayba, “poiché ancora non si è trovato il suo recapito né si è proceduto alla sua ricerca”.

Da parte loro, le famiglie che sfollate sono ancora in “situazione critica”, perché vivono in condizioni di affollamento “disumane”.

Sulla detenzione di Sántiz López, base di appoggio dell’EZLN, il Frayba prevede che si procederà con giudizio ordinario, e non immediato come era la prima intenzione del giudice penale”. In questo modo sarà “per molto più tempo” privato della libertà, “senza una giustificazione per questo cambiamento di intenzione del giudice”.

L’organizzazione sottolinea le “continue e sistematiche aggressioni contro basi e simpatizzanti dell’EZLN” in Chiapas, e chiede allo Stato messicano di cercare López Luna, desaparecido già da due mesi. Inoltre, “un’indagine efficace, imparziale, rapida ed esaustiva dei fatti, così come la punizione dei responsabili della morte di Pedro Méndez López”.

Chiede misure precauzionali e cautelari per le quattro famiglie sfollate e garanzie per il loro ritorno sicuro.

Lorenzo López Girón, gravemente ferito ed oggi nel carcere statale n. 5, necessita di assistenza medica e “di uno studio della sua situazione giuridica” affinché venga rilasciato. Il Frayba chiede anche la liberazione immediata del zapatista Francisco Sántiz López. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/03/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Messico: Si rompe il dialogo a Copala. Arrestato il compagno David Venegas di VOCAL

per Kaos. México

Lunedì, 30 gennaio 2012

Il falso discorso di pace e progresso pronunciato dal Governo dello Stato si manifestato questo 29  gennaio 2012, il rozzo tentativo di distrarre l’attenzione dalla violenza alla quale sono stati sottoposti gli abitanti del Municipio Autonomo di San Juan Copala con l’arresto del nostro compagno David Venegas Reyes, e l’accerchiamento di polizia e governo che ha impedito il ritorno degli Sfollati di San Juan Copala, si inseriscono in una chiara offensiva contro l’Autonomia di San Juan Copala.

David Venegas Reyes è stato portato intorno alle 20:30 nell Quartier Generale della Segreteria di Pubblica Sicurezza a Santa María Coyotepec, dove è stato accusato di “danneggiamenti, aggressione e minacce a pubblico ufficiale”, su denuncia di Eusebio Nicolás Hernández e Cielito Sánchez García, per essere poi trasferito negli uffici  della Procura di Giustizia dello Stato nella cossiddetta Ciudad Judicial dove si trova attualmente.

31 gennaio 2012: viene rilasciato David Venegas Reyes

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Di seguito 3 comunicati e una cronaca sulla Carovana a San Juan Copala. Dopo la rottura del dialogo con la detenzione di David Venegas, il governo ha ritirato la polizia e la Carovana si trova in una posizione molto vulnerabile in località La Sábana, bastione della UBISORT. Dicono che proseguiranno domani. Dopo diverse ore David Venegas è stato mostrato ma in questo momento è ancora detenuto.

Due video del blocco della Carovana a 3 km da Yosoyuxi ( prima degli eventi di oggi)

http://extraodelirio.blogspot.com/2012/01/rumbo-copala-bloqueo-en-la-salida-de-la.html

http://extraodelirio.blogspot.com/2012/01/video-2-no-lo-pudimos-integrar-en-el.html

Oaxaca de Juárez, 29 de enero de 2012 20:00 horas

Exigimos la presentación de David Venegas Reyes

Aproximadamente a las 15:50 horas de este domingo 29 de enero de 2012, nuestro compañero David Venegas Reyes fue arbitrariamente detenido por ordenes directas de Jesús Martínez Álvarez, Secretario General de Gobierno de Oaxaca; esto sucedió durante el acompañamiento que realizaba junto a otros y otras compañeras, de la caravana de retorno al Municipio Autónomo de San Juan Copala, encabezada por las mujeres desplazadas desde hace más de un año.

Las primeras informaciones de esta tarde señalan que fue detenido aproximadamente a 20 minutos de San Juan Copala, para luego ser llevado fuera de la  zona donde permanece la Caravana de Desplazados, no sabiéndose el destino a donde fue llevado, por lo que hemos iniciado su búsqueda.

A las 17:50 minutos nos presentamos en la Procuraduría de Justicia del Estado, específicamente en la oficina denominada Sub Procuraduría de Averiguaciones Previas del Gobierno del estado de Oaxaca, lugar donde se nos negó la existencia de alguna información que aclare el paradero de nuestro compañero, a la vez se acudió en la Ciudad de Huajuapan de León, población cercana a la región triqui; posteriormente se acudió a la sede de la Procuraduría de Justicia del Estado ubicada en la colonia Experimental a las 19:30 horas y al Cuartel General de la Secretaria de Seguridad Pública de Oaxaca para saber del paradero de David Venegas Reyes lugares donde tampoco existió ninguna información.

Agregándose a estos hechos que se ha insistido ante diversas instancias de Derechos Humanos del Gobierno del estado para que realicen las gestiones correspondientes para su localización, petición que nos ha sido negada, por lo cual denunciamos la desaparición forzada de nuestro compañero David Venegas Reyes.

En este contexto alertamos acerca de la tensa situación que existe en la región en estos momentos, ya que aún es incierta la entrada de los y las compañeras de San Juan Copala a su población.

Este hecho se suma a la desbordada campaña por legitimar la impunidad en Oaxaca que el gobierno de Gabino Cue Monteagudo a montado desde los últimos días, para justificar las agresiones al Municipio Autónomo de San Juan Copala, esto demuestra que la paz no llegará a la región Triqui ni a Oaxaca, mientras sea el propio gobierno el que confronte y reprima a los pueblos es que solo luchan por su autodeterminación, impidiendo el regreso a sus hogares por la vía de la fuerza, difundiendo una paz inexistente cuando en los hechos es el propio gobierno del estado quien rompe las vías de diálogo y solución a la violencia cometida contra los habitantes del Municipio Autónomo de San Juan Copala.

Responsabilizamos de esta detención y de la desaparición de David Venegas Reyes directamente a Gabino Cue Monteagudo y a Jesús Martínez Álvarez

Exigimos la inmediata presentación con vida de David Venegas Reyes

Voces Oaxaqueñas Construyendo Autonomía y Libertad (VOCAL)

29 de enero de 2012  10:47 pm

Seguimiento del retorno a Copala y acerca de la detención de David Venegas Reyes.

Concentración en apoyo a la Autonomía de San Juan Copala, lunes 30 de enero 5 pm en Catedral

El falso discurso de paz y progreso pronunciado por el Gobierno del Estado, ha quedado en evidencia este 29 de enero de 2012, el burdo intento de distraer la atención de la violencia a la que han sido sometidos los habitantes del Municipio Autónomo de San Juan Copala por medio de la detención de nuestro compañero David Venegas Reyes, así como el cerco policiaco gubernamental que impidió el retorno de los y las Desplazadas de San Juan Copala se enmarcan en una clara ofensiva en contra de la Autonomía de San Juan Copala.

David Venegas Reyes fue presentado alrededor de las 20:30 horas en las instalaciones del Cuartel General de la Secretaría de Seguridad Pública en Santa María Coyotepec, en donde supimos está siendo acusado de “daños, agresiones y amenazas contra funcionarios públicos”, señalado por Eusebio Nicolás Hernández y Cielito Sánchez García, para después ser trasladado a las instalaciones de la Procuraduría de Justicia del Estado en la denominada Ciudad Judicial en donde permanece hasta el momento.

Ante estos hechos y la crítica situación a la que han sido orilladas las y los compañeros del Municipio Autónomo de San Juan Copala, por las acciones del gobierno del estado ejecutadas este día, convocamos a una concentración a realizarse este día lunes 30 de enero 2012 a las 5 pm frente a Catedral.

VOCAL

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Gobierno rompe el diálogo al detener a David Venegas

Esta mañana del domingo 29 de enero de 2012, partimos en marcha de Yosoyuxi para avanzar hacia San Juan Copala, deteniéndonos nuevamente un aparato policiaco de más de 200 granaderos como 3 kilómetros adelante.
Funcionarios del gobierno se presentaron con la propuesta de que una representación de las y los desplazados se incorporaran a la asamblea que tendrían los que actualmente ocupan San Juan Copala, ya que ahí se decidiría como se haría el retorno.
Los funcionarios propusieron una comisión de 10 compañeras y compañeros, mientras que las y los desplazados plantearon que fueran 20 además de garantizar que solo estuvieran gente originaria de la población y que se asegurara que no había gente armada de MULT_PUP, UBISORT-PRI en los alrededores.
En esta situación estábamos cuando aproximadamente a las 2 pm detuvieron a David Venegas “Alebrije” por la policía, sorprendiendo a la marcha que ya rebasaba por las laderas el dispositivo policiaco.
A Venegas lo golpearon a pesar de que mujeres del Municipio Autónomo intentaron defenderlo lanzando piedras a los policías. Los funcionarios chantajearon con la detención para que se aceptaran las condiciones planteadas por el Gobierno estatal.
Los funcionarios han cortado toda comunicación y han retirado a la policía. La marcha-caravana se encuentra a 4 kilómetros de San Juan Copala, cerca del poblado de La Sabana, refugio de paramilitares de UBISORT, donde quedará estacionada para reanudar mañana el camino a Sann Juan Copala.
Hacemos responsable al gobierno del estado de cualquier afectación a la integridad física y mental de los miembros de la marcha-caravana. Exigimos que a David Venegas, cuyo paradero se desconoce, se le libere de manera inmediata e incondicional.
Hacemos un llamado para que se organice una caravana de solidarios desde el Distrito Federal, que salga este miércoles por la noche del plantón de Municipio Autónomo que se encuentra a un costado de la catedral metropolitana, en el zócalo.

Comité por la  Defensa y Justicia para el Municipio Autónomo de San Juan Copala y organizaciones solidarias con las y los desplazados del Municipio Autónomo de San Juan Copala

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AL EJÉRCITO ZAPATISTA DE LIBERACIÓN NACIONAL

A LA OTRA CAMPAÑA NACIONAL E INTERNACIONAL

A LAS Y LOS TRABAJADORES DEL CAMPO Y LA CIUDAD

Avanza la Caravana a San Juan Copala pero el gobierno del estado de Oaxaca abandona definitivamente su responsabilidad de garantizar la vida y la seguridad de las mujeres desplazadas que regresan en caravana

Hoy domingo 29 de enero de 2012 la caravana de desplazadas y desplazados, integrantes del Municipio Autónomo de San Juan Copala y organizaciones solidarias amanecimos en la población de Yosoyuxi, de donde por la mañana partimos en marcha nuevamente hacia San Juan Copala.

De nueva cuenta, un operativo policiaco compuesto de más de 200 granaderos nos impidió el paso a tres kilómetros de Yosoyuxi en camino a San Juan Copala. En el punto se presentaron funcionarios de tercer y cuarto nivel del gobierno de Oaxaca, quienes no habían participado antes en ninguno de los encuentros, además del Secretario de Asuntos Indígenas, Adelfo Regino quienes informaron que no permitirían el paso de la caravana hasta que los desplazados del Municipio Autónomo aceptaran su “propuesta” de que en lugar de el retorno de los desplazados, estos formaran una comisión de 10 representantes de las y los desplazados, para que se presenté en la “asamblea comunitaria” que estaba programada para este domingo en San Juan Copala.

El Municipio Autónomo de San Juan Copala planteó que dada la arbitrariedad gubernamental, que les exige que los indígenas desplazados renuncien a participar en la asamblea de su propia comunidad, pero en un afán de avanzar en la solución del conflicto aceptarían el envío de una Comisión en la mencionada “asamblea comunitaria” previa al arribo que estuviera compuesta por 20 personas siempre y cuando se garantizaran las medidas de seguridad, exigiendo que sólo estuvieran pobladores de San Juan Copala y que se revisara y controlara la zona para evitar la presencia de paramilitares.

Luego de varias horas, ante la incapacidad gubernamental, y en aras de la pronta solución del conflicto el MASJC aceptó que fueran las 10 personas que exigía el gobierno.

Fue en ese momento, cuando la comisión de funcionarios de tercero y cuarto nivel, se quedaron sin argumento alguno para impedir el avance de la caravana que burlando el cerco policiaca seguía avanzando hasta La Sabana, cuando Eréndira Cruz Villegas ordenó por medio de Heriberto Cruz Ponce a la policía estatal la detención con lujo de violencia del compañero David Venegas (Alebrije) integrante de VOCAL, quien fue retirado del lugar golpeado, desconociendo hasta el momento su paradero.

Una vez sin pretextos y con la provocación montada para atemorizar a la caravana las autoridades se retiraron desarticulando su propio bloque e ilegal bloqueo policiaco dejando a 122 desplazadas y cerca de 30 niños en La Sabana lugar de gran peligro pues fue en este lugar donde los paramilitares asesinaron a Jyri Jaakola y a Bety Cariño.

Reiteramos que seguimos abiertos al diálogo en aras de encontrar una solución pacífica que permita el regreso digno de las familias desplazadas desde septiembre de 2010 por los paramilitares que finalmente tomaron a sangre y fuego San Juan Copala. Manifestamos nuestro rechazo a la violencia con la que fue apresado el compañero David Venegas y demandamos su liberación inmediata e incondicional.

Responsabilizamos al gobierno de Gabino Cue y al Gobierno Federal de nuestra seguridad y de la del compañero David.

Hacemos un llamado a reforzar de inmediato la Caravana del retorno de los desplazados e informamos que el próximo miércoles primero de febrero a las 8 PM saldrá un autobús del Plantón de Zócalo del DF para garantizar por la sociedad civil la seguridad de la Caravana del retorno, ante la incapacidad del gobierno de Gabino Cue y su complicidad con los asesinos paramilitares.

Mañana reanudaremos nuestro camino a San Juan Copala.

Consejo Comunitario del Municipio Autónomo de San Juan Copala

29 de enero de 2012

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Artículo de notilibertas con audios y fotos sobre la marcha y mitin en el DF el viernes pasado:

http://notilibertas.blogspot.com/2012/01/mitin-de-solidaridad-con-la-caravana-de.html

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Il Fatto Quotidiano – 27 gennaio 2012

Messico, la guerra del governo al narcotraffico favorisce i cartelli più potenti: Zetas e Sinaloa

Un rapporto dei ricercatori Stratfor pubblica il bilancio di vittime della politica repressiva contro la droga, adottata dal presidente Felipe Calderòn nel 2006, anche con l’impiego dell’esercito: nel 2010 ci sono stati 15.273 morti violente

di Joseph Zarlingo

“Alla fine del 2011, los Zetas hanno eclissato il cartello di Sinaloa e sono diventati il più grande cartello del narcotraffico in termini di presenza geografica”. L’analisi perentoria è contenuta nell’annuale rapporto sui cartelli della droga messicani prodotto da Stratfor, un think tank statunitense specializzato in temi relativi alla sicurezza e alla politica internazionale. Il rapporto è stato pubblicato online all’inizio di questa settimana e si apre con i dati agghiaccianti del bilancio di vittime della guerra alla droga, lanciata dal governo di Felipe Calderòn nel 2006, anche con l’impiego dell’esercito. Nel 2010, secondo i dati ufficiali del governo messicano, ci sono stati 15.273 morti violente connesse con la droga. Nel 2011 il bilancio potrebbe essere perfino più pesante: i dati ufficiali si fermano a settembre, e registrano nei primi nove mesi dell’anno appena concluso, 12.900 morti. Una media di 1400 al mese.

“Se la media mensile viene confermata anche nell’ultimo quarto dell’anno – scrivono gli uomini di Stratfor – nel 2011 si sarà raggiunta la cifra record di 17 mila morti”. Sulla base di questi dati, nonostante i resoconti dei media e le dichiarazioni dello stesso governo messicano, i ricercatori di Stratfro concludono che “nel 2011 non c’è stato alcun declino sostanziale della violenza in Messico. Al contrario, anziché tornare entro livelli tollerabili, la violenza ha persistito anche se in qualche modo c’è stato uno slittamento geografico, con una diminuzione in alcune aree e città e un aumento in altre”. E’ il fronte della guerra che si sposta, anzi, delle guerre: quella del governo messicano contro i cartelli e quella dei cartelli tra loro. Spesso, le due guerre si intrecciano, sia per i livelli di corruzione all’interno delle forze dell’ordine messicane (la polizia soprattutto, ma anche l’esercito), sia perché un cartello approfitta dei “colpi” che subisce un altro. Il risultato di questo movimento, secondo il rapporto di Stratfor, è una “polarizzazione”, che è diventata sempre più evidente nel corso del 2011.

Da una parte ci sono i cartelli minori (o quel che ne resta) che sarebbero stati “assorbiti” nella Federazione di Sinaloa, il cartello dominante nell’ovest del paese. Dall’altro lato, los Zetas, che controllano l’est del Messico. Los Zetas, stando al rapporto, sono oggi il cartello più capillare quanto a presenza geografica: su 32 stati della federazione messicana, il cartello di Sinaloa è presente in 16, mentre los Zetas in 17 (alcuni stati hanno entrambi). “Per quanto molto sia stato detto a proposito della fluidità delle alleanze dei cartelli messicani – precisano i ricercatori di Stratfor – queste due forze sono emerse come dominanti”. Il processo di polarizzazione, che vede gli Zetas vincenti, è dovuto anche alle tattiche usate dai due “blocchi”. I cartelli di Sinaloa preferirebbero usare la corruzione, con un ricorso alla violenza relativamente più raro, mentre gli Zetas (nati peraltro da un gruppo di ex militari) sono più inclini a usare il “plomo”, il piombo, al posto della “plata”, del denaro.

Il 2012 è anno elettorale in Messico e per Stratfor, il fallimento della guerra alla droga è ormai un peso politico troppo grande per le spalle del presidente Calderòn, che si è anche rivolto più volte agli Stati Uniti per assistenza tecnica e addestramento delle forze antidroga, senza che ciò producesse i risultati sperati. La cosa più preoccupante, oltre all’elevato numero di vittime – ormai quasi 50 mila in sei anni – è che la “guerra” si sta estendendo anche ad altri paesi centroamericani, che stanno scegliendo la stessa strada – l’impiego dell’esercito contro i cartelli – che in Messico ha prodotto l’escalation degli ultimi anni. Stratfor nota, nel paragrafo sulle previsioni per il 2012, che attesa la maggiore difficoltà di sbarco nel mercato statunitense, i cartelli messicani stanno espandendo la loro presenza sia in altri paesi latinoamericani che su altri mercati mondiali. In questo modo si accorcia la “filiera” degli intermediari e aumentano i profitti, sia dal punto di vista dell’approvvigionamento di materie prima, sia per i mercati di sbocco.

Persone legate ai cartelli sono state arrestate in vari paesi centroamericani, dal Costa Rica all’Honduras, mentre per i mercati “oltremare” quelli più promettenti, dal punto di vista dei narcos, sono l’Australia e l’Europa. Il rapporto Stratfor non lo dice, ma ormai molte indagini transnazionali hanno dimostrato che, per il mercato europeo la joint venture vincente è quella tra gli Zetas, la ‘ndrangheta calabrese, con la logistica affidata alle reti del narcotraffico balcanico (Montenegro, Kossovo, Serbia), da dove arriva anche una parte delle armi usate per le stragi da Ciudad Juarez a Veracruz, fino ad Acapulco.

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
19 gennaio 2012
AU No. 01

 Azione Urgente

Aggressioni contro famiglie simpatizzanti dell’EZLN da parte di un gruppo di priisti dell’ejido Banavil e detenzione arbitraria di Base di Appoggio dell’EZLN

 Morte e sparizione forzata di indigeni tseltales

Sgombero forzato di quattro famiglie di Banavil, Tenejapa, Chiapas.

Secondo informazioni documentate a disposizione del Centro dei Diritti Umani, il 4 dicembre 2011, a Banavil, Tenejapa, un gruppo di elementi del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) hanno aggredito con le armi quattro famiglie simpatizzanti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Le aggressioni hanno avuto come risultato: la morte di Pedro Méndez López; la sparizione forzata di Alonso López Luna (d’ora in avanti Alonso); lo sgombero forzato di quattro famiglie accusate di essere simpatizzanti zapatisti; la detenzione di Lorenzo López Girón (d’ora in avanti Lorenzo) ferito da arma da fuoco ed accusato di lesioni aggravate; la detenzione arbitraria di Francisco Santiz López (d’ora in avanti Francisco) Base di Appoggio dell’EZLN (BAEZLN) che al momento dei fatti si trovava in altro luogo; e sei persone ferite.

Secondo le testimonianze, il 4 dicembre, alle ore 7:00 circa, in casa di Alonso si sono presentate Antonia Girón Gómez, Lucia López Ramírez ed Antonia López Pérez armate di pietre e bastoni, le quali hanno picchiato Alonso e la sua famiglia; poi, circa 50 uomini membri del PRI, hanno circondato la casa e portato via Alonso, tutti erano muniti di bastoni ed armi. Nel tentativo di difendere suo padre, Lorenzo è stato colpito da due proiettili al petto e all’inguine. Trasportato all’ospedale di San Cristobal de Las Casas, è stato fermato da poliziotti statali con l’accusa di lesioni aggravate.

Testimoni affermano che durante l’aggressione armata hanno portato via Alonso sanguinante. Ad oggi non si sa dove si trovi.

Secondo informazione dei testimoni, il 23 dicembre, nell’ejido Mercedes che confina con Banavil, è stato ritrovato un braccio che la famiglia assicura appartenere ad Alonso, poiché hanno riconosciuto una cicatrice su un dito. I giorni 26 e 28 dicembre, sul luogo del ritrovamento sono arrivati poliziotti statali, il pubblico ministero ed il giudice municipale per cercare il corpo, senza però trovarlo. La famiglia di Alonso aggiunge che non è stata fatta una ricerca adeguata.

D’altra parte, secondo la documentazione raccolta da questo Centro dei Diritti Umani, Francisco BAEZLN accusato di aver dato inizio alle aggressioni, è stato fermato arbitrariamente nel capoluogo municipale di Tenejapa, mentre lavorava nel suo negozio di frutta e verdura. Testimoni affermano che il giorno delle aggressioni non si trovava sul luogo dei fatti, per il quale è stato avviato un processo sommario presso il Tribunale Penale, con causa penale No. 177/2011, sul quale il giudice emetterà la sentenza il prossimo 21 gennaio 2012

Oltre a questo, attualmente, le false accuse e la violenza generata dal gruppo di cacicchi del PRI degli ejidos Banavil, Mercedes e Santa Rosa, del municipio di Tenejapa, hanno causato lo sfollamento forzato di quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN e la morte di Pedro Méndez López, membro del PRI.

Per quanto sopra esposto, e secondo la documentazione raccolta, questo Centro dei Diritti Umani guarda con preoccupazione le continue e sistematiche aggressioni contro le Basi di Appoggio e simpatizzanti dell’EZLN, che sono violazioni al diritto alla vita, all’integrità ed alla sicurezza personale, alla libertà, alla libertà di transito, di residenza, al diritto di non essere sfollato, tra gli altri, sulla base degli strumenti internazionali firmati e ratificati dal governo messicano.

Pertanto chiede al governo dello stato del Chiapas:

  • La ricerca e la presentazione in vita di Alonso López Luna,
  • Il chiarimento e la punizione per la morte di Pedro Méndez López,
  • La liberazione di Francisco Santiz López BAEZLN, poiché secondo accertate testimonianze non si trovava sul luogo al momento dei fatti,
  • Adeguata assistenza medica a Lorenzo López Girón,
  • Misure precauzionali e cautelari per le quattro famiglie sfollate forzatamente e di operare per il loro ritorno sicuro nella comunità di Banavil,
  • Un’indagine imparziale, rapida ed esaustiva dei fatti accaduti il 4 dicembre 2011,
  • La punizione ed il disarmo del gruppo di cacicchi del PRI che hanno aggredito il gruppo simpatizzante dell’EZLN.

Contesto e precedenti:

Dal 2009 è in atto una persecuzione da parte del gruppo di cacicchi del PRI contro le famiglie simpatizzanti dell’EZLN, per il fatto di opporsi ad azioni arbitrarie commesse dai cacicchi stessi, come: esproprio di terre, disboscamento illegale, riscossione di imposte e cooperazioni arbitrarie, saccheggi, aggressioni fisiche, negazione del diritto all’educazione, tra gli altri, fatti che sono stati denunciati dalle vittime alle competenti istanze del governo che però le ignorano. Fino ad ora non c’è stata alcuna indagine efficace, né la punizione dei responsabili e le autorità non intervengono per risolvere la situazione, garantire la sicurezza legale e sociale nell’ejido Banavil.

***

Inviate la vostra protesta (in fondo trovate un testo in lingua spagnola) ai seguenti indirizzi:

Felipe de Jesús Calderón Hinojosa
Presidente de la República
Residencia Oficial de los Pinos, Casa Miguel Alemán
Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF
Tel: (52.55) 2789.1100 Fax: (52.55) 5277.2376
Correo: felipe.calderon@presidencia.gob.mx
Cuenta de Twitter: @FelipeCalderon y @GobFed
 
Alejandro Poiré Romero
Secretario de Gobernación
Bucareli 99, 1er. Piso, Col. Juárez, Del. Cuauhtémoc,
C.P. 06600 México D.F. Fax: (52.55) 50933414;
Correo: secretario@segob.gob.mx, contacto@segob.gob.mx
Cuenta de Twitter: @SEGOB_mx
 
Juan José Sabines Guerrero
Gobernador Constitucional del Estado de Chiapas
Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 1er Piso
Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009
Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México
Fax: +52 961 61 88088 ? + 52 961 6188056; Extensión 21120. 21122;
Correo: secparticular@chiapas.gob.mx
Cuenta de Twitter: @Juansabinesg y @gubernaturachis
 
Noé Castañón León
Secretario General de Gobierno del Estado de Chiapas
Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 2do Piso
Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009
Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México
Conmutador: + 52 (961) 61 2-90-47, 61 8-74-60. Extensión: 20003;
Correo: secretario@secgobierno.chiapas.gob.mx
Cuenta de Twitter: @gobiernochiapas
 
Raciel López Salazar
Procuraduría General de Justicia de Chiapas
Libramiento Norte Y Rosa Del Oriente, No. 2010, Col. El Bosque
C.P. 29049 Tuxtla Gutiérrez, Chiapas
Conmutador: 01 (961) 6-17-23-00.
Teléfono: + 52 (961) 61 6-53-74, 61 6-53-76, 61 6-57-24, 61 6-34-50.
Correo: raciel.lopez@pgje.chiapas.gob.mx
Cuenta de Twitter: @pgjechiapas
 
Juan Gabriel Coutiño Gómez
Magistrado Presidente del Tribunal Superior de Justicia y
del Consejo de la Judicatura del Poder Judicial del Estado de Chiapas
Palacio de Justicia
Libramiento Norte Oriente No. 2100
Fracc. El Bosque, Tuxtla Gutiérrez, Chiapas
Teléfono: + 52 (961) 61 787 00 ext. 86 01
Teléfono directo: + 52 (961) 616 53 54
 
Lic Francisco Javier Plaza Ruíz
Juez del Ramo Penal
Carretera San Cristóbal ? Ocasingo Km. 20
CERSS No. 5, C.P 29200
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Tel: 967 6743021
Fax: 967 6743022
 
Enviar copia a:
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.
Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos,
29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548
Correo: accionurgente@frayba.org.mx
Cuenta de Twitter: @CdhFrayba
Area de Sistematizacion e Incidencia / Comunicacion
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolom? de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristobal de Las Casas, Chiapas, M?xico
C?digo Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548
Fax +52 (967) 6783551
medios@frayba.org.mx
http://www.frayba.org.mx
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Info-cdhbcasas mailing list
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http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas
 

Indirizzi ai quali inviare l’appello firmato e testo in spagnolo:

felipe.calderon@presidencia.gob.mx
secretario@segob.gob.mx
contacto@segob.gob.mx
secparticular@chiapas.gob.mx
secretario@secgobierno.chiapas.gob.mx
raciel.lopez@pgje.chiapas.gob.mx
Copia: accionurgente@frayba.org.mx  

A: Felipe de Jesús Calderón Hinojosa, Presidente de la RepúblicaAlejandro Poiré Romero, Secretario de GobernaciónJuan José Sabines Guerrero, Gobernador Constitucional del Estado de ChiapasNoé Castañón León, Secretario General de Gobierno del Estado de ChiapasRaciel López Salazar, Procuraduría General de Justicia de Chiapas

Italia, 24 de enero de 2012

– Agresiones a familias simpatizantes del EZLN por grupo de priístas del ejido Banavil y detención arbitraria a Base de Apoyo del EZLN

– Muerte y desaparición forzada de indígenas tseltales

– Desplazamiento forzado de cuatro familias de Banavil, Tenejapa, Chiapas

Con referencia a los hechos ocurridos el 4 de diciembre de 2011, en Banavil, Tenejapa, cuando un grupo de integrantes del Partido Revolucionario Institucional (PRI) agredieron con armas de fuego a cuatro familias simpatizantes del Ejercito Zapatista de Liberación Nacional (EZLN), que tuvieron como resultado: la muerte del Sr. Pedro Méndez López; la desaparición forzada del Sr. Alonso López Luna; el desplazamiento forzado de cuatro familias acusadas de ser simpatizantes zapatistas; la detención del Sr. Lorenzo López Girón, quien fue herido por arma de fuego y acusado de lesiones calificadas; la detención arbitraria del Sr. Francisco Santiz López Base de Apoyo del EZLN (BAEZLN), que se encontraba en un lugar distinto a los hechos; y lesiones a seis personas más, exigimos al gobierno del estado de Chiapas:

  • La búsqueda y aparición con vida del Sr. Alonso López Luna,
  • El esclarecimiento y sanción por la muerte de Sr. Pedro Méndez López,
  • La libertad del Sr. Francisco Santiz López BAEZLN, debido a que se cuenta con información
  • confiable que no se encontraba en el lugar de los hechos,
  • Atención médica oportuna y adecuada al Sr. Lorenzo López Girón,
  • Medidas precautorias y cautelares a las cuatro familias desplazadas forzadamente e incidir a
  • su retorno seguro a la comunidad de Banavil,
  • Investigación, imparcial, pronta, sería, exhaustiva y oportuna de los hechos ocurridos el 4 de
  • diciembre de 2011,
  • Castigo y desarme del grupo caciquil del PRI que agredieron al grupo simpatizante del EZLN.
 Atentamente………….. 

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La Jornada – Lunedì 23 gennaio 2012

Il governo “amministra i conflitti” tra gli indigeni per controllare i loro territori

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 22 gennaio. Comunità e collettivi aderenti all’Altra Campagna hanno chiesto di fermare espropri, repressione e vessazione contro le comunità zapatiste. “Il governo vuole rompere i processi autonomistici dei popoli indigeni”. I governi federale e statale “stanno portando avanti nel paese e nell’entità una guerra che genera saccheggio ambientale, privatizzazione delle risorse naturali, supersfruttamento del lavoro, esproprio del territorio e sterminio dei popoli, repressione, persecuzione, incarceramento ed omicidi per contenere le lotte sociali di resistenza alle sue politiche”.

A San Patricio, comunità del municipio autonomo La Dignidad (ufficiale Sabanilla), “malgrado il governo di Juan Sabines avesse ricollocato nel rancho La Josefina (Palanque) il gruppo paramilitare dell’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), questo continua le sue vessazioni appoggiato dai poliziotti, su veicoli che fanno la ronda e controllano le basi zapatiste”.

Nel pronunciamento si afferma che “il malgoverno crea ed amministra i conflitti tra le comunità per controllare i loro territori”. È il caso degli ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón (Chilón) “che si oppongono alla privatizzazione della cabina di riscossione installata da loro stessi sulle terre che appartengono loro, all’ingresso delle cascate di Agua Azul (Tumbalá)”.

Nel capoluogo municipale di Tila, “lo Stato vuole sottrarre 5 mila 405 ettari al popolo chol” per trasformare il suo luogo di culto – il santuario del signore di Tila – “in un grande centro turistico”. La Procura Agraria ha tentato di “sostituire” l’assemblea generale degli ejidatarios per determinare l’uso delle loro terre comunali, sulle quali vige una risoluzione presidenziale ed un piano definitivo.

Nella colonia 24 de Mayo, sulle “terre recuperate” nel 1999 nel podere in cui c’era l’Istituto Nazionale Indigenista a San Cristóbal de las Casas, il tavolo direttivo di Chiapas Solidario, guidato da Juana López López, “ha promosso aggressioni, minacce di morte, esproprio di abitazioni e tagli del servizio di erogazione dell’elettricità” contro chi si oppone “ai molteplici abusi dei dirigenti ed alle alte tariffe imposte da loro, anche se non esistono contatori e la Commissione Federale dell’Elettricità non emette ricevute di pagamento”.

In questo municipio “esiste una politica di esproprio delle terre recuperate” per favorire imprese turistiche ed immobiliari. Ad Utrilla e Los Arcos si promuove la vendita di proprietà ad ogni costo”. Nel pronunciamento si denuncia anche la persecuzione contro gli artigiani dell’Altra Campagna nella piazza di Santo Domingo, “perché si oppongono al ricatto ed alla corruzione dei sindacati vicini alla presidenza municipale che promuovono l’adesione forzata alla CROM e favoriscono la repressione agli artigiani indigeni”.

Si denuncia che “a causa della criminalizzazione delle lotte e della difesa dei diritti umani”, persiste la persecuzione contro Nataniel Hernández Núñez, del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, così come la persecuzione contro i suoi familiari e contro elementi del Centro nelle comunità del Consiglio Autonomo Regionale della Costa.

L’Altra Campagna chiede la liberazione dei suoi “prigionieri politici” Alberto Patishtán Gómez (trasferito a Guasave, Sinaloa) e Rosario Díaz Méndez, della Voz del Amate, così come di Pedro López Jiménez, Alfredo López Jiménez, Rosa López Díaz, Alejandro Díaz Santis, Juan Díaz López, Juan Collazo Jiménez, Enrique Gómez Hernández, Amílcar Méndez Núñez ed Elías Sánchez Gómez. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/23/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 22 gennaio 2012

 I progetti Procede e Fanar, strategia del governo per rubare la terra agli indigeni

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 21 gennaio. Una decina di comunità tzeltales, tzotziles e choles, aderenti all’Altra Campagna, questo venerdì hanno dichiarato che in Chiapas “le strategie di furto del territorio rappresentate da Procede/Fanar contro la proprietà comunale ed ejidale sono state l’obiettivo fondamentale di Juan Sabines e di Felipe Calderón in questo sessennio”.

Gli indigeni sostengono: “Con i megaprogetti per il presunto sviluppo sostenibile, le città rurali, il turismo ambientale, il Prodesis, la Strategia di Sviluppo degli Stati del Sud (EDES), approvati dalla Camera dei Deputati per implementare il corridoio biologico, turistico ed ecoarcheologico, si vogliono spopolare e ripopolare i territori indigeni, fino a realizzare una nuova Cancun in Chiapas, consolidando il Corridoio Biologico Mesoamericano per mettere in mani transnazionali tutta la ricchezza naturale delle nostre terre e territori”.

Secondo gli abitanti di Zinacantán, Chilón, Venustiano Carranza, Ocosingo, Tenejapa, Teopisca e Villa las Rosas, questo spiega perché i partiti politici (PRI, PRD e PVEM) ed i tre livelli di governo “hanno ingrossato le fila dei tradizionali gruppi di scontro e paramilitari come Paz y Justicia, Uciaf e Orcao, che oggi tengono sotto assedio e minaccia le basi di appoggio zapatiste nei cinque caracoles autonomi”. Come dal 2010 succede in comunità dei cinque caracoles: San Marcos Avilés (Oventic), Nueva Purísima e Nuevo Paraíso (La Garrucha), San Patricio (Roberto Barrios), Patria Nueva e Mártires (Morelia), e Monte Redondo (La Realidad).

Secondo la ricercatrice della UNAM, Dolores Camacho, il Procede è stato “un fattore di conflitti in ejidos e tra organizzazioni”. Nel 1995 iniziò la suddivisione dei terreni in ejidos e comunità, dopo la modifica dell’articolo 27 della Costituzione. “Tutte le organizzazioni indipendenti, e perfino la Confederazione Nazionale Contadina (CNC), non ci stanno ed impediscono la partenza del processo. Questo ha fatto sì che le nuove disposizioni non fossero applicate con la rapidità pensata”.

Sono quindi nati conflitti per i tentativi di imposizione da parte di “piccoli gruppi alleati del governo”. Le autorità agrarie ed i governi di tutti i livelli lanciarono campagne di convincimento sui commissari ejidali per ottenere il sostegno delle assemblee a favore del progetto, aggiunge Camacho nell’intervista. “Sotto pressione del PRI, la CNC promosse il programma, benché la gente non accettasse facilmente le decisioni prese dall’alto”. C’era un termine stabilito per stabilire i confini. “Da qui iniziano pressioni e promesse”.

Nel 2000, la Procura Agraria, il Tribunale Agrario e la delegazione della Riforma Agraria hanno fatto forti pressioni sugli indigeni per far accettare il Procede. “Organizzazioni prima vicine allo zapatismo come Orcao e Cioac, cercano di ‘convincere’ i loro affiliati a ‘legalizzare’ le loro terre, grazie a negoziazioni dei loro leader col nuovo governo di Pablo Salazar Mendiguchía”.

Questi “accordi” hanno modificato l’impegno delle organizzazioni filo-zapatiste “ed hanno favorito la lotta negli ejidos e nei territori recuperati congiuntamente con gli zapatisti insorti”. Le basi di appoggio dell’EZLN hanno rispettato gli accordi precedenti e la loro Legge Agraria Rivoluzionaria; “le organizzazioni ‘indipendenti’ hanno preferito gestire la proprietà legale”. Questo ha portato problemi interni che fino ad oggi hanno alimentato i conflitti, sostiene la ricercatrice.

“La poca chiarezza con la quale si è voluto risolvere il conflitto per la terra ha lasciato molti vuoti di cui approfittare per far scontrare gli zapatisti con le organizzazioni prima affini”. La Legge Agraria Rivoluzionaria dispone che il recupero delle terre avvenga per riappropriarsi di un diritto della popolazione delle zone indigene violato storicamente. Secondo l’analista, per i non zapatisti la presa delle terre significa esercitare un diritto “proveniente dalle leggi che promuovono l’uso ed il possesso della terra in forma individuale”. Nei territori zapatisti, “questo deve essere collettivo e preferibilmente destinato alla produzione di prodotti di base per il sostentamento delle comunità”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/22/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Organizzazione della Società Civile Las Abejas

Terra Sacra dei Martiri di Acteal

Chiapas, Messico

22 gennaio 2012

A tutte le organizzazioni Sociali e Politiche

A tutti i difensori dei Diritti Umani

Alla stampa Nazionale ed Internazionale

Alla Società Civile

All’Altra Campagna e

All’Opinione Pubblica

Oggi 22 gennaio 2012, un giorno molto importante per commemorare i nostri caduti il giorno 22 dicembre 1997, vogliamo esprimere la nostra parola dalla nostra geografia  divenuta sacra per il sangue dei nostri martiri. Vogliamo dire la nostra parola per conservare la memoria di quanto accaduto e per chiarire un’altra volta la nostra posizione riguardo alla causa intentata qualche mese fa contro Ernesto Zedillo presso una Corte del Connecticut per il Massacro di Acteal.
Ma, affinché l’attenzione su questa causa contro Zedillo non distragga l’attenzione dal punto principale ed affinché non si incentri tutta l’attenzione nella persona di Ernesto Zedillo, vogliamo ricordare la cosa più importante. In primo luogo dobbiamo ricordare i fatti centrali del Massacro di Acteal:

1) Sugli autori intellettuali: Per noi non c’è dubbio che questo crimine fu pianificato dai tre livelli di governo, municipale, statale e federale, e dal potere civile e militare per distruggere le organizzazioni che difendono i propri diritti. Alle organizzazioni indipendenti il governo offrì morte e sfollati.

2) Sugli autori materiali: Noi siamo testimoni che il Massacro di Acteal fu perpetrato per mano dei paramilitari priisti e cardenisti che parteciparono come autori materiali.

3) Sui partiti politici ed il Massacro di Acteal: Per noi non c’è molta differenza tra i diversi partiti: Il PRI programmò il massacro e gli omicidi di molti compagni indigeni in molti luoghi. Il PAN fece scarcerare i paramilitari. Ed il governo del PRD del Chiapas li premiò  con case, terre ed una buona quantità da denaro.

Per quanto riguarda la causa presso una Corte degli Stati Uniti, ci sono molte cose da chiarire:

1) Alcuni hanno criticato Las Abejas perché dicono che siamo contrari alla causa contro Ernesto Zedillo. Noi non siamo contrari a che si giudichi Zedillo, al contrario, vogliamo che sia giudicato per il Massacro di Acteal con tutto il peso della legge. Ma siamo contrari alla confusione ed alla manipolazione. Per esempio, non vogliamo che sia incentrato su una sola persona quello che è un crimine di stato ed una politica di contrainsurgencia che non si è interrotta. Riteniamo inoltre una trappola il fatto che Chuayffet ora voglia presentarsi come quello che avvisò Zedillo di quello che sarebbe successo, mentre sappiamo che lo stesso Chuayffet non volle mai ascoltare gli avvertimenti che gli fecero il FrayBa e la Diocesi di San Cristóbal.

2) Sulla richiesta di immunità presentata da Zedillo alla Corte degli Stati Uniti ed appoggiata dal governo di Felipe Calderón, riteniamo che nessuno può essere al di sopra della legge, tanto meno Zedillo perché egli è macchiato di sangue; dovunque vada sarà sempre macchiato del sangue dei 45 massacrati di Acteal più i quattro non ancora nati ed ora non vuole ammettere le sua responsabilità, quelli del PRI sono macchiati del sangue di molti indigeni di diverse località. Prima il PRI ed il PAN avevano diversi colori ma ora sono dipinti in un solo colore rosso che è il sangue di più di cinquantamila messicani e messicane morti.
3) Sul carattere della causa in Connecticut:

a) Ribadiamo che è assurdo e sospetto che i querelanti siano anonimi. I nomi delle vittime e dei loro familiari sono pubblici: si trovano negli atti della procura, nelle relazioni del Frayba e ad Acteal chiunque venga può trovare i nomi di tutte le vittime. Noi non abbiamo paura del governo perché non gli dobbiamo niente. Non abbiamo paura e non ci nascondiamo.

b) Non possiamo appoggiare una denuncia indipendentemente da chi la presenta solo perché siamo contro Zedillo. Nella nostra tradizione chi commette un torto contro la comunità deve risponderne davanti alla comunità. Per noi, Giustizia non è solo che si punisca qualcuno, ma che si dia soddisfazione alla comunità che ha offeso.

c) La causa contro Zedillo negli Stati Uniti è di carattere civile. Noi pensiamo che non può esserci risarcimento senza che si sia fatta giustizia di carattere penale, lui ed i suoi complici sono colpevoli per omissione e per commissione e per questo devono essere giudicati penalmente.

4) Infine, chiediamo una spiegazione al governo di Juan Sabines per l’uso che fece della Procura Speciale per Acteal. Questa Procura era un organo dello stato, è stata pagata con denaro pubblico, cioè col denaro delle nostre imposte. Tuttavia, non presentò mai una relazione alla società civile sui risultati delle sue indagini, e quella Procura sparì tanto silenziosamente come era nata. E non solo, ai compagni e compagne del FrayBa che sono i nostri legittimi rappresentanti e coadiuvanti nel processo, fu ripetutamente negato l’accesso agli atti al punto che dovettero presentare un esposto e nemmeno così fu permesso loro di prendere visione di tutto quello di cui avevano bisogno. Improvvisamente gli atti della Procura per Acteal appaiono nella pagina Web di uno studio privato di avvocati degli Stati Uniti che spera di fare un ricco affare col sangue dei nostri martiri (che hanno prezzato 50 milioni di dollari). Come spiega Sabines il fatto che lì sono arrivati degli atti che non erano pubblici? Come giustifica il fatto di aver reso noto ad un ufficio privato e straniero quello che non vollero mai far conoscere né alla società chiapaneca né ai rappresentanti delle vittime?

Chiediamo a Sabines una spiegazione ed inoltre che presenti una relazione pubblica sulle attività e sui risultati della Procura speciale.

Viva Las Abejas, viva Acteal, viva la resistenza.

Distintamente.
La voz de las Abejas.
C. Porfirio Arias Hernández. C. Victorio Sántiz Gómez.
C. Benjamín Pérez Pérez. C. Javier Ruíz Gutiérrez.
C. Manuel Gómez Pérez.

 http://acteal.blogspot.com/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 21 gennaio 2012

Sulla sierra del Chiapas cresce il rifiuto al programma di regolarizzazione del territorio

Hermann Bellinghausen. Inviato. El Porvenir, Chis., 20 gennaio. Sulla sierra del Chiapas cresce il rifiuto delle comunità al Programma di Certificazione dei Diritti Ejidali (Procede). Di fatto, in Chiapas è uno degli stati dove ha meno attecchito la certificazione. Adesso c’è una novità: agricoltori che erano entrati nel programma, ora ne vogliono uscire. Nell’ejido Cambil, del municipio El Porvenir, 233 ejidatarios hanno rinunciato al Procede. Che cosa succederà ora dopo queste diserzioni?

Il rifiuto degli ejidatarios di Cambil è indicativo di quello che succede sulla sierra del Chiapas, dove cresce anche il rifiuto al potenziale sfruttamento minerario ed agli sgomberi e spopolamenti come quello che si vuole effettuare a Motozintla ed in altre località, col pretesto che sono luoghi ad alto rischio di smottamenti per le inondazioni che hanno colpito la regione negli anni scorsi. Sui contadini aleggia il fantasma delle città rurali (attualmente se ne sta costruendo una a Jaltenango) come alternativa futura.

Nonostante le pressioni governative e dell’apparato priista a partire dal 1995, la resistenza al Procede è ancora forte. Nel 2006, al termine del periodo programmato per queste certificazioni, in Chiapas esisteva ancora un’alta percentuale di terre non regolarizzate. Agli inizi del 2007, il Registro Agrario Nazionale (RAN) annunciava la “regolarizzazione” dell’84% dei nuclei agrari, corrispondenti ad una superficie di 2 milioni 427 mila 716 ettari (59%), con il restante 41%, un milione 692 mila 38 ettari, in attesa di regolarizzazione.

Secondo la ricercatrice Dolores Camacho, del Programma di Ricerche Multidisciplinari su Mesoamerica e Sudest (Proimse) della UNAM),”i nuclei agrari regolarizzati sono piccoli; rappresentano solo la metà della superficie; questo spiega la preoccupazione dei governi al riguardo”. Con l’intenzione di “risolvere” il contrattempo è stato creato il Fondo di Aiuto ai Nuclei Agrari senza Regolarizzare (FANAR), al quale si destineranno molte risorse per raggiungere l’obiettivo.

Il governo dello stato prevedeva di regolarizzare 278 mila ettari nel 2011, come aveva dichiarato Ernesto Gutiérrez Coello, delegato del RAN in Chiapas. Anche se in assenza di informazioni definitive, tutto indica che la meta non è stata raggiunta. Il FANAR offre aiuti a progetti produttivi. “Questo induce i leader di partito e commissari ejidali a premere sui contadini perché accettino, scatenando ulteriori conflitti per le diverse opinioni, perché questi sono sempre di più convinti di respingere il programma per paura di perdere le loro terre”, sostiene Camacho.

Abitanti di villaggi intorno all’ejido di Santa María, nel municipio montano di Chicomuselo, denunciano che a novembre è stata scoperta una vena di bario in un podere di questo ejido. L’eventuale estrazione, sostengono, è promossa dall’ingegnere Pedro Palmas Echeverría e da Romeo Aguilar Méndez, che vorrebbero che gli ejidatarios si costituiscano in associazione civile “per potere sfruttare il minerale”.

A dicembre è stata posta una lastra di cemento che recita testualmente: “P.P.D, lotto: ‘la pera’ Sup. 2180 hrs. Ag. Tuxtla Gtz. Chiapas. Exp. 109/00258”. Le comunità di Chicomuselo presumono “che si riferisce al permesso di esplorazione”. Ricordano che il governatore Juan Sabines Guerrero ha detto che “durante la sua amministrazione non autorizzerà più permessi di esplorazione e sfruttamento di miniere nel nostro stato”, e gli chiedono di proseguire così.

Più di una decina di comunità dei municipi La Concordia, Chicomuselo e Socoltenango chiedono la cancellazione di ogni permesso di estrazione di minerali. Sostengono che “si metterebbero a grave rischio la nostra vita e quella dei nostri animali, si inquinerebbe l’ambiente e ci sarebbe maggiore scarsità di acqua”, che è già grave per la mancanza di sorgenti. “Ci riforniamo dai pozzi che corrono il rischio di venire inquinati dai residui tossici”.http://www.jornada.unam.mx/2012/01/21/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

 La fame dei rarámuris

Gloria Muñoz Ramírez

Le notizie infondate dei suicidi collettivi dei rarámuris a Chihuahua perché non avevano niente da mangiare, ed ora le massicce campagne di raccolta cibo per portare qualcosa nella pancia di questi popoli, possono trasformare un’emergenza reale, drammatica e non certo nuova, in azioni di carità che sovvertono i diritti collettivi dei popoli indigeni ponendoli nuovamente come oggetti di diritto, non come soggetti dello stesso, tralasciando le responsabilità dello Stato non solo nel cambiamento climatico, ma nelle conseguenze che hanno avuto le invasioni nei territori indios dei diversi progetti transnazionali.

18 anni fa l’insurrezione zapatista introdusse nel dibattito nazionale ed internazionale il riconoscimento degli indigeni di questo paese come soggetti di diritti collettivi, escludendo le politiche paternalistiche e le immagini folcloristiche di più di 60 popoli esclusi e condannati alla povertà estrema. Nei primi mesi del 1994 quel dibattito vinse, indipendentemente dal fatto che poi nel 2001 fu elaborata una controriforma che ignorò ufficialmente i diritti e la cultura indigeni e, con questo, il diritto all’autonomia.

