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Archive for the ‘Senza Categoria’ Category

CONVOCAZIONE AL SEMILLERO
DI PIRAMIDI, DI STORIE, DI AMORI E, CHIARO, DI DISAMORI”
CIDECI–UNITIERRA
DAL 26 AL 30 DICEMBRE 2025

La Commissione Sesta Zapatista invita le persone che hanno firmato la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e la Dichiarazione per la Vita alla partecipazione del semillero per celebrare le resistenze e le ribellioni del mondo: “Di Piramidi, di Storie, di Amori e, chiaro, di Disamori”.

Con la partecipazione di:

Sylvia Marcos.

Bárbara Zamora.

Tamara San Miguel.

Luis de Tavira.

Raúl Zibechi.

Arturo Anguiano.

Carlos Antonio Aguirre Rojas.

Eduardo Almeida.

Carlos Tornel.

Raúl Romero.

Commissione Sesta Zapatista.

Che esporranno le loro analisi sulle piramidi e la gestione della storia del sistema economico, nei cattivi governi, nelle leggi e nella struttura giudiziaria, nei movimenti di resistenza, nelle sinistre e nel progressismo, nei diritti umani, nella lotta femminista e nelle arti.

E, beh, forse qualcosa si dirà anche su amori e i disamori.

In ogni caso, o cosa, si spera che chi espone non sommerga il pubblico con troppe citazioni bibliografiche, elucubrazioni asfissianti o riassunti da Wikipedia.

Gli incontri si realizzeranno nelle installazioni del CIDECI–UniTierra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, dal giorno 26 dicembre incluso al 30 dicembre incluso.

Il 31 dicembre e il 1º gennaio, chi sopravvive potrà assistere alle celebrazioni dell’anniversario dell’insurrezione zapatista nel Puy (Caracol ndt) più vicino al proprio cuore (o al proprio algoritmo).

Se lei è qualche tipo di Intelligenza (ja’) Artificiale, si consideri esclusa (Una nota positiva in mezzo a tante negative).

La mail per registrarsi è: semillerodiciembre2025@gmail.com

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, novembre 2026

TRADUZIONE di 20ZLN – Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/11/17/convocatoria-al-semillero-de-piramides-de-historias-de-amores-y-claro-desamores/

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Un Tetto Comune.

UN TETTO COMUNE

Una costruzione nella montagna. Una vocazione alla cura. Una tecnica di muratura. Migliaia di mani e di volontà, incluse alcune venute da oltre i mari. Colori, altezze, lingue, culture e modi diversi, e un tetto in comune.

-*-

La gettata di calcestruzzo deve essere fatta tutta in una volta. Non si può a pezzi, perché il tetto verrebbe male. È lì che bisogna lavorare tutt* assieme, ma ben organizzati. La gettata di un tetto è come un ballo: ciascuno sa il proprio posto, ciò che deve fare e con chi farlo. Se piove, allora sì che è tutto da buttare. Bisogna quindi chiedere ai più esperti, stare attent*, pront*. Finché si decide “quel giorno”, si raduna la gente, si distribuiscono i compiti. Si fa presto, perché altrimenti il caldo diventa insopportabile e ti ritrovi come uno scarafaggio dopo la fumigazione. Quando si finisce, ridiamo e beviamo pozol. A pranzo c’era carne di manzo che abbiamo condiviso. Non c’è festa fuori, ma nel cuore sì. “È nostro”, pensiamo. E sappiamo che è di tutt* e di nessuno. Una sala operatoria vuol dire un luogo dove chi sa come usare un coltello ti toglie il male come si strappa un cattivo pensiero. Ci vuole tempo e ti lascia un po’ malridotto, ma così è la vita: ci mette tempo e ti lascia malridotto, però arriva il momento in cui lagettata è fatta. E non c’è festa fuori, ma nel cuore sì. Costruire è come lottare: lo fai perché un giorno ne avrai bisogno. Tu o i tuoi, che non vuol dire proprietà, ma la tua famiglia, i vicini, le compagne e i compagni.

Sì, manca chi ne capisca di elettricità, perché ci saranno certe apparecchiature non sono per tutt*. Monofase, bifase, trifase e la messa a terra e chissà quante altre cose. Terra ne abbiamo, ma bisogna saperci fare con l’elettricità, perché altrimenti gli apparecchi si rompono e allora è tutto inutile. È come se durante un ballo si spegne la musica: resti con la cumbia a metà. Immagina che ti stanno operando la pancia e salta la luce e resti con le budella che penzolano come uno straccio vecchio. Per questo il passo successivo è trovare un elettricista. Bisogna trovarne uno disposto al comune. Gli elettricisti si ammalano? Si ammalano, e hanno bisogno anche loro. Manca questo. E mancano finestre e porte, ma non una finestra o porta qualsiasi. Dottoresse e dottori? C’è già, per così dire, una squadra. Ma sicuramente ne arriveranno altri. Perché se hai coltello, machete, motosega, trapano, ma non c’è chi ti apre la pancia, allora è inutile, come diciamo qui. Alcuni dottori sono già venuti a vedere. Io non mi sono fatto vedere perché, vai a sapere, magari mi guarda e vuole già cominciare a praticare. E poi non c’è ancora l’elettricità speciale. Meglio aspettare. Però il tetto c’è.

Sì, mancano ancora molte cose, ma ora ha un tetto, e un tetto è importante per la vita. Per questo gli dei crearono il cielo, affinché il mondo avesse il suo tetto.

Sì, manca quel che manca.

Speriamo facciano i tamales. Sì, speriamo che non siano crudi.

Dalle montagne del Sud-Est Messicano.

El Capitán.

Novembre 2025

Immagini dei Terci@s Compas Zapatistas. Musica di El Cañón del Sonidero «Reina de Cumbias / La cumbia sobre el Río»

Traduzione a cura di 20ZLN – Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/11/26/un-techo-comun/

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Dichiarazione congiunta del Congresso Nazionale Indigeno e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale in merito al violento attacco contro i nostri compagni del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero-Emiliano Zapata e del Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie-Polizia Comunitaria-Popoli Fondatori

Ai popoli del Messico e del mondo,

Alle organizzazioni e ai collettivi per i diritti umani,

Alle reti di Resistenza e Ribellione,

Alla Sexta Nazionale e Internazionale,

Ai firmatari della Dichiarazione per la Vita nei cinque continenti,

All’Europa Degna e Ribelle,

Ai media liberi e indipendenti,

A chi cammina secondo la parola della vita.

Comunicato urgente:

Con profondo dolore e rabbia denunciamo che il 31 ottobre 2025 le autorità e i membri del Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie – Polizia Comunitaria – Popoli Fondatori (CRAC-PC-PF) e del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero-Emiliano Zapata (CIPOG-EZ) sono stati aggrediti con armi da fuoco dal gruppo criminale Los Ardillos mentre si dirigevano a un’assemblea ad Ayahualtempa, Guerrero. In questo attacco armato, durato circa 10 ore, sono stati uccisi tre agenti della polizia comunitaria del sistema Popoli Fondatori, membri del CIPOG-EZ e del CRAC-PC-PF, e altri sette sono rimasti gravemente feriti. Inoltre, durante l’attacco, il veicolo su cui viaggiava il nostro compagno Jesús Plácido Galindo, membro della nostra Commissione di Coordinamento e Seguimento, e obiettivo dell’aggressione, è stato colpito da numerosi proiettili, ma fortunatamente ne è uscito illeso. Le comunità del CIPOG-EZ hanno ripetutamente denunciato che questi gruppi criminali operano sotto la protezione e con la complicità delle autorità statali e federali.

Le comunità indigene della Montaña Baja de Guerrero, organizzate nel CIPOG-EZ, composte principalmente da Nahuas, Me’phaa, Na Savi, Ñomndaa e meticci, affrontano da anni un’offensiva sistematica di violenza narco-paramilitare. Nell’ultimo decennio è stata registrata la dolorosa cifra di 66 membri assassinati e di altri 23 compagni scomparsi, vittime dell’estrema violenza esercitata da gruppi criminali, come Los Ardillos, che agiscono in complicità con governi di ogni colore politico per espropriare le comunità indigene delle montagne del Guerrero del loro territorio. Questa violenza vuole imporre l’espropriazione del territorio e punire la degna lotta del CIPOG-EZ per la vita, l’autonomia e la giustizia di fronte a un sistema capitalista che ha seminato miseria, sfruttamento e violenza nelle loro comunità.

In Guerrero e in tutto il paese, governi, gruppi criminali e imprese capitaliste sono la stessa cosa e hanno trasformato le comunità del CIPOG-EZ in un bersaglio costante di attacchi, mentre i diretti responsabili godono dell’impunità. Questa è una strategia di guerra che combina repressione, militarizzazione, criminalizzazione e uccisioni indiscriminate per smantellare l’organizzazione comunitaria.

Non ci sono eccezioni. I governi municipali, il governo statale – il cui governatore ha legami diretti con i leader criminali – e il governo federale sono tutti responsabili, per negligenza e complicità, della violenza criminale e paramilitare contro le comunità di CIPOG-EZ, CRAC-PC-PF e il nostro compagno Jesús Plácido Galindo. Sono le loro istituzioni di sicurezza e giustizia a proteggere i gruppi criminali e a impedire l’esercizio dell’autonomia indigena.

Chiediamo la punizione per i responsabili materiali e intellettuali degli attacchi e dell’omicidio dei tre agenti di polizia di comunità di Ayahualtempa, così come per gli altri 63 membri del CIPOG-EZ assassinati, per i 23 compagni scomparsi e per le centinaia di feriti e sfollati, per le vedove e gli orfani vittime di questa guerra.

I proiettili che uccidono i nostri compagni non possono distruggere il loro esempio né estinguere la dignità delle persone che difendono la vita. Ogni attacco conferma che lo Stato messicano, ora ammantato dalla maschera criminale e ingannevole della Quarta Trasformazione, continua la sua guerra contro il popolo, una guerra che cerca di spezzare l’autonomia, imporre la paura e aprire la strada all’espropriazione. Ma il popolo resta in piedi, come una radice che non muore e come un fiore che rinasce nella terra ferita.

Dalle nostre geografie, invitiamo le comunità, i collettivi, le organizzazioni di solidarietà e le persone di buon cuore a rimanere vigili e solidali di fronte alla preoccupante situazione di violenza contro i nostri fratelli e sorelle del CIPOG-EZ.

La voce e la lotta del popolo non saranno messe a tacere. Perché le nostre radici sono profonde e perché i nostri morti, le nostre compagne e i nostri compagni caduti ci hanno insegnato a non avere paura.

DISTINTAMENTE

NOVEMBRE 2025

PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI

MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO – CONSIGLIO DI GOVERNO INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/11/03/comunicado-conjunto-del-congreso-nacional-indigena-y-el-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional-con-relacion-al-violento-ataque-en-contra-de-los-companeros-del-consejo-indigena-y-popular-de-guerrero/

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Una rivoluzione nella rivoluzione – El Común Zapatista
di Andrea Mazzocco
30 / 9 / 2025

Ci sono passaggi fondamentali nella storia dell’umanità o di una popolazione specifica che lasciano il segno, che marcano ere e cicli, che evidenziano continuità o discontinuità, dominazioni, ribellioni e altre dominazioni. Passaggi che non possono essere solo una pagina o un paragrafo nel vostro libro di storia (ovviamente dipendendo da dove vi trovate e da chi ha scritto quei manuali), ma devono trasformarsi in memoria viva, essere parte stessa del presente proprio perché per arrivare dove siamo adesso abbiamo sicuramente attraversato un “prima”.
Questo esercizio, apparentemente molto retorico e poco effettivo, ci è stato mostrato con tutta la sua forza dall’organizzazione zapatista (sia dalla sua parte politico-civile che da quella militare dell’EZLN) per comunicare al mondo le grandi trasformazioni che sta attraversando. Ci viene comunicata in varie forme e più volte con lo scorrere dei mesi per aiutarne la comprensione: comunicati, opere teatrali, conferenze frontali, dibattiti di confronto, canzoni e poesie. Questo non per dar ragione delle sue conclusioni, ma per evidenziare la ragione del proprio processo autocritico, decisionale e trasformativo. Un processo che trova radici su due questioni principali: i fallimenti del governo autonomo e la “tormenta capitalista” infine in arrivo. Il governo autonomo zapatista nella sua forma preesistente era in grado di far fronte a questi problemi? La risposta è stata un grande e collettivo “no”.
Dai problemi riscontrati nell’autonomia zapatista dunque è sorta una domanda: come ci si governava nel passato? Andando a ritroso, l’analisi parte ovviamente dalla civiltà Maya e dalla sua organizzazione. La civiltà Maya resistette all’avanzata della conquista Azteca, basata sulla dominazione e sulla creazione dell’impero. Ma la popolazione Maya al suo interno come era organizzata? Era poi così diversa da quella Azteca? Se è vero che i Maya non ebbero mai una tendenza “imperialista”, vero è anche che le sue città-stato erano governate da re, capi assoluti che potevano decidere le sorti della popolazione. In questo non è possibile scorgere differenze tra Aztechi e Maya, il loro governo era piramidale così come gli splendidi siti sacri da loro costruiti. Poi arriva una conquista a cui i Maya non sono riusciti a resistere: quella spagnola. La corona di Spagna arriva e assoggetta territori e persone. Il sistema non cambia, cambia solo chi si trova in cima alla piramide. Non riuscirà però mai a conquistare davvero tutti i territori, e men che meno chi quei territori li attraversa. Il sentimento di liberazione non si spegne e la liberazione arriva finalmente con una guerra d’indipendenza in cui il ruolo delle popolazioni originarie è stato fondamentale, ma le loro condizioni di vita non cambiano. Chi c’è ora in cima alla piramide? I diretti discendenti dei conquistadores spagnoli, una élite bianca e razzista, e ancora una volta tutto cambia per non cambiare nulla. È in questa situazione che nascono le condizioni perché la classe lavoratrice, i peones, gli sfruttati e soprattutto la popolazione indigena si ribelli e cresca la rivoluzione messicana di Emiliano Zapata e Francisco Villa. Una rivoluzione tanto radicale nelle rivendicazioni quanto tradita nei risultati: ciò che dopo vent’anni di trasformazioni uscirà dagli anni ’30 del secolo scorso sarà la dittatura del partito unico, il PRI, che governerà ininterrottamente il Paese fino al 2000. Cambiano i padroni ma non cambia la piramide. Ora il governo del Messico è in mano al partito “progressista” MORENA, ciò che viene definita la “quarta trasformazione”, ma l’evidenza del suo asservimento alle logiche capitaliste e la sua forma piramidale non sono in discussione, così come le condizioni delle classi più povere della popolazione.
Anche per ovviare a tutto ciò, e con il chiaro riferimento della figura di Emiliano Zapata e il suo “Tierra y Libertad”, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale si alza in armi il primo gennaio 1994 dopo dieci anni di clandestinità nelle montagne del Chiapas. Quando questa organizzazione si ritrovò ad amministrare un territorio e dover formare il proprio governo civile, copiò il sistema ufficiale: vennero fondati 30 municipi autonomi, ricalcando i territori dei municipi ufficiali, a riunire le comunità insorte nei territori corrispondenti. Entra quindi a far parte dell’autogoverno indigeno il concetto di “delega”, che assumerà ancor più peso dieci anni dopo con la fondazione nel 2003 dei 5 Caracoles (a riunire un territorio con diversi municipi autonomi) ove si riuniranno le Giunte di Buon Governo. Giunte che sì, rappresentano un organo rotativo, elettivo, con pari rappresentanza di genere, di ascolto e messa in pratica delle richieste della base, ma pur sempre un organo delegato a governare che col passare degli anni ha avuto l’ovvio risultato di deresponsabilizzare le comunità. L’organizzazione zapatista, pur con principi morali differenti, ha riprodotto ancora una volta la piramide.
Attenzione, i vent’anni di attività delle Giunte di Buon Governo (2003-2023) hanno avuto anche moltissimi lati positivi, anche questi a più riprese evidenziati dall’organizzazione zapatista, ma per capire il cambio è ovvio finire per dare un peso differente alle problematiche. Gestione non trasparente (se non addirittura in alcuni casi personalistica) delle risorse economiche comuni, filtro delle informazioni, inazione o estrema lentezza nel rispondere alla richieste delle assemblee, valutazione non oggettiva dei casi di giustizia, sono solo alcuni dei casi esposti dalla cruda autocritica che è stata resa pubblica. A tutto ciò si devono sommare le minacce del contesto regionale e globale: l’aumento dell’influenza del crimine organizzato nel sud-est messicano, la crescente militarizzazione del Chiapas accompagnata (a partire dai governi MORENA) dall’imposizione di grandi opere, la fase di ristrutturazione capitalista che dopo il covid si dispiega in un contesto di guerra globale permanente e una sempre maggior irrilevanza del diritto internazionale e dei diritti umani, il genocidio a Gaza. La risposta zapatista a tutto questo è stata l’istituzione del Común. Cosa significa questo “comune”? Prima di addentrarsi nelle interpretazioni la cosa migliore è analizzare quali azioni concrete ha finora prodotto.
Per quanto riguarda il governo autonomo, el Común ha significato un cambio radicale dell’organizzazione civile: sono state abolite Giunte di Buon Governo e Municipi Autonomi. Rimangono i tre livelli amministrativi, ma solo quello comunitario rappresenta effettivamente un governo (chiamato ora Gobierno Autonomo Local, GAL). Parte di questa scelta è sicuramente ascrivibile all’analisi storica che la popolazione zapatista ha fatto: l’organo forte che ha portato la popolazione originaria a rigenerarsi nei 500 anni della conquista europea è senza dubbio l’assemblea comunitaria. A livello regionale e di zona rimangono delle assemblee di coordinamento convocate solo su questioni specifiche, in cui si possono fare proposte comuni ma che non decidono nulla: delegati e delegate tornano alla comunità per esporre le proposte, il GAL prende una posizione che viene poi riportata alla regione o alla zona. Le zone rimangono quelle in corrispondenza dei caracoles (passati da 5 a 12 nel 2019), le regioni invece sono probabilmente di più rispetto alla suddivisione precedente in Municipi Autonomi. A far da contrappeso a tutto ciò, per evitare eccessivi sbilanciamenti rispetto all’avanzamento delle comunità e soprattutto delle varie zone, assume un ruolo primario un organo già in fase di sperimentazione da alcuni anni: l’Interzona. L’interzona è un comitato politico composto dal CCRI (Comité Clandestino Revolucionario Indigena, massima espressione politica dello zapatismo sin dalla sua fondazione), e da rappresentanti delle 12 zone, in cui discutere delle problematiche delle varie zone nelle diverse aree di lavoro (governo autonomo, agroecologia, giustizia, educazione, salute, etc etc) e pensare a possibili proposte politiche da portare nelle assemblee. Anche questo organo non ha alcun potere decisionale, può solo portare proposte e funge anche da formazione politica per i delegati e le delegate delle varie zone. Per quanto riguardo quindi l’autogoverno, mettere in pratica el Común ha significato abbattere la piramide.
Rispetto al possesso della terra, altro aspetto fondamentale dello zapatismo, mettere in pratica el Común ha significato identificare le terre recuperate nel ‘94 e negli anni successivi come terre in cui vige la “non proprietà”. Se prima erano considerate terre collettive dell’organizzazione ora sono terre comuni, di tutte e tutti, quindi includendo anche le popolazioni non zapatiste. Anche qui l’analisi storica ha giocato un ruolo fondamentale. Storicamente il popolo Maya ha sempre lavorato collettivamente la terra. Anche successivamente alla conquista spagnola, escludendo lavoratori e lavoratrici schiavizzate nelle fincas (latifondi), le comunità hanno sempre gestito in comune le risorse, poi divise equamente nei vari nuclei familiari. Non sono mai serviti diritti di proprietà e contratti. Negli anni ‘30 del novecento arriva, ovviamente molto annacquata, la riforma agraria chiesta dalla rivoluzione messicana e viene istituito l’ejido. L’ejido è terra agricola comunale assegnata in usufrutto agli ejidatorios, e gestita in comune dalla loro assemblea. Questa modalità ha permesso alle comunità indigene di continuare a gestire la terra come prima, in maniera collettiva. Il cambio arriva con il governo di Carlos Salinas de Gortari (1988-1994), non a caso il presidente in carica durante il levantamiento zapatista. Con una sua riforma, parcellizza el ejido, assegnando direttamente le parcelle di esso ai singoli ejidatarios (e non più affidando l’intero appezzamento alla gestione collettiva della loro assemblea). Non solo, se fino a quel momento vendere terra ejidale era impossibile, con la parcellizzazione veniva data la possibilità al singolo ejidatario di effettuare un cambio d’uso della sua parcella, ed effettuato quello, venderla. Da quel momento le divisioni nelle comunità si fecero evidenti, e la penetrazione del capitalismo infinitamente più facile. Perchè se gli zapatisti tennero il più possibile la terra in comune, le altre famiglie spinsero per la parcellizzazione e si impossessarono della loro parcella, che poi negli anni vendettero o la utilizzarono per aderire ai programmi sociali del governo. Da questa analisi nasce la consapevolezza che solo un possesso comune della terra può permetterci di difenderla davvero, e che le terre collettive dell’organizzazione non bastavano, perché comunque creavano un “noi” e un “loro”. Adesso nelle comunità la terra è a disposizione di chi ne ha bisogno, includendo la popolazione zapatista e non zapatista. Si coltiva in comune e il raccolto viene diviso in parti uguali fra chi ha lavorato. Per citare le parole del Subcomandante Insurgente Moiés, “Común la Vida y Común la Defensa”.
Ma el Común entrerà gradualmente in tutti gli aspetti della vita comunitaria, diventando l’obiettivo politico principale dell’organizzazione zapatista. Oltre all’autogoverno e alla gestione della terra, è già in marcia anche nei settori della salute e della giustizia. Per quanto riguarda la salute, l’esempio calzante è quello della costruzione di un nuovo ospedale alle porte del Caracol di Dolores Hidalgo, un’opera mastodontica per l’organizzazione zapatista, che la sta affrontando mettendo in pratica el Común. Dopo aver preso la decisione di iniziare i lavori, hanno consultato tutte le comunità non zapatiste della zona per esporre il loro progetto e invitarle a partecipare alla costruzione. Le comunità hanno risposto in maniera sorprendente, mandando lavoratori al cantiere a supportare gli zapatisti. Chi non ha potuto inviare mano d’opera ha cucinato per gli operai, ha ospitato chi veniva a lavorare da fuori o ha raccolto denaro per supportare i lavori. Quando l’opera sarà terminata, i macchinari comprati e il personale formato, sarà un ospedale a disposizione della popolazione intera, non un ospedale zapatista. Nella giustizia si è tornati alla tradizione indigena per cui i casi vengono affrontati solo in assemblea. Anche qui l’analisi storica risulta fondamentale per l’applicazione del Común. Se l’assemblea comunitaria non risolve il problema, non si passa più a un organo ristretto come fu la Giunta di Buon Governo, ma si passa all’assemblea di regione e infine all’assemblea di zona. Ciò è stato già messo in pratica per le indagini e la liberazione di due compagni ingiustamente accusati di omicidio dalla polizia statale questa primavera.
Molto presto si arriverà a includere il piano dell’educazione per arrivare poi a tutti i campi dell’autonomia. Non si può tracciare un piano definito perché, come tengono molto a sottolineare le basi d’appoggio zapatiste, per quello che stanno facendo non esiste un manuale d’istruzioni, e teoria e pratica possono solo avanzare insieme, mai separate. Sarà la pratica ad affinare la teoria di quello che sarà el Común da adesso agli anni a venire.
https://www.globalproject.info/it/mondi/una-rivoluzione-nella-rivoluzione-el-comun-zapatista/25437

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ASSEMBLEA DEI COLLETTIVI DI GOVERNO AUTONOMO ZAPATISTI (A.C.G.A.Z.)
GOVERNI IN COMUNE
CHIAPAS, MESSICO. 24 SETTEMBRE 2025

AI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO
AI NOSTRI COMPAGNI DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO
ALLA SOCIETÀ CIVILE NAZIONALE E INTERNAZIONALE
ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE
ALLE ORGANIZZAZIONI PER I DIRITTI UMANI
AI MEDIA ALTERNATIVI
ALLA STAMPA NAZIONALE E INTERNAZIONALE

DENUNCIA:

DENUNCIAMO CON FORZA L’ATTACCO, LE MOLESTIE E LE MANIPOLAZIONI DEI TRE LIVELLI DEL MALGOVERNO NEI CONFRONTI DELLE BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE SULLA QUESTIONE DELLA TERRA RECUPERATA.

RIPORTIAMO I SEGUENTI FATTI:

PRIMO: IL 22 APRILE, IL 12 MAGGIO, IL 12 LUGLIO E IL 29 AGOSTO SCORSI, 30 PERSONE DEL MUNICIPIO DI HUIXTÁN, CAPITANATE DA EMILIO BOLOM ÁLVAREZ, MIGUEL BOLOM PALÉ, MIGUEL VÁZQUEZ SÁNTIZ E DAVID SEFERINO GÓMEZ, PROTETTE DALL’ESERCITO FEDERALE E DALLA POLIZIA MUNICIPALE DI OCOSINGO SONO ENTRATE NELL’ABITATO DI BELÉN NELLA REGIONE RURALE DEL CARACOL 8 DOLORES HIDALGO, DOVE VIVONO I NOSTRI COMPAGNI BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE, RESPONSABILI DEL LAVORO COLLETTIVO DELLA REGIONE E DEL LAVORO COMUNE DELLA MILPA CON I NOSTRI FRATELLI NON ZAPATISTI. QUESTA PROPRIETÀ È STATA RECUPERATA DAL 1994.

ABBIAMO CERCATO DI PARLARE CON LORO, MA CI HANNO DETTO CHIARAMENTE CHE IL GOVERNO AVEVA GIÀ DATO LORO LA TERRA E CHE AVEVANO I DOCUMENTI LEGALI.

PER TUTTO QUEL PERIODO HANNO MINACCIATO E VESSATO I NOSTRI COMPAGNI, INTIMANDO LORO DI ANDARSENE CON LE BUONE O CON LE CATTIVE. HANNO CERCATO DI MANIPOLARCI DICENDO CHE SE AVESSIMO RAGGIUNTO UN ACCORDO CON I NOSTRI COMPAGNI, LO AVREBBERO RISPETTATO. HANNO DISTRUTTO LE NOSTRE INSEGNE E DELIMITATO IL TERRENO. 

DI FRONTE A QUESTE MINACCE E PER ACCORDO DELL’ASSEMBLEA DEI COLLETTIVI DEI GOVERNI AUTONOMI ZAPATISTI (ACGAZ), AVEVAMO DECISO DI RITIRARCI PER PIANIFICARE LA NOSTRA DIFESA.

SECONDO: IL 18, 20 E 22 SETTEMBRE, 15 PERSONE SI SONO STANZIATE SUL POSTO. IL 20 SETTEMBRE SONO ARRIVATI NUOVAMENTE DUE CAMION DELL’ESERCITO FEDERALE, TRE CAMION DELLA POLIZIA MUNICIPALE DI OCOSINGO E QUATTRO CAMION DELLA PROCURA GENERALE DELLO STATO. HANNO DISTRUTTO E BRUCIATO LE CASE DEI RESPONSABILI DELLE BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE, HANNO RUBATO IL MAIS E CHI E’ RIMASTO HA CONTINUATO A RUBARE. ABBIAMO PROVATO DI NUOVO A DIALOGARE, MA NON HANNO MAI CAPITO PERCHE’ IL MALGOVERNO AAVESSE FORMALMENTE CONSEGNATO LORO LA TERRA.

TERZO: NON STIAMO MENTENDO AL POPOLO DEL MESSICO E AL MONDO SUL FATTO CHE QUELLE TERRE SONO GIÀ STATE PAGATE DAL MALGOVERNO DAL 1996, QUANDO VI VIVEVA MANUEL CAMACHO SOLÍS. È CHIARO QUI CHE QUESTO È UN PIANO DEI TRE LIVELLI DEL MALGOVERNO PERCHÉ È GIÀ STATO PAGATO TUTTO; PERCHÉ LA TERRA CHE È GIÀ STATA PAGATA ORA VIENE CEDUTA DI NUOVO? CIÒ CHE LA QUARTA TRASFORMAZIONE CERCA QUI È LO SCONTRO, IL CONFRONTO E LA GUERRA.

IL NOSTRO TENTATIVO DI CERCARE IL DIALOGO È STATO VANO. ABBIAMO DETTO SPESSO CHE NON VOGLIAMO LA GUERRA, CHE VOGLIAMO LA VITA INSIEME, MA CI STANNO COSTRINGENDO A DIFENDERCI.

LA QUARTA TRASFORMAZIONE È CHIARAMENTE DALLA PARTE DEI PROPRIETARI FONDIARI E DEGLI IMPRENDITORI NAZIONALI E TRANSNAZIONALI. QUESTA È LA VERA QUARTA. NULLA È PER I POVERI DEL MESSICO.

QUESTO È CIÒ CHE STA ACCADENDO COME SE QUI TRA IL POPOLO DEL MESSICO NON CI FOSSE ZERO IMPUNITÀ, COME SE IN MESSICO IL MALGOVERNO NON FOSSE COLLUSO CON LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, COME SE QUI IL MALGOVERNO NON CONOSCESSE LA GUERRA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, COME SE QUI IN MESSICO NON CI FOSSERO DIVERSE PICCOLE SCINTILLE CHE POSSONO ACCENDERE UN FUOCO.

GLI ENTI PER I DIRITTI UMANI SONO IN POSSESSO DI FOTO E VIDEO CHE DIMOSTRANO CHE CIÒ CHE ORA DENUNCIAMO È VERO.

COMPAGNE E COMPAGNI DEL MESSICO E DEL MONDO:

FATE ATTENZIONE. FORSE CI VEDREMO ANCORA, OPPURE NO. POTREBBE ESSERE CHE L’ULTIMA VOLTA CHE CI SIAMO VISTI SIA STATO A QUEST’ULTIMO INCONTRO. VI TERREMO AGGIORNATI; RESTIAMO IN CONTATTO E VI TERREMO INFORMATI. SPERIAMO CHE A NELL’INCONTRO AL SEMILLERO ABBIATE CAPITO QUELLO CHE ABBIAMO DETTO, CIOÈ LA RICERCA DI UNA VITA IN COMUNE.

FRATELLI E SORELLE DEL POPOLO MESSICANO E DEL MONDO, QUESTO E’ IL PIANO DEL NEOLIBERISMO IN MESSICO CONTRO DI NOI. PROPRIO COME ABBIAMO DETTO ALL’INCONTRO DEL SEMILLERO: OGGI E’ LA PALESTINA, DOMANI SAREMO NOI.

DISTINTAMENTE:

GOBIERNOS EN COMÚN

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/09/28/denuncia-asamblea-de-colectivos-de-gobiernos-autonomos-zapatistas-a-c-g-a-z/

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EuropaZapatista a sostegno della Global Sumud Flotilla:

Queridas compañeras, queridos compañeros de la Global Sumud Flotilla,

Desde la Red Europa Zapatista les enviamos un saludo caluroso y solidario a quienes están navegando las mares en su misión humanitaria (y profundamente humana) dedicada a romper el asedio en Gaza y llevar ayuda esencial a la población afectada.

Nos sentimos unidos a ustedes y de alguna manera vamos miles ahí acompañándoles en este viaje del que estamos pendientes cada día que pasa y como van acercándose poco a poco a Gaza.

Esta iniciativa, en la que también participa un compañero de la Red Europa Zapatista, en nuestro sentir, refleja el esfuerzo colectivo desde abajo para traducir la solidaridad en acciones prácticas para frenar la lógica de destrucción, hambruna y genocidio, cometido por el Estado de Israel y apoyado por los gobiernos europeos. No esperamos soluciones desde los gobiernos, sabemos que el único camino es la organización desde abajo, tejiendo redes de resistencia, rebeldía y solidaridad. Esperamos que las experiencias, las luchas y las rebeldías se hagan más fuertes entre las que van en la flotilla y las que acompañan desde sus rincones del mundo.

Esperamos que esta misión solidaria tenga éxito, que alivie el sufrimiento del pueblo palestino en Gaza y demuestre que no están solos.

Que viva la solidaridad internacional contra todas las guerras capitalistas!

Desde la Europa Insumisa, 21 de septiembre del 2025Asamblea Berlin, Alemania

Batec Zapatista, Barcelona, Catalunya

Cafè Rebeldía-Infoespai, Barcelona, Catalunya

CafeZ, Liège, Bélgica

Calendario Zapatista, Grecia

Caracoleras de Olba, Estado Español

Centro de Documentación sobre Zapatismo -CEDOZ-, Estado Español

Colectivo Armadillo Suomi, Finlandia

Colectivo Ramona, Chipre

Colectivo Zapatista Lugano, Suiza

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo, Italia

Frankfurt International, Alemania

Lumaltik Herriak, País Vasco

Mut Vitz 13, Francia

Silbo Zapatista, Canarias

Tatawelo, Italia 

Terra Insumisa Alcamo-Sicilia Sud Globale

TxiapasEKIN, País Vasco

USI 1912 Unione Sindacale Italiana, Italia

Yretiemble! Madrid, Estado Español

20zln, Italia

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https://player.vimeo.com/video/1106922141?dnt=1&app_id=122963

INAUGURAZIONE DELL’INCONTRO DI RESISTENZE E RIBELLIONI “ALCUNE PARTI DEL TUTTO”

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3 Post Scriptum 3

VIII. IL COMUNE CONTRO LE SCATOLE MORTALI E LE PIRAMIDI.

Un’assemblea di cape, capi e capoə.

Immagina di arrivare a un’assemblea zapatista.

Permettimi di accompagnare il tuo sguardo e il tuo ascolto.

Siamo in una riunione. A presiederla è il SubMoy.

A uno sguardo generale (“a volo d’uccello”, si diceva prima – ora si dice “con un drone”), puoi cogliere differenze evidenti tra chi partecipa.

Di genere, ad esempio. Ci sono donne, uomini e altrə.

Di calendario. Ci sono bambinɜ, giovani, adultɜ e persone ormai mature (“terza età” o “adulti maggiori”). Non manca la creatura che ancora sta nel ventre della madre.

Di lingua. Ci sono persone che parlano come lingua madre il cho’ol, lo tzotzil, il tzeltal, il tojolabal, il mam o ta yol mam, lo zoque, il kakchikel e il castigliano.

Di geografia. Ci sono persone provenienti da varie zone di popoli originari dello stato sudorientale messicano del Chiapas.

Di fedi e credenze. Ci sono cattolicɜ, evangelicɜ, presbiterianɜ, ateɜ e chi non ha una credenza definita o indefinita.

Ci sono differenze anche su cosa significhi nascere, crescere, vivere e lottare come persone originarie in una geografia dove essere “altro” è motivo di disprezzo, sfruttamento, repressione e spossessamento.

“Essere” dove il “non essere” è la regola e lo stigma per chi è diverso.

Ad esempio, c’è chi sostiene, argomenta, dibatte, urla, gesticola, si arrabbia, scherza, mormora:

“Guarda che se non ci avessero fregato i re maya, gli aztechi, gli spagnolisti, i preti, i francesi, i gringos, i cattivi governi del Messico e del mondo, e tutti i bastardi, bastarde e bastardə caxlan che sono arrivatə solo per vedere cosa potevano rubare, avremmo già trovato la cura per il cancro, il rimedio per la tristezza e il conforto per il disamore. Per tutte le altre disgrazie, ce la stiamo cavando, anche se lentamente… come il caracol”.

E invece c’è chi contro-argomenta e difende certe religioni e certi caxlan; dice che per la tristezza è già stata scoperta la cumbia; e che per il disamore, qualsiasi falegname sa che “un chiodo ne toglie un altro”.

-*-

Ora cerca le somiglianze, le identità comuni.

Beh, la prima che salta all’occhio è che queste persone sono zapatiste.

Lo supponi perché il grande salone in cui si trovano riunitə è in un caracol.

Un “puy”.

Uno di quei centri di lavoro e riunione, dove di solito ci sono cliniche, a volte laboratori, campi sportivi, negozi collettivi e comuni, una mensa, palchi e gente che va e viene.

È possibile che lì si trovi anche Verónica Palomitas, che ha il suo servizio di messaggeria. In cambio di una caramella, puoi incaricarla di andare a procurarti qualcosa dal negozio cooperativo. Verónica Palomitas monta in bicicletta e pedala senza sosta per portare a termine la missione.

Non importa la distanza. Anche se fossero 100… metri, la capa in funzione del Comando Palomitas ti assicura che il tuo ordine ti arriverà.

Tuttavia, nonostante le evidenze, è possibile che non tuttə siano zapatiste. È normale che a volte arrivino fratelli e sorelle non zapatiste per un servizio sanitario – l’ecografia, ad esempio –, per chiedere orientamento su qualche questione, per fare festa o semplicemente per passeggiare.

Se aspetti l’ora del pozol (una specie di “pausa pranzo” consueta nelle zone contadine durante il lavoro o in lunghe riunioni), li sentirai parlare e sorridere in lingue che supponi originarie perché non capisci nulla.

Perché sì, non è lo stesso ridere in tzeltal che in tzotzil o cho’ol.

Né piangere.

Il compianto supGaleano era solito far disperare Verónica Palomitas quando si metteva a piangere:

“non ti capisco se piangi in cho’ol”, le diceva, e Verónica si smarriva.

“Vedi che se piangi in castigliano, magari ti capisco”.

La bambina cercava di capire come si piange in castigliano, ma ormai si era già dimenticata perché stava facendo i capricci…

Ah, già. Un paio di chanclas molto carine che Verónica Palomitas aveva visto nel negozio cooperativo.

Suo padre le diceva che “non ci sono soldi” e il compianto divagava dicendole che erano meglio gli stivali. Tutto inutile, ecco perché il pianto.

Niente di grave, perché il Capitano, sempre previdente, tirava fuori dal suo cilindro… una caramella al chamoy!

E allora Verónica e il Capitano si mettevano a pianificare cose terribili e meravigliose…

come una pièce teatrale con note a piè di pagina.

Ma tutto ciò sono segreti che non verranno pubblicati… per ora.

Ma non distrarti, concentrati.

Le somiglianze non sono conclusive, perché l’essere originari lo condividono con milioni di persone in Messico e nel mondo; l’essere zapatiste con centinaia di migliaia; l’essere donne, uomini o altroə anche lo condividono con milioni.

Certo, hai ragione.

È evidente che queste persone non sono lì per lamentarsi, né della loro sfortuna, né del fatto di essere natə indigene, né del fatto di essere statə spogliatə, sfruttatə, disprezzatə, represse. Insomma, quella storia che condividono con altri popoli originari del mondo.

Non si sentono lamentele, a parte il fatto che fa male la pancia perché i tamales erano crudi, o perché sta arrivando il sonno, o perché quell’altro compa usa parole troppo difficili che nemmeno lui capisce, ma vabbè, bisogna rispettare la sua parola.

Ma non farti ingannare, il silenzio che si sente non è di accordo, accettazione o rassegnazione.

È di pensiero.

Nemmeno pensare che tutto scorra in calma, no.

Ci sono discussioni, anche forti.

Non ci sono urla e lancio di cappelli perché in pochi usano il cappello.

Diciamo che ci sono “urla e colpi di cappellino”.

Le compagne sono di solito più letali: si lanciano sguardi taglienti e gesti.

E non ci sono risse con le sedie come armi e scudi, perché… non ci sono sedie, ma panche pesanti che scoraggiano qualsiasi corsa agli armamenti.

-*-

Ah, è vero. Tra le differenze c’è la loro storia come zapatiste.

Ci sono quelli che, nella clandestinità, prepararono il fulmine del gennaio 1994.

Chi marciò, armato di verità e fuoco, nelle strade di 7 capoluoghi municipali che furono presi “dagli indios”.

Veterani combattenti, vecchi guerriglieri, responsabili locali, regionali e zonali, comandanti e comandanti del cosiddetto “Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno”.

Ci sono quelli che erano bambinɜ durante l’insurrezione e crebbero in mezzo a tradimenti di ogni tipo, attacchi e vessazioni degli eserciti, delle polizie, dei paramilitari.

Chi ha costruito l’autonomia zapatista.

C’è cho è natə negli ultimi 30 anni e che ha costruito scuole, cliniche e tutta la struttura organizzativa dell’autonomia zapatista.

Chi ha organizzato incontri, festival, semilleros, tornei, giochi, arti, cultura.

Chi è Tercio Compas, Promotore di Educazione, di Salute, Coordinatore di Arte e Cultura, pittorə, teatrantə, cantautori e cantautrici, ballerini e ballerine, musicisti e musiciste (senza offesa), muratorə, poetə, falegnamə, romanzierə, meccanicə, autistə, milizianə e milizianoə, poetesse, insurgentas e insurgentes, autorità autonome, cineastə, scultorə, commissioni di tutto il necessario (commissione palco, pulizia, parcheggio, latrine, docce, cagnolini e gattini, cucina, legna, sorveglianza, bottegai, taquería, tamale crudo, piramide, musicali, motore, acqua, elettricità, di… scarabei?).

E, ovviamente, ci sono le críe che si dedicano a ciò che ogni bambinə nel mondo dovrebbe fare: combinare marachelle.

Tre generazioni. Quattro se contiamo la infanzia. Cinque se si contasse quella in arrivo.

Insomma, una società più o meno complessa.

Con il suo lavoro e i suoi conflitti.

Con la forma che queste stesse comunità si sono date per organizzare i primi e risolvere i secondi.

Ciò che si nota è la serietà della riunione.

La stessa serietà con cui decisero e attuarono un’insurrezione;

la stessa con cui decisero l’autonomia e la costruirono;

la stessa con cui definirono il loro cammino con due parole: “Resistenza e Ribellione” – e lo lottano e lo vivono giorno e notte;

la stessa con cui chiamarono alla lotta per la vita;

la stessa con cui ora progettano questo prossimo incontro.

La stessa serietà con cui si guardarono allo specchio della pratica, criticarono non il riflesso che lo specchio rimandava, ma ciò che erano e sono, e così si ricostruirono.

-*-

Molte persone. Molte differenze.

E ciò che hanno in comune in realtà non li rende diversi da altrə nel mondo.

Hanno trovato un punto di convergenza.

Un comune.

Qualcosa in cui coincidono e che non chiede loro di smettere di essere ciò che sono, né di rinnegare la loro storia, le loro radici, il loro modo.

Qualcosa a cui possono contribuire, sostenere, con le loro conoscenze, il loro lavoro, opinioni, dubbi.

Ecco. Fanno parte di ciò che si conosce come “Interzona”.

Ma solo una parte, perché ci sono autorità di Inter-ACGAZ, ACGAZ, CGAZ e GAL.

Ci sono coordinatori.

Ci sono giovani delle diverse aree.

Tantə giovani.

Tanto trambusto.

Ora li unisce uno scopo comune: far capire ad altre geografie, modi, generi, lingue, generazioni, il come, contro una piramide, se ne costruì un’altra; come quest’ultima fu abbattuta; e come il comune fu ed è machete, accetta, piede di porco, martello, che prima l’edificò, e poi la distrusse per così distruggere la più grande: il sistema.

Il capitalismo, la piramide madre, quella che sotto la sua ombra e gerarchia ha visto nascere e crescere altre piramidi: il patriarcato, l’omofobia, l’avanguardismo, l’autoritarismo, la psicopatia fatta governo, i nazionalismi, la distruzione criminale della natura, le guerre.

E il perché bisogna distruggere la piramide, ogni piramide, tutte le piramidi.

È un’assemblea nel modo.

Ma non si sono riunitə per informarsi, bensì per raggiungere un accordo su cosa, come, dove, perché.

Una riunione per accordarsi e organizzarsi.

Per preparare tutto in modo che le nostre compagne, compagni e compagnoə del Messico e del mondo si sentano, come di fatto è, in compagnia.

E tutto questo trambusto per prepararsi a un incontro.

Uno con compagne, compagni e compagnoə simili nelle loro differenze.

Uno internazionale.

Uno per la vita.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il Capitano

Messico, luglio 2025

Immagini dei preparativi dell’ “Incontro di Resistenze e Rbellioni. Alcune Parti del Tutto” ad agosto 2025, Terci@s Compas Zapatistas. Audio: Voce e parole di Eduardo Galeano, “Il diritto al delirio”.

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/07/27/viii-el-comun-contra-las-cajas-mortales-y-las-piramides-una-asamblea-de-jefas-jefes-y-jefoas/ Traduzione a cura di 20ZLN

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3 Post Scriptum 3

VI.- L’INCONFORME

Prima sbuffò, irritato.

Pelle irta come gatto schivo e ribelle, sprezzante di scatole e piramidi.

Così, senza nemmeno avvisare.

Poi, per chi non sa, una specie di carezza tenera.

Poi gli artigli, crescenti in numero e forza.

E più in là, un vortice di disaccordo.

Poco dopo, era un fuggi fuggi.

Alla furia del vento si unì una pioggia come a dirle: condivido la tua rabbia.

Scagliò uomini e foglie contro i muri delle capanne e, lo giuro, scricchiolarono le fondamenta del palco di cemento.

Vento e pioggia.

Nessuna via di scampo.

Meglio restare in mezzo alla furia che rischiare il volo di ghigliottina delle lamiere sradicate, come a sfidare il modesto pudore dei capannoni già ripuliti, pitturati, con pareti rinnovate.

Ma, per quanto strano sembri, la tempesta rispettò la periferia e si concentrò al centro.

Lì dove lo scheletro di una piramide si alzava parecchi metri sopra la ghiaia.

Come a dire: “Qui, piramidi no”.

E i teli che simulavano le pareti della piramide si gonfiavano con quella miscela d’ali e vele che a tratti sembravano un vascello errante e a tratti un’aeronave smarrita, senza terra in vista, con la sola certezza che sotto, laggiù, la terra continuava ad aspettare, senza fretta, come a dire “qui, proprio qui”.

Provammo a parlargli, ma tra la pioggia e le raffiche di vento, riuscimmo appena a farlo calmare quel tanto che bastava perché i compagni saliti in cima a collocare il segno del denaro potessero scendere.

Immediatamente un soffio forte e concentrato finì per strappare le vele e il telo volò su per la montagna.

Così nascono i fantasmi”, pensai.

Cominciammo a spiegare, tutti confusi, che non era per lasciarla lì per sempre, ma piuttosto come una spiegazione della politica.

Per rivelare, insomma.

Che niente di dèi veri o falsi.

Che tanto verrà distrutta.

Non solo quella, ma tutte le piramidi.

Sì, il tutto e le parti.

Sì, in ogni angolo del pianeta.

La tempesta si placò a poco a poco, come dubitando del nostro impegno.

Poi se ne andò, ma non in fretta, come a dire:

se l’essere umano non mantiene la parola, allora lo faremo noi, le parti della madre originaria”.

-*-

Il SubMoy controllò la costruzione e sentenziò:

Non cadrà facilmente”.

Un compa come che valutò la costruzione facendo, con il suo machete, un’incisione su uno dei travicelli.

Mormorò solo:

cadrà, cadrà. Magari ci vuole tempo, ma cadrà perché cadrà”.

La parte più difficile sarà la colonna centrale, è molto robusta”, aggiunse,

ci vorrà molta forza, molta volontà e non pochi, ma molti”.

Cioè: collettivamente e organizzati”, concluse un giovane pittore.

Tutti ridemmo, anche se ancora con lo spavento di quel vento irritato di cui nessuno sapeva la provenienza.

Quel tronco è ben radicato. Anche se lo butti giù, ricresce. Bisogna strapparlo dalle radici”, commentò una donna anziana, piantata con le mani sui fianchi davanti alla costruzione di legno, come a sfidarla.

È l’anima del sistema”, rispose una compagna alla domanda di una bambina sul palo centrale,

la proprietà privata della terra, delle macchine, delle case, della gente, della natura, dei sogni e degli incubi, dei cieli e dei mari, di ciò che si vede e di ciò che non si vede, del mondo insomma.

È infilata non solo alla base del sistema.

Anche nella nostra testa, nel nostro cuore e nella nostra storia”.

-*-

Ma quanti vengono?”, mi chiesero.

Un bel po’”, risposi.

Ma vengono con voglia di lottare?”, insistettero.

Chissà”, mi dissi,

come dice il SubMoy: si vedrà”.

Ehi capitano, quella cosa resterà lì per sempre?”, mi chiede una miliziana.

No, figurati, è per la chiacchierata zapatista. Perché lo chiedi?”

Perché credo che arrivi una squadra di calcio e quella cosa sta proprio davanti a una delle porte, lì dove c’è il nostro refettorio.

Quindi non ci sarà né partita né pasto.

La partita di calcio, passi. Ma il pasto, insomma…”

Il pomeriggio cominciò a sgorgare dagli alberi.

Per un istante, coincisero la luna, il sole, la pioggia e il vento, presentandosi davanti alla montagna.

-*-

Quella cosa, resterà lì per sempre?

Ebbene no, per questo stiamo lottando.

Magari ci vuole tempo, ma già saremo di più.

E il vento seguì l’avvertimento che la pioggia incise sulla terra:

Se l’essere umano non mantiene la parola, la manterremo noi, le parti della madre originaria. La piramide cadrà”.

-*-

Non molto lontano, in calendari e geografie,

la Palestina continuava a essere una lacrima di sangue sul volto indifferente dei governi del mondo.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Messico, luglio 2025

Immagini dei preparativi per “L’Incontro delle Resistenze e delle Ribellioni Alcune Parti del Tutto” ad agosto 2025, Terci@s Compas Zapatistas. Audio: voce e parole di Eduardo Galeano, frammenti dei testi “I figli dei giorni”, “Comanda La Paura” e “I Nessuno”

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/07/16/3-posdatas-3-vi-el-inconforme/ Traduzione a cura di 20ZLN




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3 post scriptum 3

V.- DI GATTI E PIRAMIDI.

Continuiamo con i mondi paralleli.

Lo stesso può accadere con le piramidi sociali. In uno dei mondi la parte superiore è occupata, diciamo, da persone dalla pelle chiara, e nella parte inferiore ci sono quelle dalla pelle scura. In un altro mondo parallelo, è l’opposto: quelle della parte superiore hanno la pelle scura e quelle della parte inferiore la pelle chiara.

Si possono provare le alternative a piacimento: in alto gli uomini, in basso le donne; sopra i meticci, sotto gli indigeni; in alto gli etero, in basso le persone LGBTQI+; sopra i ricchi, sotto i poveri; chi possiede sopra, i senza nulla sotto, e viceversa. In questo modo si possono disporre le varie alternative delle proposte di analisi teorica e di progetti politici.

Ora, se una persona di uno di questi mondi si affaccia all’altro parallelo (e contrario contraddittorio, aggiungo), concluderà che in quel mondo la piramide è rovesciata. In quell’altro mondo gli indigeni stanno sopra e i meticci sotto; le donne dominano gli uomini; i “mangiafagioli” discriminano gli anglosassoni; i latini conquistano e sottomettono gli europei; le persone LGBTQI+ sbeffeggiano, attaccano e assassinano gli etero; i lavoratori sfruttano i padroni; i politici mantengono le promesse (ok, ok, ok, dubito che quel mondo esista); i criminali vengono puniti e gli innocenti sono liberi; eccetera.

Per molte teorie o “scienze sociali” la piramide del proprio mondo può essere “naturale” e “umana”. “È naturale che esistano persone che possiedono ricchezze e persone che non ne hanno”; “è naturale che comandino quelli che hanno conoscenza e che obbediscano gli ignoranti”; “è naturale che l’esercito meglio armato sconfigga quello più debole”; “è naturale che comandi la gente bella e obbedisca quella brutta”; “è naturale che l’uomo domini la donna”; “è naturale che gli etero violentino gl’altr*”; “è naturale che i meticci discriminino le altre razze”. Certo, si possono portare esempi che contraddicono questa “naturalità”, ma sto semplificando.

Intorno a questa “naturalità” si costruisce non solo un sistema politico. Anche una serie di “evidenze” che si manifestano nell’intera società: nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella ricchezza, nella povertà, nella delinquenza, nell’anormalità, nella lingua, nei modi, nella comunicazione, nel rapporto con l’altro e con la natura, … e nella militanza.

In questo modo si costruisce qualcosa come l’“algoritmo” della società. Una serie di credenze e riferimenti per ciò che è buono e cattivo, bello e brutto, maschile e femminile, e via dicendo. “Evidenze” rafforzate dai mezzi di comunicazione e dall’interazione sociale nelle reti e negli spazi di studio, lavoro, trasporto, politica, attivismo, riposo e svago.

Insomma, la vita, la morte… e la sparizione. Perché il sistema ha creato un nuovo stato dell’esistenza delle persone: ci sono viventi, ci sono morti e ci sono desaparecid@s (né viv@ né mort@). Così, senza bisogno di Schrödinger e del suo gatto.

-*-

La piramide rovesciata è alla base delle proposte delle avanguardie, delle trasformazioni, delle evoluzioni e delle rivoluzioni. Nella piramide, in alto ci sono poche persone e in basso ce ne sono molte, ma quelle in alto possiedono molte ricchezze, e quelle in basso no. La proposta è “rovesciare” la piramide: che chi non ha ricchezze e sta in basso, passi alla punta della piramide, spingendo in basso chi detiene le ricchezze.

A prima vista, l’inversione della Piramide, rovesciarla insomma, suona bene. Chi è sempre stato in basso, avrà la sua occasione di stare in alto. E chi è in alto, dovrà subire le condizioni di chi sta in basso.

Il punto è che, essendo molti quelli che stanno in basso, sarà difficile prendere decisioni, quindi compare la rappresentanza, e per questo serve l’avanguardia, il partito politico. Succederà che la piramide non si è “rovesciata”, bensì si è riprodotta con un’altra nomenclatura: le burocrazie trasformate in partiti politici buoni, cattivi o peggiori.

Inoltre, ovviamente, i poteri “alterni” (Capitale e Crimine Organizzato), mantengono la loro posizione, rinnovando i loro accordi e le relazioni con la “nuova” parte superiore della piramide.

Le proposte politiche delle diverse avanguardie hanno in comune la stessa offerta: poiché quelli in alto hanno e quelli in basso no, allora bisogna rovesciare la piramide.

Per questa “inversione” – che in realtà è una sostituzione di capisquadra –, è necessario l’ologramma dello “Stato Nazione”. Se giustizia, sicurezza, onestà e capacità sono assenti, allora c’è la squadra sportiva nazionale che, avvolta nella bandiera ufficiale, si getta nel precipizio della realtà. Ma il “pubblico” non applaude o fischia più, adesso fa meme.

In questi tentativi di “democratizzare” il cinismo e l’ottusità, le proposte politiche ricorrono alla creazione di nemici virtuali. Incitano la pelle scura contro quella chiara, il liberale contro il conservatore, quello di mezzo contro quello in basso e quello in alto, la periferia contro il centro, l’originario contro il meticcio, la donna contro l’uomo, l’altr@ contro l’etero, il giovane contro l’adulto, l’adulto contro l’anziano, il latino contro l’anglosassone, uno di una nazione contro un altro di un’altra, chiunque da qualsiasi parte del mondo contro il gringo, il residente contro il migrante. E viceversa.

-*-

Lo zapatismo riconosce al sistema una tale capacità di distruzione da poter spazzare via un intero pianeta, un mondo insomma, sostituendo un’organizzazione sociale con un’altra. In effetti, il capitalismo nasce da una rivoluzione. Non sono le rivoluzioni a preoccuparlo, ma il fatto che seguano sempre la stessa logica piramidale: c’è chi comanda e chi obbedisce.

Ora, nella sua fase attuale, il sistema sta operando una trasformazione. Ma non significa che scomparirà. Piuttosto è una riorganizzazione, un adattamento alle nuove condizioni di ciò che alcuni chiamano “sistema-mondo”.

Che il capitalismo stia appena prendendo coscienza della distruzione irreversibile che ha provocato, non è il punto. Di fronte a questo, esplora o prova diverse strade.

Una è tornare al passato.

Non ci riferiamo solo al processo di accumulazione originaria, dove il sistema nasce, cresce e si consolida tramite l’espropriazione e le guerre (cosa che solitamente dimenticano teorici e storici). Ma a una sorta di salto impossibile all’indietro, a ciò che significa cercare di ricostruire il cosiddetto “Stato del Benessere” o “Welfare State” (un redivivo Keynes del Benessere). Vale a dire, uno Stato ugualmente repressivo e reazionario, ma con sfumature di giustizia sociale o, se si vuole, programmi sociali che attenuino il peso del piano inferiore della piramide, della sua base. Ma la maledetta realtà non abbandona la sua posizione reazionaria e, prima o poi, rompe i muri di quella piramide. Così, la “Rigenerazione” si trasforma in un riciclo di quarta mano.

C’è anche il tentativo di “allargare” (o “ingrassare”) le classi medie che, come indica il nome, sarebbero tra la parte alta della piramide e la base. Queste parti “medie” sopravvivono con l’ambizione di salire altri gradini della piramide, e con il terrore che la base non regga più o non si possa controllarne l’esplosione e si ribelli e si riveli. Per l’una e l’altra cosa, ricorrono al partito avanguardia. Per controllare, rallentare o addirittura estinguere le ribellioni; e per scalare, tramite incarichi e vantaggi, la scala sociale. Gli ultras di ieri sono i funzionari “realisti” di oggi. Le classi medie sono il vivaio del Mandón.

Ecco spiegato il panico dei loro portavoce di fronte a vetri rotti, scioperi, blocchi, manifestazioni, occupazioni, grida, azioni e quelle brutte cose che fanno i cattivi, sporchi e brutti della storia – quelli che non compariranno nei libri di testo delle scuole dell’obbligo. La loro facilità nel “commuoversi” per le guerre “lontane”? Beh, è perché credono che accadano solo in altre piramidi.

Ma, contro le prove giornalistiche, gli articoli d’opinione e le profonde analisi geopolitiche, da tempo il grande capitale non è nazionale. Cioè, non si riferisce a una geografia. Ha a che fare con la sua posizione nell’economia mondiale. Il grande capitale, il Mandón insomma, non si chiede cosa fare in Medio Oriente, in Europa Orientale, o con le diverse bandiere, stemmi ufficiali, inni ed equipaggi sportivi. No, il grande capitale si chiede cosa fare e come, ma in tutto il pianeta.

Il grande capitale non è ancora d’accordo, ma le sue menti pensanti prevedono che ciò che sta arrivando è ormai inevitabile e bisogna saccheggiare il più possibile. E per questo non contano gli organismi internazionali, le leggi… né le nazioni.

Le diverse destre, incluso il progressismo, si contendono i favori del grande capitale. Come due fratelli, litigano per la carezza del Mandón. E usano ciò che possono. Si accusano a vicenda con strilli isterici: alcuni avvertono dell’arrivo del comunismo; gli altri, della resurrezione del fascismo. Tutti si offrono per mantenere sotto controllo la base della piramide. Alcuni con le botte. Gli altri pure.

Solo che alcuni si vantano, mentre gli altri fanno la faccia da “questa è un’eredità di un passato che non tornerà” e, non senza smorfie di disgusto, lanciano elemosine alla base della piramide. Elemosine che vengono trasferite al Crimine Organizzato tramite le estorsioni delle stesse autorità che gestiscono i programmi sociali e li amministrano in cambio di voti.

-*-

Nel frattempo, una parola che sintetizza molte cose che dovrebbero vergognare la parte alta della piramide, ribadisce la sua vocazione a una vita libera: Palestina. Oggi Palestina definisce il vero obiettivo della piramide, la cassa mortale promessa per i popoli del mondo.

Ci sono parole silenziose che camminano terremoti, che navigano tempeste, che sorvolano uragani. Solo all’alba si sentono, quando nella veglia tutto duole. Allora arrivano e il loro mormorio lacera la pelle della memoria. Una cicatrice, ancora sanguinante, è ciò che rimane. “Gaza” è una di quelle parole, una che indigna, che ribella, che rivela.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il Capitano

Luglio 2025

Video Vimeo/ Immagini dei preparativi per “L’Incontro di Resistenze e Ribellioni: Alcune Parti del Tutto” ad agosto 2025, Terci@s Compas Zapatistas. Audio: Musica di Residente, Amal Murkus. “Sotto le Macerie” e voce e parole di Eduardo Galeano. “Le Guerre Mentono”

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/07/23/3-post-scriptum-3-v-di-gatti-e-piramidi/ Traduzione a cura di 20ZLN




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3 POSDATAS 3

V. DE GATOS Y PIRAMIDES

VI. EL INCONFORME

VII.- PREGUNTAS, IMÁGENES Y SENTIMIENTOS

VIII.- EL COMÚN CONTRA LAS CAJAS MORTALES Y LAS PIRÁMIDES. Una asamblea de jefas, jefes y jefoas

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3 post scriptum 3

IV.- DI GATTI E SCATOLE

(oh, lo so. Avevo detto che erano 3 post scriptum 3, ma…
non erano forse 4 i Tre Moschettieri? … ok, ok, ok, ho mentito: non sono 3, sono …)

Una paradossale contraddizione del paradosso di Schrödinger.

Erwin Schrödinger (Austria-Irlanda. 1887-1966), che a quanto pare non era molto affezionato ai felini domestici, propose un esercizio teorico per la fisica quantistica.

Il ragionamento è semplice, anche se le sue implicazioni sono assai complesse. Dentro una scatola è stato chiuso un gatto. La scatola contiene un dispositivo che, in un momento imprecisato, può attivarsi e uccidere il gatto. Poiché la scatola è ermetica, non si sa se il gatto sia ancora vivo o sia già morto. Finché la scatola non viene aperta, non è possibile sapere quale delle due possibilità si sia realizzata. Nel tempo sospeso, quello in cui non sappiamo se è vivo o morto, si presume l’esistenza di due mondi o universi simultanei. In uno, il gatto è già morto. Nell’altro, è ancora vivo. Un meccanismo letale attivato e non attivato; un gatto vivo e morto allo stesso tempo; una sovrapposizione di stati, secondo la fisica quantistica.

Lasciamo da parte, per ora, i riferimenti ai multiversi dei fumetti e le conseguenze per la fisica teorica. Mettiamo da parte anche l’antipatia di don Schrödinger verso i gatti, e il fatto evidente che non li conosceva bene (chiunque abbia avuto a che fare con un gatto sa che non si lascerebbe intrappolare, e tanto meno rinchiudere, senza protestare e senza difendersi – e ancor di più se si tratta di un… gatto-cane –). E non soffermiamoci neppure troppo sul fatto che il gatto sia prigioniero e condannato a morte, a meno che qualcuno non si degni di aprire la scatola mentre il meccanismo letale non è ancora stato attivato, e il gatto possa saltare fuori e liberarsi dalla prigione.

Si suppone che questo esperimento teorico sia alla base dell’idea che siano possibili mondi paralleli in diversi universi, cioè in un multiverso (anche se serve anche a dimostrare che le leggi della fisica quantistica non si applicano nella vita quotidiana).

Per quanto mi permetta la mia limitata conoscenza dei fumetti, capisco che, in quei mondi differenti, l’individuo resta al centro, ma in versioni diverse. In un mondo, Sheldon Cooper (serie televisiva The Big Bang Theory) è uno scienziato con problemi di relazione sociale. In un altro è un donnaiolo incallito. In un altro ancora è un giudice “popolare” del sistema giudiziario messicano (oh, lo so, la mia perfidia è sublime).

E questa digressione che, spero, disorienti, ha a che vedere con il fatto che, persino avendo l’immaginazione necessaria a concepire l’esistenza simultanea del gatto vivo e del gatto morto, non viene mai proposta la possibilità (o l’universo) in cui uno o più gatti si rifiutino di entrare nella scatola. Per di più con l’aggravante che il presunto gatto sia in realtà un gatto-cane.

Nel proporre alcune possibilità, se ne omettono altre.

Quando si parla del sistema capitalista, le diverse proposte si concentrano su ciò che si può fare per migliorare le condizioni del gatto rinchiuso nella trappola, per prolungarne la vita (o la possibilità di vita), o per “umanizzare” il dispositivo mortale.

È, diciamo, ciò che propone il progressismo. Definizione di progressismo? Beh, quelli che sono di sinistra fino al giorno prima di diventare governo e ottenere un incarico, una poltrona, uno stipendio, insomma. Poi smettono di essere di sinistra, diventano governo, e mascherano il proprio pragmatismo (che li porta ad allearsi e fraternizzare con i nemici di ieri – e a prendere le distanze dal loro passato sociale –) nel nome della real politk. È dunque una sinistra gradita al capitale. Ovvero, una destra “cool”, graziosa, perbene e arrossita.

In questo caso, il progressismo prometterà di liberare il gatto dalla sua prigione. Poi, poiché non può o non vuole farlo, “modifica” la promessa: “ti farò stare più comodo”; “otterrò condizioni migliori per la tua morte”; “lotterò affinché il dispositivo mortale non si attivi troppo in fretta”. Oppure può anche incoraggiare il prigioniero a resistere, dato che ha il 50% di possibilità di sopravvivere temporaneamente. Prigioniero, sì, ma vivo.

-*-

Il sistema capitalista è quella scatola. Al suo interno, moltitudini attendono, senza saperlo, l’attivazione del congegno assassino. Guerre, carestie, catastrofi “naturali”, assalti violenti, omicidi, arbitrii governativi, distruzioni: tutto serve a risolvere l’enigma “vivere o morire?”.

Nella scatola c’è chi ha «commesso il crimine» di essere donna, bambino o bambina, giovane, anziana, otroa, avere la pelle scura, essere di un popolo originario, parlare una lingua straniera nella propria terra, eccetera. Non importa la condizione, il genere, la razza, l’ideologia, la religione, il modo, l’altezza, la costituzione fisica: quella persona che si trova nella scatola è sottoposta a quelle leggi mortali.

Non solo senza possibilità di uscita, ma anche senza poter nemmeno immaginare che fuori da lì possa esistere un altro mondo.

L’opzione per ritardare la morte o migliorare le condizioni della condanna è la sottomissione, è l’accettazione di essere parte della vetrina delle “stranezze” che il sistema espone per il proprio divertimento. Donna, otroa, di un popolo Originario, Razza, Quartiere, Nazionalità: ogni “singolarità” ha il suo posto nella bottega delle curiosità, purché si comporti “bene”. Altrimenti, beh… la “mano invisibile del mercato” azionerà la leva dello sterminio.

Esempio: il crimine di nascere, crescere e lottare in terra palestinese consiste nel non accettare di essere parte della vetrina del capitale. E resistere e ribellarsi contro la macchina. La macchina vuole un centro ricreativo a Gaza, ma la civiltà palestinese è d’intralcio. Il popolo palestinese lotta per un territorio in cui vivere.

La Palestina è il miglior esempio della crisi terminale dei cosiddetti “Stati Nazionali” e dei loro governi. Non comandano: obbediscono secondo convenienza. Sono incapaci di proporre una politica estera indipendente, dignitosa, coerente.

E di fronte al massacro in corso, la complicità e l’omissione dei governi del pianeta (salvo alcune eccezioni) è patetica. Le polizie dei vari governi europei e americani che reprimono le manifestazioni contro il genocidio in Palestina sono il miglior discorso sull’“umanesimo” occidentale.

Nel mondo di sopra, i governi europei sono la corte oziosa e inutile del re di turno. Russia e Cina sono i conti e i duchi che tramano per un regicidio e propongono un monarca alternativo. Il resto dei governi nazionali del mondo, salvo chi si è espresso chiaramente contro, sono i paggi affannati, stressati dalle continue richieste e pressioni della famiglia reale.

Chi osserva, gestisce, si diverte e scommette su ciò che accade nella scatola? I grandi capitali: finanziari, commerciali, industriali, e ora anche digitali e aerospaziali.

I governi del mondo, nella loro maggioranza, sono solo i venditori di biglietti per le scommesse, i “broker” delle borse valori dove le guerre sono sempre in rialzo… e la vita in basso… in caduta. E, come i Milei che sono e saranno, sono quelli incaricati di comprare e servire il vino nei banchetti monarchici (la motosega è un dettaglio autoctono).

-*-

Tuttavia, c’è chi pone un’altra possibilità: non entrare nella scatola o uscirne.

Ancora oltre: c’è chi mette in discussione la scatola stessa, la sua esistenza eterna e onnipotente; e la sua pretesa di essere l’unico universo che tollera, al suo interno, la diversità, i vari universi o multiversi… purché addomesticati.

Queste persone sono ciò che noi zapatisti chiamiamo “Resistenza e Ribellione”.
Resistenza per non entrare nella scatola o, se si è dentro, Ribellione per lottare e uscirne.

Resistenza e Ribellione che si propongono la distruzione della scatola, della logica che l’ha creata e della credenza che “non sia possibile qualcos’altro”.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán
Luglio 2025

Traduzione a cura di di 20ZLN
Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/07/07/3-posdatas-3-iv-de-gatos-y-cajas-oh-lo-se-habia-dicho-que-eran-3-posdatas-3-pero-no-eran-4-los-tres-mosqueteros-ok-ok-ok-menti-no-son-3-son/

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III.- POST SCRIPTUM PATRIOTTICO

Un incubo con stemma, inno e bandiera (e, ovvio, CURP biometrico)

Proviamo a immaginare uno scenario di fantasia: le postazioni che le forze armate nordamericane hanno preso al confine con il Messico e nelle acque del Golfo del Messico e del Pacifico, non servono per minacciare, fare pressione o tenere d’occhio i cartelli.

Neanche per blitz o incursioni lampo contro qualche cartello.

La disposizione strategica di quelle forze è per un’invasione.

Se così fosse, allora i riferimenti all’inno nazionale sarebbero solo retorica. Un richiamo all’unità nazionale, come ai tempi di Luis Echeverría Álvarez e José López Portillo.

(ndt: presidenti messicani degli anni ’70 e ’80, noti per il populismo e la repressione)

Sempre seguendo questa supposizione, ci si aspetterebbe che i cattivi governi comincino i preparativi: si attiverebbe il Servizio Militare Obbligatorio e si istruirebbe la popolazione civile all’uso delle armi da fuoco, alla costruzione di difese, all’uso di rifugi e coperture, alla conoscenza del territorio, alla catena di comando.

Certo, per questo bisognerebbe dotare la popolazione civile di armi, anche rudimentali.

E le forze armate riorienterebbero le proprie azioni alla preparazione della difesa.

La prova che tutto questo è impensabile per i governi è che proprio la cosiddetta legge sulla Guardia Nazionale approvata va nella direzione opposta.

Tutta la struttura e la strategia delle forze armate in Messico sarebbe, in termini militari, disposta non per la difesa da un attacco esterno, ma per il controllo interno.

E gli eserciti non starebbero progettando, costruendo e amministrando i megaprogetti della propaganda ufficialista della 4T.

(ndt: 4T è la sigla di “Cuarta Transformación”, “Quarta Trasformazione”, il progetto politico di López Obrador che richiama le tre “grandi trasformazioni” della storia messicana: Indipendenza, Riforma e Rivoluzione)

Supponiamo che il signor Trump non si accontenti di piegare il Messico con dazi, chiusure selettive delle frontiere e misure commerciali e finanziarie.

Supponiamo che Trump sia uno a cui prude l’ego, desideroso di “entrare nella storia” (vi ricorda qualcuno?).

Supponiamo che non gli basti un dominio discreto e silenzioso sul suo obiettivo, e che abbia bisogno di fare scena e pensi che nulla funzioni meglio delle armi per farlo.

Supponiamo che Trump sia un bullo che non solo ha bisogno di umiliare, ma vuole che si veda, che quel gesto vigliacco “serva da lezione”.

Certo, intelligente non è, ma ha l’arma carica e il dito sul grilletto.

Cosa avrebbe a suo favore?

Un punto essenziale per un’invasione è avere una casus belli, un motivo, insomma, per quella guerra.

Eduardo Ramírez Aguilar, che sostiene di governare lo stato sudorientale del Chiapas, avrebbe già dato ai gringos l’indicazione da seguire in questo scenario ipotetico.

(ndt: “gringos” è un termine colloquiale e ironico con cui in Messico ci si riferisce agli statunitensi)

Le sue forze armate locali hanno invaso momentaneamente il vicino Guatemala e lui ha subito giustificato la figuraccia accusando quel governo… di complicità e protezione del crimine organizzato (esattamente quello che dicono i gringos del Messico).

Certo, dal centro gli è arrivato uno scapaccione, ma il danno era – ed è – fatto.

Con la nuova prerogativa, le forze militari, invece di spiare chi critica e si oppone alla 4T, raccoglierebbero informazioni sul terreno e sulle capacità militari del probabile aggressore.

Da parte sua, l’aggressore raccoglierebbe le informazioni necessarie sull’obiettivo dell’invasione.

E, come si è visto, peserebbero più le informazioni sul carattere del nemico, la sua psicologia, il suo modo di essere, insomma.

Un altro elemento da considerare in quell’invasione ipotetica sarebbe: ha sostegno locale sul territorio invaso?

Perché, a differenza dell’Ucraina e della Palestina, dove non è emerso – o non ancora – un Juan Guaidó come in Venezuela, in Messico sì che c’è chi sospira e aspira a diventare parte degli Stati Uniti.

(ndt: Juan Guaidó è un politico venezuelano che si autoproclamò presidente ad interim con l’appoggio degli USA)

L’estrema destra (nota anche come “l’opposizione”) vuole farsi notare.

Il baccano che fanno tutti e sette i giorni della settimana non è diretto al votante.

Quello ormai milita con l’ufficialismo, grazie a sussidi sociali sempre più rachitici nel momento in cui arrivano al destinatario.

Sbaglia l’ufficialismo a gongolare perché l’isteria della destra non produce effetti visibili nelle elezioni.

L’estrema destra non fa i capricci per farsi guardare dalla gente del Messico.

Lo fa per farsi notare dal “nord brutale e confuso”.

(ndt: espressione usata storicamente nei comunicati zapatisti per indicare in forma ironica e critica gli Stati Uniti)

Questo settore, pur essendo numericamente piccolo, fa un bel casino sui media.

Però ha almeno due problemi:

Uno: quando uscire allo scoperto per quello che sono.

E quando dicono, tra un sorso e l’altro, “Il Messico non sarà il Venezuela”, lo fanno pensando di non mostrarsi fino a quando la bandiera a stelle e strisce non sventolerà sul vecchio Palazzo di Cortés.

“Non saremo Juan Guaidó, che è rimasto ad aspettare lo sbarco dei marines”, si dicono.

Ma due: il problema più grosso che hanno è decidere chi riceverà l’invasore come anfitrione.

E nel tentativo di mettersi davanti, si svelerebbero.

Alito? Anaya? Salinas Pliego? Un triunvirato?

Quest’ultimo ha il fascino del classico.

In generale, oggi la 4T deve molto all’estrema destra.

I suoi rutti mediatici le danno coesione interna, discorso patriottardo e munizioni per le conferenze stampa del mattino e per i pennivendoli di turno.

(ndt: “la mañanera” è la conferenza stampa quotidiana tenuta dal presidente López Obrador prima e ora da Claudia Sheinbaum alle 7 del mattino)

su questo sguardo al passato, l’estrema destra e il governo ufficiale si ritrovano d’accordo (Movimento di Rigenerazione Nazionale, Partito Verde Ecologista e Partito del Lavoro — tre partiti che nei loro nomi stessi racchiudono un paradosso).

Una e un’altra volta, nella scuola quadri di quei partiti, cioè nella “mañanera”, si ripete che il passato preispanico fu splendido (in realtà, si riferiscono alla loro adorazione per l’impero azteco — che, appunto, era un impero). Per questo riscrivono la storia per adattarla ai propri comodi.

Mentre l’estrema destra sospira per vedere l’esercito nordamericano marciare su Reforma, nell’ufficialismo alcuni sognano che arrivi l’esercito russo; altri quello cinese, e, beh, il PT brama l’arrivo dell’esercito… della Corea del Nord!

Tra estrema destra e ufficialismo la questione sarebbe chi starebbe in cima alla piramide. Un cambio alla cima della piramide o un cambio di piramide, insomma.

In questo scenario ipotetico, vi immaginate i prodi della 4T impugnare un FX-05 Xiuhcóatl (Serpente di Fuoco) calibro 5.56 mm? Li immaginate affrontare a petto nudo le pallottole dell’invasore? O li vedete correre a nascondersi? Ops, in questo scenario ipotetico non c’è dove nascondersi. A meno che non cambino schieramento…

Già, avete ragione: meno male che tutto ciò non succederà! Non c’è nulla all’orizzonte che faccia pensare a una cosa simile. Sono solo le voglie del Capitano di rompere le scatole e rovinare il pranzo.

-*-

Se si guarda alla classe politica, questo paese chiamato Messico è un paese di molte menzogne. Tanti capi — e cape, si capisce. Generali in abbondanza, truppa scarsa. Ognuno e ognuna con la propria guerra per salire nella piramide. I loro appelli all’unità nazionale sono inutili perché nemmeno riescono a unire il proprio partito.

In più: corruzione, inefficienza e incapacità (per esempio, contro inondazioni e siccità), demagogia riciclata, indigenismo da vetrina, voci “indipendenti” a pagamento: freelance e sicari della mañanera, delle colonne di opinione, dell’istituzionalizzazione dell’inganno (perché un “bignami” è una vecchia truffa scolastica).

Intanto, come segno del cambiamento, il paese passa dall’essere un cimitero clandestino a una zona di sparizioni. E lo si celebra come progresso: “sono diminuite le morti violente”, anche se ora aumentano le sparizioni. Il Non-Luogo come patria col CURP biometrico.

-*-

Dubbi:

1.- Quindi bisognava seminare mais e fagioli, e non alberelli commerciabili?

2.- Dato che l’ufficialismo riconosce la distruzione della natura con il Tren Maya (“non abbatteremo nemmeno un albero”, disse il Supremo), e in linea con la politica estera del chiedere scuse, chiederanno perdono alle persone di “Salvami dal treno” per insulti, pressioni e attacchi, e riconosceranno che avevano ragione nelle loro denunce? E alle comunità indigene colpite?

3.- Ah, quindi non era vero che avevano finito il cosiddetto huachicol?

4.- L’attuale situazione significa che la politica degli “abbracci e non schiaffi” è servita a…?

5.- Allora il Salinas “buono” (Ricardo Salinas Pliego) non era tanto buono, e fu un errore finanziarlo affidandogli i programmi del Bienestar nei primi anni del passato sexenio? Ora il Salinas “cattivo” (Carlos Salinas de Gortari) diventerà “il dottor Salinas”?

6.- Perché c’è tempo, disponibilità e “buona volontà” per ricevere l’ambiguo Carlos Slim, il segretario di Stato yankee e i grandi imprenditori (bella gente, eh), ma non per ricevere la CNTE e le madri che cercano i loro figli? Perché sono brutte? Perché sono “mangia-quando-ce-n’è-e-quando-no-eh-pazienza”? Ah, perché stanno alla base della piramide?

7.- Accusando l’ineffabile Alfonso Romo di riciclaggio di denaro, il governo gringo dimostra di aver imparato dal crimine organizzato? Così come, per avvertire Clara Brugada di non uscire dai binari, le assassinano due collaboratori? O per chi è l’avvertimento?

-*-

Ma non tutto è svergognamento della classe politica, nazionale e internazionale, là in alto.

In basso…

C’è chi cerca e, seppur in ritardo, non si arrende, non si vende e non cede.

C’è chi non guarda verso l’alto, ma guarda allo specchio.

C’è chi, vedendosi in altri, altre, altrə, si ritrova.

Perché “su tutto il pianeta nascono e crescono ribellioni che si rifiutano di accettare i limiti di schemi, regole, leggi e precetti. Perché non ci sono solo due generi, né sette colori, né quattro punti cardinali, né un solo mondo.”

(Semillero Comandanta Ramona, 9 agosto 2018)

Dalle montagne del Sud-Est Messicano.

El Capitán

Messico, già luglio 2025

Traduzione 20ZLN

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/07/02/3-posdatas-3-iii-posdata-patriotica-una-pesadilla-con-escudo-himno-y-bandera-y-claro-curp-biometrico/

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3 POST SCRIPTUM 3

II.- POST SCRIPTUM DI RAZZE ED ALTREDIFFERENZE.
Un continente,
tanti colori.

Se dovessi colorare ogni area geografica di un colore diverso, quale sceglieresti?

Diciamo che, nel continente americano scegli il giallo, al limite dell’arancione. È un colore molto di moda nel nord di quel continente. Molto in linea con l’ICE gringo le cui truppe nascondono il volto per non mostrare che la loro pelle a volte è dello stesso colore dei perseguitati. “Beaners” o “frijoleros” è il termine dispregiativo che usano per descrivere le loro vittime, con questo doppio riferimento a ciò che mangiano e al colore della pelle. Usavano anche il termine “cafecitos” (“brownies“).

Il colore della pelle e le identità culturali sono, per chi detiene il potere e i suoi sicari, una risorsa per identificare il nemico da eliminare. L’esercito messicano (oggi così adorato dai progressisti che ieri lo criticavano) quando invase il territorio zapatista nel 1995 – frutto del tradimento di Ernesto Zedillo Ponce de León nel febbraio di quell’anno – attaccò le comunità (come fa oggi la cosiddetta Forza di Reazione Immediata Pakal del governo dello stato del Chiapas) per rubare i pochi beni degli indigeni. Durante l’invasione, gridavano: “Fottuti indios pozoleros!”.

Il paradosso è che, quando disertavano, i soldati attraversavano le stesse comunità che avevano saccheggiato implorando un po’ di… pozol.

Ma non lasciatevi distrarre dai ricordi politicamente scorretti di oggi. Stiamo parlando del colore della pelle.

C’è di più: per esempio, la lingua. Per Trump è chiaro che i “frijoleros” non solo parlano un inglese molto diverso, ma hanno anche creato una propria lingua.

Nel gennaio del 1994, quando decine di migliaia di agenti federali arrivarono in Chiapas per “abbattere i trasgressori della legge”, un ufficiale che disertò quando capì chi stavano cercando ci raccontò che chiesero all’alto comando come identificassero “gli zapatisti”. I generali risposero: “Sono bassi, di pelle scura, parlano male o per niente spagnolo e i loro costumi ricordano molto quelli di un museo o di un laboratorio artigianale”. I soldati si guardarono l’un l’altro. Milioni di persone corrispondevano a quella descrizione.

Riporto alla mente questo ricordo perché è il criterio “criminale” che l’ICE gringo utilizza per trattenere, picchiare, imprigionare e deportare i migranti.

Importa se il detenuto ha i documenti? No, ciò che conta è il colore della sua pelle, il suo slang, il suo gergo e la sua parlata (qui diciamo “il modo”), i suoi baffi, i suoi vestiti cadenti e il fatto che davanti a un hamburger e dei tacos scelga… tacos (“con coriandolo, cipolla, pomodoro e tanta salsa, per favore”). Se fa anche parte del movimento LGBTIQ+, beh, è un criminale con tutte le aggravanti del caso.

Nei primi anni della rivolta, nelle caserme dell’esercito federale fecero tutto il possibile per convincere le truppe ad attaccare gli zapatisti. Per esempio, presentarono spettacoli teatrali (una valida risorsa didattica) in cui il defunto SupMarcos era gay, omosessuale, checca, frocio, queer, mayate, mordi-cuscini o come si chiamano ora. Tutti volevano interpretare il ruolo del defunto perché, comunque fosse, quell’uomo era bello.

-*-

Iniziamo con il colore della pelle, poi con la cultura, la lingua, l’altezza, il cibo, l’abbigliamento, l’identità sessuale ed affettiva, ecc. Ora aggiungi il suo status, legale o meno, essere di un’altra geografia come luogo di nascita o quello dei suoi antenati. Migrante, o di genitori, nonni o bisnonni migranti. Ecco il profilo del criminale da perseguire.

Ora, osserva qualsiasi geografia e identifica le persone che corrispondono a questo profilo “scientifico” (che metterebbe in imbarazzo qualsiasi serie TV americana in cui la polizia è sempre brillante, carina e, soprattutto, incorruttibile e rispettosa della legge) e vedrai che sono milioni.

Senza andare troppo oltre, il gabinetto di Trump include discendenti di migranti in posizioni chiave. Marco Rubio, Segretario di Stato, non ha un cognome molto anglosassone ed è figlio di migranti cubani. Kristy Noem, Segretario della Sicurezza Interna, è di origine norvegese. Senza (ancora) un incarico nel gabinetto c’è il senatore di estrema destra Ted Cruz, il cui padre è cubano e il cui nome è Rafael. Lori Chavez, Segretario del Lavoro, è di origine messicana. Trump è discendente di migranti e sua moglie è slovena di nascita.

Dato che è difficile fare distinzioni usando questi criteri, affrontiamo l’argomento spesso ripetuto: sono criminali. In realtà, ciò che non viene detto è che sono considerati “potenziali criminali”.

Lasciamo perdere il fatto che diversi membri di quel governo sono stati accusati di abusi sessuali e abuso di droga. Non è provato. Quindi concentriamoci su coloro che sono stati condannati, cioè processati e dichiarati colpevoli. Lo vedi? Sì, Donald Trump.

-*-

Per quanto riguarda l’immigrazione, i cosiddetti, pretenziosamente, Stati Nazionali, di loro iniziativa e in seguito in coincidenza con la posizione della polizia statunitense, stanno facendo lo stesso. A sud degli Stati Uniti, il Messico ha attuato un’operazione criminale contro l’immigrazione dall’America Centrale e, attraverso di essa, da altri Paesi. L’Istituto Nazionale per le Migrazioni è una replica, in termini di illegalità, brutalità, arbitrarietà e violenza, della Polizia di Frontiera statunitense e dell’ICE. E il razzismo nella società non è da meno. Naturalmente, con le sue differenze. Negli Stati Uniti vengono picchiati, imprigionati e deportati. In Messico, vengono venduti ai cartelli, estorti, imprigionati, fatti sparire, assassinati… e bruciati vivi.

Nel Salvador, Bukele (formatosi alla scuola quadri dell’FMLN fattosi partito) li rinchiude e ne trasmette in televisione le condizioni. Questo non gli impedisce di intascare la sua parte dalla criminalità organizzata.

La storia si ripete negli altri paesi che hanno le loro fondamenta e la loro storia in quei colori scuri. Nel Cile progressista (sì) e nell’Argentina di Milei, la gente del luogo, il popolo Mapuche, è stato vessata per secoli (sebbene ne sia uscito vittorioso 10, 100, mille volte). Nel Brasile progressista, un etnocidio “silenzioso” è in atto in Amazzonia. Geografie come Ecuador, Bolivia, Perù e Colombia reprimono come meglio possono le proteste e le ribellioni degli indigeni, che sono del colore della terra.

Eppure, nelle vetrine del progressismo (che, paradossalmente, insiste nel rivendicare il passato), alcuni manichini “indigeni” a volte ostentano i loro abiti eleganti, aspirando, come servitù, a vedere il loro colore tollerato ai piani alti della piramide. Ovvero, come bigiotteria a buon mercato e sostituibile.

-*-

Gli Stati Nazionali nascono dal saccheggio delle risorse. Ma non solo delle risorse, ma anche di identità, differenze e particolarità. Lo Stato Nazionale, con il mito della cittadinanza, impone omogeneità ed egemonizza. Bandiera, stemma, inno, forze armate, squadre sportive nazionali, storia e lingua ufficiali, valuta, struttura giuridica e amministrazione della giustizia contribuiscono tutti a soppiantare, attraverso l’imposizione violenta, differenze di colore, razza, lingua, genere e, si badi bene, posizione sociale, storia e cultura.

È “cittadino” il nero, il marrone, il giallo, il rosso e il bianco. Lo è l’alto e il basso; il grasso e il magro; l’uomo, la donna e loa otroa; il meticcio e l’indigeno; il padrone e il dipendente; il ricco e il povero.

In questo senso, il popolo originario espropriato del suo territorio è uguale a chi esegue l’ordine di sfratto e al funzionario “indigeno” che ha avallato il furto. La donna vittima di violenza è uguale a chi la fa sparire, la uccide o la aggredisce. La persona transgender è uguale al poliziotto che “eccede” nel compimento del suo dovere. La commessa di na caffetteria è uguale a Carlos Slim. E così via.

E queste “cittadinanze” si sostengono in una nazionalità che, a sua volta, supporta le argomentazioni a favore di genocidi, crimini di ogni portata e guerre… per eliminare i prescindibili.

-*-

Se ci sono colori diversi in alto, in cima alla piramide, e sotto, alla base che sostiene il peso della ricchezza di chi sta sopra, qual è la differenza? Il posto nella piramide.

Con tutte le loro differenze, peculiarità e colori, coloro che stanno alla base di questa struttura hanno in comune che sono sacrificabili. E, proprio per questo, le guerre (in tutte le loro forme) servono a liberarsene.

-*-

In ogni angolo di questo pianeta, anche il più remoto, c’è una piramide media, grande o piccola. Si considera eterna, potente e indistruttibile.

Finché qualcuno non dice “basta”, diventa collettivo organizzato e la abbatte al grido di…

¡A la chingada el pirámide!
اللعنة على الهرم
jebem ti piramidu
γαμώ την πυραμίδα
Fuck the pyramid
scheiß auf die Pyramide
fanculo la pirámide
putain la pyramide
merda á pirámide
мамка му, пирамидата
屌個金字塔
a la xingada la pirámide
ser*u na pyramidu
他妈的金字塔
피라미드 엿먹어
kneppe pyramiden
do kelu pyramídu
kurat püramiidist
vittu pyramidi
joder pe pirámide rehe
לעזאזל עם הפירמידה
neuk de pirámide
baszd meg a piramis
tada leis an pirimid
fokkið við pýramídanum
ピラミッドなんてクソくらえ
pîramîdê qelandin
Pyramidem in malam rem!
Ssexsi lpiramid
xijtlasojtla nopa pirámide
knulle pyramiden
لعنت به هرم
pieprzyć piramidę
foda-se a pirámide
pirámide nisqawan joder
la dracu’ cu piramida
к черту пирамиду
је*и пирамиду
knulla pyramiden
piramiti siktir et
до біса піраміду
piramideari madarikatua
shaya iphiramidi

-*-

Ma, al suo posto creiamo un’altra piramide?

O qualcosa di diverso?

Forse in un incontro di alcune parti del tutto si potrà insinuare una risposta.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Giugno 2025

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/06/30/3-posdatas-3-ii-posdata-de-razas-y-otras-diferencias-un-continente-muchos-colores/

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3 Post scriptum 3.

I.-P.S. GLOBALIZZATO.

Un pianeta, molte guerre.

Nota: Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della Sesta Dichiarazione e il quinto anniversario della Dichiarazione per la Vita. Con la VI abbiamo chiaramente espresso la nostra posizione anticapitalista e la nostra distanza critica dalla politica istituzionale. Attraverso la Dichiarazione per la Vita, cerchiamo di ampliare l’invito ad una condivisione di resistenze e ribellioni. Per i nostri compagni della Sexta e della Dichiarazione per la Vita, questi sono stati anni difficili; tuttavia, abbiamo perseverato, senza arrenderci, senza svenderci e senza cedere. La tormenta non è più un cattivo presagio; è una realtà presente. Pertanto, i seguenti poscritti riaffermano il nostro impegno, il nostro affetto e il nostro rispetto per coloro che, pur essendo differenti e diversi, condividono una vocazione e un destino secondo i propri modi, tempi e geografie.

-*-

Tutte le guerre sono straniere finché non bussano alla tua porta. Ma la Tormenta non bussa prima. Quando la senti, non hai più porta, né muri, né tetto, né finestre. Non c’è più casa. Non c’è più vita. Quando se ne va, rimane solo l’odore dell’incubo mortale.

Presto arriverà poi la puzza di gasolio e benzina delle macchine, il rumore con cui si costruisce ciò che è stato distrutto. “Ascolta”, dice la bestia dorata, “quel suono annuncia l’arrivo del progresso”.

Così, fino alla prossima guerra.

-*-

La guerra è la patria del caos, del disordine, dell’arbitrarietà e della disumanizzazione. La guerra è la patria del denaro.

L’uso di missili, droni e velivoli controllati dall’Intelligenza Artificiale non è “l’umanizzazione” della guerra. Piuttosto, è un calcolo economico. Una macchina è più redditizia di un essere umano. Sono più costose, è vero. Ma, insomma, è un investimento a medio termine. La loro capacità distruttiva è maggiore. E non ci sono problemi poi con rimorsi di coscienza, veterani con disabilità fisiche e mentali, cause legali, proteste, “body bags” e processi inutili in tribunali internazionali.

Così sarà finché lo spargimento di sangue dell’aggressore non tornerà a essere redditizio.

-*-

È solito calcolare quante persone potrebbero essere sfamate con i soldi spesi in guerre predatorie. Ma, oltre ad essere inutile, fare appello alla sensibilità e all’empatia del Capitale, non è corretto.

Ciò che va quantificato è quanto profitto genereranno il centro commerciale e l’area turistica costruiti su un cumulo di cadaveri nascosti sotto le macerie (nascoste, a loro volta, sotto gli hotel e i centri ricreativi). Solo così potremo comprendere la vera natura di una guerra.

Le fondamenta della civiltà moderna non si costruiscono con il cemento, ma con carne, ossa e sangue, tanto sangue.

Il sistema distrugge, poi vende la sostituzione. Alle città distrutte seguirà un paesaggio di condomini, grattacieli scintillanti, centri commerciali e campi da golf così intelligenti che persino Trump vincerà, mentre Netanyahu terrà conferenze sui diritti umani, Putin organizzerà corse di orsi siberiani e Xi Jinping venderà i biglietti. Un’insegna raffigurante la moneta splenderà in cima alla piramide che riunisce il culto del denaro.

-*-

Nelle ultime guerre, l’arrogante Europa di sopra ha svolto il ruolo di testa di ponte. Ciò è in linea con il suo ruolo di zona ricreativa e di intrattenimento del Capitale. Il cosiddetto “eurocentrismo” fa ormai parte di un passato nostalgico e stantio. Il corso di questa Europa viene deciso dai consigli di amministrazione degli azionisti e dalle lobby delle grandi aziende. Il capo di Amazon celebra le sue nozze nella piscina della sua casa di campagna (Venezia) e la NATO è la succursale di distribuzione e cliente dei beni più redditizi: le armi.

I governi degli Stati Nazionali di quel continente abbassano il volto pudicamente di fronte al “Padre Padrone”, dal quale sognano di emanciparsi arruolandosi nell’esercito del Capitale. Non più nel futuro, ma adesso (come in Ucraina) il Capitale fornisce le armi, l’Europa fornisce i morti presenti e futuri, Putin fornisce gli ologrammi di un mix di zarismo e URSS, e Xi Jinping affina la sua proposta alternativa di piramide sociale.

Lì vicino, non la prole di Trump, ma gli eredi delle grandi aziende sognano una vacanza in una Palestina libera… dai palestinesi. Netanyahu, o un suo equivalente, sarà il cortese anfitrione che, dopo cena, intratterrà i visitatori con aneddoti su bambini, donne, uomini, anziani, ospedali e scuole uccisi dalle bombe e morti di fame. “Ho risparmiato milioni usando i centri di distribuzione alimentare come riserve di caccia”, si vanterà servendo lo Zibdieh. I commensali applaudiranno.

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La guerra è la prima opzione del Capitale per sbarazzarsi dell’eliminabile. Religione, correttezza o scorrettezza politica (che ormai non ha più importanza), discorsi infuocati e storie eroiche inventate dall’Intelligenza Artificiale, cessate il fuoco con esplosioni e spari come sottofondo musicale, tregue dettate dalle società di brokeraggio e dai prezzi del petrolio: tutto questo è solo la scenografia.

I vari dei fingono di essere impegnati ad impartire morte e distruzione da entrambe le parti. E il vero dio, che può tutto ed è ovunque, il Capitale, rimane discreto. O forse no, il cinismo è ormai una virtù. Dietro tutto questo si cela la cosa più importante: il bilancio delle grandi aziende e delle banche.

Il diritto internazionale sui conflitti militari è obsoleto da decenni. Nelle guerra moderna l’ONU è solo un riferimento per le celebrazioni scolastiche. Le sue risoluzioni non vanno oltre la dichiarazione di una concorrente ad un concorso di bellezza: “Desidero la pace nel mondo”.

Gli eserciti del Capitale sono l’equivalente dei servizi di consegna a domicilio. Ed alcuni, geograficamente distanti dal luogo di consegna, lo valutano così: “5 stelle per Netanyahu”. Nella corsa al premio di “fattorino dell’anno”, Trump, Putin e Netanyahu primeggiano, certo. Ma il sistema avrà sempre la possibilità di scegliere altri… o altre (non dimentichiamo la parità di genere).

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Attraverso i mass media, compresi i social media, le geografie lontane dal territorio aggredito assumono il ruolo di spettatori. Come se fosse una partita sportiva scelgono il loro favorito, schierandosi. Applaudono una parte e fischiano l’altra. Gioiscono per i successi e si rattristano per i fallimenti dei contendenti. Nelle tribune dei commentatori gli esperti abbelliscono lo spettacolo. “Geopolitica”, la chiamano. E anelano a un cambio di dominatore, non a cambiare il rapporto di cui sono vittime.

Dimenticano forse che il mondo non è uno stadio. Assomiglia piuttosto a un gigantesco Colosseo dove le future vittime applaudono mentre aspettano il loro turno. Non sono gladiatori in sala d’attesa; sono le prede che cadranno preda delle macchine da guerra. Nel frattempo, bot con tutti gli avatar e i soprannomi più ingegnosi guidano gli applausi, i boati e le acclamazioni; e, al loro momento, il suono di lacrime e lamenti.

Dal suo palco d’onore, il Capitale riceve gli applausi del pubblico e ascolta ciò che gli spettatori gridano con mute parole: “Ave Caesar, morituri te salutant” [“Ave Cesare, coloro che stanno per morire ti salutano”].

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Tuttavia…

Un giorno, sulle rovine della storia, giacerà il cadavere di un sistema che si credeva eterno e onnipresente. Prima di quell’alba, parlare di pace è solo sarcasmo per le vittime. Ma quel giorno, il sole d’Oriente contemplerà, sorpreso, una Palestina viva. E libera, perché solo liberi si può vivere.

Perché c’è chi dice “NO”.

C’è chi non vuole cambiare padrone, ma piuttosto non averne uno.

C’è chi resiste, si ribella… e si rivela.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Giugno 2025

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/06/28/3-postdatas-3-i-pd-globalizada-un-planeta-muchas-guerras/

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CONVOCAZIONE ALL’INCONTRO DI RESISTENZE E RIBELLIONI

ALCUNE PARTI DEL TUTTO”

Giugno 2025

Alle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni e movimenti che hanno firmato la Dichiarazione per la Vita:

Le comunità zapatiste di origine maya, attraverso il loro Governo Autonomo Locale (GAL), il Collettivo dei Governi Autonomi (CGAZ), le Assemblee dei Collettivi di Governo Autonomo (ACGAZ), INTERZONA e dell’EZLN, si rivolgono a voi per:

Convocare persone, gruppi, collettivi, movimenti e organizzazioni che, nei diversi angoli del mondo, resistono e si ribellano contro una o tutte le teste dell’Idra capitalista e che abbiano una pratica da condividere, affinché raccontino la loro storia in un incontro con le comunità zapatiste.

L’invito è a condividere, secondo i vostri tempi, geografie e modi, la vostra esperienza e le vostre proposte nella lotta antisistema. Diverse centinaia di zapatisti (uomini, donne, otroas, bambini e anziani), provenienti dai vari gruppi di lavoro, commissioni e responsabilità nell’ambito dell’autonomia e del comune zapatista saranno presenti di persona per ascoltarvi e imparare da voi.

Per questo vi chiediamo di trovare parole che si comprendano. Perché se venite fino qui e usate solo parole difficili, è inutile, perché non vi capiremmo. Siamo certi che saremo un ascolto collettivo, attento e rispettoso. Ecco perché speriamo che le vostre parole siano collettive, chiare e comprensibili per chi vi ha invitato.

Allo stesso modo, le comunità zapatiste vi spiegheranno – con i mezzi che le comunità decideranno – in che fase ci troviamo, i problemi che affrontiamo, i progressi e gli insuccessi che vediamo.

Può partecipare chiunque voglia e possa appartenente a un’organizzazione, un gruppo, un collettivo o un movimento, anche solo una persona, o più persone, che condividano la propria esperienza a turno. La presenza dei media non sarà consentita salvo autorizzazione dopo presentazione della propria pratica.

Alcuni argomenti sono:

.- Noi donne.

.- Distruzione della natura.

.- Attacchi alla differenza in tutte le sue forme.

.- Distruzione di identità, popoli e comunità.

.- Resistenza e Ribellione nell’Arte e nella Cultura.

.- Migrazione, Razzismo, Segregazione.

.- Le guerre e la distruzione della vita.

.- Un argomento che ognuno deciderà.

.- Tutto o parti di questi argomenti.

Questo non è un incontro di analisi o di approcci teorici, ma piuttosto un incontro di esperienze pratiche di resistenza. Chi di noi sarà presente sa già cos’è questo maledetto sistema e cosa fa contro tutti, tutte e todoas, così come contro la natura, la conoscenza, le arti, l’informazione, la dignità umana e l’intero pianeta. Non si tratta di esporre teoricamente i mali del sistema capitalista, ma piuttosto di ciò che si sta facendo per resistere e ribellarsi, ovvero per combatterlo.

Non vi invitiamo qui ad insegnare. Non siamo i vostri studenti o i vostri apprendisti; né siamo maestri o tutor. Siamo parti, insieme a voi, di un tutto che si oppone a un sistema. Dare e dare. Voi ci raccontate le vostre esperienze e noi, il popolo zapatista, vi raccontiamo le nostre.

L’incontro si terrà presso il Semillero Comandanta Ramona, nel Caracol di Morelia (dove si sono svolti gli Incontri delle Donne che Lottano).

Le date sono dal 2 al 17 agosto 2025

Arrivo e registrazione il 2, il 3 inaugurazione ed il 16 chiusura. 17 partenza.

Registrazione dei partecipanti e dei visitatori ai seguenti indirizzi email:

participantesencuentroagosto25@gmail.com

asistentesencuentroagosto25@gmail.com

Nota: i contributi zapatisti saranno aperti a partecipanti e visitatori. Ci impegneremo a trasmettere in streaming questi interventi e, ove opportuno, a pubblicarne i video sul sito web di Enlace Zapatista.

Maggiori dettagli nei prossimi comunicati.

Vi ricordiamo che la produzione, il commercio e il consumo di alcol e droghe NON sono consentiti. Né è consentita la violenza verbale o fisica basata su genere, etnia, corporatura, colore della pelle, religione, nazionalità, status sociale, area di resistenza o qualsiasi altra cosa possiate immaginare.

Ci sarà un tetto per ripararvi dalla pioggia o dal sole, a seconda della situazione.

Vi aspettiamo.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, giugno 2025

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De lejos viene.

De lejos viene

  El Viejo Antonio enciende el tabaco y la mirada.  Habla como si leyera, dentro suyo, el libro que algunos llaman historia, o lo pasado, o lo anterior, o lo de antes, o lo más primero.

  Porque hay libros que no pueden ser mirados.  Sólo escucharlos es posible, y así guardarlos.

  “Antes de que nacieran las geografías, cuando los calendarios no nacían todavía, la palabra estaba para dar cuenta de lo que caminaba y no.  No fronteras, no razas, no banderas, no gustos, no querencias, no lenguas, no quien arriba, no quien abajo.”

  Lo escuchan todas al Viejo Antonio.  Alguna le arrima una taza de café y él se arrima al fogón, no porque haga frío, sino porque es su modo pues.  Y al escucharlo, lo leen.  Sólo con miradas, toman el apunte en su corazón colectivo.

  “Para mirar lo pasado hay que aprender a mirar el mañana.  Y al revés volteado.  Si no, la vista se pierde en el presente, como si nada antes, como si después nada.

  El Viejo Antonio relee lo que su corazón escuchó cuando el tiempo no era todavía:

  “La memoria fue, existió.  Vieron; al instante su mirada se elevó.  Todo lo vieron, conocieron todo el mundo entero; cuando miraban, en el mismo instante su vista miraba alrededor, lo veía todo, en la bóveda del cielo, en la superficie de la tierra.  Veían todo lo escondido sin antes moverse.  Cuando miraban el mundo veían, igualmente, todo lo que existe en él.  Numerosos eran sus conocimientos.  Su pensamiento iba más allá de la madera, la piedra, los lagos, los mares, los montes, los valles.

 En verdad, hombres a los que [se les debía] amar: Brujo del Envoltorio, Brujo Nocturno, Guarda-Botín, Brujo Lunar.

  Fueron entonces interrogados por Los de la Construcción, Los de la Formación.  “¿Qué pensáis de vuestro ser? ¿No veis? ¿No oís?  Vuestro lenguaje, vuestro andar, ¿no son buenos? Mirad pues y ved el mundo, si no aparecen los montes, los valles: ved para instruiros”, se les dijo.

  Vieron en seguida el mundo entero, y después dieron gracias a los Constructores, a Los Formadores.  “Verdaderamente dos veces gracias, tres veces gracias.  Nacimos, tuvimos una boca, tuvimos una cara, hablamos, oímos, meditamos, nos movemos: bien sabemos, conocemos lejos, cerca.  Vemos lo grande, lo pequeño, en el cielo, en la tierra.  ¡Gracias [damos] a vosotros! Nacimos, oh Los de lo Construido, Los de lo Formado: existimos, oh abuela nuestra, oh abuelo nuestro”, dijeron, dando gracias de su construcción, de su formación.

 Acabaron de conocerlo todo, de mirar a las cuatro esquinas, a los cuatro ángulos, en el cielo, en la tierra.

 Los de lo Construido. Los de lo Formado, no escucharon esto con placer.

  “No está bien lo que dicen nuestros construidos, nuestros formados. Lo conocen todo, lo grande, lo pequeño”, dijeron.

  Por lo tanto, celebraron consejo Los Procreadores, los Engendrados.