Questa settimana hanno cominciato a proliferare in tutto il paese centri di raccolta di cibo presso i quali persone di buona volontà vanno a donare acqua, riso, fagioli e latte in scatola. Ovvio che tutto questo e molto di più è necessario per affrontare l’emergenza, ma il discorso non può essere quello di “aiutare i poveri tarahumaras che stanno morendo di fame”. Sostenere l’aiuto con questo orizzonte vuol dire trascura una conquista raggiunta faticosamente dal movimento indigeno nazionale.

È ovvio che l’invio di un pacchetto speciale di 100 mila provviste di cibo, coperte ed acqua sulla serra Tarahumara da parte della Segreteria per lo Sviluppo Sociale (Sedeso), “per assistere i casi di fame provocata dalla siccità e dalle gelate che hanno colpito la regione”, non risolverà il problema enorme che ha a che vedere con la mancanza del riconoscimento e con le politiche di esclusione dei rarámuris e degli altri popoli indios del paese.

In questi momenti mancano la presenza e le parole da Ricardo Robles, El Roco, da sempre accompagnatore gesuita dei rarámuris e profondo conoscitore della sierra. Cito da uno dei suoi scritti: “… E ritornando alla questione dei cannibali, dobbiamo chiederci chi lo è oggi, il turismo o le vittime dell’invasione, le compagnie minerarie o gli avvelenati, le dighe o gli sfollati, gli asili o i bambini, i partiti o i cittadini, il narco o suoi prigionieri, i poliziotti o i manifestanti, l’Esercito o i morti, i governi o quelli di sotto… ed infine, l’avarizia o i depauperati”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/21/opinion/016o1pol

 La resistenza sta nel saper ascoltare la terra.
John Berger

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 20 gennaio 2012

Il Frayba chiede di fermare le aggressioni sistematiche dei priisti contro gli indigeni

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 19 gennaio. Un commerciante tzeltal, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) del municipio ufficiale di Tenejapa, è stato rinchiuso nel carcere n. 5, accusato di essere responsabile dei fatti violenti avvenuti a dicembre nella comunità di Banavil, quando una cinquantina di elementi del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) hanno aggredito con le armi quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN cacciandole dalle loro case e dal villaggio.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha emesso oggi un’Azione Urgente, nella quale si afferma che “le aggressioni avvenute il 4 dicembre hanno avuto come risultato la morte di Pedro Méndez López (priista); la sparizione di Alonso López Luna; lo sfollamento di quattro famiglie ‘accusate’ di essere simpatizzanti zapatisti; la detenzione di Lorenzo López Girón, ferito gravemente ed accusato di lesioni aggravate; la detenzione arbitraria di Francisco Santiz López, base di appoggio dell’EZLN, che al momento dei fatti si trovava altrove, e sei persone ferite”.

Secondo le testimonianze raccolte dal Frayba, la mattina del giorno citato sono arrivate a casa di Alonso tre donne “con pietre e bastoni” che hanno picchiato lui e la sua famiglia. “Poi, circa 50 uomini del PRI hanno preso Alonso continuando a picchiarlo. Tutti avevano bastoni ed armi. Lorenzo, per difendere suo padre, oggi  desaparecido, è stato colpito da colpi di arma da fuoco al petto e all’inguine”.

Trasportato all’ospedale di questa città, Lorenzo è stato fermato dai poliziotti statali. I testimoni affermano che durante l’aggressione armata i priisti hanno portato via Alonso chi continuava a sanguinare”. Si ignora dove si trovi ora. Il 23 dicembre, nell’ejido Mercedes, che confina con Banavil, è stato trovato un braccio che la famiglia assicura che appartiene ad Alonso, poiché hanno riconosciuto una cicatrice su un dito. Poliziotti statali, il giudice municipale ed il pubblico ministero sono giunti sul luogo del ritrovamento i giorni 26 e 28, ma non si è trovato il corpo. La famiglia del desaparecido afferma che non hanno svolto “una ricerca adeguata”.

Francisco, lo zapatista accusato di aver dato inizio alle aggressioni, “è stato fermato arbitrariamente nel capoluogo municipale di Tenejapa, mentre lavorava nel suo negozio di frutta e verdura”. Testimoni dei fatti “affermano che il giorno delle aggressioni non si trovava sul luogo dei fatti”; tuttavia, è stato fatto un processo sommario ed il giudice emetterà la sentenza nelle prossime ore.

“Le false accuse e la violenza generata dal gruppo di cacicchi del PRI degli ejidos Banavil, Mercedes e Santa Rosa, a Tenejapa, hanno provocato lo sgombero forzato di quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN e la morte di un membro del PRI”, riferisce l’organizzazione.

Il Frayba sottolinea “le continue e sistematiche aggressioni alle basi zapatiste ed ai simpatizzanti dell’EZLN”, e chiede al governo dello stato di cercare López Luna, di chiarire e punire la morte di Méndez López, la libertà di Santiz López, assistenza medica adeguata a López Girón, misure precauzionali e cautelari per il ritorno degli sfollati, una vera indagine dei fatti, così come disarmare e punire il gruppo dei cacicchi.

Risalgono al 2009 le vessazioni contro i simpatizzanti dell’EZLN che si oppongono alle arbitrarietà dei cacicchi priisti: all’esproprio delle terre, al disboscamento illegale, alla riscossione di imposte e cooperazioni senza fondamento, alle perquisizioni, alle aggressioni fisiche, all’impedimento al diritto all’educazione, tra altri. Le vittime l’hanno denunciato davanti agli enti del governo che “non fanno nulla”. Fino al momento, sottolinea il Frayba, “non esiste investigazione efficace né punizione dei responsabili, e le autorità non intervengono per risolvere la situazione né garantiscono la sicurezza giuridica e sociale a Banavil”.http://www.jornada.unam.mx/2012/01/20/politica/020n1pol

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La Jornada – Mercoledì 18 gennaio 2012

Senza autorizzazione e di notte, le compagnie minerarie sfruttano la montagna del Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ejido Honduras, Chis. 17 gennaio. La comunità Campo Aéreo, racchiusa tra le vallate ed i monti della sierra del Chiapas, avverte i passi, fino ad ora furtivi, dello sfruttamento minerario a cielo aperto. Senza autorizzazione alcuna, “di nascosto, sono uscite camionate di materiale, ma non lo permetteremo più”, dice un ejidatario nella sua casa in una spianata a monte del fiume Vega de Guerrero.

Racconta che gli piace molto addestrare i cavalli da corsa, mentre guida i giornalisti tra la vegetazione, ad un paio di chilometri dal villaggio, attraverso un sentiero tracciato di recente da macchinario pesante, fino ad una cava circondata da rocce umide. “Dalle due alle tre del mattino da qui partono i camion carichi di roccia che poi scaricano su altri camion a Siltepec”. Le rocce sono dure ma granuloso, verde smeraldo. “Sembrano di metallo”, commenta l’ejidatario, membro della resistenza dell’Altra Campagna, come molti contadini dell’esteso municipio di Siltepec.

Gli ejidatarios hanno scoperto che il macchinario ed i camion appartengono all’impresa costruttrice di un certo Ing. Silva, ma sono convinti che si tratta della compagnia canadese Black Fire. “Pensiamo che in tutta questa regione esistano concessioni per le imprese minerarie, ma non c’è il consenso della popolazione”. Ed elenca: Toquián, Las Nubes, Cruz de Piedra, Las Moras, Cumbre Ventana, Delicias, Campo Aéreo. Ed in queste comunità sono in resistenza. Al meno a Campo Aéreo è maggioritaria.

Nel vicino Chicomuselo ha già fatto apparizione Black Fire, in maniera conflittuale. Inoltre, Siltepec è sul confine col Guatemala, dove a pochi chilometri sono già attivi grandi progetti minerari, a Tacaná e Zacapa.

“Hanno convinto a vendere una proprietaria dell’ejido Honduras, ma non ha il nostro consenso”. L’ejidatario racconta: “Ci offrono progetti di infrastrutture, di cui chiaramente ci sarebbe bisogno. Ma sappiamo che questo è solo un pretesto per inserirsi e poi avere concessioni per 50 anni”. Dice di aver parlato poco tempo fa con il vescovo guatemalteco Álvaro Leonel Ramazzini, di San Marcos, un attivo oppositore alle miniere, e questi gli ha confidato: “Una volta che la gente firma, è la fine. Non firmate. Ne va del futuro che lascerete ai vostri figli”.

Mostra una spaccatura tra le montagne, presumibilmente la vena mineraria attraverso il bosco. Poi indica un luogo, qualche chilometro a monte, con un altro buco di rocce verdi. Ci sono già state delle reazioni. A Las Nubes hanno bucato le gomme alle scavatrici dell’impresa.

“Immaginiamo cosa sarebbe la miniera a cielo aperto a Siltepec”, dice l’ejidatario. “Dopo l’uragano Stan abbiamo visto che qui si possono verificare pesanti frane dalla montagna. Con esplosioni e scavi sarebbe molto peggio, si metterebbe in pericolo la vita di molta gente. Ed il cianuro che usano per il lavaggio delle rocce avvelena i fiumi”.

Uno dei membri dell’organizzazione Luz y Fuerza del Pueblo che accompagna la visita denuncia che è minacciata la ricchezza di acqua e boschi, anche se le autorità dicono di proteggere l’ambiente. “Se un ejidatario abbatte un albero, lo mettono in prigione. Ma i commercianti di legname portano fuori illegalmente camionate di legno e nessuno dice niente. Nell’ejido Cruz de Piedra è già stato venduto un bosco, anche se Semarnat e Conafor l’hanno negato”. Il deputato priista Roberto Albores Gleason ha dichiarato, da parte sua, che non esistono tali concessioni.

Hanno molto da perdere questi agricoltori anche se arrivano ad offrire fino a 5 milioni di pesos per le loro terre. A Cruz de Piedra per soli 100 mila pesos un commissario ejidale ha autorizzato la vendita di un bosco vergine. “Non crescono nemmeno i pini, ma solo alberi originario, dice la nostra guida. “Avevano promesso progetti federali che poi sono risultati essere falsi”. Inoltre, la segheria prevista è bloccata per le proteste degli abitanti. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/18/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 16 gennaio 2012

Di fronte al silenzio delle autorità, gli abitanti di Siltepec chiudono i postriboli

Hermann Bellinghausen. Inviato. Siltepec, Chis., 15 gennaio. In questo municipio di montagna, racchiuso nella Sierra Madre del Chiapas, la popolazione ha deciso di mettere un freno ai postriboli e, per quanto possibile, all’alcool. Per il momento sono stati chiusi i bordelli El Cazador, La Cabaña, La Embajada, La Tablazón ed uno dei molti che operano clandestinamente: La Lamita. Altri clandestini, che si presentano come ristoranti o con facciate legali diverse, continuano a funzionare.

Un gruppo di appartenenti a Luz y Fuerza del Pueblo, organizzazione dell’Altra Campagna con forte presenza nelle comunità di Siltepec e del suo capoluogo municipale, racconta a La Jornada che tempo fa la popolazione aveva chiesto l’intervento della giurisdizione sanitaria del governo statale, perché i bordelli e l’alcolismo sono diventati il problema principale in questa regione, fondamentalmente rurale. “Il dottor Juan Gabriel, della giurisdizione, sulle prime non voleva farlo, ma quando ha visto che la gente si era unita, alla fine ha messo i sigilli”, segnalano.

Essendo queste chiusure una domanda sentita dai locali, Luz y Fuerza del Pueblo ha trovato il sostegno della gente del quartiere Chihuahua, che “è stata costretta ad organizzarsi per conto suo” contro i postriboli nelle sue strade, molto rumorosi fino a tarda notte, oltre che frequente scenario di risse e spettacoli deplorevoli. L’educazione ed i servizi sanitari sono altre questioni pendenti (con gravi deficienze nella regione), il loro stato critico si manifesta concretamente nello scontento e nell’alcolismo, nelle risse notturne e nel traffico e uso di droga.

Gli abitanti di Siltepec organizzati nell’Altra Campagna segnalano che il sindaco priista Bellaner Pérez Anzueto non ha ascoltato le loro richieste. Per questo la popolazione ha preso l’iniziativa. Anche cosí, il problema dell’alcolismo è così acuto che lo stesso municipio ha dovuto stabilire il “proibizionismo” (“ley seca“) nei giorni di domenica e limitare gli orari di vendita nel resto della settimana.

“Sappiamo che non si può facilmente proibire completamente l’alcool ed i postriboli, perché sono considerati legali”, ammettono, “ma qui provocano gravi danni”. La gente qui, aggiungono, “lavora nei campi, si alza presto; le risse, a volte con le armi, e gli scandali influiscono molto sulla vita di tutti ed il municipio non ha una polizia qualificata per affrontare queste situazioni; non è in grado di controllare nemmeno la vendita di birra”.

Avendo la sua origine nella resistenza organizzata alle alte tariffe della Commissione Federale di Elettricità e da molti anni facente parte della rete statale aderente all’Altra Campagna, Luz y Fuerza del Pueblo di Siltepec è organizzata con i quartieri Las Nubes, Rincón del Bosque, Veracruz, 20 de Noviembre, Chihuahua e Toquiancito, e nelle comunità ed ejidos di Honduras, Buenos Aires, Soledad, Cruz de Piedra, Toquián ed altri.

Ora sono decisi a fermare le principali minacce alla loro vita comunitaria. Questo comprende lo sfruttamento minerario, la distruzione delle foreste e la cancellazione ufficiale dell’assistenza sanitaria. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/16/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 14 gennaio 2012

Non avendo ottenuto risposte, gli indigeni che denunciano il sequestro di una bambina rimuovono il presidio e dicono: “Il governo ha agito per proteggere i paramilitari”

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 14 gennaio. Le famiglie degli indigeni sfollati degli ejidos di Busiljá e Cintalapa, Ocosingo, in presidio da 30 giorni nella piazza centrale di questa città per chiedere la libertà per i loro compagni Elías Sánchez Gómez ed Amílcar Méndez Núñez, rinchiusi nel carcere di Playas de Catazajá, e la restituzione in vita della minorenne Gabriela Sánchez Morales, hanno rimosso il presidio non avendo ottenuto alcuna risposta.

Inoltre, tutti sono stati privati della casa e della terra. Hanno inoltre rivelato che “il governo ha agito solo per garantire la massima protezione ai paramilitari” priisti che li hanno aggredito ed espulsi.

Gli indigeni del Frente de Ejidos Genaro Vázquez Rojas, aderenti all’Altra Campagna, denunciano “il carattere paramilitare” del governo di Juan Sabines Guerrero “che attraverso i diversi enti si è preoccupato di occultare le azioni del gruppo guidato da Herlindo López Pérez, Lorenzo Pérez Gutiérrez e Manuel Pérez Vázquez, che vogliono impossessarsi delle nostre terre; sono i responsabili del massacro nell’ejido Viejoo Velasco, nel 2006, e sono loro ad aver strappato le terre delle basi zapatiste della comunità 6 de Octubre, nel municipio autonomo Ricardo Flores Magón”.

Denunciano che a “fornire protezione ed appoggi” ai paramilitari sono i pubblici ministeri (MP) di Ocosingo e Palenque, il Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH), la Segreteria Generale di Governo e le autorità di Ocosingo.

Raccontarono eventi che non erano stati resi pubblici. Il 29 dicembre il procuratore del Chiapas, Raciel López Salazar, ed il vice-procuratore Néstor Escobar Roque sono andati a Palenque; “ad informare i paramilitari di Busiljá e Cintalapa che eravamo in presidio per chiedere la loro punizione”.

I funzionari avrebbero detto che il governo non li avrebbe arrestati “perché sa che non è vero quello che dicono gli sfollati”. Hanno quindi proposto loro di fare una deposizione davanti al Pubblico Ministero, quelli di Cintalapa con atto 770, e quelli di Busiljá con atto 326, sul sequestro della bambina Gabriela, di otto anni. Cinque di Cintalapa “hanno deposto” riguardo alle accuse di violenza, saccheggio, sequestro, estorsione, tortura e fabbricazione di reati. A quelli di Busiljá il procuratore ha chiesto della bimba rapita ed il commissario ha negato che la bambina fosse in suo possesso. “Se le cose stanno così, allora è una bugia quello che stanno dicendo”, avrebbe detto il procuratore.

Lo stesso 29 dicembre, 10 elementi dell’Esercito sono entrati negli appezzamenti degli sfollati ed hanno interrogato le donne che stavano lì. Il giorno 30, inviati della CEDH – accompagnati da due poliziotti – “sono andati direttamente nella casa del paramilitare Benjamín Gómez Sánchez”, dove la minorenne rapita è stata vista, ma ovviamente non era più lì. Poi si sono riuniti con le autorità dell’ejido. I funzionari hanno suggerito che le persone coinvolte nel rapimento della bambina “lasciassero la comunità”. Mentre se ne stavano andando, si sono avvicinati alla casa di Nicolás Sánchez Gómez, compagno degli sfollati, “col pretesto di comprare delle banane”, ed hanno fotografato le sue figlie.

“Il 3 gennaio a Palenque sono stati convocati 15 paramilitari di Cintalapa, trasportati su veicoli della polizia, per ratificare quello che avevano dichiarato ai procuratori: che loro non hanno commesso reati. Sappiamo che c’è stato un accordo tra i procuratori, il PM ed i paramilitari”, sostengono gli sfollati.

L’8 gennaio, delegati della Segreteria di Governo e poliziotti statali si sono incontrati a Cintalapa con i priisti. “Il governo ha detto loro di non temere per il presidio degli sfollati”. Così, nonostante le prove, nessun paramilitare è stato fermato.

Intanto, gli indigeni detenuti nella prigione n. 17 di Playas de Catazajá hanno iniziato uno sciopero della fame per chiedere la destituzione del direttore. In una breve dichiarazione hanno affermato che il funzionario viola i loro diritti; inoltre “comanda alle guardie di custodia di eseguire accurate perquisizioni: alle donne fanno abbassare la biancheria e le guardiane le toccano nelle parti intime”. Giorni fa, un gruppo di detenuti della banda maras salvatruchas hanno picchiato tre reclusi e continuano a minacciarli. Gli scioperanti chiedono “la presenza del sottosegretario per dialogare e giungere ad un accordo, e speriamo che non ci siano rappresaglie, perché ci minacciano sempre di essere trasferiti in altre prigioni”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/15/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 14 gennaio 2012

Gli abitanti di Siltepec prendono il controllo del territorio del municipio chiapaneco e bloccano l’accesso ai distributori di birra e alcolici ed alle imprese minerarie canadesi

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 13 gennaio. Gli abitanti organizzati del municipio di Siltepec, nella Sierra Madre del Chiapas, hanno bloccato l’accesso al municipio per i fornitori di birra, distributori di alcool e droga e imprese canadesi di sfruttamento del legno e miniere che sfruttano il loro territorio; inoltre hanno chiuso 18 bar e messo seriamente in discussione la polizia, il sindaco e l’agente del Pubblico Ministero (MP) dello stato che proteggono i delinquenti. A partire da questo giovedì hanno deciso di organizzarsi “come capoluogo municipale, in coordinamento con ejidos, fattorie, quartieri e colonie, per esercitare il controllo del nostro territorio senza l’intervento dei partiti politici e del governo”.

L’organizzazione della società civile Luz y Fuerza del Pueblo-Región Sierra, aderente all’Altra Campagna, presente in 38 municipi della regione, informando dell’azione ha dichiarato: “Il nostro municipio, come la maggioranza in Chiapas, affronta gravi problemi di alcolismo, eccesso di presenza di bar, proliferazione di droga e prostituzione, disboscamento e commercializzazione dell’ambiente, saccheggio clandestino dei minerali da parte delle imprese del Canada nell’ejido Honduras e nel quartiere Las Nubes dell’ejido Toquián Grande, ed il tentativo di intervenire in altri”.

Gli abitanti hanno posto catene e cartelloni alle entrate ed uscite del capoluogo municipale e negli ejidos dove ci sono risorse naturali e minerali, “per impedire il saccheggio clandestino, poiché l’impresa mineraria Black Fire è entrata di nascosto di notte portando via otto camion del minerale del quartiere Campo Aereo dell’ejido Honduras; abbiamo avvertito che non lo permetteremo più in nessun posto del Sierra”.

Facendo appello all’articolo 39 della Costituzione, aggiungono: “Su ordine del popolo, ejidos e comunità organizzate abbiamo chiuso più di 18 bar nel capoluogo municipale di Siltepec e contemporaneamente abbiamo le nostre guardie e vigilanze nel centro e nei cinque quartieri, negli ejidos e fattorie che appartengono alla nostra organizzazione, affinché mantengano l’ordine durante la notte. Fermeremo gli ubriachi, i criminali ed i trafficanti di immigrati, perché la polizia settoriale non controlla né offre sicurezza, ma si dedica alle estorsioni ed alla repressione della popolazione, mentre il presidente municipale non svolge il suo dovere”.

Chiedono che le nuove guardie comunitarie siano rispettate “perché agiscono su ordine del popolo e in base a verbali di accordo”. E puntualizzano: “La nostra decisione di organizzarci in maniera indipendente dal governo e dai partiti politici è stata presa perché sono ormai troppi anni di inganni e bugie. Dopo 72 anni di governo del PRI, quasi 12 del PAN e quasi 12 del PRD in Chiapas, la situazione del nostro popolo non è cambiata, stiamo sempre peggio nonostante le campagne di stampa su radio e televisione in cui il governo dice di aver investito in cose che ha realizzato”.

La Sierra del Chiapas, “che è sempre stata tranquilla, ora si sta svegliando insieme ad altri compagni e fratelli dei municipi di Motozintla, El Porvenir, Bella Vista, La Grandeza, Frontera Comalapa, tra altri”.

Nella loro argomentazione aggiungono il dissenso per le elevate tariffe elettriche, “la prepotenza, la mancanza di giustizia e la corruzione del PM, Alexander Pérez Ramírez”, le deficienze dell’assistenza sanitaria “e la mancanza di umanità del personale sanitario”, e “la nota Assicurazione Popolare che resta sulla carta di fronte alla gravità dei problemi; la corruzione e l’abbandono nei quali si trova il municipio ed i suoi ejidos; sono tante le lettere e le denunce che abbiamo fatto alle autorità statali ma non abbiamo mai avuto adeguate”.

Gli abitanti di Siltepec, dentro la Sierra Madre, vicino alla frontiera col Guatemala, hanno anche avvertito la società Coca Cola: “Non lasceremo che si impadronisca della montagna del Rosarito e del Podere Las Chicharras dell’ejido Vega del Rosario, dove ci sono molibdeno ed acqua pulita”.

Denunciano minacce di morte da parte di bande criminali che operano nella regione. Lo scorso 31 dicembre è stato assassinato il loro compagno Salomón Ventura Morales, nella sua abitazione nel quartiere Las Cruces, “da persone ben note”. E concludono: “Ora basta con la corruzione, le ingiustizie e la complicità tra malviventi ed autorità”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/14/politica/014n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LE SINISTRE E LA FINE DEL CAPITALISMO

di Raúl Zibechi

L’attuale crisi mondiale sta frammentando il pianeta in regioni a tal punto che il sistema-mondo è prossimo ad una crescente disarticolazione. Uno degli effetti di questa crescente regionalizzazione del pianeta è che i processi politici, sociali ed economici non si manifestano più nello stesso modo in tutto il mondo e producono divergenze – in futuro, forse, biforcazioni – tra il centro e la periferia.

Per le forze antisistemiche questa disarticolazione globale rende impossibile il disegno di un’unica e sola strategia planetaria e inutili i tentativi di stabilire tattiche universali. Sebbene esistano ispirazioni comuni e obbiettivi generali condivisi, le diverse velocità che registra la transizione al postcapitalismo e le notevoli differenze tra i soggetti antisistemici minano possibili generalizzazioni.

Tuttavia ci sono due questioni rilevanti che riguardano le strategie in tutto il mondo. La prima è che il capitalismo non cadrà a pezzi né collasserà da solo, ma dovrà essere sconfitto dalle forze antisistemiche, siano movimenti di base orizzontali e comunitari, partiti più o meno gerarchici  incluso i governi di segno anticapitalista.

Parafrasando Walter Benjamin, bisognerebbe dire che niente è stato più deleterio per il movimento rivoluzionario quanto il credere che il capitalismo sarebbe caduto sotto il peso delle proprie “leve” interne, soprattutto di carattere economico. Il capitale venne al mondo avvolto da sangue e fango, come diceva Marx, e dovette attraversare una catastrofe demografica come quella prodotta dalla peste nera perché le popolazioni, paralizzate dalla paura, si sottomettessero non senza resistenze alla logica dell’accumulazione di capitale. È la gente che deve perdere la paura, come fanno gli zapatisti, per cominciare a ri-appropriarsi dei mezzi di produzione e di cambiamento, e costruire qualcosa di diverso.

La seconda questione è che la transizione ad una nuova società non sarà breve né avverrà in pochi decenni. Fino ad ora tutte le transizioni hanno richiesto secoli di enormi sofferenze, in società dove i meccanismi comunitari ponevano limiti alle ambizioni, dove la pressione demografica era molto minore e il potere di quelli in alto non assomigliava per niente a quello che oggi detiene l’uno per cento dei più ricchi.

In America Latina, negli ultimi tre decenni i movimenti antisistemici hanno inventato nuove strategie per cambiare le società e costruire un mondo nuovo. Esistono anche riflessioni e ragionamenti sull’azione collettiva che nei fatti divergono dalle vecchie teorie rivoluzionarie, sebbene sia evidente che non negano i concetti coniati dal movimento rivoluzionario in due secoli di storia. Nell’attuale congiuntura possiamo registrare tre fatti che impongono riflessioni diverse da quelle che stanno sviluppando le forze antisistemiche in altre regioni.

In primo luogo, l’unità delle sinistre è avanzata in forma notevole e in non pochi casi queste sono arrivate al governo. Almeno in Uruguay, in Bolivia e in Brasile l’unità delle sinistre è avanzata fin dove le era possibile. Certamente al di fuori di queste forze ci sono partiti di sinistra (soprattutto in Brasile), però questo non cambia il fatto fondamentale che l’unità è stata raggiunta. In altri paesi, come l’Argentina, parlare di unità della sinistra è dire molto poco.

La questione centrale è che le sinistre, più o meno unite, hanno dato quasi tutto quello che potevano dare al di là della valutazione che si possa fare sul loro operato. Gli otto governi sudamericani che possiamo definire di sinistra hanno migliorato la vita delle persone e diminuito le loro sofferenze, ma non sono avanzati nella costruzione di nuove società. Si tratta di constatare fatti e limiti strutturali che indicano che da quella strada non si può ottenere più di quanto conquistato.

In secondo luogo, in America Latina esistono embrioni, fondamenta o semi delle relazioni sociali che possono sostituire il capitalismo: milioni di persone vivono e lavorano nelle comunità indigene in ribellione, negli accampamenti dei contadini senza terra, nelle fabbriche recuperate dagli operai, nelle periferie auto-organizzate, e partecipano a migliaia di attività nate nella resistenza al neoliberismo e che si sono trasformate in spazi alternativi al modo di produzione dominante.

Terza cosa, le sofferenze generate dalla crisi sociale provocata dal neoliberismo nella regione sono state rallentate dalle iniziative di sopravvivenza create dai movimenti (dalle mense ai panifici popolari), prima che i governi usciti dalle elezioni si ispirassero alle stesse attività per promuovere programmi sociali. Queste iniziative sono state e sono ancora fondamentali per la resistenza e la creazione allo stesso tempo di alternative al sistema, dato che non solo riducono le sofferenze ma generano pratiche autonome dagli stati, dalle chiese e dai partiti.

Come segnala Immanuel Wallerstein ne La sinistra mondiale dopo il 2011, l’unità delle sinistre può sicuramente contribuire a far nascere un mondo nuovo e, allo stesso tempo, ridurre i dolori del parto. Ma in questa regione del modo buona parte di quei dolori non sono calati con le vittorie elettorali della sinistra. In Ecuador ci sono quasi 200 persone rinchiuse con l’accusa di terrorismo e sabotaggio per la loro opposizione alle miniere a cielo aperto. Tre militanti del Fronte Darío Santillán sono stati assassinati dalle mafie a Rosario, in quello che potrebbe essere l’inizio di una escalation contro i movimenti. Centinaia di migliaia sono gli sfollati dalle loro case in Brasile a causa della speculazione per la Coppa del Mondo del 2014. La lista è lunga e in continuo aumento.

L’unità della sinistra può essere positiva. Ma la battaglia per un mondo nuovo sarà molto più lunga della durata dei governi progressisti dell’America Latina e, soprattutto, si risolverà in spazi macchiati di sangue e fango.

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.org – http://www.caferebeldefc.org/)

fonte: http://www.jornada.unam.mx/2012/01/13/index.php?section=politica&article=027a2pol&partner=rss

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La Jornada – Giovedì 12 gennaio 2012

Secondo la la comunità di Candelaria El Alto, prosegue il saccheggio delle sue terre ed accusa l’organizzazione campesina Emiliano Zapata-Regione Carranza

Herman Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 11 gennaio. La comunità Candelaria El Alto, municipio Venustiano Carranza, aderente all’Altra Campagna, denuncia che prosegue l’appropriazione delle sue terre da parte dell’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata-Regione Carranza (Ocez-RC). Questo, nonostante il governo statale abbia indennizzato la comunità per i 98 ettari invasi dieci anni fa e che, a dispetto delle richieste, non sono mai stati restituiti.

“Questi invasori, dopo aver coltivato sulla nostra terra, fanno pascolare il bestiame nella nostra proprietà e non smettono di fare uso di armi, sparano continuamente ad ogni ora per intimorire la nostra comunità”, dichiarano in un comunicato.

Gli abitanti di Candelaria El Alto, “contadini ed indigeni del podere El Desengaño, terra che i nostri genitori e nonni hanno acquisito con sforzi e sacrifici fin dal 1950”, spiegano che i loro antenati “comprarono una porzione di terra solo per vivere e fondarono la comunità Candelaria, conosciuta come la Pastoria, ed è la stessa superficie del podere stesso”.

E sottolineano: “In questa terra siamo nati e viviamo, in questa terra moriremo per difenderla perché da molti anni la coltiviamo”. In lei “riposa la memoria dei nostri nonni e nonne”. Il suo possesso “è legittimo e legale, come mostrano i documenti 2629, volume 44 (San Cristóbal de Las Casas, 27 novembre 1992, atto notarile 42) e 11.413, volume 353 (Tuxtla Gutierrez, 14 luglio 1997, atto notarile 16)”. Spiegano che hanno tenuto le registrazioni fino a quegli anni “perché un poco per volta siamo riusciti a raccogliere i soldi per le pratiche”.

Ritengono “grave” la situazione di attuale appropriazione “della Ocez-RC”. Questo, “con l’impunità dello stato del Chiapas, dopo 15 anni di oltraggi, aggressioni, furti, compagni rapiti, minacce di morte”. Gli invasori “ci hanno obbligato a vendere o abbandonare la nostra terra”. Affermano che recentemente il governo dello stato “ha liquidato il pagamento corrispondente a 98 ettari a favore del gruppo Tercera Ampliación San José La Grandeza, Ocez-RC”.

Il segretario generale di Governo, Noé Castañón León, al momento della liquidazione ha detto ai “contadini e indigeni regolari” di El Desengaño: “Vi ringrazio per la volontà di risolvere i problemi in corso da più di un decennio”. Il funzionario ha ammesso, sottolineano, che “non è per vostra stessa volontà”, ma che “avete dovuto vendere sotto pressione”. Reclamano allo stato che i 98 ettari sono solo una “minima parte”, e che “è stato un atto dovuto” (l’indennizzo).

La comunità di Candelaria denuncia: “Il gruppo Tercera Ampliación San José La Grandeza Ocez-RC, per il quale il governo dello Stato ha comprato gli 98 ettari, sono le stesse persone che il 6 aprile 2011 si sono impossessate dei 185 ettari della nostra terra di El Desengaño e che ora chiamano ‘Nuevo San José la Grandeza’, guidati dallo stesso José Manuel Hernández Martínez, El Chema, ed Uberlaín de la Cruz”. I coloni di Candelaria accusano questi leader della Ocez-RC di “tutto quello che sta succedendo”.

Aggiungono che da questa seconda invasione “sono passati nove mesi senza poter lavorare, ed abbiamo ormai perso il raccolto”, ed avvertono: “non sopporteremo più di patire la fame, questo anno lavoreremo la nostra terra, vogliamo che questo conflitto non si aggravi, esigiamo una soluzione immediata perché la terra non si vende”.

Chiedono al governo del Chiapas di garantire che le loro terre restanti “rimangano libere, chiediamo solo una soluzione e rispetto per il benessere e la tranquillità di entrambe le parte; vogliamo giustizia, e che siano riconosciuti i nostri diritti”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/12/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Il legame tra Occupy Wall Street, El Barrio e l’EZLN

Gloria Muñoz Ramírez 

Tra la 117ª e 2ª, nel cuore di El Barrio ad Harlem, New York, un murales della lotta zapatista illustra la connessione del Movimento per la Giustizia nel Barrio (MJB) con gli indigeni del Chiapas. Il Movimento è parte dell’Altra Campagna. Sono gli zapatisti di questa città nella quale dal 17 settembre scorso è in svolgimento l’iniziativa Occupy Wall Street.

I vincoli non sono pochi. Il movimento zapatista, quello di El Barrio e Occupy sono parte del 99% del pianeta, ovvero, compongono il mondo degli esclusi. Nel seminario dei movimenti antisistema che si è svolto questo fine anno a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, in occasione del 18° anniversario dell’insurrezione dell’EZLN, sono confluite le tre lotte: Il MJB ha presentato una dichiarazione di appoggio agli zapatisti firmata da oltre mille componenti dell’assemblea di Occupy Wall Street, che a loro volta hanno parlato dell’influenza zapatista nelle assemblee che si tengono di fronte al centro finanziario più importante degli Stati Uniti.

Nella dichiarazione fatta arrivare da Piazza della Libertà, si denunciano gli attacchi contro le comunità indigene di San Marcos Avilés, San Patricio, e Rancho La Paz e si chiede “il rispetto dell’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli zapatisti”.

A quasi quattro mesi dal suo inizio, il movimento Occupy Wall Street si è esteso a oltre mille città degli Stati Uniti e a decine di paesi nel mondo. In questa lotta, segnala Merlina, attivista di Occupy Wall Street: “Ci sono molte persone che sono state fortemente influenzate dagli zapatisti”. In un’intervista con la rivista virtuale Desinformémonos, Merlina ha spiegato che “quello che molta gente del movimento Occupy sta tentando di fare è rompere la relazione tra il capitale e l’uomo, perché finché questa continuerà, le persone dovranno continuare a vendere le proprie vite e la propria anima alla macchina capitalista e non saranno in grado di vivere in comunità autonome ed autosostenibili”. Aggiunge: “Gli zapatisti hanno lanciato messaggi molto chiari ed ispiratori che sono  arrivati alle coscienze degli statunitensi. Il fatto che queste comunità continuino a lottare contro il mondo, è fonte di forza, guida e saggezza per chi ora si mobilita negli Stati Uniti”.

L’autonomia zapatista, si dice nella dichiarazione newyorkese del MJB, “fa arrabbiare i servi del sistema capitalista”. In Messico, segnalano, “i governi federale, statale e municipale utilizzano le loro forze di polizia e militari ed i loro gruppi di scontro paramilitari per cercare di distruggerla”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/07/opinion/014o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 7 gennaio 2011
Il Frayba denuncia gravi violazioni delle garanzie delle famiglie tzeltales da parte dei priisti

Hermann Bellinghausen. Inviato .San Cristóbal de las Casas, Chis., 6 gennaio. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha denunciato “gravi violazioni” delle garanzie individuali (sparizione, sequestro, tortura, detenzione illegale, violazione e sfollamento interno), “compiute da funzionari statali e membri del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) contro diverse famiglie tzeltales dell’ejido Busiljá, municipio di Ocosingo, membri del Frente de Ejidos en Resistencia Genaro Vázquez Rojas ed aderenti all’Altra Campagna”.
Riferisce che lo scorso 7 dicembre Elías Sánchez Gómez è stato fermato mentre lavorava con sua moglie, María Esther Hernández Gómez, e suo figlio, da due poliziotti statali e 15 priisti dell’ejido, che lo hanno picchiato, portato in montagna, continuando a picchiarlo e poi sulla strada per Palenque. Lì “c’erano altre persone che mi dicevano  ‘questa non è la tua terra, la comunità non ti vuole’, mi hanno imbavagliato e caricato su un furgone della Polizia Statale Preventiva (PEP) e tre persone – Herlindo López Pérez, Juan Morales, agente ausiliare di Busiljá, e Domingo López Hernández, commissario ejidale – mi si sono seduti sulla schiena”.
A Palenque, Elías è stato portato negli uffici del Pubblico Ministero (PM). “Negli uffici del PM c’è una stanza, lì mi hanno picchiato e volevano che dicessi dove si trova mio papà, mentre il PM compilava i documenti. C’erano i poliziotti in borghese ed i tre di Busiljá. I poliziotti mi hanno preso a calci e mi chiedevano ‘dov’è tuo papà? ‘, ma io non ho rilasciato nessuna dichiarazione”.
Di fronte al suo rifiuto di collaborare è stato internato nella prigione di Playas de Catazajá, dove viene sottoposto a trattamenti crudeli “dai ‘precisos’ che controllano le prigioni del Chiapas in complicità con le autorità penitenziarie”, sostiene il Frayba, che ha le prove che lo stesso 7 dicembre la moglie di Elías “è stata violentata da Herlindo, Domingo e da un’altra persona”.
Un’altra parente “è stato violentata da Manuel Sánchez, Benjamín Gómez Sánchez, e Juan Sánchez Morales, mentre le dicevano, non piangere perché te lo meriti, sei una donna’, e Benjamín ordinava ‘falle male che se lo merita perché non lascia l’appezzamento’ “. Nel frattempo, elementi del PRI e cinque poliziotti statali saccheggiavano le case di Elías padre e figlio, e quelle di José, Fausto e Felipe, tutti Sánchez Gómez. Le vittime hanno confermato la partecipazione di almeno nove persone originarie di Busiljá, tre dell’ejido Cintalapa, cinque poliziotti statali ed un PM.
In precedenza, il 17 luglio 2011, i priisti e 15 elementi della PEP fecero irruzione a casa di Elena Morales Gutiérrez portando via la figlia Gabriela di otto anni. La famiglia presentò una denuncia al PM di Ocosingo che non ha fatto niente per ritrovare la bambina”. Quel terribile 7 dicembre Elena l’ha vista a casa di Benjamín, prigioniera con l’appoggio della polizia. Nonostante il PM fosse stato avvertito, segnala il Frayba, questi “non ha fatto nulla, ‘invitando’ i parenti ad arrangiarsi personalmente per riprenderla”. Inoltre, il 4 ottobre è scomparso Pablo Sánchez Gutiérrez, di 15 anni, familiare di Elías, nel quartiere Las Lomitas, di Ocosingo, “mentre andava a comprare tortillas”.
Il Frayba chiede al governo del Chiapas di indagare sui fatti e di garantire l’integrità della bambina Gabriela Sánchez Morales; che si puniscano gli aggressori appartenenti al PRI ed alla PEP; che si garantisca la vita degli sfollati ed il ritorno delle sette famiglie attualmente in presidio nello zócalo di questa città e, in ultimo, la liberazione di Elías figlio.
Queste famiglie sono state oggetto di aggressioni e sgomberi nel 1997, 2001 e 2006 da parte di priisti legati all’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), “con la copertura della polizia statale e dei funzionari che hanno interessi nel territorio dei popoli indigeni”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/07/politica/015n1pol
(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 5 gennaio 2012

Da 22 giorni in presidio ad Ocosingo gli indigeni spogliati delle terre

Hermann Bellingahusen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 4 gennaio. Violenze, sequestri di minori e donne incinta, arresti con l’appoggio dei poliziotti statali e municipali, saccheggio armato di case ed appezzamenti, minacce di morte. Negli ejidos tzeltales di Busiljá e Cintalapa, a nord del municipio ufficiale di Ocosingo, i gruppi priisti paramilitari si sono spinti troppo lontano nelle loro aggressioni contro le famiglie che non appartengono all’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), con l’intenzione di togliere loro le terre che possiedono legalmente.

Oggi, sette famiglie di Busiljá aderenti dell’altra campagna, sono in presidio in Plaza de la Paz. Spogliati delle loro terre non hanno dove vivere e per il momento lo fanno qui, dove sono da 22 giorni in presidio di protesta di fronte alla sordità e all’indolenza del governo statale. Le loro richieste più urgenti sono due. Una, la restituzione di Gabriela Sánchez Morales, una bambina di 8 anni, rapita il 17 luglio scorso dal gruppo paramilitare; si sa che si trova in stato di schiavitù nella casa di Benjamín Gómez Sánchez, nella stessa comunità. Esigono anche la liberazione di Elías Sánchez Gómez (figlio), fermato il 7 dicembre con false accuse e rinchiuso nella prigione N. 17 di Playas de Catzajá.

Ed ovviamente, chiedono la restituzione delle loro terre, abitazioni e proprietà di oltre 150 ettari, per i quali posseggono diritto di proprietà agraria. Benché le aggressioni e gli sgomberi contro famiglie pro-zapatiste o almeno contrarie alla Opddic risalgono a due anni fa, nel 2011 sono state brutali e costanti. 

Intervistate da La Jornada, le famiglie sfollate denunciano come principale istigatore e violentatore Herlindo López Pérez, ex consigliere comunale municipale e dirigente della Opddic. Originario della vicina Cintalapa, dove ha sviluppato una stretta collaborazione con i militare che si sono stabiliti nella comunità nel 1996, ha partecipato a tutte le aggressioni a Busiljá, dove esiste un distaccamento di polizia fisso col quale collabora strettamente.

Questo è quanto successo a Busiljá nel 2011: il 15 gennaio i poliziotti entrano nei loro poderi terre armati e li cacciano dalle loro terre. Quello stesso giorno scompare Verónica López Pérez, incinta di tre mesi, e resta per due mesi nelle mani del gruppo della Opddic. Il 5 aprile recuperano le loro terre ed il giorno 7 arriva la polizia, il delegato di Governo Caridad Alcázar López, i rappresentanti della Procura Agraria e la sottosegretaria di Governo, “e con loro i priisti, per obbligarci ad andarcene”.

Il 21 aprile la Polizia Statale Preventiva (PEP) violenta Elena Morales Gutiérrez; gli ejidatarios sostengono “su ordine del delegato di Governo José Manuel Morales Vázquez”.

Alle prime ore del 17 luglio, la PEP, “insieme ai paramilitari”, sgombera gli ejidatarios e si portano via la bambina Gabriela, che i genitori considerano desaparecida ed accusano di questo Herlindo López e Domingo Gutiérrez Hernández, oltre al già citato MoralesVázquez. Volevano “prendere” suo padre Nicolás Sánchez Gómez e suo zio Elías, catturato poi in dicembre ed oggi detenuto; bisogna dire che era già stato in prigione ed era uscito dopo lo sciopero della fame dei prigionieri politici dell’Altra Campagna nel 2008.

Il 30 settembre, durante un’assemblea ad Ocosingo, il titolare delle Opere Pubbliche della giunta annunciò che “sarebbero state aggredite un gruppo di 16 famiglie, 45 persone” a Busiljá. Il 2 ottobre, verso le 5 del mattino, quattro individui armati fanno irruzione nelle case e minacciano di ammazzare ii perseguiti. Il 4 ottobre le minacce si ripeterono. Il giorno dopo viene sequestrato ad Ocosingo Pablo Sánchez Gutiérrez, di 15 anni. Il giorno 11 alla fine i paramilitari espellono 25 persone, brandendo machete ed armi di grosso calibro.

“Vogliono le nostre terre e sono appoggiati dai politici”, sostengono gli ejidatarios. “Il Pubblico Ministero conosce bene i fatti, le prove degli attacchi ed i nomi di tutti i responsabili, ma non vuole portarli davanti al giudice”. È documentato un caso precedente, a Cintalapa, dove il Pubblico Ministero di Ocosingo è stato corrotto con 40 mila pesos dal dirigente della Opddic, Herlindo López. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/05/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 4 gennaio 2012
Universitari, indigeni e indignati condividono le esperienze con i portavoce della resistenza. Prevalgono le coincidenze nella condanna del sistema capitalista dominazione

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis., 3 gennaio. La presenza dei movimenti antisistema e di organizzazioni molto coinvolte nell’attuale processo continentale di resistenza, durante le sessioni del Seminario Internazionale di Riflessione ed Analisi che si è svolto qui, ha permesso di capire, come ha riassunto Víctor Hugo López, direttore del Frayba e moderatore di uno dei tavoli, “che il problema che tutti affrontiamo è sistemico”, per questo tutti i movimenti devono essere contro questo sistema.
Universitari di Cile e Cuba, leader indigeni di Bolivia ed Ecuador, rappresentanti di Occupy Wall Street, hanno condiviso esperienze insieme ai portavoce della resistenza purépecha di Cherán e della difesa wirrárika del deserto di Wirikuta, a San Luis Potosí. L’espressione culturale di zapotecos, maya peninsulari, tzeltales e tzotziles, ed il dibattito tra le diverse correnti del femminismo si sono incontrati qui dove sono prevalse le coincidenze, la chiarezza delle istanze antisistema e la condanna dei partiti quali monopolizzatori della politica e delle decisioni di governo.
“La lotta è dilungo respiro”, ha osservato Daniela Carrasco, del collettivo cileno Tendencia Estudiantil Revolucionaria, raccontando come il movimento studentesco del 2011 “ha cacciato la destra ed i partiti” nelle rappresentanze studentesche. “Non siamo un movimento apolitico, ma apartitico”, perché “non crediamo più nei personalismi né nei partiti; per questo si parla della crisi della democrazia rappresentativa cilena”, sostiene.
“Quello che non si è fatto in 20 anni, si è ottenuto in uno di lotta fervente”, ha affermato. Come pure, la rivendicazione della lotta di strada, l’appoggio della popolazione, la presa di decisioni collettiva ed orizzontale, l’organizzazione nazionale attraverso le nuove tecnologie di comunicazione, per superare il centralismo in un paese dalle grandi distanze geografiche e mentali. Ed ha ammesso come un processo ancora in corso il consolidamento dell’unità con i mapuche e rapa nui, i contadini ed i lavoratori del Cile. “La gioventù non sta dormendo, sta imparando, e con tanta voglia di continuare a lottare”.
Questo, in un paese tanto disuguale come lo è il Messico, ha segnalato Paulo Olivares, dell’Università Centrale del Cile. “Il nostro non è stato un movimento spontaneo”, ha aggiunto, ma costruito lungamente dal lavorio dell’azione popolare.
In giornate in cui hanno partecipato anche Luis Alberto Andrango, dirigente della discussa Confederazione Nazionale delle Organizzazioni Contadine, Indigene e Nere (Fenocin) dell’Ecuador, e la dirigente indigena Julieta Paredes Carvajal, della Bolivia, confrontando le contraddizioni dei loro governi considerati progressisti, ma ancora ancorati nelle pratiche della vecchia democrazia partitica funzionali al sistema globale di dominazione, è stata di particolare interesse la partecipazione degli studenti cubani che, hanno detto, “abbiamo ereditato una rivoluzione di 53 anni ed abbiamo di fronte la sfida di rifondarla e rifarla, soprattutto in questi tempi”, come ha dichiarato Danay Quintana, del Centro Martin Luther King, con sede a Marianao, all’Avana.
Come ha ammesso l’universitario Boris Nerey, “l’idea di ‘rifondare’ lo Stato a Cuba può essere presuntuosa”, ma il socialismo “è la costruzione permanente”, ed ancora, un vero “processo di civilizzazione”. Riconoscendosi nella tradizione rivoluzionaria dell’isola, Nerey ha segnalato l’esistenza “di un processo di ricostituzione storica della resistenza cubana” contro il nemico che non ha cessato le sue aggressioni. E, citando Fidel Castro, ha sottolineato che il processo rivoluzionario “ha prodotto due forze, una per la continuità del sistema socialista”, e correnti al suo interno che potrebbero farlo cadere.
Il rifiuto netto del sistema capitalista di dominazione è stato unanime negli interventi di Marlina, di Occupy Wall Street di New York; di Carlos Marentes, attivista tra i lavoratori agricoli in Texas e Nuovo Messico,e membro di Vía Campesina; di Santos de la Cruz Carrillo, rappresentante wirrárika, che ha ribadito che la resistenza indigena e non indigena ha impedito fino ad ora lo sfruttamento minerario nel deserto di Wirikuta, territorio sacro del suo popolo, a San Luis Potosí. O Salvador Campanur, di Cherán, dove un giorno la popolazione ha deciso di dire basta alla distruzione criminale dei suoi boschi, così come al ruolo manipolatore e di divisione dei partiti politici sulla meseta michoacana.
Da parte sua, la boliviana Paredes ha descritto l’esperienza del femminismo comunitario nel suo paese, senza negare l’importanza che ha avuto per le donne boliviane la lotta delle zapatiste, ed ha denunciato che la distruzione culturale e della natura “è costruita anche sull’oppressione delle donne”.
(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 3 gennaio 2012
L’EZLN è all’origine dell’attuale protesta sociale in tutto il mondo

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 2 gennaio. Due dei sociologhi-pensatori più influenti degli ultimi cinquant’anni, Pablo González Casanova e Boaventura de Sousa Santos, hanno parlato con entusiasmo della nascita dei movimenti sociali alternativi in tutto il mondo, ed entrambi hanno trovato l’origine di questo processo nella ribellione zapatista. “Siamo coscienti”, ha detto González Casanova, “che siamo sempre di più e che saranno sempre di più coloro che lotteranno in tutto il mondo per quello che nel 1994 era sembrata solo una ‘ribellione indigena postmoderna’ ma che in realtà è il principio di una mobilitazione umana notevolmente migliore preparata per ottenere la libertà, la giustizia e la democrazia”.
Il portoghese De Sousa, profondo conoscitore della realtà latinoamericana e impegnato nel cambiamento democratico dei paesi del nostro sud, ritiene che oggi “non si può da sinistra lottare contro il capitalismo” senza avere come riferimento l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Questo, durante il seminario internazionale Pianeta Terra: Movimenti Antisistemi che si è svolto per quattro giorni nel Cideci-Unitierra e si è concluso lunedì.
“Il movimento mondiale degli indignati della Terra è cominciato nella Selva Lacandona”, inizia così il documento di González Casanova per il seminario, ed è un “copione” da cui passare in questo momento complesso; un manuale di 17 punti, ad uso mondiale, per interpretare le nuove idee per un’azione che dovrà anche essere nuova: “Depauperati ed esclusi, indignati ed occupanti formulano teorie che contengono un grande supporto empirico, basate su una gran quantità di esperienze”; conoscenze, arti e tecniche “che corrispondono al sapere ed al saper fare dei popoli” che esaltava Andrés Aubry, ed ai valori tojolabales “di solidarietà umana” riscattati da Carlos Lenkersdorf.
“Pensiamo all’immensa mobilitazione degli indignati che lottano per un altro mondo possibile. Oggi – scrivono ammirati i due professori inglesi – la mobilitazione è gigantesca. Non ce nè mai stata una di tali dimensioni, e questa mobilitazione ‘è cominciata (aggiungono) nelle giungle del Chiapas con principi di inclusione e dialogo’ “, sostiene González Casanova. “Questo movimento universale con le sue differenze vive problemi simili” e trova “soluzioni simili per la creazione di un altro mondo ed un’altra cultura necessaria, quella che i popoli delle Ande esprimono come il buon vivere; ed il buon vivere di qualcuno non può dipendere dal cattivo vivere di altri”.
Lo slogan lanciato dal movimento zapatista per la libertà, la giustizia e la democrazia “viaggia per il mondo intero non come una eco, bensì come le voci di un pensare ed un volere simile”, segnala l’autore di La Democrazia in Messico. Questi movimenti “concordano sul fatto che la soluzione è la democrazia di tutti per tutti e con tutti, che non si delega, e che qualcuno chiama socialismo democratico o socialismo del secolo XXI ed altri solo democrazia, che è questo e molto altro, perché è un nuovo modo di rapportarsi con la terra e con gli esseri umani, una nuova forma di organizzare la vita”.
De Sousa, professore universitario dell’università di Coimbra e promotore del Forum Sociale Mondiale, ieri ha dichiarato che “c’è bisogno di un cambiamento di civiltà” per vincere il capitalismo dominante su scala planetaria. “Lo zapatismo è una finestra su come può essere questo cambiamento, l’unico che può salvare l’umanità”.
Descrivendo i processi progressisti in Brasile, Ecuador, Bolivia ed in altri paesi sudamericani, De Sousa ha segnalato aspetti paradossali in relazione ai contenuti contro lo Stato delle proteste antisistema. “La richiesta, oggi, in Cile e Tunisia di un’assemblea costituente”, ha suggerito, significa che lì, per il momento, si pensa necessario rifondare lo Stato. Il nostro continente, ha detto, “ha la possibilità di usare strumenti egemonici per essere contro-egemonici, utilizzandoli contro la classe dominante”.
Considerandosi marxista di vecchia data, ha ammesso che nei passati 20 anni le rivolte popolari importanti “sono state condotte da attori ignorati, non riconosciuti dal marxismo”. Ha elencato: donne, indigeni, gay e lesbiche, migranti, contadini, e questo, “che usano parole che la sinistra tradizionale non sa interpretare”, come territorio, dignità, spiritualità. Ha riconosciuto il valore da pioniere della nuova costituzione dell’Ecuador che riconosce i diritti della natura, “contributo del movimento indigeno la cui importanza crescerà solo col tempo” in tutto il mondo.
All’interno della “sociologia dell’emergenze” in cui viviamo, De Sousa ha ammesso che gli zapatisti “ci hanno insegnato un’altro modo di guardare il mondo; hanno rotto con l’ortodossia marxista avvalendosi di un discorso, una semantica e di idee innovative; ci hanno insegnato una nuova logica organizzativa che ha avuto un’influenza fondamentale in tutto il mondo”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/03/politica/009n1pol
(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 2 gennaio 2012

Le comunità zapatiste, un esempio di nuove forme di governo. Javier Sicilia: i movimenti antisistema possono restare uniti ai margini dello Stato

Hermann Bellinghasen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1° gennaio. Gli attuali movimenti antisistema “possono restare uniti in profondo dialogo ai margini dello Stato e della sua economia”, come hanno fatto le comunità zapatiste “creando forme pedagogiche e di governo”, ha affermato Javier Sicilia durante la terza giornata del Seminario Internazionale di Riflessione ed Analisi che si sta svolgendo in questa città.