  “¿Cómo obraremos ahora para con ellos? ¡Que sus miradas no lleguen sino a poca distancia! ¡Que no vean más que un poco la faz de la tierra! ¡No está bien lo que dicen! ¿No se llaman solamente Construidos, Formados? Serán como dioses, si no engendran, [si] no se propagan, cuando se haga la germinación, cuando exista el alba; solos, no se multiplican. Que eso sea. Solamente deshagamos un poco lo que quisimos que fuesen: no está bien lo que decimos, ¿Se igualarían a aquellos que los han hecho, a aquellos cuya ciencia se extiende a lo lejos, a aquellos que todo lo ven?”, fue dicho por los Espíritus del Cielo, Maestro Gigante [Relámpago], Huella del Relámpago, Esplendor del Relámpago, Dominadores. Poderosos del Cielo. Procreadores.  Engendradores. Antiguo Secreto, Antigua Ocultadora, Constructora, Formadores.

  Así hablaron cuando rehicieron el ser de su construcción, de su formación.

 Entonces fueron petrificados ojos [de los cuatro] por los Espíritus del cielo, lo que los veló como el aliento sobre la faz de un espejo; los ojos se turbaron; no vieron más que lo próximo, esto sólo fue claro.

  Así fue perdida la Sabiduría y toda la Ciencia de los cuatro hombres, su principio, su comienzo.

 Así primeramente fueron construidos, fueron formados, nuestros abuelos, nuestros padres, por los Espíritus del Cielo, los Espíritus de la Tierra.”

(Popol Vuh.  El Libro del Consejo. Anónimo. Traductor: Miguel Ángel Asturias y J. M. González de Mendoza. Editorial Losada.)

  Se calla el Viejo Antonio.  Ellas guardan el apunte y la mirada guardan.  Ixmucané, el Votán con nagua, guarda y aguarda.

  Una niña abre los ojos como si una puerta abriera.  La mujer más mayor repite lo que su corazón le dicta: “Resistencia y Rebeldía.  A la chingada el pirámide”.

  Arriba una luna nueva y abajo una montaña de edad entienden y asienten.  Se ve que algo saben, porque sólo ellas sonríen.

  No llueve aún y la tierra está así nomás, como esperando…

Desde las montañas del Sureste Mexicano.

El Capitán.
México, mayo del 2025.
(Hace 4 años, en estas fechas, una montaña convertida en navío entraba mar adentro en el océano Atlántico.  Llevaba en su vientre el Escuadrón 421.  Navegaba la Montaña así nomás, como esperando un encuentro.  ¿Un encuentro?  ¿En agosto?  ¿La primera quincena?)

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/05/28/de-lejos-viene/

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INNOCENTI.

INNOCENTI

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

Maggio 2025

Ai firmatari della Dichiarazione per la Vita:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:
Al Congresso Nazionale Indigeno:
Ai popoli del Mesico e del mondo:

Compagne e compagni, sorelle e fratelli:

Vi spieghiamo cosa è successo ai due compagni basi di appoggio zapatiste, José Baldemar Sántiz Sántiz e Andrés Manuel Säntiz Gómez, illegalmente detenuti e sequestrati dalle forze congiunte del governo federale e statale il 26 aprile 2025.

Desaparecidos da 55 ore, sono stati condotti davanti alle autorità corrotte solo grazie alle pressioni del Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas. Erano accusati di sequestro di persona aggravato nei confronti di Pedro Díaz Gómez.

Durante l’arresto, le forze della Guardia Nazionale, l’esercito federale e le cosiddette Forze di Reazione Immediata Pakal hanno approfittato della situazione rubando beni e stipendi delle persone coinvolte e della comunità. Hanno rubato un’auto, una moto e una grossa somma di denaro.

Mentre il governo supremo giocava con la vita, la libertà e i beni dei due detenuti illegalmente, le autorità autonome zapatiste portavano avanti le proprie indagini sotto la guida di Verità e Giustizia in comune.

Vi ricordo che, in quanto comunità organizzate in comune, abbiamo principi e regole. È vietato attentare alla vita, alla libertà e alla proprietà altrui, indipendentemente dall’ideologia, partito politico, religione, orientamento sessuale, colore della pelle, razza, lingua, nazionalità o posizione sociale. In caso di omicidio, rapimento, aggressione, stupro, falsificazione e rapina, si tratta di reati gravi. Inoltre è proibito il traffico di droga, la sua produzione e il suo consumo. Oltre all’ubriachezza e ad altri reati che sono determinati in comune.

Ogni compagno o compagna, indipendentemente dalla sua posizione o grado, che commetta crimini gravi è espulso dal movimento zapatista.

Dopo aver appreso dell’arresto e delle gravi accuse mosse ai due compagni, il GALEZ ha avviato un’indagine per accertare se fossero coinvolti nel rapimento. La struttura organizzativa incaricata dell’indagine è giunta alla conclusione che i due compagni sono innocenti.

Così è stato fatto sapere al Frayba.

Non soddisfatte, le autorità autonome hanno continuato le indagini e hanno confermato il coinvolgimento di altri due individui nel crimine. I due criminali sono stati arrestati e, nel rispetto dei loro diritti umani, sono stati portati in custodia in una delle comunità zapatiste.

I due criminali hanno confessato il rapimento e l’omicidio di Pedro Díaz Gómez e indicato il luogo esatto in cui avevano seppellito il corpo. Hanno segnalato la complicità di altre persone.

Così è stato fatto sapere al Frayba che lo ha comunicato alle autorità del malgoverno.

Rendendosi conto che si sarebbero nuovamente resi ridicoli, le autorità corrotte si sono affrettate a mobilitare le loro forze e arrestare uno dei sospettati che era in fuga. Questa persona ha confermato quanto confessato alle autorità zapatiste. E così si è giunti al luogo in cui era sepolto il corpo della vittima del crimine.

Tutti e tre i livelli di governo erano a conoscenza di tutto questo, ma non hanno fatto nulla. Invece di liberare immediatamente i nostri compagni innocenti, hanno temporeggiato e proposto uno scambio di prigionieri. In questo modo avrebbero potuto ingannare i media e vendere loro la storia che il merito era tutto della giustizia statale e federale. Ed avrebbero potuto anche tenersi quello che avevano rubato ai poveri indigeni che avevano subito l’aggressione.

Il malgoverno ha nuovamente inviato le sue forze repressive alla ricerca di un quarto colpevole. Ma non solo non lo hanno preso, ma approfittarono della situazione per continuare a rubare i beni della comunità.

Nel frattempo, le autorità federali e statali facevano pressione e minacciavano i difensori dei diritti umani perché la loro denuncia li avrebbe smascherati per quello che sono realmente: repressori di innocenti e fabbricanti di colpevoli.

Nelle prime ore del 2 maggio 2025, i due rei confessi detenuti dagli zapatisti sono stati consegnati al Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas per verificare il loro stato di salute e accertare se i loro diritti fossero stati rispettati. Il Frayba ha proceduto a consegnare i colpevoli all’autorità ufficiale.

Nella mattinata del 2 maggio sono stati liberati i nostri compagni Baldemar e Andrés. Ma i ladri del governo si rifiutano di restituire tutto ciò che hanno rubato.

I governi della cosiddetta 4T mentono in tutto ciò che dicono sui popoli originari e sui movimenti sociali. Sono uguali o peggiori dei precedenti governi del PRI e del PAN. Quei numeri di cui si vantano come “arresti” per compiacere Trump sono per la maggior parte innocenti. Invece di comprarsi i giudizi favorevoli sui media e sui social network, i malgoverni dovrebbero pagare meglio le loro forze di repressione in modo che non siano costrette a derubare chi ha meno o niente.

Ciò che è accaduto non riguarda solo i nostri territori. In tutta la geografia chiamata “Messico”, comunità originarie, difensori della Madre Terra, difensori dei diritti umani, movimenti e organizzazioni sociali, migranti e persino persone comuni che lavorano giorno dopo giorno per guadagnarsi onestamente il sostentamento quotidiano, vengono estorti, attaccati, rapiti, fatti sparire, imprigionati e assassinati da un governo desideroso di ingraziarsi il potere del denaro.

Non c’è scampo.

Il sistema capitalista è nato sbagliato, frutto di ingiustizia, sangue e furto. E continua così fino ad oggi, indipendentemente dalle bandiere sotto cui si nasconde. Il suo segno è la morte e così lo porterà fino alla fine dei suoi giorni.

Come popoli zapatisti, abbiamo pensato a un modo per combattere l’impero della morte. Chiamiamo questo percorso “Il Comune”.

E in questa dolorosa situazione passata, si è visto che Il Comune persegue la verità e la giustizia.

Il risultato della liberazione dei nostri due compagni innocenti è stato il frutto di un triplice sforzo: quello dei difensori dei diritti umani, quello della solidarietà e del sostegno nazionale e internazionale e quello della giustizia autonoma.

È tempo di non dimenticare le altre nazioni sorelle, vicine e lontane, che subiscono gli attacchi mortali del sistema malvagio. Non dimentichiamo i popoli originari, i desaparecidos e coloro che li cercano, i difensori della Madre Terra, coloro che sono solo un numero nelle statistiche della criminalità, il popolo palestinese.

Per la vita: giustizia e verità in Comune.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, maggio 2025

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/05/02/inocentes/

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In 3 giorni uccidono una madre buscadora, un attivista ambientalista e fanno sparire 2 basi di appoggio dell’EZLN. QUI un riassunto degli avvenimenti. Due Basi di Appoggio dell’EZLN, José Baldemar Sántiz Sántiz e Andrés Manuel Sántiz Gómez, sono state fatte sparire, una madre buscadora, tra quelle che avevano scoperto il rancho con il forno crematorio, El Rancho Izaguirre, è stata uccisa in Jalisco. In Guerrero ucciso un attivista ambientalista. In Michoacan attaccate oltre 20 comunità autonome. Tutto nelle stesse ore, con attori diversi ma sempre sotto la cappa di silenzio o accondiscendenza dello stato. 

Il Centro dei Diritti Umani Frayba ha lanciato una petizione urgente per avere notizie sui due zapatisti sequestrati. QUI il link per firmare, importante: https://frayba.org.mx/fuerzas-de-seguridad-y-militares-desaparecen-2-bases-de-apoyo-zapatistas

Una petizione partita dal Messico, di movimento, chiede la liberazione dei due compagni. Si può firmare qui: https://share.mayfirst.org/apps/forms/s/oTX7AEgff5i4PcoM6AFzkiXP 

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CHIUSURA DELLE ISCRIZIONI DEI PARTECIPANTI ALL’INCONTROREBEL (Arte)/ REVEL (arte)”

8 aprile 2025

Vi informo delle iscrizioni dei partecipanti al prossimo incontro di Arti che si terrà dal 13 al 20 aprile 2025.

Si sono iscritti più di 480 gruppi di artisti e singoli artisti di oltre 35 discipline artistiche:

Antipoesia
Arte d’azione
Arte sonora
Arte tessile
Arte visiva
Arti plástiche
Artigianato
Ricamo
Cartografia
Ceramica
Cine
Circo
Clown
Collage
Danza
Scultura
Stencil
Scrittura
Fotografia
Registrazione
Grafica
Ilustrazione
Letteratura
Magia
Burattini
Musica
Narrativa
Parkour
Performance
Pittura
Poesia
Spoken Word
Tatuaggio
Teatro
Marionette

Considerando che di questi 480 ci sono circa 200 gruppi o collettivi composti in media da 3 o più persone, si tratterebbe di circa 750 artisti stranieri. Ai quali si sommano gli oltre 500 zapatisti. Per un totale di più di 1000 artisti.

GEOGRAFIE DEGLI ARTISTI

Iscritti partecipanti di oltre 27 geografie:

Germania; Argentina; Belgio; Bolivia; Brasile; Cile; Colombia; Ecuador; El Salvador; Spagna; U.S.A.; Francia; Galizia; Grecia; Guatemala; Inghilterra; Irlanda; Italia; Giappone; Messico; Palestina; Perù; Polonia; Sudan; Svizzera; Turchia; Venezuela.

Da oggi si chiudono le iscrizioni dei partecipanti.

Coloro che si sono iscritti nei giorni scorsi sono stati inseriti nell’elenco pubblicato il 1° aprile a questo link: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/04/01/mas-de-866-y-23/

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Voglio anche informarvi che stiamo valutando il modo di organizzare l’Incontro, originariamente previsto ad Oventik nei giorni 16 e 17, nel Caracol Jacinto Canek, per evitarvi qualsiasi complicazione nei vostri trasferimenti. Resta confermato il 18 e 19 aprile, la sede è il CIDECI a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, aprile 2025

Immagini dei Tercios Compas Zapatistas

Musica Amparanoia, «Que te den»

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/04/08/mas-de-1000-35-y-27/

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PIÙ DI 866 E 23…

Mentre l’incontro di (Rebel y Revel) Arte sta per iniziare presso il caracol zapatista Jacinto Canek il 13 aprile 2025, presentiamo l’elenco degli artisti partecipanti:

Si sono iscritti più di 405 artisti provenienti da 23 diverse aree geografiche. A questi bisogna aggiungere gli oltre 500 artisti zapatisti che si esibiranno.

GEOGRAFIE DEGLI ARTISTI

Partecipanti iscritti di 23 paesi:

Alemania; Argentina; Belgio; Bolivia; Brasile; Cile; Colombia; Ecuador; Spagna; Stati Uniti; Francia; Grecia; Inghilterra; Italia; Giappone; Messico; Palestina; Perù; Polonia; Sudan; Svizzera; Turchia; Venezuela.

Di seguito presentiamo i loro nomi e la rispettiva disciplina artistica in base alla loro iscrizione:.

PARTECIPAZIONI COLLTTIVE REGISTRATE

Antipoesia
Errante Piratería Roja, México

Arti plastiche
Grupo Anarquista en Sudán, Sudán

Arti visive, poesia
Colectivo Colibrí, Estados Unidos

Artigianato e poesia visiva
Canción de Semilla, Estados Unidos

Cotto, ceramica
Colectivo la derrota, México

Ricamo
Artemisas Colectiva

Cinema
(No) Escuela Itinerante de Cine Comunal y Popular Primer Plano, Argentina;
Asamblea Maya Múuch´Xinbal, México;
Escuela Autónoma Otomi de la Casa de los pueblos y Comunidades Indígenas Samir Flores Soberanes, México;
Grupo Ukamau / Radiozapatista, México;
Mujeres y la Sexta, México;
Productora Salvaje de Corazón, México;
Sal Producoes, Brasil. Deuda x Clima, México

Circo
Colectiva Circotik, México;
Pallasos en Rebeldía, Mundo y sus alrededores

Collage, musica
Colectividad de jaraneras, México

Danza
Foramen Danza, México;
Guarecer, México;
Mafia Somática, México
Masewales en resistencia y rebeldía, México
Otra danza es posible, México;
Sentires Colectivos en Movimiento, México;
Zarah, México;
Mafia Somática, México

Scultura
Utopía, México

Fotografia
Brooklyn Eviction Defense, Estados Unidos;
Colectivo Bats’i Lab, Mexico;
Juventud Comunista de México, México;
Oleaje Negro, Colombia

Fotografia, scrittura
Lawen, colectivo documental, Argentina

Fotografia, poesia
Universidad Popular de los Pueblos UPP / Radio Chakaruna, Colombia

Incisione/linoleografia
Asociación Artística y Popular Palabra Revuelta, Bogotá;
EDELO, Estados Unidos;
Taller de gráfica la Chayotera, México

Grafica
ANTÍPODA, México;
Proyecto Bitácora de aguas, Red trasandina diaguita de mujeres y disidencias Ancestrías del Futuro, Chile

Grafica, cartellonistica, murales
Wons-BembaKlan, México

Letteratura
Andrea Sabina, México;
Ediciones del Espejo Somos, México;
Radio Zapatista, México:
Recherche AG / colectivo InvestigAcción, Alemania;
RedMyC Zapatista, México
Ta spol be, México

Magia, musica
Arturo y María, México

Musica
Amparanoia, Estado Español;
Artemisas colectiva, México;
Bariño y la jauria, México;
Centro Cultural Makarenko, México;
Colectividad de jaraneras, México-Estados Unidos;
Conshas Duras SkaPunk, México;
Cvo. Tajtolmej taltipak, México;
Dionisio Clan, México;
El Mastuerzo/Kloakascomunicantes, México;
Escuadrón Creyente, México;
Goldy Head, Chile-México-Perú-Estados Unidos;
Hunaac-cel (del colectivo DeBatl), México;
Juventud Comunista de México, México;
KARMHA (Kolectivo Artístico por la Recuperación de la Memoria Histórica y Activismo, México;
La mosca con Smoking, México;
La otra Rima, México;
Lakitas; Matriasaya, Chile;
Lengualerta, México;
Maldita Rabia, México;
Mecha Machaca, México;
Mexican Sound System, México;
Pankompuesto, Italia;
PalabrAndo, México;
Psicolexia;
Proyecto musical sentakwikat;
Red Universitaria Anticapitalista RUA, México;
Rude Boys Ska, México;
Sazón de María, México;
Son de Maíz (MSPS. Movimiento por la Soberanía Popular y el Socialismo), México;
Zopilote, Japón-México

Musica, pittura
Colectivo Abya Yala Iximulew/Guatemala

Narrativa/video
Komün Cinema, México

Parkour
Parkour de San Cristóbal Defying Gravity, México

Performance
Compañía Transnacional de Performance, México;
Grupo de arte acción Chanti olli (Gacho), México

Pittura
Antonio Ramírez, México;
Ciudades Invisibles de Universidad del Egeo, Grecia;
Clínica de Heridas, México;
Colectivo Callejero, México;
Diablitxs De Fuego, México;
Escuela Política Feminista travesías por la Paz Cali, Colombia;
Lucio Neftalí Espinosa García, México;
Mural Ambulante, Laboratorio Autogestivo de Arte Nómada, México;
Salvajes Viajeras y Tlalmino, México;
Tinta dulce, Chile

Poesia
Colectivo Mochosbij en común, México;
Pueblo KituKara Kara, Ecuador;
Poesía de Servilleta, México;
Vivxs nos queremos arte y acción feminista, Argentina, Italia, México, Polonia;
Xochitlanezi, México

Spoken Word
Regeneración Radio/ Frente Xonacatlán en Resistencia, México

Teatro
Luis de Tavira;
La Casa del Teatro, México;
Colectivo Teatral Mexicano Los Alichanes, México;
Alas Comunidad de Aprendizaje en Libertad, México;
Los Zurdos, México;
Colectivo Base Lunar, México;
Colectivo Teatro en Terrazas, México;
Los Huitlacoches teatro, México;
Laboratorio creativo escénico de San Cristóbal de las Casas, México (integrantes de España, Alemania, Italia, Argentina y México);
Vosque Azul/ Crisalium, México;
Zapamichis

Teatro, danza
Hierba Maga en colaboración con y Elisa Beltramini y Fobos y Deimos, Argentina-Italia-México.

Teatro, letteratura, musica
Tlalmino Teatro, México.

Teatro, performance
Teatro al Vacío, Argentina.

Teatro, poesia
La Pájara T´i, México.

Teatro dei Burattini
Ediciones guillotina/estilete, Italia;
Títeres Elwaky, Bolivia

PARTECIPAZIONI INDIVIDUALI REGISTRATE

Arte azione/performance
Katia Tirado, México

Arte tessile
Sofía Rosas, Argentina

Arti visive
David Julián Torres Martínez, México;
Elijah Burciaga, Estados Unidos

Cartografia
Natalia Dopazo

Cinema
Karla De la Garza, México;
Valentina Leduc Navarro, México

Collage
Rubén Romero, México;
Santiago Tomas, México

Collage, poesia
Samantha Davis, Estados Unidos

Danza
Carmen Aurora Glink Buján, Alemania;
Germán Pizano, México;
Héctor León, México;
Lis Ek (Gaina), México;
Liza Fernanda Bello Aranguren, Colombia;
María Aiko Guevara Yamaguchi, México;
Miriam Álvarez, México;
Olivia Silvestri, Italia;
Paulina Segura, México

Scrittura
Daniel Ely García Ramos, México

Scultura
Alfonso Zarate Ávalos, México;
Antoine Granier Nino, Francia;
Scarlet Bárcenas Martín, México

Scultura, letteratura
Paula Ramírez, México

Scultura, pittura
Cesar Molina Aldape, México;
Nabi Alonso Orozco Torres, México

Fotografia
Fabio Bertazzo, Italia;
Stephanie Malen Zambrano, Argentina;
Yuriria Pantoja Millán, México;

Grafica
Francisco Javier Yamilet Santin, México;
Gabriel Ávalos Sánchez (G r a b i e l _ G r a f i c a), México;
Norma Angélica Ávila Meléndez, México

Ilustrazione
Yosselin Guadalupe Molina Fernández, México

Letteratura
Alejandro Martínez Martínez, México;
Carlos Servin, México;
Carolina Fernández Ares, Argentina;
Concepción Suárez Aguilar (Coni), México;
Delmar Penka, México;
Israel González Ruíz, México;
Ricardo Pérez Peña, México;
Ruisdael Jose Vera Uribe, Venezuela / Ecuador

Letteratura, proiezioni
Brenda Núñez, México

Marionettte
Eleni Peppa, Grecia;
Miguel Angel Soto Robles, México

Musica
Alejandro Fernández Auza, México;
Ángel Silva (Pan Silva);
Arturo León Velasco, México;
Eder Nanclares Hernández, México;
Edgar Cajero Yañez, México;
Fernando Escobar Zúñiga, México;
Isaac Díaz Valderrama, México;
Katherine (Amanantu), Chile;
Luis Alberto Santoyo, México;
Luis Daniel Vallejo, Ecuador;
Nidia Barajas, México;
Omar Valencia Ayala, México;
Paola Maricela Jiménez Enríquez, México;
Yeudiel Infante, México

Musica, poesia
Maria Moctezuma Garcia, México

Performance
Alana Mendes, México;
Doerte; Pino Ninfa, Italia

Pittura
Barone Fernando Ezequiel, Argentina;
Brunetti María luz, Argentina;
Daira Ojeda Uribe, México;
Erick Tzucumo, México;
Gustavo Chavez Pavon, México;
Jordan Wade, Estados Unidos;
Kristina Martínez, México;
Liza Zaldívar Salazar, México;
Lucia Maza Lopez, México;
Marijose Ocampo, México;
Mario Benítez, México;
Mike Maese, México;
Pablo Ángel Lugo, México;
Ramiro Eduardo Mendoza, Argentina;
Rodrigo Díaz, México

Pittura, scultura
Chloe Bellange, Francia;
Selda Meriç Atalar, Turquía

Pittura, fotografia
Gabriel Flores Berber, México

Poesia
Cangell Portto (Ángel Camposeco), México;
Dulce Guadalupe Reyes López, México;
Elsa Canali, Italia;
Fernando Gabriel López López, México;
Gabriel Cruz, México;
Karen Torrente, Chile
Luis Eduardo Sánchez, México;
Malva Marina Carrera, México;
Oscar Rodrigo Espinosa de Aquino, México
Verónica Vázquez Teomitzi, México;
Yecenia Beatriz Mendez Manuel, México

Tatuaggio
Silvana Torres Septien, México

Teatro
Arturo Beristain Bravo, México;
Diane Studer, Suiza;
Felix Metzger, Alemania;
Guadalupe Errázuriz, Colombia;
Eduardo Sandoval, México;
Evan Guttell, Estados Unidos;
Joyce Islas, México

Teatro, clown
Maribel Aguilar Medina

Danza
Cande Martínez, Argentina

Scultura
David Arias Dijard, México

Letteratura
Édgar Núñez Jiménez, México

Musica
Chucho Rèves; Javier Otorongo;
Yael Antonio Espinosa García, México

Performance
María Laura Buccianti, Argentina

Pittura
Juan Erasto Molina Urbina, México; Walpaq, Argentina

Poesia
Rodrigo Espinosa

-*-

Il Caracol Jacinto Canek dispone di un auditorium al coperto con una capienza di 600 persone; un auditorium all’aperto con una capienza di 2.000 persone. È nuovo perché è appena stato ultimato.

Per ora è tutto.

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, Aprile 2025

https://vimeo.com/1071631192
Immagini dei Tercios Compas
Musica Mexikan Sound System «Somos la Fuerza»

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/04/01/mas-de-866-y-23/

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LETTERA DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, DEI GRUPPI, DEI COLLETTIVI, DELLE ORGANIZZAZIONI, DEI MOVIMENTI E DELLE PERSONE DEL MESSICO E DEL MONDO E DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE ALLE MADRI, AI PADRI E ALLE FAMIGLIE BUSCADORAS DI JALISCO E DI TUTTO IL PAESE

Alle madri, padri e alle famiglie buscadoras di Jalisco e di tutto il Messico,

A Tutt@ coloro che cercano chi ci manca.

Dal colore della terra che siamo, il Congresso Nazionale Indigeno e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, insieme alle organizzazioni, ai collettivi e alle persone che hanno deciso di firmare questa lettera, con dolore e rabbia facciamo nostro il lutto che inonda le campagne e le città per le oltre 124mila persone scomparse; e con rispetto ci rivolgiamo a tutti coloro che cercano instancabilmente tra la morte coloro che il potere criminale che governa questo Paese ci nasconde.

Ci rivolgiamo a coloro che non chiedono il permesso di esistere, perché la loro esistenza è resistenza. Non chiedono perdono perché cercano, perché nella loro ricerca c’è la verità che il sistema vuole nascondere, perché ci troviamo di fronte a un nemico che non solo vuole la nostra vita, ma anche il nostro futuro.

Condanniamo la campagna diffamatoria e la criminalizzazione portata avanti all’unisono da governi corrotti e gruppi criminali contro le madri, i padri e le famiglie; una campagna che mira a generare le condizioni per la repressione da parte dei governi o dei loro narco-paramilitari, capaci di generare crimini contro l’umanità come l’orrore del crematorio clandestino di Teuchitlán, Jalisco, che, comunque vogliano chiamarlo per cercare giustificazioni criminalizzando le vittime, è un centro di sterminio al servizio del capitale sostenuto e protetto da coloro che pretendono di governare questo Paese. Osserviamo con indignazione come questa strategia di screditamento e criminalizzazione sia simile a quella che i militari e il governo federale hanno sperimentato negli anni precedenti contro le madri e i padri dei 43 di Ayotzinapa ed i loro consulenti, un’altra ferita aperta, un altro inferno scatenato da questo narco-stato.

Noi, il popolo, vediamo come i cartelli criminali e i loro gruppi armati, in particolare il Cartello Jalisco Nueva Generación, sono protetti dai governi; come viene loro garantita l’impunità e il sostegno da parte di pubblici ministeri, giudici e forze di pubblica sicurezza, compresi i militari. Questi cartelli sono anche gli invasori agrari, sono le guardie delle miniere, dei parchi eolici, sono quelli che vendono l’acqua dei villaggi, che realizzano opere pubbliche e amministrano municipi, regioni e stati interi, che scommettono sulla privatizzazione della terra e le mettono un prezzo, sono quelli che dividono e mettono a confronto le nostre comunità, quelli che inondano di droga i territori indigeni, che rubano legnami pregiati, che gestiscono il traffico di esseri umani, sono i capoccia del lavoro schiavizzato nelle maquiladoras e nelle industrie agroalimentari, sono quelli che fanno della morte di bambini e giovani la loro strategia di espansione.

La violenza in cui oggi viviamo per rendere possibile tutto ciò che il cosiddetto governo di sinistra chiama sviluppo, quattro t o quattro lettere, l’abbiamo sperimentata solo nelle guerre sanguinose a cui siamo sopravvissuti. I mercenari al servizio del capitalismo avanzano imponendo un mondo governato dal denaro e dalla morte. I campi di sterminio, i paramilitari, le forze armate ed i corpi di polizia fanno tutti parte dello stesso meccanismo che espropria, uccide e fa sparire le persone.

Davanti a questo inferno e in nome di coloro che ci mancano, in nome della dignità e del coraggio che ci dimostrano i collettivi delle madri, dei padri e delle famiglie buscadoras, alziamo la voce e la memoria, chiedendo conto allo Stato messicano, alle sue istituzioni e agli interessi capitalistici che lo sostengono di qualsiasi danno arrecato alle madri, ai padri e alle famiglie buscadoras. La loro lotta è la nostra lotta perché in essa c’è la difesa della vita, della terra e dell’autonomia che sono le radici della speranza collettiva.

Sorelle e fratelli delle famiglie buscadoras, dei gruppi instancabili di madri e padri:

Siamo popoli indigeni che abitano la terra che sanguina.

Ascoltiamo il vento che urla il dolore e onoriamo il fuoco della candela che con la speranza non si spegne e disegna i nomi di coloro che sono stati portati via.

Perché chi cerca non è silenzio, è seme.

Non è lacrime, è memoria.

Non è sconfitta, è orizzonte.

Perché in ogni passo, in ogni grido, in ogni mano che si unisce, c’è un mondo sacro che nasce, che trasforma il lutto in lotta e costruisce, dal basso, verità e giustizia.

Invitiamo i popoli originari, le comunità in resistenza e la società consapevole ad alzare la voce e la memoria diffondendo dichiarazioni, realizzando azioni, murales, cerimonie ed eventi per chiedere giustizia. Perché nel ricordo dei nostri desaparecidos c’è il seme di un mondo nuovo, dove il capitale non governi, dove la vita valga più del denaro e dove le persone prosperino libere.

Per chi non c’è, per chi cerca, per chi resiste!

Vivi li hanno presi, vivi li rivogliamo!

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli!

Mai più un Messico senza di noi!

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/03/22/carta-del-congreso-nacional-indigena-grupos-colectivos-organizaciones-movimientos-y-personas-individuales-de-mexico-y-el-mundo-y-el-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional-a-las-madres-padres/

Messico:

Congreso Nacional Indígena

Agrupación Un Salto de Vida/ Jalisco

Ambientes Justos AC/ Jalisco

AMH/Veracruz

AMJI (Agrupación Mexicana de Judíes Interdependientes)/ CDMX

Antimonumenta Glorieta de las Mujeres que Luchan/CDMX

Antsetik ts’unun/ Chiapas

Asamblea de la Comunidad Indigena Binniza de Puente Madera/ Oaxaca

Asamblea de la Comunidad Indigena Chontal El Coyul/ Oaxaca

Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio – APIIDTT/ Oaxaca

Asamblea de Pueblos en Resistencia/ Jalisco

Asamblea General Permanente del Pueblo de San Gregorio Atlapulco/ CDMX

Asamblea Nacional por el Agua y la Vida

Asociación De Exploración Científica Y Recreativa Brújula Roja

Batallones Femeninos

Biblioteca comunitaria ambulante de Comachuen/ Michoacán

Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer, E.M. A.C./ CDMX

Brigada Cigarra/Jalisco

Brigada Dr. Ignacio Martín-Baró/ Jalisco

Brigada Ricardo Flores Magón/ Baja California Sur

Brigadas Emiliano Zapata de México (BEZ-MÉX)

Café filosofico ¿Qué piensas tú?/ Jalisco

Café Zapata Vive/ CDMX

Casa obrera de Tlaxcala/ Tlaxcala

Cátedra Jorge Alonso/ Jalisco

CDH Fray Bartolomé de Las Casas/ Chiapas

Cecomún, Centro de comunicación popular y acción colectiva/ CDMX

Célula Ana María Hernández. Partido de los Comunistas/Veracruz

Centro de Derechos Humanos – Espacios para la Defensa, el Florecimiento y Apoyo Comunitario (CDH-ESPADAC)/ Oaxaca

Centro de deŕechos humanos de los pueblos del Sur de Veracruz Bety Cariño/ Veracruz

Centro de Derechos Humanos LibrAdo RiverA SLP/ San Luis Potosí

Centro de Investigación en Comunicación Comunitaria A.C./México

Coalición de Ejidos de la Costa Grande Guerrero/ Guerrero

Colectiva Mujeres Purépecha/ Michoacán

Colectiva Mujeres que Luchan por la Vida/ Veracruz

Colectiva Rojo Amanecer/ Veracruz

Colectividad Nuestra Alegre Rebeldía/ Morelos

Colectivo 16 de Octubre-Calpulalpan/ Tlaxcala

Colectivo Callejero

Colectivo Chicuarotes Icnohuan/ CDMX

Colectivo Criptopozol+ DDHH/México

Colectivo Cuaderno Común

Colectivo culturAula

Colectivo de Grupos de la Asamblea de Barrios de la Ciudad de México (CG-ABCM)

Colectivo de Prácticas Narrativas

Colectivo De Profesorxs En La Sexta

Colectivo De Trabajo Cafetos

Colectivo Epistémico de Teoría Crítica COLEPI/Chihuahua

Colectivo Gavilanas

Colectivo Híjar/ CDMX

Colectivo Inlakech

Colectivo La Otra Calle/ Jalisco

Colectivo La Otra Justicia/ CDMX

Colectivo Las Abejas/ Querétaro

Colectivo Llego la hora de los pueblos

Colectivo Luciérnagas que Siembran/ CDMX

Colectivo Mochosbij en común/ Chiapas

Colectivo Panadero La Grieta

Colectivo Renovador Estudiantil Autónomo- UNAM/ CDMX

Colectivo Tierra y Libertad, Cuautla/ Morelos

Colectivo Transdisciplinario de Investigaciones Críticas – COTRIC

Comité Agua y Vida del Antiguo Valle de Xuchitlán/ Jalisco

Comité de Acompañamiento Escolasticas/ Querétaro

Comité de Lucha de la Escuela Superior de Economía (CLESE)/ CDMX

Comité de mujeres Chiapas Kurdistán

Comité Nacional para la Defensa y Conservación de Los Chimalapas/CDMX

Compas Arriba – Medios Libres/ Veracruz

Comunidad De Tlanezi Calli En Resistencia

Comunidad De Xochitlanezi/ CDMX

Comunidad Indígena Nahua CNI Milpa Alta/ CDMX

Comunidad Indigena Otomi Residente en la CDMX

Concejo Autónomo de Santiago Mexquititlán Amealco Querétaro/ Querétaro

Concejo de Mujeres Autónomas de la APIIDTT (COMAA)/ Oaxaca

Concejo Indígena de Xonacatlan/ Jalisco

Concejo Indígena y Popular de Guerrero Emiliano Zapata CIPOG-EZ/ Guerrero

Conciencia y Libertad/ CDMX

Cooperativa Vacaracol

Coordinadora común contra el porrismo y la represión + Komunidad Autogestiva Organizada Subversiva / CDMX

Coordinadora de Colonias de Ecatepec/ Estado de México

Cordinación Metropolitana Anticapitalista y Antipatriarcal con el CIG (CMAA)/México

Criptopozol + DDHH

Cuerpos parlantes_espacio feminista/Jalisco

Ddeser Jalisco

Edurne Beristain/ Jalisco

El Tekpatl periódico crítico y de combate/ Puebla

Escuela Autónoma Otomi/ CDMX

Espacio cultural educativo Tikosó/ Guerrero

Espacio de coordinación Grietas en el Muro/ CDMX

Espacio de Lucha contra el Olvido y la represión (ELCOR)/ Chiapas

Espacio de Mujeres de la Sexta Jovel/ Chiapas

Fanzinoteka Guerra Idealista/ Puebla

Frente Antifascista No-Binarie/ CDMX

Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y Agua Morelos, Puebla, Tlaxcala

Frente del Pueblo Resistencia Organizada/ CDMX

Frente en Defensa del patrimonio San Andrés Totoltepec/ CDMX

Grabados para la búsqueda/Jalisco

Grabados por la memoria/Jalisco

Grupo de La Puerta/Puebla

Grupo de Trabajo No Estamos Todxs/ Chiapas

Guardia Comunal Santa Ana Tlacotenco/CDMX

Guerrerxs sin fronterxs/ México-Estados Unidos

Hij@s del Maíz/ Tlaxcala

IALA Sierra Norte de Puebla

ILANCUEITL danza de las Tlacualeras/ CDMX

Instituto Cultural Autónomo Rubén Jaramillo Ménez/ Morelos

Instituto de Investigaciones Pedagógicas A.C./ CDMX

Judíxs por una Palestina Libre (JPL)/ CDMX

Juventud comunista de México

La Flor Periódico In Xóchitl in Cuicatl/ Puebla

La Komunidad Autogestiva Organizada Subversiva/ CDMX

La Otra en el Sur de Morelos

La voluntad del pueblo – Xochimilco/ CDMX

La Voz de Anáhuac – Sexta en Rebeldía

Liberteatro in yolotl/ Jalisco

Los Zurdos Teatro/ Estado de México

Maderas del Pueblo del Sureste A.C/ Oaxaca

Masewales en resistencia y rebeldía/CDMX

Mazatecas por la Libertad/ Oaxaca

Mexicali Resiste/ Baja California

Mexicanos Unidos

Morada Tropikal El Teatrito Yucatán

Movimiento Agrario Indígena Zapatista/ Puebla- Oaxaca

Movimiento de Muralistas Mexicanos

Mujeres Tierra/ Baja California

Mujeres Transformando Mundos/ Chiapas

Mujeres y la Sexta

Nawal del Arrabal/ CDMX

Nodo de Derechos Humanos – NODHO (Puebla)

Observatorio Memoria y Libertad/ CDMX

Ocotenco-Kuautlali

Organización Campesina de la Sierra del Sur Tepetixtla/ Guerrero

Organización Político Cultural CLETA/CDMX

Organización Popular Francisco Villa de Izquierda Independiente/ CDMX

Partido de los Comunistas

Proceso de articulacion de la Sierra de Santa Marta/ Veracruz

Pueblos Unidos de la Región Cholulteca y de los Volcanes/ Puebla

Que aparezca. Centro Voluntaries Junax/ Chiapas

Radio comunitaria Zacatepec/ Puebla

Radio Zapatista Sudcalifroniana/ Baja California Sur

Radio Zapote/ CDMX

Raíces en Resistencia

Raices en resistencia/ CDMX

Red De Apoyo Iztapalapa Sexta (Rais) Y Colectivos Que La Integran/ CDMX

Red de Resistencia y Rebeldía Ajmaq/ Chiapas

Red de Resistencia y Rebeldía en apoyo del CNI-CIG del Puerto de Veracruz

Red de Resistencia y Rebeldía Querétaro

Red de Resistencia y Rebeldia Tlalpan/ CDMX

Red Latinoamericana de Mujeres Defensoras de Derechos Sociales y Ambientales/ Jalisco

Red Mayense de Guardianas y Guardianes de Semillas/ Yucatán

Red Mexicana de Trabajo Sexual/CDMX

Red Morelense de Apoyo al CNI-CIG

Red Universitaria Anticapitalista/CDMX

Redmycz (Resistencias enlazando dignidad movimiento y corazón zapatistas)/ CDMX

Regeneración Radio/CDMX

Resiste Radio (Radio Comunitaria)/ CDMX

Resistencia Chinampera/CDMX

Resistencias Enlazando Dignidad-Movimiento y Corazón Zapatista

Resistrenzas Puebla

Retoño Rojo/ CDMX

Rizoma

Sangre de mi Sangre Zacatecas

Sexta por la libre Yucatán

Sociedad Agricola Ganadera El Coyul/ Oaxaca

Somos Abya Yala

Sueña Dignidad/ Estado de México

Tejiendo luchas

Tejiendo Organización Revolucionaria/ CDMX

Texthilo/ CDMX

Tlapaltik B’e cooperativa/ Puebla

Una mirada al centro del corazón Zapatista/ Estado de México

Unión de Comunidades Indígenas de la Zona Norte del Istmo. UCIZONI/ Oaxaca

Unión de Organizaciones de la Sierra Juárez Oaxaca, S. C.

Unión de pueblos cholultecas/ Puebla

Unión Popular Apizaquense Democrática Independiente/ Tlaxcala

UPREZ-Benito Juárez/ CDMX

Venas Rotas Discos/ CDMX

Vendaval, cooperativa panadera y algo más/CDMX

Voices in Movement

Yocoyani A. C./ Jalisco

Internazionali:

1936 Autogestion/ Argentina

20ZLN/ Italia

Abya Yala Rompe el Cerco/ Abya Yala

Alianza de Autonomías Colectivas (CAA)/ Finlandia

Asamblea de Mujeres y Disidencias del Movimiento por el Agua y los Territorios MAT/ Chile

Asamblea de Solidaridad con México del País Valenciano/ España

Asamblea Libertaria Autoorganizada Paliacate Zapatista/ Grecia

Asambleas de Solidaridad con lxs Zapatistas/ Francia

Associazione Ya Basta! Êdî Bese!/ Noreste de Italia

Batec Zapatista/ España

Canasta Solidaria Mihuna Kachun/ Perú

Centro de Documentación sobre Zapatismo (CEDOZ)/ Madrid

Chiapasgruppa LAG Noruega

Colectiva corazón del tiempo/ Argentina

Colectivo Armadillo Suomi/ Finlandia

Colectivo Calendario Zapatista/ Grecia

Colectivo LA Resistencia/ Estados Unidos de Amèrica

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo/ Italia

Confederación General del Trabajo (CGT) ESP/ España

Cooperazione Rebelde Napoli/ Italia

Eagle Condor Liberation Front/ Estados Unidos de América

Flor de la palabra – Collectif de traduction francophone de la Sexta/ Europa

Foro Internacional, Grupo México/ Dinamarca

Frankfurt International/Alemania

Furia Mexicana, colectiva antirracista/ Barcelona

Groupe CafeZ/ Belgica

Gruppe BASTA/Alemania

Hebraria Taller de Resistencia Textil (y textual)/ Argentina

La Chispa Prensa/ Argentina

Las Olas de Rebeldía/ Suiza

London Mexico Solidarity/ Reino Unido

Lumaltik Herriak/ Pais Vasco

Mirrors of the Global South / Espejos del Sur Global

Mujeres y disidencias de la sexta en la otra Europa y Abya Yala/ La Otra Europa

Mujeres y la Sexta – Abya Yala/ Abya Yala

Museo de Formas Imposibles (MIF)/ Finlandia

Nodo Solidale/ Italia

Red de Solidaridad con Chiapas de Buenos Aires/ Argentina

Red Sexta Grietas del Norte/ Estados Unidos de América

Schools for Chiapas/Escuelas para Chiapas/Estados Unidos de América- Chiapas

Somos Abya Yala

Taula per Mèxic/ España

Voces de Guatemala en Berlín/ Alemania

Y Retiemble, espacio de apoyo al EZLN y al Congreso Nacional Indígena (México) desde Madrid

Ya Basta Netz/Alemania

Individuali:

Adriana Zumaya/ CDMX

Alberto Colin/ México

Alberto Coria Jiménez/ Estado de Mèxico

Alejandra Hernández Bocanegra/ México

Alejandro Torres/ México

Alexandros Iliopoulos/ Grecia

Alexis Bernáldez/CDMX

Alfonso Leija Salas/ Morelos

Alina de Taranto/ CDMX

Alma Castro Rivera/ Baja California Sur

Alma Delia Mancilla/ Jalisco

Alma Ileana May/ Yucatán

Álvaro Salgado Ramírez/Guanajuato

Ana Fernanda López Serrano/ CDMX

Ana/ Chile

Andrea Iris Hernández Cárdenas/ Jalisco

Angélica Ramos/ Jalisco

Anna Lagonikou/ Grecia

Antonio Ramírez Chávez/Jalisco

Ariel Segura

Armando Gomez/ México

Armando Soto Baeza/ CDMX

Arturo Landeros/ Barcelona

Atahualpa Sofia Enciso/ Jalisco

Beatriz Lumbreras/ California

Beatriz Vela/ Jalisco

Bego Kapape/ Euskal Herria

Blanca Ibarra/ México

Blanca Ruiz/ CDMX

Brenda Ramírez/ Jalisco

Carlos Andrade/ CDMX

Carlos Manzo/ Oaxaca

Cassandra Cárdenas Pimentel/ CDMX

Ceci Péres Péres/ Puebla

Cecilia Candelaria/ CDMX

Cecilia María Salguero/ Argentina

Celeste Cruz/ CDMX

Cirio Ruiz González/ Veracruz

Claudia Fausti/ Argentina

Claudia Ledesma/ CDMX

Cora Jiménez Narcia/ CDMX

Cristina Vargas Bustos/ Morelos

Cybèle David/ Francia

Dainzú González/ Jalisco

Daniel Giménez Cacho/ CDMX

Dante Aguilera Benitez/ Sinaloa

David Barrios Rodriguez/ CDMX

David Flores Magón Guzmán/ Jalisco

David Jiménez/ Puebla

Deborah Dorotinsky/ CDMX

Diana Itzu Gutiérrez Luna/ Chiapas

Diana Jaqueline Ruiz Rodriguez/ San Luis Potosí

Diego García/ CDMX

Dolores Heredia/ La Paz, BCS

Dr. Gilberto López y Rivas/ Morelos

Dra Alicia Castellanos Guerrrero/ Morelos

Edgar A. Espinoza/ México

Efraín Rojas Bruschetta/ Puebla

Eloisa Torres/ Estado de México

Emilio Soberanes/ CDMX

Enrique Ávila Carrillo/ CDMX

Enrique Encizo Rivera/ Jalisco

Enrique Rajchenberg/ México

Estrella Karnala/ CDMX

Eva Nelly Chaire Mendoza/ Jalisco

Evgenia Kouniaki/ Grecia

Fabiana Bringas/ Argentina

Felipe I Echenique March/ México

Fernando Bedolla/ Jalisco

Fernando Espinal/ México

Fernando Guzmán/ Querétaro

Fernando Villegas/ Estado de México

Fiama/ Jalisco

Fidel Bolteada Cabañas/ Hidalgo

Filiberto Margarito Juan, Concejal CNI-CIG/ CDMX

Francisca Urias Hermosillo/ CDMX

Francisco Barrios “El Mastuerzo”/ México

Francisco Pérez/ CDMX

Gabriel Ek Cohuo/Yucatán

Gabriela Arroyo Morales/ CDMX

Gabriela Núñez/ CDMX

Gabriella Piccinelli/ Mèxico

Gerardo/ CDMX

Gilberto Piñeda Bañuelos/ Baja California Sur

Gorki Cuauhtemoc Buentello Pastrana/ Morelos

Graciela González Torres/ Jalisco

Guillermina Guía/ Argentina

Héctor Adrián Ramos López/ Jalisco

Héctor Tomás Zetina Vega/ Morelos

Hermax Rubén Román Suárez/Chiapas

Homero Avilés/ Baja California Sur

Humberto González Galván/ Baja California Sur

Iara/ España

Irma García Bautista/ CDMX

Israel Pirra/ Chiapas

Itzamna Hernández / CDMX

Iván Rincón Espríu

Ivan/ Tlaxcala

Jaime Diaz Díaz/Chile

Jaime Martínez Díaz/Hidalgo

Jaime Velasco/ Veracruz

Jenny Red/ CDMX

Jessica Trejo/ CDMX

Jesús Andrade Reyes/ Chiapas

Jesus Armando Jiménez Gutiérrez/ Chihuahua

Joel Alvarado Velasco/ México

Jorge Salinas Jardón/ CDMX

José Alejandro Barón Hernández/ Jalisco

Jose Antonio Huerta Meza/ Jalisco

José Antonio Olvera Llamas/ Morelos

José Luis Jiménez/Veracruz

Juan Carlos Etchegaray/ Argentina

Juan Carlos Rulfo/ México

Juan Trujillo Limones/ México

Juan Wahren/ Argentina

Julie Ferrua y Murielle Guilbert/ Francia

Julieta Egurrola/ CDMX

Julieta Flores/ México

Karla Edna García Rocha/ Mèxico

Katia Reyes/ México

Lena García Feijoo/ México

Leticia Miranda Firo/ Estado de México

Lia Pinheiro Barbosa/ Brasil

Lili Ruiz Iñiguez/Jalisco

Lilia Bocanegra/ México

Lilia G. Torres/ CDMX

Lizzet M.

Lizzet M./ Estado de México

Luciana Kaplan/ CDMX

Luis de Tavira/ CDMX

Luis Vidal Canul Vela/México

Lupa Serra/ Francia

Luz María Reyes Huerta/ Veracruz

Ma. Tiburcia Cárdenas Padilla/ Jalisco

Magos Rebelde/ CDMX

Malisa/Zacatecas

Manuel Rozental/ Colombia

Marcela Alejandra Mourenza/ Argentina

Margara Millan/ Morelos

María Antonia Oviedo Mendiola/ Oaxaca

María Blanco/ Perú

María del Carmen Martínez Genis/ Michoacàn

María Elena Aguayo Hernández/ CDMX

María Estela Barco Huerta/Chiapas

María Inés Roqué/ CDMX

Maria M. Caire/ Oaxaca

María Minera/ CDMX

Mariana Itzel/ Alemania

Marisa Yáñez Rodríguez/ Jalisco

Marisela López/CDMX

Martin Méndez Bustamante/ CDMX

Mauricio Villa/Baja California

Michelle Escobar/CDMX

Mireya Martinez Velasco/CDMX

Miria Gambardella/ Italia

Miztlitzin/ CDMX

Nadia Bautista/ CDMX

Natalia Beristain

Neptalí Monterroso Salvatierra/México

Nicolás Falcoff/Argentina

Nikos Arkoulis/ Alemania

Nohemi Catalina López Mendoza/Jalisco

Nora Tzec-Caamal/ México

Norte a 2/ Estado de México

Nuria/ CDMX

Obeja Negra/ Mèxico

Olar Zapata/ CDMX

Omar Felipe Giraldo/ Yucatán

Omar Martínez González/ Veracruz

Oralba Castillo Najera/ Morelos

Óscar García González/ CDMX

Patricia Borrego Cadena/ Chiapas

Pau Joseph/ España

Paulina Gutiérrez Jiménez/ CDMX

Paulino Alvarado Pizaña/ Puebla

Pedro Chávez Gómez/ Jalisco

Pedro D Mireles/ Texas

Pedro de Tavira Egurrola/ CDMX

Pedro Faro/ Chiapas

Peter Rosset/ Chiapas

Petra/ Alemania

Phidel Cedillo Martínez/ Veracruz

Polo Castellanos/ México

Profa Martha Lechuga/ México

Rafael Montero/ Chiapas

Raúl Pérez Ríos/ CDMX

Raúl Zibechi/ Uruguay

Raymundo Hernández/ México

Rebeca Nuño/ Jalisco

Roberto R. Contreras/ CDMX

Rosa/ CDMX

Sacni Acosta/ CDMX

Sandra Estrada Maldonado/ Guanajuato

Saul Cárdenas Bautista/Hidalgo

Señor Click/ Puebla

Sergio Araht/ Jalisco

Sergio Marcos IK/ CDMX

Sofia Arroyo

Sophie Alexander-Katz/ México

Stefanie Weiss Santos/ CDMX

Stephany Hernández/ Jalisco

Sury Cortés/Veracruz

Teresa de Hostos Olivar/ Puerto Rico

Teresa Roldán Soria/ Querétaro

Tito Fernando Piñeda Verdugo/ Baja California Sur

Ursula Pruneda/ CDMX

Valentina Leduc/ México

Valeria Sbuelz/ Argentina

Verónica Ferreyra/ Argentina

Veronica Gelman/ Argentina

Verónica Híjar González/ CDMX

Verónica M. Marín Martínez/ Jalisco

Verónica Meza Beltrán/ Jalisco

Vilma Rocío Almendra Quiguanás/ Colombia

Xóchitl Leyva Solano/ Chiapas

Yolanda Abrajan/ CDMX

Yolanda NM/ CDMX

Yumico K. Veliz Zepeda/ Jalisco

Ze Kreto/ CDMX

Zitla Violenta/Puebla

Ejército Zapatista de Liberación Nacional

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SENTITE…

SENTITE…

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Marzo 2025

Alla comunità artistica e intellettuale del Messico e del Mondo:

Sentite… Sappiamo che siete occupati con Trump, ma – non so se l’avete notato – stanno succedendo cose che terrorizzerebbero anche la persona più solida. Non sono eventi isolati o straordinari, sono frequenti, quotidiani, “comuni”, “normali”.

Qui ricordiamo che eravate soliti organizzare e partecipare a concerti, mostre, aste, lotterie, articoli e tavole rotonde a sostegno dei popoli indigeni.

Non vi contestiamo che non siamo più di moda, né che alcuni di voi hanno trovato riparo e salario nella 4T o nei suoi equivalenti nelle vostre geografie.

Ma ci sono cause nobili, giuste e vere, proprio qui, nella casa di fronte, proprio dietro l’angolo, a un’ora dalla frenesia della città. Una bambina, un bambino, una ragazza, un ragazzo, un adulto, una donna, una persona anziana, scompare. Ma qualcuno la ricorda, qualcuno sente la sua mancanza, qualcuno ha bisogno di lei, qualcuno la sta cercando.

I collettivi di cercatrici e cercatori non sono inclusi nel bilancio (anche se ora stanno cercando di “comprare” queste persone assegnando loro incarichi di governo), non ricevono attenzione mediatica quotidiana nonostante il loro lavoro sia quotidiano e si svolga da anni, da molti mandati governativi. È necessario aprire l’abisso di terrore che definisce la quotidianità di questa nazione come un vero e proprio incubo affinché ci si volti a guardare. Sì, sarà solo per pochi giorni… finché un nuovo scandalo non coprirà quello attuale.