Paulina Fernández e Gustavo Esteva, da riflessioni ed aspetti molto diversi, hanno concordato con Sicilia riguardo la sua valutazione dell’esperienza di autonomia e governo zapatista come elemento di grande esemplarità in questo momento in cui, avrebbe sostenuto più tardi – anche se di persona – Pablo González Casanova, “il 99 percento vincerà”.

Nella prima sessione è stato letto un breve messaggio di Marcos Roitman, inviato da Madrid, che oltre ad esprimere la sua “adesione” al seminario, ha ribadito il suo appoggio all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), “arma del pensiero critico” per avere la giustizia, la libertà e la democrazia, rendendo possibili alternative ai governi dei mercati nel mondo.

Con una dura descrizione critica della rapacità dei politici di tutti i partiti e del ruolo distorto dei partiti nella pratica democratica come puro business, Paulina Fernández, che studia da vicino il funzionamento reale e quotidiano dei governi autonomi zapatisti, ha criticato con dati ed esempi queste due forme diverse e non conciliabili di esercitare le responsabilità di governo e rappresentanza.

Ha raccontato l’esperienza “del compa Jolil” e le motivazioni che l’hanno portato a partecipare ad un consiglio municipale autonomo, opponendola alle scandalose cifre  che ci costano i politici e governanti, con i loro stipendi e benefits, sia per incarichi di rappresentanza che di governo o struttura di partito. Migliaia di milioni di pesos, la decomposizione e la mancanza di impegno sono la dimostrazione “di quello di cui è fatta la democrazia che ci hanno imposto”, in un paese profondamente disuguale.

All’opposto c’è l’esperienza del “compa” indigeno, che la ricercatrice ha potuto accompagnare e conoscere durante i due anni in cui è stato “consejo“, come le comunità zapatiste definiscono chi svolge funzioni di governo. Senza retribuzione economica né bisogno di “sapere” governare, gli indigeni partecipano per elezione delle loro comunità a strutture di delibera e decisioni collettive, la cui unica ragion d’essere è il servizio. Fernández ha denunciato “l’impudicizia” di molti dei politici che si presentano senza aver reso conto delle funzioni svolte in precedenza, o con ancora carichi pendenti. “Cercano la nomina che li protegga dalle loro precedenti malefatte”.

“Tutti i compagni svolgono tutte le attività”, ha poi sottolineato. Praticano un “governo differente”. Ha visto lavorare “al potere” Jolil per due anni, dove “è cresciuto come zapatista e come persona, senza corrompersi”. Attribuisce questo risultato agli obiettivi chiari della lotta dell’EZLN e delle comunità che, “senza arrendersi”, mantengono “la solidità morale dell’organizzazione zapatista”.

Gustavo Esteva, assente al Seminario per motivi di salute, come Pablo González Casanova ed il filosofo Luis Villoro, ha inviato un contributo nel quale, seguendo le sue recenti riflessioni dalle pagine di La Jornada, non colloca il momento attuale “sull’orlo dell’abisso”, perché “siamo già precipitati e non si vede il fondo”.

Condividendo con Fernández la caduta della cosiddetta “democrazia” istituzionale, dove le elezioni sono “un circo a tre piste”, mentre prosegue “il mostruoso e spropositato piano di guerra di Felipe Calderón, che da un problema di salute pubblica è diventato un problema di sicurezza nazionale”, sfociato in “una guerra civile senza chiarezza tra le bande in lotta”, Esteva si domanda ripetutamente: “Perché ci siamo fatti trascinare fino a questo punto?”

Citando il subcomandante Marcos, sottolinea come così si stia distruggendo il tessuto sociale di un paese dove dominano “gli scandali dei troppo ricchi e dei i troppo poveri”. Riferendosi ad Iván Ilich come autore cardine, in consonanza con Sicilia e Jean Robert, Esteva pensa che l’antidoto contro la “credenza fondamentalista” in una democrazia dove “le elezioni servono per stabilire a chi spetterà di premere il grilletto”, sta nei nuovi comportamenti, “alternativi alla wallmartizzazione del mondo”. Ciò che potrebbe essere “un’altra sinistra” alimentata dalle proteste mondiali, le occupazione e gli indignados che sono intervenuti ieri in questo seminario.

Il poeta Javier Sicilia ha fatto riferimento ai “nuovi poveri” dalla certezza che il cambiamento avverrà solo se “non si metterà il vino nuovo negli otri vecchi”. Paragonando i movimenti zapatista e quello di Paz con Justicia y Dignidad, ha rimarcato le loro similitudini, perché “nascono dall’idea che si possono trasformare le condizioni imposte dallo Stato”. Sono, ha detto, “forme nuove che preludono a quello che si sta sviluppando nel presente disastro”. http://www.jornada.unam.mx/2012/01/02/politica/008n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Nell’ambito del 18° anniversario dell’insurrezione dell’EZLN, condividiamo con voi un video in cui diverse voci riflettono sulla trascendenza della lotta Zapatista nelle loro realtà e nelle diverse esperienze locali e globali.
1994-2012   
18 años de rebeldía y resistencia
Realizzazione: Clayton Conn
Interviste: Marcela Salas Cassani e Clayton Conn
 
Testi e foto della seconda giornata del Secondo Seminario Internazionale di Riflessione e Analisi “Pianeta Terra: Movimenti Antisistema”, che si svolge a San Cristóbal de las Casas, Chiapas.
“La lotta zapatista, incentivo per continuare a lottare per un mondo diverso”: rappresentanti di Occupy Wall Street
Marcela Salas Cassani
Foto Moysés Zúñiga e Clayton Conn
 
L’EZLN è magiorenne  ( Los de Abajo – La Jornada)
Gloria Muñoz Ramírez

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LE SINISTRE E LA FINE DEL CAPITALISMO

di Raúl Zibechi

L’attuale crisi mondiale sta frammentando il pianeta in regioni a tal punto che il sistema-mondo è prossimo ad una crescente disarticolazione. Uno degli effetti di questa crescente regionalizzazione del pianeta è che i processi politici, sociali ed economici non si manifestano più nello stesso modo in tutto il mondo e producono divergenze – in futuro, forse, biforcazioni – tra il centro e la periferia.

Per le forze antisistemiche questa disarticolazione globale rende impossibile il disegno di un’unica e sola strategia planetaria e inutili i tentativi di stabilire tattiche universali. Sebbene esistano ispirazioni comuni e obbiettivi generali condivisi, le diverse velocità che registra la transizione al postcapitalismo e le notevoli differenze tra i soggetti antisistemici minano possibili generalizzazioni.

Tuttavia ci sono due questioni rilevanti che riguardano le strategie in tutto il mondo. La prima è che il capitalismo non cadrà a pezzi né collasserà da solo, ma dovrà essere sconfitto dalle forze antisistemiche, siano movimenti di base orizzontali e comunitari, partiti più o meno gerarchici  incluso i governi di segno anticapitalista.

Parafrasando Walter Benjamin, bisognerebbe dire che niente è stato più deleterio per il movimento rivoluzionario quanto il credere che il capitalismo sarebbe caduto sotto il peso delle proprie “leve” interne, soprattutto di carattere economico. Il capitale venne al mondo avvolto da sangue e fango, come diceva Marx, e dovette attraversare una catastrofe demografica come quella prodotta dalla peste nera perché le popolazioni, paralizzate dalla paura, si sottomettessero non senza resistenze alla logica dell’accumulazione di capitale. È la gente che deve perdere la paura, come fanno gli zapatisti, per cominciare a ri-appropriarsi dei mezzi di produzione e di cambiamento, e costruire qualcosa di diverso.

La seconda questione è che la transizione ad una nuova società non sarà breve né avverrà in pochi decenni. Fino ad ora tutte le transizioni hanno richiesto secoli di enormi sofferenze, in società dove i meccanismi comunitari ponevano limiti alle ambizioni, dove la pressione demografica era molto minore e il potere di quelli in alto non assomigliava per niente a quello che oggi detiene l’uno per cento dei più ricchi.

In America Latina, negli ultimi tre decenni i movimenti antisistemici hanno inventato nuove strategie per cambiare le società e costruire un mondo nuovo. Esistono anche riflessioni e ragionamenti sull’azione collettiva che nei fatti divergono dalle vecchie teorie rivoluzionarie, sebbene sia evidente che non negano i concetti coniati dal movimento rivoluzionario in due secoli di storia. Nell’attuale congiuntura possiamo registrare tre fatti che impongono riflessioni diverse da quelle che stanno sviluppando le forze antisistemiche in altre regioni.

In primo luogo, l’unità delle sinistre è avanzata in forma notevole e in non pochi casi queste sono arrivate al governo. Almeno in Uruguay, in Bolivia e in Brasile l’unità delle sinistre è avanzata fin dove le era possibile. Certamente al di fuori di queste forze ci sono partiti di sinistra (soprattutto in Brasile), però questo non cambia il fatto fondamentale che l’unità è stata raggiunta. In altri paesi, come l’Argentina, parlare di unità della sinistra è dire molto poco.

La questione centrale è che le sinistre, più o meno unite, hanno dato quasi tutto quello che potevano dare al di là della valutazione che si possa fare sul loro operato. Gli otto governi sudamericani che possiamo definire di sinistra hanno migliorato la vita delle persone e diminuito le loro sofferenze, ma non sono avanzati nella costruzione di nuove società. Si tratta di constatare fatti e limiti strutturali che indicano che da quella strada non si può ottenere più di quanto conquistato.

In secondo luogo, in America Latina esistono embrioni, fondamenta o semi delle relazioni sociali che possono sostituire il capitalismo: milioni di persone vivono e lavorano nelle comunità indigene in ribellione, negli accampamenti dei contadini senza terra, nelle fabbriche recuperate dagli operai, nelle periferie auto-organizzate, e partecipano a migliaia di attività nate nella resistenza al neoliberismo e che si sono trasformate in spazi alternativi al modo di produzione dominante.

Terza cosa, le sofferenze generate dalla crisi sociale provocata dal neoliberismo nella regione sono state rallentate dalle iniziative di sopravvivenza create dai movimenti (dalle mense ai panifici popolari), prima che i governi usciti dalle elezioni si ispirassero alle stesse attività per promuovere programmi sociali. Queste iniziative sono state e sono ancora fondamentali per la resistenza e la creazione allo stesso tempo di alternative al sistema, dato che non solo riducono le sofferenze ma generano pratiche autonome dagli stati, dalle chiese e dai partiti.

Come segnala Immanuel Wallerstein ne La sinistra mondiale dopo il 2011, l’unità delle sinistre può sicuramente contribuire a far nascere un mondo nuovo e, allo stesso tempo, ridurre i dolori del parto. Ma in questa regione del modo buona parte di quei dolori non sono calati con le vittorie elettorali della sinistra. In Ecuador ci sono quasi 200 persone rinchiuse con l’accusa di terrorismo e sabotaggio per la loro opposizione alle miniere a cielo aperto. Tre militanti del Fronte Darío Santillán sono stati assassinati dalle mafie a Rosario, in quello che potrebbe essere l’inizio di una escalation contro i movimenti. Centinaia di migliaia sono gli sfollati dalle loro case in Brasile a causa della speculazione per la Coppa del Mondo del 2014. La lista è lunga e in continuo aumento.

L’unità della sinistra può essere positiva. Ma la battaglia per un mondo nuovo sarà molto più lunga della durata dei governi progressisti dell’America Latina e, soprattutto, si risolverà in spazi macchiati di sangue e fango.

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.org – http://www.caferebeldefc.org/)

fonte: http://www.jornada.unam.mx/2012/01/13/index.php?section=politica&article=027a2pol&partner=rss

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Los de Abajo

 Maggiorenne

Gloria Muñoz Ramírez

18 anni fa l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) irrompeva nella vita pubblica del paese e del mondo. Questo primo di gennaio l’insurrezione diventa maggiorenne, una maturità politica rappresentata dal lavoro quotidiano di più di mille comunità indigene che organizzano la propria autonomia in un processo ancora non comparabile con i molti altri presenti in tutto il paese. Nelle cinque regioni del Chiapas dichiarate in ribellione continua ad esserci un esercito regolare armato. Non usa le armi, vero, perché è vigente l’impegno per la pace che ha stipulato con la società civile nelle prime settimane del 1994.

18 anni fa gli zapatisti arrivarono per restare, nonostante le molte offensive militari, paramilitari, di contrainsurgencia, intellettuali, i mezzi di comunicazione ed i partiti, alle quali hanno resistito durante i governi federali di Carlos Salinas, Ernesto Zedillo e Vicente Fox, ed attualmente di Felipe Calderón.

18 anni fa gli zapatisti tzotziles, tzeltales, zoques, mames, tojolabales, choles e meticci, fecero la loro apparizione pubblica con la presa di sette capoluoghi municipali del Chiapas. Non sono gli stessi di allora, come non lo è il paese che li vide nascere nella clandestinità nel 1983, quello che li ricevette l’alba del primo gennaio del 1994, quello che percorsero da sud a nord nel 2006, né quello che in questo momento è infognato in una guerra in “contro il narcotraffico” che è costata la vita a più di 50 mila persone.

Il 6 maggio scorso, in un’affollata manifestazione, dopo cinque anni di assenza al di fuori del loro territorio, più di 20 mila basi di appoggio hanno unito il loro grido e silenzio a quello del Movimento per la Pace. La loro posizione è stata la stessa di 18 anni fa: “Non siamo qui per indicare strade, né per dire che cosa fare, né per rispondere alla domanda: che cosa succederà”.

La lotta zapatista non è nata né è proseguita sulla base di rivendicazioni puramente indigene. Fin dall’inizio, raccontano, si pensò alla lotta nazionale. Il tenente colonnello Moisés una volta spiegò che nel 1983 si domandavano: “Come faremo per avere buona assistenza sanitaria, buona educazione, buone case per tutto il Messico? In quei primi 10 anni acquisimmo molte conoscenze, esperienze, idee, modi di organizzarci. E pensavamo: come ci accoglierà il popolo del Messico (non lo chiamavamo ancora società civile)? E pensavamo che ci avrebbero accolto con gioia, perché avremmo combattuto e saremmo morti per lui, perché vogliamo che ci siano libertà, democrazia e giustizia per tutti. Ma nello stesso tempo pensavamo, come sarà? E se non ci accetteranno?” http://www.jornada.unam.mx/2011/12/31/opinion/013o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada-Sabato 31 dicembre 2011

Seminario in Chiapas sui parametri imposti dal potere. Il progresso: falsa promessa dei ricchi per rubare ai poveri

Dopo 18 anni le comunità indigene ancora devono far fronte alla guerra

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 dicembre. Con la sfida di affrontare il concetto innovativo della “potenza dei poveri“, che l’intellettuale tzeltal Xuno López ha definito “provocatorio”, a mezzogiorno è iniziato il secondo Seminario Internazionale di Riflessione ed Analisi, nella Cideci-Università della Terra, in questa città. Ha dato avvio al dibattito la presentazione del libro-conversazione dei pensatori Jean Robert e Majid Rahnema, che ha proprio questo titolo. Come intendere da lì lo sviluppo, il progresso ed in generale i parametri imposti dal potere?

Convocato alla vigilia del diciottesimo anniversario dell’insurrezione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, nella sessione del mattino il seminario ha anche dato luogo ad una precisa effemeride dell’antropologa Mercedes Olivera, sulla ribellione zapatista e la guerra occulta, economica e paramilitare che ancora devono affrontare le comunità indigene del Chiapas dalla resistenza e l’autonomia, dalle quali emana la loro forza. Sarebbe questa la “potenza” cui allude l’opera di Rahnema e Robert.

Lo stesso Robert, durante la prima sessione, ha enunciato l’opposizione tra “la povertà come sintomo della ricchezza” e “la ricchezza come sintomo della povertà”. Da dove guardare? O come López ha sottolineato: “i poveri, lo sono secondo chi?”, cercando di trovare una traduzione nella sua lingua, oppure in tzotzil, di quel concetto generalizzato dal sistema di dominazione. Poi, Rafael Landerreche, educatore e collaboratore di Las Abejas di Acteal, ha fornito una caratterizzazione di questo “dogma” imposto dall’educazione e dall’ideologia, citando l’infallibile scrittore inglese Chesterton, che diceva che il progresso è la storia che i ricchi raccontano ai poveri ogni volta che i ricchi li vogliono derubare di qualcosa.

Xuno López, originario di Tenejapa, che ha iniziato il suo intervento in tzotzil, in considerazione che questa è la lingua di un gran numero dei presenti, ha fatto un esempio molto eloquente, che di fatto è servito ad illustrare tutta la sessione: “la falsa promessa evidente” della città rurale di Santiago el Pinar, una comunità degli Altos reputata dal governo povera tra i poveri alla quale il governo e diverse imprese hanno costruito una “città” affinché abbandonasse le case sui loro terreni per andare, si presume,” a vivere meglio”.

Seguendo la similitudine del bastone e la carota,utilizzata da quasi tutti i conferenzieri, López ha detto che i coloni di El Pinar, quasi obbligati ad accettare la promessa, “hanno beneficiato di queste case, se così si possono definire” ed abbandonato le proprie abitazioni. Dopo essersi stabiliti nelle nuove case hanno perso ogni illusione. Le loro case di origine erano ampie. Ora andavano a vivere meglio, ma secondo chi? La delusione dei fratelli, ha detto, è dovuta al fatto di aver accettato il concetto di povertà dettato dal sistema, poiché “l’arte di vivere dei popoli parte da quello che è necessario, arte che si può trovare nelle comunità”.

Come ha scritto Landerreche nel libro (“che critica i kaxlanes”), esiste una differenza sostanziale tra “un uomo di potere” e “un essere con potenza”. Da qui “si può rinunciare al potere, non alla potenza” (la possibilità di fare, decidere, governarsi). I popoli originari ed i movimenti organizzati si oppongono alla logica divoratrice dell’accumulo di capitale che Jean Robert colloca al primo paragrafo del Capitale di Karl Marx. La logica che impone una ch’ulel (coscienza, anima o spirito, in lingue maya) sbagliata ed aliena, come diceva López, alle persone che si convincono di avere bisogno di quello di cui non hanno affatto bisogno, accettando il bastone per raggiungere la carota del progresso promesso.

Il “sviluppo” che accompagna il saccheggio capitalista “distrugge la povertà dignitosa con la povertà indegna”, nel senso che il sistema capitalista non smette mai di produrre “poveri”, critica al potere condivisa da tutti i partecipanti, tra i quali ci sono anche la ricercatrice Ana Valadez e lo studioso ed attivista zapoteco Carlos Manzo.

Manzo ha detto di trovare questa “potenza dei poveri” nella resistenza dei popoli, che include resistere al pensiero economico occidentale “che non necessariamente riflette la realtà della vita dei popoli indios”. Sostiene che “sono le vere rivoluziona quelle che permettono la libertà”, realizzate da “coloro che sono gli unici supporti degni delle rivoluzioni che funzionano” e garantiscono la dignità del buon vivere. Ha citato le esperienze oaxaqueñas degli ikoots, gli zapotechi e gli zoques dei Chimalapas come lotte concrete contro il saccheggio e per la dignità, che possono dirci “come costruire questi domani differenti”.

López ha affermato: “I popoli hanno contribuito molto al cammino verso il cambiamento attraverso la costruzione delle autonomie. È lì che si trova la nostra potenza come popoli, contro il ch’ulel dei dominatori”.

Le sessioni del Seminario Internazionale sono proseguite in serata con un incontro tra Xóchitl Leyva, Mercedes Olivera, Jerome Baschet e Ronald Nigh. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/31/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 dicembre 2011

Las Abejas commemorano il massacro di Acteal con una giornata di resistenza. Quattordici anni dopo chiedono di punire i responsabili

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 21 dicembre. Da due giorni, dei tre previsti, si stanno svolgendo le commemorazioni della Società Civile Las Abejas del massacro di Acteal a Yabteclum, municipio di Chenalhó, dove le cinque zone dell’organizzazione tzotzil hanno iniziato da martedì alcune “giornate di digiuno e preghiera”; ma anche “di memoria della resistenza”, di conoscenza dell’attuale “situazione di violenza nel nostro paese”.

Le famiglie di Las Abejas hanno accolto nel pomeriggio la marcia “contro la violenza di Stato, per la pace, la memoria e contro l’impunità”, partita da San Cristóbal all’alba di ieri, per alcuni tratti a piedi ed altri in auto, alla maniera delle “torce” guadalupane. Intanto, adActeal, da martedì stanno giungendo gruppi di indigeni cattolici di Simojovel, Chenalhó, Pantelhó e Mitontic.

Come ogni anno in questo giorno, ed ogni giorno 22 di tutti i mesi dei passati quattordici anni, Las Abejas ricordano i loro 45 morti del 1997 e continuano a chiedere giustizia e rispetto da parte delle autorità, così come la punizione degli autori materiali ed intellettuali del massacro.

A nome dell’organizzazione, Antonio Gutiérrez ha dichiarato che nel nostro paese la giustizia viene “garantita unicamente ad amici e soci” dei governanti di turno. Ha citato la responsabilità nei fatti dell’allora governatore del Chiapas, Julio César Ruiz Fierro; del segretario di Governo, Emilio Chuayffet Chemor, e del presidente della Repubblica, Ernesto Zedillo Ponce de León.

Tutte le processioni convergeranno all’incrocio di Majomut, all’altezza della base militare, per dirigersi ad Acteal e celebrare il ricordo con l’abituale contributo di Las Abejas per la denuncia e la solidarietà, e per manifestare anche “contro l’impunità da nord a sud del nostro paese” e “l’accelerato processo di militarizzazione, paramilitarizzazione e mancanza di controllo sociale”, come deliberata strategia del governo di Felipe Calderón Hinojosa.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 18 dicembre 2011

Sospese le cure mediche al detenuto dell’Altra Campagna Alberto Patishtán

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 17 dicembre. I detenuto dell’Altra Campagna che tra settembre e novembre per 39 giorni avevano sostenuto uno sciopero della fame in tre prigioni del Chiapas, senza però ottenere la libertà, salvo per due di loro, annunciano l’intenzione di proseguire “in questa trincea della nostra resistenza” nelle prigioni, perché si dichiarano innocenti. La liberazione di Alberto Patishtán, oggi in una prigione federale in Sinaloa, continua ad essere la principale richiesta del movimento, che va oltre la protesta del digiuno conclusa il passato 7 novembre, per la mancanza di risposte del governo statale.

Il professor Patishtán “è sottoposto a condizioni molto dure nel carcere di Guasave”, informano i detenuti della Voz del Amate, Solidarios de la Voz del Amate e Voces Inocentes dal carcere N. 5 di San Cristóbal. In una conversazione telefonica, lo stesso Patishtán ha denunciato che gli è stato sospeso il trattamento medico contro il glaucoma e che è tenuto in isolamento. Non potrà ricevere nemmeno un libro prima di sei mesi. “Mi hanno completamente ignorato”, ha detto.

Uno dei suoi compagni, il promotore di salute Pedro López Jiménez, a conoscenza della malattia di Patishtán Gómez, racconta che quando questi arrivò nella prigione di El Amate a San Cristóbal nell’aprile del 2009, “ci si accorse che stava perdendo la vista dall’occhio destro; allora fu portato in ospedale dove rimase ricoverato per oltre cinque mesi”, e gli fu diagnosticato il glaucoma.

A causa dello sciopero della fame, del quale era portavoce, Patishtán è stato trasferito in una prigione di massima sicurezza “per isolarlo”. Oggi, aggiunge López Jiménez, “gli hanno tolto le gocce che i medici hanno raccomandato di non sospendere nemmeno per un solo giorno; io, come promotore di salute, conosco la malattia di Alberto perché gli mettevo le gocce tutti i giorni quando ero in quella prigione”. López Jiménez chiede al governo federale “di dare istruzioni affinché le gocce siano nuovamente concesse come trattamento del glaucoma”.

Come hanno dichiarato i suoi compagni Rosario Díaz Méndez, Alfredo López Jiménez, Juan Collazo Jiménez e Juan Díaz López, le autorità hanno trattato Patishtán “come un criminale pericoloso, benché il governo dello stato abbia riconosciuto pubblicamente la sua innocenza”. I detenuti indigeni esortano il governo di Felipe Calderón “ad intervenire per la sua liberazione, così come chiediamo il suo trasferimento vicino alla sua famiglia e le cure per la sua malattia”. Chiedono inoltre al governo di Juan Sabines Guerrero a concedere a tutti loro “la libertà incondizionata che ci è stata rubata”.

Grazie allo sciopero, il 16 novembre Juan Collazo Jiménez è stato trasferito dal carcere N. 6 di Motozintla a quello di San Cristóbal de las Casas. Non è stato rilasciato, ma non è più “in punizione” lontano dalla sua famiglia e dai suoi compagni da un anno, sottoposto a tortura psicologica e punizioni fisiche come parte di “una strategia di destrutturazione sociale e politica”, sostengono i detenuti.

Il 15 novembre, grazie allo sciopero della fame, sono stati liberati due dei detenuti dell’Altra Campagna, Andrés Núñez Hernández e José Díaz López.

Tuttavia, Alfredo López Jiménez e Rosario Díaz Méndez hanno denunciato “la carente assistenza medica” nel carcere N. 5, per mancanza di personale, medicine e risorse materiali. Con queste pratiche, denunciano, “l’istituzione penitenziaria a carico del Sottosegretariato degli Istituti Penali del Chiapas, viola gli articoli 4 e 18 della Costituzione sul diritto alla salute dei reclusi nei penitenziari della Repubblica”, così come i relativi trattati internazionali.

Qualche giorno fa, i detenuti aderenti all’Altra Campagna hanno così ringraziato per la solidarietà internazionale ricevuta: “Anche se non abbiamo ottenuto politicamente nulla, abbiamo ottenuto molto più di quello che immaginavamo, perché abbiamo il vostro immenso appoggio nel chiedere la giustizia e la libertà. Siamo qui con rinnovata volontà di continuare a lottare con coraggio e forza. Non importano gli ostacoli e gli oltraggi, perché noi siamo una famiglia numerosa quante sono le stelle la cui luce è visibile da lontano, che è la solidarietà con le nostre lotte”. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/18/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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IIº Seminario Internazionale di riflessione e analisi “Pianeta terra: movimenti antisistema”. CIDECI, dal 30 dicembre al 2 gennaio

Partecipanti confermati:

… Pablo González Casanova, Sylvia Marcos,
Boaventura de Souza, Fernanda Navarro, Javier
Sicilia, Julieta Paredes (Bolivia),
Jean Robert, Anselm Jappe, Mercedes Olivera,
Gustavo Esteva,
Luis Villoro, Carlos Marentes (Texas), Paulina
Fernández C., Luis Andrango (Ecuador), Xóchitl
Leyva, Nelson Maldonado T., Jérôme Baschet…

30-31 dicembre 2011
1-2 gennaio 2012

CIDECI-UNITIERRA CHIAPAS
Camino Viejo a San Juan Chamula s/n.
Colonia Nueva Maravilla.
San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico
email: unitierra_chiapas@prodigy.net.mx

Questo è quello che ci dicono le loro parole ed i loro silenzi: Che la storia del Messico è tornata a macchiarsi di sangue innocente. Che decine di migliaia di persone sono morte in questa guerra assurda che non porta da nessuna parte. Che la pace e la giustizia non hanno più posto in nessun angolo del nostro paese. Che l’unica colpa di queste vittime è essere nati o abitare in un paese malgovernato da gruppi legali e illegali assetati di guerra, di morte e di distruzione. Che questa guerra ha come principale bersaglio militare esseri umani innocenti, di tutte le classi sociali, che non hanno niente a che vedere né col narcotraffico né con le forze governative. Che i malgoverni, tutti, federale, statali e municipali, hanno trasformato le strade in zone di guerra senza che chi le percorre e vi lavora fosse d’accordo ed avesse gli strumenti per proteggersi (…) Che i malgoverni hanno creato il problema e non solo non ‘hanno risolto, ma l’hanno esteso ed approfondito in tutto il Messico. Che c’è immenso dolore e pena per tante morti senza senso.  Stop alla guerra. Basta sangue. Ne abbiamo abbastanza. Ora basta.

Parole dell’EZLN a sostegno della Marcia Nazionale per la Pace
7 maggio 2011

Sì, è vero, possiamo organizzarci. E non solo i sapienti malgoverni, anche noi abbiamo una testa, abbiamo idee per pensare a come organizzare, come organizzarci… Anche noi lotteremo con tutto il popolo del Messico… ed invitiamo tutta la gente ad organizzarsi per unirsi alla lotta, perché se non lotteremo, se cederemo ai malgoverni ci inganneranno…  Sì, possiamo governarci, lo abbiamo già visto che possiamo formare il nostro municipio, anche se non piace al malgoverno… ma, lo abbiamo fatto perché è un nostro diritto.

Comandanta Dalia (“Intervista a Radio Insurgente”, Rebeldía, 78, 2011)

 Oggi più che mai le forze globali modellano la vita dei popoli. Il nostro lavoro, salute, casa, educazione e pensioni sono controllate da banche, mercati, paradisi fiscali, corporazioni e crisi finanziarie. L’ambiente è distrutto dall’inquinamento. La nostra sicurezza è determinata da guerre internazionali e dal commercio internazionale di armi, droga e risorse naturali.  Stiamo perdendo il controllo sulle nostre vite. Questo si deve fermare. Questo si fermerà.  I cittadini del mondo devono prendere il controllo sulle decisioni che li colpiscono a tutti i livelli, dal globale al locale. Questa è la democrazia globale. Questo è quello che oggi chiediamo.  Come zapatisti messicani, diciamo “Ora basta. Qui il popolo comanda ed il governo obbedisce!”. Come nelle piazze occupate in Spagna diciamo “Democrazia Vera Adesso! “. Oggi ci rivolgiamo ai cittadini del mondo:  Globalizziamo Piazza Tahrir! Globalizziamo la Puera del Sol!

Manifesto ” Uniti per una democrazia globale” (15 ottobre 2011)

Media liberi che copriranno l’evento dal vivo e con aggiornamenti:

http://chiapas.indymedia.org
http://www.komanilel.org
http://radiopozol.blogspot.com

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/12/08/ii%C2%BA-seminario-internacional-de-reflexion-y-analisis-planeta-tierra-movimientos-antisistemicos-cideci-dic-30-a-ene-02/

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La Jornada – Lunedì 12 dicembre 2011

ONG: I governi del Chiapas e federale minacciano l’integrità dei popoli indigeni, che respingono il programma REDD+, “perché implica la privatizzazione di un bene comune” come l’aria

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 11 dicembre. Una ventina di comitati ed organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno diffuso una dichiarazione nella quale esprimono il timore della “minaccia costituita sia dal governo del Chiapas sia dal governo federale ed imprese private, per l’integrità dei territori dei popoli indigeni e rurali e dei loro stili di vita”.

Riuniti in questa città nel Forum Regionale per la Difesa dei Diritti Umani “per discutere i problemi e le sfide” della validità di queste garanzie nella regione, organismi indipendenti di tutto lo stato hanno concluso che “la vita delle comunità indigene e contadine deve affrontare molte minacce  di fronte al deterioramento e saccheggio dei territori e dei suoi beni naturali, che genera altra povertà e la rottura del tessuto sociale, che si traduce in crescente emigrazione e scontento”.

Ritengono che “le politiche restrittive di migrazione alle nostre frontiere sud e nord generano condizioni di gravi violazioni dei diritti fondamentali, attentano alla vita, all’integrità fisica ed alla libertà dei migranti da parte degli agenti statali o di gruppi criminali protetti dai primi”.

La protesta sociale derivante “dallo scontento e dall’indignazione” sono “durante soffocate dalle forze di sicurezza o per via giudiziaria, in particolare contro i difensori dei diritti umani”.

Le organizzazioni si sono espresse in particolare contro il programma Reducción de Emisiones por Deforestación y Degradación Evitada plus (REDD+), promosso dai governi chiapaneco e federale, “perché implica la mercificazione e privatizzazione di un bene comune, come l’aria pura, e perché è stato studiato come parte della strategia di saccheggio del territorio ed abuso sociale nella Selva Lacandona, ed implica lo sgombero ed il ricollocamento forzato di 40 comunità indigene”.

Esprimono preoccupazione “per la latente riattivazione” della miniera in Chicomuselo, data in concessione ad una società canadese “che, secondo alcune voci, sarebbe stata trasferita ad un’impresa a capitale cinese”. L’attività della miniera ha già colpito l’ambiente delle comunità limitrofe, senza rispettare il diritto di essere consultate. Il pronunciamento si unisce alle organizzazioni locali che esigono la cancellazione dei permessi di sfruttamento.

Importanti organizzazione del Chiapas come Frayba, Fray Matías de Córdova, Oralia Morales, Digna Ochoa e Melel Xolobal, hanno chiesto di fermare la costruzione delle città rurali “perché colpiscono le forme tradizionali di produzione e di vita della popolazione locale, oltre a non apportare i millantati miglioramenti  nell’accesso ai servizi”. Esprimono preoccupazione perché il ricollocamento “è una forma velata di spostamento forzato in favore di interessi economici alieni alle comunità”. Citano l’annunciata costruzione di una quinta diga sul fiume Grijalva, a Copainalá, di una città rurale nello stesso municipio e di un’altra aIxhuatán, dove sono state denunciate prospezioni minerarie.

Manifestano solidarietà “con la lotta per la terra ancestrale dei fratelli zoques nella regione dei Chimalapas, e si augurano che “le comunità oggi vessate dai governi di Chiapas e Oaxaca trovino accordi di convivenza pacifica”. Nello stesso tempo, si uniscono alla richiesta di tariffe eque rispetto a bollette “irrazionali ed ingiustificate” della Commissione Federale dell’Elettricità.

In particolare, denunciano “il terribile deterioramento ambientale delle paludi di Centla, casa dei nostri fratelli maya chontales , le cui tradizioni culturali legate alla madre terra sono state pregiudicate dallo sfruttamento sconsiderato della Petróleos Mexicanos e dalla gestione delle acque del governo di Tabasco e della Commissione Nazionale dell’Acqua, che deviano l’acqua da Villahermosa verso le paludi, obbligando da cinque anni gli abitanti a vivere inondati. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/12/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Subcomandante Insurgente Marcos. UNA MORTE… O UNA VITA (Quarta lettera a Don Luis Villoro nello scambio su Etica e Politica)

UNA MORTE… O UNA VITA

Ottobre-Novembre 2011

Chi nomina chiama. E qualcuno accorre, senza appuntamento, senza
spiegazioni, nel luogo in cui il suo nome, detto o pensato, lo sta
chiamando.
Quando ciò accade, si ha il diritto di credere che nessuno se ne va del
tutto finché non muore la parola che chiamando, lo riporta.
Eduardo Galeano.
“Finestra sulla Memoria”, da Las Palabras Andantes. Ed. Siglo XXI.

Per: Luis Villoro Toranzo.
Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Don Luis:

Salute e saluti.

Prima di tutto, auguri per il suo compleanno il 3 novembre. Speriamo che con queste lettere riceva anche l’abbraccio affettuoso che, anche se a distanza, le mandiamo.

Proseguiamo quindi in questo scambio di idee e riflessioni. Forse ora più solitari per la confusione mediatica che si solleva intorno alla definizione dei nomi dei tre bricconi che si disputeranno la guida sugli insanguinati suoli del Messico.

Con la stessa frenesia con cui spediscono le loro fatture per “spese di promozione immagine”, i mezzi di comunicazione si allineano alle diverse parti. Tutti concordano che le scempiaggini che esibiscono con impudicizia i rispettivi aspiranti, si possono coprire solo facendo più rumore sopra quelle dell’avversario.

Il periodo dell’ansia degli acquisti natalizi coincide con la vendita delle proposte elettorali. Chiaro, come la maggioranza degli articoli che si vendono in questo periodo dell’anno, senza garanzia alcuna e senza la possibilità di restituzione.

Dopo le esequie del suo ex-segretario di governo, Felipe Calderón Hinojosa è corso gioioso “all’estremo saluto” per dimostrare che ciò che importa è consumare, non importa che i sottosegretari di Stato siano morituri e con indeterminata data di scadenza.

Ma, anche in mezzo al rumore ci sono suoni per chi sa cercare ed ha la determinazione e la pazienza sufficienti per farlo.

Ed in queste righe che le mando ora, Don Luis, palpitano morti che sono vite.

 

I.- Il potere del Potere.

“La libertà di scelta ti permette di scegliere la salsa con
la quale sarai mangiato.”

Eduardo Galeano.
“Finestra sulle Dittature Invisibili” Ibid.

“Che ci governino, giudichino e se ne occupino le puttane,

visto che i loro figli hanno fallito”
dal blog laputarealidad.org

 

Devo averlo letto o sentito da qualche parte. Era qualcosa come “il Potere non è avere tanti soldi, ma mentire e fare che ti credano molti, tutti, o almeno tutti quelli che contano.”

Mentire in grande e farlo impunemente, questo è il Potere.

Bugie giganti che includono accoliti e fedeli che diano loro validità, certezza, status.

Bugie che diventano campagne elettorali, programmi di governo, progetti alternativi di nazione, piattaforme di partito, articoli su giornali e riviste, commenti in radio e televisione, slogan, credo.

E la bugia deve essere così grande da non essere statica. Deve cambiare, non per diventare più efficace, ma per provare la lealtà dei suoi seguaci. I maledetti di ieri saranno i benedetti appena girate alcune pagine del calendario.

È il Potere – o la sua vicinanza – il grande corruttore?

A lui arrivano uomini e donne con grandi ideali, ed è l’agire perverso e corruttore del Potere quello che li obbliga a tradirli fino ad arrivare a fare il contrario e contraddittorio?

Dal pieno impiego alla guerra sanguinosa (e persa)…

Da “la mafia nel potere” alla “repubblica amorevole”…

Da “seimila pesos al mese bastano per tutto” a “alla fine nemmeno un sondaggio mi è favorevole”…

Da “Dio mio, rendimi vedova” a “Lupita D´Alessio, fammi leonessa di fronte all’agnello”…

Dal gruppo San Ángel allo Yunque totalmente scoperto…

Da… da… da… scusate, ma non trovo niente di significativo che abbia detto Enrique Peña Nieto…

Anzi, trovo che non abbia detto proprio niente, come se si trattasse di una pessima comparsa, di quelle che si vedono nei teleromanzi che balbettano qualche cosa che nessuno capisce. Visto che è così evidente, non gli farebbe male iscriversi al CEA di Televisa (secondo il programma di studi, al primo anno insegnano “espressione verbale”).

So bene che sui mezzi di comunicazione si “è letta” la fotografia della lista di Peña Nieto come unico candidato del PRI (dove appaiono i personaggi principali di questo partito), come dimostrazione del sostegno del partito a questo signore.

Mmh… a prima vista mi era sembrata la foto di una notizia giornalistica su un nuovo colpo al crimine organizzato. Che era stata smantellata una banda di ladri e che il giubbotto antiproiettile, col quale normalmente presentano gli “indiziati”, era stato sostituito dalla camicia rossa.

Poi ho guardato la foto con più attenzione. Beh, quelli non stanno dando dimostrazione di sostegno. È una banda di avvoltoi che si è resa conto che Peña Nieto non è altro che un burattino orfano e che bisogna metterci mano perché, se arriverà alla presidenza, di lui non importerà, ma piuttosto il ventriloquo che lo muove.

La sua designazione come candidato alla presidenza sarà un’ulteriore dimostrazione della decomposizione del Partito Rivoluzionario Istituzionale, e la disputa per vedere chi lo guiderà sarà a morte (e tra i priisti questa non è un’immagine retorica).

Sarà così patetica la situazione che perfino Héctor Aguilar Camín si offrirà per l’adozione… e l’urgente alfabetizzazione della creatura.

Alla fine, continuiamo a chiedere:

È il Potere che corrompe o si deve essere corrotto per accedere al Potere, per restarvi… o per aspirarvi?

Durante uno dei lunghi viaggi dell’Altra Campagna, passando per la capitale del Chiapas, Tuxtla Gutiérrez, dissi che la poltrona governativa chiapaneca doveva avere qualcosa che trasformava persone mediamente intelligenti in stupidi finqueros con pose da piccoli tiranni. Julio guidava, Roger era il copilota. Uno dei due disse “oppure erano già così, ed è per questo che sono diventati governatori”.

Poi aggiunse, parola più, parola meno, il seguente aneddoto: “Passando davanti all’edificio in cui era riunito il congresso, una signora sentì gridare: “Ignorante! Idiota! Puttana! Ladro! Criminale! Assassino!” ed altri epiteti più rudi. La signora, inorridita, si rivolge ad un uomo che fuori dall’edificio legge un libro. “È uno scandalo”, gli dice, “noi li manteniamo con le nostre tasse e questi deputati non fanno altro che litigare e insultarsi”. L’uomo guarda la signora, poi l’edificio legislativo e, tornando al suo libro, dice alla signora: “non stanno litigando né insultandosi, stanno facendo l’appello”.

-*-

II.- Il Potere e la Riflessione sulla Resistenza.

La sinistra è la Voce dei Morti
Tomás Segovia. 1994.

Mmh… il Potere… la prova inconfutabile, il sogno degli intellettuali dell’alto, la ragion d’essere dei partiti politici…

Ora, morto il maestro Tomás Segovia, lo nominiamo, lo evochiamo e lo riportiamo a sedersi tra noi per rileggere, insieme, alcuni dei suoi testi.

Non le sue poesie, ma le sue riflessioni critiche sul e rispetto al Potere.

Pochi, molto pochi, sono stati e sono gli intellettuali che si sono impegnati a capire, non a giudicare, questo nostro accidentato percorso che chiamiamo “zapatismo” (o “neozapatismo” per alcuni). Nell’elenco striminzito ci sono, tra gli altri, Don Pablo González Casanova, Adolfo Gilly, Tomás Segovia e lei Don Luis.

Abbracciamo tutti loro, e lei, come solo abbracciano i morti, cioè, per la vita.

E chi ora ricorda Tomás Segovia solo come poeta, lo fa per scindere quell’uomo dal suo essere libertario. Siccome Don Tomás non può fare niente ora per difendersi e difendere la sua parola completa, si sprecano gli omaggi “taglia e incolla”, che pubblicano e riprendono i pezzi gentili, lascia nell’oblio quelli scomodi… fino a che altr@ incomod@ li ricordano e li citano.

E per non interpretare le sue parole (che può essere intesa come una forma gentile di usurpazione) trascrivo parti di alcuni scritti.

Nel 1994, in piena euforia accusatoria della destra, quella sì istruita perché la guidava Octavio Paz (uno dei suoi cortigiani era l’impresario Enrique Krauze – oh, non si offuschi Don Krauze, agli intellettuali non si può rimproverare di essere di destra o di sinistra, ma, come nel suo caso, che per emergere, invece di usare l’intelletto, ricorrano all’adulazione di ganster come quelli che ora sono al governo -), Tomás Segovia scrisse (le sottolineature sono mie):

Che prevalga una o un’altra forma di fascismo, la verità e la giustizia prendono la forma della Resistenza. 

Ma si può dire che la sinistra è per costituzione resistenza. Senza dubbio la sinistra nel nostro secolo è piombata in un irrimediabile errore storico, e questo errore è stato credere che la sinistra potesse prendere il potere. La sinistra al potere è una contraddizione, la storia di questo secolo ce l’ha abbondantemente dimostrato (…).

Oggi è chiaro, mi sembra, che la sinistra non è diversa dalla destra, collocate entrambe in una relazione opposta ma simmetrica rispetto al potere: la sinistra è innanzitutto l’altro del potere, l’altro ambito e l’altro senso della vita sociale, quello che resta sepolto e dimenticato nel potere costituito, la riscossa del represso, la voce della vita in comune soffocata dalla vita comunitaria, la voce dei diseredati prima di quella dei poveri (e quella dei poveri solo perché sono in maggioranza, ma non esclusivamente, i diseredati) – la sinistra è la Voce dei Morti.

Una delle idee che più ci hanno fatto danno è stata l’idea di “reazionario”, che ci ha fatto pensare che la destra che si oppone al progresso, è resistenza e parla in nome del passato, delle radici, di tutto quanto è “superato”. Così la sinistra si convinceva che la resistenza è il potere nella misura in cui continuava ad essere di destra e si opponeva al progressismo della sinistra nel tentativo disperato di conservare i suoi privilegi e il suo dominio, senza vedere che il potere, sia di destra che di sinistra, è solo resistenza nel significato diverso e molto più semplice: nel rifiutarsi di essere sostituito da un altro potere, sia di sinistra che di destra; ma che di fronte alla storia il potere è sempre progressista.

In Messico, normalmente, questo si vede con particolare nitidezza data la crudezza dei rapporti di potere in questo paese: oggi sappiamo con chiarezza che nessun governo è stato più deciso ed attivamente progressista di quello di Porfirio Díaz, e che ai nostri giorni è il PRI quello che monopolizza e sfrutta la retorica del progresso, del cambiamento, della modernizzazione, del superamento dei nostalgici “emissari del passato”, e perfino di democrazia.

(E questo mi fa pensare che anche la democrazia al potere o del potere è una contraddizione: la democrazia non è “demoarchia” – il popolo al potere è un’utopia o una metafora, molto pericolosa da prendere alla lettera, perché “il popolo”, supponendo che esista o anche se non esiste se non come entelechia, è per definizione ciò che non è al potere, l’altro del potere.)

Ma i miei affascinanti colleghi, quando si consegnano al Governo ben consci che le sue promesse sono false, sono sedotti? Impossibile: la seduzione è desiderio allo stato puro, implica la visione folgorante che il tuo piacere è il mio piacere. Non è possibile una visione in cui il piacere del Potere sia il piacere del “popolo”.

E nel 1996 segnalò:

Parallelamente, in un paese che non pratichi più la proibizione violenta delle espressioni dirette della vita sociale primaria, l’ideologia del potere ci ricatterà chiamandoci puttane – cioè disgregatori, negativi, risentiti, violenti -, o tenterà di persuaderci, come i politologi ed altri intellettuali cercano di persuadere gli zapatisti, come tentano di persuadermi i miei colleghi (incominciando da Octavio Paz), che la “vera” via di esprimerci e di influire sulla vita sociale è entrare nelle istituzioni – o in quell’istituito in generale.