A meno che non la pensiate come il leader del Senato (che sostiene che in realtà potrebbe trattarsi di un mercatino dell’usato o di un’attività che vende scarpe e abiti usati e non dei vestiti di centinaia di persone assassinate), qualcosa devono avervi smosso le testimonianze, le immagini, le urla, le candele, le turpi dichiarazioni delle autorità, la loro mancanza di empatia, la loro convinzione che questo Paese è ormai blindato di fronte all’orrore, alla morte, al cinismo.

Questa causa, quella di cercare e ritrovare le persone scomparse, non è una causa di partito. Inoltre, questi gruppi hanno lavorato duramente per tenere lontani i coyote e gli avvoltoi dei partiti politici e delle sigle che li accompagnano.

È umano, o almeno dovrebbe esserlo. Allora perché non una campagna in cui le arti e il pensiero si mostrino di fronte a questo orrore, sì, ma anche di fronte alla nobiltà e alla dignità di coloro che cercano verità e giustizia?

Ok, sappiamo che avete già pianificato le vostre vacanze, i tour, gli impegni, i compleanni, i matrimoni, poi c’è il meteo, fa molto freddo, fa molto caldo, piove; ma un giorno, solo un giorno in cui le arti e il pensiero si manifestino e facciano sapere alle persone cercatrici, buscadoras, che, almeno, hanno trovato l’umanità in questa geografia, il Messico, come spazio di dolore, di vergogna… e di lotta.

Queste persone, uomini e donne, non cercano soldi (cosa che il signor Beltrones non potrà mai capire), né una posizione (anche se non mancano gli avvoltoi), cosa che la 4T non comprende.

Cercano i loro cari, che ne hanno bisogno.

E che li trovino o meno, dovrebbero avere la soddisfazione di far vedere A TUTTI che coloro che sono assenti sono anche i nostri assenti.

Ognuno con la sua unicità, nella sua geografia, con il suo modo, con la sua conoscenza, immaginazione, creatività. Una giornata per abbracciare coloro che cercano instancabilmente. Un po’ di luce per chi cerca di rompere la notte dell’oblio. Almeno un giorno per ricordare loro e a noi stessi che anche la vergogna, l’empatia, la rabbia e la dignità sono umane.

Quindi, fratelli e sorelle delle Arti e del Pensiero, se ora rimanete in silenzio, niente e nessuno potrà trovarli.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

A nome delle bambine, bambini, donne, otroas, uomini e anziani zapatisti.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, marzo 2025

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2025/03/17/oigan/

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CONVOCAZIONE ZAPATISTA ALL’INCONTRO DI
ARTE, RIBELLIONE E RESISTENZA VERSO IL GIORNO DOPO

Marzo 2025

Le Assemblee dei Collettivi dei Governi Autonomi Zapatisti (ACEGAZ), le comunità zapatiste e l’EZLN invitano artisti di Teatro, Danza, Arti Grafiche, Musica, Scultura e Letteratura del Messico e del Mondo ad incontrarsi con gli artisti zapatisti:

(REBEL Y REVEL) ARTE:
ARTE, RIBELLIONE E RESISTENZA VERSO IL GIORNO DOPO

Che si terrà dal 13 al 19 aprile 2025 in 3 sedi: Caracol di Jacinto Canek, Caracol di Oventik e presso il CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Può partecipare chiunque abbia esperienza in una o più arti, sia contro il sistema capitalista, patriarcale, razzista, discriminatorio e criminale e, naturalmente, si senta invitato.

È permesso maledire il governo che si desidera. Naturalmente, sempre con Arte. Si possono usare forme minimaliste, come il già classico, unanime e globalizzato “Fuck Trump”, e/o i suoi equivalenti nelle vostre lingue, calendari e geografie.

Registrazione dei partecipanti (artisti) a: participantesencuentroabril@gmail.com

Registrazione degli spettatori a: asistentesencuentroabril@gmail.com

Pubblico in generale: entrata libera.

Si ricorda che in territorio zapatista sono proibiti la produzione, la vendita, il traffico e il consumo di alcol e droghe. Allo stesso modo, sono proibiti il traffico di esseri umani, il sessismo, la discriminazione, il razzismo, la compravendita della dignità, la resa e il cedimento.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, marzo 2025

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“La vida es el Común”

Appunti dall’incontro internazionale “Resistencia y Rebeldia” e dal trentunesimo anniversario dal Levantamiento Zapatista.

Sono stati giorni di dibattiti, festeggiamenti, musica e teatro in cui gli zapatisti hanno presentato il lavoro politico, soprattutto interno, che hanno fatto negli ultimi anni, almeno a partire dalla gira.

Hanno ribadito come sia chiaro ormai che la tempesta sarà lunga, durerà generazioni.

Il capitalismo è intrinsecamente necropolitico, il necrocene sembra non darci alternative (“paura e disperazione producono immobilità”).

Non basta sperare nella automazione (Marcos ha parlato di come la tecnologia oggi sia utile ad adattarsi allo sfruttamento) e nella redistribuzione (qualche salario migliore).

La soluzione viene dalle minoranze, da chi sta ai margini, da chi può vedere oltre.

Rispetto soprattutto alla gira europea, hanno insitito sul fatto che non bisogna pensare solo al negativo ma anche a quello che già si riesce e può fare (il costituente diremmo noi). Bisogna tornare a pensare il possibile (“l’utopia è un’arma caricata di futuro” ha detto nel suo intervento Ivan di Pallasos en Rebeldia).

Per gli zapatisti il problema non è più la vita o la morte come prima del Levantamiento (“o morimos peleando o morimos olvidados” ci hanno ricordato) ma cosa fare della propria vita.

Attingere a tradizioni pre-capitalistiche e pre-coloniali può essere un modo per pensare il fuori. O per riscoprire la propria genealogia.

Il punto politico più importante però è stato la presentazione del comune zapatista come via d’uscita dalla tempesta.

Una pratica più che una ideologia basata sul superamento parziale della proprietà privata sviluppata a partire da una serie di problemi.

Problemi interni: migrazione dalle comunità e inefficienza delle istituzioni autonome.

Problemi col mal governo: programma sembrando vita (ribattezzato “sembrando muerte”) che sta impattando sulla proprietà della terra e quindi sulla struttura sociale, oltre all’uso folkloristico dei popoli indigeni.

Problemi col crimine organizzato: espulsione dai villaggi.

Il Comune è prima di tutto una pratica fatta di lavori collettivi, gestione collettiva e decisione collettiva.

La difesa delle terre recuperate passa anche dalla lavorazione collettiva (un’inversione rispetto alla lavorazione privata di proprietà comune come è stato finora).

Hanno insistito sulla necessità di migliorare i servizi, soprattutto quelli legati alla salute.

Hanno presentato la nuova struttura dei GAL (governo autonomo locale) che parte dalle assemblee locali vs la piramide delle giunte del buon governo.

Va registrata un’importante apertura anche a chi non è zapatista nell’uso, nei lavori e nelle attività. Gli incontri sono stati trasmessi online e non è un caso. 

Più in generale, si può far tesoro della critica del progressismo anche e soprattutto di sinistra e della ricerca di pratiche per rompere l’individualismo liberista.

Nella visione del futuro presentata dalle e dai giovani zapatisti tramite una rappresentazione teatrale il capitalismo non viene sconfitto (da un partito, da una ribellione) ma implode a causa di un disastro climatico-nucleare.

Costruire il comune vuol dire andare al di là di differenze ideologiche (politiche, religiose) o di razza, genere, cittadinanza ma partire da obiettivi condivisi. Non contano le identità ma le pratiche e i desideri. 

Si tratta di una soluzione situata, hanno precisato, elaborata e funzionale per i popoli contadini del Chiapas, in altri luoghi e in altre strutture sociali ognuno deve sperimentare le proprie pratiche.

Un invito a tutte e tutti noi.

Maurilio Pirrone https://www.facebook.com/maurilio85

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Per i 31 anni della sollevazione zapatista l’EZLN ha aperto ad un nuova fase della sua storia politica. Qui è possibile riascoltare e vedere tutto: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/12/27/transmision-en-vivo-de-las-mesas-de-la-primera-sesion-de-los-encuentros-de-resistencia-y-rebeldia/

Se vuoi far prima qui ho scritto delle cose di ritorno dal Cideci e Oventik: https://ilfinestrino.substack.com/p/la-rivoluzione-zapatista-e-una-storiaehttps://ilmanifesto.it/ezln-31-anni-di-rivolta-torna-marcos-vogliamo-un-mondo-plurale e qui per Radio Onda D’Urto: https://www.radiondadurto.org/2025/01/01/messico-corrispondenza-dal-chiapas-a-31-anni-dallalzata-in-armi-zapatista/
Zapatiste e zapatisti inviteranno collettivi ed organizzazioni in lotta di tutto il mondo per la prossima estate a confrontarsi in uno spazio di valorizzazione delle differenze e che non cerca omogeneità, su come superare il capitalismo. Per chi fosse interessato il consiglio è tenere le antenne sintonizzate. 
Negli incontri hanno detto che la sala operatoria ed il laboratorio clinico per cui la rete Europa Zapatista sta raccogliendo i fondi è in costruzione nel Caracol VIII di Dolores Hidalgo. Qui il link per partecipare al crowdfunding: https://gofund.me/abf30398
Sempre per questa campagna 20ZLN e Militanza Grafica hanno lanciato una Campagna Grafica, un poster per raccogliere fondi e appoggiare la costruzione della sala operatoria: https://www.militanzagrafica.it/p/una-sala-operatoria-nella-selva-lacandona-poster/
Sia Militanza Grafica che 20ZLN sono disponibili per iniziative per presentare la campagna, raccontare l’evento, mostrare il documentario La Grieta ed un altro breve video in fase di ultimazione. 

Andrea Cegna

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https://collegamenti.noblogs.org/files/2024/12/Collegamenti-n-8-newsletter-4.pdf

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QUI I VIDEO E GLI AUDIO DEGLI INCONTRI INTERNAZIONALI PRESSO IL CIDECI https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/12/27/transmision-en-vivo-de-las-mesas-de-la-primera-sesion-de-los-encuentros-de-resistencia-y-rebeldia/

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PROGRAMMA DELLA PRIMA SESSIONE DEGLI INCONTRI INTERNAZIONALI
DI RESISTENZE E RIBELLIONI.
Tavoli e Relatori.

Di seguito il programma:

Sabato 28 dicembre 2024. Sede Cideci-Unitierra. SCLC, Chiapas, Messico.

Tavolo I: La tormenta: il crimine, il carnefice e le vittime.
Partecipano: Jorge Alonso, John Holloway, Carlos Aguirre Rojas e Iván Prado.
Ore 12:00 Sede Cideci-Unitierra. SCLC, Chiapas, Messico.

Tavolo II: La tormenta capitolo Messico: il delitto, il carnefice e le vittime.
Partecipano: Carlos González, Jacobo Dayán, Bárbara Zamora, Inés Durán e Raúl Romero.
Ore 16:00 Sede Cideci-Unitierra. SCLC, Chiapas, Messico.

Tavolo Ribellione e Resistenza Zapatista. Parte I
Genealogia del Comune Zapatista.
Subcomandante Insurgente Moisés e membri del CCRI-CG dell’EZLN.

E

La Coffa della Vedetta: Un lungo sguardo verso ieri.
Capitán Insurgente Marcos.
Ore 19:00 Cideci-Unitierra. SCLC, Chiapas, Messico.

-*-

Domenica 29 dicembre 2024. Sede Cideci-Unitierra. SCLC, Chiapas, Messico.

Tavolo Ribellione e Resistenze Parte II. Donne.
Partecipano: Anselma, compagna otomí della Casa de los Pueblos y Comunidades Indígenas “Samir Flores Soberanes”. Sylvia Marcos. Comandantas del CCRI-CG dell’EZLN e autorità delle Assemblee dei Collettivi di Governo Autonomi Zapatisti.
Ore 12:00 Cideci-Unitierra. SCLC, Chiapas, Messico.

Tavolo Ribellione e Resistenza Zapatista. Parte III.
I Primi Passi del Comune Zapatista.
Subcomandante Insurgente Moisés, membri del CCRI-CG dell’EZLN e promotrici e promotori del Sistema di Salute Autonomo Zapatista.

E

La Coffa della Vedetta: Segnali per il domani.
Capitán Insurgente Marcos.
Ore 17:00 Cideci-Unitierra. SCLC, Chiapas, Messico.

-*-

Festival Culturale Zapatista e firmatari della Dichiarazione per la Vita.
Da lunedì 30 gennaio a mercoledì 2 gennaio 2025 compreso. Caracol di Oventik.

“Il Collasso e il Giorno Dopo. Le Parti e il Tutto”.
Opera Teatrale in 12 atti.
Ragazzi e ragazze dei 12 caracol.

Spettacoli artistici di danza e musica dei firmatari della Dichiarazione per la Vita
e dei compagni musicisti zapatisti.
Ballo di fine anno 2024 e inizio 2025.
dal 31 dicembre al 1° gennaio.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, dicembre 2024

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/12/03/programa-de-la-primera-sesion-de-los-encuentros-internacionales-de-resistencias-y-rebeldias-mesas-y-ponentes/

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Incontri Internazionali di Ribellioni e Resistenze 2024-2025

DATE E LUOGHI DELLA PRIMA SESSIONE. DICEMBRE 2024 – GENNAIO 2025

A tutte le persone, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti e popoli originari che hanno firmato la Dichiarazione per la Vita:

Di seguito comunichiamo le date e i luoghi della prima sessione degli incontri di Ribellioni e Resistenze.

Dicembre 26-27.- Arrivo e registrazione. Registrazione on-line all’indirizzo email:

encuentrodiciembre24enero25@gmail.com

Registrazione possibile anche in presenza.

Attenzione: Non sarà consentito l’ingresso a funzionari municipali, statali e federali di qualsiasi livello.

Dicembre 28 e 29.- Conferenze presso CIDECI-UNITIERRA, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico.

Dal 30 dicembre del 2024 al 2 gennaio 2025.- Festival Culturale nel caracol di Oventik.

Abbiamo scelto le sedi pensando a quali sarebbero stati i luoghi più sicuri per il vostro trasferimento e soggiorno.

Nei prossimi giorni daremo l’Agenda e il programma di partecipazione.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, novembre 2024

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/11/30/encuentros-internacionales-de-rebeldias-y-resistencias-2024-2025-fechas-y-sedes-de-la-primera-sesion-diciembre-2024-a-enero-2025/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Comunicado de EuropaZapatista

24 de octubre de 2024
No más violencia contra las comunidades y bases de apoyo zapatistas.
No más violencia en Chiapas.
¡Basta de guerra para controlar y extraer riqueza de los territorios y la vida!

La violencia que combina criminalidad e intereses capitalistas invade México y afecta continuamente el autogobierno zapatista. En un comunicado publicado el 16 de octubre, el EZLN, en voz del Subcomandante Insurgente Moisés, denunció la situación estructural de agresión que vive la comunidad Seis de Octubre, que forma parte del Caracol IX, En Honor a la memoria del Compañero Manuel, sito en el Poblado Nuevo Jerusalén. Tierra recuperada. Municipio oficial de Ocosingo.
La creciente violencia es creada arteramente, «los nuevos proyectos de desarrollo» de los gobiernos de la Cuarta Transformación se basan en poseer campos, y poder demostrar la propiedad y uso de los mismos.
Para acceder a estos proyectos, y para tomar posesión de los campos que han sido ocupados durante décadas y utilizados colectivamente por miembros del EZLN, hay quienes están dispuestos a matar, violar, amenazar. La violencia en Chiapas, el choque al interior de las comunidades, se genera por decisión política y encuentra como cómplices a sujetos cercanos al crimen organizado. Las relaciones entre la política y el crimen organizado se sueldan en nombre del control del territorio, del reparto de las limosnas dispuestas por el gobierno federal, y sobre todo de la eliminación de las formas de resistencia, de quienes, como los zapatistas y las zapatistas, no aceptan migajas y sueñan con un mundo diferente.
Claudia Sheinbaum dijo que atendería el tema de la seguridad en Chiapas, ¿es esta su idea de “abrazos y no balazos”? ¿Es ésta su idea de un país «democrático»?
Chiapas es un polvorín, cada una de sus fronteras es un territorio de confrontación por el control del flujo de mercancías y personas, cada una de sus comunidades un lugar de provocación para borrar la anomalía zapatista y hacer desaparecer las tierras recuperadas a los finqueros en 1994, y que son trabajadas en común por los zapatistas. El EZLN con “el común” ha hecho una propuesta de paz y colaboración, una propuesta que rompe la lógica de la propiedad y la dependencia de gobiernos, partidos y proyectos que más que desarrollo sería justo llamar de «control». La respuesta del capitalismo organizado es la desplegada por el gobierno y los grupos criminales.
Exigimos el fin de las hostilidades en Chiapas, y en todo México.
Exigimos respeto a las formas autónomas de gobierno con las que se organizan los pueblos originarios de México.
Exigimos posicionamientos públicos en contra de las políticas del gobierno de Morena que pretenden no sólo dividir a los pueblos originarios, sino legitimar los enfrentamientos y la violencia al degradarlos a disputas territoriales.
Expresamos nuestra mayor solidaridad con las mujeres, hombres, ancianos, niñas y niños de la comunidad 6 de Octubre, y con quienes viven situaciones similares de violencia, amenazas y desplazamiento forzado.
Expresamos nuestro acompañamiento y apoyo solidario, a las bases de apoyo del EZLN hoy amenazadas y al proyecto del EZLN de construir un mundo que contenga muchos mundos, y donde la ética siempre esté por encima del despojo y la vida sea más importante que el capitalismo (en cualquiera de sus formas y fases).

Basta con la violenza contro le comunità e le basi di appoggio zapatiste.
Basta con la violenza in Chiapas.
Basta con la guerra per controllare ed estrarre ricchezza dai territori e dalla vita!

La violenza che unisce criminalità e interessi capitalistici invade il Messico e colpisce continuamente l’autogoverno zapatista. In un comunicato pubblicato il 16 ottobre, l’EZLN, per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, ha denunciato la situazione strutturale di aggressione nella comunità 6 de Octubre, che fa parte del Caracol IX, In Onore della Memoria del Compagno Manuel, situato nel Poblado Nuevo Jerusalén. Terra recuperata. Comune ufficiale di Ocosingo.
La violenza crescente è creata ad arte, i “nuovi progetti di sviluppo” dei governi della Quarta Trasformazione si basano sul possesso della terra e sulla possibilità di dimostrarne la proprietà e l’uso.
Per avere accesso a questi progetti e per impossessarsi dei campi occupati da decenni e utilizzati collettivamente dai membri dell’EZLN, c’è chi è disposto a uccidere, stuprare e minacciare. La violenza in Chiapas, gli scontri all’interno delle comunità, sono generati da decisioni politiche e trova come complici soggetti vicine al crimine organizzato. Il rapporto tra politica e criminalità organizzata si salda in nome del controllo del territorio, della distribuzione di elemosine da parte del governo federale e soprattutto dell’eliminazione delle forme di resistenza, di chi, come gli zapatisti e le zapatiste, non accetta le briciole e sogna un mondo diverso.
Claudia Sheinbaum ha detto che avrebbe affrontato la questione della sicurezza in Chiapas, è questa la sua idea di “abbracci e non pallottole”? È questa la sua idea di un Paese “democratico”?
Il Chiapas è una polveriera, ogni sua frontiera è un territorio di scontro per il controllo del flusso di merci e persone, ogni sua comunità è un luogo di provocazione per cancellare l’anomalia zapatista e far sparire le terre recuperate dai contadini nel 1994, che sono lavorate in comune dagli zapatisti.
L’EZLN con “el comun” ha fatto una proposta di pace e collaborazione, una proposta che rompe la logica della proprietà e della dipendenza da governi, partiti e progetti che sarebbe giusto chiamare di “controllo” piuttosto che di sviluppo. La risposta del capitalismo organizzato è quella messa in campo dal governo e dai gruppi criminali.
Chiediamo la fine delle ostilità in Chiapas e in tutto il Messico.
Chiediamo il rispetto delle forme di governo autonome attraverso le quali si organizzano i popoli originari del Messico.
Esigiamo prese di posizione pubbliche contro le politiche del governo di MORENA che cercano non solo di dividere i popoli nativi, ma anche di legittimare gli scontri e la violenza degradandoli a dispute territoriali.
Esprimiamo la nostra massima solidarietà alle donne, agli uomini, agli anziani, alle ragazze e ai ragazzi della comunità 6 de Octubre e a quanti vivono situazioni simili di violenza, minacce e sfollamento forzato.
Esprimiamo il nostro accompagnamento e sostegno solidale alle basi di appoggio dell’EZLN che oggi sono minacciate e al progetto dell’EZLN di costruire un mondo che contenga molti mondi, dove l’etica sia sempre al di sopra dell’espropriazione e la vita sia più importante del capitalismo (in qualsiasi delle sue forme e fasi).

Firman:
Mujeres y Disidencias de la Sexta en la Otra Europa y Abya Yala
CEDOZ – Centro de Documentación sobre Zapatismo
20ZLN
Lumaltik Herriak
Associazione Ya Basta Êdî Bese! (Noreste de Italia)
Caracoleras de Olba
Unión de Sindicatos Solidaires de Francia
Y Retiemble
Cafè Rebeldía-Infoespai
Cooperazione Rebelde Napoli – Italia
Cafe Libertad
Café Libertad Kollektiv, Hamburgo, Alemania
Kinoki
Zapatisten Lagunak
Pallasos en Rebeldía
Groupe CafeZ – Liège, Bélgica
Progetto Libertario Flores Magon
GRafica Independiente Solidaria
Calendario Zapatista
Asamblea Libertaria Autoorganizada Paliacate
Zapatista, Grecia
Colectivo Armadillo Suomi,
Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo
Associazione Ya Basta! Milano
Frankfurt International
Kurdish Democratic Society Center, NCDK
Finland.
Museo de las Formas Imposibles (MIF)
Deuda por el clima (Finlandia)
Oulu Utopia
Tanssiva Emma
Taivo
Oulu Anarkistiliitto
Colectivo Cogullo, Essen, Alemania
Gruppe B.A.S.T.A., Münster, Alemania
Ya Basta Rhein-Main, Frankfurt, Alemania
Ya Basta Netz, Alemania
Gruppe B.A.S.T.A., Münster
Mut Vitz 13 (Francia)
Cal Cases – Catalunya
Txiapasekin
Comunità di resistenza contadina Jerome Laronze
Grupo México del Foro Internacional, Dinamarca
Nodo Solidale Roma
Colectivo Zapatista de Lugano, Suiza
SOA il Molino, Suiza
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
UNIONE SINDACALE ITALIANA USI 1912
Usicons aps nazionale
Associazione Ya Basta! Marche OdV
RETE VESUVIANA SOLIDALE
Circolo Anarchico Camillo Berneri di Bologna
Giaz (gruppo informale di acquisto zapatista)
Grupo “Semillas”
Asamblea El Sur Resiste Berlin
Gemeinsam kämpfen
Comite de amig@s, Wendland
Quinoa asbl (Bélgica).
London Mexico Solidarity
Tatawelo Italia
Commmission de traduction francophone du Voyage pour la vie – Collectif de traduction Flor de la palabra
Frankfurt International
FAU Bonn, AG Sexta
Netz der Rebellion Hannover
Ventana al Sur
Solidar-Ökonomie-Hannover
Solidarisches Mittelhessen
die Seitannerie
München International
Women Defend Rojava Alemania
Mexiko Solidarität Austria
Defend Kurdistan Graz
Graz International
Bizilur
Comitato piazza Carlo Giuliani odv
Circolo A.R.C.I Terra e Liberta’ (Como)
Santafede Liberata – Napoli
Laboratorio Sociale Largo Tappia (Ass. Culturale L’Orda d’Oro)
Csa intifada /Comunità in Resistenza Empoli
Partito della Rifondazione Comunista – Federazione di Genova
Casa Madiba Network (Rimini)
Cortocircuito FlegreoFanzine Il Basso

Individuales:
Simona Ferrari
Walter Gussoni
Laura Corradi, Professora
Haidi Gaggio Giuliani – Genova
Mari Casalucci, assemblea Corpi e Terra NUDM
Carea e.V., Alemania
Dr. habil. Raina Zimmermann, WeltTrends Institut
für Internationale Politik, Potsdam
Angela Müller, Arbeitsgemeinschaft bäuerliche
Landwirtschaft e.V.
Fabio Bianchi
Erica Di Florio – Referente BDS Lanciano
Andrea Botti
Giovanni Ferretti – Segretario Partito della
Rifondazione Comunista – Federazione di Genova

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Il Chiapas torna a far parlare di sé

Aldo Zanchetta 23 Ottobre 2024

La resistenza zapatista, la resistenza civile e quella della diocesi di San Cristóbal de Las Casas cercano di opporsi alla violenza quotidiana di paramilitari, organizzazioni criminali e stato, tra militarizzazione, commercio della droga e politiche estrattive. Il Chiapas, come dimostra l’uccisione del sacerdote indigeno Marcelo Pérez, è ormai sull’orlo di una guerra civile.

Il Chiapas torna al centro delle attenzioni mediatiche, purtroppo per tragiche notizie. Le guerre a Gaza e in Ucraina stanno oscurando i molti altri conflitti presenti nel mondo, ma anche in essi c’è l’escalation di violenza che i due ora citati mostrano. Sembra essere un segno del tempo in cui viviamo.

Il 18 ottobre 2024 un articolo di Luis Navarro, autorevole giornalista de La Jornada, principale quotidiano messicano, aveva per titolo «Chiapas, la guerra civile è alle porte». Cosa sta accadendo?

La situazione è complessa e non facile da riassumere, perché ha lunghi precedenti storici risalenti ai tempi di Cristóbal Colón e al suo arrivo in quelle terre nel 1492. Ma proviamo ad esaminare solo i fatti più recenti, quelli degli ultimi venti giorni. Non senza però aver ricordato in stringatissima sintesi i loro precedenti negli ultimi trent’anni, che i giovanissimi forse non conoscono: l’insurrezione nel 1994, proprio in Chiapas, degli indigeni di sette etnie diverse, ben cinque delle quali con radici maya. Data scelta simbolicamente perché proprio in quel giorno entrava in vigore il Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord.

Il simbolo unificante di queste diversità etniche fu il ricordo della rivoluzione di Villa e Zapata del 1910 al grido di “Terra e Libertà”. Qui, nel sud contadino del paese, il ricordo predominante era in realtà quello di Emiliano Zapata (sebbene la sua insurrezione avesse appena sfiorato gli Stati del Sudest) e non quello di Villa, eroe invece del nord operaio. Per questo l’insurrezione fu definita zapatista. Il giorno scelto fu quello dell’entrata in vigore del trattato di libero commercio fra Stati Uniti, Canada e Messico, che avrebbe causato la morte del vasto mondo contadino messicano. Uno dei “credo” del capitalismo neoliberista è che i contadini necessari in un paese sono una piccola percentuale della popolazione totale. L’eccedenza della forza lavoro deve diventare la massa operaia operante nell’industria.

La speranza degli insorti era che la loro insurrezione si sarebbe estesa al resto del paese, cosa che non avvenne. Però la grande maggioranza della popolazione manifestò massivamente per il raggiungimento di un accordo di pace, obbligando l’oligarchia al governo ad avviare la trattativa per la pace e a sospendere la repressione selvaggia che subito era stata ordinata.

Gli accordi di pace, elaborati nel corso di lunghe ed estenuanti trattative, non sono mai stati ratificati dal governo, e ancora oggi la situazione si regge su un fragile accordo di tregua dei combattimenti, che viene da allora rinnovato. Agli insorti venne concesso qualche riconoscimento sulle terre occupate nei primi giorni di guerra, per lo più latifondi non coltivati, preziosi per gente affamata di terra da coltivare.

I vari governi, da allora, commissionano la prosecuzione della guerra, sotto altra forma, a realtà indigene e contadine rimaste “fedeli”, i cosiddetti “paramilitari”, che hanno continuato a esercitare violenze sulle comunità zapatiste che unilateralmente avevano riconosciuto come valevoli gli accordi non ratificati, che però erano stati raggiunti e accettati dall’allora delegazione governativa, ma non dal governo che pure l’aveva nominata.

La situazione, di per sé difficile, negli ultimi anni si è fatta, se possibile, ancora peggiore per l’aggiunta di nuovi attori di violenze, i “cartelli” della droga, in lotta fra loro per assicurarsi il pieno controllo della striscia di territorio confinante col Guatemala, paese di provenienza di gran parte della droga destinata agli Stati Uniti, che di lì deve passare.

Questo il quadro in cui si stanno svolgendo gli avvenimenti di questi giorni, che vedono il passaggio del potere governativo centrale (il Messico è una Repubblica federale presidenziale composta da ) dal presidente Andrés Manuel López Obrador (AMLO) alla presidente Claudia Sheinbaum, avvenuto l’1 ottobre scorso.

La resistenza zapatista, la resistenza civile e quella della diocesi

La pressione e le violenze sulle comunità zapatiste da parte della nuova realtà che potremmo definire para-narco-militare sono state forti, con sequestro e uccisione di persone, violenze sessuali, espulsioni forzate di interi villaggi, distruzione di raccolti. Malgrado questo gli zapatisti, ristrutturata la loro organizzazione per fare fronte alla nuova situazione, in un comunicato dell’8 ottobre, firmato dal subcomandante Moisés, hanno annunciato la ripresa di incontri internazionali a partire dalla fine di quest’anno e per tutto il corso del 2025. Un programma denso, come sempre creativo secondo il loro stile, e assolutamente interessante. Il primo dei sei periodi di incontri era annunciato per la seconda metà del prossimo dicembre, indicativamente nella comunità «6 de Octubre», in un territorio ancora relativamente tranquillo perché al centro di una zona circondata da comunità zapatiste. Pochi giorni dopo però i narco sono arrivati nella zona a minacciare la comunità, utilizzando anche un drone per intimorire la gente, e hanno minacciato di morte alcune basi di appoggio zapatiste.1Di fronte all’aggravarsi della situazione anche in questo territorio ritenuto relativamente tranquillo, l’EZLN ha responsabilmente sospeso il programma da poco annunciato, al quale come tradizione non rinuncerà, ma che dovrà essere ripensato.

La situazione, in Chiapas e non solo, è insostenibile da tempo. Così nei mesi scorsi, di fronte all’inerzia, se non addirittura complicità del governo centrale e di quelli statali, organizzazioni indigene e contadine di venti Stati del paese hanno formulato una denuncia documentata che hanno diffuso chiedendo che cittadini di altri paesi vi apponessero la propria firma, con l’obiettivo di generare una pressione sul governo messicano affinché esca dall’immobilità di fronte alla situazione. Il documento con le firme venne presentato pubblicamente assieme a uno scritto dell’intellettuale indigeno Francisco López Bárcenas. Parallelamente a questo, il CNI (Consiglio Nazionale Indigeno che riunisce i rappresentanti di oltre quaranta etnie indigene del paese) e il Frayba (Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, organizzazione civile creata nel 1989 dal vescovo Samuel Ruiz)2, hanno promosso una delegazione che in questi giorni sta visitando vari paesi europei per informare sulla reale situazione nel paese, in modo da far crescere una pressione sul governo messicano. La commissione, composta da cinque indigeni del CNI di etnie di vari Stati e un indigeno del Frayba, è stata anche in Italia tenendo incontri in cinque città.

Da parte sua, la diocesi di San Cristóbal de Las Casas, in prima linea nella difesa delle libertà civili e dei diritti umani fin dal tempo in cui era retta dal vescovo jTatic Samuel Ruiz, nei giorni scorsi ha organizzato un incontro degli ottocento catechisti indigeni della diocesi con la presenza di quattrocento indigeni. Così l’ha descritta in un suo servizio Raúl Zibechi: «I partecipanti provengono dalle sette zone appartenenti ad altrettante culture autoctone. Nel corso di quest’anno, ogni zona ha tenuto il suo pre-congresso per condividere dolori e sofferenze, gioie e speranze. (…) Tutti gli interventi hanno denunciato la violenza generalizzata, gli sgomberi forzati e le uccisioni, l’inerzia dello Stato e la necessità di costruire la pace anche in mezzo alla violenza» (Zibechi, «Arare la pace in mezzo alla guerra»). I cartelli della droga, cui i catechisti delle varie comunità cattoliche resistono, organizzando la resistenza nelle comunità, hanno reagito pochi giorni dopo assassinando uno dei sacerdoti più attivi in questa resistenza, padre Marcelo Pérez (si veda il comuicato del Frayba e l’articolo di Comune-info: «Marcelo vive»).

La situazione generale

Questo non è un saggio, e vogliamo che sia leggibile da un comune lettore che voglia restare aggiornato sulla situazione di due fra le esperienze più importanti e innovative, ciascuna nel proprio campo, che questo trapasso di secolo di accresciuta violenza ci ha offerto. Due squarci essenziali su nuove possibilità di percorso verso un mondo nuovo.

Purtroppo quello che a breve si prospetta è una guerra civile, in Chiapas e non solo. L’ipotesi è venuta alla ribalta in questi giorni terribili, formulata nel già citato articolo («Chiapas, la guerra civile è alle porte») di Luis Navarro, che fin dall’inizio dell’insurrezione zapatista ne aveva seguito con acutezza di analisi le vicende. Ma per essere precisi e dare a Cesare quel che è di Cesare, i primi a formulare l’ipotesi, tre anni or sono, sono stati gli stessi zapatisti, con un comunicato del 19 settembre 2021 del «Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale», a firma dell’allora subcomandante Galeano (ex Marcos), dal titolo «Chiapas sull’orlo della guerra civile».

Per concludere

Un’ultima considerazione sulla ricordata iniziativa di raccolta internazionale di firme poi presentata ufficialmente in Messico e sul giro in Europa, attualmente in corso, della Commissione CNI e Frayba. Entrambe le iniziative hanno dovuto affrontare un certo scetticismo circa i possibili effetti positivi dopo le scorpacciate di raccolta firme per le ragioni più varie fatte negli anni passati. Innanzi tutto si tratta di richieste che ci sono state fatte da persone in situazione disperata, e il non rispondere aumenta il loro senso di solitudine. In secondo luogo, di fronte a casi rimasti senza effetto, ve ne sono per fortuna altri che qualche effetto lo hanno prodotto. Quindi, non facciamo di ogni erba un fascio. Molto dipende dal loro intelligente impiego in una serie di iniziative più articolate. Pensiamo al Chiapas, al Rojava e ad altre situazioni.

1 Le basi di appoggio sono persone non facenti parte dell’EZLN ma dichiaratesi favorevoli.

2 Samuel Ruiz García, vescovo di San Cristóbal de las Casas dal 1960 al 2000, era chiamato dagli indigeni jTatic: «padre e protettore», e fu definito el caminante (il camminatore) non solo per il suo andare di villaggio in villaggio in una diocesi di 22.000 kmq, spostandosi a cavallo, in jeep, a dorso di mulo o a piedi, ma anche per come seppe accompagnare il cammino degli indigeni.

Pubblicato da: https://comune-info.net/il-chiapas-torna-a-far-parlare-di-se/

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Camminare con loro, sempre

Raúl Zibechi 23 Ottobre 2024

“Piangere con chi piange, soffrire con chi soffre, camminare con loro… Acteal mi ha convertito”. “Nel 2008 hanno dato fuoco alla casa parrocchiale, poi hanno danneggiato la mia macchina. Il 12 dicembre 2010 due giovani mi hanno picchiato per strada…”. Sono parole di padre Marcelo Pérez: per la sua testa, gruppi di criminalità organizzata hanno offerto un milione di pesos. Lui non si è fermato. Nel 2012 ha organizzato un grande pellegrinaggio di donne contro lo spaccio di droga che si è svolto accanto alla presidenza municipale locale, qualche anno dopo è stato tra i promotori di un’altra massiccia protesta a Tuxtla Gutiérrez contro le concessioni minerarie e di idrocarburi. Negli ultimi anni non ha mai smesso di accusare il “narco-consiglio comunale”, cioè l’alleanza tra Stato messicano e criminalità organizzata. “Ho paura, ma questo non mi ferma. Se mi uccidono è uno scandalo, ma se uccidono un contadino non succede nulla… Se serve dare la vita, eccomi”. Marcelo Perez Pérez, sacerdote indigeno di San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, è stato ucciso domenica 20 ottobre dopo aver celebrato la messa. Una straordinaria intervista realizzata da Raúl Zibechi a padre Marcelo nel settembre 2022.

Padre Marcelo Perez Pérez, sacerdote della chiesa Nuestra Señora di Guadalupe, a San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, è stato ucciso domenica 20 ottobre dopo aver celebrato la messa nel quartiere di Cuxtutali. Pubblichiamo una straordinaria intervista realizzata da Raúl Zibechi a padre Marcelo nel settembre 2022.

Stiamo vivendo qualcosa di simile ai tempi di Gesù. I romani non avevano pietà. Il narcotrafficante non ha pietà”, dice padre Marcelo Pérez, seduto nella sala da pranzo della parrocchia Nuestra Señora de Guadalupe, a San Cristóbal de las Casas, Chiapas. La sua chiesa sorge in cima a un tumulo a cui si accede salendo 79 gradini in salita. La ricompensa è una meravigliosa vista panoramica sulle montagne boscose sopra la bianca città coloniale. Al centro la chiesa circondata da un piazzale-giardino dove troviamo padre Marcelo, sempre circondato da persone che lo consultano e gli chiedono consigli.

Marcelo ha studiato nella diocesi di Tuxtla Gutiérrez, che definisce “molto conservatrice”, ma è stato inviato a Chenalhó nel 2001, dove la sua vita ha preso una svolta. “Acteal mi ha dato la luce”, dice con fermezza. Il massacro di Acteal, del 22 dicembre 1997, con il suo bilancio di 45 Tzotziles assassinati mentre pregavano per mano dei paramilitari formati per combattere l’EZLN, continua ad avere una presenza brutale nella municipalità e in tutto il Chiapas.

“Avevo paura ma ho visto che ad Acteal le persone sono libere. Io sono un pastore ma le pecore sono molto coraggiose. Mi sono unito a loro per denunciare l’impunità e lottare contro il progetto delle Città Rurali del governo Juan Sabines”, continua il padre, in un racconto che lo porta dagli anni della formazione all’impegno a favore del suo popolo.

Acteal mi ha convertito”. Il dolore che nasce ascoltando i sopravvissuti, María, Zenaida, donne e uomini che hanno perso tutta la loro famiglia. “Come dire loro che Dio li ama”, esclama il padre. Ecco perché non si ispira alla parola biblica, alla teoria che nasce dal testo sacro, ma prende piuttosto un’altra direzione, “piangere con chi piange, soffrire con chi soffre” e, soprattutto, “camminare con loro“.

I sopravvissuti sanno leggere, lì c’è la luce”. Impossibile non ricordare parole simili pronunciate decenni fa dell’assassinato Monsignor Oscar Romero, che si espresse in modo molto simile al padre di Chenalhó: “Il sangue di Rutilio Grande mi ha convertito”, disse riferendosi al martire del Movimento contadino salvadoregno.

La conversione di padre Marcelo lo portò a camminare con la gente contadina. Non solo ha accompagnato le vittime, ma ha anche denunciato gli autori materiali e intellettuali delle violenze che lo hanno portato alla persecuzione da parte del governo del Chiapas. «Nel 2008 hanno dato fuoco alla casa parrocchiale, poi hanno danneggiato le candele e le gomme della mia macchina, e il 12 dicembre 2010 due giovani mi hanno picchiato per strada», racconta tranquillo.

Era vicino alla morte quando collegarono un cavo al serbatoio del veicolo, cosa che gli fece accettare il suo trasferimento a Simojovel, dove arrivò il 5 agosto 2011. “La gente cominciò ad arrivare per raccontare il loro dolore, la loro morte. Lì ho scoperto che i criminali hanno accordi con le autorità e le denunce provocavano minacce”.

L’8 marzo 2012 ha organizzato un pellegrinaggio di donne contro lo spaccio di droga che si è svolto accanto alla presidenza municipale. Lo hanno accusato di essere un guerrigliero e addirittura zapatista, hanno messo un prezzo sulla sua vita finché nel 2014 il comune e il PRI hanno cercato di mobilitare la popolazione contro di lui, con pochissimo sostegno popolare.

Un punto di svolta è stato il pellegrinaggio di 15mila persone in ottobre che denunciava la famiglia Gómez Domínguez, entrata in scena attraverso sicari che hanno compiuto attentati e una campagna mediatica contro padre Marcelo, che li ha portati a offrire un milione di pesos per la testa del sacerdote di Simojovel.

Negli anni successivi si susseguirono sit-in di popolazione e omicidi da parte della criminalità organizzata, sempre protetta dalle autorità. “Il 12 dicembre 2017 ho celebrato la messa più triste della mia vita, a causa della morte di due anziani, causata dal freddo e dalla fame”. Continua lo sfollamento forzato di intere comunità, nuove violenze e morti, bombe e sparatorie. Ma la popolazione ha continuato a resistere.

Nel maggio 2017 è stato creato il Movimento Indigeno del Popolo Credente Zoque in Difesa della Vita e del Territorio (ZODEVITE) e nel mese di giugno si è realizzato un massiccio pellegrinaggio a Tuxtla Gutiérrez contro le concessioni minerarie e di idrocarburi, poiché il governo messicano intendeva concedere le imprese straniere coprono più di 80mila ettari, colpendo più di 40 ejidos e comunità.

La violenza continua nel 2021, a Pantelhó, un comune di appena 8.600 abitanti dell’Altopiano del Chiapas, sono stati registrati più di duecento decessi dovuti alla criminalità organizzata di Stato.

Il 3 luglio è stato assassinato Mario Santiz López. Il 5 luglio 2021, Simón Pedro Pérez López, catechista ed ex presidente del consiglio della Società Civile Las Abejas de Acteal, che promuoveva la nonviolenza, è stato assassinato per il reato di accompagnamento delle comunità Tzotzil di Pantellhó. Alla veglia funebre, Marcelo ha accusato il “narco-consiglio comunale”, cioè l’alleanza tra Stato e criminalità organizzata.

Nonostante avesse chiesto alle comunità di “non cadere nella tentazione della vendetta”, il 10 luglio è stato rilasciato un comunicato dal gruppo armato “El Machete”, creato dalle comunità come autodifesa contro la violenza. Il 26 luglio 2021 migliaia di persone incappucciate hanno preso possesso della sede municipale, 19 uomini sono stati mostrati nella piazza centrale con le mani ammanettate per legami con la criminalità organizzata. Sebbene si sia trattato di un’azione comunitaria collettiva (un’esplosione dal basso), che a quanto pare non è stata chiamata da El Machete, la Procura Generale del Chiapas ha emesso un mandato di arresto contro padre Marcelo per la scomparsa di 19 persone a Pantelhó. A loro non importava che il prete quel giorno fosse altrove, a Simojovel, che invocasse sempre la pace e che arrivasse il giorno dopo per calmare gli animi. Il mandato d’arresto è ancora valido. A ottobre è stato trasferito nella chiesa di Guadalupe, dove ora spiega chi sta provocando violenze e morti. “Le autorità sono complici del traffico di droga. Hanno cercato un modo per metterci a tacere, attraverso minacce di morte e diffamazione sui social network. Ho paura, ma questo non mi ferma“.

Questo indigeno tzotzil, sacerdote da vent’anni in Chiapas, nella sua analisi della situazione sostiene che non è possibile fermare la violenza perché la polizia è dei sicari, perché “abbiamo un narcostato”. È convinto che la violenza peggiorerà e che seguirà una certa calma, ma a costo di molto sangue. “Spero che sia il sangue di preti e vescovi, e non del popolo…”.

Sostiene che siamo in mezzo a una tormenta, che non si risolve con altre tormente ma cercando altre strade. Diffida dei poteri e dei potenti: “Se mi uccidono è uno scandalo, ma se uccidono un contadino non succede nulla. Se serve dare la vita, eccomi”, conclude.

Prima di salutarci, fa appello a una frase biblica, assicurando che i dolori che attraversiamo sono “i gemiti del parto”. Mette i suoi principi e valori prima della propria vita: “Non accetto guardie del corpo. È contro il Vangelo che qualcuno muoia affinché io possa vivere. ‘Non è la mia vita ma quella delle persone…’”. Nel saluto finale confessa: “Non mi fido della polizia”.

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Chiapas, l’epicentro della guerra in Messico

di Raúl Romero 22/10/2024

Il Chiapas sta vivendo una guerra in cui bande criminali organizzate, protette e alleate con gruppi economici e politici a diversi livelli di governo, terrorizzano i popoli della regione. In quello stato, nel sud-est del Messico, si possono identificare diversi tipi di violenza, di cui se ne distinguono quattro. In primo luogo, la violenza delle élite e dei gruppi di potere contro i popoli. Si tratta di violenze razziste e coloniali da parte di caciques, finqueros, proprietari terrieri, uomini d’affari e politici; strutture di potere di gruppi e famiglie incarnate in uomini che pensano che “la vita di un indigeno valga meno di un pollo”; Famiglie che ereditano il potere pubblico: nonni, figli e nipoti che governano da qualsiasi partito.

Un secondo tipo di violenza è quello delle aziende e delle corporazioni che privano i popoli delle loro risorse; aziende di bevande analcoliche che saccheggiano l’acqua con l’autorizzazione del governo; compagnie minerarie che sfruttano la terra e le persone; le agroindustrie che usurpano i territori e spremono i contadini; le industrie turistiche che occupano i territori che prima appartenevano alle popolazioni e che condannano gli abitanti a lavori precari.

Il terzo tipo di violenza che si identifica sono quelle ordinate, fomentate e permesse dallo Stato contro i popoli organizzati, in particolare contro i popoli zapatisti. C’è la violenza repressiva come l’incarcerazione politica o azioni intimidatorie da parte delle forze ufficiali. C’è anche la violenza commessa da gruppi paramilitari, gruppi che sono stati finanziati, addestrati, autorizzati o protetti dallo Stato per fare la guerra ai popoli zapatisti e ai popoli che li sostengono. Troviamo anche le azioni belligeranti di gruppi corporativi, cioè gruppi che avevano un’origine legittima di organizzazione popolare, ma che sono stati poi cooptati da organizzazioni politiche o economiche per realizzare controinsurrezioni e guerre contro lo zapatismo, i suoi alleati e i popoli in resistenza.

Un quarto tipo di violenza che vediamo è quello delle corporazioni criminali che, alleate con gruppi politici ed economici, cercano di eliminare la resistenza per imporre i loro affari: tratta di esseri umani, traffico di droga, tratta di donne, vendita di armi, estorsioni e molti altri affari illegali piuttosto redditizi. Questi gruppi hanno strutture armate come migliaia di sicari, carri armati fatti in casa, droni e armi ad alta potenza. Come le società economiche, le società criminali competono tra loro per avere il controllo del business. Lo fanno con mezzi politici ed economici e soprattutto con la guerra. I loro alleati politici garantiscono loro l’impunità.

Queste quattro forme di violenza si articolano nella stessa guerra che ha tra i suoi obiettivi la colonizzazione dei territori, la promozione del mercato, l’eliminazione della resistenza, l’imposizione della legge degli affari e della legge del crimine organizzato. Una guerra coloniale, capitalista, paramilitare e criminale contro lo zapatismo, contro i popoli che resistono e contro i popoli in generale. Una guerra di controinsurrezione e una guerra del sistema contro i popoli.

Il Messico sta vivendo un’intensificazione della guerra e della violenza dal 2006 con il governo di Felipe Calderón. Tuttavia, dal 2021, lo Stato del sud-est sta vivendo una situazione particolare: i cambiamenti nei poteri reali e formali hanno portato le società criminali a contestare il controllo del confine, le nuove rotte commerciali che derivano dai megaprogetti e il traffico di esseri umani. A quanto sopra si aggiunge il funzionamento di organizzazioni aziendali che cercano risorse da progetti sociali, così come le dispute politiche di gruppi potenti.

La guerra che si è diffusa in tutto il paese trova oggi il suo epicentro in Chiapas, senza che ciò significhi che il resto del paese sia in pace. È tempo di guardare al passato recente e vedere tutto ciò che la guerra in Messico ha distrutto. Nel conteggio dei danni, un elemento spicca: quasi tutte le organizzazioni popolari e i popoli che hanno resistito dal basso all’espropriazione neoliberista sono stati brutalmente attaccati dalla criminalità organizzata, mentre lo Stato garantisce l’impunità.

La guerra contro i popoli zapatisti non si è fermata dal 1994. Direttamente con l’esercito, indirettamente con i paramilitari e i gruppi corporativi, e oggi anche con i gruppi della criminalità organizzata, la guerra in Chiapas tocca oggi nuove dimensioni e ci chiama all’allerta. Le denunce che gli zapatisti hanno fatto di recente ci invitano ad agire di fronte all’emergenza, così come l’assassinio di padre Marcelo Pérez.

Il Chiapas è oggi l’epicentro di una guerra che si è diffusa in tutto il paese. Con il Chiapas abbiamo l’obbligo di alzare la voce e parlare di questa guerra che ci ferisce ogni giorno come società. Esigere oggi la fine degli attacchi contro le comunità zapatiste significa anche esigere la fine della guerra in Chiapas e in tutto il Messico. Che la pace rimanga l’obiettivo.

Pubblicato su La Jornada,

Immagine di copertina: Miguel Ángel García Guerra

Traduzione Christian Peverieri https://www.globalproject.info/it/mondi/chiapas-lepicentro-della-guerra-in-messico/25106.

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MARCELO VIVE!

Marcelo vive
R.C. 21 Ottobre 2024
https://comune-info.net/marcelo-vive/

Il Chiapas è una polveriera. Rapimenti, omicidi, minacce di morte e blocchi si estendono su tutto il territorio. Lo scriveva Luis Hernández Navarro su La Jornada il 18 ottobre, in un articolo dal titolo “Chiapas, la guerra civile alle porte”. In questo contesto, domenica 20 ottobre, è arrivata la notizia dell’omicidio di Marcelo Pérez Pérez, cinquant’anni, sacerdote indigeno di etnia tsotsil, a San Cristóbal de Las Casas. Nel pomeriggio, a poche ore dall’assassinio, una messa si è trasformata in una manifestazione, che ha coinvolto migliaia di persone al grido “Marcelo vive la lucha sigue!” e “Justicia, justicia!”.

Marcelo Pérez Pérez, nei giorni scorsi aveva avvertito che sulla sua testa pendeva una taglia, messa dal crimine organizzato. Del resto era noto per la sua instancabile e coraggiosa attività a favore dei diritti dei popoli indigeni. È stato assassinato, racconta l’Agenzia Sir, poco dopo aver celebrato la messa: mentre guidava è stato intercettato da due uomini armati su una moto: secondo i media locali è stato colpito da almeno otto colpi di pistola ed è morto sul colpo. Da sempre in prima linea in alcuni territori devastati dalla violenza derivante dal traffico di droga e dallo sfruttamento illegale dell’ambra, il sacerdote ha guidato numerose marce e movimenti sociali per denunciare il traffico di esseri umani, il traffico di armi e lo sfruttamento delle risorse naturali. Padre Marcelo era stato anche uno dei fondatori della Rete ecclesiale ecologica mesoamericana nel 2019.

Foto: Desinformemonos

Nonostante la brutale violenza che si vive in Chiapas, il 10 ottobre le comunità zapatiste hanno annunciato una straordinaria iniziativa internazionale che si svolgerà nei prossimi mesi in sei date, gli “Incontri Internazionali di Ribellioni e Resistenze” (leggi l’articolo Movimenti nella tormenta di Raúl Zibechi). https://comune-info.net/movimenti-nella-tormenta/

Decine di organizzazioni del Messico e del mondo hanno condannato l’assassinio del parroco tsotsil Marcelo Pérez Pérez, Il Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha denunciato “la responsabilità dello Stato messicano di non prevenire, garantire e proteggere l’integrità e la vita del parroco Marcelo Pérez, nonché per la sua tolleranza e acquiescenza verso i gruppi criminali che operano nel Chiapas”.

Alla morte di sono dedicati diversi articoli su Desinformemonos e La Jornada.

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Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo

Sesta Parte: Scienze Applicate

“Cane”, così si chiama la bicicletta del capitán. Ogni volta dà motivazioni diverse ma quella più vicina alla realtà è quella che dice che, quando era bambino, un vicino aveva un cane che lui chiamava “bicicletta”. Nel senso perverso di “giustizia” del capitán, la cosa logica era compensare, quindi la sua bici si chiama “Cane”. Dato che “bicicletta” è femminile, era prevedibile che l’avrebbe chiamata con il nome femminile di “Cane”. Ma, forse prevedendo le complicazioni che avrebbe comportato per la traduzione in inglese, o perché pensa che l’attribuzione dei generi sia come l’assegnazione di destini, una trappola evitabile, è rimasto “Cane”.

Comunque, il fatto è che tutto è iniziato con il “Cane”. Il capitán non ha voluto trasformare la sua bicicletta meccanica in elettrica, perché crede ingenuamente di poter trovare un’altra opzione.

Ma questa, quella del “Cane”, è solo una parte dell’equazione, sempre in questa ipotetica situazione.