-*-

Don Luis, credo che concorderà con me che, rispondendo a questi testi provocatori di Tomás Segovia, la riflessione su Etica e Politica deve toccare il tema del Potere.

Forse in un’altra occasione, e chiamando altri, possiamo scambiare idee e sentimenti (che altro non sono i fatti che animano queste riflessioni), su questo argomento.

Per adesso, vada questa evocazione a Don Tomás Segovia, che dichiarava di non avere tempo di non essere libero e senza imbarazzo confessava: “quasi tutta la vita l’ho guadagnata onestamente, cioè, non come scrittore”.

Non solo per portare qui la sua parola irredenta, perché capita a proposito.

Ma anche, e soprattutto, perché più che il poeta, è il pensatore che ha aperto una terza porta verso il movimento indigeno zapatista. Guardando, vedendo, sentendo ed ascoltando, Don Tomás Segovia attraversò quella porta.

Cioè, capì.

III.- Il Potere e la Pratica della Resistenza.

Municipio Autonomo Ribelle Zapatista San Andrés Sacamchen de Los Pobres, Altos del Chiapas. La mattina del 26 settembre 2011, il comandante Moisés stava andando a lavorare nella sua piantagione di caffè. Come tutti i dirigenti dell’EZLN, non riceveva salario o prebenda alcuna. Come tutti i dirigenti dell’EZLN, doveva lavorare per mantenere la sua famiglia. L’accompagnavano i suoi figli.

Il veicolo sul quale viaggiavano si ribaltò. Tutti rimasero feriti, ma le ferite subite da Moisés erano mortali. Quando arrivò alla clinica di Oventik era ormai morto.

Nel pomeriggio, com’è abitudine a San Cristóbal de Las Casas rincorrere le voci, la morte di Moisés attrasse giornalisti avvoltoi che pensarono che il morto era il Tenente Colonnello Insurgente Moisés. Quando seppero che non era lui, ma un altro Moisés, il Comandante Moisés, persero ogni interesse. A nessuno di loro importava qualcuno che non era apparso in pubblico come dirigente, qualcuno che era sempre stato nell’ombra, qualcuno che apparentemente era solo un altro indigeno zapatista…

Nel calendario doveva essere il 1985-1986. Moisés seppe dell’EZLN e decise di unirsi allo sforzo organizzativo quando negli altos del Chiapas gli zapatisti si contava sulle dita delle mani… (ed avanzavano le dita).

Insieme ad altri compagni (Ramona tra loro), cominciò a percorrere le montagne del sudest messicano, ma allora con un’idea di organizzazione. La sua piccola sagoma sbucava dalla nebbia nei territori tzotziles degli Altos. Con la sua parlata lenta snocciolava il lungo elenco di oltraggi perpetrati contro chi è del colore della terra.

“Bisogna lottare”, concludeva.

L’alba del primo gennaio 1994, come uno dei combattenti, scese dalle montagne sull’altezzosa città di San Cristóbal de Las Casas. Era nella colonna che prese la presidenza municipale, costringendo alla resa le forze governative che la difendevano. Insieme agli altri membri tzotziles del CCRI-CG, si affacciò al balcone dell’edificio che dava sulla piazza principale. Dietro, nell’ombra, ascoltò la lettura che uno dei suoi compagni faceva della cosiddetta “Dichiarazione della Selva Lacandona” ad una folla di meticci increduli o scettici, e di indigeni colmi di speranza. Con la sua truppa ripiegò sulle montagne alle prime ore del 2 gennaio 1994.

Dopo aver resistito ai bombardamenti ed alle incursioni delle forze governative, tornò a San Cristóbal de Las Casas come parte della delegazione zapatista che partecipò ai cosiddetti Dialoghi della Cattedrale con rappresentanti del governo supremo.

Ritornò e continuò a percorrere i territori per spiegare e, soprattutto, per ascoltare.

“Il governo non mantiene la parola”, concludeva.

Insieme a migliaia di indigeni, costruì l’Aguascalientes II, ad Oventik, quando l’EZLN subiva ancora la persecuzione zedillista.

Fu uno delle migliaia di indigeni zapatisti che, a mani nude, affrontarono la colonna di carri armati federali che volevano posizionarsi ad Oventik nei giorni funesti del 1995.

Nel 1996, nei dialoghi di San Andrés vigilava, come uno dei tanti, sulla la sicurezza della delegazione zapatista, accerchiata da centinaia di militari.

In piedi, nelle gelate albe degi Altos del Chiapas, resisteva sotto la pioggia che faceva scappare i soldati a rifugiarsi sotto un tetto. Non si muoveva.

“Il Potere è traditore”, diceva come per scusarsi.

Nel 1997, con i suoi compagni, organizzò la colonna tzotzil zapatista che partecipò alla “Marcia dei 1,111”, e raccolse informazioni vitali per fare luce sul massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell’anno, perpetrato dai paramilitari sotto la direzione del generale dell’esercito federale, Mario Renán Castillo, e con Ernesto Zedillo Ponce de León, Emilio Chuayfett e Julio César Ruiz Ferro quali autori intellettuali.

Nel 1998, dagli Altos del Chiapas, organizzò e coordinò l’appoggio e la difesa delle compagne e dei compagni sfollati dagli attacchi contro i municipi autonomi da parte del “Croquetas” Albores Guillén e di Francisco Labastida Ochoa.

Nel 1999 partecipò all’organizzazione e coordinamento della delegazione indigena tzotzil zapatista che partecipò alla consultazione nazionale, quando 5 mila zapatisti (2500 donne e 2500 uomini) coprirono tutti gli stati della Repubblica Messicana.

Nel 2001, dopo il tradimento di tutta la classe politica messicana degli “Accordi di San Andrés” (allora si allearono PRI, PA e PRD per chiudere le porte al riconoscimento costituzionale dei diritti e della cultura dei popoli originari del Messico), continuò a percorrere i territori tzotziles degli Altos del Chiapas, er parlare ed ascoltare. E, dopo aver ascoltato, diceva: “Bisogna resistere”.

Moisés era nato il 2 aprile 1956, ad Oventik.

Senza che se lo fosse prefissato e, soprattutto, senza guadagnarci niente, divenne uno dei capi indigeni più rispettati nell’EZLN.

Dopo pochi giorni prima della sua morte, lo vidi in una riunione del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’EZLN, dove si analizzava la situazione locale, nazionale ed internazionale, e si discutevano e decidevano i passi da fare.

Spiegavamo che una nuova generazione di zapatisti stava giungendo ad incarichi di dirigenza. Ragazzi e ragazze nati dopo la sollevazione e che si sono formati nella resistenza, educati nelle scuole autonome, sono ora scelti come autorità autonome ed arrivano ad essere membri delle Giunte di Buon Governo.

Si discuteva e concordava come aiutarli nei loro compiti, come accompagnarli. Come costruire il ponte della storia tra i veterani zapatisti e loro. Come i nostri morti ci lasciano in eredità impegni, memoria, il dovere di andare avanti, di non indebolirsi, di non vendersi, di non tentennare, di non arrendersi.

Non c’era nostalgia in nessuno dei miei capi e cape.

Né nostalgia dei giorni e delle notti in cui, in silenzio, forgiavano la forza di quello che sarebbe stato conosciuto nel mondo come “Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”.

Né nostalgia per i giorni in cui la nostra parola era ascoltata in molti angoli del pianeta.

Non c’erano risate, vero. C’erano facce serie, preoccupate di trovare insieme il percorso comune.

C’era, questo sì, quello che Don Tomás Segovia una volta ha chiamato “nostalgia del futuro”.

“Bisogna raccontare la storia”, disse il Comandante Moisés, a conclusione della riunione. Ed il Comandante tornò nella sua capanna ad Oventik.

Quella mattina del 26 settembre 2011, uscì di casa dicendo “torno subito”, ed andò nel suo campo per ricavare dalla terra il sostentamento e il domani.

-*-

Scrivere di lui mi fa dolere le mani, Don Luis.

Non solo perché siamo stati insieme all’inizio della sollevazione e poi in giorni luminosi e albe gelide.

Ma soprattutto, perché facendo questo rapido resoconto della sua storia, mi rendo conto che sto parlando della storia di ognuno delle mie cape e capi, di questo collettivo di ombre che ci indica la rotta, la strada, il passo.

Di chi ci dà identità ed eredità.

Forse, agli specialisti del pettegolezzo coletos e simili non interessa la morte del Comandante Moisés perché era solo un’ombra tra le migliaia di zapatisti.

Ma a noi lascia un debito molto grande, tanto grande come il senso delle parole con le quali, sorridendo, mi salutò in quella riunione:

“La lotta non è finita”, disse mentre raccoglieva il suo zaino.

-*-

IV.- Una morte, una vita.

Si potrebbe elucubrare su cos’è quello che porta le mie parole a lanciare questo complicato e multiplo ponte tra Don Tomás Segovia ed il Comandante Moisés, tra l’intellettuale critico e l’alto capo indigeno zapatista.

Si potrebbe pensare che è la loro morte, perché evocandoli li riportiamo tra noi, tanto simili perché erano, e sono, diversi.

Ma no, è per le loro vite.

Perché la loro assenza non produce in noi frivoli omaggi o sterili statue.

Perché lasciano in noi una pendenza, un debito, un’eredità.

Perché di fronte alle tentazioni alla moda (mediatiche, elettorali, politiche, intellettuali), c’è chi afferma che non si arrende, né si vende, né tentenna.

E lo fa con una parola che si pronuncia in maniera autentica solo quando si vive: “Resistenza”.

Là in alto la morte si esorcizza con omaggi, a volte monumenti, nomi a strade, musei o festival, premi con i quali il Potere festeggia il tentennamento, il nome in lettere dorate su qualche parete da abbattere.

Così si afferma quella morte. Omaggio, parole di circostanza, giro di pagina e avanti un altro.

Ma…

Eduardo Galeano dice che nessuno se ne va del tutto finché c’è qualcuno che lo nomina.

Il Vecchio Antonio diceva che la vita era un lungo e complicato puzzle che si riusciva a completare solo quando gli eredi nominavano il defunto.

Ed Elías Contreras dice che la morte deve avere la sua dimensione, e che ce l’ha solo quando si mette di fianco ad una vita. Ed aggiunge che bisogna ricordare, quando se ne va un pezzo del nostro cuore collettivo, che quella morte è stata ed è una vita.

Già.

Nominando Moisés e Don Tomás, li riportiamo, completiamo il puzzle della loro vita di lotta, e riaffermiamo che, qua in basso, una morte è soprattutto una vita.

-*-

V.- Arrivederci.

Don Luis:

Credo che con questa missiva possiamo concludere la nostra partecipazione a questo fruttuoso (per noi lo è stato) scambio di idee. Almeno per ora.

La pertinenza delle finestre e delle porte che si sono aperte con l’andare e venire delle sue idee e delle nostre, è qualcosa che, come tutto qua, si andrà sistemando nelle geografie e nei calendari ancora da definire.

Ringraziamo di cuore l’accompagnamento delle penne di Marcos Roitman, Carlos Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Arturo Anguiano, Gustavo Esteva e Sergio Rodríguez Lazcano, e della rivista Rebeldía, che è stata anfitrione.

Con questi testi, né loro, né lei, né noi, siamo in cerca di voti, seguaci, fedeli.

Cerchiamo (e credo troviamo) menti critiche, vigili ed aperte.

Ora in alto proseguirà il frastuono, la schizofrenia, il fanatismo, l’intolleranza, i tentennamenti mascherati di tattica politica.

Poi arriverà la risacca: la resa, il cinismo, la sconfitta.

In basso prosegue il silenzio e la resistenza.

Sempre la resistenza…

Bene Don Luis. Salute e che siano vite quelle che ci lasciano i morti.

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Ottobre-Novembre 2011

 

 

VI. P.S. ATTACA DI NUOVO.- Non volevamo dire niente. Non perché non avessimo niente da dire, ma perché chi ora si indigna giustamente contro la calunnia analfabeta, ci ha calunniato fino a chiuderci i ponti verso altri cuori. Ora, piccoli noi e piccola la nostra parola, solo pochi, alcuni di quegli ostinati che fanno ruotare la ruota della storia, cercano il nostro pensiero, ci cercano, ci nominano, ci chiamano.

Non volevamo dire niente, ma…

Uno dei tre imbroglioni che si disputeranno il trono sulle rovine del Messico, è venuto nelle nostre terre a chiederci di stare zitti. È lo stesso che è appena maturato e riconosce i suoi errori ed inciampi. Lo stesso che guida un gruppo avido di potere, pieno di intolleranza, che ha cercato, cerca e cercherà in altri la responsabilità dei suoi errori e schizofrenie. Con un discorso più vicino a Gaby Vargas e Cuauhtémoc Sánchez che ad Alfonso Reyes, ora predica e basa le sue ambizioni nell’amore… per la destra.

Quelli che criticavano a Javier Sicilia le sue dimostrazioni di affetto verso la classe politica, criticheranno ora la “Repubblica Affettuosa”? Quelli che predicavano che Televisa era il male da sconfiggere, criticheranno ora l’affettuosa stretta di mani col lacchè dell’orario stellare?

Octavio Rodríguez Araujo scriverà adesso un articolo per chiedere “coerenza, leader, coerenza”? John Ackerman chiederà radicalità sostenendo che è questo quello che la gente vuole e spera? Il ciro-gómez-leyva di La Jornada, Jaime Avilés, lancerà le sue camicie brune a denunciare per negoziare con i cani e gli impresari, il suo odiato López Dóriga? Il laura-bozzo di La Jornada, Guillermo Almeyra, lo giudicherà e condannerà come collaborazionista intonando il ritornello “via, disgraziato!”?

No, guarderanno dall’altra parte. Diranno che è una questione tattica, che lo sta facendo per guadagnare i voti della classe media. Bene, così niente è ciò che sembra: il presidio di Reforma non era stato fatto per chiedere il riconteggio dei voti che avrebbe reso palese la frode, ma affinché la gente non si radicalizzasse; le critiche a Televisa non erano per denunciare il potere dei monopoli mediatici, ma affinché si aprissero le porte di questa impresa (ed essere di nuovo suo cliente con gli spot elettorali). E poi? Le brigate che raccolgono soldi per il teletón?

Ma potremmo intendere che egli stia solo seguendo una tattica (rozza ed ingenua, secondo noi, ma una tattica). Che non creda sul serio che gli impresari lo appoggeranno, che i cani non lo tradiranno, che il PT ed il Movimento Cittadino sono partiti di sinistra, che Televisa sta cambiando, che il suo interlocutore privilegiato in Chiapas deve essere il priismo (come prima fu il sabinismo). Perfino che creda di essere più intelligente di tutti loro e che li imbroglierà tutti facendo finta di servirli o scambiando usi e costumi nell’impossibile gioco politico di “tutti vincono” e “amore e pace”.

Ok, è una tattica… o una strategia (in ogni caso non si capisce cosa una ecosa è l’altra). Quello che si capisce è che sta raccogliendo a destra (disertori del PAN inclusi) e che non c’è niente alla sua sinistra. Segue gli stessi passi del suo predecessore, Cuauhtémoc Cárdenas Solórzano, che si alleò con i potenti contando sul fatto che le sinistre non avrebbero potuto fare altro che appoggiarlo “perché non si poteva fare altro”. Ok, strategia o tattica, lo spiegheranno i burattini nelle loro sedi. Noi domandiamo solo: quando, in Messico, ha dato risultati positivi alla sinistra, spostarsi a destra? Quando l’essere servili con i potenti è andato oltre il fatto di divertirli? Certo, i “cagnolini” renderanno conto del successo di questa tattica politica (o strategia?), ma non si sta percorrendo la stessa strada… o no?

Nel frattempo, il gruppo di intelligentoni che lo promuove continuerà a fare equilibrismi per giustificare il cambiamento di rotta… o scommetteranno sulla smemoratezza.

In ogni modo, non mancherà chi incolpare del terzo posto, no?

Salve di nuovo.

Il Sup che fuma in attesa della valanga di calunnie che, in nome della “libertà di espressione” e senza diritto di replica, prepara l’opposizione dell’alto.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/12/07/sci-marcos-una-muerte-o-una-vida-carta-cuarta-a-don-luis-villoro-en-el-intercambio-sobre-etica-y-politica/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+EnlaceZapatista+%28Enlace+Zapatista%29

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 7 Dicembre 2011

Gli ejidatarios di Bachajón denunciano l’ingerenza del governo chiapaneco

HERMANN BELLINGHAUSEN

Dopo aver recuperare per due giorni la proprietà del loro ejido in cui si trova la cabina di riscossione per l’ingresso alle cascate di Agua Azul (il “centro ecoturistico” più pubblicizzato dal governo del Chiapas), gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón aderenti all’Altra Campagna denunciano l’intervento del segretario di Governo in persona, sabato scorso, che ha offerto denaro e minacciato di ricorrere alla polizia per sgomberarli.

Gli ejidatarios hanno protestato con una manifestazione sulla strada Ocosingo-Palenque, senza bloccare il traffico, per denunciare il governatore Juan Sabines Guerrero ed il segretario di Governo, Noé Castañón, come “complici” delle autorità ejidali filogovernative, capeggiate da Francisco Guzmán Jiménez (Goyito), nell’esproprio delle terre di proprietà collettiva.

Riferiscono che il 30 novembre, gli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona avevano ripreso le installazioni e la cabina di riscossione “allo scopo di recuperare quello che il commissario ufficiale, in complicità con gli enti del governo, vogliono toglierci: più di 600 ettari di terra, falsificando un provvedimento che non è neppure conforme al decreto presidenziale del 29 aprile 1980.”

Per tale ragione, gli ejidatarios hanno occupato il luogo per due giorni, “aspettando che arrivasse il commissario ufficiale a spiegare quello che stava facendo senza il consenso del massimo organo ejidale, poi, improvvisamente, è apparso l’interessato, ‘l’angelo custode’ degli sporchi politici”; cioè, il segretario Castañón, “che è intervenuto come se fosse un altro membro dell’ejido, perché Goyito gli ha dato il ‘permesso’ di fare quello che vuole sulle nostre terre”, sostengono gli indigeni. Il quale ha detto loro che il recupero era un modo di “provocare altra violenza”.

Il funzionario “ha mostrato un accordo già redatto, che non sappiamo nemmeno dove sia stato fatto, obbligandoci a firmare, come se stessimo chiedendo la carità, mentre il nostro obiettivo era recuperare le terre su cui hanno illegalmente costruito un centro di pronto intervento con la presenza permanente della polizia preventiva”.

Sostengono: “Non siamo spinti da interessi economici, tuttavia ci hanno offerto dei soldi”. Dicono che il segretario li ha avvertiti che “se non accettavamo, la polizia ci avrebbe sgomberato con la violenza”.

Il commissario ufficiale si era impegnato a convocare ad un’assemblea degli ejidatarios per domenica 4 dicembre ad Alan Sac Jun, ma non l’ha mai fatto. Si è riunito solo col gruppo filogovernativo a Pamalá (“tana di topi” lo chiamano), “come se fossero gli unici proprietari”, mentre gli altri aspettavano nella casa ejidale del Centro Alan Sac Jun.

Gli indigeni affermano che in questo gruppo ci sono “i veri responsabili di quello che sta succedendo nel nostro ejido, in complicità col malgoverno che finanzia la morte, la violenza, l’abuso e la repressione”.

Ed avvertono: “Che sia chiaro chi sono i responsabili, perché questa volta non cadremo nelle loro bugie e dimostreremo chi siamo e che cosa vogliamo”. Infine, annunciano che “in questi giorni” occuperanno nuovamente la cabina di riscossione. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/07/politica/024n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ejidatarios di Bachajón denunciano l’esproprio delle terre da parte del malgoverno del Chiapas ed annunciano la decisione di recuperarle

  Ejido di San Sebastián Bachajon, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, Chiapas, Messico.

30 novembre 2011

A mezzi di comunicazione di massa e alternativi
Ai difensori dei diritti umani nazionali e internazionali
Alle organizzazioni civili e indipendenti
Agli aderenti all’Altra Campagna nazionale e internazionale
Alla Commissione Sesta Internazionale
Alle Giunte di Buon Governo

 Comunicato

Il governo dello stato del Chiapas e Juan Sabines Guerrero, in complicità con le autorità del municipio di Chilon, Chiapas, compreso il commissario ufficiale di San Sebastián Bachajon, Chiapas, dopo diversi tentativi falliti causa il mancato consenso del massimo organo ejidale, in violazione dei diritti umani e dei trattati dell’OIL, il passato mese di febbraio 2011 ha costruito un centro di pronto soccorso, ha permesso la permanenza della polizia statale preventiva, ha preso il controllo e la gestione delle nostre risorse naturali ed aree protette CONANP senza che vi fosse il consenso stabilito in un verbale di assemblea dell’ejido, e si stanno approfittando e distruggendo le nostre risorse ed il patrimonio del popolo per favorire gli interessi politici di qualche gaudente lacchè della politica, come nel caso di C. Manuel Jiménez Moreno, Francisco Guzmán Jiménez (alias Goyito) Juan Álvaro Moreno, Antonio Jiménez Deara, truffatori e parassiti della società che furono gli unici a firmare l’accordo lo scorso 13 febbraio 2011 presso l’Università Tecnologica della Selva, installando un tavolo di accordo e dialogo per la pace quando in verità avevano un’altra intenzione, e precisamente l’esproprio, la repressione e la violenza.  Questo è evidente dall’esposto 274/2011 presentato dagli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna, dove denunciano che il governo dello stato de Chiapas, in complicità con la segretaria dell’ambiente e risorse naturali, SEMARNAP, ha elaborato un decreto in contraddizione al Decreto Presidenziale del 29 aprile 1980, per sottrarci più di 600 ettari di terra compresa la cabina di riscossione,  mentre l’ejido San Sebastián Bachajon possiede documentazione e piani definitivi che dimostrano il chiaro interesse del governo dello stato di imporre la legge dell’espropriazione comprando le coscienze, come nel caso delle autorità filogovernative di San Sebastián Bachajon, che per pochi pesos hanno consegnato un pezzo del nostro patrimonio ancestrale ignorando il popolo di uomini, donne, bambini, bambine, giovani che promuovono i loro usi e costumi e costruiscono altri modi di convivenza più degni. Le autorità filogovernative non stanno facendo altro che soddisfare i loro interessi politici con le risorse del popolo. Per tutto questo, noi ejidatarios di San Sebastián Bachajon abbiamo preso la decisione di recuperare le installazioni della cabina di ingresso a pagamento del sito turistico di Agua Azul,  in considerazione del fatto che dette strutture si trovano nelle vicinanze del terreno ejidale senza aver ottenuto il consenso del massimo organo ejidale. Nel caso in cui il governo dello stato del Chiapas e federale adotterà azioni repressive, sarà responsabile di qualunque cosa possa accadere durante il recupero delle strutture da parte degli ejidatarios di San Sebastián Bachajon aderenti all’Altra Campagna.

Distintamente

TIERRA Y LIBERTAD

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE

Questo è un spazio aperto per popoli ed organizzazioni che vogliono condividere la loro parola. Le posizioni qui manifestate, non esprimono necessariamente la posizione di questo Centro. Lo spazio di denuncia pubblica è di tutte e tutti. 
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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 23 novembre 2011

La Cocopa presenterà in Parlamento un’iniziativa per la pace in Chiapas

ENRIQUE MÉNDEZ e ROBERTO GARDUÑO

La Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) presenterà al plenum della Camera dei Deputati l’iniziativa a favore della pace in Chiapas e per il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. Per promuovere tale progetto si terranno tre forum che raccoglieranno l’opinione della società nella valle di San Quintín, in Bassa California; a Comitán, Chiapas, ed un terzo ancora da definire.

Jaime Martínez Veloz, rappresentante del governo dello stato del Chiapas nella Cocopa, sostiene che la questione indigena è ancora in sospeso nell’agenda politica nazionale e che non è possibile in alcun modo la trasformazione democratica dello Stato se non si include la voce e la partecipazione dei popoli indigeni.

“Le comunità zapatiste sono organizzate, vivono, lottano, lavorano e stanno aspettando una risposta positiva da parte delle istituzioni della Repubblica, perché quei popoli sono stati coinvolti in un processo in cui lo Stato messicano aveva offerto le condizioni e generato una legge che permettesse la nascita di un dialogo di questa natura”.

Martínez Veloz ha ricordato che l’ex presidente Ernesto Zedillo Ponce de León è responsabile di aver disatteso, dalla posizione di governo, il patto stabilito con gli indigeni le cui richieste non hanno fino ad ora ricevuto risposte.

“I forum che inizieranno il prossimo 11 dicembre saranno un punto di partenza per generare una nuova offensiva politica per la pace che faccia sì che questo Congresso dell’Unione riconosca quella che fino ad oggi è stata al margine dello Stato messicano:  la questione indigena”.

José Narro Céspedes, membro della Cocopa, ha avvertito che a causa della mancanza di risposte alle istanze dei popoli indigeni nel paese, la possibilità di un sollevamento armato è latente.

“Molti settori esclusi dallo sviluppo nazionale che coinvolgono un numero sempre maggiore di popolazione, si mobilitano contro il governo, e credo che si stiano creando le condizioni affinché la gente opti per la via di una nuova sollevazione”.

Il deputato ritiene che tale minaccia sia su scala nazionale, per questo è necessario inviare segnali a favore della pace, del dialogo e degli accordi.

“Vicente Fox non ha mantenuto il suo impegno di rispettare gli accordi di San Andrés su diritti e cultura indigeni. A partire da Fox gli accordi di San Andrés hanno dormito il sonno dei giusti, ma questo non significa che il problema è risolto”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Previsioni per il 2012

Gloria Muñoz Ramírez

Un esempio di cosa potrebbe succedere nel 2012 è accaduto domenica scorsa nella comunità purépecha di Cherán, durante le elezioni per governatore, sindaci e deputati locali dello stato di Michoacán. L’intera comunità ha deciso in assemblea di non partecipare al voto, perché, hanno detto in un comunicato, ci siamo resi conto che i partiti politici non fanno altro che creare divisioni nella società e dare briciole a simpatizzanti e militanti; e che questi riempiono le loro tasche per recuperare molto più del denaro spese nelle campagne elettorali, perché molte volte superano il limite autorizzato dagli organismi elettorali.

Dal 15 aprile scorso Cherán rappresenta una delle resistenze più emblematiche contro il crimine organizzato e, soprattutto, contro le istituzioni dei tre livelli di governo che, per omissione o coinvolgimento, hanno agito in complicità con la delinquenza che opera impunemente in questa regione della meseta purépecha. Non è poco quello che hanno ottenuto in questa comunità in questi sette mesi, perché anche se i governi statale e federale non hanno risposto alla loro richiesta di garantire la sicurezza della popolazione ed impedire il disboscamento clandestino dei suoi boschi, le ed i comuneros lavorano alla ricostituzione dell’organizzazione comunitaria, affrontando di giorno in giorno la sfide di decidere il proprio destino.

Mentre i tre principali partiti: PAN, PRI e PRD litigano per il risultato elettorale che ha relegato all’ultimo posto il PRD, che dal 2001 era al governo da uno dei suoi principali bastioni, la comunità di Cherán si è trincerata nel suo territorio e non ha permesso l’ingresso della macchina elettorale perché, ha denunciato “i partiti politici corrotti lavorano solo a beneficio dei ricchi, mentre a noi, i poveri, ci porta… la crisi”.

Bisogna dire che il Tribunale Elettorale Giudiziario della Federazione aveva dato parere favorevole a che la popolazione eleggesse il suo sindaco col metodo dei suoi usi e costumi; ma la scelta di deputati e governatore doveva passare per la via elettorale. Questo è stato respinto dall’assemblea che ha deciso, al posto delle elezioni, di rafforzare la sicurezza della comunità e continuare la procedura di elezione delle sue autorità secondo le proprie regole.

Al terminare della giornata, accompagnata da una brigata dell’Altra Campagna e dai mezzi di comunicazione alternativi che hanno realizzato una copertura eccezionale, i comuneros di Cherán hanno dichiarato che non abbasseranno la guardia né si daranno per vinti, perché “crediamo che la nostra lotta è giusta e soprattutto necessaria, perché non potevamo continuare a vivere con la paura”. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/19/opinion/017o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 16 novembre 2011

Rilasciati due degli otto detenuti in sciopero della fame in carcere in Chiapas

ELIO HENRÍQUEZ

San Cristóbal de Las Casas, Chis. Questa notte sono stati liberati due degli otto indigeni che erano in sciopero della fame da 39 giorni nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de las Casas. Fonti governative hanno comunicato che José Díaz López, oriundo di San Andrés Larráinzar, ed Andrés Núñez Hernández, di San Juan Chamula, sono stati rilasciati intorno alle ore 19, come risultato dell’impegno preso dalle autorità statali di rivedere i loro casi. I due tzotziles, membri solidali del ggruppo di detenuti denominato La Voz del Amate, aderente all’Altra Campagna, sono accusati di omicidio, pratica n. 095/2002, ed erano in prigione da più di nove anni. Díaz López, di 36 anni, e Núñez Hernández, di 39, insieme ad altri otto detenuti avevano partecipato allo sciopero della fame iniziato il 29 settembre scorso e che si è interrotto il passato 6 novembre, quando le autorità statali si sono impegnate a rivedere i loro casi.

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Sostegno mondiale.

La Jornada – Mercoledì 9 Novembre 2011

I familiari dei detenuti dell’Altra Campagna tolgono il presidio a San Cristóbal

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 8 novembre. Dopo un mese, questa mattina è stato tolto il presidio dei familiari dei detenuti dell’Altra Campagna, in sciopero della fame da 39 giorni. Le famiglie indigene che erano accampate davanti alla chiesa di questa città dall’8 ottobre, hanno annunciato che proseguiranno la lotta per la liberazione dei “prigionieri politici”, “in altro modo”, dalle proprie comunità. Questo, due giorni dopo che i detenuti in sciopero della fame hanno interrotto il digiuno, ma non la protesta – come ha dichiarato oggi il loro portavoce, Pedro López Jiménez -, né la denuncia che il governo dello stato è stato sordo alle loro richieste che ritengono giuste.

Intanto, si susseguono le manifestazioni di solidarietà internazionale. Questo lunedì, l’ambasciata messicana in Svizzera e la presidentessa del Bundesrat, la socialdemocratica Micheline Calmy-Rey, hanno ricevuto una lettera di cittadini svizzeri, nell’abito di un’iniziativa prevista dalla legge elvetica, che chiede la liberazione immediata dei “prigionieri politici” che erano in sciopero della fame. Chiedono al governo svizzero di adoperarsi affinché il governo del Messico agisca “secondo gli accordi internazionali che ha firmato, per esempio, relativi alla pratica della tortura”.

Daniela Schicker, ex deputada del consiglio municipale di Zurigo, ha comunicato, a nome di questo gruppo che, inoltre chiedono che “le persone del governo messicano responsabili delle violazioni dei diritti umani e di crimini contro la popolazione siano portate davanti ad un tribunale internazionale e che si esiga a livello mondiale il risarcimento alle vittime di crimini di Stato in Messico”. Ed assicurarono: “Non tollereremo più in silenzio che il governo di quel paese presenti il Messico in Svizzera, senza vergogna, come una bella regione turistica, e nello stesso tempo violi i diritti umani in maniera crudele”.

Si chiede inoltre che gli affari con il Messico siano “messi in discussione” fino a che la situazione dei diritti umani non migliori. La lettera è stata accolta da deputati e funzionari federali della Svizzera, e nella sua versione in spagnolo sarebbe arrivata oggi a Los Pinos, alla Segreteria di Governo ed al palazzo di governo di Tuxtla Gutiérrez. Nel documento si dice: “Non possiamo fare affari e praticare il turismo con un governo come il messicano, e nello stesso tempo agire come se le violazioni costanti dei diritti umani e degli accordi internazionali, ed i crimini contro la popolazione, non abbiano niente a che vedere con gli affari ed il turismo col Messico”.

A Parigi, i collettivi francesi hanno realizzato una seconda protesta di fronte al consolato messicano. Ed un gruppo internazionale di studiosi ha solidarizzato con i detenuti ribadendo la richiesta di “sospensione della persecuzione e coazione contro chi, in maniera pacifica e degna, come i detenuti ingiustamente imprigionati, difendono il rispetto dei loro diritti elementari come detenuti, e la necessità di rivedere i loro processi piagati da irregolarità come tortura, false prove e processi senza la dovuta difesa processuale”.

Professori universitari e ricercatori di Argentina, Brasile, Stati Uniti, Messico e Spagna riconoscono la qualità umana di Alberto Patishtán, per la cui situazione si è pronunciata Amnesty International, e chiedono che sia rimandato in Chiapas (è stato trasferito in una prigione federale a Sinaloa) e rimesso in libertà. I detenuti per i quali si chiede la liberazione sono, oltre a Patishtán, Pedro López Jiménez, Rosario Díaz Méndez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz, Juan Díaz López, Andrés Núñez Hernández, Rosa López Díaz, Juan Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/09/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 8 novembre 2011

Indigeni dell’Altra Campagna trasferiscono la protesta e bloccano le strade

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 7 novembre. A quasi 40 giorni di sciopero della fame, e di fronte alla sistematica assenza di risposte da parte del governo del Chiapas, i detenuti hanno deciso di sospendere l’azione per il rischio in cui erano le loro vite, ed il presidio dei familiari degli indigeni ha trasferito la sua protesta alle porte della prigione di questo municipio.

Oggi, a mezzogiorno circa, decine di indigeni hanno bloccato la strasa San Cristóbal-Ocosingo, di fronte al Carcere N. 5.

Su un grande striscione che occupava la carreggiata, dietro una linea di rami di pino, si riassume la domanda chiave: “Libertà immediata per i nostri prigionieri”.

Gli otto reclusi della Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate, aderenti all’Altra Campagna, hanno fatto sapere i motivi della loro nuova azione. Hanno decio ieri sera e questa mattina l’hanno resa pubblica. Ciò nonostante, il governo statale si è affrettato a diffondere la notizia lasciando intendere l’esistenza di un qualche accordo. Facciamo dire, per esempio, a Juan Collazo Jiménez, che partecipa alla protesta, che questa mattina è stato punito con la cella di isolamento, nudo, dal comandante della prigione di Motozintla, come ha denunciato suo padre, Salvador Collazo. “Adesso non sei più in sciopero”, gli hanno detto.

Il motivo per cui i detenuti hanno sospeso lo sciopero sono altre: “Per le complicazioni delle nostre condizioni di salute fisica dovute ai 39 giorni di sciopero della fame per esigere giustizia, mentre il governo ha ignorato le nostre richieste e le istanze del popolo, comunichiamo che ieri 6 novembre alle ore 20:00, a causa della gravità delle nostre condizioni di salute prima che si arrivasse all’irreparabile, abbiamo sospeso lo sciopero della fame, ma non vuole dire che desisteremo dalla lotta; al contrario, lotteremo con più forza fino a vincere questo sistema”.

E precisano: “Abbiamo desistito perché alcuni compagni stanno molto male ma non abbiamo sospeso lo sciopero della fame in cambio di quello che dice il governo, perché noi continueremo a lottare in vita, perché finché c’è vita ci sarà la possibilità di lottare per la giustizia e il benessere di tutti, ma non lo faremo come vorrebbe il malgoverno, continueremo invece ad esortare il governo ad intervenire al più presto per la nostra liberazione, per ridarci la libertà che ci il governo ci ha rubato”.

I reclusi del Carcere N. 5 insistono anche sulla liberazione di Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández, anche loro in sciopero a El Amate.

“Esortiamo inoltre il governo federale di Felipe Calderón Hinojosa ad agire per la liberazione immediata del compagno Alberto Patishtán Gómez, prigioniero politico della Voz del Amate”.

Infine, invitano le organizzazioni nazionali ed internazionali che li hanno appoggiati “a continuare a chiedere giustizia, perché la nostra lotta non è finita”.

Alle ore17 il blocco è stato tolto dagli stessi indigeni, che per tutto il giorno sono stati controllati, ad una certa distanza, dai veicoli della polizia statale e municipale, che non è intervenuta.

Questa notte, al presidio ancora in corso delle famiglie nella piazza della cattedrale, si discuteva sui passi da fare di fronte all’indifferenza del governo ed al “il tentativo di divisione che ha messo in atto annunciando di voler rivedere i casi di solo otto dei detenuti in sciopero, visto che sono 11; non cita Juan Collazo, Enrique Gómez né il professor Alberto Patishtán”.

Oggi è partita dal Chiapas per Guasave, Sinaloa, una commissione di familiari ed avvocati per fare visita al professore nella prigione federale, dove è in isolamento da due settimane fa, ha informato sua figlia Gabriela Patishtán Ruiz. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/08/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 7 novembre 2011

Saranno rivisti i casi di otto detenuti dell’Altra Campagna, che sospendono lo sciopero della fame

ELIO HENRÍQUEZ

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas., 6 novembre. Fonti ufficiali hanno comunicato che otto detenuti del Carcere N.5 di questo municipio, domenica notte hanno sospeso lo sciopero della fame iniziato il 29 settembre scorso per chiedere la loro liberazione.

Gli otto reclusi accusati di vari reati, hanno interrotto il digiuno dopo che le autorità penitenziarie si sono impegnate a rivedere i loro casi.

Lo sciopero della fame è stato sospeso alle ore 20:00, dopo che gli otto carcerati, aderenti all’Altra Campagna, hanno firmato un documento diretto al direttore della prigione, José Manuel Alarcón.

Nello scritto i reclusi chiedono che si dia seguito alla loro richiesta di rilascio, poiché arrestati ingiustamente.

La lettera è firmata da Rosa López Díaz, Andrés Núñez Hernández, Juan Díaz López, Rosario Díaz Méndez, Alfredo López Girón, Pedro Núñez Jiménez, Alejandro Díaz Santís e José Díaz Gómez.

Secondo queste fonti, terminata la protesta, i carcerati sono stati visitati dal personale medico della prigione che ha fornito loro frutta, avena, atole ed altri liquidi affinché recuperino le energie perse durante i 36 giorni di sciopero della fame.

I detenuti stessi hanno chiesto alle autorità della prigione di avere per la colazione brodo di fegato di pollo e di granchio, richiesta che sarà valutata dai medici della prigione.

Il presidio dei familiari dei detenuti da un mese di fronte alla Cattedrale di questa città è proseguito per tutta la notte ma, secondo l’impegno verbale degli otto indigeni che erano in digiuno, potrebbe essere tolto questo lunedì pomeriggio.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Audio: denuncia FINE dello sciopero della fame dei detenuti in Chiapas

A 39 giorni dall’inizio dello sciopero della fame e digiuno i detenuti in Chiapas hanno deciso di sospendere lo sciopero della fame perché alcuni di loro erano sull’orlo dal subire danni fisici irreversibili, come diceva il bollettino medico della Squadra di Salute relativa ai prigionieri in sciopero della fame da 36 giorni: In conclusione, le condizioni di salute delle persone in sciopero della fame è critica. Non esistono ancora riscontri di danni organici, tuttavia stante l’attuale situazione, bisogna aspettarsi che si verifichino danni nella funzione renale che metterebbero gli scioperanti in una situazione di rischio immediato per la loro vita. La presenza di ipotermia e la perdita di più di 10 kg di peso di alcuni di loro sono segnali di allarme indicativi di una situazione critica. D’altra parte, l’intolleranza all’assunzione di zucchero e di liquidi complica la situazione poiché questo aggrava lo stato di disidratazione ed inanizione degli scioperanti.

Dopo la diffusione di questo bollettino le autorità statali non hanno più permesso alla Brigata di Salute di seguire la situazione degli scioperanti, cosa che ha messo in grave rischio la vita dei detenuti che, di fronte all’omissione del Governo dello Stato e del pericolo della propria vita, hanno deciso di sospendere lo sciopero della fame.

Audio: http://chiapasdenuncia.blogspot.com/2011/11/despues-de-39-dias-de-huelga-y-ayuno-se.html

 All’opinione pubblica 
Ai mezzi di comunicazione statali, nazionali ed internazionali 
Ai media alternativi 
Agli aderenti all’Altra Campagna 
Alla Sesta Internazionale 
Alle organizzazioni indipendenti 
Ai difensori dei diritti umani ONGs

 La Voz del Amate, Voces Inocentes, Solidarios de la Voz del Amate aherenti all’Altra Campagna reclusi nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Per le complicazioni delle nostre condizioni di salute fisica dovute ai 39 giorni di sciopero della fame per esigere giustizia, mentre il governo ha ignorato le nostre richieste e le istanze del popolo, comunichiamo che ieri 6 novembre alle ore 20:00, a causa della gravità delle nostre condizioni di salute prima che si arrivasse all’irreparabile, abbiamo sospeso lo sciopero della fame, ma non vuole dire che desisteremo dalla lotta; al contrario, lotteremo con più forza fino a vincere questo sistema. Abbiamo desistito perché alcuni compagni stanno molto male ma non abbiamo sospeso lo sciopero della fame in cambio di quello che dice il governo, perché noi continueremo a lottare in vita, perché finché c’è vita ci sarà la possibilità di lottare per la giustizia e il benessere di tutti, ma non lo faremo come vorrebbe il malgoverno, continueremo invece ad esortare il governo ad intervenire al più presto per la nostra liberazione, per ridarci la libertà che ci il governo ci ha rubato, così come chiediamo la liberazione del compagno Juan Collazo Jiménez che è in sciopero della fame nel Carcere N. 6 di Motozintla, e del compagno Enrique Gómez Hernández che si trova nella prigione di Motozintla e che sta praticando il digiuno; esortiamo inoltre il governo federale di Felipe Calderón Hinojosa ad agire per la liberazione immediata del compagno Alberto Patishtán Gómez, prigioniero politico della Voz del Amate. Infine, alle compagne, ai compagnia ed alle organizzazioni nazionali ed internazionali diciamo di continuare a chiedere giustizia, perché le nostre lotte non sono finite.

Fraternamente

La Voz del Amate

Voces Inocentes

Solidarios de la Voz del Amate

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 7 novembre 2011

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La Jornada – Domenica 6 novembre 2011

In una lettera al Presidente, ONG e comunità denunciano che nelle zone autonome zapatiste potrebbero riprendere le ostilità

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 novembre. Nello scenario di strategia contrainsurgente, come ha dichiarato il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), “le comunità autonome in resistenza, le cui popolazioni costituiscono le basi di appoggio civili dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, si trovano al centro di un possibile confronto e ripresa delle ostilità, come quelle che conserviamo nella memoria collettiva del Messico ferito”.

Questo, in una lettera rivolta al presidente della Repubblica, Felipe Calderón Hinojosa, ed al governatore Juan Sabines Guerrero, che è stata sottoscritta in pochi giorni da più di 350 organizzazioni, collettivi, comunità e popoli del Messico e di numerosi paesi, che “condividono il significato del profondo oblio in cui l’agenda ufficiale ha collocato le richieste e denunce di centinaia di individui e situazione in Chiapas”.

Il Frayba sottolinea che il documento avverte i governanti su “azioni ed omissioni che ci obbligano a denunciare la loro responsabilità nella sistematica violazione dei diritti dei popoli indigeni” nell’entità. Chiede inoltre che “i governanti di turno forniscano risposte chiare ai popoli e comunità che ogni giorno denunciano gli effetti della guerra generalizzata i cui numeri hanno un nome e rappresentano migliaia di storie di vita”.

In due anni “le ostilità in Chiapas sono aumentate; le azioni dei gruppi paramilitari, in complicità con funzionari pubblici, hanno trasformato l’esproprio di terre recuperate, di proprietà delle comunità autonome, in bottino di guerra”.

Di fronte alle costanti azioni governative a detrimento dei diritti della popolazione, il centro Frayba respinge “le politiche dei governi. Le più ricorrenti: omissione di fronte alle denunce e richieste di intervento; permettere la rottura del tessuto comunitario e sociale con la polarizzazione dei conflitti; generare condizioni di emergenza alimentare e sanitaria in comunità sotto assedio; gestire giuridicamente e politicamente violazioni flagranti dei diritti umani di popolazioni indigene”.

Coloro che seguono le azioni di difesa e l’esercizio dei diritti “esercitate da popoli e comunità originari”, hanno osservato “la guerra che, dal 1994 e con la copertura dei tre livelli di governo, viene condotta in Chiapas contro chi ha deciso di mettere in pratica gli accordi di San Andrés, firmati e negati dallo Stato messicano dal 1996”. Non sono pochi gli “impegni traditi” dai partiti politici che hanno occupato posizioni di governo, il quale continua a rimandare “soluzioni pacifiche al conflitto armato interno irrisolto”.

Osservano “la permanente implementazione” di strategie contrainsurgentes, che lasciano “una lunga scia di detenzioni arbitrarie, omicidi, sparizioni, massacri, sfollamenti ed esproprio di territori”. Ciò deriva dal “mancato disarmo dei gruppi civili armati che operano dal 1996″. Queste azioni erano raccomandate nel ‘Piano della campagna Chiapas 94’ della Segreteria della Difesa Nazionale”; è preoccupante che continuino “ad operare contro popoli e comunità”.

Sono molteplici gli interventi chiesti al governo statale per fermare azioni che attentano ai diritti collettivi e individuali. La risposta “di tutti i livelli di governo” è stata “silenzio e omissione, acuendo l’impunità e l’ingiustizia”.

Infine, la lettera lamenta che il discorso ufficiale abbia trasformato i diritti umani “in slogan pubblicitario, favorendo la simulazione”; la manipolazione mediatica “è costata cifre milionarie all’erario” ma il costo maggiore sono “vite e comunità condannate all’oblio, all’emarginazione e all’ingiustizia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/06/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 5 novembre 2011

Sempre più pressante la richiesta di liberare i detenuti indios in sciopero della fame in carcere in Chiapas

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 4 novembre. “Il governo ha ignorato i nostri diritti. Chiediamo che dia la libertà a noi che siamo in sciopero della fame da 37 giorni”, ha dichiarato oggi Pedro López Jiménez, portavoce della protesta dalla prigione N. 5 di San Cristóbal. “La nostra salute è compromessa”, ha aggiunto. “Il governo sarà responsabile dell’eventuale perdita di vite”.

López Jiménez ha ribadito a La Jornada che è “molto importante anche la liberazione del fratello Alberto Patishtán, portato in una prigione federale a Guasave (Sinaloa)”.

Arrivati a questo punto, finalmente il governo del Chiapas e la chiesa Cattolica hanno dato segni di vita rispetto allo sciopero della fame degli 11 indigeni nelle prigioni N. 5, N. 6 (Motozintla) e N. 14 (El Amate, Cintalapa).

Pueblo Creyente, organizzazione di base della diocesi di San Cristóbal, ha invitato a “pregare per il nostro fratello Alberto Patishtán Gómez, affinché la fede che l’ha sostenuto tutti questi anni, continui a mantenendo forte di fronte a questa dura prova”. Pueblo Creyente, che ebbe un ruolo decisivo nel precedente sciopero della fame dei detenuti nel 2008, durato 41 giorni, ottenendo liberazione di decine di indigeni “prigionieri politici”, ha denunciato che il trasferimento di Patishtán è stato “una nuova rappresaglia per il suo lavoro di presa di coscienza ed evangelizzazione all’interno della prigione”.

Pueblo Creyente ha comunicato che il vescovo locale, Felipe Arizmendi Esquivel, ha chiesto “aiuto” al suo omologo di Sinaloa affinché “si occupino di Alberto in questa nuova e difficile situazione nella prigione N. 8 di Guasave”. L’organizzazione ha affermato: “È molto importante pronunciarci in questo momento per ottenere la liberazione di nostro fratello Alberto”, al quale il vescovo Samuel Ruiz García consegnò un riconoscimento, due anni fa in carcere, “per il suo lavoro come custode del popolo e difensore dei diritti umani”.

Da parte sua, la sottosegreteria del Ministero di Grazie e Giustizia ha comunicato che, “in coordinamento con la Commissione Statale dei Diritti Umani (CEDH), ha esaudito la richiesta di otto internati del Crcere N. 5 di far entrare un gruppo di medici privati”. Il titolare della sottosegreteria, José Antonio Martínez Clemente, ha dichiarato che “si sta fornendo tutta l’assistenza richiesta dai detenuti; inoltre, la CEDH ha sollecitato l’ingresso di medici affinché accertino lo stato di salute dei detenuti”.

Ha detto che, “come misura di negoziazione alle sue richieste, hanno ottenuto l’accordo con la CEDH per non incorrere in mancanze che possano privarli dei loro diritti particolari”. Il funzionario non ha fatto menzione dei detenuti a Motozintla e Cintalapa, Juan Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández. Non ha neppure fatto riferimento alla vera richiesta degli indigeni: la loro immediata liberazione.

E, mentre il governatore chiapaneco Juan Sabines Guerrero si è incontrato questo giovedì a Washington col titolare dell’Organizzazione Panamericana di Salute per affrontare “le politiche pubbliche promosse dal Chiapas in materia di salute, come la lotta contro le malattie dovute all’arretratezza”, gli scioperanti hanno informato della morte di Natanael, figlio di Rosa López Díaz ed Alfredo López Jiménez, detenuti tzotziles che partecipano alla protesta.

Il bambino è deceduto dopo essere stato respinto dall’ospedale di San Cristóbal (e prima ancora dall’ospedale di Teopisca), “perché non avevamo soldi”, come ha riferito il nonno del bimbo alle famiglie in presidio nella piazza di San Cristóbal (presidio a ostegno delle istanze dei detenuti). In aggiunta, il personale della clinica ha accusato il padre di Alfredo che, confessa, “non avevo i soldi nemmeno per tornare a casa”. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/05/politica/015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

 Iniziative pro zapatisti

Gloria Muñoz Ramírez

Questa settimana si registrano una serie di iniziative nazionali ed internazionali intorno alle comunità zapatiste ed ai prigionieri politici in sciopero della fame in Chiapas. Gli appelli non sono solo alla solidarietà, ma all’accompagnamento civile e pacifico, con una lotta che non riguarda unicamente i popoli in resistenza del sud del Messico, bensì la comunità globale che combatte le proprie battaglie e che si è mantenuta attenta a quello che succede tra le comunità in resistenza.

In questi momenti, intorno alla comunità zapatista di San Patricio, appartenente al caracol di Roberto Barrios, nel nord del Chiapas, prosegue l’accerchiamento dei gruppi paramilitari che non permettono alle basi di appoggio dell’EZLN di andare a lavorare nei campi di mais. “La nostra solidarietà è necessaria affinché, nonostante le avversità causate dai gruppi paramilitari, i compagni e le compagne zapatisti resistano contro queste aggressioni provenienti dai tre livelli del governo”, denuncia la Rete Nazionale Contro la Repressione e per la Solidarietà, che sta organizzando una raccolta di denaro, viveri, medicinali e materiale scolastico, tra altre cose.

La Rete stessa ricorda che “dal 7 settembre scorso la comunità di San Patricio, municipio autonomo La Dignità, è minacciata dal gruppo paramilitare Paz y Justicia di invadere e sgomberare il villaggio, col pretesto che non pagano l’imposta prediale, e che se non consegneranno le terre recuperate li massacreranno tutti. Hanno circondato la popolazione e non li lasciano uscire per andare a procurarsi da mangiare, hanno ammazzato gli animali, distrutto i raccolti, intimoriscono le donne e i bambini ed hanno costruito delle capanne sui loro campi coltivati”.

Contemporaneamente si organizzano diverse mobilitazioni per chiedere la liberazione dei 10 prigionieri politici in sciopero della fame in tre prigioni del Chiapas, e del professor Alberto Patishtán Gómez, che è stato trasferito arbitrariamente nella prigione di Guasave, Sinaloa. Tutti loro sono in sciopero della fame e digiuno dal 29 settembre, ed in questi momenti il loro stato di salute è allarmante, perché secondo l’ultimo bollettino medico gli scioperanti accusano vista annebbiata, debolezza e difficoltà a camminare, tra altre complicazioni.

Di fronte alla gravità della situazione ed alla mancanza di risposte da parte del governo statale, gli aderenti all’Altra Campagna lanciano un appello urgente a realizzare azioni, nella maniera che ognuno riterrà più opportuna, il prossimo 7 novembre, “per chiedere la liberazione immediata dei compagni in sciopero della fame e digiuno”. Sta inoltre circolando una raccolta di firme da inviare all’indirizzo di posta elettronica noestamostodxs@riseup.net.

http://www.jornada.unam.mx/2011/11/05/opinion/012o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 3 novembre 2011

Annunciata una mobilitazione mondiale a sostengo degli indigeni in sciopero della fame

Hermann Bellinghauen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 2 novembre. Collettivi, organizzazioni sociali e comunità dell’Altra Campagna hanno lanciato una mobilitazione nazionale ed internazionale in solidarietà con lo sciopero della fame in Chiapas, per chiedere, con diverse manifestazioni, la liberazione degli indigeni rinchiusi nelle prigioni di San Cristóbal de Las Casas, Cintalapa e Motozintla, che sono da 35 giorni in sciopero della fame. La giornata di protesta avrà luogo il prossimo lunedì 7 novembre.

Spicca la solidarietà nazionale e internazionale registrata già in molti stati del Messico, in Italia, Francia, Spagna, Norvegia, Inghilterra, Svizzera e Finlandia, tra gli altri, che si è manifestata in azioni per chiedere la “liberazione immediata dei compagni”.

Ciò nonostante, si aggiunge nella convocazione, “il governo dello stato continua a tenerli prigionieri, invisibili; ha trasferito a Guasave, Sinaloa, il nostro fratello e compagno Alberto Patishtán e frustato le azioni solidali, in particolare il presidio che i familiari dei detenuti stanno mantenendo dall’8 di ottobre nella piazza della cattedrale di San Cristóbal.

Nella convocazione si ricorda che lo scorso 29 settembre, un gruppo di detenuti appartenenti alla Voz del Amate, Solidarios de la Voz del Amate e Voces Inocentes si sono dichiarati in sciopero della fame e digiuno. Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz, José Díaz López, Pedro López Jiménez, Juan Díaz López e Rosario Díaz Méndez, reclusi nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas, “hanno iniziato uno sciopero della fame totale per chiedere la loro immediata e incondizionata liberazione”. Con loro hanno iniziato un digiuno di 12 ore al giorno e con le stesse rivendicazioni, Rosa López Díaz, Alberto Patishtán Gómez e Andrés Núñez Hernández.

Il 3 ottobre si sono uniti al digiuno Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 14, El Amate, e Juan Collazo Jiménez, nel Carcere N. 6 di Motozintla.

Insieme al presidio dei familiari a sostengo dello sciopero della fame e digiuno, firmano: Red contra la Represión y por la Solidaridad Chiapas, Grupo de Trabajo No estamos Todos, Brigada Feminista, Camino del Viento, Comité Ciudadano para la Defensa Popular (Cocidep), Rebeldeando Dignidad, Consejo Autónomo de la Costa, le comunità di Cruztón, Candelaria el Alto, 24 de Mayo, Busiljá, San Juan las Tunas, Ejido Cintalapa e Frente Popular Francisco Villa Independiente, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 2 novembre 2011

Nel carcere di San Cristóbal gli indigeni sono al 34° giorno di sciopero della fame. La loro salute peggiora nell’indifferenza delle autorità

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º novembre. Proseguono. Saranno invisibili? Su un foglio fissato con del nastro adesivo è riportato il numero dei giorni di presidio di fronte alla cattedrale: oggi sono 26. Sono diverse famiglie che sono aumentate di numero e dimagriscono a fisarmonica durante il giorno. Tenaci, chiedono con la loro presenza, i cartelloni, gli striscioni ed un discreto impianto stereo, la liberazione dei loro familiari. Bambini e anziani di Chamula, Mitontic, Tenejapa, Chenalhó, El Bosque, San Cristóbal, accompagnano da qui i detenuti dell’Altra Campagna in sciopero della fame da 34 giorni.

Il municipio voleva cacciare le famiglie, come parte del radicale e fugace maquillage subito da questa città coloniale in occasione del forum mondiale del turismo “di avventura”; ma poi ha desistito. Lo scorso fine settimana in questa stessa piazza si sono svolti grandi concerti del festival Cervantino Barocco. Ed il presidio sempre lì, con i suoi striscioni per la libertà dei “prigionieri politici”. Come se non ci fossero. E così sotto la pioggia torrenziale di stagione.

Anche se molti passanti, centinaia ogni giorno, si fermano a leggere le loro richieste e guardare con insistenza la serie di ritratti dipinti di tutti i detenuti, sobri ed espressivi, per loro non cambia niente. Come diceva Alberto Pastishtán prima che lo “estradassero” a Guasave, Sinaloa, “il governo è sordo e non ascolta le nostre richieste”. O forse no, perché ha deciso di metterlo a tacere. I giorni passano. Un attivista dell’Altra Campagna che partecipa al presidio indigeno dice: “Il governo ha il tempo dalla sua, può aspettare un’altra settimana, mentre i compagni sono sempre più deboli”.

In relazione alle condizioni degli scioperanti, è stato diffuso un nuovo bollettino medico, che alla fine si è potuto redigere domenica, anche se senza strumenti di nessun tipo, condizione dettata dalle autorità del Carcere N. 5 di San Cristóbal per permettere la visita. Il bollettino riferisce che i detenuti in protesta sono “in netto peggioramento”. Presentano nausea, mal di testa e nel corpo, principalmente le articolazioni, e disturbi gastrici. Crampi giorno e notte. Debolezza costante.

La sintomatologia “si è aggravata in tutti”; alcuni hanno la vista annebbiata, o la voce debole, e così il. Sviluppano intolleranza al miele e difficoltà a stare in piedi o camminare anche per brevi distanze, cosicché giacciono quasi permanentemente nel cortile della prigione.

Secondo il parere medico, si va verso un peggioramento e l’esaurimento delle riserve fisiche, “cosa che implica un maggiore danno fisico man mano che aumentano i giorni di sciopero”. Otto di loro non assumono cibo. Altri due digiunano per 12 ore al giorno. E di Patishtán, a Sinaloa, non si sa nulla.

Nella sezione femminile del carcere di San Cristóbal, Rosa López Díaz digiuna da 34 giorni. Presenta “cambiamenti nell’aspetto, occhiaie, mal di stomaco, nausea, debolezza, stanchezza e intorpidimento”.

Col tempo contro, Pedro López Jiménez, nuovo portavoce della protesta, ha fatto arrivare ai familiari alcuni “pensieri” dal suo sciopero: “La pioggia fa germinare ogni tipo di piante, anche tu puoi con le tue parole”.

Anche Andrés Núñez Hernández ha mandato i suoi: “La lotta è come una luce che ti fa vedere tutti i tuoi cari nel mondo. La lotta è come una torcia che illumina le nostre strade, che ci conduce alla vera libertà. Non lasciare che si spenga!” http://www.jornada.unam.mx/2011/11/02/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Lettera di John Berger ai detenuti in sciopero della fame in Chiapas

 Ai detenuti in Chiapas

John Berger

Oggi ho ricevuto una lettera di undici compagni nelle prigioni messicane che sono in sciopero della fame. Il trattamento che ricevono è un esempio allarmante del disprezzo dell’attuale governo verso le aspirazioni e i diritti dei popoli che reprime e domina. Dobbiamo protestare come possiamo. Agite per favore! Fate sentire la vostra voce! Questa è la risposta che ho inviato ai detenuti:

Grazie per la vostra lettera; è stato un onore riceverla. Site accusati di omicidio perché non osano accusarvi di amore. Ed è il vostro esempio di amore ciò che essi temono.

Il coraggio del vostro sciopero della fame deriva dal fatto che sapete bene che le vostre vite hanno un senso, e questo senso risuona dentro voi e per gli altri durante ogni lungo giorno.

Nel frattempo, i vostri aguzzini sono persi nella violenza del nonsenso.

Vi mando la mia solidarietà ed appigli per la speranza.

John Berger 

Francia

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La Jornada – Martedì 1° Novembre 2011

Negata assistenza medica ai detenuti in sciopero della fame in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 31 ottobre. Questo fine settimana, per due volte, il direttore del Carcere N. 5 di questo municipio ha negato l’accesso ai medici indipendenti che volevano visitare i detenuti in sciopero della fame della Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate, aderenti dell’Altra Campagna.

Reclusi in tre prigioni del Chiapas, gli indigeni hanno annunciato che in occasione del Giorno dei Defunti innalzeranno un altare in memoria degli zapatisti caduti nel 1994, quando “i compagni diedero le loro vite per reclamare giustizia e benessere per tutti; uomini e donne come loro non muoiono mai perché vivono nei nostri cuori”.

Lo scrittore John Berger ha inviato una lettera in solidarietà con lo sciopero della fame, nella quale sostiene che il trattamento che ricevono gli scioperanti “è un esempio allarmante del disprezzo dell’attuale governo verso le aspirazioni ed i diritti dei popoli che reprime e domina”.

Dalla prigione i detenuti oggi dicono: “Il nostro stato di salute sta peggiorando, alcuni dei nostri compagni accusano perdita di memoria e nausea. Il compagno Rosario Díaz Méndez sta molto male, il suo livello di glucosio è troppo alto”.

A 33 giorni di sciopero della fame, tornano a chiedere al governatore Juan Sabines Guerrero di “intervenire immediatamente per la nostra liberazione”. Esortano inoltre il governo federale “a dare istruzioni per il ritorno di Alberto Patishtán Gómez e la sua  immediata liberazione”.

Insistono sui loro ingiusti arresti “per reati che non abbiamo mai commeso”, ma “il governo non ha risolto i nostri casi”. Esigono rispetto per lo sciopero della fame che ha iniziato Juan Collazo Jiménez il 27 ottobre a Motozintla. Aggiungono che il direttore di quella prigione, Pascual Martínez Cervantes, ed il giudice, Rogelio Ángel Camacho, “hanno minacciato il nostro fratello di trasferirlo in un altro centro o di punirlo mettendolo in isolamento”.

E dichiarano: “Siamo in prigione perché siamo poveri, analfabeti e non parliamo lo spagnolo. Esigiamo le nostre libertà che ci hanno rubato”.

Intanto, quattro collettivi dell’Altra Campagna in Chiapas (Red Contra la Represión y por la Solidaridad, Grupo de Trabajo No estamos Todos, La Otra Salud e Colectivo Contra la Tortura y la Impunidad) hanno denunciato che le autorità della prigione di San Cristóbal “hanno impedito diverse volte l’ingresso di personale medico”. Sabato 29 “è stato impedito l’accesso di una brigata medica con personale proveniente da Città del Messico”. Anche domenica, nonostante fosse giorno di visita generale, è stato impedito il loro ingresso. Inoltre, è stato impedito l’ingresso anche di familiare e amici.

Queste misure, come il trasferimento di Patishtán, “sono volte a reprimere il loro diritto di manifestare. I collettivi sottolineano “le violazioni di diritti umani da parte di José Antonio Martínez Clemente, sottosegretario degli Istituti di Pena, e José Miguel Alarcón García, commissario del Carcere N. 5, che mettendo a rischio la vita dei compagni”.

Lo sciopero della fame, sostengono, “è uno strumento riconosciuto a livello universale per difendere i diritti umani e denunciare e dare visibilità alle violazioni”. Per alcuni “costituisce una delle ultime forme pacifiche di difesa, quando altri mezzi anche legittimi e legali sono stati ignorati e soffocati”.

Rilevano che una delle implicazioni della protesta è il rischio per la salute. Per questo, “l’assistenza medica è un diritto indiscutibile, riconosciuto da diverse legislazioni internazionali e la cui privazione non è giustificabile da nessun argomento”. La Convenzione di Malta precisa che gli scioperanti, “in particolar chi si trova privato della libertà, ha diritto a che personale medico esterno all’istituzione penale” fornisca assistenza e accompagnamento. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/01/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 28 Ottobre 2011

Si susseguono le dimostrazioni di solidarietà con gli indigeni in sciopero della fame nelle tre prigioni del Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN

Si susseguono le espressioni di solidarietà e supporto con lo sciopero della fame e digiuno dei detenuti indigeni in tre prigioni del Chiapas per chiedere la loro scarcerazione, ed in particolare con il professor Alberto Patishtán Gómez, il cui trasferimento alla Prigione N. 8, a Guasave, Sinaloa, ha suscitato lo sdegno del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità (MPJD) e delle organizzazioni civili che promuovono l’assegnazione del premio jTatic Samuel jCanan Lum 2012, che anche loro hanno manifestato solidarietà con i detenuti in sciopero della fame e digiuno nelle prigioni N. 5 a San Cristóbal de Las Casas, N. 14 a Cintalapa e N. 15 a Copainalá, così come dei loro familiari che si trovano in presidio permanente nella Piazza della Cattedrale di San Cristóbal.

Pedro López Jiménez, portavoces della protesta indigena, ha dichiarato a La Jornada che, dopo 29 giorni di sciopero, “la nostra salute si sta deteriorando, abbiamo ormai molti disturbi, ma siamo decisi e proseguiremo per chiedere la nostra liberazione; siamo ingiustamente in carcere, il governo lo sa ma continua a restare sordo”. Ha confermato che non ancora non è stato possibile entrare in contatto con Patishtán.

In un messaggio a Patishtán Gómez, il MPJD, guidato dal poeta Javier Sicilia, dice al detenuto indigeno: “Il suo arresto, la sua condanna ed il suo trasferimento a nord del paese, come fosse un criminale pericoloso, è un’ulteriore chiara prova della mancanza di giustizia che viviamo e che richiede le nostre migliori energie per costruire il paese e la giustizia di cui abbiamo bisogno”.

Il MPJD riferisce: Il 14 ottobre abbiamo informato pubblicamente della sua situazione il presidente Felipe Calderón, il quale aveva detto che si sarebbe informato, e ci siamo indignati del suo improvviso trasferimento a Guasave, Sinaloa, lontano dai tutti i suoi parenti e amici”.

Dice allo “stimato professore”, riconosciuto difensore dei diritti dei detenuti: “Lei ha avuto la solidarietà e la sensibilità permanente dei suoi compagni in prigione, ai quali sono stati violati i diritti umani, e si è dedicato a chiedere giustizia”.

Le organizzazioni del jCanan Lum ricordano che il 26 gennaio 2010 l’allora vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas visitò la Prigione N. 5, per consegnare a Patishtán Gómez il jTatic Samuel jCanan Lum, “come riconoscimento per il suo profondo impegno umano con cui, dalla prigione, porta avanti la causa di chi è ingiustamente imprigionato e, con la sua fede, promuove la difesa dei diritti umani, riuscendo ad ottenere la liberazione di 40 di queste persone, sebbene egli stesso continui a restare in prigione a scontare un’ingiusta condanna”.

Le organizzazioni riaffermano il loro supporto a Patishtán “nella sua lotta per la libertà e la giustizia” e si appellano alle autorità “affinché assicurino il ritorno di Patishtán nel centro di detenzione più vicino alla sua famiglia nel più breve tempo possibile, come indicano gli organismi internazionali dei diritti umani”.

Intanto, L’Altra Campagna ha realizzato una manifestazione davanti alla sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) a Città del Messico, a sostegno dei detenuti, denunciando inoltre che l’ONU segue una “Agenda Chiapas” in base alla quale “sostiene e finanzia” il governo del Chiapas “come difensore dei diritti umani”.

Infine, secondo l’ultimo bollettino medico sullo stato di salute degli scioperanti, “la debolezza e nausea aumentano, ed anche la loro voce ormai è debole”. Hanno perso in media otto chili, molti soffrono di diarrea e dolori addominali, condizione che aumenta la  disidratazione. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/28/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 27 ottobre 2011

Gli avvocati ritengono che il caso di Alberto Patishtán debba essere rivisto nel contesto del clima di repressione che si viveva all’eopoca dei fatti

Hermann Bellinghausen

Questa è la storia di Alberto Patishtán Gómez, professore tzotzil e membro della Voz del Amate, da anni uno dei più importanti prigionieri indigeni e di coscienza del Messico. Si dichiarò in digiuno Dal 29 settembre scorso è in sciopero della fame, come i detenuti dell’Altra Campagna che chiedono la loro liberazione.

E’ stato arrestato nel 2000 e condannato a 60 anni di prigione con l’accusa di aver ucciso sette poliziotti a Las Limas (El Bosque) a giugno di quell’anno. Nello stesso processo fu assolto un altro imputato, Salvador López González, base di appoggio zapatista, perché il giudice ritenne che l’unico sopravvissuto, Rosemberg Gómez, “non fu sincero quando lo denuncò”.

Secondo la sua difesa, rappresentata all’epoca del suo primo sciopero della fame, tra febbraio ed aprile del 2008, da Gabriela Martínez López, “l’unico testimone fu indotto in maniera inverosimile a testimoniare contro López e Patishtán”.

Il giudice ignorò le contraddizioni e condannò alla massima pena il secondo, che aveva presentato prove ragionevoli di non aver partecipato all’imboscata. Nonostante l’appello ed il ricorso, a maggio del 2003 fu condannato. “Chi lo conosce sa della sua innocenza e della sua forza morale. La condanna è una vendetta delle autorità nel caso dei poliziotti uccisi”. Avevano bisogno di un “capro espiatorio”, fatto che ricorda il celebre caso del leader lakota Leonard Peltier, condannato all’ergastolo negli Stati Uniti “perché qualcuno doveva pagare” per la morte di un agente dell’FBI.

Patishtán apparteneva ad un gruppo di comuneros in contrasto con l’allora presidente municipale di El Bosque, il priista Manuel Gómez Ruiz, che li teneva sotto minaccia. Un mese prima dell’imboscata marciarono nella capitale dello stato. Il giorno dei fatti Patishtán si trovava nel municipio di Huitiupan insieme ai genitori, perché lì dirigeva un albergo. Le prove sono numerose.

I suoi avvocati hanno ripetutamente chiesto di ripresentare il caso nel contesto di quegli anni, quando la rappresaglia politica era la regola.

Si ricordi che nella zona operava, fuori controllo, il gruppo criminale-paramilitare dei Los Plátanos, circa 80 ragazzi addestrati dalla polizia e dall’Esercito federale che si erano stabiliti nella comunità di Los Plátanos.

Il periodo del governatore Roberto Albores Guillén (1998-2000) “fu un periodi di repressione, morte ed azioni paramilitari”. Il 10 giugno 1998, centinaia di poliziotti e soldati attaccarono le comunità Chavajeval, Unión Progreso e El Bosque, con un saldo di otto morti e più di 50 arresti. Nel 1999 la violenza in Chiapas si rifugiava sotto la protezione dell’Esercito federale che aumentò la sua presenza da 66 a 111 municipi. Alla fine del 2000, solo negli Altos erano avvenute altre otto esecuzioni.

Le prime indagini della Procura Generale della Repubblica indicavano che gli autori potevano essere stati uno dei “gruppi armati” sui quali indagava (alla fine inutilmente) l’Unità Speciale per i Reati Commessi da Presunti Gruppi di Civili Armati, che concluse che il gruppo aggressore si era impadronito delle armi dei sette poliziotti uccisi, armi ad uso esclusivo dell’Esercito. “Come potevano farlo solo due persone? Come avevano potuto mettersi insieme un priista (Patishtán lo era a quel tempo) ed uno zapatista, Salvador López, per tendere un’imboscata ai poliziotti? Non si conoscevano nemmeno. A questo non è mai stata data una spiegazione”, ancora tre anni fa sosteneva la sua difesa..

Patishtán adduce una rappresaglia dell’allora sindaco Gómez Ruiz, chi obbligò suo figlio Rosemberg ad accusarlo.

“Oggi sappiamo dai familiari di Patishtán che la testimonianza fu comprata con un camioncino Ford. Ogni volta che Rosemberg si ubriaca confessa di essere stato costretto a ‘mandare in prigione Patishtán”, riporta la relazione della sua difesa.

Il professore tzotzil è stato trasferito ingiustificatamente in una prigione federale a Guasave, Sinaloa, lo scorso 20 ottobre, e fino ad ora nessuno ha potuto mettersi in contatto con lui. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/27/politica/026n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

 Ingiustizia in Chiapas

Gloria Muñoz Ramírez

Emilia Díaz è la moglie di Rosario Díaz, detenuto nell’Istituto Penitenziario N. 5 di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, dove sta scontando una condanna a 45 anni di prigione accusato di sequestro e omicidio. Rosario, come gli altri 10 prigionieri politici da 24 giorni in sciopero della fame per chiedere la loro liberazione, sta scontando una sentenza frutto di un processo ingiusto e razzista, piagato da irregolarità di cui trabocca l’apparato di giustizia del governo di Juan Sabines e dei suoi predecessori, sia Pablo Salazar Mendiguchía sia Roberto Albores Guillén, in uno stato storicamente emblematico per l’ingiustizia verso gli indigeni.

Torture, testimoni falsi, detenzioni arbitrarie, mancanza di traduttori nei processi ed un’infinità di irregolarità sono presenti nei processi di centinaia di indigeni imprigionati in Chiapas. Di molti si presume l’innocenza, perché è dimostrabile l’arbitrio dei processi giuridici. Il reato di essere indigeno e, la cosa peggiore, di organizzarsi dentro le prigioni per chiedere la propria libertà, ha fatto sì che uno dei leader dello sciopero della fame, Alberto Patishtán Gómez, fosse trasferito improvvisamente in una prigione federale a duemila chilometri di distanza, a Guasave, Sinaloa, azione che è stata criticata da molti settori della società civile e da organismi dei diritti umani, come Amnesty International, che in un comunicato ha denunciato che si è trattato di “una rappresaglia per il suo ruolo attivo nello sciopero della fame e nelle rivendicazioni per il rispetto dei diritti umani dei detenuti”.

Venerdì scorso convocata dalla Rete contro la Repressione e la Solidarietà, si è svolta un’azione di protesta di fronte alla rappresentanza del “malgoverno del Chiapas” a Città del Messico, per chiedere la liberazione immediata degli 11 detenuti dell’Altra Campagna che appartengono alle organizzazioni La Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate. Contemporaneamente, sta circolando un’Azione Urgente del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, che chiede ai governi federale e statale informazioni su dove si trovi Alberto Patishtán Gómez, così come le ragioni del suo trasferimento; il suo ritorno immediato nella prigione di San Cristóbal de las Casas; che si accolgano le richieste di giustizia che esigono i detenuti in sciopero della fame e si rispettino i diritti delle persone private della libertà; e che si rispetti il diritto di manifestazione, riunione e libertà di espressione dei familiari dei detenuti in sciopero della fame che si sta svolgendo nella Piazza della Cattedrale di San Cristóbal de las Casas, Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/22/opinion/015o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 22 ottobre 2011

Amnesty International chiede la revisione dei casi dei detenuti a San Cristóbal de las Casas

Ángeles Cruz Martínez

Amnesty International chiede alle autorità messicane di rivedere i casi dei detenuti in sciopero della fame nella prigione di San Cristóbal de las Casas, perché esistono le prove dell’irregolarità dei processi e delle sentenze. In particolare, esprime la sua preoccupazione per il trasferimento del professor Alberto Patishtán in una prigione federale di Sinaloa.

Denuncia che la misura sembrerebbe una rappresaglia per la sua partecipazione al digiuno iniziato il 29 settembre insieme ad altri condannati per protestare contro la persecuzione delle autorità penitenziarie. Denunciano anche che hanno negato loro la visita di familiare e amici.

Inoltre, dallo scorso 8 ottobre, i familiari dei detenuti in sciopero della fame sono in presidio permanente nella Piazza della Cattedrale.

Amnesty International segnala che i processi giudiziari contro gli indigeni in sciopero della fame devono essere rifatti secondo gli standard internazionali sul giusto processo, o devono essere messi in libertà.

Amnesty International rivolge anche un appello ai governi federale e statale affinché rispettino il diritto dei detenuti di realizzare lo sciopero della fame ed a procurare adeguata assistenza medica, così come a non ricorrere all’alimentazione forzata.

L’organizzazione segnala che tentare di alimentare gli scioperanti contro la loro volontà è ingiustificato, perché sono nel pieno delle loro capacità mentali, specialmente se questo avviene senza adeguata supervisione di uno specialista, e prima che esista una fondata ragione medica o avvenga in modo crudele.

Un’altra preoccupazione espressa da Amnesty International riguarda le minacce e le intimidazioni delle autorità per porre fine alla protesta. In particolare, si riferisce alla situazione di Rosa López Díaz, anch’ella in sciopero della fame nella prigione, che è stata minacciata di essere separata in maniera permanente da suo figlio.

Intanto, il Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH) ha chiesto alla Segreteria di Pubblica Sicurezza federale di “realizzare le azioni necessarie” affinché Patishtán sia riportato nella prigione di San Cristóbal de las Casas, poiché il suo trasferimento nell’Istituto Penitenziario N. 8, con sede a Guasave, Sinaloa, “costituisce una violazione dei suoi diritti umani”.

In un comunicato, il CEDH afferma che il trasferimento dell’indigeno “evidenzia la violazione dell’articolo 69 della legge federale di esecuzione delle sanzioni penali, secondo cui per i trasferimenti degli internati deve essere rispettato l’imperativo costituzionale di protezione dell’organizzazione e dello sviluppo della famiglia”.

Aggiunge che questo principio è stato violato, perché Patishtán è di etnia tzotzil ed allontanandolo gli viene negata l’integrazione personale, familiare e comunitaria. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/22/politica/015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – 21 ottobre 2011

Trasferito in un carcere di Sinaloa, Alberto Patishtán Gómez, portavoce dei detenuti in sciopero della fame in Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN

All’alba di ieri, giovedì, intorno alle 2:30, il direttore della prigione di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, José Miguel Alarcón García, ed il comandante della prigione, scortati da sette agenti di custodia, hanno trasferito nella prigione di Guasave, Sinaloa, il professor Alberto Patishtán Gómez, portavoce dei detenuti da 22 giorni in sciopero della fame.

Secondo i suoi compagni che si trovano nel presidio all’interno del carcere, il trasferimento di Patishtán Gómez “è chiaramente un tentativo di scoraggiare lo sciopero della fame”. Segnalano che le autorità governative “sono consapevoli, come noi, dell’autorità morale che rappresenta Patishtán all’interno della prigione, e più concretamente nello sciopero”.

Nel pomeriggio del giovedì, il governo statale ha annunciato che, “nell’ambito del programma di riduzione del sovraffollamento dei centri penitenziari, questo giovedì la Segreteria federale di Pubblica Sicurezza ha eseguito il trasferimento di 48 detenuti che si trovavano nelle prigioni del Chiapas in diverse prigioni federali del paese”.

In questo gruppo si trova Patishtán Gómez – aggiunge il bollettino ufficiale – “condannato a 60 anni di prigione per reati federali, dopo il suo arresto nel 2000”. Il maestro “si trova in buono stato di salute” ed è stato trasferito nel Carcere N. 8 di Guasave, Sinaloa.

Il sottosegretario degli Istituti Penali in Chiapas, José Antonio Martínez Clemente, ha precisato che tutti i detenuti trasferiti sono condannati per reati in ambito federale. In realtà, le autorità dello stato si sono dissociate dall’operativo. Ricordiamo che nel 2010, il governatore Juan Sabines Guerrero si era personalmente impegnato per la liberazione di Patishtán durante la sua visita all’ospedale di Tuxtla Gutiérrez, dove il professore tzotzil era stato ricoverato per sei mesi per problemi diabetici, per i quali non ha ricevuto l’assistenza adeguata, e si pensa che ne riceverà ancora meno nel nuovo carcere.

Patishtán è stato il portavoce ufficiale dell’azione di protesta pacifica intrapresa dai detenuti indigeni nelle prigioni di San Cristóbal, El Amate e Motozintla, rispetto al quale “il governo non solo non si è pronunciato, ma ha fatto di tutto per oscurare la protesta”, hanno dichiarato i familiari dei detenuti, ed ora “cerca di spezzare questo sciopero della fame”.

I detenuti e le loro famiglie – in presidio nel centro di San Cristóbal de Las Casas – chiedono la liberazione immediata di Patishtán Gómez e di tutti gli altri carcerati in sciopero della fame. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/21/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 20 ottobre 2011

Negate le visite ai detenuti in sciopero della fame nel carcere di San Cristóbal

HERMANN BELLINGHAUSEN

Pedro López Jiménez, 31 anni, tzeltal di Colonia Sibactel, municipio di Tenejapa, Chiapas, è da 21 giorni in sciopero totale della fame insieme ad altri sei detenuti indigeni nel carcere di San Cristóbal de las Casas. Chiede la sua liberazione perché sostiene di essere innocente dalle accuse per le quali è stato condannato a 14 anni di prigione, e che è stato torturato ed obbligato a dichiararsi colpevole di sequestro e violenza, reati che non ha commesso.

L’hanno arrestato gli agenti della polizia giudiziaria dello stato il 10 maggio 2007 a San Cristóbal de Las Casas. Come riferisce lo stesso López Jiménez, gli agenti non gli mostrarono nessun mandato di cattura. Nemmeno gli dissero il motivo dell’arresto. Condotto in una “casa” gli praticarono la tortura dell’asfissia con una busta di plastica, con l’acqua, gli bendarono gli occhi con uno straccio intriso di sostanza urticante e gli applicarono scariche elettriche. I suoi aguzzini lo bastonarono fino a fargli perdere i sensi.

López Jiménez ha riferito che alle torture partecipò “un numero imprecisato di poliziotti, perché erano in tanti”. Nello stesso luogo dove fu torturato firmò la sua dichiarazione su un foglio in bianco. Il giorno seguente la polizia lo consegnò al Pubblico Ministero (MP) dove, con l’intervento di qualcuno appartenente al Pubblico Ministero stesso, si ratificò la dichiarazione che consegnarono i poliziotti. Non ebbe né l’assistenza di un avvocato né di un interprete in tzeltal. Lo trasferirono in un’altra casa e da lì al Centro Statale di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 5, a San Cristóbal.

Gli formalizzarono l’arresto 9 giorni dopo con una condanna a 14 anni, riconfermata anche in appello. Come succede anche per gli altri casi dei detenuti attualmente in sciopero della fame e digiuno, l’avvocato d’ufficio incaricato del loro caso non li tiene informati dell’andamento dei processi.

Secondo i collettivi dell’Altra Campagna che seguono il suo caso e l’hanno visitato in prigione, “lo stato di sovraffollamento in cui vivono i reclusi è preoccupante”. “Nelle celle di tre per tre metri e mezzo dormono minimo 10 persone”. López Jiménez è membro dell’organizzazione Solidarios de La Voz del Amate, ed ha effettuato digiuni “come forma di denuncia e pressione”. Ha denunciato pubblicamente anche il sovraffollamento in cui vivono i carcerati e la pessima qualità del cibo che ricevono, spesso scaduto.

Al momento del suo arresto era vice presidente dell’istruzione nella sua comunità. Ha cinque figli. Sua moglie, una donna contadina, ha dovuto cominciare a lavorare come salariata. La famiglia si è unita alle azioni in difesa dei detenuti e partecipa al presidio nella piazza di San Cristóbal, in corso da 12 giorni.

Con López Jiménez partecipano allo sciopero della fame, dal 29 settembre, Rosario Díaz Méndez, “prigioniero politico” della Voz del Amate; José Díaz López, Alfredo López Jiménez e Alejandro Díaz Sántiz, dell’organizzazione Solidarios de La voz del Amate, e Juan Díaz López, di Voces Inocentes.

Altri cinque detenuti partecipano con digiuni di 12 ore al giorno: Alberto Patishtán Gómez, della Voz del Amate, Andrés Núñez Hernández e Rosa López Díaz. Juan Collazo Jiménez (a Motozintla) ed Enrique Gómez Hernández (an Cintalapa) si sono uniti al digiuno il 3 ottobre.

Questo lunedì, un gruppo di indigeni cattolici di Huixtán ha chiesto di visitare i detenuti in sciopero nel Carcere N. 5, ma il direttore, José Miguel Alarcón García, ha vietato loro la visita dicendo di ritornare “tra 15 giorni”. Secondo Indymedia Chiapas, “non è la prima visita agli scioperanti che il direttore della prigione proibisce”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 19 ottobre 2011

Prosegue da 20 giorni lo sciopero della fame dei detenuti nelle prigioni del Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN

Alberto Patishtán Gómez, portavoce della Voz del Amate e tutti i detenuti in sciopero della fame e digiuno nelle tre prigioni del Chiapas, via telefono oggi dal carcere di San Cristóbal de Las Casas, sottolinea che la protesta delle organizzazioni L’Altra Campagna, Voces Inocentes, Solidarios con la Voz del Amate e la comunità di Mitzitón “sono da 20 giorni in sciopero della fame senza alcuna risposta da parte del governo”.

Segnala che i detenuti, in particolare quelli che non assumono cibo dal 29 settembre scorso, accusano orami già forti nausee e debolezza, e che le autorità della prigione hanno ristretto le visite e l’ingresso di personale medico.

Rispetto al suo caso in particolare, il professor Patishtán ricorda “l’impegno (di concedere la sua libertà) preso dal governatore Juan Sabines Guerrero più di un anno fa nell’ospedale in cui era ricoverato; che non rimanga solo a parole, ma si concretizzi nei fatti”.

Dopo la liberazione – nel fine settimana – di Manuel Heredia e Juan Jiménez, della comunità di Mitzitón, nella sezione maschile del Carcere N. 5 restano sei indigeni in sciopero della fame, ed altri due a digiuno per 12 ore al giorno. A loro si uniscono Rosa Díaz López – nella sezione femminile -, Juan Collazo, nel Carcere N. 6 di Motozintla, ed Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 14 di El Amate.

Rispetto alla liberazione di due membri dell’ejido di Mitzitón, le autorità della comunità hanno chiarito – per telefono – che non hanno inviato nessun ringraziamento al governatore né hanno negoziato col governo. I contadini tzotziles liberati sono rimasti in carcere ingiustamente per quasi 10 anni.

Il portavoce di Mitzitón ha ricordato che si è trattato di una lunga lotta; nel gennaio scorso la comunità aveva realizzato un presidio di fronte alla prigione per chiedere la liberazione dei suoi compagni. “C’è stata anche l’azione dei compagni nazionali ed internazionali” (con riferimento alla solidarietà ricevuta). Resta in prigione Artemio Díaz Heredia.

Domenica scorsa, a 17 giorni di protesta, un gruppo dell’Altra Campagna, compreso personale medico, ha visitato la prigione di San Cristóbal. Sui carcerati in sciopero della fame riferiscono che Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Santis e Juan Díaz López sono “esposti alle intemperie ed al freddo ed alla pioggia, fuori dalle celle, in presidio sotto una tettoria di lamiera e teli di plastica”. Accusano mal di testa, petto e stomaco, nausea, riduzione di peso, diarrea, stanchezza, segni di disidratazione, crampi alle gambe e pressione sanguigna bassa. Secondo il rapporto, i segni ed i sintomi osservati indicano “conseguenze fisiche dovute al digiuno; i detenuti sono in una fase in cui il digiuno inizia ormai a produrre effetti sulla salute fisica”.

Nella sezione femminile è a digiuno per 12 ore al giorno Rosa López Díaz che accusa dolori al petto e dolore permanente per ernia ombelicale da vari mesi. “Nell’ultima settimana Tomás Trejo Liévano, che si è presentato come psicologo del Carcere, è stato da le per convincerla a ‘parlare’, nonostante il rifiuto di Rosa”, alla quale sono state esercitate pressioni affinché abbandoni la protesta.

Impossibilitati allo sciopero della fame per motivi di salute, sono a digiuno anche Andrés Núñez Hernández e Patishtán Gómez; nel Carcere N. 14, Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 6, a Motozintla, Juan Collazo Jiménez, che è “stabile, ma molto preoccupato per la madre che si trova al presidio dei familiari dei detenuti nella piazza di San Cristóbal” dall’8 ottobre.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 17 Ottobre 2011

La donna tzotzil in carcere in Chiapas chiede aiuto alle Mamme Antifasciste di Roma

HERMANN BELLINGHAUSEN

Dal carcere di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Rosa López Díaz così scriveva nell’aprile scorso alle Mamme Antifasciste di Roma che, nella capitale italiana, avevano organizzato un incontro contro la tortura nelle prigioni: “Sono indigena di lingua tzotzil. Sono di famiglia umile e povera. Mi hanno arrestata il 10 maggio del 2007 insieme a mio marito (Alfredo López Jiménez) con l’accusa di un reato che non abbiamo commesso; ho subito trattamenti inumani come la tortura fisica e psicologica, e minacce di morte.

“E’ la cosa più triste che mi sia capitata nella mia vita di donna, non dimenticherò mai i volti delle persone che mi hanno picchiata ingiustamente; uomini e donne che dicono di essere autorità pubbliche non hanno cuore e solo violano i diritti umani imputando reati a persone che non danno loro denaro; e siamo finiti in prigione perché non conosciamo i nostri diritti e così siamo calpestati, ignorati per tutti i nostri diritti come esseri umani”.

Vittima di fabbricazioni giudiziarie e condannata a 27 anni di carcere, come suo marito oggi in sciopero della fame, Rosa raccontava alle madri italiane: “Chiedo solo perdono a Dio e che un giorno guarisca le ferite che porto dentro e fuori; la cosa più dolorosa della mia vita è che durante le torture ero incinta di quattro mesi e poi ho dato alla luce un bambino di nome Natanael López López, nato con danni cerebrali, il volto deforme e paralizzato”.

Rosa, da 17 giorni a digiuno, accompagna dalla prigione femminile di San Cristóbal lo sciopero della fame dei detenuti dell’Altra Campagna della sezione maschile del carcere N. 5, che chiedono la loro liberazione; è madre anche di un bambino di due anni, sano, che vive con lei in prigione: “I dottori hanno detto a mia madre che il bambino è nato malato per le torture ricevute al mio arresto”.

Oggi, aggiunge, “chiedo misericordia a Dio affinché mio figlio possa ricevere un trattamento adeguato per la sua malattia; ho bussato a tante porte ma nessuno mi ha ascoltato, oggi chiedo a Dio di toccare i vostri cuori affinché un giorno insieme possiate aiutarmi a superare questo dolore che mi porto giorno dopo giorno sola; non ce la faccio più, ho bisogno di voi, compagne e compagni, affinché insieme sconfiggiamo i malgoverni nei nostri paesi, meritiamo un trattamento degno, meritiamo uguaglianza”.

Funzionari governativi hanno fatto pressioni su Rosa perché abbandoni il digiuno, minacciando di toglierle la custodia del piccolo che vive con lei in prigione.

Dal 29 settembre sono in sciopero della fame Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz e Juan Díaz López. Oltre ad Alberto Patishtán e Rosa Díaz López, digiunano Andrés Núñez Hernández, Juan Collazo ed Enrique Gómez Hernández. I loro familiari, organizzati nella Voz del Amate, Voces Inocentes, Solidarios de La Voz del Amate e Mitzitón, mantengono una presidio nella piazza centrale di San Cristóbal de Las Casas per chiedere la liberazione dei prigionieri in sciopero della fame.

La comunità di Mitzitón ha comunicato che sabato scorso sono stati liberati dalla prigione di San Cristóbal i primi due detenuti in sciopero della fame: Manuel Heredia Jiménez e Juan Jiménez Pérez, “dopo 9 anni e 4 mesi di reclusione ingiusta”. La comunità tzotzil ribadisce che: “Stiamo lottando per la libertà di chi sta dentro le prigioni e fuori”. Annunciano che continueranno a lottare fino a vedere libero il loro compagno Artemio Díaz Heredia e gli aderenti che proseguono lo sciopero della fame.

“I nostri passi accompagnano quelli delle basi di appoggio dell’EZLN. Continueremo ad essere compagni e per questo vogliamo che cessi la persecuzione contro le comunità zapatiste, il cui unico reato, come noi, è quello di lottare per la propria autonomia”, concludono gli indigeni.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 15 Ottobre 2011

Basi di appoggio zapatiste subiscono aggressioni e saccheggi nella comunità Che Guevara, denuncia la JBG

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, di La Realidad Trinidad, Chiapas, ha denunciato minacce di morte con armi da fuoco, furto di prodotti, saccheggi e tentativi di omicidio contro le basi di appoggio zapatiste del villaggio Che Guevara, o Rancho La Paz, nel municipio autonomo di confine Tierra y Libertad, da parte di persone di insediamenti vicini protette da funzionari governativi.

Nei giorni 6, 7 e 8, Eladio Pérez e Filadelfo Salas, loro familiari ed altre sei persone sono  arrivate a rubare due ettari di piante di caffè ed altrettanti sono stati tagliati da Olegario ed Ángel Roblero. “Le piantagioni di caffè sono coltivate dai nostri compagni, ma queste persone stanno tagliando le piante nel terreno recuperato di Che Guevara, che si trova nel municipio ufficiale di Motozintla”, comunica la JBG.

La mattina del giorno 10, queste persone sono arrivate nuovamente sul terreno di 30 ettari con l’intenzione di tagliare altro caffè, ma le donne di Che Guevara l’hanno impedite. Tra gli intrusi, Bersaín e Misael Escobar si sono scagliati contro le donne a colpi di machete.

“La nostra compagna Martha Zunun Mazariegos è stata aggredita a colpi di machete ed è stata colpita al collo e presa a calci e poi, caduta a terra, minacciata con una pistola da Misael Escobar. Julia Aguilar ha ricevuto un colpo di con machete in testa, uno al braccio ed un calcio nell’addome. La compagna Guadalupe, di 75 anni, è stata aggredita con spintoni e minacce di morte”. Misael ha esploso tre colpi in aria. Sono poi spraggiunti altri sei zapatiste per difendere le donne e sono state minacciate di essere “eliminate una per volta”.

All’alba di martedì 11, Ángel Hernández Hernández, base di appoggio dell’EZLN di Che Guevara, mentre aspettava un’auto alla deviazione del Rancho La Paz, è stato avvicinato dai fratelli Escobar che “gli hanno legato collo e mani e picchiato, portandolo quindi in un’autofficina di proprietà di Misael al crocevia di San Dimas, dove hanno continuato a picchiarlo, e quando ha perso conoscenza hanno deciso di gettarlo nel fiume Río Grande di La Paz, a circa 100 metri, ma una donna che era con loro è intervenuta chiedendo che non lo facessero”. Poi, gli aggressori “hanno detto ad un altro dei nostri compagni, Manuel Barrios, che l’avrebbero ammazzato”.

Il gruppo degli aggressori è guidato da Silvano Bartolomé e Guillermo Pompilio Gálvez Pinto che la JBG accusa, insieme ai tre livelli di governo – municipale, statale e federale – di organizzare e manipolare la gente per provocare le basi zapatiste. “Questi atti criminali ci riempiono di rabbia e indignazione, ancora di più quando le istanze governative alle quali compete di fare giustizia li ignorano lasciandoli nell’impunità”.

La JBG denuncia Rodolfo Suárez Aceituno, presidente municipale di Motozintla, il governatore Juan Sabines Guerrero ed il presidente Felipe Calderón Hinojosa, quali “autori intellettuali” di questi “atti criminali”. Chiede alle autorità di fare giustizia. “Siamo stanchi di quello che fa il malgoverno; imprigiona gli innocenti mentre i criminali godono di piena libertà”.

La giunta zapatista avverte: “Pensano di farci paura affinché i nostri compagni abbandonino le terre che abbiamo riscattato con il sangue dei nostri compagni caduti nel 1994. Non ci arrenderemo, le difenderemo a qualunque costo e se il governo non fa niente al riguardo e l’unica opzione che ci lascia è difenderla con la nostra stessa vita, lo faremo volentieri”.

Se le autorità ufficiali non interverranno, “saranno complici di questi delinquenti”, aggiunge la JBG. “Come zapatisti, non ci vendiamo per le porcherie che distribuisce Juan Sabines, e molto meno per gli avanzi di quello che lui non riesce a mangiare”.

A due settimane dallo sciopero della fame di sette detenuti indigeni di diverse organizzazioni dell’Altra Campagna, ed altri sei a digiuno per 12 ore al giorno, il presidio dei familiari in corso da una settimana nella piazza centrale di San Cristóbal de las Casas denuncia nuove minacce di sgombero da parte del governo statale. Questo, perché lunedì prossimo inizia nello stesso luogo il Forum Mondiale del Turismo di Avventura, e non sembrano molto favorevoli all’immagine del governo chiapaneco le evidenze che si torturano e si imprigionano ingiustificatamente gli indigeni.

Come riferisce Indymedia Chiapas, questo giovedì i parenti in presidio hanno ribadito  che gli indigeni nelle prigioni di San Cristóbal, Cintalapa e Motozintla sono stati torturati sistematicamente. “L’asfissia è una delle forme di tortura più comuni in Chiapas, non solo durante i governi precedenti, ma anche nell’attuale amministrazione la cosa è sistematica”. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/15/politica/015n1pol

Denuncia della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 12 ottobre 2011

Il Tribunale Permanente dei Popoli darà visibilità agli indigeni

MATILDE PÉREZ U.

Si installato il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) che sarà un luogo per pensare ad una nuova costituente ed opererà affinché i popoli indigeni siano riconosciuti come soggetti di diritto, ha affermato il vescovo di Saltillo, Raúl Vera López, partecipando al forum Messico ed il Mondo Attuale, organizzato da Casa Lamm e La Jornada.

Dopo aver raccontato alcune delle sue esperienze nella lotta dei minatori di Pasta de Conchos, nel lavoro per documentare la sparizione di almeno 200 persone a Coahuila e la creazione della Rete dei Familiari Desaparecidos, Vera López ha riferito che la lotta del vescovo Samuel Ruiz García affinché gli indigeni – i più poveri – fossero considerati soggetti di diritto, continua ed ora con il TPP saranno visibili e saranno presi in considerazione.

In questo tribunale, ha specificato, “si farà una radiografia chiara di chi guida il paese, della mancanza di razionalità e si recupererà il vero sentire politico e della giustizia”.

Luis Hernández Navarro, opinionista di La Jornada, e Magdalena Gómez, collaboratrice di questa testata, hanno descritto i precedenti del TPP, stabilito formalmente nel 1979 a Bologna, Italia, ed il cui compito è dare visibilità ed esaminare i casi in cui si commettono crimini contro l’umanità.

Hernández Navarro ha raccontato che, nei 32 anni di esistenza del TPP, i suoi 130 membri si sono riuniti in più di 40 occasioni per giudicare dai genocidi fino ai crimini ambientali ed abusi commessi dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e da imprese transnazionali in diversi paesi. Nel caso del Messico si stabilirà dopo quattro anni di intenso lavoro realizzato da Andrés Barreda per giudicare i casi che denunceranno i popoli. “Sarà una tribuna per dare la parola a chi subisce abusi, uno spazio per conservare la memoria; sarà il luogo in cui i popoli che hanno subito gravi violazioni ai propri diritti presentino i loro casi”.

Jorge Fernández Souza, avvocato e studioso dell’Università Autonoma Metropolitana, ha affermato che nel paese lo stato di diritto è praticamente sepolto, perché “si è persa la bussola del diritto; si è distorto tutto, c’è distanza tra la legge e quello che succede nella realtà. La possibilità di accedere ad istanze minimamente credibili è scarsa”.

Ha dichiarato che il TPP farà da cassa di risonanza, perché la sua statura morale è molto alta.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 12 ottobre 2011

Le autorità del PRD premono perché sia rimosso il presidio a San Cristóbal

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 11 ottobre. Funzionari municipali inviati dal sindaco Cecilia Flores, del PRD, hanno esercitato pressioni sugli indigeni accampati nella piazza centrale di questa città, familiari dei detenuti in sciopero della fame nel Carcere N. 5 ed in altre due prigioni chiapaneche, che chiedono la loro liberazione.

Come ha comunicato questa mattina Alberto Patishtán Gómez, membro della Voz del Amate e portavoce dei sette detenuti in sciopero della fame, che oggi sono al 13° giorno di protesta, gli emissari municipali pretendono che si tolga il presidio dalla piazza della cattedrale di San Cristóbal almeno mentre si svolgerà il Forum Mondiale del Turismo di Avventura il prossimo fine settimana. Nei prossimi giorni è previsto l’arrivo dei partecipanti.

Patishtán ha detto a La Jornada che le famiglie hanno risposto alle pressioni “che si ritireranno dalla piazza solo quando usciranno liberi tutti i detenuti rinchiusi ingiustamente”.