L’altra è un collettivo o un gruppo di persone che fanno scienza. La coincidenza tra il “Cane” e quel gruppo potrebbe non essere solo la naturale tendenza, presente in alcune persone, ad essere contrari. Questo collettivo, che d’ora in poi chiamerò “Scienze Applicate”, è contreras. In altre parole, diciamo, non segue la tendenza maggioritaria della comunità scientifica. Cioè, non è frivolo, superficiale e ignorante del mondo oltre la sua specializzazione. Si tratta quindi di un gruppo minoritario. Quindi non perdete tempo a cercare il nome nei cataloghi scientifici. Oltre a questa grave mancanza di tradizione scientifica, questo gruppo non cerca di pubblicare su riviste specializzate, di ottenere premi, borse di studio, fama, incarichi governativi o non governativi, o di arenarsi nell’accademia. Invece, concentra il suo lavoro sulla ricerca di applicare la conoscenza scientifica alla realtà.

L’equazione “Cane-Capitán-Scienze Applicate-Giorno Dopo” ha a che fare con due vedette di due navi ignorate: quella piccola del collettivo Scienze Applicate e la più piccola degli zapatisti. Anche se apparentemente in mari diversi e, non di rado, disparati, da entrambe le barche potevano vedere cosa stava arrivando in lontananza. La tormenta.

Non si sa se tra i due ci sia stato un incontro personale e formale, o se si sia trattato di una di quelle coincidenze impossibili. Il fatto è che il collettivo, in base alla loro conoscenza scientifica, e lo zapatismo, in base alla sua conoscenza non scientifica, sono giunti alla stessa conclusione.

E su entrambe le navi il corollario non fu abbandonarsi al vizio e alla perdizione (anche se il capitán non desiderava altro), né scatenarsi in feste selvagge. Per qualche strano motivo, difficile da spiegare a torto o a ragione, entrambe le vedette riuscirono a guardare oltre la tormenta e conclusero che il problema, più della tormenta in sé, era… il giorno dopo.

Il capo supremo del “sistema ezetaelene di posta e divagazioni”, uno scarabeo schizofrenico, confidò al nostro caro (già), ammirato (al quadrato), amatissimo (esponenziale) e mai ben apprezzato capitán, l’esistenza di questo collettivo ribelle, sacrilego e, per finire, scientifico.

Il capitán, saltando la parte in cui chiedeva allo scarabeo quando diavolo avrebbe ottenuto quella posizione, ha chiesto l’indirizzo email e si è messo in contatto con loro. La lettera del capitán dettagliava quanto segue:

Si ispirava a quella che, nel mondo delle biciclette elettriche viene definita “frenata rigenerativa” (che consiste, grosso modo, nel fatto che, in fase di frenata, l’energia cinetica del motore che andrebbe persa in frenata viene diretta alla batteria del veicolo per ricaricarlo). Poiché questo sistema richiede un tipo speciale di motore e dispositivo, il recupero energetico non è al 100%, è più costoso e richiede più manutenzione, il capitán è tornato alla sua idea originale: una bicicletta a carica. Sì, come le macchinine della vecchia infanzia, dove la macchina veniva caricata per muoversi da un “motore” – che non era altro che una molla a spirale, compressa fino in battuta, che, una volta rilasciata e “srotolata”, attraverso ingranaggi, dava movimento alle ruote. Proprio come un orologio tradizionale. Veniva utilizzata anche nei giocattoli e nelle bambole (che furono scientificamente sventrate per scoprire la “magia” che dava loro il movimento).

L’idea del capitán è di progettare una bicicletta con questo principio: un dispositivo che, quando la molla viene rilasciata, produca movimento e quel movimento generi l’energia necessaria per ricomprimere la molla e così via, nei secoli dei secoli.

La prima risposta del collettivo “Scienze Applicate” non è stata molto incoraggiante, anche se è stata laconica come un’enunciazione: “La tesi energia-motore-energia-motore va bene per youtuber e simili. Nemmeno la teologia vi ricorre. Assolutamente no, mio capitano, devi pedalare”.

Seguendo il principio scientifico del “dubitare sempre”, la seconda risposta è stata ancora più concisa ma più promettente: “Non è possibile… tuttavia. Beh, non lo sappiamo davvero.” Pioveva La terza risposta è stata come piovere sul bagnato: “Io uso la moto”.

Come c’era da aspettarsi, questo ha incoraggiato il nostro intrepido (se fosse rimasto qualche “sììì”, per favore aggiungere) capitán. Ha iniziato a lavorare febbrilmente nella sua sgangherata officina di biciclette sperando di trovare il Santo Graal dell’energia infinita. Beh, in realtà sperava che durasse più a lungo di quella prodotta dalle sue belle e formose gambe (sììì, a vostra discrezione).

Eppure, parlando delle bici il capitán diceva: “questo è un veicolo che va a pozol e ad acqua, è ecologico, così economico che le cose più costose sono le bende e gli antisettici per le ferite causate dalle cadute. Indossate sempre un casco protettivo. Fate molta attenzione: mai, dico mai, tentare di sorpassare un autocarro con cassone ribaltabile o una mandria di mucche”.

-*-

Intanto, infuriava la tormenta.

Come è (o dovrebbe essere) caratteristico della conoscenza scientifica, il collettivo “Scienze Applicate” osservava cosa stava accadendo. Raccoglieva dati, li verificava, li incrociava, analizzava modelli di simulazione, consultava tabelle, statistiche, fatti. Arrivò ad una conclusione: la distruzione causata sarebbe stata la fine del mondo come lo conoscevano. In altre parole, sarebbe andato tutto in malora. Ebbene, non con queste parole, ma con qualcosa di più scientifico.

Invece di corteggiare direttori, amministratori delegati e capi dipartimento, o cercare una posizione dal già esiguo budget scientifico, il gruppo iniziò a raccogliere materiali di base la cui successiva scarsità o inesistenza era prevedibile.

Così mise insieme una grande quantità di fili, cavi, diodi, transistor, resistori (cioè gli altri resistori), modulatori, oscillatori, bobine, dinamo, relè e altre cose altrettanto misteriose. Testarono alcuni modelli sperimentali. Furono incoraggiati nel vedere che potevano aumentare la produzione di energia da una dinamo nella ruota di una bicicletta per… alimentare un altoparlante di dimensioni medie!

Certo, la sfida che il Subcomandante Insurgente Moisés ha lanciato loro era ben più grande: far funzionare le attrezzature di una sala operatoria. Il collettivo però sapeva di essere sulla strada giusta.

Se ci fossero stati i medici fraterni, gli operatori sanitari, le strutture e, presto (almeno così speriamo), le attrezzature necessarie, allora il problema era che funzionassero anche se venisse a mancare l’energia elettrica della rete, estinta in questa ipotesi.

Proprio il giorno prima che la tormenta peggiorasse, il collettivo si è trasferito, con tutte le sue attrezzature, nella comunità di cui vi ho parlato. Così, quando è arrivata la banda artistica, la “scienza applicata” era già installata da tempo. E organizzata.

Su richiesta del SubMoy, avevano costruito le loro capanne in un settore che chiamavano, onorandone la storia e la vocazione, “El Apagón”. Si trova di fronte al luogo in cui si sono stabiliti i medici fraterni e gli operatori sanitari che, per non rimanere indietro, hanno battezzato il loro locale con il suggestivo nome di “Lavati le mani e non fare cazzate”.

Entrambi i gruppi erano organizzati in modo tale che, a turno, mentre una parte svolgeva il lavoro necessario per sopravvivere, l’altra si dedicava alla realizzazione di ogni tipo di apparecchi e dispositivi di scienza applicata; e, nel caso dei fraterni, alla prevenzione sanitaria, nonché a occuparsi di casi medici più complicati.

Per quanto riguarda le “Scienze Applicate”, anche se non erano ancora riusciti a produrre energia sufficiente per la sala operatoria, c’era da aspettarsi che al prossimo raduno di danza ce ne sarebbe stata abbastanza per dare vita al microfono, un paio di altoparlanti e, forse, se Dio vuole, alla tastiera.

E il capitán? Ebbene, quando lo incontrano, quelli del collettivo lo prendono in giro dicendo: “Ecco il mio Capitán Frankenstein! Come va la bici bionica?” Il capitán ride e risponde: “Scienziati stolti che accusate il capitán senza ragione, senza vedere che voi siete l’occasione della stessa cosa che incolpate. Un giorno”.

Il “Cane” è ancora nel laboratorio, a pezzi, circondato da attrezzi e ogni tipo di ferro, filo, assi e chiodi. Ad ogni alba infruttuosa il capitán lancia il martello imprecando ed evocando: “un giorno, un giorno”.

-*-

Eh? Ti sorprende che in questa situazione ipotetica questo collettivo di scienze applicate sia arrivato per primo?

Ebbene, se le scienze non sono in grado di intravedere il giorno dopo, allora a cosa servono le scienze?

Se “A poi B” e hai tutti gli elementi di “A”, ne consegue che segue “B”.

Ergo: come sentenzia il nome della mensa comunitaria (dove il collettivo di Scienze Applicate ha ora provocato una rivolta dimostrando con i cucchiai il principio scientifico delle catapulte… con dolcetti alla zucca – la scienza è una cosa e la mira è un’altra): “Non rimandare a domani quello che puoi mangiare oggi”.

Naturalmente, nel suo equivalente scientifico…

Oh, oh, Doña Juanita è uscita brandendo una padella gigante in una mano e un mestolo XXXL nell’altra, per esortare i commensali al dialogo tra scienza e arte. Il capitán, protetto dietro una trincea di comales e pentole, con un casco protettivo modello “Predator”, fa un segnale ai musicisti di iniziare con la canzone “Non sono stato io”, di Consuelito Velázquez: “se ti vengono a dire…”.

Continua…

Dal laboratorio scientifico di biciclette “mia nonna in idem”.

El Capitán
Ottobre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/16/sobre-el-tema-la-tormenta-y-el-dia-despues-septima-parte-ciencias-aplicadas/

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Chiapas, la guerra civile alle porte
Luis Hernández Navarro
18 ottobre 2024

Il villaggio zapatista “6 de Octubre”, membro dell’attuale Caracol IX Jerusalén, è stato fondato formalmente lo stesso giorno e mese del 1997, sulle terre occupate a seguito della sollevazione zapatista del 1994. Da allora i suoi abitanti le coltivano pacificamente per il bene della comunità.
Tuttavia, ora gli abitanti di Nueva Palestina, insieme ad esponenti della criminalità organizzata, con l’appoggio delle autorità del comune di Ocosingo e del governo del Chiapas, intendono sfrattarli violentemente.
Dal giugno di quest’anno individui sconosciuti armati di armi di diversi calibri e in uniformi nere percorrono il villaggio minacciando i suoi abitanti e scattando foto. Giorni dopo, due basi di appoggio zapatiste che erano al lavoro sono state avvertite di lasciare la comunità altrimenti sarebbero state espulse “nel modo più duro”. Un drone ha sorvolato la città. Il 23 settembre gli aggressori hanno installato delle capanne nel villaggio e si dedicano a intimidire i simpatizzanti dei ribelli.
Le autorità comunali di Nueva Palestina affermano di avere il sostegno dei dirigenti municipali di Ocosingo, del Partito Ecologista Verde del Messico (PVEM) – il sindaco Martín Martínez, noto per le sue cattive frequentazioni, è originario di quella comunità – . Anche del governo del Chiapas, in mano a Morena. Senza mezzi termini, assicurano che consegneranno agli aggressori i documenti che dimostrino la proprietà delle terre espropriate. Come se ciò non bastasse, sostengono che la criminalità organizzata, con l’approvazione ufficiale, ha dato ordine di espellere le basi d’appoggio zapatiste da quelle terre. La presenza del CJNG (Cartel Jalisco Nueva Generación) nella regione è in aumento.
Nueva Palestina, Lacanjá Chansayab e Frontera Corozal formano la comunità Lacandona. Costituita dal decreto presidenziale del 1972, che donò 614.321 ettari del deserto della Soledad a 66 capifamiglia lacandoni, è diventato terreno di operazioni e controversie del il narcotraffico. Anche se storicamente la proprietà comunale era nelle mani dei Lacandoni, nelle ultime elezioni l’assemblea ha scelto un indigeno Chol come presidente del commissariato. Tuttavia, all’inizio del 2024 questo non era noto alle autorità agrarie federali. Quindi, ad oggi, il commissariato è senza presidente.
È una regione che costituisce l’ultimo confine del territorio messicano prima di raggiungere il Guatemala. Verso nord confina con comunità resistenti, come il villaggio zapatista “6 de Octubre”.
Alcuni Lacandoni (comprese le autorità) sono associati alla criminalità organizzata. Sul suo territorio scendono piccoli aerei carichi di cocaina (https://shorturl.at/yHOv). A Frontera Corozal e Nueva Palestina alcuni membri delle comunità, una minoranza molto ricca, sono “polleros” e vendono alcolici (attività legata allo sfruttamento sessuale dei migranti centroamericani). Sono armati. Si sono impossessati della terra attraverso prestiti leonini e controllano indirettamente programmi sociali come “Sembrando Vida”, affittando ettari della “loro” terra a contadini che ne sono sprovvisti, affinché partecipino al programma e la lavorino.
Per esorcizzare il fantasma del massacro di Viejo Velasco del 2006, le autorità comunali hanno promosso, tra il 2008 e il novembre 2022, un processo tecnico e politico per determinare un nuovo assetto delle proprietà comunali della Zona Lacandona. Sono stati raggiunti accordi con 52 comunità e villaggi vicini. L’asse di questa negoziazione è il Plan de Vida para el Manejo Biocultural della Selva. Nell’ambito della trattativa è stato raggiunto un accordo con la comunità “6 de Octubre”, uno dei sei assetti interni ai Beni Comunali.
Fino a novembre 2022 tutto sembrava pronto per il nuovo decreto. Tuttavia, le autorità di Lacanjá Chansayab hanno presentato ricorso legale sostenendo di essere gli unici beneficiari del decreto del 1971 e che gli Tseltal, Tsotsil e Chol sono invasori del territorio. Questo ha fermato tutto. Poi è trapelata una registrazione in cui l’allora deputata Patricia Armendáriz inveiva contro le autorità di Lacanjá. Richiedeva loro di presentare un piano di sviluppo – che contrastasse la proposta comunitaria del Plan de Vida – affinché insieme a lei, legata alla Fondazione NaBolom, potessero ricevere finanziamenti da agenzie internazionali. Nell’audio, l’imprenditrice confessa di aver finanziato personalmente l’avvocato che ha intentato la causa legale che ha fermato il processo che avrebbe definito il Nuovo Assetto dei Beni Comunali (https://shorturl.at/rWjhU, minuto 1:09).
A febbraio 2023 hanno nominato le autorità comunali di Frontera Corozal, disconoscendo il commissario impegnato nel processo agrario e nel Plan de Vida. A dicembre 2023 hanno cambiato le autorità comunitarie di Nueva Palestina, creando un commissariato con capacità ed esperienza gestionali pari a zero. È così che, il 30 agosto, i membri delle comunità di Nueva Palestina legati al PVEM, al traffico di immigrati privi di documenti e vicini alla criminalità organizzata, hanno concordato di attaccare la proprietà zapatista “6 de Octubre”, accompagnati da sconosciuti con armi di grosso calibro.
Il Chiapas è una polveriera. Rapimenti, omicidi, minacce di morte e blocchi si estendono su tutto il territorio. Proprio lo scorso 30 settembre un commando armato ha dato fuoco alla presidenza municipale di Benemérito de las Américas. Nelle regioni della Sierra e di Frontera, gli scontri tra i cartelli continuano senza interruzione, mentre migliaia di residenti sono sfollati. Il 9 ottobre a Ixhuatán ha avuto luogo un forte scontro armato che ha provocato almeno due morti. Gli abitanti hanno preso possesso della chiatta Rizo de Oro chiedendo la presentazione in vita di quattro pescatori scomparsi. I migranti sono stati presi a fucilate dall’esercito a Villa de Comaltitlán. L’aggressione contro il villaggio zapatista “6 de Octubre” è uno spartiacque in questa escalation di violenza. Il Caracol di Jerusalén era uno dei luoghi previsti per lo svolgimento degli incontri di resistenza e ribellione zapatista.
Non è un’esagerazione, in Chiapas la guerra civile è alle porte.

X: @lhan55
Fonte: https://www.jornada.com.mx/noticia/2024/10/18/opinion/chiapas-la-guerra-civil-llama-a-la-puerta-5158

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Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo. Quinta parte. L’incognita

Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo.

Quinta parte. L’incognita

f). – Ti dedicavi alla scultura. Creavi figure, immagini, forme nel legno, nel gesso, nella pietra, nel ferro, nel bronzo. Non ti lamenti troppo per quello che è successo. Eri già disperato di vivere di busti e statue di politici e corteggiare i governi per finanziare i tuoi progetti. Sono passati diversi giorni da quando sei arrivato in questa comunità e, poiché sei mediamente intelligente, hai capito di cosa si tratta: queste persone si pongono la sfida di ricominciare da capo.

Vagando, arrivi dove un giovane sta intagliando il legno di balsa con un machete. “È Corcho [sughero – N.d.T.], è così che lo chiamiamo qui”, ha chiarito. Con abilità lo plasma fino a renderlo una tavola così liscia e impeccabile da fare invidia alla migliore macchina segatrice, piallatrice e lucidatrice. Ma già, non esistono più le macchine elettriche. E se ci sono, non c’è l’elettricità per farle funzionare. Prendi un pezzo di “corcho” e guardi il giovane. Fa un gesto come dire “prendilo senza problemi”. Il giovane ti mostra la tavola che ha intagliato e spiega: “È per la mensa”. Vai da un posto all’altro senza sapere cosa fare con il pezzo di sughero. Capisci cosa propongono queste persone, ma più che certezze e proposte hai dei dubbi.

Il giorno dopo trovi la tavola all’ingresso della mensa con un cartello che avverte: “Scegli: o ti lavi le mani o ti fa male la pancia”. La mano di un bambino, come si può intuire dal tratto delle lettere, ha aggiunto “Dolore alla pancia = clinica = iniezione = fa molto male”. Un’altra mano infantile ha aggiunto “Codardo”. La mano iniziale ha risposto “Non sono un codardo”. Poi una lunga sequenza di “Sì che lo sei”, “Io no”, che ha quasi riempito la tavola. Il dibattito si è concluso con “se non sei un codardo, perché non vai in bicicletta sulla ghiaia?”. Niente risposta.

Quando sei entrato in mensa il primo giorno, hai pensato “è come una prigione”. Hai preso il piatto e sei uscito aspettandoti che qualcuno ti costringesse a rientrare. E invece no, nessuno ti ha fermato e fuori, sotto gli alberi, per terra o su panche rustiche, c’erano tanti che mangiavano in coppia, in piccoli gruppi o da soli. Hai attraversato il villaggio senza alcuna restrizione. Hai anche tentato di lasciare la comunità ma non è suonato alcun allarme, né è comparso alcun un gruppo di persone armate al seguito del branco venuto a cercarti.

Dopo aver lavato il piatto e, ovviamente, le mani (perché non sei un vigliacco, ma non sei nemmeno un fanatico delle iniezioni), ti siedi e, senza quasi rendertene conto, inizi a intagliare con il tuo vecchio e scheggiato coltello, il pezzo di sughero. La figura sta prendendo forma.

Durante l’assemblea, quando tocca a te presentarti, sollevi la piccola figura. È una sorta di punto interrogativo, senza colore, ma con forme ben definite.

Ti chiedono “Cos’è quello?”. “Non lo so”, rispondi. E subito aggiungi: “Non lo sappiamo”. L’assemblea resta in silenzio, in attesa. I coordinatori si guardano e dicono “Bene, lo scopriremo”.

Il giorno dopo sorridi quando vedi la figura sul tavolo di coordinamento dell’assemblea. Non ti sofferma troppo, devi andare a spazzare la mensa “Le pene col pane sono buone. E in mancanza di pane, tortillas”.

-*-

g). – Arrivi dall’architettura. Non sai come sei arrivato in questo posto, ma, per qualche strano motivo, ti sente tra pari. Sei mediamente intelligente, quindi capisci che, in fondo, progettare uno spazio non è molto lontano dal progettare un mondo. Ed è quello che sembrano fare queste persone, accalcate attorno a un vecchio campo da basket. Stanno discutendo del progetto del mondo che devono rifare su un terreno abbandonato. Cioè, ricominciare da capo.

Ti sei avvicinato istintivamente ad un gruppo di uomini e donne. Li riconosci perché, il giorno prima, quando hanno fatto l’appello e hanno chiamato “falegnami, muratori e meccanici”, non hanno risposto. Chi ha coordinato l’assemblea ha ripetuto l’appello: “falegnami, meccanici e muratori”. Niente. Tutti guardavano nella direzione di quel gruppo. Finalmente, non senza fastidio, il coordinatore ha detto. “Va bene, bene, “ingegneri e “ingegnere”. E lì hanno risposto “presente”. Quindi, oggi, quando dicono “ingegneri e ingegnere” tu interrompi e aggiungi “e architetti e architette”. L’assemblea vi guarda con curiosità, ma il “corpo degli ingegneri” ti sorride e più d’uno ti dà pacche sulle spalle. Il coordinatore dice, con rassegnazione: “e quello”. Tiri un sospiro di sollievo. Ma, come un sol corpo, architettura e ingegneria imprecano quando sentono: “devono controllare il tubo che esce dalla sorgente”.

Nel pomeriggio, quando il sole comincia a sparire all’orizzonte, nella mensa intitolata “Il cibo vediamo, digestione non sappiamo”, contempli il luogo vuoto, con solo pochi scheletri di quello che saranno, presumi, capanne. E, senza volerlo, già immagini il progetto dell’auditorium. Se si sistema il tetto in modo da non richiedere molte colonne intermedie, potrebbe benissimo essere utilizzato per convegni, concerti, balli, mostre, teatro e cinema.

Non c’è cemento, né tondini, né calcestruzzo o qualcosa del genere. Le poche lamiere ancora utili sono riposte tra gli attrezzi. Guardi le capanne con tetti d’erba, foglie di watapil e orecchie di elefante.

Pensi: “Sì, potrebbe essere, meno peso, anche se meno durata. Ogni tanto bisognerebbe… ricominciare da capo”.

-*-

h). – Tu fai cinema. Ti occupi di uno qualsiasi dei tanti lavori necessari per raggiungere il momento sacro e sublime in cui, su un volto, si riflette la luce dello schermo e una manciata di popcorn riempie la bocca. Hai cercato in questo testo e non hai trovato alcuna corrispondenza diretta. Forse qualcosa di molto indiretto e mediato nelle parti del tutto. Senti il desiderio di protestare, di rivendicare.

“Quel dannato capitano! Chi si crede di essere per poter escludere la settima arte, il padre della televisione, prigioniera dello streaming, luogo impossibile dove le altre arti possono convergere e convivere? Ignorante! Cieco! …”E altre maledizioni che il pudore mi impedisce di riportare.

Qualcuno si avvicina e sfoglia il testo mentre tu continui a imprecare. Legge in silenzio e ti chiede: “Di chi è questo copione?”. “Quale copione?”. Ti volti con fastidio. “Questo”, dice mentre ti mostra il fascio di pagine stampate. La persona accanto a lui continua: “Certo, produrlo costerà una fortuna. Per non parlare della distribuzione. Al giorno d’oggi esistono finali con scenari apocalittici dove la catastrofe fa emergere il peggio di ogni essere umano. Non credo che il pubblico sarà interessato a uno scenario in cui, in mezzo alla disgrazia, fiorisce il meglio dell’umanità. Le persone, il pubblico, preferiscono qualcosa che razionalizzi la loro bassezza e meschinità. Questi non sono tempi di bontà e fratellanza. E poi il problema della distribuzione. Chi interpreterà il ruolo del cattivo se il cattivo è il sistema?…”.

Interrompi con un gesto per chiedere silenzio, prendi il cellulare e componi un numero. “Sì?” risponde una voce assonnata dall’altoparlante. Tu: “Joaquín, è bello averti trovato. C’è un ruolo di cattivo per te. Ma la cosa brutta del cattivo è che non è una persona, né una gang, cioè banchieri, né la Morte Nera o un palazzo governativo, né una creatura più brutta di te. Il cattivo è il sistema”. L’altoparlante risponde “Chi diavolo sei e perché mi chiami alle tre del mattino?”. Poi il bip interrompe la comunicazione.

Accanto a lui continuano a commentare: “E poi c’è il problema della colonna sonora. È un casino del diavolo, perché intorno alla cumbia si indovinano migliaia di generi musicali. La scenografia è impossibile. Servirebbero moltissime telecamere e nemmeno con l’Intelligenza Artificiale potremmo generare qualcosa di simile a questa allucinazione. Non ci sarà nessuno che oserà finanziare un progetto come questo. E poi, i crediti. Sceglieremo davvero uno scarabeo impertinente che si fa chiamare “Don Durito de La Lacandona”? Riesci a immaginare uno scarafaggio in armatura che cavalca una tartaruga mentre sfila sul tappeto rosso al Festival di Venezia, o a San Sebastian, Cannes, Hollywood? Forse si potrebbe fare la parte in cui si ricomincia da capo e, sulle stesse fondamenta, si ricostruisce lo stesso edificio. Altro è impossibile da immaginare. Cos’è questo?”.

Rimani in silenzio. All’improvviso mormori: “È un invito”. “A cosa? A fare un film?” insiste l’altra persona. Allora tu, che sei mediamente intelligente, capisci e rispondi dubbioso: “Non so… A immaginare il giorno dopo?”.

Continua…

Dalla fila davanti al chiosco dei popcorn.

El Capitán
Ottobre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale:https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/15/sobre-el-tema-la-tormenta-y-el-dia-despues-quinta-parte-la-incognita/

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COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO
16 OTTOBRE 2024

ALLA SEXTA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE:
A CHI HA FIRMATO LA DICHIARAZIONE PER LA VITA:
COMPAS:
ALCUNE SETTIMANE FA, ABITANTI DI PALESTINA HANNO MINACCIATO LE DONNE, GLI ANZIANI, I BAMBINI E GLI UOMINI DEL VILLAGGIO ZAPATISTA “6 DE OCTUBRE”, PARTE DEL CARACOL DI JERUSALÉN, DI CACCIARLI DALLE TERRE CHE OCCUPANO E LAVORANO, PACIFICAMENTE, DA OLTRE 30 ANNI.
FINO A QUESTO “CAMBIO” DI GOVERNO, IL VILLAGGIO “6 DE OCTUBER” AVEVA VISSUTO IN PACE E ARMONIA CON LE POPOLAZIONI CIRCOSTANTI, SENZA PROBLEMI.
DALL’INIZIO DI QUESTO PROBLEMA IL GOVERNO AUTONOMO LOCALE (GAL) DI “6 DE OCTUBRE” E L’ASSEMBLEA DEI COLLETTIVI DEI GOVERNI AUTONOMI ZAPATISTI (ACEGAZ) DEL CARACOL JERUSALÉN, HANNO INSISTO PER IL DIALOGO E L’ACCORDO CON LE AUTORITÀ COMUNALI DI PALESTINA, MA È STATO INVANO. QUESTE AUTORITÀ DI PALESTINA DICHIARANO DI AVERE L’APPOGGIO DELLE AUTORITÀ MUNICIPALI DI OCOSINGO E DEL GOVERNO DELLO STATO DEL CHIAPAS (RISPETTIVAMENTE PVEM E MORENA), E DI AVERE ISTRUZIONI DA TALI MALGOVERNI DI CONSEGNARE AGLI AGGRESSORI I DOCUMENTI CHE DIMOSTRANO LA LORO PROPRIETÀ SULLE TERRE SOTTRATTE.
GLI STESSI ABITANTI DI PALESTINA SOTTOLINEANO CHE CI SONO PRESSIONI DA PARTE DELLA COSIDDETTA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA PERCHÉ I NOSTRI COMPAGNI VENGANO CACCIATI E CHE C’È UN ACCORDO TRA LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E I DIVERSI LIVELLI DI GOVERNO PER DARE NATURA “LEGALE” A QUESTO FURTO.
LE MINACCE SONO IN AUMENTO FINO A COMPRENDERE LA PRESENZA DI ABITANTI DI PALESTINA CON ARMI DI GROSSO CALIBRO, MINACCE DI STUPRO SULLE DONNE, INCENDI DI CASE E FURTI DI BENI, RACCOLTI E ANIMALI.

LE PROVOCAZIONI NON CESSANO. IL CARACOL JERUSALÉN ERA UNO DEI LUOGHI CONTEMPLATI PER LA CELEBRAZIONE DEGLI INCONTRI DI RESISTENZA E RIBELLIONE 2024-2025.
POICHÉ DOBBIAMO ESSERE CONSAPEVOLI DEL DETERIORAMENTO DI QUESTA GRAVE SITUAZIONE, SOSPENDIAMO TUTTE LE COMUNICAZIONI E LE INFORMAZIONI RIGUARDANTI TALI INCONTRI E CONTEMPLEREMO LA CANCELLAZIONE DEGLI STESSI PERCHÉ NON CI SAREBBE SICUREZZA PER I PARTECIPANTI OVUNQUE IN CHIAPAS.

QUESTA È LA REALTÀ DELLA “CONTINUITÀ CON IL CAMBIAMENTO” DEI MALGOVERNI.
È TUTTO.


Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, ottobre 2024
Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/16/el-ezln-denuncia-agresiones-y-amenazas-contra-sus-bases-de-apoyo/

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Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo. Postfazione. Quarta Parte: Tra paga e fantasia.

Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo.

Postfazione

Quarta Parte: Tra paga e fantasia.

d). – Fai parte di un gruppo teatrale. Beh, facevi parte. Non rimane nulla delle brillanti improvvisazioni, delle noiose prove, delle correzioni di postura, dizione e intonazione, delle discussioni sui costumi, dei conflitti professionali (“ehi Luis, non mi piace questo dialogo, nel mio ruolo di statua dovrei essere più eloquente”), le scenografie sontuose, le lotte sul budget, le sedi da adattare, la pubblicità, i biglietti. Inoltre, non ci sono aspettative per un ruolo in quel film, soap opera, serie, spettacolo.

D’altra parte, l’altro te già intuiva l’esito della tormenta. Quando eri in diversi angoli del mondo cercando di strappare sorrisi ai bambini là dove c’erano solo espressioni di dolore e sguardi svuotati dall’angoscia. L’albero mutilato dell’infanzia palestinese, la cinica indifferenza di una “civiltà” piena del culto della banalità, le umili capanne degli indigeni nel lungo oblio chiamato America Latina. Sei stato anche autista, con la tua compagna autista – “è la stessa cosa”, direbbe la ragazza zapatista che non si occupa di generi biologici ma dell’essenza di ogni essere – quella volta in cui una piccola montagna navigava controcorrente rispetto alla storia, come se si trattasse di quello, di andare contro. I suoi passeggeri che reiteravano l’allarme, avvisando dell’imminente scadenza di un sistema impazzito. Il culmine della tragedia, il mondo come lo conoscevi che si sgretolava in un gemito sordo perché non c’era nessun social network ad avvertirti. Puoi quasi dire che te lo aspettassi.

Adesso è tutto alle spalle. Sei in questa comunità da diversi giorni e tu, che sei mediamente intelligente, hai capito che queste persone riunite insieme non vogliono ripetere la storia del “piccolo Malcom nella sua lotta contro gli Eunuchi”.

Adesso sta per arrivare il tuo turno. Coloro che facevano parte del gruppo sedevano insieme, come gli esseri umani che si uniscono nella disgrazia. Perché non riesci a toglierti dalla testa i dialoghi di “La persona onesta del Sichuan”? Forse perché tutto questo sembra la stessa cosa: la sfida di essere una persona migliore e di essere buona, di vivere meglio senza abbandonare l’onestà come valore umano. Rimangono solo due persone prima che arrivi il vostro turno di presentarsi. Fai un rapido calcolo: c’è chi può interpretare i personaggi: c’è Shen Te – Shui Ta, e confidi che ricordi i dialoghi; ci sono gli dei, ci sono Wang, Sun e Shui Fa. Ma per quanto riguarda la scenografia? Come? Con cosa? Dove? È il vostro turno. Allora tu e il tuo gruppo vi rendete conto che state affrontando la sfida più grande della vostra professione: con le vostre esibizioni dovete far immaginare al pubblico la scenografia. “Questa è la storia di una donna che era anche un uomo che era anche donna e così via”, esordisci stando al centro del campo da basket.

Alla fine nessuno ha applaudito. Non ci sono state interviste, flash, richieste di autografi, critiche da parte della stampa specializzata. Né applausi e risate in solidarietà con la storia rappresentata. Perché adesso intuisci che questa solidarietà ti è concessa come un sussurro tra il pubblico in una lingua incomprensibile. E ora capisci: le vittime smettono di essere vittime solo quando sopravvivono con la forza della resistenza e della ribellione. Solo allora potranno ricominciare.

Siete andati bene o male? Non lo sapete, ma le presentazioni continuano. Il giorno dopo, nella cucina comunitaria chiamata “En Común Come Comida Común”, si sente una donna commentare ad un’altra: “Il problema è che i teatranti hanno pagato la ragazza. Se no, sarebbe stata un’altra cosa.” “O coso, dipende”, risponde la sua compagna. “La Paga”, ti viene da pensare… “Certo”, dici, “Bertolt si affacciava a quella che sarebbe stata la Seconda Guerra Mondiale e ai suoi orrori, e così sottolineava il dilemma posto dal denaro, dunque la paga, come si dice qua, in questo posto.” Vai a sederti con il tuo gruppo che sta mangiando in silenzio perché non sanno se è andata bene o male. Prendi il piatto, guardi gli altri e dici: “il problema è la paga”. Tutti ti fissano. “Si deve immaginare un altro mondo”, continui. Finito di mangiare, mentre fai la fila per lavare il piatto, mormori: “Bisogna immaginare il giorno dopo”.

Il giorno dopo, all’appello dell’assemblea, sentite “teatranti” e, contemporaneamente, come dopo centinaia di prove, rispondete “presenti”. Vi sedete e vi guardate soddisfatti. Il vostro sguardo però cambia quando sentite: “Il vostro compito è portare le tavole per l’auditorium”.

Mentre trasportate le tavole pensate: “auditorium… palco… scenografia… teatro!” Anche se ora capite che non avete bisogno di un recinto. Per l’arte, un cuore collettivo è sempre più che sufficiente. Non lo dite a voce alta, ma a voi stessi “il problema non è più la paga, non dobbiamo più aspettare Godot”.

-*-

e). – Eri uno scrittore, scrittrice o escritoroa. Sai: poesie, racconti, qualche romanzo. Non era facile. Le borse di studio? Bah! Quelle erano sempre per chi sapeva relazionarsi… e adulare con costanza e perseveranza. “Il problema è la paga”, hai sentito dire dai teatranti in sala da pranzo, “Attaccati che c’è fango”. Oppure è “Ora o mai più”? Ricordi quella lezione che hai tenuto all’università. “Chi scrive racconta storie. Né più, né meno”, così avevi iniziato. Tutto questo è ormai alle spalle. Paradossalmente, il giorno prima ascoltavi Bob Dylan che profetizzava: “How does it feel / how does it feel? / To be on your own, / with no direction home / A complete unknown, / like a rolling stone”.

Adesso, con la punta del piede, fai rotolare un sassolino. Niente più tempo da soli, la penombra, la tua biblioteca, il tavolo da lavoro o la scrivania, il computer, i fantasmi, le decine di bozze, l’hard disk pieno di parole cancellate, la ricerca di un editore: “Oops, no giovanotto. La letteratura è fuori moda. Ciò che va ora sono storie interattive, storie con un minimo di parole. Cose leggere che non richiedano molta riflessione. Ma vieni un altro giorno. Sai, il mondo è rotondo e gira intorno.

Ma il mondo non esiste più, almeno non il TUO mondo. Arriva il tuo turno. Fai un bel respiro e ti alzi. Cominci: “Vi racconterò una storia”. E senza nemmeno rendertene conto stai intessendo una storia di storie che, mentre guardi i volti dei presenti, stai tirando fuori dalla tua fantasia. Decine di storie cucite insieme in una. Come nel ricamo dell’“Hydra” che hai visto in un museo di Madrid, nella Spagna dallo “spirito beffardo e anima quieta”, “la Spagna della rabbia e delle idee”, quando poi hai accompagnato il team di Open Arms che, in una taverna in Andalusia (tra tapas, battimani e ritmi di flamenco, con il cante Jondo [*] e Federico [**] che gridavano alla terra “Sveglia!”), decideva di usare la paga per una barca per il recupero dei migranti naufraghi.

Forse allora immaginavate che sarebbe arrivato il giorno in cui tutti sarebbero tati naufragi, tentando di emigrare da un mondo distrutto, pieno di macerie e di incubi, cercando qualcuno che aprisse loro le braccia per accoglierli e provare così a ricominciare…

Il silenzio governa e comanda, e si sente solo la sua voce. Anche i grilli, da sempre ciarlieri, sono rimasti in silenzio.

Il giorno dopo, nella sala da pranzo “Corri Perché Ti Prendo”, senti un vecchio che dice: “Mi è piaciuta quella storia perché lì sono più giovane”. Una donna anziana: “E io, perché lì sono carina”, e aggiunge civettuola: “Beh, più carina”. Ad un altro tavolo, due giovani: “Quello che non capisco è cosa c’entrasse quel bastardino con la storia”; l’altro “Macché bastardino, l’ho visto, è un gatto”. “Ma che dici, ha anche abbaiato”. “Non è che abbaiava, ho sentito chiaramente che si comportava come un gatto.” Poi in assemblea chiamano “Contador” [Ragioniere, ma anche Narratore – N.d.T.] tutti si girano a guardarti e tu capisci, ti alzi e dici “Presente”.

Tra te e te pensi: “Aveva ragione mia nonna: mija, sei brava in aritmetica, da grande farai la ragioniera”. Il tuo sorriso scompare quando senti “devi aiutare Doña Juanita in cucina”.

Ti dirigi in cucina, quando una bambina (di circa 5-6 anni) ti viene incontro e, senza ulteriori indugi, sbotta: “Ehi Contador, raccontami una storia su come so andare in bicicletta. Perché odio il fatto di cadere sempre”. La bimba ti mostra il ginocchio in modo che tu possa vedere un graffio ancora pieno di sangue e polvere. Chiedi educatamente: “Fa molto male?”. Si mette le mani sui fianchi e dice: “Non così tanto, fa più male la presa in giro degli stronzi dei maschi che si mettono in mostra, ma cadono, li ho visti l’altro giorno. Il Pedrito è caduto ma gli è solo finita la testa nel fango, quindi quel maledetto ha dovuto solo lavarsi e mi prende in giro. Ma io sono caduta nella ghiaia. Perché andare in bici sula ghiaia non è da tutti”.

Proprio in quel momento passa un amico e dice: “Ehi Contadora, se arriva il capitano e ti dice di preparare un piatto chiamato “Marco’s Especial”, non ascoltarlo. Il mondo intero ti ringrazierà”.

Sei mediamente intelligente, quindi capisci due cose: che il piatto del capitano non è gradito su nessuna tavola e che il mondo ormai è questa piccola comunità alla ricerca del proprio destino. Un gruppo di persone sopravvissute alla tormenta che, individualmente e collettivamente, cercano di andare avanti, di ricominciare, senza ripetere gli stessi errori… il giorno dopo.

Continua…

Dal giorno prima.

El Capitán
Ottobre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/14/sobre-el-tema-la-tormenta-y-el-dia-despues-postfacio-cuarta-parte-entre-la-paga-y-la-imaginacion/

[*] cante jondo: stile vocale flamenco.

[**] Federico García Lorca (1898-1936: poeta lirico e drammaturgo spagnolo le cui opere sono ampiamente utilizzate nel flamenco).

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Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo. Postfazione. Parte Terza: Altre opzioni? Quando le parole non sono necessarie.

Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo

Postfazione

Parte Terza: Altre opzioni? Quando le parole non sono necessarie.

Continuiamo con l’assemblea comunitaria. La persona accanto a te ha già dichiarato ciò che sa, quindi tocca a te. Dunque:

a). – Sei mediamente intelligente e capisci che in questa situazione le parole sono inutili. Quindi inizia a mormorare una melodia musicale, ti alzi in punta di piedi e allarghi le braccia come rami di un albero ancora da immaginare e inizi a girare e saltare, a… a… ballare? E il rumore. E ora ti segue un gruppo di ragazze e ragazzi, compresi cani e gatti, che iniziano a saltare, fare giocolerie e, quasi senza volerlo, sincronizzarsi. E poi c’è il falò (perché non c’è elettricità e la notte già avvolge l villaggio), e poi il fuoco convoca e non distrugge. E, senza volerlo, la coreografia involontaria ruota attorno al falò. E le ombre replicano la danza nelle persone, negli alberi, nella montagna.

E poi, il giorno dopo, scopri che i ragazzi e le ragazze ti chiamano “quella che vola” o “quella che balla in modo molto diverso”. E qualcuno, uno di quegli immancabili guastafeste, li corregge con: “Si dice Ballerina”.

E alla successiva assemblea comunitaria, quando fanno l’appello per sapere se ci sono tutti, senti “la ballerina” e ti accorgi che tutti gli sguardi convergono su di te e, non senza arrossire, ma sorridendo, dici “presente”.

Certo, il sorriso dura poco perché poi aggiungono: “è il tuo turno nell’orto con la comare Chepina”.

-*-

b). – Non dici niente. Perché, mentre l’assemblea continuava il suo corso, tu hai preso un carboncino e, su una tavola, hai disegnato qualcosa che potrebbe benissimo essere il ritratto dell’assemblea. Qualcosa come una panoramica ma senza cellulare di ultima generazione, né sistema operativo potente, né AI.

Allora non dici niente, ti limiti a sollevare la lavagna, la passi a chi ti sta accanto, e loro la passano tra i presenti che mormorano in una lingua incomprensibile. Poi ti accorgi che accanto a te c’è una bambina, di circa 3 o 4 anni, che ti fissa con curiosità. Fai quello che fanno tutti gli adulti in una situazione imbarazzante con un bambino piccolo e chiedi: “Come ti chiami?”. La bimba non risponde, continua a guardarti ma non con paura. La ignori e cerchi di individuare la tavola con il disegno panoramico. Hai intenzione di incorporarlo nel tuo “portfolio” o “curriculum” perché non si sa mai, potresti imbatterti in un Marx paradossale che non vuole pagarti per i tuoi progetti e ti consegna invece un diploma. La bambina accanto a te ha già una tavoletta e un pezzo di carboncino e, porgendoteli, dice: “il mio gattino si è perso”. Sei colto di sorpresa, ma sei abbastanza intelligente da presumere che la bimba vuole che tu le disegni qualcosa come un poster di ricerca, quindi le chiedi: “Allora, che aspetto ha il tuo gattino?”. La bambina sorride perché si rende conto di aver capito la cosa principale e spiega: “Il mio cane ha l’occhio giallo”.

Quello che segue è un botta e risposta che non porta da nessuna parte: “ma hai detto che era un gattino”. “È lo stesso.” “No, non è la stessa cosa, i gatti sono una cosa e i cani sono un’altra.” “È”. “Non lo è”. La bambina, senza volerlo, ti dà una lezione di inclusione e chiarisce: “È un cane-gatto. Ma non uno qualsiasi. Il mio cane-gatto ha gli occhi gialli. Così”. E la bambina strizza gli occhi per farti capire come sono gli occhi gialli.

Poiché hai ormai perso di vista la tua panoramica con “Sistema Operativo La Migaja Versione 7 alla N potenza”, cominci a disegnare l’animaletto seguendo le istruzioni della bambina che gesticola anche i colori, corregge le zampe, il corpo, la coda e la faccia. Quando hai finito ti rendi conto che, in effetti, il tuo disegno potrebbe benissimo rappresentare un cane… o un gatto… o un gatto-cane. La bambina guarda con approvazione il disegno, ma sai al poster di ricerca mancano i dati, quindi chiedi: “Dove si è perso?”. La bambina ride mentre dice: “Non si è perso. Mi ha già trovato. È solo che hai disegnato la foto troppo tardi”. La bambina se ne va con un animaletto in braccio che, sì, potrebbe benissimo essere un cane o un gatto… o entrambi.

Il giorno dopo vieni accerchiato da bambini e bambine che chiedono di disegnare i loro animali. Un bambino, con indosso una maglietta con su scritto “Comando Palomitas”, descrive un maialino, un cucciolotto, e vuole una “foto” ora che è piccolo, perché poi crescerà e non vorrà più giocare. Così stai disegnando degli animaletti, parecchi che sono stati sognati, e, tra i mormorii senti qualcuno dire “beh, dillo a quella che guarda”. Un altro guastafeste correggerà a tempo debito: “si chiama Pittrice”.

Prima dell’assemblea arriva un gruppo di ragazze che ti chiede di fare loro un disegno che identifichi la loro squadra di calcio, perché quando giocano contro le altre squadre vanno in confusione e perdono sempre. Chiedi il nome della squadra e la ragazza più giovane ti dice convinta: “Las Perdedoras”. Capisci la logica: hanno bisogno di qualcosa che le identifichi come parti del tutto, cioè della squadra. Un logo o un’immagine di gruppo, non ricordi come dirlo. Dopo un po’, quando fanno l’appello dei partecipanti, non esiti a dire “presente” quando chiamano “la pittrice”.

Anche se poi pensi “maledetta sfortuna”, quando ti dicono che tocca a te racogliere il mais.

-*-

c). – Fai parte di un gruppo musicale. Beh, eri parte. Di quei moderni sintetizzatori, mixer, strumenti elettronici, effetti speciali e potenti altoparlanti ottoffonici non sono rimasti nemmeno i cavi. Ti sei seduto accanto ai tuoi compagni e, nervosamente, vi guardate intorno quando vi accorgete che, nelle presentazioni, è quasi il vostro turno. Non sapete cosa fare. Ma, Dio sia lodato, avete visto che anche “l’equipaggio” (la squadra di supporto, quindi), è naufragato ed è finito in questo strano posto. Non c’è bisogno di parole. Il team di supporto avendo previsto la catastrofe, appare con una chitarra rotta, con qualcosa che assomiglia più a una coda di cavallo che corde; un vecchio fusto che, in altri tempi, forse serviva come contenitore per benzina, olio o gasolio; e un paio di lattine vuote e ammaccate della famosa cola.

Sei mediamente intelligente, quindi capisci che tutto ciò che devi fare è improvvisare. Quando arriva il tuo turno prendi la chitarra – anche se è più stonata di quella di tua nonna, che riposi in pace -; un altro mette una sedia davanti alla latta come un tamburo; un altro tira fuori un pettine (ma chi pensa di salvare un pettine in una catastrofe?) e con una carta di caramelle inizia ad accordare? Là qualcuno ha messo dei sassolini nei barattoli. E iniziate con “La del moño colorado” (occasione di cui il capitano approfitta per svignarsela, terrorizzato, dall’incontro). In pochi istanti l’assemblea danza e chiede “un altro, un altro”. Vi sorridete con complicità come a dirvi “l’abbiamo scampata”. L’incantesimo si spezza quando vi viene detto “dovete aiutare a scaricare il motore del camion da 3 tonnellate grigio”.

L’altro giorno avevano sentito che dicevano “i compagni musicisti devono presentarsi in officina per sistemare il motore del 3 tonnellate rosso al torchio”. Camminano rassegnati ed uno di voi chiede “ma che, non era grigio?”. D’istinto iniziate a canticchiare “Todo Cambia” di Julio Numhauser Navarro e salutate così Mercedes Sosa, e arrivate all’autoproclamata “officina meccanica”. Rimanete senza parole quando vedete il Monarca con un’espressione ostile che brandisce, impaziente, una chiave inglese delle dimensioni di un teschio umano. Da un registratore alimentato da una bicicletta a dinamo, montato su una struttura di legno, Mario Benedetti risponde che “cantiamo perché il fiume suoni e quando il fiume suona, il fiume suona” e viceversa.

In lontananza puoi vedere un gigantesco serpente marrone acquoso che taglia la linea dell’orizzonte. E proprio in quel momento, dal registratore, tutti i cimiteri cercano Oscar Chávez a Macondo. Due ragazzine provano i loro passi migliori perché ci sarà un incontro e quindi ci saranno balli e cumbia.

E nella cumbia, affermò il defunto SupGaleano, ci sono il tutto e le parti.

Continua…

Dalle idem.

El Capitán
Ottobre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo
Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/13/sobre-el-tema-la-tormenta-y-el-dia-despues-postfacio-tercera-parte-otras-opciones-cuando-las-palabras-no-son-necesarias/

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Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo. Postfazione. Seconda Parte. Cambiare in continuità? Di nuovo la stessa cosa?

Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo.

Postfazione.

Seconda Parte. Cambiare in continuità? Di nuovo la stessa cosa?

L’assemblea comunitaria segue il suo corso di presentazioni. Tocca a te rispondere alla domanda chiave “E tu?”.

Sì, ci sono diverse possibilità. Sei una persona mediamente intelligente e credi in te stesso e nella tua capacità di convincere (per questo hai letto diversi manuali su come acquisire follower, e hai anche seguito il corso “1000 passi per essere popolare nell’era digitale”), quindi, ad esempio, puoi provare a convincere le persone presenti a questa ipotetica assemblea che è meglio creare una società in cui artisti e scienziati abbiano un posto separato. E per questo, ovviamente, è necessario uno Stato, perché è impossibile anche solo immaginare una società senza Stato (beh, è possibile, ma non è questo il punto). E questo Stato ha bisogno di qualcuno che governi, cioè di qualcuno che comandi. Chi mandare, non mancherà. E che si facciano carte per tutto: per le proprietà di ciascuno, e per lo scambio, cioè per comprare e vendere.

Se prima della comparsa di questo Stato il furto e l’esproprio avvenivano con la forza, la nuova civiltà è questa, civilizzata, allora dobbiamo regolamentare e legiferare questi crimini, renderli legali, in modo che la legalità sostituisca la legittimità. Quindi non sarebbe male creare un corpo di persone specializzate nel fare leggi. Con loro nasceranno anche bandiere, inni nazionali, confini e storie.

Certo, quello che accadrà è che chi è stato espropriato – con o senza leggi – non avrà altro che la propria capacità, manuale e conoscenza per produrre: e, d’altra parte, chi ha tratto profitto da quei crimini potrà “comprare” quella capacità di produrre. “Contrattare” potrebbe essere il termine, perché “sfruttare” suona male. Poi dovremo legiferare anche su questo rapporto. Contro ogni evidenza, poiché entrambi – il contraente e il contrattato – sono membri di questa nascente comunità, si tratta di un accordo tra eguali che liberamente contraggono e sono contrattati.

Per elogiare questa “libertà” viene coniato un termine che elimini la differenza tra proprietari e non proprietari. “Cittadini” può essere un’opzione interessante. E da lì deduciamo i loro equivalenti asettici: “donne”, “giovani”, “bambini”, “anziani”, “bianchi”, “afroamericani”, “asiatici”, “marroni”, “indigeni”, “razza mista”, “creoli”, ecc..

Tutti questi termini ci permettono di lasciare da parte, o nascondere, le differenze contrastanti tra possessori e spossessati, e devono esserci leggi che garantiscano questo occultamento.

Affinché queste leggi siano rispettate (si sa: capita spesso che ci siano persone che non obbediscono), è necessario un altro gruppo di persone che si dedichi ad “applicare l’ordine”. Una polizia, quindi. E, per appropriarsi delle risorse che si trovano in un’altra comunità, un esercito.

E che assegni a un colore della pelle e a un genere, il posto in quella società.

Ad esempio, le persone di pelle scura resistono meglio alle intemperie (o almeno così è stato insegnato loro), e le persone di pelle chiara sono più sensibili, più delicate (o almeno così è stato insegnato loro). Le femmine stanno bene in casa. I maschi in posizioni dirigenziali. Gli otroas?… che schifo! È un fenomeno aberrante che va eliminato o ignorata la sua esistenza. Per questo verranno utilizzate le gattabuie, le retate, le prigioni e le bare.

Hai salvato dalla catastrofe la cosa più importante, cioè il tuo schema di valori. È quindi naturale che le donne, poiché sono loro che possono avere figli, si facciano carico della casa in cui questi bambini cresceranno e prendano il posto che gli spetta. Hai portato con te anche il tuo canone di bellezza, quindi determinerai d’istinto quale donna è più… più… più “attraente” (stavo per dire “è più bona”, ma la serietà artistica e scientifica di questo testo lo sconsiglia ), quindi si selezionano i migliori “riproduttori” per “migliorare la razza”. Il “buon gusto” sarà importante non solo a tavola e nell’abbigliamento, ma anche nella caccia umana.

Naturalmente, le donne causeranno sempre problemi – è nella loro essenza – quindi occorrerà implementare un femminismo moderato, sempre supervisionato dagli uomini. In caso di “eccessi”, i maschietti prometteranno di comportarsi bene e concederanno, ad esempio, di frequentare corsi di genere. E che le donne accedano agli spazi di potere. Naturalmente, previa mascolinizzazione.