Il portavoce dei detenuti ha rivolto un appello alla società civile ed a coloro che simpatizzano con la richiesta di libertà, a realizzare azioni di solidarietà in difesa delle famiglie indigene che sono in presidio permanente, di fronte al pericolo che, ha detto, “vengano cacciati con la forza dalla piazza affinché i governanti possano fare bella figura con la loro festa per promuovere il turismo”.

Mentre il governo non ha praticamente fatto nulla per rispondere alle richieste dei detenuti, alcuni rappresentanti del Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH) nei giorni scorsi si erano offerti ai detenuti dell’Altra Campagna di intervenire nei loro casi se avessero firmato un documento nel quale designavano lo stesso CEDH come loro rappresentante legale.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha inviato comunicazioni al governatore ed al titolare del sistema penitenziario in Chiapas, e l’unica risposta è stata una notifica della direzione delle carceri secondo la quale i casi saranno “dati in carico” ai tribunali locali delle prigioni corrispondenti. “Non c’è alcuna risposta ufficiale”, sostiene Víctor Hugo López, direttore del Frayba. “Il governo vuole solo prendere tempo”.

Intanto, 15 collettivi, organizzazioni sociali e reti solidali della Sesta Internazionale dell’Altra Campagna in diverse nazioni europee hanno manifestato il loro sostegno allo sciopero ed al digiuno degli indigeni dell’Altra Campagna: “Ci uniamo alla vostra richiesta contro gli arbitri di José Antonio Martínez Clemente, sottosegretario per l’Applicazione delle Sanzioni Penali e Misure di Sicurezza dello stato, e di José Miguel Alarcón García, direttore del Carcere N. 5. Chiediamo che si permetta l’ingresso di familiare, amici, accompagnatori e personale medico”.

Gruppi civili di Francia, Svizzera, Italia, Spagna e Germania ritengono responsabili questi funzionari ed il governatore chiapaneco Juan Sabines Guerrero “di qualunque cosa possa accadere” ai detenuti Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Santis, Manuel Heredia Jiménez, Juan Díaz López, Alberto Patishtán Gómez, Andrés Núñez Hernández, Rosa López Díaz e Juan Jiménez Pérez.

Chiedono che “cessi il ricatto contro Rosa López Díaz, alla quale hanno minacciato di togliere il figlio” se non interrompe il digiuno. Soprattutto chiedono la “liberazione immediata” dei detenuti di La Voz del Amate, solidali di La Voz del Amate, L’Altra Mitzitón e Voces Inocentes.

I collettivi concludono: “Seguiamo la situazione ed eserciteremo la pressione necessaria per ottenere, tutti insieme, la loro liberazione”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 10 ottobre 2011

Compie due anni Desinformémonos, la rivista elettronica “indipendente e libera” diretta dalla giornalista Gloria Muñoz

Mónica Mateos-Vega

La rivista elettronico Desinformémonos compie due anni e conferma lo spirito che ha animato la sua nascita: dare voce agli indignati nel mondo.

“Non trattiamo né ci preoccupiamo dell’informazione di governi, deputati, presidenti municipali, né dell’informazione calata dall’alto. Qui non passa, a meno che si tratti di mettere in discussione determinati modi di governare, ma non è la cosa più importante, la cosa importante è come agiscono coloro che stanno in basso: che cosa fanno per le strade, come si sta trasformando la politica e come se ne stanno appropriando”, spiega Gloria Muñoz, direttrice di questo progetto “di comunicazione autonoma, libera ed indipendente”.

La giornalista dirige una squadra di comunicatori, “ma anche di persone dei movimenti sociali, persone dei villaggi, giovani dei quartieri e molte donne, che condividono con noi le loro storie di lotta, di resistenza, di sopravvivenza e di repressione”, segnala nell’intervista.

Aggiunge che in due anni la rete dei collaboratori è aumentata (circa 100 persone), con le quali stiamo preparando il numero speciale dell’anniversario che includerà “sogni, attività, lotte, resistenze, illustrazioni, fotografie e video di ragazzi di Messico, Cile, Brasile, Honduras, Guatemala, Cuba, Hawai, Austria, Ucraina, Georgia, Siberia, Nigeria, Spagna, Argentina, Francia, Italia, Stati Uniti, Bolivia, Uruguay, Haiti e Turchia.

La cosa meravigliosa di questo è che tutto proviene da lavoro volontario, molto professionale, di persone che credono in questa trincea e che in qualche modo fa parte delle sue lotte. Sono stati due anni di apprendimento, durante i quali la componente più rilevante è stato l’attivismo”.

Desinformémonos viene pubblicato in sei lingue e viene visitato mensilmente da persone di 125 paesi.

Muñoz, collaboratrice anche della Jornada, ritiene che “la società esige spazi di giornalismo che si occupino di quello che i grandi mezzi di comunicazione non affrontano, di quello che succede in basso, nei quartieri, nelle fabbriche, in campagna.

“Da due anni è in corso il progetto di un laboratorio di giornalismo per le lavoratrici del sesso, con le quali stiamo realizzando un libro di interviste realizzate da loro stesse. Stiamo inoltre facendo scambi tra le comunità.

“C’è un’esplosione di mezzi di comunicazione di cittadini, autonomi, liberi che  rispondono ai bisogni della loro realtà, della società in complesso. Sono la risposta a quello che offrono i grandi media”.

La giornalista aggiunge che negli ultimi 12 mesi “Desinformémonos ha subito un colpo emotivo molto forte: la perdita di Matteo Dean, fondatore, giornalista, giovane, compagno, un uomo che ha dato molta vitalità al progetto. La sua dolorosa e repentina scomparsa ci ha portato a molte riflessioni, e parte del lavoro che si sta facendo per il secondo anniversario, e quello che verrà, è un omaggio a lui”.

Contemporaneamente alla pubblicazione on-line, nelle prossime settimane, per la prima volta, la rivista sarà pubblicata su carta, e prossimamente avrà un’edizione propria in Brasile e Italia. Esiste anche una versione in PDF che si può scaricare e stampare.

Il numero di visitatori della pagina di Desinformémonos si aggira intorno ai 35 mila al mese, e molti dei suoi contenuti sono ripresi da altri siti web e blog, con cui si incrementano le visite.

!La nostra successiva tappa sarà il rafforzamento l’impegno che abbiamo acquisito in questi due anni: maggiore coinvolgimento con quello che succede nel mondo, incominciando con lo stampare la rivista e diventare una rivista quindicinale.

“E’ sempre una scommessa lavorare senza risorse, ma ne vale la pena”, conclude Muñoz, che dirige una squadra formata, nel suo nucleo, da Marcela Salas, Sergio Castro, Jaime Quintana, Amaranta Cornejo, Isabel Sanginés e Adazahira Chávez, oltre ad un gruppo solidale di traduttori in tutto il mondo.

Le celebrazioni per il secondo anniversario della rivista elettronica Desinformémonos partono questo martedì 11 ottobre con la tavola rotonda Etica giornalistica, alla quale partecipano Luis Villoro, Fernanda Navarro, Miguel Ángel Granados Chapa, Hermann Bellinghausen, un rappresentante del laboratorio di giornalismo dei lavoratori del sesso Aquiles Baeza, e Muñoz. L’appuntamento è alle 18:00 presso l’auditorium Ricardo Flores Magón della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Nazionale Autonoma del Messico.

I festeggiamenti proseguiranno il 22 ottobre con il Fandango de los Nadies, che si svolgerà nella Scuola Emiliano Zapata (Canacuate 12, angolo Cicalco, Santo Domingo, Coyoacán, dalle ore 12 alle 22), ed il 12 novembre con un concerto presso il Foro Alicia (avenida Cuauhtémoc 91-A, colonia Roma).

http://www.jornada.unam.mx/2011/10/10/cultura/a10n1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 9 ottobre 2011

Il movimento di Javier Sicilia esprime il suo sostengo alle basi zapatiste

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 8 ottobre. Javier Sicilia ha espresso “sostegno morale e politico a tutte le basi di appoggio zapatiste” da parte del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità (MPJD).

In un messaggio letto questa mattina dalla Commissione Azioni di Resistenza del MPJD, in conferenza stampa, Sicilia ha dichiarato: “Durante la nostra visita in Chiapas, con la  Carovana del Sud, in settembre scorso, siamo stati informati delle minacce e delle aggressioni contro le basi di appoggio zapatiste, ed in particolare della comunità di San Patricio, municipio autonomo La Dignidad, corrispondente al municipio ufficiale di Sabanilla”.

Nello stesso tempo, il movimento civile ha chiesto ai governi federale e statale “che si garantisca in forma immediata la vita e l’integrità di tutte le basi di appoggio dell’EZLN” nella comunità autonoma di San Patricio, e che si garantisca il libero accesso ed il rispetto delle terre di questa comunità, poiché riteniamo che tali aggressioni sono un attentato, non solo contro le basi di appoggio zapatiste, ma contro una nuova speranza di ricostruzione della nazione: le autonomie”.

La delegazione del MPJD ha inoltre reso noto un messaggio indirizzato alle giunte di buon governo dei caracoles di Roberto Barrios ed Oventic, per annunciare che invierà in Chiapas una delegazione di 13 persone per “conoscere direttamente dalle vostre voci di quello che succede”.

(….) In due messaggi più, rivolti a Las Abejas di Acteal ed ai detenuti in sciopero della fame e digiuno nella prigione di San Cristóbal, il MPJD ha ribadito la sua vocazione pacifica. A questi ultimi ha detto: “Riconosciamo pienamente il digiuno e lo sciopero della fame come due forme di lotta di grande radicalità morale e fisica, il cui scopo è far venire a galla la verità e toccare la coscienza di chi li fa e dell’avversario. Confidiamo pienamente che questo sciopero della fame e digiuno dia i frutti che tutti aspettiamo quanto prima, e che possiamo riunirci in un abbraccio solidale di libertà”.

 

Questa mattina, i famigliari, in maggioranza donne, di questi detenuti indigeni hanno installato un presidio di fianco alla cattedrale, per chiedere la liberazione dei membri della Voz del Amate, Voci Innocenti, Voces Inocentes, Solidarios con la Voz del Amate e la comunità organizzata di Mitzitón.

Nella piazza della soprannominata Cattedrale della Pace il prossimo fine settimana si svolgerà il Forum Mondiale del Turismo di Avventura, in occasione del quale albergatori e ristoratori aspettano un gran numero di visitatori che vengono a visitare le bellezze dello stato. Le autorità hanno già installato una struttura espositiva proprio a pochi metri dal presidio degli indigeni che chiedono giustizia.

Questo presidio è stato dichiarato a tempo indeterminato e fino alla liberazione dei detenuti in sciopero della famer dal 29 settembre in tre prigioni del Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/09/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 6 ottobre 2011

Costante aggressione contro le scuole autonome zapatiste. ONG lanciano una “dichiarazione mondiale a difesa dell’ejido San Marcos Avilés

HERMANN BELLINGHAUSEN

Le scuole autonome zapatiste delle comunità del Chiapas, come San Marcos Avilés, Tentic e Las Mercedes, “sono ripetutamente aggredite da gruppi filogovernativi che in tal modo impediscono il loro normale funzionamento colpendo non solo la scolarità dei bambini indigeni, ma la convivenza comunitaria”.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ed il Movimento per la Giustizia del Barrio – dell’Altra Campagna di New York – lanciano una “dichiarazione mondiale” a difesa dell’ejido San Marcos Avilés (municipio di Sitalá): “Lo Stato messicano, per mezzo degli attori politici e delle organizzazioni filogovernative, ha tentato di smantellare il processo che va a compimento, con la sua pratica quotidiana, degli accordi di San Andrés nel progetto di autogoverno, giustizia, lavoro, salute, giusta tecnologia ed educazione”.

I promotori ritengono che “l’avanzamento del Sistema Educativo Ribelle Autonomo Zapatista a San Marcos Avilés ha dato il pretesto per attaccare le basi di appoggio  che hanno subito minacce di morte, persecuzione, furti, aggressioni sessuali e sgomberi forzati con l’intervento di membri dei diversi partiti politici”.

Ricordano che il 9 settembre 2010, dopo la costruzione della prima scuola autonoma dell’ejido, più di 170 basi zapatiste sono state cacciate con violenza dalle proprie case da un gruppo di scontro guidato da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López e da persone affiliate ai partiti PRI, PRD e PVEM. Questo gruppo “armato di machete ed armi da fuoco, fece irruzione nelle abitazioni e cercò perfino di violentare due donne dell’ejido”.

Secondo le testimonianze di abitanti della regione, gli attacchi “intendono indebolire il progetto di educazione autonoma”. Dopo l’accaduto, le basi zapatiste trascorsero più di un mese alle intemperie. Il 12 ottobre dello stesso anno, al loro ritorno – accompagnati da una carovana di solidarietà – “trovarono le loro case saccheggiate, gli animali uccisi, il raccolto, le piantagioni di caffè e gli alberi da frutto distrutti”.

Le vessazioni non sono cessate e questa situazione genera ulteriore violenza, impunità e violazioni dei diritti umani, impedendo la vita quotidiana ed i lavori agricoli degli zapatisti di San Marcos Avilés.

Le condizioni di salute si sono deteriorate. Si registrano “livelli gravi denutrizione e la morte di un neonato di pochi mesi”. A San Marcos e nelle comunità vicine c’è un’epidemia di tifo che ha ucciso almeno un’altro bambino.

Nell’appello si denuncia che, con la violenza, si vuole “soffocare il processo storico in atto nella costruzione della nuova istituzione educativa degli zapatisti” che, come popolo indigeno “hanno il diritto di costruire la propria autonomia, difendere i propri territori ancestrali e creare un sistema educativo che sostenga e rifletta le loro pratiche culturali e intellettuali”.

La dichiarazione chiede la sospensione immediata e permanente delle minacce di morte, saccheggi, espropri, aggressioni sessuali e sgomberi contro le basi di appoggio dell’EZLN, così come il rispetto del loro diritto alla libera determinazione che si esprime nella loro costruzione di autonomia di governo, giustizia, educazione, diritto all’alimentazione e salute.

Nella comunità di Tentic, a circa 20 chilometri dal caracol di Oventic, appartenente al municipio autonomo San Andrés Sakamch’en de los Pobres, i priisti impediscono il funzionamento della scuola autonoma contravvenendo ad un accordo del 2004. Il governo dello stato ha costruito una nuova scuola primaria, mentre gli zapatisti conserverebbero il possesso di quella vecchia, oggi scuola primaria autonoma “Compañero Salvador“. Ciò nonostante, il 10 di maggio scorso, circa 50 priisti hanno abbattuto i muri e messo catene e lucchetti. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/06/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 2 ottobre 2011

“Detenzione e tortura” contro gli aderenti all’Altra Campagna

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, Chiapas, hanno denunciato detenzioni ingiustificate, furti e torture avvenute nei giorni scorsi contro aderenti dell’Altra Campagna, perpetrati dalla Polizia Statale Preventiva (PEP), in complicità con i gruppi filogovernativi della regione.

Segnalano che Miguel Vázquez Deara era stato catturato dalla PEP lo scorso 26 settembre senza alcun mandato di arresto. “Attraverso montature e falsi testimoni” hanno cercato di accusarlo di diversi assalti alle auto sulla strada Ocosingo-Palenque. L’altro giorno, l’accusato “è apparso” presso la Procura Indigena, riconosciuto da un avvocato della società di trasporto per cui lavora.

La parte in causa ha potuto documentare che il detenuto “è obbligato a dire i nomi dei dirigenti” dell’Altra Campagna, e siccome non ci sono elementi per accusarlo, lo portano su una strada, gli mettono in mano un’arma e così diventa un assaltante”. I poliziotti avrebbero agito su ordine di Juan Alvaro Moreno, dirigente del PVEM, molto vicino al gruppo di ejidatarios che, insieme alla polizia, occupò la cabina di riscossione delle cascate di Agua Azul e la consegnò al governo senza l’accordo della comunità, gruppo guidato da Francisco Guzmán Jiménez, Goyito, e Miguel Ruiz Hernández.

“È evidente che è la polizia stessa a compiere gli assalti su quel tratto di strada”, sostengono gli ejidatarios, che raccomandano ai turisti in visita ad Agua Azul di “prendere misure precauzionali perché può succedere come ad un gruppo di maestri in pensione, che sono stati assaltati a 300 metri dai poliziotti”. Al contrario, “con gli attivisti sociali ci mettono tutto l’impegno”. Il giorno 26, i poliziotti hanno perquisito la casa di Juan Aguilar Guzmán, ex prigioniero politico, “sembra alla ricerca di armi, come principale dirigente dell’Altra Campagna”.

“Sono arrivati sparando, hanno picchiato una donna, spaventato i bambini e non hanno trovato niente”. Gli agenti “hanno rubato uno stereo, un cellulare, delle torce e 5 mila pesos, distruggendo tutto; hanno fatto un disastro e si sono portati via il compagno Jerónimo Aguilar Espinoza senza alcun mandato di arresto, e dopo ore di tortura, il giorno seguente l’hanno liberato, senza nessun documento”.

Il 7 settembre era stato arrestato l’aderente dell’Altra Campagna Antonio Estrada che, dopo cinque giorni “di torture”, è stato processato il giorno 13, “dopo aver montato un presunto assalto al chilometro 100 del tratto stradale, secondo le dichiarazioni della Polizia Federale, mentre invece era stato fermato al chilometro 93 dalla polizia preventiva”.

Queste azioni “sono dirette contro gli attivisti sociali, non contro i delinquenti”. Nella denuncia si sostiene che “c’è molta violenza nell’ejido sempre più disgregato e la presenza della polizia nelle comunità è più violenta, dicono per combattere gli assalti sulla strada di Xanil e Agua Azul”. Ciò nonostante, “grazie alla presenza dei preventivi, gli assalti sono aumentati”. “I veri delinquenti” sono nel gruppo filogovernativo. Solo il 21 era stato sequestrato “ad un gruppo di persone di Jukuton un campo coltivato con stupefacenti”, ma il commissario ejidale li ha coperti.

Le minacce contro L’Altra Campagna sono continue, quando è questa organizzazione “che questo facendo di tutto per fermare i delinquenti, perché i veri delinquenti sono i filogovernativi”, concludono gli ejidatari.

Il quotidiano britannico Financial Times, lo scorso venerdì 30, ha pubblicato un insolito servizio su San Sebastián Bachajón ed il il conflitto per la cabina di riscossione all’ingresso delle cascate. Nell’articolo intitolato “Mexico: paradise in dispute”, Fionn O’Sullivan descrive con obiettività i fatti violenti e le detenzioni illegali (più di 100) contro L’Altra Campagna a San Sebastián. Attribuisce tutto ciò alle ambizioni governative e private per sviluppare un “esclusivo” centro turistico nella località.

“Nonostante un’altra cabina costruita dal governo e le barricate della polizia, non sembra imminente nessuno sviluppo turistico. Per molti, il turismo ecosostenibile implica l’armonia tra i visitatori e l’ambiente. Considerati i punti di vista sul futuro di Agua Azul, tutto indica che i danarosi stranieri ed i messicani ricchi non avranno tanto presto la loro versione del Nirvana”. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/02/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 1° ottobre 2011

In sciopero della fame 11 detenuti in Chiapas; chiedono la scarcerazione

Hermann Bellinghausen

Sette detenuti, considerati “politici”, questo giovedì hanno iniziato uno sciopero dello fame a tempo indeterminato, ed altri quattro sono a digiuno per chiedere la loro “liberazione immediata” dal Centro Statale di Reinserimento Sociale del Penitenziario numero cinque, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Sono membri delle organizzazioni La Voz del Amate e Voces Inocentes, entrambe aderenti all’Altra Campagna, o “solidali” con questi gruppi.

“Dopo aver sopportato le ingiustizie che hanno causato danni alle nostre famiglie con questi ingiusti arresti e la montatura di reati che ci hanno privato della libertà”, in alcuni casi “per aver difeso i nostri diritti ed altri solo perché poveri ed analfabeti”, i detenuti sostengono che sono stati violati i loro diritti e che questo continua a succedere: “Le autorità competenti ci ignorano”.

Per dimostrare la loro “innocenza” hanno iniziato lo sciopero ed il digiuno alle ore 10:30 di ieri. Sette sono in sciopero totale della fame: Rosario Díaz Méndez e Manuel Heredia Jiménez, “prigionieri politici” della voz del Amate; Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez e Alejandro Díaz Sántiz , “solidali” con La Voz del Amate, e Juan Díaz López, “prigioniero politico” di Voces Inocentes.

Altri quattro reclusi partecipano con digiuni di 12 ore “per ragioni di salute”: Alberto Patishtán Gómez, anch’egli della La Voz del Amate, Andrés Núñez Hernández e Rosa López Díaz, “solidali”, oltre a Juan Jiménez Pérez, aderente dell’Altra Campagna, originario di Mitzitón.

La protesta è stata dichiarata a tempo indeterminato, “al fine di ottenere la giustizia vera”. Esigono l’intervento immediato del governatore Juan Sabines Guerrero, “per la libertà incondizionata che ci spetta”.

La Rete contro la Repressione e per la Solidarietà, che fa parte dell’Altra Campagna, ha espresso la propria solidarietà con questa azione: “I nostri compagni detenuti hanno più volte denunciato le violazioni dei loro diritti fondamentali, le condizioni inumane in cui vivono dentro la prigione e le prove della loro innocenza ed il diritto di essere liberati”.

La sezione chiapaneca della Rete sostiene: “Ascoltando la storia di ognuno dei detenuti non mancano motivi per esigere la loro immediata liberazione, perché la maggioranza di loro è stata torturata fisicamente e psicologicamente, con lo stesso metodo di tortura che si pratica ogni giorno in Chiapas. Non sono mai state rispettate le garanzie al giusto processo; in prigione sono sottoposti ad un regime autoritario ed arbitrario che quotidianamente calpesta la loro dignità e quella dei loro famigliari”.

Aggiunge: “I compagni si sono organizzati per lottare in maniera instancabile e permanente contro gli abusi delle istituzioni penitenziarie e per non cadere nell’oblio. Ora iniziano uno sciopero della fame, una delle poche armi che resta per chiedere la liberazione, e che mette in pericolo la loro vita”.

La Rete appoggia in particolare la liberazione del “prigioniero politico” Alberto Patishtán Gómez, “privato della libertà dal 2000, accusato di reati che non ha mai commesso e montati da istanze governative”.

Il professore tzotzil Patishtán Gómez, che da anni difende i diritti umani della popolazione carceraria, prima nella prigione El Amate (Cintalapa) ed ora in quella di San Cristóbal, ha comunicato telefonicamente che il presidio pacifico e lo sciopero della fame si svolgeranno all’esterno dell’edificio penitenziario, a Los Llanos, nel municipio di San Cristóbal, “affinché il governo ci restituisca la libertà”.. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/01/politica/016n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 30 settembre 2011

Si consolida l’assedio paramilitare della comunità di San Patricio

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Nueva semilla que va a producir, del caracol zapatista Que habla para todos, di Roberto Barrios, ieri ha allertato su nuove “minacce di morte, massacri, furti, danni, saccheggi ed abusi” contro le basi di appoggio dell’EZLN della comunità chiapaneca di San Patricio, municipio autonomo ribelle La Dignidad, da parte del gruppo armato che tiene sotto assedio il villaggio.

Le continue aggressioni sono “guidate dai malgoverni ed eseguite dai loro paramilitari di Paz y Justicia e Uciaf”. Questi gruppi erano attivi nella zona nord tra il 1995 e il 1997, rendendosi “colpevoli di molte morti e sgomberi delle comunità” nella regione chol e nella selva nord.

I filogovernativi, che hanno fatto irruzione lo scorso 10 settembre, continuano a seminare danni ai beni delle famiglie zapatiste. “Il giorno 15 hanno distrutto le recinzioni” dove si allevano gli animali in forma collettiva, mettendo così in pericolo il bestiame. Gli invasori, racconta la JBG, costruiscono case ed occupano gli spazi “con l’intenzione di cacciare i nostri compagni”. Queste persone “non hanno alcun rispetto, sono violenti, aggressivi, e fanno uso di droga; in passato sono stati assassini”, anche se “il malgoverno non ha mai fatto giustizia”.

Il 17 settembre, gli invasori hanno dichiarato che i danni provocati sarebbero stati risarciti dalla presidentessa municipale di Tila, Sandra Luz Cruz Espinosa, “perché è stata lei ad ordinare loro di restare nel podere”. Minacciano di appropriarsi di tutti i beni degli zapatisti e di “uccidere tre dei nostri compagni”. Quel giorno “è passato in sella al suo cavallo José Vera Díaz, della comunità Moyos (Sabanilla), con due armi”, si è unito agli invasori e li ha “diretti”. Il giorno 23 è arrivata un’altra persona armata. “E’ chiaro che si stanno armando e preparando per compiere le loro minacce di morte e massacro”.

La JBG indica i capi degli invasori: Mario Vásquez Cruz, Alfredo Cruz Martínez e Samuel Díaz Díaz. “Reclutano le persone con 500 pesos e con l’inganno dicono loro di aver già ottenuto la terra”.

Inoltre, secondo la JBG, Paz y Justicia sta preparando altri gruppi a Unión Hidalgo (Sabanilla), guidati da Hipólito Ramírez Martínez (Abelino), Rodolfo Guzmán Ramírez e dal militare Germán Gómez Guzmán, “del quale ignoriamo il plotone al quale appartiene”. Assicurano che “per il 7 ottobre massacreranno i compagni”.

Proseguono i furti e l’uccisione degli animali. Il giorno 25 “hanno mietuto 220 piante di mais, che equivalgono a 13 mila 200 chili”. Hanno sottratto yucca, canna, patate dolci, palme commestibili, peperoncini, arance e banani, mentre “proseguono incessanti spari e movimenti notturni in stile militare con armi da fuoco”. La notte del 27, verso le 21, “sono avanzati in colonne a 30 metri da dove si trovano i compagni, e sono rimasti lì fino alle 3 del mattino”.

Di giorno entrano nella comunità “ad esplorare e segnalare le case dei compagni”.

I bambini hanno diarrea, vomito, infezioni, dolori ossei e febbre. E la cosa più preoccupante, “ci sono compagne incinta, vicine al parto”

L’autorità autonoma accusa i “capoccia locali” di essere “gli autori intellettuali di questa manovra governativa”: il sindaco Cruz Espinoza ed il suo direttore delle opere pubbliche Carlos Clever González Cabellos; Genaro Vázquez Pérez, consigliere comunale di Sabanilla, e l’ineffabile Mario Landeros Cárdenas, veterano scissionista e leader fantasma della Xi’nich ufficiale al servizio dei governi. La JBG lo ritrae così: “Bugiardo, baro, venduto, senza scrupoli, è un insolente che usa le persone che si fanno ingannare”.

Di fronte all’invasione armata di San Patricio, i governi federale, statale e municipali “hanno avuto un atteggiamento disumano; invece di risolvere il problema, proteggono e coprono i criminali, negoziando e facendo accordi con loro”. La JBG avverte: “Pensano di demoralizzarci e così farci arrendere. Gli zapatisti non si arrendono. Non negozieremo le terre che abbiamo recuperato con il sangue dei nostri compagni caduti nel 1994. Se servirà altro, siamo pronti a versarlo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/30/politica/024n1pol

Comunicato della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 29 settembre 2011

Cacicchi invadono e distruggono le scuole bilingui di Chilón, denunciano i maestri

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il giorno 24, nella comunità di Guaquitepec, municipio di Chilón, Chiapas, un gruppo di 100 contadini guidati dai cacicchi locali Juan Pérez Gutiérrez; Antonio Mazariegos López, El Azul (su entrambi pendono mandati di cattura), Tomás Gómez Vázquez ed Alejandro López Gómez sono entrati in modo violento ed hanno distrutto le installazioni della secondaria bilingue Emiliano Zapata, così come il liceo interculturale Bartolomé de Las Casas.

Da tre lustri questi istituti forniscono un’istruzione bilingue ed interculturale di qualità. Gli studenti provengono da molte comunità tzeltales di Chilón, Ocosingo, Altamirano e dalla zona chol del nord. Ma, chi distrugge scuole, libri, materiale scolastico?

Le strutture comunitarie saccheggiate fanno parte del progetto Sviluppo comunitario, del Patronato pro Educazione Messicana. Insegnanti e collaboratori di questo progetto denunciano che lo scorso fine settimana si sono verificati scontri nella comunità di Guaquitepec, con un saldo di quattro feriti: “due dei nostri compagni e due dalla loro parte, oltre alla distruzione parziale delle scuole, del laboratorio e quasi dell’intero laboratorio informatico”.

Successivamente, gli aggressori si sono diretti alle case di Antonio Jiménez Álvarez e Juan Pérez Hernández, promotori del progetto educativo dalla sua fondazione: “sono stati tirati fuori a forza, picchiati e tenuti per ore legati nella piazza centrale”. Questo “gruppo di invasori” occupa gli edifici scolastici e da lunedì ha iniziato ad abbattere tutti gli alberi del podere con l’intenzione di radere al suolo completamente le scuole.

Il giorno 24 la tensione era alta ed è culminata negli scontri tra chi difendeva le scuole ed i saccheggiatori. Nel corso della notte sono arrivati circa 50 poliziotti che però non sono intervenuti. Tutti quelli che lavorano al progetto sono minacciati ed alcuni hanno dovuto abbandonare la comunità. Docenti e rappresentanti comunitari hanno poi tenuto una conferenza stampa: “Nonostante gli sforzi delle istanze governative per risolvere in maniera legale il conflitto, ci preoccupa che il ritardo nell’esecuzione dei mandati di cattura già emessi e che il ripristino dell’ordine e della sicurezza nella comunità si traduca in un’escalation di violenza e tensione”. Tutte le scuole della comunità hanno sospeso le lezioni.

Denunciano in particolare l’atteggiamento del delegato di governo, Antonio Moreno López, “attore chiave” nel conflitto, che “ha legami col leader invasore El Azul“, che nel maggio scorso ha sequestrato funzionari pubblici, i quali hanno dovuto sborsare 10 mila pesos per la loro liberazione. In questa occasione, il delegato avrebbe impedito alla polizia di fermare il saccheggio ed arrestare i responsabili.

Bisogna ricordare che il 17 gennaio scorso il gruppo guidato dai cacicchi Mazariegos López, Pérez Gutiérrez, Hernández González e Gómez Vázquez, sui quali oggi pendono mandati di cattura, invase il plesso scolastico della secondaria Emiliano Zapata. Allora “si avviò un processo di negoziazione con l’intermediazione della Segreteria di Governo”. Ciò nonostante, “il gruppo invasore non ha mai ceduto e si è sempre rifiutato di andarsene”. E’ stata quindi sporta denuncia penale per l’abuso ed il giorno 22 i poliziotti giudiziari hanno fermato Hernández González e Gómez Vázquez. “Per rappresaglia, il giorno 23 alle 9:30 gli invasori, guidati da Mazariegos López e Pérez Gutiérrez, hanno sequestrat Marco Antonio López López, poi liberato ad Ocosingo il giorno dopo”.

Michael Chamberlin, a nome dei collaboratori delle scuole attaccate, sottolinea il carattere “simbolico” di una violenza che colpisce decine di comunità e che il delegato Moreno López, quando era sindaco di Chilón, “fomentava il conflitto relativo alla cabina di riscossione a San Sebastián Bachajón” ed è vincolato a gruppi di stampo paramilitare, come Opddic e Chinchulines. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/29/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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OCEZ invade terreno.

DENUNCIA PUBBLICA

Giovedì 22 settembre 2011

Comunità Candelaria el Alto, Municipio de Venustiano Carranza, Chiapas
Aderente all’Altra Campagna

 

Alle Giunte di Buon Governo

Alla sesta Internazionale

Alle/Agli Aderenti all’Altra Campagna Nazionale e Internazionale

Alle Organizzazioni dei Diritti Umani Statali, Nazionali e Internazionali

Ai Mezzi di Comunicazione Indipendenti

Ai Media di Massa

Al Congresso nazionale Indigeno

Al Popolo del Messico e del Mondo

Compagni e compagne, fratelli e sorelle del Messico e del mondo, attraverso questo tramite rendiamo pubblica questa denuncia per i fatti successi ieri 21 settembre 2011.

I fatti:

Il giorno di ieri ci trovavamo nella nostra postazione dove svolgiamo le guardie a causa della situazione che si sta vivendo nella nostra comunità di Candelaria el Alto, per l’occupazione di terre da parte di membri della OCEZ R.C di Nuevo San José la Grandeza, che dal 6 aprile scorso occupano la nostra proprietà El Desengaño. Hanno seminato la nostra terra con mais ed ora fagioli e visto che questi vanno e vengono burlandosi di noi, abbiamo deciso di non farli più passare. Ieri, a tre persone, Bulmaro del la Cruz Méndez, Rey David Solano e Candelario del la Cruz Méndez, è stato impedito di passare. I tre sono tornati nella propria comunità e noi abbiamo continuato le nostre guardie. Qualche ora dopo queste tre persone sono andate ad avvertire altri compagni della OCEZ R.C e sono venute con dieci individui che subito hanno cominciato a provocare e insultare. In quel momento c’era un ragazzino di 14 anni che è fuggito dopo aver ricevuto un pugno in faccia, subito abbiamo scattato delle foto come prova delle ferite al volto. Ci siamo avvicinati a loro a 50 metri di distanza per dire loro che non avevano alcun diritto di stare nelle nostre terre né di aggredirci. Loro si sono avvicinati ed hanno iniziato a tirarci delle pietre; fumavano marijuana e ci hanno aggredito a sassate e noi ci siamo difesi. C’è stato uno scontro tra questi membri della OCEZ R.C e noi che siamo aderenti all’Altra Campagna. La nostra intenzione non era di cercare lo scontro, ma di esigere rispetto.

Durante gli scontri Rubén de la Cruz Méndez, membro della OCEZ R.C ha cercato di colpire un nostro compagno con un coltello ma siamo riusciti a bloccarlo. Dopo lo scontro i membri della OCEZ R.C si sono messi in contatto con le persone che si trovano sulle nostre terre e che appartengono alla colonia San José la Grandeza e che sono della stessa organizzazione. Sono arrivate 60 persone incappucciate e vestite di nero, armate e sparando con armi di grosso calibro. La sparatoria è durata qualche circa due ore e poi se ne sono andati. Inoltre, lo stesso giorno intorno alle 9.30 hanno tagliato l’energia elettrica della comunità cosicché non potessimo comunicare. Da ieri ci minacciano di entrare nelle nostre case ed aggredirci. Sappiamo che queste minacce ed aggressioni hanno lo scopo di farci abbandonare le nostre terre perché se le prendano loro.

Ma questa terra è nostra non intendiamo venderla e tanto meno abbandonarla. Riteniamo urgente dare soluzione al nostro problema e vogliamo essere rispettati perché noi abbiamo avuto sempre buona volontà. Vogliamo ricordare che quando José Manuel Hernández Martinez, alias il “Chema” fu arrestato, il governo ci venne a cercare per farci sporgere denuncia contro la OCEZ R.C per l’esproprio delle nostre terre, ma noi non l’abbiamo fatto perché non pensiamo che metterlo in prigione sia il modo di risolvere il problema, ma che il governo rispetti quanto concordato in occasione della prima invasione di 98 ettari di terra. C’è un verbale di accordo con data 20 luglio 2004 e firmato dalle tre parti, governo, OCEZ R.C e la comunità di Candelaria el Alto. Fino ad oggi il governo non ha mantenuto la sua parola. Nemmeno la OCEZ R.C l’ha mantenuta e dal 2005 tentano di sottrarci un’altra porzione della nostra terra. Il 6 aprile 2011 si sono impossessati di 185 ettari e per farci  pressione non ci lasciarono lavorare la poca terra che ci resta. Vogliamo far notare che nel periodo in cui sono rimasti nella nostra proprietà El Desengaño si sono rubati la maggior parte del filo spinato che divide gli appezzamenti e due cavalli che hanno rubato il 3 gennaio scorso. Il 19 luglio sono tornati a portarsi via altri due cavalli.

Da quando si sono installati nella proprietà hanno bruciato 1 ettaro di canna da zucchero. Hanno ucciso diverse mucche, alcune per mangiarsele ed altre per venderle.

Riteniamo il governo responsabile di quanto sta accadendo perché invece di dare soluzione al problema sta rafforzando la OCEZ R.C gruppo Nuevo San José la Grandeza, Municipio di Venustiano Carranza, e lo riterremo responsabile di qualunque cosa possa succederci. Temiamo per la sicurezza delle nostre famiglie poiché la OCEZ R.C ci minaccia, intimorisce, provoca e circonda le nostre case per aggredirci. Vogliamo dire alla OCEZ R.C che non si può togliere il pane a noi che, come loro, siamo contadini e che si rendano conto del fatto che stanno beneficiando il malgoverno.

Esigiamo che il governo dello stato intervenga il più presto possibile data la situazione di pericolo che le nostre famiglie stanno vivendo.

Distintamente

Comunità organizzata Candelaria el Alto, aderente all’Altra Campagna.

LA TIERRA NON SI VENDE SI LAVORA E SI DIFENDE!

VIVA L’ALTRA CAMPAGNA!

Este es un espacio abierto para pueblos y organizaciones
que buscan compartir su palabra. La postura difundida,
no necesariamente constituye la valoración de este Centro.
El espacio de denuncia pública es de todas y todos.

 

Visita nuestro Blog: http://www.chiapasdenuncia.blogspot.com/

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Área de Sistematización e Incidencia / Denuncia Pública
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La Jornada – Venerdì 23 settembre 2011

L’organizzazione Las Abejas si dissocia dalla causa intentata negli Stati Uniti contro Zedillo

ELIO HENRÍQUEZ

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 22 settembre. L’organizzazione della società civile Las Abejas ha reso noto che la causa intentata negli Stati Uniti contro l’ex presidente Ernesto Zedillo per il massacro di 45 indigeni di Acteal non è partita da questa organizzazione, “l’unica rappresentante dei sopravvissuti”, il cui obiettivo non è ottenere soldi, ma che si faccia giustizia e si ponga fine all’impunità” per l’omicidio dei suoi membri.

In un comunicato divulgato durante la messa con la quale ieri nella comunità sono stati i 9 uomini, 21 donne e 15 bambini tzotzil uccisi il 22 dicembre 1997, Las Abejas sostengono che la denuncia contiene “forti elementi per supporre che la memoria dei martiri di Acteal venga strumentalizzata a fini politico-elettorali ed economici, estranei alla nostra organizzazione”.

Questo non significa, aggiunge, che l’ex mandatario non abbia responsabilità. “Vogliamo che si giudichi Zedillo ed i suoi complici, ma non taceremo di fronte all’usurpazione della nostra memoria da parte di politici ed opportunisti, né permetteremo che una verità parziale sia usata per oscurare la verità completa”.

Ribadisce che la causa intentata negli Stati Uniti dall’ufficio legale Rafferty Kobert Tenenholtz Bounds & Hess contro Zedillo, che era presidente quando avvenne il massacro, non corrisponde al modo di agire dei sopravvissuti e di Las Abejas.

Questo “non è un’organizzazione dei diritti umani, ma un ufficio abituato a difendere banchieri e grandi corporazioni – come si può vedere nella sua pagina Internet -; è evidente che né Las Abejas né nessun indigeno tzotzil ha denaro sufficiente per pagare le enormi parcelle di questi avvocati”.

Afferma che “se il governo di Felipe Calderón pensa di poter utilizzare il caso Acteal contro il PRI per assicurare la vittoria del proprio partito nel 2012, è un suo problema”, ma “quello che sta ottenendo è la dimostrazione al mondo di quello che abbiamo sempre detto: gli autori intellettuali del massacro di Acteal erano nei posti più alti del potere, e neanche il PAN è esente da colpe.

“L’unico rappresentante legale autorizzato dai sopravvissuti del massacro di Acteal è il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas AC”, tramite il quale “abbiamo portato il caso davanti alle istanze legali competenti nel nostro paese e, quando queste non hanno adempiuto all’obbligo di applicare la giustizia, siamo ricorsi alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 settembre 2011

Denunciata l’invasione di terre recuperate dagli zapatisti a Nuevo Purísima. Si sostiene che i soldi provenienti dall’ONU attraverso il PNUD siano utilizzati per armare i paramilitari

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 21 settembre. Dal caracol zapatista Resistencia hacia un nuevo amanecer, a La Garrucha, la giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro ha accusato i governi federale, del Chiapas ed i municipi ufficiali di “organizzare i paramilitari”. E sostiene che: “E’ evidente che il denaro fornito dall’ONU tramite il PNUD è per armare i paramilitari contro le nostre basi di appoggio e distruggere l’autonomia”.

Questo, mentre denunciano provocazioni ed esproprio di terre recuperate del villaggio Nuevo Purísima (municipio autonomo Francisco Gómez) da parte di persone provenienti dai quartieri Puerto Arturo e San José las Flores della città di Ocosingo, che dicono di non appartenere a nessuna organizzazione, sebbene ricevano evidente appoggio dal municipio panista.

La JBG sostiene che “Felipe Calderón Hinojosa e Juan Sabines Guerrero sono i principali dirigenti dei paramilitari”. E chiede: “Dove sta la pace di cui tanto parlano? E’ questa è la pace, mandare gente armata a cacciarci dalle nostre terre? Questo è lo sviluppo che danno le Nazioni Unite?”.

I governanti non “fanno niente perché sono loro stessi gli organizzatori, quelli che agiscono col denaro delle imposte del popolo del Messico e quello dell’ONU, impiegano i soldi per distruggere la pace degna che vogliamo noi zapatisti”. La JBG avverte: “Non vogliamo morire, ma i malgoverni ci obbligano a morire, perché ci difenderemo, che sia chiaro”.

Ed aggiunge: “Sappiamo molto bene quali sono i loro piani, i loro inganni, le fregature, organizzano la gente per provocarci, redigono documenti false relativi alle terre recuperate, cioè provocano conflitti per impedire la nostra autonomia”.

I “manipolatori” che favoriscono le provocazioni “sono i presidenti municipali che pagano i dirigenti”, che, secondo la JBG, “sono gli stessi che falsificano i documenti delle terre recuperate”.

Lo scorso 18 settembre, un gruppo di 45 persone, che dicono essere “indipendenti”, sono andati nel villaggio Nuevo Purísima a “prendere possesso”  di un terreno recuperato di 178 ettari dove lavorano le basi di appoggio zapatiste. “Queste persone sono organizzate dal malgoverno e sono venute a provocare le basi di appoggio dell’EZLN. Figurarsi che sono arrivate su due camion della presidenza municipale di Ocosingo, presieduta da Arturo Zúñiga Urbina”.

Interpellata sull’organizzazione, la signora Angélica Matilde, di Ocosingo, che guida il gruppo, “ha risposto in maniera molto minacciosa dicendo che loro non hanno organizzazione e che sono disposti a tutto perché hanno i documenti; tutti sono armati di machete”.

Il giorno 19, verso le ore 8, un altro gruppo di 100 persone delle fattorie Las Conchitas e dell’ejido P’ojcol (municipio di Chilón), “che sono paramilitari”, segnala la JBG, “sono venuti a “prendere possesso” di un terreno recuperato dove lavorano e vivono i nostri compagni basi di appoggio del villaggio Nuevo Paraíso, che appartiene al municipio autonomo Francisco Villa”. Armi in pugno, queste persone “hanno cominciato a misurare i confini del terreno recuperato”.

La JBG assicura che difenderà “tutte le terre recuperate dall’EZLN costi quel che costi, ed il malgoverno sa bene che le terre recuperate sono state già indennizzate dal 1994, e non permetteremo più che ci vengano a strappare le nostre terre né che continuino ad abusare e perseguitare i nostri compagni”.

Comunicato della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 21 settembre 2011

Artisti, intellettuali e ONG chiedono il ritiro dei mandati di captura e condannano le minacce contro il Centro Digna Ochoa ed il consiglio autonomo

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 settembre. Quaranta artisti e intellettuali ed oltre un centinaio di organizzazioni di 16 nazioni si sono pronunciati a sostegno dei membri del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa ed il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas sollecitando il governo dello stato e la Procura Generale di Giustizia dello stato a desistere dai mandati di cattura contro i suoi membri.

Il documento, sottoscritto, tra gli altri, da Eduardo Galeano, Manu Chao, José Emilio Pacheco, il vescovo Raúl Vera, Paco Ignacio Taibo II, Alfredo López Austin, Raúl Zibechi e Marcos Roitman, riconosce “nella mobilitazione sociale, rappresentata nel Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, una delle molteplici e legittime lotte popolari messicane in difesa dei diritti umani, civili, sociali e politici”.

Il consiglio autonomo ed i suoi membri “rappresentano l’autorganizzazione contro le alte tariffe dell’energia elettrica e per la costruzione dell’autonomia dei popoli e comunità”. Riconosce, a sua volta, il lavoro di denuncia e difesa del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa della città di Tonalá.

“È preoccupante la politica di criminalizzazione, persecuzione e vessazione contro membri del consiglio e del centro Digna Ochoa. Su molti di loro pendono mandati di cattura della giurisdizione federale e statale, accusati di reati che non hanno commesso, per cui le procure Generale della Repubblica (PGR) e di Giustizia dello stato hanno eseguite molte indagini preliminari per falsi reati”.

Le persone sotto accusa sono: Nataniel Hernández Núñez, direttore del centro Digna Ochoa, insieme a Roberto Antonio Cruz, Azariel Orozco Cruz, Orlando Gutiérrez Simón, Arturo Villagrán Sánchez, Octavio Vázquez Solís, Bersaín Hernández Zavala e Guadalupe Núñez Salazar. Nel caso degli ultimi due, veterani fondatori del Fronte Civico Tonalteco, non si conosce di che cosa siano accusati.

Queste accuse “sono utilizzate in Chiapas ed in tutto il paese come meccanismo di controllo dei movimenti sociali e criminalizzazione degli attivisti sociali e dei difensori dei diritti umani”. Per tutto questo, i firmatari invitano il governo del Chiapas e la PGR “a retrocedere dalle azioni giudiziarie e garantire le libertà civili e politiche”.

Ritengono responsabile lo Stato messicano della vita, la libertà e l’integrità dei membri del centro Digna Ochoa e dei membri del consiglio costiero. Condannano “gli atti repressivi” del governo del Chiapas contro tutti loro.

Altri firmatari sono: Rogelio Naranjo, Daniel Giménez Cacho, Julieta Egurrola, Ana Esther Ceceña, Bruno Bichir, Magdalena Gómez, Enrique González Rojo, Gilberto López y Rivas, Gloria Muñoz Ramírez, Fermín Muguruza, Guillermo Almeyra, Leticia Huijara, John Holloway, Elvira Concheiro, Claudio Albertani, Massimo Modonesi, Carlos Fazio, Raquel Gutiérrez Aguilar, Francisco López Bárcenas, Gustavo Esteva e Hernán Ouviña. Ed i musicisti Amparo Sánchez (Amparanoia), Rubén Albarrán (Café Tacuba), Roco Pachukote (Maldita Vecindad), Panteón Rococó e Los de Abajo.

In Chiapas, oltre a diverse organizzazioni civili, appoggiano questo appello le comunità di Oxchuc, Mitzitón, Zinacantán, San Sebastián Bachajón, Santa Anita, Molino Utrilla e Molino de los Arcos, così come decine di organizzazioni e collettivi di tutto il paese ed altre ancora da Argentina, Germania, Austria, Brasil, Spagna, Stati Uniti, Francia, Grecia, Guatemala, Italia, Nuova Zelanda, Porto Rico, Regno Unito e Uruguay. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/21/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 20 settembre 2011

Zedillo, denunciato negli Stati Uniti per il massacro di Acteal

Alfredo Méndez

Sopravvissuti e familiari delle vittime del massacro di Acteal hanno presentato in forma anonima, lo scorso 16 settembre, un’insolita denuncia penale ad una corte federale degli Stati Uniti contro l’ex presidente Ernesto Zedillo che accusano di reati di lesa umanità.

I querelanti accusano il politico priista di essere l’autore intellettuale di una “guerra di bassa intensità” in Chiapas, sfociata nel massacro di 45 persone, tra uomini, donne e bambini indigeni, il 22 dicembre 1997, nella comunità di Acteal.

La denuncia è stata istruita dopo diversi mesi dall’ufficio legale Rafferty Kobert Tenenholtz Bounds & Hess, con sede a Miami, specializzato in diritto internazionale; i  querelanti si sono basati su diverse leggi statutarie degli Stati Uniti che permettono agli stranieri, che siano stati vittime di atti di tortura e crimini di guerra in altri paesi, di denunciare i loro carnefici presso i tribunali statunitensi.

Tra le prove presentate dai querelanti, spicca un Rapporto della Segreteria della Difesa Nazionale che fa riferimento ad un piano dell’Esercito in Chiapas, realizzato nel 1994, il cui obiettivo era creare bande paramilitari, sgomberare la popolazione e distruggere le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

La denuncia è stata presentata alla corte federale del Connecticut, distretto dove Zedillo ha il suo domicilio. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/20/politica/012n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 19 settembre 2011

Il Centro dei Diritti delle Donne del Chiapas (Cdmch) dice che Paz y Justicia sta scatenando la guerra a San Patricio

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 18 settembre. Il Centro dei Diritti delle Donne del Chiapas (Cdmch) accusa “i paramilitari di Paz y Justicia”, il PRI ed il PVEM “del clima di guerra contrainsurgente scatenato il giorno 7 ed accresciuta con inusitata violenza il giorno 13 contro la comunità San Patricio, municipio autonomo La Dignidad”, da parte di coloni dei municipi ufficiali di Sabanilla e Tila.

La situazione di assedio armato e persecuzione contro San Patricio, nella zona nord dello stato, ha generato diversi pronunciamenti di allarme e solidarietà, e la convocazione della Rete contro la Repressione di una mobilitazione nazionale ed internazionale il prossimo 22 settembre.

Le donne del Cdmch si uniscono alle proteste “per queste aggressioni che terrorizzano le abitanti della regione, attraverso cui si vogliono sottrarre ai compagni zapatisti le terre recuperate dai proprietari terrieri e che coltivano per il loro sostentamento quotidiano”.

L’organizzazione sostiene: “In particolare denunciamo Paz y Justicia che, con l’appoggio del governo e dell’Esercito federale, imperversa da 15 anni nella zona nord, attaccando le comunità organizzate e quelle zapatiste, trasformando le donne in bottino di guerra, per porre fine alla giusta ribellione zapatista e di tutti i contadini che si oppongono alle politiche neoliberiste”.

Secondo la Cdmch, “nella congiuntura elettorale, gruppi priisti come Paz y Justicia assumono una posizione belligerante per riprendere il potere della regione e dello stato, facendo conoscere, con i fatti accaduti a San Patricio, le intenzioni del PRI, alleato col PVEM, di recuperare con la violenza e a qualunque prezzo, il potere politico nei municipi e nelle regioni abitate dagli zapatisti”.

Da parte sua, la Rete contro la Repressione, formata da collettivi dell’Altra Campagna, respingono le aggressioni e sostengono che “la violenta pressione che esercitano con impunità i paramilitari” è tale per provocare l’abbandono delle terre da parte delle basi zapatiste. “La minaccia di ucciderli è un’ulteriore dimostrazione della strategia paramilitare, dissimulata da tutti i livelli di governo”, per continuare la guerra contro i popoli zapatisti.

“Chi da diversi luoghi del Messico e del mondo ammira e rispetta il degno percorso zapatista, ha visto che le istituzioni sanno solo generare violenza e guerra, e sappiamo che i responsabili di quello che potrà succedere a San Patricio sono i governi federale e statale, ed i presidenti municipali di Sabanilla, Jenaro Vázquez López, e di Tila, Sandra Luz Cruz Espinoza”.

Nella sua convocazione ad una “mobilitazione nazionale ed internazionale” questa settimana, la Rete denuncia l’incremento delle aggressioni contro le comunità zapatiste. “Da luglio ad oggi, le giunte di buon governo hanno denunciato pubblicamente più di sei aggressioni realizzate da gruppi di stampo paramilitare o con direttivi paramilitari come la ORCAO”.

Il caso di San Patricio “è molto grave, poiché i compagni sono assediati da forze paramilitari e si teme per la loro vita”. Quanto sopra “contrasta con le dichiarazioni del governo statale di aver progredito nella soluzione pacifica dei problemi e col disarmo dei vecchi gruppi armati, che ora si presentano sotto altri nomi e sigle, ma con le stesse persone alla guida e la compiacenza dei poliziotti e dei titolari dei malgoverni”.

Per la Rete, “questo clima di minaccia fisica vuole distruggere l’autonomia zapatista che è uno schiaffo per chi è a capo delle istituzioni, perché mentre queste spendono  migliaia di milioni di pesos nella guerra contro l’insicurezza, sono i territori zapatisti le zone più sicure del paese, e quelle che escono dalla miseria in cui sono stati cacciati comunità e popoli indios”.

Lo scorso 15 settembre, durante la celebrazione nell’ambasciata messicana di Parigi per il “Grido della dipendenza”, come l’hanno ribattezzato, alcuni collettivi francesi hanno distribuito alle centinaia di presenti, informazioni “su cosa c’è dietro la guerra del governo di Calderón e sulle aggressioni paramilitari contro le basi zapatiste a San Patricio”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/19/politica/031n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 18 settembre 2011

La Carovana di Sicilia conclude la sua visita in Chiapas; chiede l’abolizione dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM)

Hermann Bellinghausen. Inviato. Palenque, Chis. 17 settembre. La “carovana al sud”, del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, ha concluso il suo viaggio in Chiapas con una carovana di centinaia di candele accese per il viale centrale e simpatia e generosità per gli emigranti centroamericani che entrano nel paese attraverso le frontiere di questo stato e di Tabasco con il Guatemala.

“Chiediamo l’abolizione dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM) per le sue anomalie e gli abusi contro gli emigranti”, ha dichiarato un collettivo di donne chol di Palenque.

La folta accoglienza della carovana guidata da Javier Sicilia ed un gruppo di vittime della violenza di diverse parti del paese per dove è già passata (Ciudad Juárez e Torreón a Cuernavaca e Oaxaca) è stata curata, tra altre, dall’organizzazione Xi’Nich, organismi civili come Sadec, parrocchie della zona nord e comunità ecclesiali di base. Anche di migranti (clandestini, ma qui nella piazza pubblica protetti dalla mobilitazione cittadina), originari di Honduras e Guatemala, che sono stati chiamati “fratelli” da tutti gli oratori.

Le donne di Palenque hanno denunciato che nel quartiere di Pakalná (oggi è quasi un’altra città), a meno di tre chilometri da qui, “i migranti sono alla mercé della criminalità, e le donne sono facili prede”. Chiedono che “le autorità competenti intervengano” e denunciano che gli agenti dell’INM, “chi devono proteggere i migranti”, spesso sono responsabili o negligenti davanti di fronte all’estorsione, il sequestro, le violenze e gli omicidi.

Il Comitato di Difesa della Libertà Indigena Xi’Nich si è espresso contro il narcotraffico, da molti anni presente nella regione. Ma anche, “dalle nostre comunità, denunciamo che la politica di Calderón è di morte e povertà, e di più emigrazione”. Cioè, è anche un problema degli indigeni messicani: “Non ci resta che emigrare verso i centri turistici o alla frontiera nord. Calderón ha trasformato il Messico in un luogo di guerra, non in un posto dove vivere; ha costruito la viva immagine della menzogna e della morte”.

Xi’Nich, un’organizzazione che ha quasi 20 anni, ancora prima della sollevazione zapatista, ha marciato per più di 50 giorni fino a Città del Messico per chiedere la fine della repressione e migliori condizioni di vita, ha chiesto “stop alla guerra di Calderón, salute ed educazione, non la militarizzazione, il rispetto dei fratelli migranti e non più discriminazione contro indigeni e migranti”.

Ai bordi della piazza c’erano due grandi strutture. Una, sfruttando le intricate radici di un grande albero su cui erano montate decine di candele accese, mostrava i nomi di decine di morti e desaparecidos del nord. Sull’altra, migranti honduregni ospitati nella Casa dell’Emigrante di Tenosique, Tabasco, c’erano cartoncini colorati con scritte per chiedere rispetto e pace.

“Padre Alberto”, parroco di Palenque, ha denunciato la diffusa estorsione criminale nella zona chol.

In maniera più drammatica, il frate Tomás González, di Tenosique, che vive sotto minaccia, si è riferito al Messico come un “campo minato” per i centroamericani quando attraversano le nostre frontiere. Qui, dove opera il crimine organizzato, “la loro condizione diventa un incubo”. Ha dichiarato che “le fosse clandestine non sono solo al nord, ma anche al sud”.

E riguardo all’INM, ha detto: “Siamo testimoni del fatto che i suoi agenti operano come il crimine organizzato, ed in Chiapas e Tabasco sono responsabili del fatto che il percorso dei fratelli sia tanto terribile. Li perseguono, li obbligano a nascondersi nelle paludi, li mettono in pericolo”. Inoltre, “le autorità sono responsabili dell’occultamento” in questa regione che è diventata “ingovernabile”.

A sera si è saputo che il religioso è stato fermato a Coatzacoalcos, Veracruz.

C’era anche Alejandro Solalinde, della Casa dell’Emigrante a Ixtepec (Oaxaca) che, riferendosi alle feste patrie ha affermato che “oggi siamo più che mai dipendenti”, e che senza libertà “non ci può essere democrazia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/18/politica/007n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 18 settembre 2011

Magdalena Gómez: Autonomia zapatista, la più avanzata e completa, a dispetto degli attacchi dello Stato

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 17 settembre. L’autonomia che si sta costruendo nei municipi sovrani del Chiapas è “la più avanzata e di maggior simbolismo, perché qui c’è la culla del movimento zapatista”, ha affermato la ricercatrice Magdalena Gómez.

Se non fosse per “gli attacchi dello Stato con l’inadempimento degli accordi di San Andrés – firmati il 16 febbraio 1996 -, lo zapatismo avrebbe una struttura sociale così indipendente che non possiamo nemmeno immaginare”, ha dichiarato in un’intervista la studiosa del tema.

Ritiene che questa autonomia “non ha ritorno, benché presenti contraddizioni, problemi e conflitti, molti di questi causati dalla stessa politica dello Stato di voler utilizzare gli aiuti ufficiali come via per cooptare e indebolire.

“Credo che nell’ipotesi, nell’illusione e nella speranza che nel paese le cose cambino, non significa certo che si cancelleranno le autonomie costruite in maniera integrale”.

Sostiene che l’indipendenza nelle comunità ribelli “va consolidandosi nella misura in cui resiste in mezzo alle tensioni ed aggressioni, soprattutto della politica dell’attuale governo che apparentemente presenta un progetto basato sui diritti umani e conta su un’ampia copertura delle agenzie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)”.

Gómez che è stata intervistata nei giorni scorsi in occasione della presentazione del Rapporto Annuale del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, intitolato Late la tierra en las veredas de la resistencia [La terra pulsa sui sentieri della resistenza – n.d.t.], ha dichiarato che “tra le esperienze presenti nel paese, l’autonomia zapatista continua ad essere la più completa, quella che ha giunte di buon governo, perché abbiamo quella di Guerrero che è molto importante, e benché abbia ampliato la sua azione, continua ad essere molto incentrata sulla polizia comunitaria, sull’applicazione della giustizia, ma non sulla completezza che si ha con le giunte in Chiapas”.

Segnala che l’autonomia ribelle “si è mantenuta come risposta al governo, con un costo molto alto. Insisto, gli zapatisti mantengono l’autonomia rispetto allo Stato quando questo avrebbe l’obbligo di appoggiarla e sostenerla se le cose avvenissero in termini di esercizio del diritto”.

La docente universitaria ed anche collaboratrice di La Jornada, ha sottolineato che è alto “il costo che pagano le comunità zapatiste per non accettare gli aiuti del governo ai quali hanno diritto, perché lo Stato ha l’obbligo di appoggiare e finanziare le autonomie che ha riconosciuto”.

– Questa autonomia può essere una via d’uscita alla violenza che imperversa nel paese?

– In alcune comunità la stanno utilizzando come alternativa di fronte al fallimento dello Stato. Dicono: ‘ora ci autodifendiamo, auto-organizziamo’, ma io dico: se lo Stato non serve a questo, a che cosa serve? Se non è in grado di garantire la sicurezza ed i diritti del popolo che si suppone abbia creato, a che cosa serve? Oggi abbiamo uno Stato assolutamente deviato”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/18/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 15 settembre 2011

Parte la campagna contro l’assedio ai difensori dei diritti umani

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tonalá, Chis., 14 settembre. Pronte per ricevere questo giovedì la carovana del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, le comunità riunite nel Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa, aderenti all’Altra Campagna, hanno comunicato di aver avviato una “campagna nazionale ed internazionale contro la persecuzione giudiziaria e la criminalizzazione dei difensori dei diritti umani”.

In Messico, segnala il consiglio, “non solo è in atto la disastrosa guerra contro il ‘crimine organizzato’, ma anche contro la gente e le sue lotte per una vita degna, gente che non vuole essere calpestata e trattata come merce o come criminali”. Con la persecuzione e la repressione “il governo, ad ogni livello, affronta i popoli che si organizzano per difendere la propria terra e le proprie risorse”.

Il consiglio sostiene che nel nostro paese essere difensore dei diritti umani “è diventato pericoloso”. È così per chi si dedica a questioni legate all’ambiente o ai diritti di donne, contadini, giornalisti, migranti e indigeni.

“Esistono molti interessa economici e la lotta per vendere e possedere le risorse. Quello che disturba questi piani sono i popoli che difendono il loro stile di vita ed il loro lavoro, che vivono e preservano le loro risorse, le loro terre, la loro acqua”.

In Chiapas è il caso, “tra molti altri”, sottolinea il consiglio, di Nataniel Hernández, direttore del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, con sede a Tonalá, il quale “ha accompagnato i lavori e la lotta del Consiglio Autonomo Regionale, ed è stato fermato in due occasioni per presunti reati statali e federali”.

Attualmente deve affrontare cinque processi penali “completamente preordinati e fasulli che sono un’ulteriore dimostrazione che in Messico la giustizia non esiste e che è l’impunità a prevalere”.

Il consiglio racconta che negli ultimi cinque anni è nato un movimento di comunità e quartieri che si oppongono alle elevate tariffe dell’energia elettrica imposte dalla Commissione Federale dell’Elettricità

Questo movimento è presente in almeno i1 stati della Repubblica ed uno dei suoi principali bastioni è nella costa del Chiapas. A poche ore dall’arrivo della cosiddetta “carovana del sud”, le comunità sottolineano la persecuzione poliziesca e giudiziaria contro almeno otto dei suoi membri.

“Il movimento di resistenza civile ha promosso molte istanze riguardo l’energia elettrica nel paese, come l’opposizione al modello energetico neoliberista che favorisce la privatizzazione dell’energia”

La Rete Nazionale di Resistenza Civile contro le Alte Tariffe ha denunciato la repressione e criminalizzazione dei suoi membri come una strategia orchestrata da una coalizione di funzionari della CFE, della Procura Generale della Repubblica e dai governi statali, principalmente di Chiapas, Campeche e Veracruz.

 

In altro ordine, il Cntro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), ha inviato comunicazioni al governatore dello stato, Juan Sabines Guerrero; al segretario di Governo, Noé Castañón León, ed al procuratore statale, Raciel López Salazar, così come alle autorità federali, chiedendo di assumersi la propria responsabilità per evitare che la comunità zapatista di San Patricio, nel municipio autonomo La Dignidad (municipio ufficiale di Sabanilla), subisca aggressioni ancor più gravi di quelle che stanno subendo dallo scorso 11 di settembre.

Il Frayba ha emesso un’Azione Urgente un’azione urgente per richiamare l’attenzione della società civile e delle autorità governative su questa situazione che la JBG della zona nord definisce  “molto critica ed insopportabile”.

Chiede che si garantisca “immediatamente” la vita e l’integrità della comunità ed il rispetto del processo di resistenza e autonomia che le basi dell’EZLN esercitano “in conformità ai trattati internazionali sui diritti dei popoli indigeni, la Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani e gli Accordi di San Andrés”.http://www.jornada.unam.mx/2011/09/15/politica/014n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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APPELLO FRAYBA.

Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, AC

http://www.frayba.org.mx/index.php

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

14 settembre 2011

Azione Urgente No. 05

Persecuzione e rischio di sfollamento forzato della comunità autonoma

Secondo informazioni pervenute a questo Centro dei Diritti Umani, attraverso la Giunta di Buon Governo (JBG) “Nueva semilla que va a producir” con sede nella comunità di Roberto Barrios, municipio ufficiale di Palenque, esiste il rischio imminenti che diversi atti di minaccia e vessazione sfocino in un possibile sfollamento forzato degli abitanti della comunità autonoma di San Patricio, municipio autonomo La Dignidad, municipio ufficiale di Sabanilla, nella Zona Nord del Chiapas.

Secondo le informazioni raccolte, lo scorso 7 settembre 2011, i signori Ambrocio Díaz Gómez, Santiago Díaz Cruz, Miguel Díaz Díaz si sono presentati a casa di una delle autorità autonome zapatiste di San Patricio minacciando di invadere e cacciare la comunità col pretesto del mancato pagamento dell’imposta prediale, aggiungendo che se non avessero consegnano le terre recuperate, dove attualmente abitano, sarebbero venuti a “massacrare tutti“.

Il 10 settembre, un gruppo di persone ha sparato più volte nei pressi della comunità di San Patricio. Quella stessa notte, un gruppo di circa100 persone ha installato un accampamento permanente a soli 200 metri dalla comunità. L’11 settembre, a diverse ore del giorno, si sono uditi molti spari provenire dall’accampamento installato il giorno precedente. Inoltre, gli aggressori hanno abbattuto alberi, distrutto le coltivazioni di mais e bruciato 18 ettari del terreno di proprietà degli abitanti di San Patricio che appartengono alle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN). Il 12 settembre, sono continuati gli spari con armi di grosso calibro.

Secondo le informazioni fornite a questo Centro dei Diritti Umani, tra gli aggressori riconosciuti dalle BAEZLN, ci sono:

Del Municipio di Tila:

Mario Vázquez Cruz, della Comunitò di Ostelukum. Rogelio Ramírez Vázquez, della Comunità El Porvenir.

Del Municipio di Sabanilla:

Samuel Díaz Díaz, Marcelino Díaz Díaz, Alfredo Cruz Martinez, Abraham Díaz Díaz, Alfredo Díaz Cruz, Esteban Díaz Díaz, Arturo Cruz Martinez ed altre persone appartenenti all’ejido Los Naranjos, comunità Velasco Suárez ed ejido Unión Hidalgo.

Le minacce di sgombero forzato contro la comunità continuano anche con l’uso delle armi. Di fronte a questa situazione i coloni Basi di Appoggio dell’EZLN di San Patricio si trovano nell’impossibilità di raggiungere i propri appezzamenti per lavorare e mietere, cosa che sta provocando condizioni di emergenza alimentare.

Per quanto sopra e con riferimento agli articoli 2, 3 e 9 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto e dovere degli individui, i gruppi e le istituzioni di promuovere e proteggere universalmente i diritti umani e le libertà fondamentali riconosciute in relazione al contenuto dell’articolo 133 della Costituzion e della giurisprudenza della Corte Suprema di Giustizia della Nazione; così come nell’articolo 8 di quest’ultimo ordinamento, questo Centro dei Diritti Umani sollecita in maniera urgente che:

  • · Si garantisca immediatamente la vita e l’integrità personale di tutti i membri delle BAEZLN della comunità autonoma di San Patricio, municipio autonomo La Dignidad, del municipio ufficiale di Sabanilla, che secondo le informazioni fornite dalla JBG di Roberto Barrios sono minacciati di sgombero con la forza da un gruppo di persone armate provenienti da diverse comunità confinanti dei municipi di Sabanilla e Tila.
  • · Si garantisca il rispetto delle terre, proprietà della comunità autonoma di San Patricio, che sono state recuperate dalle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Nello stesso tempo, chiediamo il rispetto del processo di resistenza e autonomia che esercitano le BAEZLN in conformità con i trattati internazionali sui diritti dei popoli indigeni, con la Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani e gli Accordi di San Andrés.

Rivolgiamo un appello alla Società Civile nazionale ed internazionale affinché si pronuncino inviando appelli alle seguenti autorità del governo del Chiapas e del Messico.

Inviare l’appello a:

Lic. Felipe de Jesús Calderón Hinojosa

Presidente de la República

Residencia Oficial de los Pinos, Casa Miguel Alemán

Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF

Tel: (52.55) 2789.1100 Fax: (52.55) 5277.2376

Correo: felipe.calderon@presidencia.gob.mx

 

Lic. José Francisco Blake Mora

Secretario de Gobernación

Bucareli 99, 1er. Piso, Col. Juárez, Del. Cuauhtémoc,

C.P. 06600 México D.F. Fax: (52.55) 50933414;

Correo: secretario@segob.gob.mx, contacto@segob.gob.mx

 

Lic. Juan José Sabines Guerrero

Gobernador Constitucional del Estado de Chiapas

Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 1er Piso

Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009

Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México

Fax: +52 961 61 88088 – + 52 961 6188056; Extensión 21120. 21122;

Correo: secparticular@chiapas.gob.mx

 

Dr. Noé Castañón León

Secretario General de Gobierno del Estado de Chiapas

Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 2do Piso

Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009

Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México

Conmutador: + 52 (961) 61 2-90-47, 61 8-74-60. Extensión: 20003;

Correo: secretario@secgobierno.chiapas.gob.mx

 

Lic. Raciel López Salazar

Procuraduría General de Justicia de Chiapas

Libramiento Norte Y Rosa Del Oriente, No. 2010, Col. El Bosque

C.P. 29049 Tuxtla Gutiérrez, Chiapas

Conmutador: 01 (961) 6-17-23-00.

Teléfono: + 52 (961) 61 6-53-74, 61 6-53-76, 61 6-57-24, 61 6-34-50.

Correo: raciel.lopez@pgje.chiapas.gob.mx

 

Inviare copia a:

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.

Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos,

29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México

Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548

Correo: accionurgente@frayba.org.mx

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La Jornada – Mercoledì 14 settembre 2011

Paramilitari prendono d’assedio un villaggio zapatista e minacciano di uccidere tutti, denuncia la JBG

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 13 settembre. La giunta di buon governo (JBG) Nueva semilla que va a producir, del caracol zapatista di Roberto Barrios, nella zona nord dello stato, ha denunciato che la comunità di San Patricio, nel municipio autonomo La Dignidad (municipio ufficiale di Sabanilla), è assediata da oltre un centinaio di paramilitari di diverse comunità di Tila e Sabanilla che nelle ultime ore hanno sparato, bloccato tutte le strade, bruciato 18 ettari di terra, saccheggiato le milpas e minacciano di uccidere gli zapatisti che si rifiutino di abbandonare le terre.

Gli aggressori – di gruppi filogovernativi – si rifanno al tristemente famoso gruppo paramilitare Paz y Justicia che è imperversato nella zona per un decennio dopo la sollevazione zapatista del 1994. Provengono dalle comunità Ostelukum, El Porvenir, Los Naranjos, Velasco Suárez e Unión Hidalgo e sono guidati da Rogelio Ramírez Vázquez, il poliziotto municipale di Tila, Mario Vázquez Cruz, e Samuel Díaz Díaz, di Sabanilla.

La JBG descrive le minacce e le aggressioni come “molto dure e insopportabili” e le collega ad un fatto recente: lo scorso 7 settembre tre presunti paramilitari, (Ambrocio Díaz Gómez, Santiago Díaz Cruz e Miguel Díaz Díaz) si erano presentati a casa di un’autorità autonoma di San Patricio minacciando di “venire ad invadere e cacciare la comunità perché non pagavamo l’imposta prediale, ma era un pretesto per venire a provocare e se non avremmo consegnato le terre avrebbero massacrato tutti (…)”.

Il giorno 10, “questi paramilitari hanno sparato ai confini della comunità”. Quella notte, circa 100 aggressori hanno preso posizione a 200 metri dalla comunità accampandosi nella “casa grande che era del fattore”. Si tratta di terre recuperate dagli zapatisti tre lustri fa. All’alba del giorno 11 “si sono sentiti molti spari provenire dalla loro posizione; alle 10 hanno iniziato ad abbattere gli alberi da legname per il lavoro comunitario”; poi hanno tagliato tutte le milpas intorno a dove si sono posizionati gli aggressori “e se le sono portate a casa”.

Hanno ucciso due maiali sottratti ad uno zapatista alla periferia di San Patricio mentre un altro è “rimasto ferito da un colpo di machete”. Alle 15 ci sono stati nuovi spari, “hanno distrutto le recinzioni del campo collettivo e bruciato 18 ettari”. All’alba del giorno 12 “i paramilitari hanno di nuovo sparato con armi di grosso calibro”.

Il dirigente paramilitare Samuel Díaz Díaz aveva intimato a Manuel Cruz Guzmán, autorità ufficiale del commissariato di San Patricio, che gli zapatisti “devono essere cacciati e le armi sono pronte”.

Questi “delinquenti paramilitari – dice la JBG – rubano nelle comunità ed ora agiscono contro i nostri compagni, li controllano giorno e notte e le basi di appoggio dell’EZLN non possono uscire dalla comunità per andare a lavorare”.

Attualmente, “gli invasori paramilitari sono distribuiti in montagna e nelle strade per bloccare, interrogare ed uccidere i nostri compagni e compagne che eventualmente intendano uscire dalla comunità per qualsiasi necessità”.

La JBG sostiene: “I nostri compagni e compagne sono in grave pericolo”, e nello stesso tempo avvertono che difenderanno la terra recuperata. Ritengono responsabili della situazione e di quello che potrà accadere, il governo de Juan Sabines Guerrero ed i sindaci di Sabanilla, Jenaro Vázquez López, e di Tila, Sandra Luz Cruz Espinoza.

Comunicato della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 13 settembre 2011

Più di 20 ONG si uniscono alla Carovana per la Pace e chiedono più attenzione per la frontiera sud

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las casas, Chis. 12 settembre. Annunciando la loro partecipazione alla carovana del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità che arriverà in Chiapas questo mercoledì, attivisti, studiosi, cittadini e più di 20 organizzazioni civili hanno ammesso che, “comprensibilmente”, nel paese l’attenzione è rivolta “alla guerra contro il crimine organizzato, in particolare, ma non esclusivamente, nel nord”. Ciò nonostante, hanno ricordato che, “qui viviamo una guerra con gravi e profonde conseguenze da almeno 18 anni, una strategia di contrainsurgencia con una forte occupazione militare del territorio, la formazione di gruppi paramilitari, la repressione e la criminalizzazione della protesta sociale e dei difensori dei diritti umani”.

A partire dalla sollevazione zapatista del 1994, segnalano in un documento, “decine di migliaia di soldati si sono stabiliti in territorio chiapaneco, ai quali bisogna aggiungere quelli che sono recentemente arrivati per rinforzare la frontiera sud”.

Questa “guerra di contrainsurgencia” vuole “sottrarre il territorio dei popoli indigeni per il suo sfruttamento a beneficio di interessi transnazionali”. Ciò porta “predazione e distruzione dei beni naturali, della ricchezza culturale e del tessuto sociale dei popoli originari”. Il documento, presentato oggi in conferenza stampa, elenca i progetti “definiti impropriamente eco turistici”, le concessioni minerarie, la costruzione di dighe, il saccheggio della biodiversità, i progetti di riconversione produttiva.

Inoltre, aggiunge, “in Chiapas cominciamo a vivere le prime fasi della guerra contro il crimine organizzato come conseguenza della sottomissione del governo messicano al desiderio degli Stati Uniti” di aprire alla frontiera sud “un altro fronte” contro il crimine organizzato. “Le condizioni di violenza che si vivono in Messico hanno raggiunto il Guatemala ed altri paesi centroamericani, in larga misura perché in Chiapas, principalmente nella regione di confine, esistono condizioni di grande violenza che sono state ripetutamente nascoste.

Non bisogna dimenticare che dalla frontiera del Chiapas passa tutto: migranti, droga, armi ed ogni tipo di traffico illegale. A sud condividiamo con la frontiera nord i sequestri, la sparizione di migranti, le esecuzioni e l’assassinio di donne”.

Le organizzazioni civili hanno dichiarato che l’arrivo nello stato della carovana guidata da Javier Sicilia “è un’opportunità per incontrarci come popoli, comunità e persone, per condividere le nostre esperienze in relazione alla situazione di violenza e morte” provocata dal governo di Felipe Calderón “col pretesto della lotta al crimine organizzato”.

Segnalano che “l’obiettivo della carovana è l’incontro della società civile e tra chi è stato colpito dalla guerra, e pertanto condanniamo qualunque tentativo delle autorità e dei partiti politici di capitalizzare la mobilitazione a fini politico-elettorali”.

Le organizzazioni hanno espresso solidarietà e simpatia verso le cause del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità ed il loro rifiuto della prevista legge di sicurezza nazionale e “l’impronta militarista”.

Per il Chiapas in particolare hanno chiesto la fine della guerra di contrainsurgencia e della persecuzione contro le comunità zapatiste o aderenti all’Altra Campagna, “e tutti i popoli che difendono il proprio territorio e autonomia”, così come “la liberazione dei prigionieri politici, il libero e sicuro transito dei nostri fratelli migranti e che si realizzino gli accordi di San Andrés”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/13/politica/012n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CONTRALÍNEA Periodismo de investigación

 1 settembre 2011

Contralínea  comunica con immenso dolore la morte delle giornaliste Ana María Marcela Yarce Viveros e Rocío González Trápaga. Le giornaliste sono state assassinate tra la notte del 31 agosto e la mattina del 1 settembre. I loro corpi sono stati ritrovati in un parco di Iztapalapa, a Città del Messico.

Marcela Yarce Viveros, fondatrice e reporter di Contralínea, era a capo dell’area Pubbliche Relazioni del settimanale. Rocío González Trápaga, ex reporter di Televisa e  amica di questa casa editrice, attualmente esercitava il giornalismo in forma indipendente.

La redazione e tutti noi che lavoriamo a questa rivista, con profonda tristezza ma anche con indignazione, esigiamo dalle autorità la massima chiarezza su questi deplorevoli fatti. Ci uniamo al dolore di familiari e amici delle due giornalista e reclamiamo giustizia

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La Jornada – Mercoledì 31 Agosto 2011

Secondo il rapporto del Frayba, i progetti del governo sono un attentato ai diritti degli indigeni

Elio Henríquez. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 30 agosto. I diritti collettivi dei popoli indigeni sono “seriamente minacciati dalla presenza di progetti e piani governativi che fomentano il saccheggio del territorio per interessi estranei ai suoi abitanti ancestrali” afferma il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) nel suo rapporto annuale.

“I popoli indigeni del paese si trovano in una situazione estremamente complessa dovuta, tra le altre ragioni, alla disputa per il controllo territoriale ed alla cultura di violenza generata dallo Stato messicano, che prosegue in un’interminabile voragine”, aggiunge nel rapporto Late la tierra en las veredas de la resistencia (La Terra pulsa sui sentieri della resistenza).

Sottolinea che “all’origine di questo scenario ci sono i progetti ed i piani dei governi federale, statale e municipali, come il Centro Integralmente Planeado, che rispondono ad una politica di esclusione, emarginazione e povertà, e che fomentano il saccheggio del territorio”.

Secondo l’organizzazione presieduta da Raúl Vera López, vescovo di Saltillo, Coahuila, questi piani, collegati al Proyecto Mesoamérica, prima Plan Puebla-Panamá, “hanno causato in Chiapas conflitti con gravi conseguenze sociali nelle regioni dove si trovano le comunità abitate da basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, che stanno costruendo nuove alternative di fronte a progetti di sviluppo indirizzati allo sfruttamento delle risorse naturali e che sono estranei alla cultura dei popoli indigeni”.

Víctor Hugo López, direttore dell’organizzazione, durante la presentazione del rapporto ha detto che col 18% sul totale delle denunce, quelle relative al saccheggio di territori sono state le più ricorrenti nel lasso di tempo che va da marzo 2010 ad aprile 2011.

Ha detto inoltre che l’esercizio dell’autonomia attraverso la libera determinazione “è una questione pendente dello Stato messicano con i popoli indigeni, poiché non c’è la volontà politica del governo di garantire, rispettare e promuovere i diritti collettivi dei popoli, cosa che implica un cambiamento profondo delle basi istituzionali dello Stato, cioè, un cambiamento radicale di sistema di governo”.

In presenza di alcuni invitati, ha dichiarato che “di fronte al disordine nazionale politico e sociale i popoli esercitano e recuperano forme ancestrali di autogoverno”.

Ha affermato che la costruzione delle autonomie che ha luogo in Messico, in particolare in Chiapas, è “come una casa invisibile”, perché “si parla molto dei suoi progressi ma non si guardano o non si vogliono vedere”.

Víctor Hugo López ha precisato che il documento presentato oggi nella sede del Frayba ha tra altri obiettivi quello di “dare conto della situazione dei diritti umani e dei processi di difesa ed esercizio del diritto in quattro ambiti: territorio, criminalizzazione della protesta, autonomia e memoria storica”.

Ha segnalato che l’organizzazione che dirige “ha documentato gli attacchi ai progetti di autonomia in Chiapas relativi a salute, educazione, comunicazione ed autodeterminazione delle comunità e popoli”.

Magdalena Gómez, studiosa dell’argomento, nel suo messaggio ha detto che nelle sue analisi, la relazione “ci pone nella necessità di fare un bilancio a dieci anni dalla controriforma indigena del 2001”.

L’articolista di La Jornada ha aggiunto: “Qui ci sono gli elementi base per rimarcare la ragion di Stato che nel 2001 fu fatta prevalere contro gli accordi di San Andrés: l’impatto di questa controriforma è evidente in tutto il documento”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/31/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Caro Subcomandante Marcos:

Grazie infinite per le parole riservate al Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità nella sua terza lettera a Don Luis Villoro. L’abbiamo letta con l’attenzione di chi è aperto all’ascolto. Da questa attenzione e ascolto vogliamo ringraziare per la sua profonda umiltà e solidarietà col Movimento e dirvi che portiamo dolorosamente nel nostro cuore i vostri morti, come Dionisio-Chiapas e Mariano, costruttori di pace. Vogliamo inoltre dirvi che anche se non ci comprendete, sebbene il nuovo vi sconcerti – la capacità di tentare di fare pace perfino con i nostri avversari, perché crediamo che gli errori di un essere umano non sono l’essere umano, ma l’alienazione della sua coscienza che bisogna trasformare con la pazienza dell’amore – condividiamo gli stessi aneliti e speranze, quelli di “un mondo nel quale ci stiano molti mondi”.

La pace, caro Subcomandante, come diceva Gandhi è “la strada”, una strada che si percorre solo tutte e tutti insieme. Voi, 17 anni fa, a fianco della società civile, ce l’avete insegnato non solo rendendo visibile e dando dignità al passato negato e vilipeso della nostra tradizione indigena, ma anche quando, a partire dall’ascolto e dal dialogo, avete aperto la discussione su quello che, nella crisi delle istituzioni, potrebbe essere una nuova speranza di ricostruzione della nazione: le autonomie.

Purtroppo, il potere, che è cieco, gli interessi che non ascoltano i battiti del cuore della storia, e l’egoismo, quella forma atroce dell’io che rompe i vincoli con gli altri, non vi hanno ascoltato – cambiare il cuore il potere è sempre lungo e doloroso -. La conseguenza è la spaventosa emergenza nazionale che vive attualmente il paese il cui epicentro, ironia della sordità, si trova a Juárez, alla frontiera norddelpaese.

Oggi la guerra ha lacerato le quattro parti del Messico (il nord, il sud, l’est e l’ovest), ma nella visibilità delle nostre sofferenze – che sono molte e sempre di più – dei nostri volti, dei nostri nomi e delle nostre storie, ci ha anche unito – nella pace dell’amore che ci porta a procedere, ad abbracciare sofferenze e a dialogare per cercare di smuovere la coscienza dei potenti – per trovare quell’io plurale, quel noi che ci hanno sottratto. Ciò ha potuto nascere solo dal cuore, dalla solidarietà e dalla speranza, cioè, dalla grande riserva morale che ancora c’è nella nazione della quale voi siete una delle parti più belle. Oggi più che mai crediamo che solo con l’unità nazionale di questa riserva – che non sta solo in basso, ma anche sopra ed ai lati, da tutte le parti – possiamo fermare la guerra e trovare insieme la strada della rifondazione nazionale.

Il Messico, caro Subcomandante, è un corpo lacerato, un suolo fratturato che bisogna ricomporre come un corpo ed una terra sani in cui – come ogni corpo ed ogni vera terra – ognuna delle sue parti, quando si armonizza e si coltiva nel bene, sono tanto necessarie quanto importanti.

Camminare, dialogare, abbracciare e baciare – questi quattro modi che troviamo nella nostra storia fatta dal mondo indigeno e dal mondo occidentale – sono le forme che adottiamo non solo per accompagnare gli altri e le altre, ma per ritrovare la strada perduta e fare la pace. Camminare, è incontrare gli altri; dialogare è denudare, palpitare, illuminare la verità – che al principio duole, ma poi consola -; abbracciarsi e baciarsi è non solo fare pace, ma anche rompere le differenze che ci dividono e ci portano in conflitto.

Qualche anno fa con alcuni amici fondammo una rivista – spero ne abbia qualche numero tra le mani –: *Conspiratio*. Il nome viene dalla prima liturgia cristiana dove c’erano due momenti alti: la *conspiratio* e la *comestio*. Il primo si esprimeva con un bacio sulla bocca. Era una co-respirazione, uno scambio di respiri, una condivisione dello spirito che cancellava le differenze e creava un’atmosfera comune, una vera atmosfera democratica – forse da lì deriva il significato che la parola cospirazione ha nella nostra epoca; forse l’impero romano, un impero, come ogni impero, spaventosamente classista, diceva, “chi sono questi che cospirano e mettono in pericolo il potere” -. Quando baciamo ed abbracciamo creiamo quell’atmosfera comune, un’atmosfera – è la realtà di qualunque atmosfera – instabile che rapidamente può sparire, ma non per questo è falsa. È un segno di quello a cui aspiriamo e che improvvisamente, nell’amore, appare pieno di gratuità come la vita stessa. Così, camminare, dialogare abbracciare e baciare è farlo, dal nostro dolore, per i nostri morti – a chi dimentichiamo di dare questo amore -, per i nostri giovani, i nostri bambini e bambine, i nostri indigeni, i nostri migranti, i nostri giornalisti, i nostri difensori dei diritti umani, i nostri uomini e donne, cioè, per tutti. In qualche modo è impedire che l’indolenza, l’imbecillità e la miseria dell’anima ci condannino tutti alla morte, alla corruzione e all’oblio.

Come lei ha ben detto riferendosi al Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità – una frase che uso da anni in relazione allo zapatismo -: “Si potranno discutere i metodi, ma non le cause”. È per queste cause che fermare la guerra è compito di tutti e di tutte.

Facciamoci carico di quello che oggi è il Messico, facciamoci carico del dolore e del perdono, prendiamo la strada della pace e lasciamo il giudizio alla storia.

Ci vediamo a sud, caro Subcomandante. Mentre arriviamo con la lentezzadelcamminare ed il dolore in spalla, le mandiamo un grande bacio, quel bacio col quale il nostro cuore non cessa di abbracciarvi. 

Da Arca, vicino alle montagne di Vercors

27 agosto 2011, 5 mesi dopo l’assassinio di Juanelo, Luis, Julio e Gabo.

Per il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità
Pace, Forza e Gioia
Javier Sicilia
http://movimientoporlapaz.mx/2011/08/29/carta-de-javier-sicilia-al-subcomandante-marcos/ 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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FORSE…

Terza Lettera a Don Luis Villoro nello scambio su Etica e Politica

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

Luglio-Agosto 2011

Per: Don Luis Villoro
Da: SupMarcos

Don Luis:

Le mando i saluti di tutt@ noi ed un abraccio forte da parte mia. Speriamo che stia meglio in salute e che la pausa in questo scambio sia servita per nuove idee e riflessioni.

Anche se la realtà attuale sembra precipitare vertiginosamente, una seria riflessione teorica dovrebbe essere in grado di “congelarla” un istante per scoprire in essa le tendenze che ci permettano, rivelando la sua gestazione, di vedere verso dove sta andando.

(E parlando della realtà, ricordo che fu a La Realidad zapatista dove proposi a Don Pablo González Casanova lo scambio: lui doveva farmi arrivare un pacchetto di biscotti Pancrema, ed io dovevo inviargli un presunto quanto improbabile libro di teoria politica (per definirlo in qualche modo). Don Pablo lo fece, ed il dilatato procedere del nostro calendario mi ha impedito di compiere la mia parte dello scambio… non ancora. Ma credo che durante le piogge prossime ci saranno altre parole.

Come forse si è andato insinuando nella nostra corrispondenza (e nelle lettere di coloro che, generosamente, hanno aderito a questo dibattito), la teoria, la politica e l’etica si intrecciano in modi non così evidenti.

Certamente non si tratta di scoprire o creare VERITÀ, quelle pesanti pietre che abbondano nella storia della filosofia e nelle sue figlie bastarde: la religione, la teoria e la politica.

Credo che saremmo d’accordo sul fatto che il nostro impegno mira più a tentare di far “saltare” le linee non evidenti, ma sostanziali, di questi ambiti.

“Abbassare” la teoria all’analisi concreta è una delle strade. Un altro è ancorarla alla pratica. Ma nelle epistole non si compie questa pratica, semmai si rende conto di essa. Cosicché credo che dobbiamo continuare ad insistere “nell’ancorare” le nostre riflessioni teoriche alle analisi concrete o, più modestamente, tentare di delimitare le loro coordinate geografiche e temporali. Cioè, insistere nel fatto che le parole si pronunciano (si iscrivono, in questo caso) da un determinato luogo e tempo.

Da un calendario ed in una geografia.

I. Lo specchio locale.

Anno 2011, Chiapas, Messico, il Mondo.

E siamo qua, in questi calendario e geografia, attenti a quello che succede, a quello che si dice e, soprattutto, a quello che si tace.

Nelle nostre terre proseguiamo la resistenza. Proseguono le aggressioni contro di noi provenienti da tutto lo spettro politico. Siamo l’esempio del fatto che è possibile che tutti i partiti politici abbiano uno stesso obiettivo. Sponsorizzati dai governi federale, statale e municipale, tutti i partiti politici ci attaccano.

Prima o dopo ogni aggressione si svolge una riunione tra funzionari governativi e dirigenti “sociali” o di partito. In queste riunioni si parla poco, solo lo stretto necessario per concordare il prezzo e la forma di pagamento.

Quelli che criticano la nostra posizione zapatista secondo cui “tutti i politici sono uguali”, dovrebbero farsi un giro per il Chiapas. Anche se certamente diranno che è qualcosa di strettamente locale, che questo non succede a livello nazionale.

Ma tra la classe politica chiapaneca si ripetono, con i loro timbri autoctoni, le stesse ridicole routine dei periodi preelettorali.

Ci sono regolamenti di conti interni (come nelle bande criminali) che per la classe politica si mascherano di “giustizia”. Ma da tutte le parti si tratta della stessa cosa: liberare la strada all’eletto di turno. Tutto quello che succede in basso viene fatto passare per il complotto di uno o diversi rivali. Tutto quello che succede in alto viene deformato o si tace.

Nella politica mediatica di elargizione degli elogi, quando si tratta del Chiapas non c’è nessuna differenza tra la stampa della capitale del paese e quella della capitale statale.

Ma, si può parlare seriamente di giustizia in Chiapas quando è sempre libero uno dei responsabili del massacro di Acteal, di nome Julio César Ruiz Ferro? “Presidente non si preoccupi, lasci che si ammazzino, poi mando la pubblica sicurezza a portare via i morti”, rispose l’allora governatore del Chiapas, Julio César Ruiz Ferro, a Jacinto Arias Cruz, sindaco di Chenalhó, che lo avvertiva di un imminente scontro ad Acteal il 19 dicembre 1997. (María de la Luz González, El Universal 18 dicembre 2007).

E che dire di “El Croquetas” Roberto Albores Guillén, responsabile del massacro di El Bosque, che ha eretto un impero di crimini e corruttele che ora gli permettono di concorrere contro Juan Sabines Guerrero ed il suo “gallo”, il coleto Manuel Velasco, per tornare a governare il Chiapas? (parlando di “galli”, il lopezobradorismo renderà mai conto, un giorno, di avere aiutato a riciclare il peggio della politico priista chiapaneca?).

Ah, la vecchia rivalità tra le vetuste classi politiche di Comitán, San Cristóbal de Las Casas e Tuxtla Gutiérrez (a proposito, i loro precedenti si possono trovare nel libro di Antonio García de León, “Resistenza e utopia: memorie di oltraggi e cronache di rivolte e profezie accadute nella Provincia del Chiapas negli ultimi cinquecento anni della sua storia” della casa editrice ERA del caro Neus Espresate).

Mentre si addensano le nubi di una bufera nella politica del Chiapas dell’alto, Juan Sabines Guerrero prosegue ostinato nella linea che ha già causato tanti fallimenti al “Croquetas” Albores: attivare gruppi, paramilitari e non, per aggredire le comunità zapatiste; occultare i vertici delle mafie criminali con o senza l’alibi di partito politico; mantenere l’impunità per gli amici; la simulazione come programma di governo.

La stampa, locale e nazionale, ben “oliata” dai soldi, non riesce ad occultare, attraverso l’unanimità, la guerra intestina nella politica dell’alto.

Soprattutto, basta segnalare questo: da tempo le regole interne della classe politica sono rotte. Gli aguzzini di ieri sono gli incarcerati di oggi, ed i persecutori di oggi saranno i perseguiti di domani.

Non è che non si facciano “accordi”, ma non riescono a rispettarli.

Ed una classe politica che non rispetta i suoi accordi interni è un cadavere in attesa di sepoltura.

No, la classe politica di sopra non capisce niente. Ma soprattutto non capisce la cosa fondamentale: il suo tempo è finito.

Governare non è più un lavoro politico. Ora il lavoro per eccellenza dei governanti è la simulazione. Più importanti dei consulenti politici ed economici, sono i consulenti d’immagine, pubblicità e marketing.

Così fanno oggigiorno i governanti in Messico, mentre le realtà locali, regionali e nazionali vanno in pezzi.

Nemmeno i bollettini governativi mascherati da “reportage” e “cronache giornalistiche” riescono a coprire la crisi economica: nelle principali città del Chiapas reale cominciano a vedersi e crescere l’indigenza ed i “lavori” più marginali. La povertà che sembrava essere esclusiva delle comunità rurali inizia a crescere nelle zone urbane del sudest messicano.

Proprio come nel resto del territorio nazionale.

Sembra che stia parlando della politica di sopra a livello nazionale e non locale?

Ah, i frammenti dello specchio rotto, irrimediabilmente rotto…

II. Epitaffio per una classe politica o per una Nazione?

Quando Felipe Calderón Hinojosa (presidente grazie alla colpa ora confessata di Elba Esther Gordillo), travestito da guida turistica per far arrivare in Messico non solo poliziotti e militari nordamericani, si affaccia al Sótano de Las Golondrinas, ad Aquismón, San Luis Potosí, ed esclama “Oh my god!” (http://mexico.cnn.com/nacional/2011/08/17/calderon-promuovere-destino-turistico-in-il-programma-the-royal-tour), potrebbe ben dire la stessa cosa se si affacciasse al pozzo nel quale il paese è sprofondato durante il suo mandato.

Secondo le statistiche rivelate dal Consiglio Nazionale di Valutazione della Politica di Sviluppo Sociale (CONEVAL), il numero di poveri in Messico è passato da 48.8 milioni a 53 milioni. Quasi la metà della popolazione messicana vive in condizioni di povertà. Quasi 12 milioni di persone sono in condizioni di povertà estrema.

E se si riguardano le mappe dello stesso CONEVAL, si vede che le sacche di povertà, prima esclusiva degli stati del sud e sudest del Messico (Guerrero, Oaxaca, Chiapas) cominciano ad estendersi agli stati del nord del paese.

In questo sessennio i prezzi dei generi di largo consumo sono raddoppiati e triplicati.

Secondo i dati del Centro di Analisi Multidisciplinare, per avere il denaro sufficiente al paniere alimentare raccomandato, all’inizio del sessennio di Felipe Calderón Hinojosa si doveva lavorare per 13 ore e 19 minuti al giorno. 5 anni dopo, in questo 2011, si dovrebbe lavorare per 22 ore e 55 minuti.

 

Mentre i profitti dei milionari negli ultimi 10 anni sono quadruplicati.

A tutto questo andrebbero sommate le perdite dei posti di lavoro per la chiusura delle fonti di impiego. Tra le quali il colpo criminale al Sindacato Messicano degli Elettricisti. L’attacco è stato guidato dal facinoroso segretario del lavoro, Javier Lozano Alarcón (che sarà ricordato anche per le estorsioni da gangster – Zhenli Ye Gon ed i 205 milioni di dollari per la frode elettorale del 2006 -), ed “acclamato” dai grandi mezzi di comunicazione di massa.

Tra l’altro, la gigantesca campagna propagandistica contro i lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti (che comprende la minaccia di azioni penali contro i suoi dirigenti) che lo stesso accusa di essere indolenti e terroristi, sarebbe in contrasto con la realtà: se questi lavoratori erano pigri ed inutili, com’è che c’era la luce elettrica nella zona centrale del paese? Com’è che funzionavano le televisioni che ora li attaccano, i giornali che li calunniano, le stazioni radio che li diffamano? Ed i disservizi ora presenti con la Compagnia Federale di Elettricità nella maggioranza delle case di quella parte del Messico? E le nuove bollette con cifre esorbitanti?

Ma la resistenza di questi lavoratori non passa inosservata. Non a noi.

E mentre la crisi mondiale si affaccia sull’economia nazionale, la classe politica va avanti, quella sì, nel suo ozio.

Il 2012 nel calendario di sopra è arrivato il 1 dicembre del 2006, ed in questi 5 anni non ha fatto che evidenziare che questi calendari non servono nemmeno per decorare i muri diroccati della casa grande che ancora chiamiamo “Messico”.

Nel PRI un Beltrones ed una Paredes fanno calcoli per spodestare un Peña Nieto più preoccupato di fare passerelle mediatiche (aveva i soldi) che fare politica (non ne era capace).

Nel PRD la coppia López Obrador e Marcelo Ebrard si sta solo ora accorgendo che la cosa fondamentale dipende dalle burocrazie di partito dell’autodenominata “sinistra” istituzionale.

E nel PAN dell’incubo nazionale, un ometto impazzito di morte e distruzione cerca chi gli copra le spalle quando le guardie presidenziali ed il palazzo nazionale non lo faranno più.

Nonostante il discredito e il deterioramento del partito al governo sia grande, Felipe Calderón Hinojosa scommette, e forte, sull’uso di tutte le risorse a sua disposizione per imporre la sua proposta. Se l’ha già fatto nel 2006, potrebbe ripeterlo nel 2012. E ne avrà bisogno, perché le sue carte sono pessime: Un Cordero [in spagnolo significa agnello – n.d.t.] che promette al suo pastore che continuerà ad esserlo; un Lujambio che spera di non ricevere la stoccata della estela de luz [Stele di Luce, Lujambio ministro dell’istruzione accusato di frode nella realizzazione del monumento per la commemorazione del bicentenario – n.d.t.]; un Creel al quale il grigio sta bene (e lo definisce); ed una Vázquez Mota il cui unico argomento è essere donna.

(Ricordo una discussione su Barack Obama e Hillary Rodham Clinton mentre si contendevano la candidatura presidenziale. Alcune femministe chiedevano l’appoggio a Hillary perché donna, alcuni afroamericani chiedevano di appoggiare Obama perché di colore. Il tempo ha dimostrato che in alto non contano né il colore né il genere).

Nel frattempo, come la matrona di un bordello, Elba Esther Gordillo sfoglia la margherita… e non esclude di candidarsi, invece di appoggiare qualcuno.

In questo patetico panorama è logico, e perfino auspicabile, che nascano candidati esterni… e cardellini che li accompagnino.

In realtà, al di fuori delle combriccole di partito, del potere economico e di qualche militante, il passaggio governativo non sembra interessare a nessuno.

L’apatia è sostituita dal rancore, e non sono pochi a sognare di riuscire finalmente a seppellire il sistema politico messicano, e con mani plebee scrivere sulla sua tomba l’epitaffio: “E’ stato difficile, ma alla fine il gioco è finito”.