Ad esempio, l’arrivo di una donna in una posizione manageriale verrà presentato come una “conquista” delle donne in generale, anche se quella ragazza-giovane-adulta-anziana che va a scuola o al lavoro o al mercato, studentessa o dipendente o casalinga, continuerà ad essere un “bersaglio di opportunità” nel mirino del predatore nascosto dietro “le nuove mascolinità”.

La stessa cosa accadrà con i neri. Si ribelleranno continuamente e resisteranno nel prendere il loro posto nel nuovo mondo. Quindi sono necessarie almeno due cose: una è distribuire l’elemosina (non molta perché si abituano male). L’altra è adottarne alcuni con la pelle scura in modo che si veda che c’è inclusione e che ci sarà sempre la possibilità di arrivare in alto nella società. Se persistono nella loro stupidità, beh, è a questo che servono la polizia e gli eserciti.

Se, Dio non voglia, gli otroas seguono il cattivo esempio, nessun problema. Basterà applicare il principio di “imitazione”. Cioè, etero che si fingano otroas, si comportino bene, assumano il loro posto nei governi e basta. Attenzione: non abbandonare mai la politica di gattabuia-raid-prigione-bara. Bene, quelli che raggiungono la bara. Perché la sparizione forzata sarà un’opzione.

La società “di pelle scura”, diciamo, dovrà contribuire affinché lo Stato creato possa sostenere le arti e le scienze. Perché questo è quello che ti hanno insegnato a scuola: grandi soldi hanno finanziato le grandi scoperte scientifiche e le meravigliose opere d’arte che riempiono musei inaccessibili e moderni laboratori e sale di prova.

In questa supposizione che vi presento, tutto è scomparso, è stato distrutto, saccheggiato o sepolto tra macerie, sangue, ossa, fango e merda da qualche parte.

Ma, nell’idea di futuro di quella comunità isolata, in breve tempo (diciamo tra qualche secolo), il “progresso” farà scoprire nuovi territori e tecnologie da conquistare.

Dapprima con armi “bianche” e armature, poi con più armi, ora armi da fuoco, carri armati e aeroplani, la conquista avanzerà e, con essa, fioriranno la prosperità e lo sviluppo. E, naturalmente, l’espropriazione, la sottomissione (“moderna”, questo sì), la distruzione e la morte, ma questo ormai non importa più.

Presto saranno le banche a comandare le compagnie minerarie, le imprese agricole, i corridoi industriali, i centri turistici, i treni moderni e gli aeroporti che occuperanno pianure e montagne, contamineranno fiumi, lagune e sorgenti, come dipendenti (attenzione: evitate di usare la parola “schiavi”) si userà la gente del posto di pelle scura, prenderanno tutto quello che possono e poi se ne andranno da qualche altra parte lasciando dietro di sé una terra desolata… come in guerra. In ogni momento troveranno nello Stato il capoccia docile, servile e crudele necessario per la nascita di questa nuova civiltà.

E così ti rendi conto che è possibile avere un posto sicuro, come si dice, “sapere con chi stare”. Per questo sarà necessario un sistema educativo che “insegni” ai bambini, fin da piccoli qual è il loro posto. Quindi sì, ci siano scuole per i neri e scuole per i bianchi. La tua ascesa come artista e scienziato seguirà il travolgente avanzamento del nuovo mondo.

Poiché la libertà di creazione, ricerca e contrattazione è la cosa più importante, si dovrà evitare l’arrivo di coloro che lottano per uno Stato Totalitario, anche se per questo fosse necessario… un altro Stato Totalitario.

Non importa se questo Stato sia una democrazia rappresentativa, monarchica, parlamentare, dittatoriale, ecc., ma piuttosto che sia capace di omogeneizzare la società imponendo l’egemonia di un’idea: “progresso” significa progresso della singola persona, a qualunque costo e a costo di chiunque. Il lavoro degli altri deve essere indirizzato ai propri fini. Cambiare parte, quindi, indipendentemente dal colore, dal genere (o non-genere), dalla taglia, dalla religione, dalla razza, dalla lingua, dalla cultura, dai modi, dalla storia. In alcuni regnerà la felicità, in altri l’infelicità di dover lottare per la felicità. Alcuni sono i possessori, gli altri sono gli espropriati che desiderano essere possessori.

In questo dilemma spererai di convincere altre persone di questa grande idea. È il tuo turno. Coraggio, applica ciò che hai imparato.

Certo, è molto probabile che qualcuno ti interrompa e ti ricordi che tutti, te compreso, si trovano in quella situazione proprio a causa di un sistema con quelle caratteristiche.

-*-

Certo, ora pensi che questa ipotesi sia troppo estrema, che nessuna persona razionale, colta, altamente istruita, etero, mascolina o mascolinizzata, civilizzata e “moderna” vorrebbe una cosa del genere.

Ma ho solo riassunto le basi di una società capitalista: sfruttamento, repressione, furto e disprezzo. Un sistema patriarcale, razzista, sfruttatore, bellicoso, criminale, disumano, crudele e spietato che, distruggendo, cresce. Ed è cresciuto fino a distruggere il mondo come lo conoscevi. Una società come quella in cui “viviamo” tu e noi.

Oh, non arrabbiarti. È solo una situazione “ipotetica”; una supposizione. I progressi scientifici e tecnologici, così come il fiorire delle “vecchie” e delle “nuove” arti, sono m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-e. Il riscaldamento globale è una bufala inventata da ambientalisti oziosi (ho già detto che sono anche brutti?) – semplici hippy moderni e scolarizzati -. Il cambiamento climatico è una moda passeggera, non ci sono uragani, terremoti, siccità o inondazioni insolite. I femminicidi? Non esistono, sono punizioni che il destino concede alle donne che non stanno al loro posto… o che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non esiste la criminalità organizzata perché lo Stato non ammette concorrenza (in termini di criminalità, ovviamente; in termini di criminalità organizzata è di gran lunga superiore); e le controversie tra paesi si risolvono attraverso il dialogo, quindi non ci sono guerre o genocidi che usano la storia per convenienza (“abbiamo il diritto di eliminare l’altro perché prima eravamo gli altri e loro volevano eliminarci”). Bene, va tutto bene, no?

Ma quella di replicare il modello organizzativo precedente è solo una possibilità, ce ne devono essere altre. Perché, nell’ipotetico “giorno dopo”, un’opzione è quella di ricominciare da capo ricostruendo il sistema che ha causato, alimentato e portato a destinazione la tormenta. Naturalmente, “limando i bordi” di quel sistema.

Sollevo questa possibilità perché è noto che, mancando fantasia e audacia, c’è chi tende a ricominciare da ciò che è conosciuto. Proprio come un movimento che si organizza per contrastare un partito di Stato, diventa… un partito di Stato. Se ne nutre e si “appropria” degli usi e dei costumi di chi gli era nemico. Quindi vale tutto, tutto è permesso, pur di non smettere di essere… un partito di Stato.

E, così quando è evidente che “qualcosa” non va nel sistema, di solito viene anche introiettata la prova che nient’altro è possibile, che “un mondo in cui ci sono molti mondi” non è possibile.

Continua…

Dalle eccetera.

El Capitán

Ottobre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/12/sobre-el-tema-la-tormenta-y-el-dia-despues-postfacio-segunda-parte-cambio-con-continuidad-de-nuevo-lo-mismo/

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Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo. Postfazione. Prima Parte. L’Ipotesi (o era l’ipotenusa?)

Sul tema: La Tormenta e il Giorno Dopo.

Postfazione.

Prima Parte. L’Ipotesi (o era l’ipotenusa?)

Mi perdonerete se non mi rivolgo specificamente, anche se in generale, alle persone, ai gruppi, ai collettivi, alle organizzazioni, ai movimenti e ai popoli originari della Dichiarazione per la Vita. Gran parte di queste persone non solo già conoscono, e subiscono, la Tormenta in prima persona. Inoltre e da molto tempo resistono, lavorano e lottano per creare le basi per altri mondi. Hanno la propria analisi della tormenta e la loro alternativa per il Giorno Dopo. Ci auguriamo che queste persone condividano la loro prospettiva, la loro diagnosi e, soprattutto, la loro pratica. Ne conosciamo molti. Non la maggioranza. E crediamo che la loro storia e le loro azioni attuali arricchirebbero notevolmente altri sforzi, se non uguali o simili, almeno nella stessa impresa: la lotta per la vita. In effetti, ci sono date speciali per questa condivisione. Chiarito quanto sopra, passiamo alle scienze e alle arti.

-*-

Le arti e le scienze dipendono dalle tecnologie della modernità? Cioè se non ci sono internet, applicazioni, cellulari, tablet e computer, Intelligenza Artificiale, energia da combustibili fossili, ecc., è possibile l’arte teatrale? La pittura? La musica? La danza? La scultura? La letteratura? Il cinema? Le scienze?

Oh, lo so. Le arti non sono nate con il sistema che oggi strangola l’intera umanità. Ma forse già si tratta di un “cambio di paradigma” (l’alibi per eccellenza per arrendersi), e il sistema ha convinto le “maggioranze” che senza di esso, senza il capitalismo, l’umanità è impossibile.

E la scienza può dimostrare che la terra è tonda senza Internet, foto aeree, ecc.? Spiegare i movimenti dei pianeti? La fisica e la chimica senza laboratori o tutorial? La matematica oltre le mele e le pere? (ovviamente, visto quanto costa tutto oggi, anche senza pere o mele).

Perché potrebbe darsi, è una supposizione, che in una situazione di catastrofe arrivi qualcuno che sostiene che la terra è piatta e quadrata, che il cambiamento climatico e il riscaldamento globale non esistono e che sono solo un’invenzione di ambientalisti brutti e corrotti ( passi per i corrotti, ma “brutti” è imperdonabile – soprattutto con l’infinità di prodotti cosmetici e applicazioni digitali che si possono rimediare, sentite -), che va tutto bene, che non succede nulla, che sono eventi isolati, che prima era così ma adesso è cambiato tutto, che non siamo più gli stessi, che tutti sono felici, felici, felici. Ops! Non si doveva parlare di politica, argomento che di solito mette a disagio scienziati e artisti (o talvolta li spinge a dire sciocchezze).

Ma supponiamo che, in quei momenti di disperazione e caos, quando i diversi governi consultano sondaggi e indici di popolarità per decidere se aiutare o meno un luogo in difficoltà e se inviare o meno aiuti, qualcuno appaia come un “profeta” di salvezza. e “spieghi” che tutto è una punizione divina, colpa dei conservatori, liberali, radicali, di destra, di sinistra e chi più ne ha più ne metta.

Non sto parlando della situazione attuale in nessuno degli stati messicani; né degli stati del sud-est dell’Unione Americana, né della distruzione – con alibi geopolitici di destra o progressisti – in Europa Orientale, Medio Oriente, Haiti, Wallmapu dieci, cento, mille volte ribelle. Parlo di tutto questo, ma in grande stile, globale, in singole parti e nel tutto.

Per te, come artista o scienziato (o entrambi), il mondo finirebbe? Intendo il TUO mondo. Sì, lo so, le arti e alcune scienze esistono fin dall’antichità; e le applicazioni di progettazione grafica devono qualcosa, ad esempio, ai dipinti delle grotte di Altamira; matematica e astronomia agli antichi Maya; l’arte drammatica alle descrizioni, con gesti e suoni, di qualcuno che, millenni fa, raccontò come fosse riuscito a fuggire da una tigre dai denti a sciabola; l’architettura di Stonehegen nella bionda Albione; la scultura dei Moai del popolo Rapanui.

Ma… in che misura o fino a dove le tecnologie della modernità già controllano, oppure no, la creazione artistica e la ricerca scientifica?

No, non si tratta di reindirizzare, con l’esplosione di un ordigno nucleare, un asteroide affinché si schianti e distrugga il telescopio Hubble: o di incendiare o saccheggiare centri di ricerca scientifica (la criminalità organizzata fattasi governo già se ne sta occupando). E, in tal caso, sono sicuro che l’intera comunità scientifica si unirebbe se qualcuno tentasse anche solo di distruggere la struttura della ricerca; minacciare i suoi membri; sporgere denunce penali contro di loro; o agganciare la ricerca scientifica a un progetto politico di parte, giusto? (ah, il mio sarcasmo non è sottile?)

Mi riferisco, però, a una situazione limite, dove queste risorse sono impossibili da ottenere, o ci sono molte difficoltà per accedervi. Cosa accadrà alle scienze e alle arti, così come alle persone che vi si dedicano?

Ora, si potrebbe pensare che questo scenario non sia nemmeno possibile, e che non sia altro che una brutta sceneggiatura per un brutto film di fantascienza – “science fiction”: un ossimoro, come “politico onesto” -. Ok, ok, continuate col vostro scenario, schermo 8k, piattaforma digitale, laboratorio, accademia.

Sono sicuro che disponete di dati concreti – studi comprovati, modelli di simulazione, conteggi delle risorse non rinnovabili, tendenze di consumo e di riposizionamento – che questo scenario è “molto improbabile” – insieme al riscaldamento globale, ai cambiamenti climatici, alle guerre di riconquista, alle politiche ambientali, i genocidi come quello attuale in Palestina -; e che avete accesso a sondaggi del tutto attendibili che dimostrano che le persone sono soddisfatte del loro attuale tenore di vita (quindi è remota anche la possibile insorgenza di sollevazioni, disordini, insurrezioni, proteste, saccheggi, rivolte).

Ok, non vi sto contraddicendo. Avete fama e posizione nelle Arti e nelle Scienze, ed io sono solo un povero capitano di fanteria ora assegnato al settore “Partecipazioni di Nozze, Battesimi, Prima Comunione, Divorzi, Unioni di Fatto, Venticinquesimi e… Incontri”.

-*-

Dunque, supponiamo che vi si presenti una sfida: immaginate di essere in una comunità. Più precisamente, nell’assemblea di quella comunità… il giorno dopo. Senza elettricità, senza cellulari prepagati o a noleggio, senza “internet per tutti”, senza Elon Musk e i suoi piccoli equivalenti locali di piccoli sconti, senza veicoli privati progettati per resistere a rivolte e insurrezioni della plebe (la blindatura extra del cybertruck si paga a parte), senza combustibili fossili per avviare l’altro veicolo e andare a cercare campo (maledicendo i governi e compagnie al potere), e senza la possibilità di acquistare un biglietto per un moderno razzo interstellare che vi porterebbe su un altro pianeta “all included” (ovvero comprende la forza lavoro che vive, si riproduce e muore al vostro servizio – notare come ho elegantemente evitato ogni riferimento allo “sfruttamento” -).

Niente di tutto ciò è più possibile. Certo, sempre in questo ipotetico scenario in cui vi trovate in un’assemblea di una comunità isolata da tutto, perché il tutto non esiste più.

Ci sono diverse persone con voi e, per avviare quel germe di società, in un’assemblea di quella comunità, ognuna di quelle persone dirà quello che è, sa e può fare, e proporranno, discuteranno e si accorderanno come organizzarsi. Ebbene, in realtà sto descrivendo ciò che accade in un’assemblea comunitaria di popoli originari.

E, proprio come in un’assemblea comunitaria di popoli indigeni, l’incontro fissa un obiettivo e si propone, discute e concorda cosa bisogna fare, come, chi lo farà, dove, quando; in questa ipotetica assemblea nella quale sei costretto a stare dalle circostanze, l’obiettivo è… ricominciare.

Quindi continuiamo con la sfida di immaginarvi ed essere in questa situazione in cui, per qualsiasi motivo, il mondo come lo conoscevate è crollato.

Torniamo quindi all’assemblea:

C’è chi dice che sa lavorare la terra e bastano le sue mani per fare qualcosa che, dice quella persona, si chiama “coa”. Sembra che tutti sappiano di cosa si tratta, quindi non chiedete nulla per timore di rendervi ridicolo. C’è chi dice di conoscere le piante e di poter produrre medicinali. C’è chi dice di conoscere frutta, funghi e verdure (che schifo!), coltivarli e conservarli. C’è chi dice di sapere un po’ di falegnameria e di poter realizzare tavoli, sedie e, ovviamente, letti. C’è chi dice che sa fare il muratore e può aiutare a costruire le case. C’è chi dice di conoscere la meccanica e di poter provare ad avviare quel vecchio motore di quel vecchio veicolo abbandonato, oppure trasformarlo in un motore alimentato ad aria, acqua, calore. E così, ognuno presenta le proprie capacità, evidenziando, in quella situazione, le cosiddette “abilità manuali”.

E poi arriva il vostro turno, cosa dire?

Dite di essere un artista come se confessaste un peccato di gioventù?

Dite di conoscere la scienza come se vi pentiste di essere appartenuto a una setta fanatica o a un partito politico – è la stessa cosa -?

Siccome siete una persona moderatamente intelligente, mentre arriva il vostro turno di parlare avete capito che le persone più preziose per questo germe di società sono coloro che, grazie alle loro capacità e conoscenze, possono ottenere – con il loro lavoro -: cibo, mobilità, salute, istruzione e alloggio per coloro che vivono in quella comunità.

Stando così le cose, potreste dover affrontare più di un dilemma.

Continua…

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Ottobre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/11/sobre-el-tema-la-tormenta-y-el-dia-despues-postfacio-primera-parte-la-hipotesis-o-era-la-hipotenusa/

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Incontri Internazionali delle Ribellioni e delle Resistenze 2024-2025. Tema: La Tormenta e il Giorno Dopo.

CONVOCAZIONE

Ottobre 2024

Le Assemblee dei Collettivi dei Governi Autonomi Zapatisti (ACEGAZ), le comunità zapatiste e l’EZLN invitano tutte le persone, i gruppi, i collettivi, le organizzazioni, i movimenti e i popoli originari che hanno firmato la cosiddetta Dichiarazione per la Vita, agli…

Incontri Internazionali delle Ribellioni e delle Resistenze

2024-2025

Tema: La Tormenta e il Giorno Dopo

Le sedi degli eventi, così come la loro realizzazione, sono in sospeso a causa dell’evidente situazione di insicurezza e violenza che i tre livelli di governo (federale, statale e municipale, emanati dai partiti PRI, PAN, MC, PVEM, PT e MORENA), in Chiapas, hanno provocato, alimentato e coperto per diversi anni. Ebbene, questa situazione esiste e persiste nelle parti e nell’insieme di questa geografia chiamata “Messico”, ma l’intenzione è nello Stato messicano sudorientale del Chiapas.

Le date pensate sono:

Prima data: dalla seconda metà di dicembre 2024 al 3 gennaio 2025. Sede da definire. Attività: interventi zapatisti sulla loro diagnosi della tormenta e sulla genealogia del comune per affrontare il giorno dopo. Prima presentazione d’Arte di giovani zapatisti. Luogo: da definire.

Seconda data: febbraio-marzo 2025. Musica, teatro, pittura, danza, scultura e letteratura del giorno dopo. Sede: da definire.

Terza data: dal 12 al 19 aprile. Musica, teatro, danza, pittura, letteratura e scultura del giorno dopo. Scienze: Fisica, Chimica, Astronomia, Matematica, ecc. Pratica e insegnamento. Attività artistiche e scientifiche, senza elettricità, solo con strumenti non elettrici e materiali non commerciali, sul campo, senza internet, senza combustibili fossili. Sede: da definire.

Quarta data: luglio 2025 – Incontri Semilleros: percorsi, ritmi, compagnie e destinazioni per il viaggio nel Giorno Dopo. Firmatari della Dichiarazione per la Vita. Sede: da definire.

Quinta data: ottobre-novembre 2025. – Passeggiata-corsa-cavalcata-sorvolo aperta in onore dei nostri antenati: piedi nudi, infradito, scarpa, tacco a spillo, scarpa da tennis, stivale, scarpetta, triciclo, bici, pattini, monopattino, skateboard, pattino del diavolo, carriola, moto, quad, cavallo, asina (senza aggravio), asino (che non sia un dipendente pubblico), motoscafo, barca, sci, tavola da surf, slitta, carretto, carro, calandra, auto, furgone, camion, autocarro, autobus, rimorchio, trattore, autocarro con cassone ribaltabile, sedia a rotelle, taxi, app delivery, drone, aereo, piccolo aereo, aeroplano di carta, modellino di aeroplano, aeromodello, girandola, ecc. Giorni dei morti: altari e decorazioni mobili, portatili o personali in onore dei defunti. Luogo: nelle parti e nel tutto del pianeta Terra.

Sesta data: seconda metà di dicembre 2025: Seminario sulla tormenta e il giorno dopo, con relatori invitati. Sede: da definire.

Maggiori informazioni, nei prossimi testi che saranno pubblicati sulla pagina web: https://enlacezapatista.ezln.org.mx

Dalle montagne del sud-est messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, ottobre 2024

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/10/convocatoria-a-los-encuentros-internacionales-de-rebeldias-y-resistencias-2024-2025-tema-la-tormenta-y-el-dia-despues/

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MEMORIA E RABBIA.
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.
MESSICO.

26 settembre 2024

Alle madri, ai padri, ai compagni e alle compagne degli scomparsi di Ayotzinapa:

A coloro che stanno cercando:
Sappiamo che non è stato facile arrivare a questa pagina del calendario.
Comprendiamo il dolore e la rabbia di sapere ora che, indipendentemente dal colore, lassù il disprezzo e le bugie continuano.

Sappiamo che a motivarvi non è stata solo la speranza di ritrovare i dispersi. Perché in questi anni il vostro dolore si è esteso alle migliaia di parenti delle persone scomparse in questo Paese.

E ogni madre, ogni padre, ogni membro della famiglia, ogni amicizia, ha intensificato questo dolore fino a raggiungere il culmine della rabbia di chi cerca e non trova.

Né verità né giustizia.

Né la minima empatia da parte di chi detiene il potere solo per vantarsi e mettersi in mostra, ma non per servire e risolvere. Il carnefice che pretende di presentarsi come vittima.

In questo lungo viaggio avete incontrato tradimenti, di chi ha usato il questo dolore solo per ottenere una posizione, una causa per cambiare colore al governo o, i più miserabili, uno stipendio.
E nei cattivi governi lo sguardo del cacciatore continua a cercare la prossima vittima.

Ma…

Noi, popoli zapatisti, crediamo di avere in comune con voi questo sentimento che si trova solo nel cuore di chi lotta….

Perché verrà il giorno in cui le figure di coloro che cercano instancabilmente i dispersi, dei padri e delle madri dei desparecidos di Ayotzinapa, dei loro compagni di classe, dei loro insegnanti, delle loro famiglie e dei loro amici, saranno associate a due parole di cui oggi questa geografia soffre la reale assenza: verità e giustizia.

E perché verrà il giorno in cui essere uno studente, uomo o donna, di una scuola normale rurale o di quel che sia, o dipendente, lavoratrice, insegnante, adulto o anziano, non sarà più motivo di persecuzione, disprezzo, scomparsa e morte.

Ma perché quel giorno arrivi, dobbiamo andare avanti. Se non possiamo ancora trasmettere questa verità e questa giustizia a coloro che ci seguirano nei calendari e nelle geografie, possiamo trasmettere la rabbia, la memoria e la dignità necessarie per non arrendersi, non svendersi e non cedere.
Se non ci riusciremo, ci sarà sempre la notte di Iguala a perseguitare chi viene dal basso, il suo sangue giovane e sarà sempre colpevole di ribellione.

Se non ci sarà Verità e Giustizia, non mancheranno la rabbia e la memoria.

Dalle montagne del sud-est messicano.
A nome delle donne, degli uomini, degli anziani, delle ragazze e dei ragazzi zapatisti.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, 26 settembre 2024

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Ci sono persone così…..

In vari angoli del mondo e in tutto il pianeta, nelle parti e nel tutto, capita che ci siano persone così…

Che dicono “NO”, quando la maggioranza annuisce con rassegnato disinteresse.

Che alzano la testa, quando la maggioranza la abbassa.

Che smettono di credere, quando il credo ufficiale si impone sulla maggioranza.

Che hanno dei principi, quando la maggioranza inventa alibi.

Che cercano la verità e la giustizia, mentre la maggioranza si perde.

Che camminano per trovare, quando la maggioranza siede ad aspettare.

Che lottano, quando la maggior parte si arrende.

Che dicono qualcosa quando parlano, anche se la maggioranza ripete.

Che, guardandosi allo specchio, si ritrovano, mentre le maggioranze gli chiedono di diperdersi in esse.

Che vegliano, anche se la maggioranza dorme.

Che si donano, mentre la maggioranza viene amministrata.

Che si ribellano, quando la maggioranza obbedisce.

Che si distinguono, mentre la maggioranza si assomiglia.

Che ascoltano oggi il suono cupo del domani, anche se i più sentono solo il rumore del falso passato.

Che si trasformano, mentre la maggioranza si rassegna.

Che aprono gli occhi, quando la maggioranza li chiude.

Che gridano, mentre la maggioranza si stordisce con gli slogan.

Che si fanno strada lottando tra macerie, sangue, ossa, fango e merda, scegliendo destino, ritmo e compagnia, mentre la maggioranza inghiotte i rospi che compaiono sulla strada battuta della menzogna.

Che non perdonano né dimenticano, anche se la maggioranza professa la religione dell’apatia.

Che pensano in modo critico, mentre la maggioranza consulta il dogma di moda.

Che lottano perché è loro dovere e non per essere parte della maggioranza.

Che sono solo una crepa, quando la maggioranza si fa muro.

Queste persone. Così piccole. Così distinte. Così diverse. Così minoritarie. Così necessarie. Queste persone ci sono. Anche se non sono nominate, anche se lo sguardo del Potere non le prende in considerazione, anche se in altro non le ascoltano, anche se non appaiono nei sondaggi e nelle statistiche.

Queste persone…

Per loro il nostro cuore.

Il nostro ascolto attento al loro sguardo.

La nostra parola le cerca

Il nostro abbraccio comune nonostante geografie e calendari.

Per loro, e con loro, la festa degli incontri…

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Messico, ottobre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/10/02/hay-personas-asi/

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Nella notte tra il 26 e il 27 settembre del 2014, nello Stato messicano di Guerrero, 43 giovani sono scomparsi nel nulla. Un caso che ha avuto una grande eco mediatica, ma che è ancora irrisolto. Intervista al giornalista Federico Mastrogiovanni, che nel libro “Ayotzinapa y nuestras sombras” spiega per quale motivo non è possibile indicare i nomi dei responsabili dei fatti
di Luca Martinelli — 25 Settembre 2024

Sono passati dieci anni dalla notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, quando un gruppo di studenti messicani della Scuola normale rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, nello Stato di Guerrero, vennero attaccati dopo aver occupato alcuni autobus per raggiungere gratuitamente Città del Messico.

Volevano partecipare alla manifestazione in ricordo del massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968, quando altri studenti vennero uccisi in piazza alla vigilia delle Olimpiadi, ma quella notte la stessa sorte toccò a loro: sei rimasero uccisi, 43 da allora risultano desaparecidos, vittime di sparizione forzata.

Federico Mastrogiovanni è un giornalista italiano che da quindici anni vive e lavora in Messico. Proprio in quel 2014 aveva pubblicato il libro “Ni Vivos Ni Muertos”, che racconta la desapración forzada come strategia del terrore. Oggi è in libreria con “Ayotzinapa y nuestras sombras” (Penguin Random House), un racconto corale che dà voce a decine di testimoni privilegiati e spiega com’è stato possibile che l’evento che secondo molti avrebbe dovuto cambiare per sempre la storia del Messico oggi resti ancora senza un colpevole riconosciuto, senza una ricostruzione univoca e accertata delle responsabilità.

Federico, nel libro scrivi che “è andata scomparendo l’indignazione” collettiva. Com’è stato possibile?
FM Quando ho pubblicato il libro precedente, il tema non aveva alcuna eco. Nonostante episodi molto significativi, come la sparizione forzata di una quarantina di persone nello Stato di Coahuila, nel 2011, e benché la somma totale delle vittime fosse vicina alle 100mila persone. Sono convinto che nel caso di Ayotzinapa l’elemento quantitativo sia stato importante ma non determinante, nel definire la portata di quanto accaduto dopo la desaparicion forzada: la tipologia dei soggetti è il dato più rilevante. Sono studenti e più precisamente studenti di una Escuela Normal Rural, quindi -e ne aveva consapevolezza almeno chi era nell’area della sinistra radicale- la loro è stata una sparizione piena di significato politico: i “normalisti” sono attivisti, lottatori sociali che sono stati portati via. Questo elemento la rende una sparizione non neutra: non è un levanton, svuotato di significato. Quando si iniziò a parlare della responsabilità del sindaco della città di Iguala, perché avrebbero disturbato una festa in piazza, tanti di noi non ci hanno creduto: quella lettura non ha mai avuto senso. Ha colpito l’opinione pubblica anche il fatto che i familiari, in parte politicizzati, hanno fatto blocco unitario. In altri contesti, privi di cultura politica, quando sono sparite un gruppo di persone che magari condividevano lo stesso lavoro, le famiglie hanno agito in termini individuali, disgregandosi immediatamente. Per quanto riguarda Ayotzinapa, è successo il contrario ma poi, poco a poco, anche la mobilitazione delle famiglie ha contribuito alla costruzione di una mitologia della vittima che ha finito per depoliticizzare la vicenda.

In che modo?
FM Devi avere una formazione politica solida per decidere di sostenere una causa come quella dei normalisti, sapendo esattamente che cosa fanno. Altrimenti, nel mondo superficiale delle sinistre svuotate della lotta di classe, dire che vogliono fare la rivoluzione, che lavorano anche con i movimenti armati, spaventa. La “mitificazione” della vittima sacrificale è funzionale. Come spiega Daniele Giglioli (è l’autore del libro “Critica della vittima”, Nottetempo), la vittima è l’eroe del nostro tempo, la vittima pura non ha colpe per definizione nell’ottica di una cultura cristiana, dove la vittima per eccellenza è Gesù Cristo, e assurgere al ruolo di vittima di conferisce un potere straordinario.


Federico Mastrogiovanni

Questa depoliticizzazione è avvenuta, in particolare, negli ultimi sei anni, da quando è diventato presidente della Repubblica per la prima volta un esponente dell’area progressiva, Andrés Manuel López Obrador.
FM Come tutti i governi di sinistra, anche quello di Obrador ha puntato alla sistematica debilitazione dei movimenti sociali, allo sfaldamento per sfinimento. È successo anche in Italia con i Governi Amato, D’Alema e Prodi: quelli che dovrebbero assecondare e risolvere i problemi o le istanze sociali, rappresentano una tomba delle rivendicazioni e delle lotte. In questo caso, era quasi ovvio che sarebbe successo.

Nel libro descrivi come Obrador sia arrivato a difendere l’esercito, con tutta probabilità il vero responsabile dell’attacco agli studenti di Ayotzinapa.
FM Nella stesura finale ho eliminato molti capitoli. In uno avrei voluto pubblicare integralmente un’intervista al generale Francisco Gallardo, morto nel 2021: uscì in una seconda edizione aggiornata di “Ni Vivos Ni Muertos”, pubblicata dopo la sparizione dei 43. Lo avevo intervistato a pochi giorni dalla notte di Iguala, in Senato, dove lavorava con Layda Sansores, oggi governatrice dello Stato di Campeche. Si disse sicuro che si trattava di operativo militare, la strategia dell’incudine e del martello. Era tutto vero, ma ci sono voluti anni per ammettere un coinvolgimento dell’esercito. Lo scrittore e intellettuale Carlos Montemayor in un libro del 2007 descrive le strategie militari che si sono portate a termine negli stessi luoghi e contro le stesse persone, come il rivoluzionario Lucio Cabanas, maestro nelle normali rurali, ucciso 50 anni fa. La verità è che il Messico, anche quello riformato di Obrador, dipende dalle forze di sicurezza militare. È un Paese nel quale l’esercito non ha mai smesso di comandare, nemmeno dopo la Rivoluzione messicana. Ricordo che il ministro della Difesa è un militare, non un civile. In questo contesto, non è pensabile che un presidente metta in difficoltà l’esercito. Quindi, López Obrador, che pure aveva promesso che avrebbe fatto chiarezza sulla vicenda, non poteva “arrivare in cima” alla catena di comando, dove avrebbe trovato Enrique Peña Nieto, il suo predecessore, e gli alti vertici dell’esercito. Molte delle persone coinvolte stanno ancora al comando. Probabilmente la situazione è sfuggita di mano, ma gli ordini erano quelli. La dinamica è simile a quella delle bombe di Stato in Italia. Non è una eccezionalità messicana, ma il modo in cui si gestiscono le politiche repressive anche nei nostri Paesi europei.

Uno dei tuoi interlocutori lavora nel teatro. Ti invita a porre attenzione alle parole. I desaparecidos non sono assenti, ma persone eliminate dalla scena da qualcuno. Perché la scelta delle parole è tanto importante?
FM Per Ileana Diéguez chi si assenta prende la decisione di farlo, mentre in questo caso non è così e dev’essere cancellato ogni dubbio che ci sia stata una volontarietà delle vittime. In realtà, sono stati portati via dalla scena. È un dettaglio, ma significativo ed è importante enunciarlo: parlando di assenza stiamo commettendo una leggerezza. Nell’atto della sparizione questi ragazzi non hanno avuto un ruolo attivo, ma in altre fasi di quella sera sì, e va recuperato: rispondere alla domanda “che cosa stavano facendo?” è fondamentale, per capire il rapporto di forze e decostruire la mitologia del “poverino”, del capro espiatorio innocente, dello studente povero che voleva solo una vita migliore.

Ecco allora che diventa importante anche affrontare il tema in una prospettiva di classe. Perché, scrivi, “la desaparición forzada in Messico è una questione di classe”.
FM Prevale, anche nei lavori di molti colleghi, l’idea che tutti possano esserne vittima allo stesso modo, ma è così solo in teoria. Io, tu, non abbiamo la stessa probabilità di esser fatti sparire di un giovane del lumpen proletariato di qualsiasi città o zona rurale, tra i 19 e i 30 anni, povero. Andrebbe decostruita anche la narrazione per cui le donne sono le vittime prevalenti di sparizione forzata, perché sono una su dieci. A chi è funzionale questa sovra-rappresentazione di un fenomeno, che alterando la percezione della realtà non permette di comprendere la questione. Capiremmo così che esistono casi di repressione politica specifica, per cui vengono decapitate le organizzazioni contadine o indigene, i movimenti sociali e di lotta, casi che vengono diluiti all’interno del fenomeno delle sparizioni in generale. Ecco che è possibile leggere la vicenda di Ayotzinapa come parte della storia della repressione dei movimenti sociali in Guerrero.

Tra i soggetti che intervisti ci sono gli avvocati dei centri diritti umani che hanno accompagnato la causa dei genitori dei 43 studenti. Che ammettono l’inadeguatezza degli strumenti a disposizione per affrontare la situazione messicana, dove -a differenza dell’Argentina o del Cile- non c’è stato alcun cambiamento di regime politico.
FM In un contesto liberale, la difesa dei diritti umani diventa l’obiettivo di una lotta e questo, è l’analisi di alcuni dei miei interlocutori, non può portare da nessuna parte. L’obiettivo non può essere l’affermazione dei diritti umani, ma la loro difesa è uno degli strumenti di lotta per raggiungere l’obiettivo primario che è il cambiamento sociale. Il rischio è che la dottrina dei diritti umani diventi la morfina che toglie il dolore ma impedisce di affrontare il problema che genera quel sintomo. Molte organizzazioni in Messico hanno un approccio neoliberale e sono finanziate dall’espressione più pura del capitalismo, dalla Open foundation di Soros alla Fondazione Ford, dalla Fondazione Kellog all’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid). Non è un paradosso: questi soggetti creano il problema e le medicine che danno l’impressione alla società di risolvere il problema.

Dieci anni dopo, sei tornato anche ad Ayotzinapa. I nuovi studenti, come le famiglie, chiedono una cosa semplice: “solo queremos saber dónde están”, vogliamo solo sapere dove sono. Credi che sia possibile?
FM Dubito che si saprà, almeno per i prossimi anni, dove sono questi corpi se sono morti, dove sono i ragazzi se sono vivi. La piena trasparenza implica un coinvolgimento così determinante delle forze armate che sarebbe impossibile svincolare il tutto dagli altissimi vertici. Ovviamente, la mia è una deduzione, ma non ho le prove. È certo, però, che è funzionale a generare un terrore permanente, per annichilire i movimenti. E per conservare il potere che ti dà il sapere delle cose che gli altri non sanno. https://altreconomia.it/dieci-anni-senza-verita-per-gli-studenti-attivisti-di-ayotzinapa-in-messico/

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Credit: AP Photo

Nel 2014 Omar Garcia studiava ad Ayotzinapa. Il 26 settembre i suoi compagni, diretti nella capitale, lo avvisarono che polizia e banditi li stavano attaccando. Oggi, a 10 anni dalla scomparsa di 43 suoi amici, il deputato non smette di chiedere giustizia. Ma il caso ha scoperchiato i rapporti tra criminalità e politica

di Andrea Cegna23 Sett. 2024

La notte del 26 settembre del 2014 Omar Garcia, studente della Scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, riceve una chiamata che cambierà la sua vita e la storia del Messico. Sono i suoi compagni di scuola che lo chiamano perché la polizia federale, municipale e gruppi del crimine organizzato li stanno attaccando, a Iguala, città dello stato messicano del Guerrero. Alla fine dell’operazione sei persone saranno ammazzate e 43 studenti spariranno nel nulla, e ancora non si sa niente della loro fine. Una storia che pare riportare l’orologio al tempo della “guerra zozza” di fine anni ’60.

Omar Garcia, era presidente del Comitato della Coscienza Politica della Normale Rurale di Ayotzinapa, aveva 26 anni, e dal giorno seguente ha pubblicamente gestito l’accaduto del 26 settembre. Nel frattempo si è laureato in Diritto e ora è deputato della Repubblica del Messico.

Il suo vero nome è Manuel Vázquez Arellano, ma il mondo ha avuto bisogno di diversi anni per scoprirlo. La storia di Omar/Manuel è quella di un militante politico e studente delle Scuole Normali Rurali, istituzioni create in Messico nel 1922 e tuttora esistenti. Nascono come coda della rivoluzione iniziata nel 1910 e come critica al sistema centralizzato e urbanizzato che si inizia a costruire dal 1920 in poi. Il loro obiettivo iniziale era quello di formare insegnanti che svolgessero le loro funzioni pedagogiche nelle aree rurali e quindi garantire una formazione adeguata alla tipologia di contesto socio/economico in cui si trovavano ad operare.

A partire dal 1935 le Scuole Rurali entrarono nella Federazione degli studenti contadini socialisti del Messico (Fecsm), organizzazione facente parte della Confederazione della Gioventù Messicana (Cjm). Ben presto dentro la Fecsm si formò un’ala radicale che criticava la Cjm, e nel momento in cui Lucio Cabañas divenne presidente della Fecsm la federazione si divise. La storia conflittuale e radicale delle Scuole Normali Rurali e della Fecsm porterà a subire diverse ondate repressive, la più grave sarà a seguito del movimento del 1968, con la chiusura di 14 scuole.

Versione “storica”
Proprio dentro la storia delle Scuole Normali Rurali si deve cercare l’origine dei fatti di Iguala. Gli studenti desaparecidos, e gran parte di quelli uccisi, si trovavano nella città del Guerrero per prendere dei pullman che li avrebbero portati a Città del Messico per partecipare alla manifestazione in ricordo del massacro studentesco di Piazza Tlatelolco (Piazza delle Tre Culture). L’usanza degli studenti di Ayotzinapa era di arrivare a Iguala, occupare dei bus e trattare quindi la cifra più bassa possibile per il trasferimento nella capitale. La notte del 26 settembre tutto procedeva come al solito, fino a quando per cinque volte in quattro ore gli studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” subiscono attacchi.

A subire la violenza, fatta anche di colpi da arma da fuoco, di quella notte è anche una squadra di calcio amatoriale che viaggiava su un bus simile a quello degli studenti. I sei morti di quella notte sono tre studenti (Julio César Mondragón Fontes, Daniel Solís Gallardo, Julio César Ramírez Nava), un giocatore del team di calcio Los Avispones, David Josué García Evangelista, l’autista del bus della squadra, Víctor Manuel Lugo Ortiz, e una donna, Blanca Montiel Sánchez, passeggera di un taxi che passava di lì durante gli attacchi. Dopo dieci anni è stata ricostruita la scena degli attacchi, si è scoperto che la “verità storica” presentata dalla Procura Generale della Repubblica e appoggiata dal presidente del Messico allora in carica, Enrique Peña Nieto, è una farsa ed è stata fabbricata ad arte attraverso la tortura delle persone interrogate e la manomissione delle prove.

La supposta verità fabbricata dal governo diceva che gli studenti dopo essere stati fermati dalle forze di polizia furono consegnati a forze del crimine organizzato che li portò quindi alla cava di Cocula e qui li bruciò. La stessa “verità” direbbe che la “causa” dell’attacco ai bus dei “normalisti” si deve al fatto che su quei mezzi fosse stata nascosta dell’eroina che sarebbe dovuta andare a Chicago e quindi i gruppo del crimine organizzato pretesero, tramite la loro infiltrazione nelle forze di polizia, la “testa” degli studenti. Anche questa “verità” non pare così vera.

Le indagini ufficiali sono state smontate pezzo pezzo grazie al lavoro del Gruppo Indipendente di Esperti Interdisciplinari, degli avvocati e dei gruppi dei diritti umani che seguono le famiglie dei 43 desaparecidos, e dal lavoro di giornaliste e giornalisti. Ben presto, dalle strade del Messico che si riempivano per chiedere verità, giustizia, e la restituzione in vita dei 43, si levò il grido “Fue el Estado” (è colpa dello Stato), un grido che poi è diventato realtà. «La Presidenza della Commissione per la verità e l’accesso alla giustizia nel caso Ayotzinapa (CoVAJ) ha dimostrato che la cosiddetta verità storica è stata una costruzione – elaborata dal governo federale – per coprire i fatti e legittimare e imporre la versione ufficiale dell’incenerimento dei 43 studenti nella discarica di Cocula e per archiviare il caso.

La complicità dei funzionari dei tre livelli di governo e le azioni concertate per nascondere la verità costituiscono un crimine di Stato», si può leggere in un comunicato stampa sul sito ufficiale dell’esecutivo. Nei primi anni di governo di Andres Manuel Lopez Obrador (spesso indicato con l’acronimo Amlo) ci sono stati dei passi in avanti anche nelle indagini ufficiali, nella sua vittoriosa campagna elettorale il presidente aveva promesso verità e giustizia per il caso. Ma i passi in avanti si sono fermati e scontrati davanti all’esercito messicano, forza armata che, nonostante conclamate responsabilità, non ha voluto partecipare all’indagine. Questo muro si è alzato ogni giorno di più contestualmente alla decisione di Amlo di dare sempre più forza e legittimità all’esercito. È stata cambiata la Costituzione da Amlo e ora corpi dell’esercito si sono trasformati in aziende che controllano l’aeroporto di Città del Messico e altre grandi opere infrastrutturali, come il Tren Maya.

Nel comunicato sopra citato, datato 27 settembre 2023, si legge anche che «le autorità federali, statali e municipali sono sempre state a conoscenza della mobilitazione degli studenti, dalla loro partenza dalla Scuola Normale Isidro Burgos fino alla loro scomparsa. Le loro azioni, omissioni e partecipazioni hanno permesso la scomparsa e l’esecuzione degli studenti, oltre all’omicidio di altre sei persone. Gli studenti sono stati regolarmente controllati dall’intelligence militare per anni prima di quanto accaduto il 26 e 27 settembre 2014 a Iguala. Il comando militare non è intervenuto neppure per proteggere e cercare il soldato Julio César López Patolzin, che si trovava nel gruppo di studenti (come infiltrato, ndr)».

«Il gruppo criminale ha agito con un gran numero di persone di un comando centrale e almeno tre cellule di falchi e assassini a pagamento, con il supporto di varie polizie municipali e agenti statali. Sulla base dei dati riscontrati, la Commissione per la verità e l’accesso alla giustizia nel caso Ayotzinapa ha compiuto progressi significativi rispetto alla Procura speciale per i movimenti sociali e politici del passato, ottenendo anche risultati che superano le aspettative delle commissioni per la verità in altri Paesi».

Complicità istituzionali
Già a fine luglio dell’anno scorso, il Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) aveva pubblicato il suo sesto rapporto sul caso della sparizione forzata dei 43 studenti dove denunciava ciò che la Procura messicana e il governo hanno poi fatto proprio. Nel rapporto vengono descritti i diversi livelli di coinvolgimento e responsabilità a vari livelli dello Stato nella scomparsa dei 43. Durante la conferenza stampa di presentazione sono stati ripercorsi gli anni di investigazione ricordando l’intreccio tra politica, forze militari e criminali e ribadito che «c’è chi sa cosa è successo e perché, ma chi sa non vuole collaborare e ostacola le indagini».

Il rapporto è molto netto nella determinazione delle responsabilità del ministero della Difesa Nazionale (Sedena), del ministero della Marina (Semar), del Centro di Investigazione e Sicurezza Nazionale (Cisen, oggi Centro Nazionale di Intelligence), così come della polizia municipale, statale, federale, e ministeriale nella sparizione forzata, negli omicidi del 26 settembre, e nella manipolazione delle prove e nell’occultamento delle informazioni successive.

Carlos Martín Beristain, il portavoce del Giei, che intervistai lo scorso anno per Altreconomia, disse parlando del ruolo del presidente Andres Manuel Lopez Obrador: «Con lui abbiamo avuto un buon rapporto. Ha ordinato di aprire gli archivi e questo per noi è stato molto importante, anche per avere contatti di alto livello con i vertici militari. Poi, però i militari hanno detto al presidente che non c’erano altre prove. Noi ci siamo rivolti nuovamente a lui spiegandogli che non era così e che le istituzioni non stavano collaborando. López Obrador sa tutte queste cose, lo abbiamo incontrato ripetutamente per raccontargli quello che avevamo scoperto e per chiedergli nuovo aiuto per accedere agli archivi che ci venivano negati. Purtroppo non abbiamo potuto consultare quei documenti».

Nella stessa intervista il membro del Giei, che intanto ha sospeso le sue operazioni di ricerca, disse: «A nostro avviso, questa vicenda è una radiografia di quello che accade anche in altre zone del Paese dove il legame tra le corporazioni di polizia, lo Stato ed il narcotraffico è forte. Questi legami tra gruppi criminali e parti dello Stato spiegano come sia stato possibile che i giovani di Ayotzinapa non siano stati protetti. Ed è un esempio delle violenze che la popolazione civile è costretta a subire anche in altre parti del Messico».

Il presidente Lopez Obrador ha pesantemente contestato le parole del Giei e giorno dopo giorno è sempre più entrato in conflitto con i padri e le madri dei 43 desaparecidos (di tre di loro sono stati trovati i resti ed è quindi stata determinata la morte). Dopo l’arrivo alla presidenza di López Obrador nel 2020, il Giei è potuto tornare nel Paese proprio su invito del nuovo governo per assistere alle indagini ed è stata creata la Commissione per la verità, CoVAJ. Ma dal 2022 in poi gli ostacoli sono diventati sempre maggiori e si è arrivati all’allontanamento del Pubblico ministero dal caso e allo stop quasi definitivo dei mandati di cattura, anche quelli già concessi da un giudice.

Una promessa non mantenuta
A inizio settembre 2024, a pochi giorni dal decennale dei fatti di Iguala, durante una manifestazione pubblica, Estanislao Mendoza, padre di Miguel Ángel Mendoza Zacarías, ha rimproverato il presidente López Obrador per non aver mantenuto la promessa fatta loro il 25 maggio 2018 quando era in campagna elettorale, e che a poco più di un mese dalla fine del suo governo non ha risolto il caso. «Dopo dieci anni stiamo ancora protestando e la nostra denuncia al governo è: “Dov’è la promessa che hai fatto, che li avresti trovati?”. Stiamo aspettando», ha sottolineato Mendoza. Padri e madri dei 43 si sono divisi recentemente, 19 hanno deciso di disconoscere il lavoro dell’avvocato Vidulfo Rosales del Centro dei Diritti Umani la Montaña Tlachinollan e Miguel Agustín Pro Juárez e hanno così saltato gli ultimi incontri. Rosales ha accusato i 19 di essere stato cooptati dalla Commissione presidenziale per la verità e la giustizia nel caso Ayotzinapa (CoVAJ), la Commissione esecutiva per l’attenzione alle vittime (Ceav) e la Commissione nazionale per i diritti umani (Cndh).

Manuel Vázquez Arellano, dopo essere stato portavoce degli studenti di Ayotzinapa e aver lavorato gomito a gomito con i genitori dei 43, ha trasformato il suo impegno politico, passando dalla Fecsm e dalla lotta di base ai centri dei diritti umani e quindi al Parlamento messicano. È diventato parlamentare nel 2018, partecipando di fatto alla campagna elettorale di Andres Manuel Lopez Obrador. Da quel momento ha lasciato le strade ma la sua voce ha continuato a chiedere verità e giustizia per i fatti di Iguala. Il presidente Andrés Manuel López Obrador, ha detto lo scorso marzo, «ha esaurito il tempo» e «non risolverà il caso» di Ayotzinapa. «Ha dato molta fiducia e molta partecipazione al ministero della Difesa Nazionale e ai militari», aveva denunciato qualche settimana prima. «La popolazione certamente ha fiducia in queste istituzioni ma non c’è motivo di farle intervenire in un caso che è rimasto irrisolto per quasi dieci anni e che il presidente si è impegnato a risolvere, perché questo è diventato un caso di Stato», aveva aggiunto. «Un’istituzione non può ostacolare l’esecutivo nel compito di scoprire cosa è successo ai 43 normalisti, i nostri compagni».

Manuel Vázquez Arellano critica Amlo quando pensa sia il caso e anche la scelta di dar sempre più potere all’esercito, ma allo stesso tempo si è fatto rieleggere nelle fila del suo partito Morena (in spagnolo: Movimiento Regeneración Nacional) e continua a sostenere il progetto politico di Andrés Manuel López Obrador e ora della neopresidente eletta Claudia Sheinbaum, che entrerà in carica il 1° ottobre.

A dieci anni dalla telefonata che cambiò la vita di “Omar Garcia”, il caso di Iguala è diventato uno spartiacque, la sparizione dei 43 di Ayotzinapa ha scoperchiato il rapporto ambiguo tra crimine e Stato, e rotto definitivamente la narrativa della “guerra alla droga” iniziata del 2006. Un conflitto “narrato” come necessario per risolvere la violenza nel Paese ma che si è mostrato essere altro. Un conflitto sociale che pare sia stato l’inizio della creazione di un sistema di controllo del territorio e non uno scontro contro i gruppi criminali. Ora risolvere il caso dei 43, sapere che fine hanno fatto, dove e quando è stato dato l’ordine di attaccarli per «dare loro una lezione esemplare», e chi ha organizzato e voluto il depistaggio delle indagini e come tutto ciò è stato organizzato tenendo assieme le diverse forze di polizia, la politica, il crimine organizzato e l’esercito significherebbe svelare ciò che da quasi vent’anni segna il Messico e determina la violenza che insanguina ogni giorno il Paese.

Fonte: https://www.tpi.it/esteri/verita-indicibili-strage-stato-studenti-desaparecidos-ayotzinapa-202409231128744/

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UNA MARATONA NELLE MONTAGNE DEL SUD-EST MESSICANO

Settembre 2024

Settimane fa, i gruppi giovanili zapatisti si sono riuniti per vedere come promuovere il tema del común tra di loro e con i giovani dei partiti (non zapatisti, ndt).

Hanno pensato a una maratona (di 23 chilometri) su strade sterrate con forti pendenze (le “lomas”, come le chiamiamo qui).

Il loro piano prevedeva che non ci fossero premi per benefici personali tra i vincitori. L’obiettivo era invece che il premio fosse una base produttiva da cui partire con i collettivi nei loro villaggi. Da lì il passo successivo è che si possano creare progetti comuni, in cui siano coinvolti giovani dei partiti.

I premi erano quindi animali d’allevamento, pecore pelibuey e animali da fattoria. Anche se le coppie di pelibuey sarebbero state destinate ai primi classificati, tutti i partecipanti sarebbero stati pagati per acquistare polli e avviare i loro progetti di fattorie collettive. Il GAL (Governo Autonomo Locale) di ogni villaggio si occuperà di verificare che l’impegno sia stato rispettato e chiederà dei resoconti.

Questo è ciò che mi hanno spiegato che avrebbero fatto e (sono zapatisti) così l’han fatto.

Hanno scelto la data del 16 settembre per celebrare l’inizio della guerra d’indipendenza e il posto che i popoli originari hanno avuto e hanno tuttora in quel processo – e in tutta la storia di questa geografia chiamata “Messico”.

Secondo quanto mi dicono i Tercios Compas della zona (Nota: i “Tercios Compas” sono gruppi di giovani zapatisti che svolgono il lavoro di media di comunicazione: dalla ripresa, al montaggio, alla realizzazione di registrazioni, programmi radiofonici e registrazioni sonore, fino alla “copertura” di ciò che accade nelle loro città, regioni e zone), la maratona iniziava alle 3 del mattino ora nazionale (le 4 del mattino ora del sud-est zapatista) e, da due punti di partenza, sarebbero confluiti nel Puy (o “caracol”) di Dolores Hidalgo. Ci sarebbero state categorie di “jóvenas” e jóvenes, cioè donne e uomini.