Nel frattempo la guerra prosegue… e con lei le vittime…

III. Incolpare la vittima.

Uno psicologo nordeamericano, William Ryan, nel 1971 scrisse il libro “Incolpare la vittima” (“Blaming the Victim”). Nonostante la sua intenzione iniziale fosse una critica al cosiddetto “Rapporto Moynihan” che attribuiva la responsabilità della povertà della popolazione nera degli Stati Uniti alle condotte ed ai modelli culturali e non alla struttura sociale, quest’idea è stata applicata principalmente a casi di sessismo e razzismo (più frequentemente nei casi di violenza sessuale, dove si accusa la donna di aver “provocato” il violentatore con l’abbigliamento, l’atteggiamento, il luogo, ecc..).

Anche se detto in altro modo, Theodor Adorno definì il fatto di “incolpare la vittima” come una delle caratteristiche specifiche del fascismo.

Nel Messico contemporaneo sono stati alcuni membri dell’alto clero, autorità governative, artisti e “leader di opinione” dei mezzi di comunicazione a ricorrere a questa bugia per condannare delle vittime innocenti (principalmente donne e minorenni).

La guerra di Felipe Calderón Hinojosa ha trasformato questo tratto fascista in un programma di governo e di applicazione della giustizia. E non sono pochi i mezzi di comunicazione che l’hanno fatto proprio, permeando così il pensiero di chi ancora crede a quello che si dice e si iscrive su stampa, radio e televisione.

Qualcuno, da qualche parte, ha segnalato che i crimini contro gli innocenti racchiudono una triplice ingiustizia: quella della morte, quella della colpa e quella dell’oblio.

Il sistema che subiamo si prende cura, conserva e coltiva il nome e la storia dell’assassino, sia per la sua condanna, sia per la sua glorificazione.

Ma il nome e la storia delle vittime restano dietro.

Le vittime vengono uccise un’altra volta quando sono condannate a diventare un numero, una statistica. Molte volte nemmeno questo.

Nella guerra che Felipe Calderón Hinojosa ha imposto alla società intera del Messico, senza distinzione di classe sociale, razza, credo, genere o ideologia politica, si aggiunge un ulteriore sofferenza: quella di etichettare le vittime innocenti come criminali.

In questo modo, con lo slogan del “regolamento di conti tra narcotrafficanti”, si maschera l’impero d’impunità.

E questa pesantissima lapide cade anche su familiari e amici.

L’ingiustizia imperante non serve solo a garantire l’impunità a funzionari governativi di ogni tipo, federali, statali e municipali. Ma opprime anche le famiglie e le amicizie delle vittime.

Ed opprime anche i loro morti quando a livello sociale si prescinde dal loro nome e dalla loro storia, ed una vita retta viene deformata dagli appellativi prodigati dalle autorità e ripetuti fino alla nausea dai mezzi di comunicazione.

Le vittime della guerra diventano allora colpevoli ed il crimine che li amputa o li uccide altro non è che una forma quasi divina di giustizia: “se la sono cercata”.

Felipe Calderón Hinojosa sarà ricordato come un criminale di guerra, non importa se oggi, avvolto nello scapolare, si dà arie da statista o “salvatore della patria”.

La sua storia sarà ricordata con rancore.

Nemmeno avrà, in mancanza di giustizia, la beffa e lo scherno popolari che normalmente accompagnano l’uscita dei mandatari.

Le sue patetiche imitazioni di “guida turistica”, l’illegalità e l’illegittimità del suo arrivo alla presidenza, i suoi fallimenti politici, le sue responsabilità nella crisi economica, l’essersi circondato di una squadra di picchiatori e guardie del corpo travestiti da funzionari, il nepotismo, il consolidare quello che è ormai noto come “il cartello di Los Pinos”; tutte le sue figuracce resteranno in secondo piano.

Rimarrà la sua guerra, persa, con la sua quota di vittime “collaterali”: la sconfitta, il deterioramento e il discredito irrimediabili delle forze armate federali (i vari telefilm potranno fare poco o niente per contrastarlo); la consegna della sovranità nazionale all’impero delle strisce e le torbide stelle (l’abbiamo già detto: gli Stati Uniti d’America saranno gli unici vincitori di questa guerra); l’annichilimento delle economie locali e regionali; la distruzione irreparabile del tessuto sociale; ed il sangue innocente, sempre il sangue innocente…

Può essere che alla morte non ci sia rimedio.

Che niente possa riempire il vuoto di solitudine e disperazione che lascia la morte di un innocente. 

Può essere che niente di quello che si fa possa riportare in vita le decine di migliaia di innocenti morti in questa guerra.

Ma quello che si può fare è lottare contro la tesi fascista di “incolpare la vittima”, e nominare i morti e con questo recuperare le loro storie.

Liberarli così dalla colpa e dell’oblio.

Alleviare la loro assenza.

IV. Nominare i morti e la loro storia.

Mariano Anteros Cordero Gutiérrez, era il suo nome. Doveva compiere 20 anni quando, il 25 giugno 2009 a Chihuahua, Chihuahua, fu assassinato.

Il padre di Mariano, il dott. Mariano Cordero Burciaga, incontrò l’allora governatore dello Stato di Chihuahua, José Reyes Baeza, e questi gli disse che l’omicidio era dovuto a scontri di strada. Qualche settimana dopo gli avvenimenti, il Collegio degli Avvocati dello Stato chiese chiarimenti sui fatti alle autorità competenti. Queste risposero che di era trattato di “un regolamento di conti tra narcotrafficanti”. Incolpare la vittima.

Di seguito, qualche passaggio della sua storia:

Mariano studiava ingegneria gestionale all’Istituto Tecnologico di Parral (ITP) ed era stato ammesso all’Università Autonoma España de Durango, Campus Parral.

Prima di questi studi era stato volontario presso il Collegio Marista del villaggio di Chinatú, Municipio di Guadalupe y Calvo, Chihuahua. Era responsabile di 32 bambini indigeni che studiavano nella primaria del collegio.

Mariano era un giovane zapatista, di quelli che lottano senza passamontagna. Nel marzo del 2001, insieme al padre, partecipò come cintura di pace alla Marcia del Colore della Terra. Nel 2002 partecipa alle molte manifestazioni della sfera altromondista a Monterrey, Nuevo León, in occasione di un vertice di capi di Stato a cui partecipavano Bush ed anche Fidel Castro. Quando è morto, Mariano conservava nel suo zainetto che usava quotidianamente la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, il Manifesto del Partito Comunista ed il suo ultimo libro da lui acquistato: “Notti di fuoco e insonnie”.

Quando abbiamo percorso il nord del Messico con L’Altra Campagna, al nostro passo per lo stato di Chihuahua il giovane Mariano era presente ad una delle riunioni. Alla fine della riunione chiese di parlare con me privatamente.

La data? 2 novembre del 2006. Alcune settimane prima, il 17 ottobre di quell’anno, Mariano aveva compiuto 17 anni.

Ci sedemmo nella stessa stanza in cui si era svolta la riunione. Parola più, parola meno, Mariano mi manifestò il desiderio di venire a vivere in una comunità zapatista. Voleva imparare.

Mi sorprese la sua semplicità ed umiltà: non disse che voleva venire ad aiutare, ma ad imparare.

Gli dissi la verità: che la cosa migliore era che studiasse e si laureasse, perché qua (e là, e da tutte le parti) le persone d’onore finiscono quello che cominciano; nel frattempo che non smettesse di lottare lì, nella sua terra, con la sua gente.

Che al termine degli studi, se la pesava ancora così, avrebbe avuto un posto tra noi, ma al nostro fianco, non come maestro né come alunno, ma come uno in più di noi.

Chiudemmo il patto con una stretta di mani.

7 anni prima, l’8 maggio 1999, quando Mariano aveva 9 anni, io gli avevo scritto un messaggio su una pagina di quaderno:

“Mariano: Arriverà il momento, (non ancora, ma arriverà, è sicuro) in cui sul tuo cammino ne incontrerai altri che lo attraversano e dovrai sceglierne uno. Quando arriverà questo momento, guardati dentro e saprai che non ci sono opzioni, che la risposta è una sola: essere conseguente con quello che si pensa e si dice. Se questo è vero, non importa la strada né la velocità del passo. Quello che importa è la verità che questo passo porta con sé”.

Oggi nominiamo Mariano, la sua storia, e da questa geografia mandiamo alla sua famiglia un abbraccio zapatista fraterno che, sebbene non guarisca, allevia…

V. Giudicare o tentare di capire?

Anche dalla nostra geografia abbiamo tentato di seguire con attenzione il passaggio del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità guidato da Javier Sicilia.

So bene che giudicare e condannare o assolvere sono la strada preferita dai commissari del pensiero presenti in ogni lato dello spettro intellettuale, ma pensiamo che bisogna fare uno sforzo per tentare di capire varie cose:

La prima è che si tratta di una mobilitazione nuova che, nel suo progetto di costituirsi in movimento organizzato costruisce le proprie strade, con i propri successi e cadute. Come ogni cosa nuova, pensiamo che merita rispetto. Loro possono dire, a ragione, che si possono discutere le forme ed i metodi, ma non le cause.

E merita inoltre attenzione per tentare di comprendere, invece di esprimere giudizi sommari, tanto cari a chi non tollera niente che non sia sotto la sua direzione. 

E per rispettare e comprendere bisogna guardare in alto, ma anche in basso. 

Vero che in alto balzano all’attenzione ed irritano le moine che ricevono i responsabili diretti di tante morti e distruzione.

Ma in basso vediamo che, tra familiari e amici delle vittime, si risveglia speranza, consolazione, unione.

Noi pensavamo che forse era possibile che nascesse un movimento che fermasse questa guerra assurda. Non sembra che sia così, o non ancora.

Ma quello che si può apprezzare, fin d’ora, è che ha reso tangibili le vittime.

Le ha tirate fuori dalla lista nera, dalle statistiche, dalle fantastiche “vittorie” del governo di Felipe Calderón Hinojosa, dalla colpa, dall’oblio.

Grazie a questa mobilitazione, le vittime cominciano ad avere nome e storia. E si sgretola la menzogna della “lotta al crimine organizzato”.

Certo ancora non capiamo il perché si dedichi tanta energia e lavoro ad interloquire con una classe politica che, da tempo, ha perso ogni volontà di governo e non è altro che una banda di facinorosi. Forse lo scopriranno da soli.

Noi non giudichiamo e, pertanto, né condanniamo né assolviamo. Tentiamo di capire i loro passi e l’anelito che li anima.

Insomma, il degno dolore che li unisce e muove merita ed ha il nostro rispetto e ammirazione.

Pensiamo logico dialogare con i responsabili dei problemi. In questa guerra è ragionevole rivolgersi a chi l’ha scatenata e la cavalca. Chi critica che si dialoghi con Felipe Calderón Hinojosa dimentica questo elementare fattore.

Sulle forme che ha preso questo dialogo sono piovute critiche di ogni tipo.

Non credo che a Javier Sicilia tolgano il sonno le critiche vili, per esempio, di Paty Chapoy di La Jornada, Jaime Avilés (di frivolo e isterico), o le viltà del Dottor ORA (….) a cui manca solo di dire che Sicilia ha fatto ammazzare suo figlio per “promuovere” l’immagine di Felipe Calderón Hinojosa; o le critiche di chi gli rimprovera di non essere radicale, fatte proprio da chi si vanta di “non aver rotto neanche un vetro”.

Nella sua corrispondenza (e mi sembra in alcuni eventi pubblici), a Javier Sicilia piace ricordare un poema di Kavafis, in particolare il verso che dice: “Non devi temere né i lestrigoni né i ciclopi, né la collera dell’adirato Poseidón”. Questi critici isterici non arrivano neppure lontanamente a questo, ed i patetici rancori di questi omuncoli non vanno oltre i loro pochi lettori.

In realtà questo movimento sta facendo qualcosa per le vittime. E questo è qualcosa che nessuno dei suoi “giudici” può portare a proprio favore.

Per il resto, né Javier Sicilia né alcuni dei suoi amici disprezzano le osservazioni critiche che ricevono dalla sinistra, che non sono poche e sono serie e rispettose.

Ma non bisogna dimenticare che sono osservazioni, non ordini.

Trascrivo il finale di una delle lettere private che gli abbiamo mandato:

“Personalmente, se me lo permette, le direi di continuare con la poesia, e l’arte in generale, al suo fianco. In essa si trovano sostegni più fermi di quelli che sembrano abbondare nel chiacchiericcio senza senso degli “analisti” politici.

Per questo termino queste righe con le parole di John Berger:

Non posso dirti quello che l’arte fa e come lo fa, ma so che spesso l’arte processa i giudici, chiede vendetta per l’innocente e proietta verso il futuro quello che ha subito il passato, in modo che non sia mai dimenticato.

So anche che il potente teme l’arte in ognuna delle sue forme, ed a volte questa arte passa tra la gente come una diceria e una leggenda perché dà senso a ciò che la brutalità della vita non riesce a dare, un senso che ci unifica, perché alla fine è inseparabile dalla giustizia. L’arte, quando funziona così, diventa il luogo di incontro dell’invisibile, dell’irriducibile, durevole, il valore e l’onore”.

Infine, forse tutto questo è irrilevante…

VI.- Una breve storia.

E forse è irrilevante anche questa breve storia che ora le racconto, Don Luis: 

Il giorno 7 maggio 2011 una colonna di veicoli uscì di buon mattino dalla zona zapatista Tzots Choj con uomini e donne basi di appoggio dell’EZLN che avrebbero partecipato, insieme alle altre zone, alla mobilitazione di appoggio al Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità guidata da Javier Sicilia. Alle ore 06:00 una delle auto uscì di strada e nell’incidente perse la vita il compagno Roberto Santis Aguilar. Ancora molto giovane Roberto diventò zapatista e scelse il nome di lotta “Dionisio”.

La storia del compagno Dionisio è semplice raccontata dai suoi genitori e da sua moglie. Suo padre dice che, nella sua famiglia, fu Dionisio il primo che diventò zapatista:

“Stavamo lavorando qui nella milpa quando ad una certa ora ci disse, andiamo a parlare un momento, c’è un’organizzazione che dicono sia molto buona. Allora incominciò a parlare con noi, con i suoi fratelli, di come era un bene questa organizzazione che pare ci portasse aiuto, così disse. Allora entrammo nell’organizzazione ma prima ascoltammo le parole e poco a poco si avvicinò anche altra gente. E’ così che entrò nell’organizzazione.

A quel tempo eravamo molto sfruttati e non c’era terreno dove poter lavorare perché siamo molto poveri. Siamo andati a parlare col malgoverno per avere un pezzo di terra, ma il malgoverno nemmeno ci prese in considerazione, e quando abbiamo saputo di questa organizzazione ci siamo entrati, era il 1990″.

Quattro anni dopo, ormai miliziano zapatista, il compagno Dionisio, con un fucile calibro 20, era tra le file del reggimento che prese i capoluoghi municipali di Altamirano, Chanal ed Oxchuc. Le guarnigioni governative furono sconfitte in quelle piazze, ma durante il ripiegamento il compagno Dionisio ed altri miliziani furono catturati e torturati dai priisti di Oxchuc.

Don Luis, forse ricorda le immagini che mandarono fino alla nausea i mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali: gli zapatisti picchiati e legati in un chiosco del capoluogo di Oxchuc, la torba priista che gridava e minacciava di bruciarli vivi. Un elicottero governativo li trasportò nella prigione di Cerro Hueco dove continuarono ad essere interrogati e torturati. Li tennero 15 giorni senza mangiare, solo con acqua, e li tirano fuori alle 4 del mattino per lavarli con acqua fredda. Non fecero avere nessuna informazione. In seguito fu liberato, insieme ad altri prigionieri zapatisti, in cambio del prigioniero di guerra, il generale Absalón Castellanos.

Poi seguì il Dialogo della Cattedrale, il Dialogo di San Andrés, la firma degli accordi, l’ inadempimento del governo, la resistenza zapatista.

Decine di migliaia di uomini, donne, bambini e anziani rifiutarono l’aiuto del governo ed iniziarono il processo di costruzione della propria autonomia con le proprie forze e l’aiuto della società civile nazionale e internazionale. 

Il compagno Dionisio fu scelto come autorità di un Municipio Autonomo Ribelle Zapatista e fu presidente della commissione di produzione municipale. Quando nacquero le Giunte di Buon Governo, fu membro di una di esse. Alla fine del suo servizio comunitario come autorità autonoma, fu promotore locale nella sua comunità. 

Di come svolgeva il suo compito ci parla sua moglie:

Il compagno diceva che non gli importava il tempo che ci metteva per svolgere il suo lavoro, e nemmeno che non portava soldi a sufficienza, né il luogo dove doveva andare a lavorare, si aiutava col pozol, non gli importava la fatica perché il suo lavoro era necessario alla nostra lotta. Ed era convinto della lotta, non si sarebbe arreso per nessuna sofferenza perché era deciso a lottare. Al compagno piaceva il lavoro, non gli importava se non aveva soldi, ma gli importava il lavoro (….).

Quando il compagno Dionisio svolgeva il compito come consiglio autonomo, sua moglie restava a lavorare nella milpa o raccoglieva legna. E condividevano il lavoro: quando il compagno tornava a casa dal lavoro nel suo ufficio, poi il giorno seguente usciva alle quattro, alle cinque del mattino per vedere il suo lavoro nella milpa o altro, e sua moglie l’accompagnava sempre, così condividevano tra loro il lavoro.

Il giorno della marcia, il 7 maggio di quest’anno, si alzano alle 2 del mattino e si preparano: macinano la pasta per le tortillas, preparano il cibo da lasciare ai figli e si preparano il pozol da portarsi alla marcia. Sua moglie racconta che ogni volta che il compagno Dionisio partiva, le diceva che non sapeva se sarebbe tornato. Quel giorno, all’alba, partì felice. Il corpo del compagno è ritornato accompagnato da molte basi di appoggio zapatiste.

L’hanno portato fino a casa.

Quando abbiamo parlato con i familiari del defunto compagno Dionisio, ci hanno chiesto di trasmettere questo messaggio a coloro che lottano contro la guerra del malgoverno:

Il padre: Questo è un messaggio per il compagno Javier Sicilia ed altri compagni i cui figli sono morti perché cercavano il bene, mando loro questo messaggio per dare coraggio alla loro lotta per sconfiggere il malgoverno.

La moglie: Mando un messaggio al compagno Javier Sicilia ed agli altri compagni i cui figli sono morti per dare coraggio alla loro lotta, perché non smettano di lottare, per lottare insieme.

La madre: Continuate a lottare, coraggio con le vostre lotte, siamo pronti a lottare contro questa situazione, continuate a lottare, non siete soli.

Vero, non sono soli.

La storia del compagno Dionisio è semplice e, come quella di tutte e tutti gli zapatisti, si può riassumere così: non si arrese, non si vendette, non tentennò.

-*-

Mmm… questa lettera è venuta lunga. Immagini quella che sarà indirizzata a Don Pablo González Casanova al quale non devo una missiva, ma un libro.

Ed ora che la rileggo prima di inviarla, mi accorgo che forse tutto quello che c’è scritto  non venga a proposito di quello su cui stiamo riflettendo su etica e politica.

O forse sì?

Bene. Salute e speriamo ci sia più impegno nel capire e meno nel giudicare.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Luglio-Agosto 2011

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/08/25/sci-marcos-tal-vez-carta-tercera-a-don-luis-villoro-en-el-intercambio-sobre-etica-y-politica/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 24 Agosto 2011

Ejidatarios di Tila denunciano la campagna delle autorità per spogliarli delle terre

HERMANN BELLINGHAUSEN

L’assemblea degli ejidatarios di Tila, Chiapas, ha denunciato il tentativo di esproprio delle terre da parte delle autorità governative ed ha chiesto la rimozione dell’attuale parroco, il discusso sacerdote cattolico Heriberto Cruz Vera, “che il governo federale, statale e municipale utilizza per ingannare e manipolare la popolazione e sottrarci le nostre terre”. Aggiungono che questa “non ha prezzo, non è merce per progetti ‘ecoturistici’ o di presunto ‘sviluppo’, e solo la massima autorità del popolo chol di Tila, che è l’assemblea generale, può determinare la destinazione d’uso” dei suoi 5.405 ettari.

“L’ejido lotta da oltre 30 anni per la difesa e la cura della madre terra contro la discriminazione ed il razzismo del malgoverno municipale, statale e federale”. I suoi fondatori “sono scesi dalla montagna a piedi, patendo la fame, per andare a Tuxtla Gutiérrez e Città del Messico per ottenere la risoluzione presidenziale ed il piano definitivo. Questi documenti, aggiungono gli ejidatarios, “rappresentano la libertà del nostro popolo che ha vissuto da schiavo all’epoca della colonia con l’invasione degli spagnoli e dopo lavorando nelle proprietà degli stranieri”. Solo dopo la “rivoluzione di Emiliano Zapata” si riconobbe “che la terra è degli indigeni, perché sono i soli originari delle terre che occupano”, che sono “di chi le lavora”, e pertanto non si vendono né si indennizzano.

Con un tono inusuale, sostengono: “Ci riempie di tristezza che un pastore di Gesù Cristo non senta il dolore del suo popolo e voglia solo riempirsi le tasche di soldi e vendersi al governo per fare il lavoro sporco di provocare l’ejido e fabbricare accuse contro le quali difendiamo la nostra madre terra”. Dicono che il parroco “umilia gli indigeni e ci ha proibito di accendere candele in chiesa e celebrare le nostre tradizioni”.

L’assemblea generale dell’ejido ha chiesto in tre occasioni al vescovo di San Cristóbal de las Casas, Felipe Arizmendi, di nominare un nuovo sacerdote. Il parroco “raccoglie firme con inganni e pressioni” per impedire la sua rimozione “e così possa continuare ad appoggiare il governo nell’esproprio della terra e discriminare ed abusare del nostro popolo”. L’ejido “non è contro la chiesa, perché la chiesa siamo noi, non solo un sacerdote”, chiariscono gli indigeni offesi. Tuttavia, “non siamo stati ascoltati, sembra che il vescovo voglia proteggerlo e stare col governo per spogliarci”.

“Non è come il nostro Tatik Samuel (Ruiz García), che seppe camminare con noi e sentire il nostro dolore di popolo indigeno povero”. Chiariscono che il santuario “non è un centro turistico di commercio”, bensì “un luogo di fede aperto a tutte le persone di buona volontà; non vogliamo più che il sacerdote Heriberto maltratti il nostro popolo e chi visita il signore di Tila”.

Dicono di trovarsi “in un momento importante della loro lunga lotta” a difesa della terra, per questo chiedono alla Corte Suprema di Giustizia della Nazione, presso cui hanno presentato un esposto “di garantire il rispetto della nostra autonomia e la libera determinazione come popolo indigeno”.

Chiedono ai loro “fratelli di Tila” di non lasciarsi ingannare dal governo e dal suo “operatore politico”, il parroco. Il santuario di Tila non “è di proprietà di una persona, è della nostra comunità e di altre comunità che vengono a visitarlo”.

L’assemblea generale dell’ejido ha deciso che i coloni “ingannati dal municipio nell’acquisto delle terre ejidali come se fossero di proprietà privata, saranno rispettati per quanto riguarda i loro diritti e la loro tranquillità”, e la situazione delle loro case sarà soggetta al regolamento interno dell’ejido, alla legge agraria ed ai trattati internazionali sui popoli indigeni”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/24/politica/023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Le popolazioni del Guerrero iniziano la lotta contro il lavoro delle miniere straniere.

Oggi più di 700 poliziotti comunitari verranno dispiegati nella Costa Chica e nella Montaña.

Il governo federale ha concesso le autorizzazioni alle imprese per sfruttare i giacimenti in un’area di 500 km.

Non “hanno chiesto il permesso”, l’attività è inquinante e si portano via i profitti, dicono.

Sergio Ocampo Arista, corrispondente
La Jornada, domenica 21 di agosto 2011

Chilpancingo, Gro., 20 agosto. Dalle 7 alla mezzanotte di domenica, la Polizia Comunitaria dispiegherà i suoi 700 circa integranti per le strade, i sentieri e i viottoli, così come all’entrata e all’uscita delle 63 comunità dei 10 municipi delle regioni Costa Chica e Montaña, per informare dell’inizio della lotta contro le imprese minerarie canadesi e inglesi che vogliono sfruttare giacimenti di oro e argento, ed altri metalli, senza il consenso dei popoli indigeni.

Così ha reso noto Valentín Hernández, consulente giuridico del gruppo di autodifesa conosciuto anche come Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie (CRAC), che in un’intervista telefonica ha affermato che i poliziotti comunitari installeranno dei posti di blocco dai quali informeranno sui passi in avanti della lotta contro le compagnie minerarie.

Ha ricordato che quelle imprese straniere vogliono sfruttare giacimenti in un’area di 500 km a partire dalle concessioni rilasciate dal governo federale soprattutto nei municipi di San Luis Acatlán, Malinaltepec, Tlacoapa, Zapotitlán Tablas, Iliatenco y Metlatónoc.

Andando oltre, ha detto che questo anno inizierà lo sfruttamento in tre punti: uno, ad opera dell’impresa inglese Hochschild Mining e della sua filiale Minera Zalamera. Questa dovrebbe sfruttare 47 mila ettari concessi a nome del progetto Corazón de Tinieblas, in aree specifiche dei municipi de La Montaña e Costa Chica.

Altri due progetti sono quelli di San Javier e La Diana e saranno a carico della canadese Camsim Minas SA. Il primo ha 15 mila ettari concessi all’impresa Casmin per 46 anni dal governo federale sotto il nome di Diana.

È noto che dal 21 di ottobre del 2010 queste compagnie hanno ricevuto i permessi del governo messicano attraverso la Direzione Generale Ambientale e di Geografia dell’Instituto Nazionale di Statistica e Geografia.

Da allora e sotto l’influenza della CRAC, le assemblee di 30 nuclei agrari hanno rigettato formalmente i progetti delle multinazionali di sfruttare i giacimenti all’aperto in quanto non era stato chiesto il permesso alle comunità e in quanto la loro attività è altamente inquinante e i benefici per gli abitanti sono pochi, poiché la maggior parte dei profitti viene portata via dal paese.

Per rafforzare questo rifiuto, la CRAC mobiliterà questa domenica i suoi 700 poliziotti comunitari, con un’operazione che inoltre sarà di “appoggio alla popolazione in materia di sicurezza, visto che a partire da lunedì 22 di agosto insegnanti e studenti ritorneranno al lavoro e a lezione”.

La mobilitazione servirà anche “per trovare un posto ai compagni del municipio di Marquelia, nella Costa Chica, che sono perseguitati dalla giunta e dai cacicchi in disaccordo con la polizia comunitaria. Essi hanno chiesto l’uscita della polizia comunitaria ma si sbagliano, poiché solo il popolo, nelle sue assemblee, è l’unico che ha facoltà di fare questa richiesta”.

Valentín Hernández ha detto che la polizia smetterà momentaneamente di occuparsi dei casi di sicurezza nella Casa della Giustizia situata nel capoluogo municipale di San Luis de Acatlán, una delle tre con cui conta la CRAC nella regione. “(Lì) proporremo che i quartieri e le colonie si uniscano all’organizzazione perché questo capoluogo non ha la polizia comunitaria”

Ha ricordato che del totale dei casi di giustizia e sicurezza di cui si occupa la Casa della Giustizia, “più della metà provengono dal capoluogo municipale di San Luis de Acatlán”.

La CRAC venne fondata nel 1995 dagli abitanti dei popoli indigeni delle regioni Montaña e Costa Chica del Guerrero. Da allora sono diminuiti fino al 90 per cento gli omicidi, le violenze sessuali, i casi di abigeato e altri reati.

http://www.jornada.unam.mx/2011/08/21/estados/026n1est

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.org)

Link utili
http://www.policiacomunitaria.org/

Messico – Costa Chica del Guerrero: esperienze indigene di lotta e di dignità
La Polizia Comunitaria, la lotta per la terra, l’altra educazione e le radio comunitarie –

Pronunciamiento del “Encuentro Nacional por la Justicia y la Seguridad de los Pueblos” (Guerrero). –

video:
Tenemos Todo y Nos Falta Todo – http://vimeo.com/20859747
Policia Comunitariahttp://desinformemonos.org/2010/11/policia-comunitaria/

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La Jornada – Domenica 21 agosto

La Orcao distrugge la casa delle basi di appoggio dell’EZLN, denuncia la giunta di buon governo. La casa serviva da cucina per gli osservatori civili; è stata completamente distrutta da 150 persone

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Arcoíris de la Esperanza, del caracol zapatista di Morelia, ha denunciato che il 17 agosto scorso nella comunità Patria Nueva, regione Primero de Enero, municipio autonomo Lucio Cabañas, Chiapas, l’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) ha compiuto nuove aggressioni, quando circa 150 persone hanno distrutto una casa delle basi di appoggio dell’EZLN che serviva da cucina per campamentisti ed osservatori civili.

L’attacco è stato guidato dai rappresentanti locali della Orcao: Cristóbal Gómez López, El Saddam, e Manuel Bautista Moshan, El Empresario, a loro volta coordinati dai dirigenti Antonio Juárez Cruz, Alejandro Gómez Navarro e Carlos Ramírez Gómez, ed assistiti da Nicolás López Gómez, El Tzirin, Juan Vázquez López e José Pérez Gómez.

La JBG sostiene: “I tre livelli del malgoverno sono rabbiosi perché non vogliono che si sappiano i loro inganni, per questo organizzano gente ignorante per introdurre i loro progetti di morte nei nostri territori autonomi, dove ci governiamo a modo nostro, come vuole il popolo. Non lottiamo per obbligo o strumentalizzati, come questi rappresentanti locali, regionali, consulenti e presunti governanti federali, statali e municipali, che tengono la povera gente sotto pressione e minaccia, obbligandola ad accettare miserabili progetti e compiere provocazioni”.

Denuncia che la Orcao minaccia di espellere “chi non obbedisce all’ordine di compiere provocazioni in territorio zapatista”.

Gli aggressori hanno cercato di entrare in una “casa di legno” che serve da scuola secondaria autonoma per distruggerla.

“Sappiamo che sono solo manovalanza, perché i veri autori intellettuali si chiamano Felipe Calderón e Juan Sabines Guerrero, che realizzano i progetti di morte e guerra per milioni di pesos nei nostri territori”.

Poi è arrivata una ruspa. “I militanti della Orcao la stavano aspettando e minacciavano di uccidere gli zapatisti a colpi di machete e pallottole”, segnala la JBG. Quindi gli orcaístas hanno formato sette gruppi che comunicavano tra loro con i cellulari. “I governi li hanno ben equipaggiato e addestrati per provocare i nostri compagni”, sottolinea.

Non è l’unica aggressione. Il 10 luglio ad Ocosingo erano stati aggrediti due cameraman del caracol di Morelia. Vicino alla stazione Ocosingo – Altamirano, tre individui li hanno obbligati a salire su un’auto Tsuru di colore bianco, senza targa, e li hanno portati nel quartiere Sauzal, nella stessa città.

Gli zapatisti sono stati derubati di un computer portatile, due videocamere ed una macchina fotografica, un cellulare, 600 pesos ed una valigia. Sono stati rinchiusi per quattro ore. Due dei sequestratori erano usciti lasciandone uno solo di guardia. La JBG racconta: “I nostri compagni hanno visto la possibilità di affrontarlo e poter scappare”. E’ stato riconosciuto come uno degli assalitori di Juan Decelis, originario di Balaxté.

Uno dei rapiti era stato invitato varie volte “a lavorare come spia da una persona che si chiama José Guadalupe, che gestisce progetti per le comunità. Come rappresaglia per non aver accettato, è stato derubato dell’attrezzatura. I tre livelli di governo “sono gli autori responsabili” perché “sviluppano e fomentano le provocazioni; ora non usano più soldati né poliziotti, ma indigeni.

“Per anni hanno speso milioni di pesos per distruggerci e perché regalassimo loro la nostra terra, per distruggere i nostri costumi e la nostra lingua, ma come tutto il mondo può vedere, noi zapatisti siamo ancora vivi e resistiamo.

“Non rispondiamo alle loro provocazioni; noi stiamo costruendo la vita e non la morte, come fanno i malgoverni. Non siamo mendicanti come loro; tuttavia non temiamo alcun governo, nemmeno con i loro milioni di pesos sono riusciti ad eliminarci, e tanto meno con una piccola organizzazione come la Orcao”, conclude la JBG. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/21/politica/015n1pol

Comunicato completo della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 16 agosto 2011

Basi dell’EZLN denunciano attacchi da parte dell’organizzazione dei coltivatori di caffè di Ocosingo

HERMANN BELLINGHAUSEN 

La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, del caracol zapatista di La Garrucha, Chiapas, ha denunciato atacchi armati da parte di gruppi della Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (Orcao), che descrivono come paramilitari che contano sull’appoggio della polizia statale e municipale. Gli aggressori provengono dagli ejidos Guadalupe Victoria e Las Conchitas (Ocosingo), e da Pojcol (Chilón), che hanno tentato invadere terre delle basi di appoggio dell’EZLN del municipio autonomo Francisco Villa.

Il 12 agosto scorso gruppi organizzati ed armati della Orcao hanno aggredito a coli d’arma da fuoco alcuni contadini tzeltales che si dirigevano a svolgere lavori collettivi nelle loro terre recuperate. “Uomini e donne orcaístas di Guadalupe Victoria hanno impedito il passaggio dei nostri compagni minacciando di bruciare il veicolo con tutte le cose che trasportavano”, ha informato la JBG.

“Uno dei nostri compagni ha tentato di filmare quanto stava accadendo”, e gli è stata strappata la videocamera. “In quel momento sono arrivati altri nostri compagni e l’orcaísta José Alfredo Peñate Gómez tira fuori una pistola calibro 22 ed incomincia a sparare e colpisce Manuel Hernández López.” Gli zapatisti allora decidono di ritirarsi. Poco dopo un altro veicolo del municipio autonomo è arrivato con altri zapatisti che si dirigevano al lavoro e “a mille metri dalla strada un gruppo armato di Pojcol” ha sparato raggiungendo il veicolo con due pallottole calibro 22.

Secondo la JBG, “il malgoverno li ha organizzati come paramilitari perché stanno arrivando persone da Las Conchitas che rubano la nostra terra recuperata”, e dopo sono arrivate persone da Pojcol che “volevano circondare i nostri compagni” ed un altro zapatista è stato ferito in fronte da una sassata “ed all’aggressore è arrivata una bastonata”.

Quelli di Pojcol, che “si sa sono paramilitari”, si sono posizionati sulla colina per sparare con armi di grosso calibro, insieme a quelli di Las Conchitas, “anche loro con armi di grosso calibro”. Gli aggressori “sono forniti di radio consegnate dai tre livelli di governo, perché sanno che non possono utilizzare l’Esercito. Preparano gruppi di indigeni paramilitari per attaccare le basi dell’EZLN”.

Di fronte a questo, gli zapatisti “hanno distrutto le piccole capanne che avevano lì gli invasori”. Il giorno 13 quelli di Pojcol, “sono arrivati di nuovo armati ed hanno abbattuto degli alberi protetti dai paramilitari”, ed hanno sparato 18 colpi “di grosso calibro”. Il giorno 14 sono continuati gli spari.

La JBG accusa il presidente Felipe Calderón, il governatore Juan Sabines Guerrero ed il sindaco Arturo Zúñiga, e ricorda la sua precedente denuncia del 7 luglio relativa ad altre aggressioni. “Si vede chiaramente che queste azioni sono preparate, guidate ed appoggiate dai malgoverni, perché quella notte è arrivata a Guadalupe Victoria un’auto della polizia con due ambulanze. Crediamo che siano arrivate a consegnare altre munizioni ed ha consegnare soldi”.

La JBG denuncia che questo “è uno dei mille modi di fare campagne di contrainsurgencia contro gli zapatisti”, perché i governanti “sono esperti nel manipolare i dirigenti”, e si domanda: “Perché a loro piace tanto che ci siano vedove, bambini e bambine orfani?”. 

Tutto indica che la Orcao sia fuori controllo. Ricordiamo che il 27 luglio, secondo fonti ufficiali, circa 200 membri di questa organizzazione causarono danni nel comune di Ocosingo ed in un hotel vicino per protestare contro il presidente municipale, Arturo Zúñiga, che “non ha mantenuto le promesse fatte loro in campagna elettorale”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/16/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 10 agosto 2011

La Commissione Nazionale per i Diritti Umani esorta al rispetto dei 62 popoli originari

Dalla Redazione

La Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha esortato a promuovere le garanzie degli oltre 62 popoli indigeni per proseguire nello sradicamento dei problemi che devono affrontare.

Nella Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo, celebrata ieri 9 agosto, l’organizzazione ha rilevato che gli indios del Messico sono ancora il settore che vive nelle peggiori condizioni di povertà ed emarginazione.

Secondo le statistiche ufficiali citate dalla CNDH in un comunicato, il 79,6% della popolazione che parla una lingua indigena – 5,4 milioni di persone – vivono in situazione di povertà, e di questi, 3 milioni sono in povertà estrema, in condizioni molto precarie di salute, abitazione, istruzione, lavoro e sicurezza.

Per questo, l’ente diretto da Raúl Plascencia Villanueva, ha comunicato di aver rafforzato il suo Programma di Promozione dei Diritti Umani dei Popoli e Comunità Indigene, mediante il quale ha visitato 90 popolazioni nel primo semestre di quest’anno.

In queste visite, secondo la commissione, sono state realizzate 249 attività di impulso delle garanzie individuali, come incontri, laboratori e conferenze che sono servite a fornire istruzioni su questi temi ad oltre 18 mila persone, con l’aiuto di 50 mila opuscoli e materiale informativo. Inoltre, sono stati realizzati due manuali tematici per la diffusione dei diritti degli adulti maggiorenni che vivono in zone indigene, e che spiegano i servizi che devono essere erogati nei centri di salute.

La CNDH ha ribadito la necessità di raddoppiare gli sforzi affinché l’identità, le tradizioni ed i costumi dei popoli originari del paese siano rispettati e preservati nei territori in cui vivono.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 5 agosto 2011

Gli ex detenuti di Bachajón denunciano minacce da parte dei dirigenti del PVEM

Hermann Bellinghausen

Gli ex prigionieri politici di San Sebastián Bachajón, in Chiapas, aderenti all’Altra Campagna, rilasciati il 23 luglio, denunciano che dopo aver fatto ritorno alle proprie case, hanno ricevuto minacce di morte da parte di dirigenti del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM) del municipio di Chilón.

I contadini tzeltales denunciano direttamente Manuel Jiménez Moreno, figlio dell’ex consigliere comunale di Chilón, Antonio Jiménez García, e Juan Alvaro Moreno, dirigenti del suddetto partito, insieme ad abitanti delle comunità Pamalá Xanil Seconda Sezione e El Paraíso. Negli scorsi 24 e 28 luglio, segnala la denuncia, “ci hanno provocato e minacciato di morte indicandoci verbalmente che siamo ex prigionieri politici; ci provocano per farci cadere nello scontro, come fanno da sempre.

“Così come hanno fatto aggredendoci con la forza pubblica ed accusandoci falsamente lo scorso 3 febbraio insieme ai loro governi, che ci hanno tenuti rinchiusi per sei mesi nella prigione di Playas de Catazajá solo per aver difeso le nostre terre e territori”.

Le autorità volevano negoziare la loro scarcerazione, come hanno già denunciato  “a condizione di consegnare nelle mani del malgoverno le terre dell’ejido che ci hanno lasciato i nostri antenati”.

Poi, “visto che non potevano tenerci in prigione o sotto sequestro, fanno pressione e ci portano rancore ed ora ci provocano nuovamente perché non siamo alleati del malgoverno, ma siamo in lotta ed è il momento di guardare avanti e proseguire per salvare le nostre terre”.

Per questa ragione, aggiungono Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro, “esortiamo il governo a prendere posizione al riguardo”, e ad agire contro “le persone che ci stanno provocando” perché, “in caso accadesse qualcosa a qualcuno di noi o ai compagni, riterremo responsabile di questo direttamente il malgoverno”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/05/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 4 agosto 2011

La JBG reclama l’uscita degli invasori dalle terre di Monte Redondo, in Chiapas

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, del caracol zapatista della selva di frontiera a La Realidad, Chiapas, denuncia “provocazioni e danni” da parte delle autorità ed ejidatarios di Monte Redondo (Frontera Comalapa) contro basi di appoggio dell’EZLN appartenenti al municipio autonomo Tierra y Libertad. Accusano di favorire le aggressioni i militanti di quattro partiti politici: PAN, PRD, PRI e PVEM ed il governo statale.

La JBG riferisce che Patricio Domínguez Vázquez, Alba Palacios de León e Carmelino Felipe Pérez, basi zapatiste, dal 1972 hanno acquisito terreni all’interno dell’ejido stesso, terreni che hanno coltivato “senza alcun problema” fino al 1987, quando sono sorti “seri conflitti” che persistono tuttora. Le autorità precedenti ed attuali ed altri ejidatarios hanno compiuto “offese, abusi e furti” di mais, fagioli, frutta e caffè, oltre ad occupare “illegalmente” i terreni.

I rappresentanti autonomi identificano con chiarezza gli invasori di otto ettari di Felipe Pérez, tre di Patricio Domínguez ed otto di Alba de León. Uno di questi, il perredista Conrado Domínguez, aveva occupata un ettaro che ha venduto a marzo di quest’anno per 50 mila pesos “come se fosse il padrone”.

Lo scorso 27 luglio, circa 200 persone, tra le quali le autorità dell’ejido Monte Redondo, “si sono introdotte negli appezzamenti dei nostri compagni ed hanno abbattuto le piante di caffè che stavano girà dando i loro frutti”.

Queste azioni sono favorite dalle autorità e da persone dello stesso ejido: Emar Sánchez Carrillo, commissario ejidale; Filadelfo Hernández Ramírez, segretario del commissario; Miguel de León Moraesi ed Eutimio Méndez Aguilar, del consiglio di vigilanza; Hernán de León, agente municipale, e Óscar Méndez Roblero, supplente dell’agente municipale, tra altri. “I nostri compagni sono i legittimi proprietari di queste terre e sono in possesso dei documenti di proprietà”, sostiene la JBG.

Le “persone senza vergogna che sono provocatori sono ejidatarios con più di 15 ettari ognuno, e se alcune di loro non ne hanno più, è perchè hanno venduto”. Queste persone, “appoggiate dalle tre istanze governative – aggiunge la JBG – sono le stesse che pochi mesi fa imprigionarono il nostro compagno Patricio Domínguez con un’accusa falsa”. Dopo le denunce e l’intervento di organizzazioni dei diritti umani è stato liberato “perché non aveva fatto niente. Ora tornano a provocarci.

“Se credono che non abbiamo coraggio e dignità, si sbagliano. Siamo umili, semplici e ragionevoli con chi ci rispetta, ma non rispettiamo chi non ci rispetta e non ci faremo mai umiliare”.

La JBG segnala che le provocazioni “fanno parte dei piani del malgoverno ed accusa Juan Sabines Guerrero, che inganna e manipola la gente”.

In questo caso “si vede che è attore e complice, mentre altri coloni, che ubbidiscono al loro padrone che li paga, fanno del male agli zapatisti. Ma ci difenderemo perché siamo nella ragione e vogliamo che mandino via queste persone che invadono i terreni”.

La JBG ed i consigli municipali ribelli zapatisti avvertono che “se non lasciano lavorare in pace nelle loro terre i nostri compagni, i filogovernativi avranno seri problemi con la nostra organizzazione”.

Avvertono i governi federale, statale e municipale (di David Escobar) che se non fermeranno le provocazioni, i problemi “saranno sempre peggio, perché non lasceremo umiliare da un branco di ladri che approfittano del lavoro dei nostri compagni, i quali continueranno a lavorare le loro terre”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/04/politica/022n1pol

Comunitato della JBG di La Realidad

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 29 giugno 2011

Gli indigeni di San Sebastián Bachajón ribadiscono la loro lotta a difesa del territorio

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 28 luglio. Il vescovo Raúl Vera si è incontrato in città con gli ex detenuti di San Sebastián Bachajón e le autorità dell’Altra Campagna della regione che corrisponde a San José en Rebeldía nella cartografia autonoma zapatista, nel cuore storico tzeltal di Chilón. Vera ha ringraziato gli indigeni per il loro “esempio di lotta per il territorio e l’insegnamento di come camminare, resistere e lottare”.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha informato che nel contesto della riunione ordinaria del suo consiglio direttivo, presieduto dal vescovo di Saltillo, i cinque ex prigionieri politici “hanno condiviso la gioia” della loro liberazione, e ringraziato a loro volta “per non essere stati lasciati soli in questi frangenti della loro lotta”.

Gli ejidatarios “hanno riaffermato che la loro lotta è per la difesa della terra e del territorio, e che continueranno ad organizzarsi con i compagni e le compagne”.

Da parte sua, il Frayba ha dichiarato che “è in questi momenti di gioia che, a partire dal diritto inalienabile delle persone all’autodeterminazione e dei popoli all’autonomia, diversità culturale e vita degna, il popolo organizzato difende e genera nuove pratiche nell’esercizio del diritto di vivere in pienezza i diritti umani”.

Da parte loro, come per chiudere questo capitolo di una storia che non è finita, gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, dalla loro comunità hanno ringraziato per la solidarietà ricevuta: “Grazie per aver confidato in noi, nonostante i ricatti del malgoverno che ha cercando di comprare la nostra dignità per prostituire le nostre terre. Per la nostra lotta, per le nostre sofferenze, noi che siamo in basso resistiamo, siamo qui andremo avanti”.

Hanno spiegato che la liberazione dei loro compagni “non vuol dire che smettiamo di lottare, al contrario, proseguiremo rafforzandoci di giorno in giorno”, perché “la difesa della madre terra e delle sue risorse non ha fine”.

Aggiungono: “Come esseri umani dobbiamo prendere coscienza, perché il malgoverno si sta appropriando della terra come qualcosa su cui lucrare”. Confidano che la loro recente esperienza sia “un esempio chiaro del fatto che il movimento che abbiamo creato non è politico, ma è per la nostra madre terra”, e chiedono “giustizia degna per il popolo ed il mondo”. Gli indigeni invitano collettivi, organizzazioni e media che li hanno appoggiati nei mesi scorsi a continuare a farlo. “Questo è un grazie, non un addio, perché continueremo a lottare”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/29/politica/020n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 26 luglio 2011

ONG chiede di indagare su possibili frodi nella costruzione della città rurale

 Hermann Bellingausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 luglio. La Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (Limeddh) ha esortato il governo statale, e fondazioni come Azteca e Fomento Social Banamex “a indagare su possibili frodi nella costruzione della città rurale Nuevo Juan de Grijalva”. Ha inoltre sollecitato le commissioni nazionale e statale dei diritti umani (CNDH e CDH) a prendere in considerazione le raccomandazioni relative ai detenuti arrestati un anno fa a Tecpatán e Frontera Comalapa, perché “sono vittime di un processo ingiusto”.

Tre anni fa un disastro naturale ha distrutto la comunità Juan de Grijalva (Ostuacán) e fino ad oggi, oltre che ad “offrire l’opportunità” al governo di mettere in moto le caldeggiate città rurali, non si sono risolti i problemi nella zona. Al disastro dovuto allo smottamento del novembre 2007 sul fiume Grijalva, si è aggiunta “l’erronea strategia di recupero di Conagua e CFE” che hanno tenuto per tre mesi sott’acqua 404 case di 33 villaggi. I governi statale e federale, CFE, Conagua e fondazioni private hanno fornito risorse, programmi di aiuto, indennizzi ed acquisto di terreni. Per Limeddh, “sono positive le iniziative per aiutare i disastrati”, ma è preoccupata che si faccia “senza tenere in considerazione l’opinione e i bisogni della popolazione”. Dopo un’indagine durata tre anni, la Limeddh ha rilevato “irregolarità e conflitti sociali” per “abbandono e la corruzione nel conferimento di risorse e realizzazione di progetti”.

Emerge la “bassa qualità” nella costruzione della città rurale, in contrasto con le valutazioni del catasto statale, dove sono indicati materiali migliori di quelli realmente utilizzati, “situazione che porta a supporre una frode milionaria”. Inoltre, gli abitanti manifestano scontento per la lontananza delle case dalle loro terre, e l’inesistenza di spazi per la coltivazione o l’allevamento di animali. Senza possibilità di attivare l’economia interna, affrontano la “disintegrazione sociale”: mentre le famiglie devono abitare le case “per non perderle, come stabilisce il contratto, gli uomini emigrano in cerca di lavoro”.

Lo studio segnala “mancanza di controllo sulla consegna di risorse e l’esproprio di terreni”, ed una “distribuzione irregolare degli aiuti”. Questo “crea bande, conflitti ed un clima di paura”. I disastrati denunciano inadempimento degli impegni statali e municipali, abusi di polizia e pressioni su chi non accetta il trasferimento, “al punto di ritirare i servizi di salute ed educazione alle comunità per forzare il trasferimento nella città rurale”.

Un anno fa, di fronte alle proteste a Tecpatán e Frontera Comalapa, “le autorità risposero in maniera brutale ed indiscriminata”, dice la Limeddh, e ricorda sia i prigionieri di coscienza sia “quelli ingiustamente associati a motivi politici”.

Di fronte alla mancanza di risposte, “le vittime del disastro naturale sono state costretti ad organizzarsi”. C’è la continua minaccia contro chi è in lotta nelle comunità, e 32 sotto processo. I detenuti sono accusati di reati gravi per “tenerli in prigione” e dimostrare “quello che può succedere”, e così si soffoca lo scontento per lo sbarramento del fiume Grijalva.

Più di 300 famiglie, che vivono in capanne malsane costruite come rifugio provvisorio, “aspettano ancora la costruzione della promessa città e la consegna di altre risorse promesse”.

Il rapporto è stato presentato i primi giorni di giugno all’Esecutivo statale, CFE, Conagua, CNDH e CEDH, “come si farà con le fondazioni e le istituzioni private”. Il 16 luglio, il segretario di Governo, Noé Castañón, ha dichiarato di non essere a conoscenza dell’esistenza di dissensi. http://www.jornada.unam.mx/texto/021n1pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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