Sebbene non ci fossero limiti di età, si registrarono circa 200 giovani zapatisti, uomini e donne. La loro età media era inferiore ai 20 anni, ma la maggior parte di loro sono giovani uomini e donne tra i 12 e i 16 anni.

I gruppi giovanili che non hanno corso la maratona si sono organizzati in modo tale che alcuni di loro hanno coperto la partenza con slogan di incitamento; altri hanno coperto l’arrivo con incitamenti e striscioni; altri sono andati in camion per incitarli lungo la strada in caso di svenimento di qualcuno, e con musica e parole sul común mentre attraversavano le comunità; altri ancora si sono occupati dei discorsi sull’indipendenza, della consegna dei premi a chi ha partecipato e del ballo alla fine della maratona.

Quelli che sono arrivati per primi sono arrivati circa 3 ore dopo la partenza. Ma la maggior parte era ancora a un terzo o a metà del percorso. I coordinatori si sono consultati tra loro per decidere se i mancanti sarebbe stati recuperati in camion e portati all’arrivo. È stato deciso che avrebbero chiesto a quelli che erano in corsa.

Secondo quanto mi è stato riferito, le compagne a cui fu offerta la possibilità di salire sul camion rifiutarono, rispondendo, più o meno, qualcosa come “Certo che no. Arriveremo dove dobbiamo andare, forse ci vorrà un po’ di tempo, ma ci arriveremo, anche se dovremo strisciare”. Quando hanno sentito questa risposta, anche gli uomini hanno dovuto rifiutare di essere “salvati”.

E, infatti, arrivarono tutte e tutti. La sera hanno ballato. E così è andata la celebrazione del 16 settembre… sulle montagne del sud-est messicano.

Posso testimoniarlo.

El Capitán

Messico, settembre 2024

P.S. DI MORALE DI FRONTE ALLA TEMPESTA. – Ci sono stati uomini e donne che hanno tenuto il passo e il ritmo e hanno portato a termine la sfida nei primi posti. Gli altri hanno spiegato: “si sono preparati con largo anticipo perché sapevano cosa avrebbero affrontato”.

P.S. GOSSIP AUTOGOL DI GENERE. – L’inviato speciale zapatista sul posto mi racconta: “Gli uomini sono arrivati al traguardo e sono crollati esausti. Con i crampi e coperti di terra, sdraiati sulla spianata del caracol, ascoltavano solo gli slogan e il rumore. Uno dei corridori ha confessato: “uh compa, non sto pensando di ballare, in questo momento mi fa male anche il cappello”. Le compagne, invece, si limitavano a bere acqua e a chiedere a che ora si sarebbe ballato. Mentre un gruppo di ragazze rideva e scherzava tra loro su come erano finite, una di loro ha dichiarato: “Abbiamo chiesto l’ora del ballo per vedere se saremmo state in grado di fare il bagno, o di ballare così come siamo visto che siamo già del colore della terra”. Sorridevano tutti felici. Avevano completato 23 chilometri di un percorso ingrato, sulle cui colline anche i veicoli a motore fanno fatica.

Mmh, non credo che questo lo metterò. Sarebbe come riconoscere che le compagne hanno più resistenza dei compagni, e la solidarietà di genere mi impedisce di farlo. Quindi cancellate questa parte.

P.S. AL GOSSIP. – E così, quando iniziarono le danze, solo le giovani donne si alzavano in piedi al ritmo della cumbia. Solo dopo un po’, e in quello che si chiama “orgoglio di genere”, gli uomini si sono uniti. Con smorfie e trasalimenti, ma senza perdere la calma, hanno detto: “Stiamo bene, è solo un nuovo modo di ballare che abbiamo appena inventato chiamato ‘Cumbia di Questo ti succede per non prepararti per quello che deve succedere’”.

-*-

Gli echi di una danza lontana e di una tastiera competono con i grilli stonati. Un luccichio e l’odore di tabacco delineano appena una figura sull’architrave della baracca. La notte è già regina e padrona sulle montagne del sud-est messicano. Si alza l’alba, con una tela di stelle e una luna frastagliata come medaglia sul petto, ondeggiando i fianchi al ritmo della “cumbia del Común”.

Ancora una volta lo attesto.

El Capitán

Immagini e video realizzati da Los Tercios Compas
Audio «En la noche», Amparanoia e Manu Chao

Traduzione: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/09/19/una-maratona-nelle-montagne-del-sud-est-messicano/

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/09/17/un-maraton-en-las-montanas-del-sureste-mexicano/

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Un Racconto.

L’Uccello T’í

Era l’ora del pozol. Le compagne insurgentas mi raccontavano degli innumerevoli incidenti, cadute e inevitabili scontri durante il loro apprendistato nel ciclismo.

Gli scontri si possono spiegare: quando perdevano il controllo della bicicletta e dimenticavano di frenare, sceglievano subito dove schiantarsi per fermarsi. A volte un albero, a volte il cancello di un recinto, più spesso un fosso.

Ho chiesto loro perché semplicemente non frenavano. Mi hanno risposto: “Ci ho pensato, ma la bici non capisce cosa penso. Ho anche gridato, ma non obbedisce e continua ad andare avanti e allora subentra la paura”, mi ha spiegato una compagna mentre il medico curava i graffi e le ferite che si era procurata, come potete immaginare, quando aveva deciso di ‘fermarsi’ contro il filo spinato. Sì, poteva andare peggio visto che ci sono molte grotte nelle vicinanze.

Ma ti avevano avvertita”, ha detto un altro compagno, ‘hai sentito chiaramente l’uccello’.

Quale uccello?”, ho chiesto.

È un uccello che ti avverte che potrebbe accadere qualcosa di brutto. Non che stia per accadere, ma potrebbe accadere se non si è vigili e preparati”.

Da lì è seguita una discussione sul nome dell’uccello. Alcuni hanno detto “Tii”, altri “Titil” o “Titil Mut”. Il Subcomandante Insurgente Moisés, che parla un’altra variante della lingua tzeltal, ha detto che si dice “T’í”.

In Cho’ol lo chiamiamo ‘Tyi’j‘”, mi ha detto una compagna, “quando lo incontriamo per strada inizia a urlare, come spaventato, e poi vola subito via. Ed è così che si dice che stia avvertendo che qualcosa di brutto sta per succedere”.

Due compagni insurgentes meccanici (uno meccanico di veicoli a motore e l’altro meccanico di biciclette) mi hanno spiegato: “ti avverte, ti mette in guardia, ti avvisa che potrebbe accadere qualcosa di brutto. Per esempio, che c’è un serpente velenoso, o che sta arrivando una macchina, o che la gomma sta per bucarsi…”.

O che stai per cadere dalla bici”, aggiungono mentre guardano il pasticcio che la ‘frenata radicale’ ha lasciato sul braccio della compagna.

Non è che succederà per forza. Ma ti avverte e poi sta a te preoccuparti o no”.

Dopo una moltitudine di aneddoti (quasi tutti d’infanzia) che confermavano gli avvertimenti dell’uccello “T’i”, si sono messi a discutere: una compagna diceva che “dipende, se canta tre volte e sembra avere fretta significa che la disgrazia è vicina e, comunque, bisogna prepararsi”. Un’altra: “ma se torna e fa così (prolunga il monosillabo del canto ‘tiiii’), significa che era una sua bugia o che il pericolo è passato”.

Qualche giorno dopo, prima di iniziare gli allenamenti in bicicletta, l’uccello cantò più volte. Tutti lo sentirono, ma pensarono che il pericolo fosse per qualcun altro e non per loro individualmente.

Naturalmente qualcuno cadde e si sbucciò il ginocchio.

Non hai ascoltato l’uccello, ti ha detto chiaramente che saresti potuto cadere”, lo rimproverano.

L’ho sentito, ma ho pensato che non sarebbe successo a me, ma a te perché non pulisci la catena che è tutta arrugginita”, a sua difesa.

-*-

In tutte le parti di quell’insieme che chiamiamo “Pianeta Terra”, la natura avverte, mette in guardia, avvisa che potrebbe accadere qualcosa di brutto. Le scienze e le arti replicano l’avvertimento.

C’è chi capisce e si prepara.

C’è chi capisce ma pensa che sia a lui che succederà.

C’è chi capisce ma dice a se stesso che guida un’auto privata e non una bicicletta.

E c’è chi non capisce la storia.

Ta-Tan.

Dalle montagne del Sudest Messicano.


El Capitán
Messico, Settembre 2024

Traduzione “Maribel” – Bergamo – Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/09/04/un-cuento-el-pajaro-ti/

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III Una Lettera.

Immagini di ponti impossibili: III Una Lettera.

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/29/imagenes-de-puentes-imposibles-iii-una-carta/

Traduzione a cura Ya Basta! Êdî Bese!

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II Un Libro.

Immagini di ponti impossibili: II Un libro.

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/28/imagenes-de-puentes-imposibles-ii-un-libro/

Traduzione a cura di Ya Basta! Êdî Bese!

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I Un ravanello.

Immagini di Ponti Impossibili: I Un Ravanello… (o una cipolla, dipende del caso, o della cosa, a seconda)

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/27/imagenes-de-puentes-imposibles-i-un-rabano-o-una-cebolla-depende-del-caso-o-cosa-segun/

Traduzione a cura di Ya Basta! Êdî Bese!

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L’ALEPH MAYA?

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/22/el-aleph-maya/

Traduzione a cura di Ya Basta! Êdî Bese! https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/23/laleph-maya/

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Un’Idea Geniale

Agosto 2024

Ho fatto il mio primo screenshot.

Non siete qui per saperlo, né sono io per farvelo sapere, ma ho trionfato nell’ardua e vertiginosa corsa tecnologica.

Dopo 6 mesi 6 di sfibranti ricerche, estenuanti studi e pratiche, da solo, senza alcun altro aiuto dei 453 video tutorial, sono riuscito a fare uno screenshot. Lo so, sembra incredibile. Ma non pensate che mi accontenti di questo, ora sto cercando di scoprire dove diavolo è stato salvato lo screenshot. E poi scoprire a cosa serve uno screenshot. Dopo? …il mondo!

Ebbene, incoraggiato da questo grande risultato mi sono avventurato nel mondo delle applicazioni digitali (che noi veterani chiamiamo “App”) ed è nata così l’idea di cui ora vi parlerò:

Si tratta di un’idea per la tanto decantata transizione verso un capitalismo umano (o per “limare le punte al neoliberismo” – secondo la 4T -): Una nuova applicazione digitale che si chiamerebbe “OnlyHaters”. Su questa applcazione tu, signora, signore, otroa, potresti insultare a tuo piacimento il cattivo o la cattiva a tua scelta in cambio di un prezzo ragionevole. Naturalmente, ci sarebbe un account premium in cui il destinatario si impegna a leggere il tuo messaggio o guardare il tuo video (se disponi di più risorse). Te lo immagini? Quasi ogni figura della politica e del capitale diventerebbe milionaria.

Il futuro ministro dell’Istruzione, in Messico, non dovrà più vendere candidature al cartello che gli sta a cuore. Il Supremo andrebbe in pensione con il suo sostentamento assicurato che gli basterebbe per creare il suo podcast mattutino (che è l’unica cosa che ha fatto in quasi 6 anni). Trump non dovrebbe ricorrere alla frode fiscale per finanziare la sua campagna elettorale e le sue aziende. Biden-Harris non dovrebbero fare offerte di stagione alle grandi aziende per la guerra di conquista in Palestina. Le Pen e Macron non dovrebbero nascondere la loro affinità ideologica. Il PSOE e il PP potrebbero finalmente uscire allo scoperto e abbracciarsi in pubblico. Milei non dovrebbe diventare isterico ogni volta che dice qualcosa o fare la faccia da stitico. Lula, Petro e Boric potrebbero pagare l’abbonamento alle TV dell’impero Murdoch (Fox) senza dover farsene portavoce (e, per favore, qualcuno dica loro che quelli a cui vogliono piacere saranno gli stessi che domani li lapideranno sui media). Netanyahu non dovrebbe commettere crimini di guerra per restare al governo. Zelenskyj troverebbe un canale onorevole per le sue capacità istrioniche. Putin potrebbe dedicarsi a cavalcare gli orsi.

E ovviamente io, el Capitán, non dovrei occuparmi del il mio laboratorio di biciclette elettriche (che si chiama, ovviamente, “Mi Abuelita en Bicicleta”) per poter acquisire le opere complete di Arturo e Carlota Pérez-Reverte, Javier Marías e Arthur Conan Doyle (prima di iniziare con i vostri processi, sentenze e condanne per correttezza politica, “sensibilità di genere” e qualunque altra cosa alla moda, vi avverto che me ne frego dei vostri tribunali, sia morali che altri).

Non lo so, pensateci. In questo modo non verrebbe più sfruttata la forza lavoro umana, ma solo i sentimenti di rifiuto, di odio, di intolleranza, di razzismo, di omofobia, di misoginia, di fanatismo, ecc. La parte più vile della specie umana sarebbe fonte di ricchezza.

Oh, lasciamo perdere: per questo già ci sono i social media.

Nah, ci sono anche video di gattini e cucciolotti (aww!)

Infine, come risponde Don Francisco de Quevedo a un altro Capitán, veterano dei Tercios delle Fiandre: “Non resta altro che combattere, nonostante tutto. Contro l’ignoranza, la stupidità, il male, la superstizione e l’invidia”. Più avanti l’autore aggiungerà: “l’apatia, la mancanza di cultura, la mancanza di solidarietà, la corruzione”.

Bene. Salute e “Omettere la verità non è altro che una raffinata varietà della menzogna” (Almudena Grandes. Madrid, Stato Spagnolo).

Dalle montagne del Sudest Messicano.


El Capitán

Mentre guarda la barca in mare e a cavallo in montagna.

Messico, agosto 2024

P.S.- Se qualcuno là fuori decidesse di trarre vantaggio da questa idea geniale, trionfare così nel duro mondo dell’era digitale, avere un posto esclusivo nella Silicon Valley, accodarsi agli Arnault, Bezos, Musk, Zuckerberg, Gates ed essere convocato dal Preciso per avere la sua opinione su questioni che dovrebbero essere di Stato, non dimentichi di “foraggiare” con un bel po’ di grana. Dobbiamo attrezzare diverse sale operatorie. Già ci sono i “porta strumenti” fraterni, ci sono i candidati all’intervento chirurgico, ci sono i luoghi per costruirle, ci sono le ragazze ed i ragazzi pronti ad imparare. L’unica cosa che manca è l’attrezzatura. E ovviamente la formazione per il suo utilizzo e la sua cura.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/21/una-idea-genial/

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Il Viaggio.

Traduzione a cura di Ya Basta! Êdî Bese! https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/21/il-viaggio/

Testo originale https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/20/el-viaje/

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Adagi.

ADAGI

Agosto 2024

Ripartiamo quindi da alcune storie di decenni fa. Vediamo se ciò che è stato detto allora aiuta o meno a capire ciò che sta accadendo adesso.

I

Lo scopo del pensiero critico non è trovare la verità (e, quindi, costruire un nuovo alibi per l’arbitrarietà del momento), ma mettere in discussione le “verità”, affrontarle, smontarle e rivelarle per quello che sono: l’opinione idiota di uno o più idioti (ovviamente di una o più idiote – non dimentichiamo la parità di genere -) e con molti o pochi seguaci. Il pensiero critico non è solo una posizione teorica. È soprattutto una posizione etica nei confronti della conoscenza e della realtà.

II

Quella che chiamano “Storia” (così, con la maiuscola) è solo un cadavere composto goffamente dai politici e dai loro scribi. Tuttavia, al tavolo del politico al Potere non siede uno scheletro. Solo uno specchio. La cornice potrà essere abbellita, ma lo specchio continuerà a riflettere la stessa decomposizione della realtà. La differenza tra le bare non cambia la similitudine del loro contenuto. Quando i governi accusano lo specchio, perché concavo, di deformare la realtà, cercano di nascondere che è il loro sguardo a negare le deformazioni. Lo stesso sguardo in cui è LUI che tutto illumina e colora.

La storia passata, in minuscolo, non è altro che l’antefatto dell’incubo presente. Oggi si consumano la morte e la distruzione di domani.

III

Il pensiero non precede la materia. Al contrario. Non è una teoria sociale o filosofica a far nascere il capitalismo come sistema dominante. Né le sue diverse fasi. La teoria sociale è un gigantesco scaffale di idee a cui le diverse proposte politiche attingono alla ricerca di ragioni per dare un senso all’irragionevolezza. I sistemi dominanti non sono altromche lo stesso corpo con abiti diversi nella loro presentazione, ma uguali nella loro ipocrisia.

La teoria sociale alla moda è solo un bestseller momentaneo che convive con teorie di auto-aiuto, teorie su come conquistare gli amici (“followers”, dicono ora) e teorie secondo cui il fine giustifica i mezzi, a seconda che si tratti di conservatorismo o progressismo (che non è altro che blando conservatorismo).

Ciò che dà origine al capitalismo è un crimine. E ogni fase del suo sviluppo assomiglia a quella di un serial killer: diventa sempre più esperto. Il compito dei teorici ufficiali è quello di abbellire questo crimine con un po’ di romanticismo, avventura e, naturalmente, frivolezza.

Nella teoria sociale, il più delle volte non si cerca di capire per rivoluzionare, cioè per cambiare le basi materiali, il sistema. Ciò che i “teorici”, ieri all’opposizione e oggi al governo, cercano è una sostituzione nella confraternita. Per questo gli aNexos[1] di ieri sono i caricaturisti di oggi. Cambiano i nomi e le posizioni, ma l’apologia è la stessa. E, ovviamente, la paga. La reazione della destra illuminata è quella di una coppia disprezzata, indignata perché altri sono stati scelti. E questi altri, ciò a cui aspirano è occupare il posto dei preferiti di ieri. Condividono la stessa anemia intellettuale, quindi nessun problema.

Lo storico di oggi adatta la storiografia ai gusti del Capo. Va allo scaffale delle idee in cerca di personaggi, sia per costruire cattivi o per costruire eroi. Che ora siano incluse cattive ed eroine è una concessione benevola a un femminismo che si accontenta di poco o nulla. La paura più grande di uno storico oggi è quella di trovare gruppi, collettivi o interi popoli responsabili di un periodo. Chi può vendere un libro con la biografia di un non individuo? Perché questa è la comunità.

Lo storico di oggi vende alibi ed è il mezzo pubblicitario per la storiella di cartone del potere. Per lui la storia è solo lo sfondo che adorna il suo luminoso presente. L’equivalente letterario delle sfarzose scenografie sui popoli originari sono le biografie e le ricerche coltivate nei circoli del potere. In questo modo, i calendari vengono adattati alle convenienze e le sconfitte di un impero contro un altro vengono trasformate in vittorie.

Lo storico di oggi vende alibi e fa da supporto pubblicitario alla vignetta di cartapesta del Potere. Per lui la storia è solo lo scenario di fondo che adorna il suo luminoso presente. L’equivalente letterario delle sontuose raccolte sui popoli originari sono le biografie e le ricerche coltivate nei circoli del Potere. Così i calendari vengono adattati a convenienza e si trasformano in vittorie le sconfitte di un impero contro un altro.

La confusione è tale che c’è chi pensa, sostiene e argomenta, che l’impero Azteco fosse la panacea dei popoli originari prima della conquista spagnola, che la Russia sia l’URSS e che la Cina sia una geografia con il comunismo come sistema dominante; che il popolo è saggio se vota per Lula, Kirchner, PSOE, Macron e Harris; e ignorante se vota Bolsonaro, Le Pen, Milei, Trump. Poche cose vengono prostituite quanto la “democrazia”, ma nessuna è più costosa.

Nella storia sconosciuta delle capitolazioni, chi resta in silenzio e maturo (come insegna la scuola quadri del Partito), va allo scaffale delle idee per comprare qualcosa che gli sia utile. È inutile: il tradimento dei principi e delle convinzioni è una capitolazione, anche se travestita da Poulantzas. L’etichetta “di sinistra” non cambia l’essenza di un fatto: è complicità con un crimine, il peggiore di tutti: quello di un sistema contro l’umanità.

V

In politica non esistono morti, solo cadaveri ricorrenti.

Come si diceva di Pedro Infante: il PRI non è morto, vive nel cuore di tutti i partiti politici.

Ecco perché i politici di professione cambiano sigla con la stessa facilità con cui cambiano le mutande. Anche se le mutande si lavano… o forse no.

Non c’è differenza tra politici progressisti e di destra, così come non c’è differenza fondamentale tra padroni buoni e cattivi. Entrambi amministrano un furto.

Le opzioni politiche non cambiano nei loro obiettivi (mantenersi al governo), né in ciò che fanno (servire il potere economico). Cambiano solo gli alibi.

VI

Nella sua fase attuale, il sistema conduce una nuova guerra di conquista e il suo obiettivo è distruggere/ricostruire, spopolare/ripopolare. La distruzione/spopolamento e la ricostruzione/riordinamento di un territorio è il destino di questa guerra.

Il governo di Israele non sta vendicando gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, sta distruggendo e spopolando un territorio. L’affare non è solo la distruzione e l’omicidio di massa, ma anche la ricostruzione e il riordinamento. Da qui l’evidente complicità degli Stati Nazionali del mondo. Quando le “nazioni” inviano forniture militari a Israele, non solo sostengono il genocidio del popolo palestinese. Stanno investendo in questo crimine. Poi arriveranno i dividendi di questo affare.

VII

Non esistono distruzioni “buone” o “cattive”. Cambiano le scuse e i colori, ma il risultato è lo stesso. Non ci sono differenze sostanziali tra il Tren del Istmo porfirista, il Plan Puebla-Panamá foxista e il Corredor Transístmico morenista. I primi sono falliti e anche questo fallirà. Il loro obiettivo non è il benessere (se non quello del grande capitale), né la modernizzazione porfirista dell’espropriazione: è semplicemente un’altra frontiera che si aggiunge a quelle già esistenti. E, come le altre, anche questa sarà violata. E non per le migliaia di migranti, ma per la corruzione e il cinismo che, secoli dopo, scoprono i neo-schiavisti di oggi: il traffico di esseri umani è un affare con un’immensa fonte di materia prima (ottenuta attraverso le guerre e le politiche dei diversi governi). E l’investimento di capitale è minimo: servono solo burocrazia, crudeltà e cinismo. E di questo ce n’è in abbondanza nel Capitale e nello Stato.

I cosiddetti megaprogetti non portano sviluppo. Sono solo corridoi commerciali aperti affinché la criminalità organizzata possa avere nuovi mercati. La disputa tra cartelli rivali non riguarda solo il traffico di esseri umani e di droga, ma soprattutto la disputa per il monopolio del pizzo in quello che viene malamente chiamato “Tren Maya” e “Corredor Transístmico”. Non si possono imporre le tasse agli alberi e agli animali, ma alle comunità e alle aziende che si insediano in questa altra inutile frontiera del sud-est messicano, sì.

Questo garantisce la crescita delle guerre per il controllo del territorio, nelle quali l’ologramma dello Stato Nazione sarà assente.

Partire dal criterio che la violenza di quella che chiamano “Criminalità Organizzata” sia un’anomalia del sistema non solo è falso, ma impedisce anche di comprendere cosa sta accadendo (e di agire di conseguenza). Non è un’anomalia, ma una conseguenza.

L’obiettivo è consensuale: lo Stato vuole un mercato aperto (“libero” da intrusi – cioè dai popoli originari –) e gli altri vogliono il controllo di un territorio.

A immagine e somiglianza di quello che veniva chiamato Capitalismo Mmonopolistico di Stato, in cui il Capitale si aspettava che lo Stato creasse le condizioni per la sua attuazione e sviluppo, ora si tratta di quella che i militari chiamano “manovra a tenaglia”: Sia lo Stato che la Criminalità Organizzata si impossessano di un territorio distruggendolo e spopolandolo, poi li grande Capitale interviene per ricostruire e riordinare.

Chi dice che esiste un’alleanza tra governi e il crimine organizzato mente. Così come non esiste alleanza tra un’azienda e i suoi clienti. Si tratta di una semplice, anche se costosa, operazione commerciale: lo Stato offre un’assenza e il cartello in questione “compera” quell’assenza e supplisce la presenza dello Stato in una località, regione, area, paese. Il guadagno è reciproco tra venditore e compratore, la perdita spetta a chi sopravvive in quei luoghi. “Chi paga o presta, governa”, è il vecchio aforisma che analisti e “scienziati sociali” “dimenticano”.

Per quanto riguarda quella che viene chiamata “Criminalità Organizzata”, Stato e Capitale fanno un calcolo sbagliato (as usual): danno per scontato che il dipendente si atterrà a quanto concordato. E non che opererà per proprio conto.

Come è accaduto con l’incoraggiamento e la creazione di gruppi paramilitari che, essendo composti da indigeni si pensava potessero essere controllati. Dopotutto, erano persone ignoranti e manipolabili. E poi Acteal. Hanno ragione Las Abejas, il massacro di Acteal del 1997, in tutta la sua crudeltà e la conseguente impunità, è stato solo il preludio all’incubo attuale. Lo Stato pensa che la cosiddetta Criminalità Organizzata sia al suo servizio e vada e venga secondo quanto gli viene detto oppure ordinato. È a causa di questa convinzione che riceve le sorprese che poi subisce.

Ora, provate a rispondere a questa domanda: perché i cartelli e i loro scontri prosperano in uno stato federale militarizzato da 30 anni, con l’approvazione governativa di coloro che hanno invaso lo stato messicano sudorientale del Chiapas, sostenendo che così stavano impedendo la “balcanizzazione” della Repubblica? Sì, sembra che il territorio messicano sia più frammentato che mai.

(Segue)

Dalle montagne del sud-est messicano.


El Capitán

Agosto 2024

[1] Gioco di parole tra la parola “anexos” (allegato) e il titolo della rivista neoliberista “Nexos

Traduzione “Maribel” – Bergamo Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/15/adagios/

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Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/08/un-pico-y-una-pala-de-la-solidaridad-la-empatia-y-la-valentia/ Traduzione a cura di Ya Basta! Êdî bese!

PALA E PICCCONE.
Della solidarietà, l’empatia e il coraggio

Agosto 2024

La solidarietà con il lontano – e non mi riferisco alla geografia, ma al suo posto nell’informazione – non è solo comoda. Permette anche le posizioni più assurde e contraddittorie (come giustificare l’uccisione di civili, per lo più bambini, che non sanno che l’inferno presente non è momentaneo, ma bensì una promessa del futuro).

La solidarietà con ciò che è distante non richiede impegno: sono gli altri che soffrono e muoiono. A loro “basta” l’elemosina dell’attenzione momentanea, la discussione accesa (ancora) su uno o due stati, i riferimenti storici di ogni posizione. La solidarietà con chi ci è vicino, invece, richiede più di un commento sui social network. Nello strano piccolo mondo del progressismo, i popoli del Kurdistan, la Palestina e l’Ucraina sono più vicini di Ostula e della sua ostinata resistenza; le comunità indigene dell’Istmo che si ribellano al destino di essere riconvertite in guardie doganali sulla nuova frontiera meridionale dell’Unione Americana (perché questo, e non altro, è questa grande opera); la distruzione ecologica chiamata «Treno Maya»; il furto dell’acqua in tutto il Paese; l’imposizione di centrali termoelettriche; le ribellioni contro il saccheggio, le imposizioni e le distruzioni dell’ambiente;…. e le buscadoras. (cercatrici, ndt)

E no, non si tratta di ignorare, per geografia, un’ingiustizia in una qualsiasi parte del pianeta. No, si tratta di capire e sentire che la solidarietà non è una moda e una posa, ma un impegno che maledice.

Proprio come sentire, guardare… e parlare.

-*-

Di tutte le assenze, la più terribile e disumana è quella che non ha spiegazione.

Le persone scomparse, la loro attualità e l’indifferenza che suscitano lassù, sono la prova definitiva che la frivolezza e il cinismo sono virtù nel lavoro politico della destra… e della sinistra progressista.

L’esistenza di persone che cercano verità e giustizia per gli assenti è ciò che contraddistingue la modernità tanto decantata lassù: l’inferno in cui si “cucinano” queste sparizioni è terribile; ed è meraviglioso che coloro che cercano rivalutino la dignità umana attraverso i loro sforzi.

Negli ultimi anni, la cosa più terribile e meravigliosa che questa geografia ha fatto nascere è la professione di «buscadora».

Qual è il minimo per soddisfare questa richiesta di verità e giustizia per le sparizioni? Qual è il “basement”, come direbbero gli esperti di management, di questa richiesta? Un frammento di osso? Il brandello di una camicetta sbiadita? Una scarpa senza il suo paio? Una risoluzione della magistratura, della polizia, del governo in carica: «abbiamo fatto quello che potevamo»? Il segnale gps che lampeggia solitario, disperato, inutile?

Un discorso che, ovviamente, si conclude con «mi impegno affinché si sappia la verità prima della fine del mio governo, indipendentemente da chi cadrà»?

Le cercatrici non cercano solo i loro desaparecidos, cercano anche la vergogna, la dignità e l’umanità che sono andate perdute con un incarico di governo, una riga nella tabella excel delle buste paga per le claudicazioni.

Coloro che si rifiutano di rispondere alle richieste delle buscadoras, di che cosa hanno paura? Su che base sostengono che «la maggior parte delle donne scomparse sono scomparse di loro spontanea volontà»? È che hanno già indagato e che le persone scomparse sono scomparse volontariamente? Allora perché non dire alle buscadoras: «signora, suo figlio o sua figlia se n’è andato perché ha trovato un compagno» o «perché lei non la capiva»?

Non dispongono di alta tecnologia (droni, satelliti, georadar, archivi digitalizzati)? Sennò, perché non acquistano o noleggiano o prendono in prestito tali attrezzature. Cercate nei negozi online… o sul sito web del Ministero della Marina. Basta digitare nella finestra del motore di ricerca «attrezzature di ricerca e salvataggio».

Se hanno i mezzi per spiare i loro nemici (un “Pegasus” in ogni soldato vi ha dato), perché non usano queste tecnologie per scoprire se quella persona è scomparsa «volontariamente»?

O le buscadoras stanno mentendo? È una bugia che stiano andando in giro, attenendosi alle informazioni che ricevono? Stanno soffrendo perché lo vogliono, o perché qualcuno è scomparso? Le immagini in cui appaiono, con pale e picconi, nelle zone rurali, sono state modificate con un’applicazione digitale e, in realtà, sono a casa a fare i conti per capire come sbarcare il lunario? Sono state loro – le Cercatrici, e ovviamente i Cercatori – a far sparire volontariamente i loro figli, le loro figlie, i loro partner, i loro padri, le loro madri, la loro famiglia, al solo scopo di danneggiare la vittima immaginaria del Palazzo Nazionale?

Forse potrebbero almeno chiedere alle Buscadoras di cercare e trovare la vergogna che, lassù, hanno perso per una carica di governo… e uno stipendio personale.

-*-

Voi che lavorate nei media, vi ricordate di quando il giornalismo significava indagare, andare sul posto, intervistare le «parti coinvolte», sfidare l’»autocensura», lottare in redazione per la pubblicazione – perché vi eravate impegnati con quelle vittime a far conoscere la loro tragedia; e avete una grande stima del valore della parola, per questo avete scelto il giornalismo – per tornare sulla scena e mostrare alle addolorate la storia (che vi è costata l’ennesima minaccia di licenziamento, – o l’avete confermata, ovviamente)?

Vi ricordate quando le storie venivano prese dalla realtà e non dai social network? Vi ricordate quando il distintivo «PRESS», anziché orgoglio e impunità, era simbolo di impegno etico?

Non c’è stato un tempo in cui ci si contendeva la storia con altri giornalisti, e non con influencer che non sanno nemmeno scrivere la descrizione dei loro video? Quei giorni in cui il nemico era l’elemosina, il chayote, la busta con le banconote, l’informazione non confermata? E non come adesso, le minacce di morte – spesso messe in atto – o le molestie virtuali da parte di bot di un tipo o dell’altro. Oltre, naturalmente, al tribunale mattutino con cui “il supremo” distribuisce schiaffi e carezze.

Dove sono i grandi reportage, il giornalismo d’inchiesta, le note esclusive, le domande incisive, la scrittura impeccabile, la dizione corretta, l’immagine dove la storia non è il giornalista ma la realtà?

Seguite il filo di Arianna, forse all’interno del labirinto troverete ciò che li ha spinti a scegliere il giornalismo come professione… e dannazione.

-*-

Da qualche parte nel cuore dell’uomo c’è una cosa chiamata «empatia». Questa capacità di «mettersi al posto dell’altro» è, in realtà, la capacità di «mettersi al posto della vittima». A volte individualmente e sempre più volte collettivamente, questo sentimento va oltre e si confronta con la necessità di «fare qualcosa».

Ma la realtà non dà ricompense. Semmai, incubi. Quindi ci vuole coraggio per dire «sono io e sento che questo non è giusto e devo dirlo o farlo sentire, soprattutto alle vittime».

I risultati sono pochi e lontani tra loro. Sembrano piccoli, ma per le vittime sono tutto. Come lo saranno per – supponiamo, senza ammetterlo – José Díaz Gómez, che rimarrà sicuramente sorpreso quando vedrà tutti i messaggi di sostegno e solidarietà che, dagli angoli più improbabili del Messico e del mondo, sono confluiti negli sforzi di questa ONG – scomoda, come dovrebbero essere tutte le ONG – che ha assunto la ricerca della giustizia come ciò che è, cioè un dovere.

La sua libertà è nata da tutte quelle voci e azioni che convergevano in una richiesta semplice ma forte, antica quanto l’umanità stessa: la libertà.

-*-

Cercate le Buscadoras. Mi viene in mente, non lo so, che forse anche loro stanno cercando un altro domani. E questo, amici e nemici, è lottare per la vita.

Bene. Saluti e trovatele. È urgente.
Dalle montagne del Sud-Est messicano.


El Capitán

Agosto 2024

P.S. – Penso che sia ovvio, ma se non lo è, lo diciamo chiaramente: grazie.

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Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/02/supongamos-sin-conceder/ Traduzione a cura di Ya Basta! Êdî Bese!

Ammesso e non concesso…

Agosto 2024

Ammesso e non concesso che possiate immaginare quanto segue:

Siete nati in un villaggio autoctono. In una comunità avete imparato la vostra lingua, la vostra cultura, il vostro stile di vita. Tutto questo vi rende diversi. Per l’antropologia tradizionale, la vostra lingua è un “dialetto” e il vostro popolo è una “etnia”. Siete ciò che i progressisti chiamano “un indio”. Non importa il colore della vostra pelle, perché non appena inizierete a dire qualcosa, noterete il gesto di disprezzo del vostro interlocutore non indigeno.

Vedrete anche quella persona allungare istintivamente la mano in tasca per darvi una moneta. Questa persona penserà che siete inferiori, ignoranti, sporchi, poveri, superstiziosi, manipolabili… e stupidi. Ma è comunque così che siete nati. Qualunque cosa facciate, nulla cambierà questo atteggiamento. Così come si è culturalmente indigeni, si è anche culturalmente razzisti, anche se si tratta di un razzismo “cool”.

Ora, ammesso e non concesso che il vostro popolo originario, la vostra lingua, la vostra cultura, il vostro stile di vita sia quello dei Cho’ol, un popolo con radici maya che vive negli Stati messicani sudorientali di Chiapas, Tabasco e Campeche.

Ammesso e non concesso che, come tutti i popoli originari, avete subito disprezzo, razzismo, ingiustizia, percosse, inganno e derisione – oltre, naturalmente, a sparizioni forzate, imprigionamenti, stupri e omicidi – solo perché siete quello che siete: un indigeno Cho’ol.

Ammesso e non concesso che sappiate che parte dei popoli originari del Chiapas, tra cui i Cho’ol, fanno parte di un’organizzazione chiamata ezetaelene (conosciuta anche come “gli zapatisti del Chiapas” o “neo-zapatisti” o “trasgressori della legge” o quello che va di moda), che hanno preso le armi il 1° gennaio 1994, in quello che hanno definito “l’inizio della guerra contro l’oblio”, ponendo così fine al progetto di Carlos Salinas de Gortari di un potere che vada oltre il sessennio (prima era il sogno erotico del salinismo, ora lo è del morenismo).

Ammesso e non concesso che non siate un antropologo o uno storico ufficiale, cioè che sappiate che, per secoli, i popoli nativi sono stati trattati dalla modernità (durante governi e fasi diverse ma simili) con un misto di disgusto e pietà. E che sappiate che questi nativi esistono, vivono e lottano al di là dei libri, dei musei, delle mete turistiche, dell’artigianato e dei discorsi dei governi.

Ammesso e non concesso che sappiate che questi popoli zapatisti sono in ribellione e resistenza perché hanno intrapreso il cammino di una costruzione terribile e meravigliosa: “otro mundo, uno donde quepan todos los mundos”.

Ammesso e non concesso che voi, come Cho’ol, abbiate avuto la sfortuna di nascere e vivere vicino alla proprietà di un uomo potente.

Ammesso e non concesso che il suo nome o la sua firma sia José Díaz Gómez, e che sia prigioniero in un carcere del Chiapas con l’accusa di essere un Cho’ol e di… essere uno zapatista.

Ora, cambiando canale, supponiamo di avere accesso a ciò che viene detto nei tribunali, nelle stazioni di polizia e nelle prigioni del Chiapas. Non è senza imbarazzo che si sente dire: “È uno zapatista, uno di quelli che criticano e non appoggiano il presidente”. “Il capo sarà contento che stiamo punendo uno dei conservatori che rifiutano di essere salvati dalla modernità e dal progresso (cioè le 4T)”.

Ora, ammesso e non concesso che la vostra libertà, Cho’ol e zapatista, dipenda da molteplici fattori: l’umore del giudice quel giorno, il pubblico ministero, la polizia, gli altri finqueros (cioè, oltre a quello che ha la sua finca a Palenque), il bisogno degli omini grigi di ingraziarsi superiori che nemmeno sanno che esistono.

Supponiamo che sappiate che un’organizzazione non governativa per i diritti umani (una di quelle tanto vilipese dalla Corte Suprema – insieme a collaboratori pagati dai media), abbia dimostrato la vostra innocenza, e che la parte accusatrice non possa nemmeno presentare la minima prova contro la vostra libertà – e quella di altri vostri compagni perseguitati. Ma è inutile perché non siete innocenti dei due crimini per i quali sei stato imprigionato per quasi 2 anni: essere indigeno e zapatista.

Ora, supponiamo che vi rechiate contemporaneamente allo zócalo di Città del Messico e contempliate una struttura in ferro e cartongesso che, si presume, sia una replica di una piramide del popolo Maya.

Ammesso e non concesso che poi riflettiate e concludiate che questo è ciò che è l’indigenismo in Messico: una simulazione di cartongesso come tributo a un passato lontano (e manipolabile nella storiografia ufficiale), e migliaia di ingiustizie “amministrate” dal governo in carica, contro i popoli nativi nel presente. Per i governi, i popoli indigeni sono la materia prima per la loro fabbrica di alibi “storici”… e di colpevoli.

Ora, ammesso e non concesso che siate stati incaricati – date le vostre capacità e, soprattutto, il fatto che non siete un cho’ol zapatista – di tenere una lectio magistralis alla scuola quadri del PARTITO, intitolata “La rivoluzione delle coscienze nella Quarta Trasformazione”.

Vi sentireste male, almeno a disagio, fuori luogo?

Oppure, come la maggior parte dei vostri correligionali, vi direste “è tutto per il bene del movimento affinché l’estrema destra non ritorni”, “gli zapatisti hanno avuto il loro momento, ma sono passati di moda”?

Quindi concludereste che, se non fosse indigeno, se non fosse zapatista e se non fosse critico nei confronti del governo al potere, sarebbe libero e non avrebbe perso due anni della sua vita?

Naturalmente, tutto questo ammesso e non concesso che abbiate immaginazione, sensibilità e senso della giustizia.

E, naturalmente, che non siate un furfante. O una furfante (senza dimenticare la parità di genere).

Bene. Salute e smettete di guardare in alto, la lotta per la vita è in basso.

Dalle montagne del sud-est messicano.

El Capitán

Agosto 2024

P.S. Tutti i sistemi giudiziari “moderni” sono irriformabili. Si basano su un assunto che viene quotidianamente contraddetto dalla realtà: “tutte le persone sono uguali davanti alla legge”. E no, perché “chi paga, comanda”.

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RICOMINCIAMO?

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2024/08/01/recomenzamos/ Traduzione a cura di Ya Basta! Êdî Bese!

RICOMICIAMO?


Il fico strofina il vento
con la raspa dei suoi rami,
e il monte, gatto selvatico,
rizza le sue agavi agre.
Ma chi verrà? E da dove?…
(Romanzo sonnambulo di Federico García Lorca)

Sì, il vento e la montagna sembrano conoscersi da molto tempo. Potrei dirvi la data esatta, ma non è questo il punto… o la questione fondamentale, dipende. Questa ferma ma evidente rassegnazione o resistenza può non essere compresa: la montagna nel sopportare un colpo e un altro; il vento nella sua apparente ritirata, ripiegando per poi tornare. Sempre uguale, sempre diverso.
Ma non sono questi continui colpi a preoccupare la montagna. Ha visto di peggio, a pensarci bene. No, ciò che la preoccupa sono le tempeste che arrivano con i bulldozer, le ruspe, i cercatori di minerali, le compagnie turistiche, le fabbriche, i centri commerciali, i treni, i governi che fingono di essere ciò che non sono, la distruzione, la morte. In poche parole: il sistema.
Non sarebbe quindi sorprendente se trovassero un accordo, montagna e vento. Dopo tutto, condividono la stessa madre: Ixmucané, la più saggia.
No, non vi dirò la data esatta del loro primo incontro. Ma diciamo che si conoscono da tempo, che il saluto accigliato e il sogghigno sprezzante della montagna ai primi fulmini e alle prime burrasche è ormai consuetudine. Lo stesso vale per l’insolenza del vento quando, a forza di pioggia, vento e tuoni, strappa ciocche di capelli verdi alla montagna. I graffi che il vento lancia con maldestra passione, ferite come pozze d’acqua, non riescono ad attenuare il rifiuto pungente della montagna. Si incontrano, non si incontrano e, alla fine, finiscono per abbracciarsi e salutarsi senza promesse né confessioni. Un rapporto complesso che ha molto a che fare con l’accettazione e il rifiuto. Un «amore», dunque.

-.-
Si racconta, si narra che esiste una leggenda non ancora scritta: ci fu una riunione a cui fu convocata la famiglia di Votán, custode e cuore della comunità. E così disse la montagna: «Figli miei, miei cari, ciò che avete letto prima nelle mie pelli e nei miei capelli sta arrivando. Il fratello vento, il signor Ik’, porta notizie tremende di un’altra tempesta, la più letale di tutte. Lo sappiamo già. E spetta a tutta la famiglia resistere e difendersi. Voi siete i guardiani creati per proteggerci. Senza di voi, moriamo e vaghiamo senza senso. Senza di noi, diventate esseri perduti, con solo il vuoto nel cuore e nessuna speranza di esistere. L’Ik’ racconta ciò che il suo cuore ha visto: che, in cielo e in terra, gli animali condividono l’inquietudine e l’ansia. Lo sentono nel Cauca e nei quartieri della Slovenia. In Giappone e in Australia. In Canada e a SLUMIL K’AJXEMK’OP. In Norvegia, in Svezia, in Danimarca e in Nicaragua, che non si arrende né si svende, mai! A La Polvorilla e nella ferita che il treno transistmico, piaga incancrenita, ha fatto nel cuore degli indigeni combattenti. Nelle patrie che la guerra moltiplica come disgrazie e in coloro che hanno le braccia aperte per aiutare gli indifesi. A Ostula e in Groenlandia. Nella martoriata Haiti e nei cenotes Maya sporcati dalle rotaie della demagogia. Negli sfollati e negli sfrattati per estorsione. Nella @ libertaria che da tempo avverte che lo Stato non è una soluzione ma un problema. Nella ragazza palestinese che con quella bomba ha ricevuto l’incognita della vita… e la certezza della morte. Così parlano al fraterno popolo Saami, al mapuche, al gitano con la casa sulle spalle, al nativo di tutte le terre e di tutti i mari, a chi lotta e resiste nella terra che cresce verso l’alto, al pescatore che lavora per la vita nel mare. Lo raccontano alle ragazze che capiscono la lingua dimenticata. Ai bambini con lo sguardo serio. Alle donne che cercano assenze forzate. Ai vecchi che fanno delle loro cicatrici delle rughe dolorose. A quelli che non sono né lui né lei, e che Roma sia dannata. A tutti gli esseri umani che, come il mais, hanno tutti i colori e sul tavolo, sul pavimento, sulle ginocchia hanno tutti i modi d’essere. Ma non tutti ascoltano. Solo coloro che guardano lontano e in profondità comprendono ciò che la lingua che parla Ixmucané, la più saggia, dice ed esprime. Cercate dunque la via, figli miei. E cercate chi. Alzate la voce con il signor Ik’ in uma mano e il mio cuore nell’altra. Ricordate al mondo che la morte e il domani si forgiano nell’ombra della notte. La luce è forgiata nelle tenebre».

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Sì, il vento e la montagna si incontrarono di nuovo. Ma questa volta era diverso. L’alba aveva prolungato il suo arrivo, soffocata forse dal caldo, ma al primo bagliore di un lampo che si infrange su huapác, arrivò subito una pioggia violenta come uno schiaffo in faccia.

Nella champa il rumore delle gocce sul tetto di lamiera permetteva di sentire poco o nulla. Ma si poteva vedere chiaramente, grazie alla luce tremolante di un accendino, sul tavolo – bruciato e con le foglie di tabacco ancora umide – un pezzo di carta con molti segni. Su di esso, l’unica cosa che si leggeva chiaramente era:

«La pazienza è la virtù del guerriero»

Dalle montagne del sud-est messicano.

El Capitán
Agosto 2024

P.S.- Sì, certo, e della guerriera. Sì, e de loa guerreroa. De le guerrere? Ma, seriamente?

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Il vaso di Pandora chiapaneco

Luis Hernández Navarro30 luglio 2024

Truppe delle forze speciali guatemalteche, kaibiles e poliziotti, trincerati, puntano le loro mitragliatrici verso il confine con il Messico. Più di 100 soldati della Quinta Brigata di Fanteria Mariscal Gregorio pattugliano il loro territorio nel dipartimento di Huehetenango per proteggerlo dagli attacchi della criminalità organizzata dal lato messicano.

Secondo il governo guatemalteco, in fuga dalla narco-violenza, 249 messicani hanno oltrepassato il confine e si sono rifugiati nella comunità Ampliación Nueva Reforma, nel comune di Cuilco. I chiapanechi, provenienti soprattutto da Amatenango e Mazapa de Madero, sono stati temporaneamente ospitati in una scuola.

C’è chi stima in 500 il numero degli sfollati. Il presidente Bernardo Árevalo ha riferito in una conferenza stampa il 24 giugno che le famiglie messicane “fuggono dagli scontri tra gruppi che si stanno verificando dalla parte messicana”. I rifugiati hanno deciso di lasciare le loro case a causa della carenza di cibo e della violenza.

Secondo la diocesi di Tapachula, la situazione sulle montagne e alla frontiera del Chiapas “è disperata a causa della presenza permanente di cartelli della droga che si contendono il territorio, vanno e vengono di fronte all’indifferenza e all’apparente complicità della Guardia Nazionale (GN) e dell’Esercito.

In un comunicato firmato dal vescovo emerito di Tapachula e arcivescovo eletto di León, Guanajuato, Jaime Calderón Calderón, e da altri sacerdoti, si segnala: “È molto complicato vivere così; da un lato sequestrati in casa propria, costretti a fare ciò che non dovrebbero, con un profondo senso di impotenza di fronte all’assurda situazione in cui vivono.”

A Frontera Comalapa mancano cibo e beni di prima necessità e quelli che si trovano sono molto cari. I residenti si chiudono nelle loro case. I blocchi stradali sono all’ordine del giorno. Non ci sono mezzi di trasporto.

Membri armati di El Maíz, il braccio “sociale” del cartello Jalisco Nueva Generación (CJNG), controllano gli ingressi a Chicomuselo. I mostri camminano per le strade con assoluta impunità. A Siltepec i combattimenti hanno danneggiato il servizio telefonico ed elettrico.

A luglio 2023, da queste pagine, in un articolo intitolato “La battaglia di Frontera Comalapa”, realizzato a partire da testimonianze dirette degli abitanti delle comunità che hanno subito violenza, avevo cercato di ricostruire parte degli scontri armati tra il cartello di Sinaloa e Jalisco Nueva Generación (CJNG) per il controllo di quel territorio, delle rotte e mercati strategici per il passaggio di droga e migranti privi di documenti.

Tracciando inoltre una genealogia di quella guerra, a partire dall’imboscata nella quale caddero José Fernando Ruiz Montejo, El Poni, e tre delle sue guardie del corpo, nell’ejido Joaquín Miguel Gutiérrez, Frontera Comalapa, il 28 dicembre 2020 (https://shorturl .at/NcgPS).

Da allora la situazione è peggiorata sempre di più. Oggi è una questione binazionale. A più di 261 chilometri da lì, di fronte agli attacchi contro di loro iniziati il 10 luglio da parte della Fazione Tzanembolom, legata al gruppo di delinquenti di Los Herrera, 108 Tsotsiles della comunità di Tzanembolom, comune di Chenalhó, si sono rifugiati per 10 giorni nella scuola Amado Nervo.

Le loro case sono state saccheggiate. I fratelli Rubén e Daily Herrera hanno controllato in maniera spietata Pantelhó per anni. Il patriarca del clan, Austreberto, nell’aprile del 2015 è stato arrestato per l’omicidio di due persone (https://bit.ly/3hXCcuy). Nel 2002 si era autoproclamato giudice locale. È stato lui ad aprire la porta alla criminalità organizzata.

Alla fine, gli aggrediti sono stati salvati da un’operazione di polizia e portati nella casa culturale di Chenalhó. Il 7 giugno, circa 4.000 persone hanno lasciato la città di Tila, nel nord del Chiapas, a causa di un’ondata di violenza. Per tre giorni in città ci sono state sparatorie e incendi di automobili e case.

I profughi si sono rifugiati nelle comunità di Yajalón e Petalcingo. Secondo i dati ufficiali ci sono stati tre morti e quattro feriti. I gruppi autonomi choles sono stati vittime a intermittenza degli eredi paramilitari di Paz y Justicia e del dominio dell’architetto Límberg Gregorio Gutiérrez Gómez, che è saltato di partito in partito (https://shorturl.at/mwt9d).

L’Ejido Tila, aderente al Congresso Nazionale Indigeno, denuncia che “queste ultime settimane sono state di dolore e terrore”, dopo che “il 4 giugno, membri del gruppo criminale Karma si sono presentati facendo fuoco con armi di grosso calibro”.

Spiega come “si denunciano con insistenza l’ingresso della criminalità organizzata nel nostro territorio, gli omicidi di compangi e le continue minacce; ora ci troviamo in uno scenario di sfollamenti forzati, morte e la minaccia concreta alla nostra sopravvivenza come popolo ch’ol”. Sottolinea che “denunciamo il gruppo criminale Karma, sostenuto dal consiglio comunale di Tila (presieduto da Límber Gutiérrez Gómez), che agisce impunemente uccidendo gli ejidatarios, tra i quali i nostri compagni Carmen López Lugo, il 12 gennaio, e Domingo Lugo Ramírez, il 14 marzo”.

Loro avevano solo reagito all’aggressione subita da alcuni dei loro membri. Questi sono solo alcuni esempi della situazione in Chiapas. Ci sono altre gravissime violenze e sfollamenti forzati, nonostante si tratti di un’entità militarizzata.

Il cocktail risultante dalla miscela della guerra tra i cartelli per il controllo delle rotte e dei territori, il paramilitarismo, l’azione dei gruppi criminali, la decomposizione dei cacicchi indigeni e la ricomposizione dell’antica famiglia chiapaneca associata all’industria criminale, ha fatto saltare il vecchio modello statale di dominio. Di fatto, si è aperto un vaso di Pandora dalle conseguenze preoccupanti.

X: @lhan55 – Fonte: https://www.jornada.com.mx/noticia/2024/07/30/opinion/la-caja-de-pandora-chiapaneca-4472?s=09

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Morti, paura e fughe dalle comunità indigene: una violenza sistemica devasta, lontano dai riflettori dei grandi media, il Messico. Anche in Chiapas la violenza si è fatta feroce, malgrado lo sforzo delle comunità zapatiste. Del resto in tanti alimentano la criminalizzazione dei movimenti sociali e indigeni. Militarizzazione, grandi opere, e politiche estrattive non sono soluzione alla violenza, sono parte del problema.

Basta violenza in Messico! Basta violenza in Chiapas!

Le elezioni 2024 hanno fotografato, e reso ancora più evidente, come la violenza in Messico sia un fattore sistemico. La guerra per il controllo del territorio ha svilito il valore della vita, si ammazza per pochi pesos in tutto il paese. Il Chiapas, oggi, è uno degli stati dove la violenza si è fatta feroce.

Dal confine con il Guatemala a Palenque, passando per i territori d’influenza zapatista, morti, paura e fughe dalle comunità sono diventate una norma di una realtà dove il mai risolto fenomeno paramilitare si è incontrato con i gruppi del crimine organizzato e le logiche di estrazione di ricchezza dai territori.

Così oggi a Pantelhò, Tila e Chalchihuitán le persone scappano e si accampano in posti di fortuna, al confine con il Guatemala i gruppi criminali si contendono lo sfruttamento delle rotte migratorie e il controllo del traffici – legali ed illegali – che attraversano la la frontiera e la Guardia Nazionale, stanziata in migliaia di unità guarda senza intervenire.

La politica del governo di Andres Manuel Lopez Obrador “Abrazos, no balazos” è naufragata e nel suo sessennio si contano già oltre 130mila morti.

La nuova presidenta Claudia Sheinbaum parla di continuità con le politiche fallimentari di AMLO e annuncia investimenti e finanziamenti alla Guardia Nazionale.

In questo scenario che si può solo riassumere con il termine “guerra” nonostante le donne e gli uomini dell’EZLN propongono un ponte di coesistenza e convivenza provando a rompere le logiche proprietarie del territorio creando campi “comuni” da coltivare assieme a chi zapatista non è, una base di appoggio dell’EZLN, José Dìaz è costretto al carcere preventivo come altre decine di prigionieri politici (la maggior parte dei quali indigeni).

Diciamo basta alla violenza in tutto il Messico ed in Chiapas.

Basta alla criminalizzazione dei movimenti sociali ed indigeni del paese.

Per il rispetto dei diritti e della dignità dei popoli indigeni e non solo.

Militarizzazione, grandi opere, e politiche estrattive non sono soluzione alla violenza, sono parte del problema.

Promuovono:

Realtà collettive:

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo
Cooperazione Rebelde – Napoli
Associazione Ya Basta! Milano

Singoli:
Andrea Cegna – Giornalista freelance e lavoratore dello Spettacolo

1 luglio 2024

Adesioni

Realtà collettiveSingol3
Comitato Chiapas “Maribel” – BergamoAndrea Cegna – giornalista freelance e lavoratore dello Spettacolo
Cooperazione Rebelde – NapoliFabio Bianchi
Associazione Ya Basta! MilanoVeruschka Fedi
Associazione Ya Basta! BolognaSabrina Pusceddu
Rifondazione Comunista – La SpeziaManuela Derosas 
Archivi della Resistenza – Circolo Edoardo Bassignani – Fosdinovo (Massa Carrara)Paola Trivella – medico Ospedale Macerata
Altro Modo Flegreo APS – Giugliano in Campania (Napoli)Rita Parro
Associazione YaBasta! Reggio EmiliaRenaud de Campredon 
Yaku Odv – Trento – RomaGian Marco Falgiani
Associazione Ya Basta! MarcheFrancesca Cogni – filmmaker e disegnatrice
Centro sociale Ex Canapificio – Caserta Alfio Nicotra – giornalista professionista e componente il Comitato Nazionale di Un Ponte Per
Associazione Sportiva Antirazzista Assata Shakur – AnconaMarco Ugo Melano – avvocato
Casa Madiba Network – RiminiLaura Corradi – docente Studi di Genere e Metodo Intersezionale – Universita’ della Calabria
Collettivo Ecologias del futuroPinuccia Gagliano
Collettivo Corps CitoyenArch.Virginia Dessy
Associazione Culturale “Sa Perda Sonadora” – Seneghe (Oristano)Maria Cosentino
Comitato Piazza Carlo Giuliani ODV – GenovaGabriele Rossi
Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda – GenovaFranco Pietropaoli
Circolo Rifondazione Comunista – Savona LevanteHaidi Gaggio
Centro Sociale Cantiere – MilanoNelly Bocchi
Spazio di Mutuo Soccorso – MilanoLucia Cara
Associazione GarageLab ETS – Pescara Stefano Malpassi – anarchico e anarcosindacalista legato alla AIT – Cesena (Forlì e Cesena) 
Redazione Comune-infoBalini Valentino
Guacamaya – punk band da MagentaStefano Lucarelli – docente universitario
Associazione Jambo – Fidenza (Parma)Nino Fabrizio
Carovane MigrantiLaura Quagliolo
Comunità di resistenza contadina Jerome Laronze (Genuino Clandestino) – FirenzeFederico Galletta – avvocato – Siracusa
La Base – CosenzaAnnamaria Pontoglio – Bergamo
Associazione La Terra di Piero – CosenzaAngelo Cò – Brescia
Palestra Popolare TPO – BolognaRoberto Salvatore – Roma
Circolo Libertario “E. Zapata” – PordenoneChiara Reali
Laboratorio di Mutuo Soccorso Zer081 – NapoliAnna Maria Bruni – lavoratrice dello spettacolo e giornalista freelance
Unione Sindacale Italiana USI 1912 – Segr. NazionaleEmanuela Rizzuto – autrice TV e story editor
Associazione USICONS APS – RomaAndrea Fumagalli – docente di Economia
Circolo Fratellanza – Casnigo (Bergamo)Federico Bastittutta – docente
La Bergamasca Zapatista (unione gruppi, C.S.A., collettivi) – BergamoFrancesco Formisani
LAPAZ Macroarea Italia CentraleMilena Galizzi – Bergamo
Circolo  A.R.C.I. Terra e Libertà – ComoGiuseppe Manenti
Associazione Progetto Teknes – NapoliAndrea Staid – scrittore/editore
Falegnameria FAL – NapoliGigi Malabarba – Autogestione in movimento – Fuorimercato
Tatawelo Cooperativa ISMimma Grillo – Palermo
Vivèro – luogo di quartiere – RomaMassimiliano Bonacci
Zazie nel metrò – RomaRamon Mantovani
Circolo anarchico C.Berneri – BolognaFrancesco Calandra
Circolo ARCI LA BOJE – RovigoMassimiliano Smeriglio
Rete Vesuviana Solidale (Ass. YaBasta! Scisciano – Nova Koinè – SmallAxe)Elisa Decarli – agronoma
Rucasa1130Michele Mavropulos Cavala – Grecia
La lanterna di Diogene – Solara di Bomporto (Modena)Ilary Tiralongo
UIKI – Ufficio d’informazione del Kurdistan in ItaliaDaniele Ferro – insegnante
Spazio Sociale La Boje! – MantovaErica Sereno – Montalto Dora (Torino)
Nodo SolidaleCosima Minardi – Roma
Collettivo Demand – NapoliAntonio Versari – Roma
20ZLNGiuseppe Giannini – libero analista politico
Laboratorio Occupato Insurgencia – NapoliAnita Gramigna – Professoressa Ordinaria di Pedagogia Generale e Sociale – Università di Ferrara
Mezzocannone Occupato – NapoliLivia Bidoli – direttore responsabile Ghotic Network
Associazione Ya Basta Êdî BeseMicol Dell’Oro – Erba
Comitato Città vecchia – TarantoAntonio Peratoner – Udine
CSOA Angelina Cartella – Reggio CalabriaAdele Cozzi
Collettivo utopiA – Marigliano (Napoli)Giovanna Brilli
Corto Circuito Flegreo – NapoliFrancesca Tosto
Il lago che combatte – RomaLucia Bertolini – sportello salute Legnano
Bunna–Africa UnitedDaniela Anzani
C.S.A Intifada – EmpoliLuigi Mennella – Palermo
Equosud – Reggio CalabriaStefania Chinzari – educatrice, giornalista – Roma
CGT – SpagnaEluseide
Attac ItaliaAlessandra Cangemi – giornalista – Milano
Centro Sociale CasaLoca – MilanoMaria Teresa Marras – Stintino (Sassari)
ADL Cobas Lombardia Camera del Non Lavoro MilanoAntonio Lupo – Chiavari

Aldo Zanchetta – Lucca

Paolo Vernaglione Berardi

Daniela Turco

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Il Messico e l’escalation della violenza: non c’entra solo la politica. La guerra per il territorio tra Stato, imprese e crimine. di Andrea Cegna22 giugno 2024 IlFattoQutidiano

Durante la campagna elettorale delle ultime settimane il fenomeno ha riconquistato anche qualche spazio sui media internazionali. Ma l’escalation è sempre meno legata alla cadenza degli appuntamenti politici. “La violenza che si è vista nelle ultime elezioni – spiega Josè Gil Olmos Rodriguez, giornalista del giornale online Proceso – è parte di quella che si vive in Messico da diversi anni e, soprattutto, nel corso del governo di Andrés Manuel López Obrador. In questi sei anni la segreteria esecutiva del Sistema nazionale di pubblica sicurezza ha registrato più di 134.594 omicidi, mentre durante il governo di Enrique Peña Nieto (che ha governato dal 2012 al 2018, ndr) 89.860”. Gilberto Lopez y Rivas, antropologo e docente universitario, aggiunge: “La violenza è strutturale. Non si ferma a causa di contingenze politiche. Fa parte del tipo di accumulazione capitalistica in cui viviamo. Tutto cambia, affinché tutto rimanga uguale”.

La campagna elettorale ha evidenziato una situazione limite, ma costante, che si replica secondo uno schema consolidato come racconta nel suo libro I cartelli non esistono il giornalista e docente Oswaldo Zavala: dopo la militarizzazione di un territorio esplode lo scontro con i gruppi criminali. La militarizzazione si somma ad altre due costanti: ricchezza di materie prime e resistenze territoriali e indigene. Schema che si ripete anche oggi nonostante sia stata abbandonata la cosiddetta “guerra alla droga”. Il Chiapas, torna ad essere “laboratorio” della violenza: il governo di Lopez Obrador (che per brevità tutti chiamano AMLO) ha schierato non meno di 10mila agenti della Guardia Nazionale, corpo voluto nel 2019 dallo stesso presidente, per “gestire” la questione migratoria e così nello stato del Sud-Est messicano i fenomeni descritti da Zavala si incontrano con le organizzazioni paramilitari che dalla fine degli anni Novanta hanno segnato la violenza politica di quel territorio che confina con il Guatemala. Sono proprio alla frontiera, assieme alle zone dove la violenza paramilitare si è dispiegata contro l’esperienza zapatista, i luoghi dove la violenza fa oggi da padrona. L’ultima strage si è vista a Pantelhò, a un paio d’ore da San Cristobal de Las Casas, il 14 giugno, dove una famiglia è stata freddata a colpi di pistola non si sa da chi e perché.

In Messico c’è in corso una vera e propria guerra per il controllo del territorio. E come ogni guerra la popolazione civile è la vittima dello scontro di interessi che vede come attori Stato, grandi imprese e gruppi del crimine organizzato. La narrativa di un Paese nelle mani dei narcos è semplicistica e “casi” come la sparizione dei 43 di Ayotzinapa o quello del generale Cienfuegos ne sono esempi.

La campagna elettorale è stato occasione di propagande incrociate. Se da una parte “non si può dimenticare che la violenza registrata durante l’ultima campagna elettorale, e gli omicidi legati ad essa, si è scontrata con dati differenti tra governo messicano e quelli prodotti da soggetti indipendenti” ricorda ancora Olmos Rodriguez. Carlos Fazio, docente ed editorialista de La Jornada, sottolinea che la stampa vicina alle opposizioni “ha riprodotto la narrazione secondo cui lo slogan di AMLO “abbracci, non pallottole” avrebbe coperto l’alleanza del presidente con i gruppi dell’economia criminale. Questo ha dato il via ad una campagna di propaganda, sostenuta da Xóchitl Gálvez con il supporto del New York Times, Tim Golden di ProPublica, e l’agenzia tedesca Deutsche Welle, in cui lavora Anabel Hernández, che ha usato sui social il famoso hashtag #NarcopresidenteAMLO, associato poi a Claudia Sheinbaum (la nuova presidente, ndr). Con questo non dico, ovviamente, che non vi sia violenza in Messico, a partire dal dramma dei desaparecidos (circa 100mila secondo il governo) e dagli assedi di tipo militare e paramilitare in Chiapas nelle zone di influenza zapatista e contro gli oppositori ai mega-progetti estrattivi di López Obrador”.

Il tentativo di “pacificare” il Paese messo in campo da Lopez Obrador attraverso la logica del “non scontro” e con formule di redistribuzione di ricchezza, investimenti pubblici e rafforzamento del potere della Marina e degli altri corpi militari, è naufragato. Violenza sistemica e militarizzazione ricadranno sul governo dalla presidente Sheinbaum che dovrà capire se andare in continuità con il suo predecessore o cambiare rotta. Bisogna però riconoscere, come Oswlado Zavala ha fatto in una recente lezione all’Unam, che “il discorso del ‘narco’ promuove e propone l’idea che si possa uccidere, senza distinzioni, chiunque consideriamo nostro nemico. Le nozioni di guerra e narco sono a un punto di esaurimento e così l’industria dell’intrattenimento della violenza simbolica funziona come un potere fattuale che racconta la guerra contro il narco, giustificandola e trasformandola in un romanzo”, ovvero la violenza è sistemica, non è solo generata da gruppi criminali ed è diventata “comune”, ma sistemica è anche una narrazione polarizzata che tende a deviare lo sguardo così da mettere a fuoco il dito al posto della luna senza indagare le origini e le motivazioni di questo tsunami sociale e culturale che infesta il paese.

Il Fatto Quotidiano https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/06/21/il-messico-e-lescalation-della-violenza-non-centra-solo-la-politica-la-guerra-per-il-controllo-del-territorio-tra-stato-imprese-e-crimine/7596426

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Elezioni in Messico, vincono Claudia Sheinbaum e la continuità

di Christian Peverieri 04/06/2024

Come ampiamente previsto dai sondaggi la candidata della coalizione di governo Sigamos haciendo historia e del partito Morena, Claudia Sheinbaum Pardo, è la nuova presidente del Paese. La sua elezione è già stata definita “storica”: per la prima volta in 200 anni di storia messicana infatti una donna dirigerà il Paese dal Palacio Nacional. Tuttavia la storicità dell’evento si potrebbe fermare qui, dal momento che la sua elezione non rappresenta alcuna rivoluzione concreta ma anzi si inserisce nel solco della continuità con l’attuale governo guidato dal leader del partito-movimento populista Morena, Andrés Manuel López Obrador.

Secondo i risultati ufficiali, ma ancora parziali, con un’affluenza che si è fermata al 60,1% – di poco sotto a quella della precedente elezione – Claudia Sheinbaum ha sconfitto nettamente l’altra candidata donna, l’indipendente Xóchitl Gálvez Ruíz, sostenuta dai partiti dell’opposizione, PRI, PAN e PRD: quasi il 60% di preferenze per la neo eletta presidente contro il 28% circa della rivale d’opposizione. Sheinbaum è stata scelta da oltre 33 milioni di messicani, e superando addirittura il suo predecessore di oltre tre milioni di preferenze, è diventata la candidata presidente più votata nella storia messicana.

Più staccato, con circa il 10% di voti, Jorge Álvarez Máynez del Movimiento Ciudadano, una formazione moderata di centro. Un milione e quattrocento mila invece i voti nulli, che sommati agli 86 mila dati ai “candidati non registrati” testimoniano l’ottimo risultato della campagna “Vota por las personas desaparecidas”, sorta dai familiari delle vittime di sparizione forzata per dare visibilità ad un tema oscurato durante tutta la campagna elettorale. Migliaia di messicani hanno così scritto nella scheda elettorale i nomi delle persone scomparse come forma di protesta di fronte all’inattività – e spesso complicità – dello Stato e per esigere giustizia per chi non ha più voce.

Nella più grande giornata elettorale della storia messicana – oltre 20 mila le cariche pubbliche da eleggere – si è votato anche per rinnovare i 128 membri del Senato e i 500 della Camera dei Deputati, oltre ai Governatori di nove Stati: Città del Messico, Guanajuato, Morelos, Jalisco, Puebla, Tabasco, Veracruz, Chiapas e Yucatán. Morena e i suoi alleati del Partito Verde e del Partito dei Lavoratori sta vincendo in sette Stati lasciando solo Guanajuato al PRI-PAN-PRD e Jalisco al Movimiento Ciudadano. I risultati relativi al rinnovo del Senato e della Camera invece si sapranno solamente nei prossimi giorni, anche se, stando al conteggio rapido pubblicato dall’INE (Instituto Nacional Electoral), la coalizione Sigamos haciendo historia sembrerebbe vicina a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere, fatto che garantirebbe la possibilità di attuare in libertà riforme strutturali.

Claudia Sheinbaum deve la sua carriera politica all’incontro con López Obrador di cui è diventata la fedelissima compagna di partito. Laureata in fisica e specializzata in ingegneria ambientale, dopo esser stata una leader studentesca della UNAM, grazie ad AMLO entra a far parte del PRD e del governo della capitale con deleghe all’ambiente, diventando la sua portavoce nelle campagne presidenziali del 2006 e 2012 prima di fondare insieme al suo mentore il partito Morena e di diventare Capo del Governo di Città del Messico, carica a cui ha rinunciato l’anno scorso per potersi candidare alla presidenza della Repubblica.

La nuova Presidente rappresenta dunque la perfetta continuità con il recente passato: è quindi facile prevedere che non ci sarà una “quinta trasformazione” – ovvero cambiamenti radicali nel suo Governo – ma si rimarrà nel solco della “quarta trasformazione”, con i suoi pochi pregi e le molte contraddizioni. Il tema centrale sarà nuovamente quello della sicurezza pubblica, dal momento che il Paese, nonostante la “cura AMLO”, è ancora preda di una violenza strutturale che sembra impossibile da debellare e di legami saldi e indistinguibili con i gruppi di potere economici e criminali in tutti gli apparati dello Stato.

Proprio in tema di sicurezza pubblica, la nuova Presidente ha già dichiarato il suo sostegno alle forze armate e alle politiche di militarizzazione del Paese promosse dal suo predecessore, promettendo il rafforzamento della Guardia Nacional affinché l’Esercito possa ritornare nelle caserme e non occuparsi più della sicurezza pubblica. Promesse che non presagiscono nulla di buono visti i risultati fin qui ottenuti da López Obrador, il cui mandato è stato il più violento della storia recente messicana.

Grandi opere e migrazioni saranno altri campi di battaglia del nuovo governo ma anche rispetto a questi altri importanti temi non si prevedono sostanziali novità, con il prosieguo dei lavori delle grandi opere (consegnati all’Esercito) che continuerà a mettere in risalto i danni ambientali e le contraddizioni sociali portate da questi progetti estrattivisti, e con la continuazione delle politiche di repressione delle proteste a difesa dei territori e di contenimento forzato dei flussi migratori.

Per i movimenti come lo zapatismo, per le organizzazioni sociali, femministe, popolari e indigene che promuovono alternative anticapitaliste, saranno altri sei anni di resistenza e lotte a difesa dei diritti, dei territori e dell’autonomia minacciata dalla cooptazione e dalla criminalizzazione a cui andranno incontro opponendosi all’egemonia morenista. https://www.globalproject.info/it/mondi/elezioni-in-messico-vincono-claudia-sheinbaum-e-la-continuita/24944

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30 Anni dopo l’Insurrezione Zapatista l’EZLN si trasforma

Andrea Cegna – 8 gennaio 2024

Una festa, o meglio, quattro giorni di festa con spettacoli teatrali, tornei sportivi, parate militari. Così l’EZLN, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ha deciso di ricordare il 1° gennaio 1994, inizio della guerra contro l’oblio. Per quattro giorni, dal 30 dicembre al 2 gennaio, migliaia di persone, soprattutto giovani e zapatisti accompagnati da un migliaio di internazionalisti, hanno preso parte all’evento celebrativo che prevedeva rappresentazioni teatrali, musical, tornei sportivi, proiezioni di film e la parata delL’EZLN alla mezzanotte del 1° gennaio 2024. Una celebrazione che non ha guardato al passato, né ai molteplici risultati raggiunti dall’organizzazione. Lo sguardo è rivolto al futuro, verso ciò che manca e ciò che occorre organizzare per difendere la vita delle comunità indigene senza dover sparare o uccidere.

Tanto che il Subcomandante Insurgente Moisés, leader politico militare e portavoce dell’EZLN dal febbraio 2013, parlando verso mezzanotte dice: “Quello che diciamo qui è che chi lavora mangia, e chi non lavora che si mangi le sue banconote e vediamo se questo soddisfa la sua fame, quindi, non abbiamo bisogno di uccidere. Questo diciamo. Ma per questo abbiamo bisogno di organizzazione: fatelo con i fatti! Giovani, donne, uomini di tutti i settori. È questo, compagni, ciò che dobbiamo dimostrare. Non crediamo più a chi governa, perché il capitalismo è nel mondo. Organizziamoci in ogni geografia e ognuno con il suo calendario”.

Pur restando un esercito, l’EZLN sceglie da anni la via pacifica verso l’autodeterminazione dei popoli maya del Chiapas, rifiutando la logica del potere e, quindi, la classica presa del potere marxista-leninista, proponendo la logica di costruire un’alternativa. Un passaggio che, in effetti, si è storicizzato negli anni, ma che ha trovato in questo trentesimo anniversario un rilancio narrativo. Dopo il 12 dicembre 1994 ci sono stati pochissimi episodi di scontri a fuoco con gli zapatisti. È ancora organizzato come esercito per ragioni di sicurezza, ma negli anni l’impronta militare ha lasciato sempre di più il posto a quella politico/sociale. Certamente la grave situazione di violenza contro le comunità, che negli anni hanno subito aggressioni militari, aggressioni paramilitari, guerre a bassa intensità e infine la nuova ondata di criminalità organizzata, non consente lo scioglimento della struttura di autodifesa. L’allora Subcomandate Marcos, nel maggio 2014, scriveva “Invece di formare guerriglieri, soldati e squadroni, abbiamo formato promotori di educazione, di salute, e sono state lanciate le basi dell’autonomia che oggi stupisce il mondo. Invece di costruire quartieri militari, migliorare il nostro armamento, innalzare muri e trincee, sono state costruite scuole, ospedali e centri di salute, abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita. Invece di lottare per occupare un posto nel Partenone delle morti individualizzate del basso, abbiamo scelto di costruire la vita.” e poi aggiunge “Non abbiamo ingannato nessuno del basso. Non nascondiamo che siamo un esercito, con la sua struttura piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall’alto verso il basso. Non neghiamo quello che siamo per ingraziarci i libertari o per moda. Ma chiunque adesso può vedere se il nostro è un esercito che soppianta o impone. E devo dire questo, ho già chiesto l’autorizzazione di farlo al compagno Subcomandante Insurgente Moisés: Niente di quello che abbiamo fatto, nel bene o nel male, sarebbe stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione nazionale, non si fosse sollevato contro il malgoverno esercitando il diritto alla violenza legittima. La violenza del basso di fronte alla violenza dell’alto”.

Da Ocosingo, una delle sette città occupate militarmente dall’EZLN il 1° gennaio 1994, ci vuole circa un’ora per raggiungere il Caracol VIII a Dolores Hidalgo. Lungo la strada c’è una grande base militare, uno dei 72 avamposti dell’esercito messicano che circondano il territorio zapatista. Una volta superata la base, si iniziano a incontrare i cartelli che annunciano l’avvicinamento a Caracol. Agli zapatisti piace giocare con gli internazionali: nel primo striscione parlano di una distanza di 33 chilometri dal Caracol, nel secondo di 5 e nel terzo di 1. Ma le distanze sono molto diverse, quindi per “l’ultimo chilometro zapatista ” ci vogliono venti minuti buoni in furgone per arrivare a destinazione. A quel punto, svoltando a sinistra, si incontra una discesa dove decine di miliziani controllano il traffico e gestiscono l’arrivo di autobus, auto, taxi e furgoni che portano le migliaia di non indigeni che accompagneranno l’EZLN nella festa. Superati i controlli, una fila di disegni e scritte su tela accompagnano l’arrivo nel Caracol alla festa del trentesimo anniversario. Da 2019 i Caracol sono 12 e sono la sede politico-amministrativa dell’autogoverno inaugurato ufficialmente nell’agosto 2003 dall’EZLN.

Il discorso duro e chiaro pronunciato da Moisés, lontano dalla poetica emotiva a cui l’attuale Capitano Marcos, già Subcomandante Marcos y Galeano, aveva abituato il pubblico internazionale, che riuniva artisti e intellettuali di tutto il mondo, è stato il momento centrale della celebrazione. Un discorso che riflette l’essenza indigena e la storia stessa dell’EZLN, un movimento che è cresciuto con la teoria dell’accumulo delle forze nel silenzio e parlava con franchezza pur fornendo molteplici interpretazioni di ciascuna delle sue proposte. Infatti, una delle sue citazioni più famose nel corso degli anni è stata “facciamo quello che diciamo, diciamo quello che facciamo”.

All’arrivo al Caracol VIII, Dolores Hidalgo, a un’ora di macchina dalla città di Ocosingo, molti si aspettavano qualcosa di più, quasi certamente la presenza visibile del Capitano Marcos, vista la preparazione avvenuta attraverso 20 comunicati con i quali quali l’EZLN ha rotto un silenzio di quasi due anni e l’invito pubblico a partecipare alle celebrazioni. D’altronde, come spesso è accaduto in questi trent’anni, le donne e gli uomini divenuti “famosi” perché si coprivano il volto con un passamontagna e imbracciavano le armi solo per rivendicare diritti, e soprattutto per affermare che potevano essere loro stessi, i popoli indigeni, in un mondo globalizzato e standardizzato, hanno preso una decisione nuova che va contro le aspettative e ancora una volta hanno colto nel segno, sorprendendo e costringendo molti a porsi delle domande.

Con opere teatrali hanno raccontato la trasformazione dell’organizzazione, la “morte” dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e delle Giunte di Buon Governo, e con essa la nascita dei GAL e dei collettivi di governo territoriale. La nuova struttura zapatista risponde alle trasformazioni “geografiche” del movimento. Dopo 30 anni, l’unità territoriale delle comunità è andata diminuendo, e allo stesso tempo l’influenza zapatista si è estesa a territori diversi da quelli di origine. Non è ancora del tutto chiaro cosa e come funzionerà questa nuova struttura e i prossimi mesi lo diranno. Insieme ad altri, hanno denunciato le molteplici direzioni della guerra che il governo, le grandi potenze economiche e la criminalità organizzata stanno portando avanti contro l’esperienza neozapatista. La guerra per il controllo del territorio si è spostata in Chiapas, dove i gruppi criminali organizzati si contendono le zone di transito sulle rotte migratorie. Il Chiapas confina con il Guatemala con tre valichi di frontiera. Su tutti e tre il conflitto per il controllo è evidente, e nelle zone dove è presente l’EZLN non è diverso. Proprio per questo l’EZLN ha deciso di schierarsi nelle diverse zone del suo “controllo” e quindi essere oggetto di interposizione tra criminali e comunità. Tutto questo mentre il governo di Andrés Manuel López Obrador, con il progetto “Sembrando Vida”, ha esacerbato il conflitto per la terra all’interno delle comunità indigene.

Poi hanno organizzato una parata militare, seria e austera, come al solito, ma anche in questo caso hanno rotto ogni logica “militare” mandando dagli altoparlanti “La Carencia” dei Pantheon Rococò e lasciando il passo libero ai miliziani che hanno rotto le file e iniziato a ballare. “Compagne, compagni zapatisti, questo è ciò che abbiamo dimostrato 30 anni fa. È lì che abbiamo capito. Con i nostri compagni, il Comitato è lieto che voi, giovani uomini e donne, abbiate capito e che le vostre opere teatrali siano molto eloquenti. Tuttavia noi diciamo che dobbiamo farlo con le azioni, non con le parole. Né con poesia, né opere teatrali, né pittura e altre cose” mette in guardia Moisés.

Il centro gravitazionale del discorso di Moisés è stato il concetto di “comune” che gli zapatisti fanno come proposta di pace, tanto che nell’ultimo comunicato scritto dall’EZLN prima delle celebrazioni si leggeva “Ebbene, possiamo tornare a questo e alla nostra proposta: stabilire estensioni dei terreni recuperati a partire dal comune. Senza proprietà. Non privata, non ejidale, non municipale, non federale, non statale, non industriale, niente di niente. Non proprietà della terra. Come si dice: “terreno senza documenti”. Ad esempio, in queste aree ancora da definire, se ci si chiede di chi è quel terreno o chi ne è il proprietario, la risposta può essere: “di nessuno”, decide “la comunità”, e prosegue “Ad esempio: sei un avente diritto con 20 ettari e hai 4 figli. È la prima generazione. Distribuisci la terra o meglio il documento, ed ora c’è un documento per 5 ettari per ciascuno. Poi quei 4 figli fanno altri quattro figli ciascuno, seconda generazione, e distribuiscono i loro 5 ettari e ottengono così poco più di un ettaro ciascuno. Poi quei 4 nipoti hanno altri 4 figli ciascuno, terza generazione, e si dividono i documenti e ciascuno ottiene circa un quarto di ettaro. Poi quei pronipoti hanno 4 figli ciascuno, quarta generazione, e si dividono il documento e prendono un decimo di ettaro a testa. E non vado oltre perché solo in 40 anni, nella seconda generazione, si uccideranno a vicenda. Ecco cosa stanno facendo i malgoverni: seminano morte”.

Per Márgara Millán, antropologa e docente universitaria della UNAM, “uno dei principali sucessi dello zapatismo in questi 30 anni è stato quello di invertire la cultura razzista in Messico”, mentre per Carolina Díaz Iñigo, del Centro di Ricerche e Studi Superiori di Antropologia Sociale (CIESAS), Postdottorato dell’Universidad Iberoamericana – México, “Lo zapatismo è un riferimento non solo a livello nazionale ma anche internazionale nella vita dei popoli indigeni contro il razzismo, il colonialismo e lo sfruttamento. In Messico per anni si è pensato che i popoli indigeni non esistessero più, facevano parte di un passato glorioso ma non del presente. L’EZLN ha detto che questo non è vero, perché noi continuiamo a resistere”.

Secondo Guadalupe Nettel, tra l’altro direttrice della Rivista Unam, “il neo zapatismo è stato costruito con un 30% di donne che hanno combattuto con le armi oltre ad altre compagne che lo hanno sostenuto in modi diversi. Tutte queste donne che hanno partecipato alla concezione del movimento in diversi aspetti, hanno portato idee pratiche su ciò di cui le donne hanno bisogno facendp sì che ci sia un femminismo nelle terre indigene. Questo femminismo è diverso dal femminismo bianco che conosciamo nelle città perché hanno altri bisogni e altre idee, ma hanno anche contribuito a far sì che l’uguaglianza di genere fosse praticata in quei territori”.

Una prova di forza per l’EZLN che, oltre a convocare migliaia di persone, ha saputo accoglierle dando loro cibo e un letto, oltre a garantire la sicurezza, anche sanitaria, di tutti. Una prova di forza che mira a rispondere, con i fatti e non con le parole, alle critiche che l’EZLN continua a ricevere, alle polemiche sollevate dal governo, e anche alle voci, che provengono da diversi settori, su un suo indebolimento. C’è chi scommette che questa storia non arriverà intatta al 1° gennaio 2034; loro, gli zapatisti, dicono invece che il loro progetto è rovesciare il capitalismo in 120 anni. Chi avrà ragione? https://directa.cat/lezln-es-transforma-trenta-anys-despres-de-laixecament-zapatista/

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Foto Víctor Camacho

Il comune: il nuovo orizzonte

Raúl Romero*

Il viaggio è stato lungo. A causa delle strade malconce e privatizzate, incontriamo tratti in riparazione e incidenti. L’autista del nostro veicolo dice: bisogna guidare con prudenza, il diavolo è in giro. Un viaggio che dura 14 ore, da Città del Messico a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, lo facciamo in 21 ore. Il clima di violenza nel Paese, quel diavolo che si scatena dal 2006, ci porta a prendere tutte le precauzioni: lasciamo una lista con i contatti di emergenza e un gruppo ci monitora da posti fissi. Ogni quattro ore ricevono la nostra posizione. Se non arriva nessuna segnalazione ci cercano. Se non ci trovano entro un certo tempo, devono avvisare Frayba o la Rete TDT, le organizzazioni indipendenti che accompagnano la Carovana nazionale e internazionale in territorio zapatista. Nessuna precauzione è eccessiva per attraversare questo paese doloroso e la sua geografia del terrore.

Seguirà poi la seconda tappa del viaggio, da San Cristóbal de las Casas al Caracol Resistencia y Rebeldía: Un Nuevo Horizonte, nel comune di Dolores Hidalgo, a poco più di un’ora da Ocosingo. Qui il dilemma è quale strada prendere: quella che solitamente viene percorsa dai gruppi paramilitari e che si fanno pagare il passaggio, quella che ha tratti franosi oppure quella più lunga e piena di curve. Non c’è discussione. Prendiamo la strada tortuosa, alcuni prendono la dramamina e iniziamo il viaggio. Quattro ore e mezza dopo, con i volti pallidi e qualche stomaco svuotato lungo la strada, arriviamo in territorio ribelle. Inviamo l’ultimo rapporto: Siamo arrivati. In territorio zapatista non siamo in pericolo.

All’ingresso del Caracol, i compas – come chiamiamo affettuosamente i popoli zapatisti – hanno messo diversi striscioni che annunciano eventi come la festa danzante, le donne della dignità ribelle, l’idra capitalista… L’ingresso si trasforma in un abbraccio collettivo, centinaia di persone in viaggio da diverse parti del mondo si ritrovano nel territorio zapatista. Le conversazioni durano ore. I cuori sono felici. Iniziano a essere pianificati progetti collettivi. Le diagnosi generano dibattiti. Palestina e Kurdistan sono presenti ai colloqui. Si stringono nuove alleanze. Si rafforza la grande rete di solidarietà globale che si articola attorno all’EZLN. La celebrazione dei 30 anni della guerra contro l’oblio è anche la celebrazione di una nuova tappa dell’internazionalismo.

Nel Caracol si incontrano protagonisti del movimento zapatista. Marijosé, la compagna che più di due anni fa ha viaggiato sulla nave La Montaña dal sud-est messicano all’Europa – ribattezzandola Europa Insumisa –, ora svolge un nuovo incarico: è responsabile della cucina che sfamerà migliaia di persone per giorni. Anche La Verónica, Chinto, Amado e altri membri di spicco del Comando Palomitas – rinforzato da nuovi membri come Remigio – vagano per il Caracol. Cavalcano draghi, unicorni e altre creature fantastiche. Le loro risate e i loro scherzi, una delle armi segrete con cui lo zapatismo ha sedotto l’Europa ribelle, ora invitano anche alla speranza. Un amico commenta: il territorio zapatista è l’unico posto dove non posso vedere le mie figlie e mi sento tranquilla. Uno degli obiettivi dello zapatismo: un mondo in cui una ragazza giochi senza paura.

Se in passato il teatro e le pastorali servivano per evangelizzare le comunità indigene nel nuovo mondo, oggi le comunità indigene zapatiste sovvertono quella funzione e fanno del teatro uno strumento per spiegare pedagogicamente un processo estremamente complesso: la loro storia, la guerra all’oblio, il governo che obbedisce, i municipi autonomi ribelli zapatisti, le giunte di buon governo e qual è il loro nuovo orizzonte, il comune e la non proprietà.

Il 31 dicembre, alle 23,30, l’EZLN mostra la sua forza e la sua organizzazione. Migliaia di miliziani, uomini e donne, eseguono esercizi al ritmo di cumbia e ska. Il messaggio è chiaro, lo zapatismo è un esercito che ha scelto la vita, ma è disposto a difendere i propri territori e il proprio progetto. Contrariamente a quanto dicono intellettuali, specialisti e giornalisti forgiati nel pensiero pigro, lo zapatismo è pieno di gioventù. Tra miliziani e miliziani si percepiscono i volti e i corpi di chi comincia a lasciarsi alle spalle l’adolescenza. Una nuova generazione di zapatisti e una nuova tappa dello zapatismo.

La proprietà deve appartenere al popolo ed essere comune e il popolo deve governarsi da solo, ha affermato nel suo intervento il subcomandante Moisés, portavoce dell’EZLN. Bozze che disegnano il nuovo orizzonte teorico e politico lanciato dagli zapatisti. 30 anni dopo la guerra contro l’oblio, lo zapatismo si avvia verso il futuro dell’umanità.

*Sociologo @RaulRomero_mx Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2024/01/07/opinion/012a2pol

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L’EZLN al biviodi Raúl Vera https://www.facebook.com/raul.vera.338658

L’EZLN celebra il trentesimo anniversario della dichiarazione di guerra allo Stato messicano e lo fa in un momento di crisi. Da un lato, l’irruzione violenta dei gruppi della criminalità organizzata che dall’8 luglio 2021 si contendono il territorio del Chiapas, che comprende i territori che precedentemente controllava l’EZLN o dove l’EZLN aveva basi d’appoggio, e dall’altro la mancanza di progetti produttivi che generino guadagni per i membri di detta organizzazione.

Mentre i cartelli messicani con l’assenza o la compiacenza dello Stato messicano sono vere e proprie imprese che generano un’economia con potenza di fuoco in interi territori sotto il loro controllo (come la regione di confine-montagna), le organizzazioni sociali un tempo forti stanno gradualmente scomparendo, tra cui l’EZLN, a causa della mancanza di progetti che generino benessere economico tra i loro militanti.

L’EZLN, come tutte le organizzazioni sociali che si sono battute per la proprietà della terra in Chiapas, mancano di progetti produttivi. Il fatto che nel 1995 siano stati distribuiti 250.000 ettari, passati dalla proprietà privata all’amministrazione delle comunità appartenenti all’EZLN, non ha comportato necessariamente la modifica dei vecchi metodi di produzione: allevamento estensivo, caffè, mais, fagioli, in Chiapas si semina molto mais, ma la media della raccolta per ettaro è di una tonnellata per autoconsumo, e viene piantato con gli stessi metodi dei Maya di duemila anni fa: tagliare, abbattere, bruciare e battitura.

Le vecchie rivendicazioni di casa, terra, lavoro, pane, salute, istruzione, libertà, indipendenza, giustizia, democrazia e pace sembrano lontane trent’anni dalla loro dichiarazione e per realizzare questa vita c’è bisogno, oltre ai discorsi di autonomia e di comunicati dei dirigenti, di formazione dei quadri delle nuove generazioni. In questi trent’anni non hanno formato né mandato i loro giovani a formarsi su nuove tecniche di produzione che avrebbero reso più redditizia l’economia rurale, pur avendo avuto le porte aperte agli stranieri, poiché gran parte dei finanziamenti provenivano dall’estero. Non lo hanno fatto e oggi questo errore si presenta con un fenomeno migratorio che sta lasciando l’organizzazione senza basi di appoggio.

Nel 2021, l’EZLN ha avvertito che “il Chiapas è sull’orlo di una guerra civile con la presenza di gruppi paramilitari, membri di diversi cartelli che si contendono le piazze e gruppi di autodifesa”.

Poco più di un mese fa ha annunciato attraverso un comunicato cambiamenti nella sua struttura, tra cui spicca la creazione dei Governi Autonomi Locali (GAL), considerati il fulcro dell’autonomia del movimento e coordinati da agenti e commissari autonomi. Ogni GAL, precisa la dichiarazione, “controlla le proprie risorse organizzative autonome – come scuole e cliniche – e il rapporto con le vicine comunità sorelle non zapatiste”.

In diverse interviste agli abitanti della selva spicca un denominatore comune: sottolineano che, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, religiosa e organizzativa, si stanno organizzando per affrontare il problema che li affligge tutti: la presenza della criminalità organizzata.

L’EZLN è caduto nella solita visione di pensare che la povertà genera rivoluzionari e rivoluzione, cosa totalmente falsa; paesi come Cuba o Venezuela, che vivono sotto governi di sinistra, soffrono una diaspora mai vista prima, i giovani emigrano verso paesi che garantiscono loro un lavoro per poter vivere, l’unica cosa che la povertà ha generato sono persone vulnerabili che vengono cooptate dai programmi sociali del governo al potere, o quel che è peggio, dalla criminalità organizzata. Un ex membro dell’EZLN ha raccontato che un giorno disse all’allora Subcomandante Marcos, oggi Capitán, che avrebbero dovuto iniziare a sviluppare progetti produttivi per creare posti di lavoro, la risposta fu “siamo in guerra”, una guerra durata solo 11 giorni.

In questo trentesimo anniversario ci si aspettava che venissero annunciate la struttura e le azioni future, tuttavia, nel discorso del Subcomandante Moisés, non è stato specificato in cosa consistessero le nuove modalità di organizzazione della guerriglia. Il messaggio si può riassumere così “oggi, come 30 anni fa, siamo soli” e cioè che l’adesione all’EZLN in quelle che erano le sue roccaforti come La Garrucha, Guadalupe Tepeyac, La Realidad, Oventic, Santiago el Pinar , San Andrés Larráinzar è decimata, le famiglie che continuano ad essere attive nell’EZ si contano sulle dita delle mani in ognuno di questi luoghi. Molti concordano sul fatto che la mancanza di un progetto che migliori il loro reddito li ha spinti a cercare nuove opzioni.

Fuori delle celebrazioni e dell’euforia del trentennale, l’EZLN si trova al bivio della sua esistenza, perché di questo passo non credo che resista altri dieci anni. La sua presenza è importante come contrappeso nella vita pubblica del Paese, superando il lamento dell’eterna vittima del “capitalismo selvaggio” e presentarsi come un’opzione differente per la sua base sociale che migliori la sua qualità di vita ed economia, capace di affrontare fenomeni come il crimine che oggi invade il Chiapas e dove Stato, come nel 1994, è assente

Nel 1994 nonni e genitori marciarono per farsi vedere, denunciarono la povertà e issarono la bandiera anticapitalista contro l’ingresso del Messico nel NAFTA. Oggi i figli e i nipoti di quegli uomini continuano a marciare, ma ora per entrare nel mercato del lavoro nel cuore della bestia capitalista, dell’idra, segnalata come da 30 anni, nel discorso di questo 1º di gennaio, come il mostro di mille teste, il capitalismo degli Stati Uniti.   Testo originale:QUI

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Discurso del Subcomandante Moisés en el 30 aniversario del levantamiento del EZLN

medioslibres 1 enero, 2024Zapatista https://www.centrodemedioslibres.org/2024/01/01/discurso-del-subcomandante-moises-en-el-30-aniversario-del-levantamiento-del-ezln/

Al filo de la medianoche del 31 de diciembre de 2023, el Subcomandante Insurgente Moisés del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, dio unas palabras, primero en tseltal y luego en español, a 30 años del levantamiento zapatista.

Qui per scaricare l’audio: https://www.centrodemedioslibres.org/wp-content/uploads/2024/01/20231231-Subcomandante-Moises.mp3

Trascrizione del discorso del Subcomandante Insurgente Moisés:

Hermanos que vienen en distintos lados de esta planeta Tierra, compañeros, compañeras:

Están viendo, ahí está, las sillas de los ausentes y ausentas.

No están las madres y los padres buscadoras.
No están las desaparecidas y desaparecidos.
No están las presas políticas y presos políticos.
No están las asesinadas y asesinados.
No están los jóvenes y jóvenas asesinados, asesinadas.
No están las niñas y los niños asesinados.
También no están nuestros tatarabuelos, los que lucharon hace más de 500 años.
Pero también no están nuestros compañeros caídos que ya lo cumplieron su deber.

Compañeros hombres bases de apoyo, compañeras bases de apoyo, aquí estamos aquí hoy, no para recordar su caída de estos compañeros, de hace 40 años, de hace 30 años, aquí estamos aquí compañeros, compañeras zapatistas para que lo tengamos presente el deber. Porque fue un deber a esos compañeros y a esas compañeras. Así es, y eso nosotros las zapatistas y los zapatistas no hemos cumplido. No podemos decir que ya hemos hecho mucho. Hasta que lleguemos también como a esos compañeros que estamos hablando de ellos y de ellas de hace 30 años y de hace 40 años.

No estamos diciendo acá de cómo eran, no, cómo eran en su deber. No estamos buscando para hacer un museo pa que nos recuerdan.

Compañeros, compañeras zapatistas, no necesitamos a que nos vengan a dar explicación o clase o taller político de cómo está el sistema. Tan sencillo y simplemente se ve como está el sistema capitalista. Quienes no quiere ver será su responsabilidad. Hace muchísimos años o nos dicen décadas, otros dicen siglos. Entonces para qué queremos entonces darnos clase de eso, simplemente es ver qué es lo que tenemos que hacer, el bien, pensar el bien.
Eso nos toca compañeros, compañeras.

Eso que estamos diciendo que vamos a hacer común, a lo mejor hay hermanos y hermanas, piensan otra cosa. No, hay cosas que sí son común y hay cosas que no es común. Para eso tenemos cabeza, para pensar, y para eso tenemos ojos para darnos cuenta, y para eso tenemos olfato para poder sentir cuál es común y cuál es no-común. Lo que pasa es que con la obra que hicieron compañeros compañeras jóvenes, está clarísimo, quien no quiere entender va en su cuenta.

Son dos cosas lo que está aquí, la propiedad debe de ser del pueblo y común, y el pueblo se tiene que gobernarse en sí mismo. No necesitamos esos que están ahí. Ellos creen que saben todo, deciden por los maestros, deciden por los doctores, deciden por todos los sectores de trabajadores. Como quien dice que son sabelotodo, son sabelotodo porque ahí ganan dinero sin trabajar, sin sudar. ¡No! Por eso el pueblo es la que tiene que saber gobernarse.

Compañeros, compañeras zapatistas, eso es lo que demostramos hace 30 años. Ahí donde nos dimos cuenta. Con los compañeros, compañeras, el Comité nos da gusto eso de que ustedes entendieron como jóvenes y jóvenas, y hicieron su obra de teatro la más clara. Pero les decimos que tenemos que hacer en los hechos, no discurso. Ni poesía nada más, ni obras de teatro nada más, ni en pintura nada más y todo otras cosas. Documental o cómo se llame.

No estoy diciendo que no sirve, sí sirve para comunicarnos. Una cosa es comunicarnos, otra cosa es pasar siglos y siglos comunicándonos y no se hace, como quien alguien que predique y predique, muere y nunca hay nada.

Así que compañeros, compañeras zapatistas, aquí nos están escuchando nuestros hermanos de otras partes del mundo, y también nuestros hermanos de aquí de este pueblo de México. Y nos están escuchando a nuestros compañeros, compañeras del Congreso Nacional Indígena. Cómo es que nos decimos, y porque les estoy hablando ustedes compañeros, compañeras zapatistas. Así que entonces lo tenemos que hacerlo en la práctica, claro lo dijeron: No tenemos manual, no tenemos libro. No hay libro que lo vamos a encontrar en donde podemos encontrar esto. El libro es la que ustedes mostraron acá de nuestros bisabuelos y de nuestros tatarabuelos, ese es el libro, común.
Lo que pasa es que en ese tiempo no había otros sectores de trabajadores como lo que hoy actualmente hay muchos.

Así que compañeros, compañeras, como ustedes demostraron pues en su obra. Los invitamos pues así a los hermanos, si quieren venir, vamos a compartir nuestras ideas a ver cuál la más mejor para la vida. Nosotros lo que estamos diciendo acá es de que entonces quien trabaja come, quien no trabaja, pues que coma su billete y que coma su moneda, a ver si con eso se satisface su necesidad de hambre, es lo que estamos diciendo, no necesitamos matar. Es eso lo que estamos diciendo eso, pero para eso se necesita organización. ¡Hacer en los hechos!, jóvenes, mujeres, hombres y de todos los sectores. Y eso compañeros, compañeras, es lo que tenemos que demostrar pues eso. Ya no creemos esos que están gobernando por ai, porque está en el mundo el capitalismo. Organicémonos en cada geografía y cadi quien con su calendario. Porque nadie es, nosotros es lo que decimos y por lo que se ve, así está.

Porque nadie va a ir a luchar en donde viven cada uno, somos nosotros ahí, en donde están, donde viven, no hay nadie quien va a luchar ahí. ¿Alguien cree que se puede humanizar al capitalismo?

– No

– No

– No

– No

Lo mismo nosotros decimos, no se puede humanizar al capitalismo, no va a decir el capitalismo: “Me rindo de explotar”. Nadie desde el más pequeño no quiere dejar de engañar de robar y de explotar, ni se diga a los grandototes.

Así que no se necesita mucho estudio, lo que se necesita ya es pensar cómo cambiar esto y nadie nos va a decir, somos nosotros los pueblos, mujeres, hombres.

Nosotros vamos a seguir ese camino y nos vamos a defender. No necesitamos matar a los soldados y a los malos gobiernos. Pero si vienen nos vamos a defender. Y por eso nosotros los hemos hecho a un lado a ellos a lo largo de 30 años, nos bastó 30 años para darnos cuenta lo que presentaron nuestros compañeros y compañeras jóvenes, no sirve el pirámide. No sirve. Y si a alguien cree que sí, por eso decimos cadi quien en su geografía demuéstrenos y nosotros vamos a demostrar también.

Entonces compañeros, compañeras, bases de apoyo, estamos comprometido ahora.

Compañeros, compañeras bases de apoyo, estamos solos, como hace 30 años. Porque solos hasta ahorita hemos descubierto ese nuevo camino que vamos a seguir, ¡común!

Aquí nos hace falta todavía que nos demuestran si están de acuerdo a nuestros compañeros, compañeras del Congreso Nacional Indígena y al pueblo de México. Como aquí estamos y aquí vivimos, vamos a ir viendo y vamos a ir conociendo, quién.

Esa es nuestra tarea compañeros, compañeras zapatistas, bases de apoyo, es lo que vamos a estar haciendo a lo largo de estos años. Pueblo manda y el gobierno obedece y los medios de producción es en común y es el pueblo la que va a ver.

Muchas gracias es todo nuestra palabra.

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Unità dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) durante le celebrazioni a Dolores Hidalgo – foto Ap/Eduardo Verdugo

MESSICO. Duro discorso del subcomandante insurgente Moisés al culmine delle celebrazioni nel Caracol VII. L’Ezln ora guarda dentro di sé. Con gli spettacoli teatrali e il ballo popolare a ritmo di cumbia va in scena la trasformazione.

Il Manifesto, 2 gennaio 2024Andrea Cegna, OCOSINGO, CHIAPAS

Uomini e donne di tutto il mondo hanno accompagnato ieri e l’altro ieri l’Ezln nelle giornate centrali delle celebrazioni per i 30 anni dell’inizio della rivolta zapatista. Per cogliere la varietà geografica dei partecipanti basta guardare il cartello che indica la vendita di ghiaccioli: è scritto il 24 lingue, dall’italiano al giapponese, passando per il curdo, l’arabo fino a diverse lingue indigene del Messico. Ma protagoniste e protagonisti sono stati zapatiste e zapatisti, sia nella loro componente civica che militare.

PER ENTRARE NEL CARACOL fondato nel 2018 si fa una discesa abbastanza ripida e in fondo, ai due lati della strada, dei miliziani indicano la strada e controllano che tutto si svolga in sicurezza. L’atto centrale, e politico, inizia domenica verso le 22.30 nel Caracol VII, quello di Dolores Hidalgo. Prima delle parole della Comandancia General sono i miliziani e le miliziane a prendere il centro della scena con una sorta di parata/esibizione a tempo di musica e sulle note del gruppo Panteón Rococò e de Los Ángeles Azules. Ancora prima ci sono stati spettacoli teatrali e concerti con cui le comunità indigene hanno raccontato la loro vita e affrontato i temi portanti dell’autonomia indigena. Proprio con gli spettacoli teatrali hanno messo in scena le trasformazioni dell’organizzazione e raccontato ai tanti non zapatisti le tensioni inter-comunitarie.

Finite le esibizioni, uomini e donne dell’Ezln si sono messi in posizione di “difesa” e la parola é passata al capo militare della struttura, il subcomandante insurgente Moisés. 40 minuti di discorso rivolto principalmente “all’interno” della struttura, tanto che viene pronunciato prima in tzeltal e quindi in castigliano.

Un discorso duro e netto, come quelli che consuetamente vengono fatti da Moisés. La poetica che era di Marcos/Galeano lascia spazio alla pragmaticitá e alla schiettezza. Ci si aspettava forse un discorso di più ampio respiro, invece l’Ezln, sorprendendo nuovamente e rompendo logiche di comunicazione occidentali-centriche, ha preferito guardare dentro di sé guardando al prossimo futuro e al Messico da una visione soggettiva, mettendo al centro il concetto di «comune». Una prospettiva che si scontra con le logiche del potere capitalista e della politica istituzionale.

NON SONO CERTO MANCATE frecciatine a Morena e più che altro a quella parte del mondo indigeno e dei movimenti sociali che si sono avvicinati al partito del presidente Andrés Manuel López Obrador. Moisés ha ripetuto, come qualche anno fa che zapatiste e zapatisti sono soli nella costruzione dell’autonomia e che la loro storia di libertà é fatta di sperimentazioni ed errori, di correzioni in corso e di intransigenza. Una chiamata alle armi, ma pacifica, che cerca, utilizzando l’idea del «comune» e rappresentazioni teatrali, di riaffaccare le conflittualità intra-comunitarie togliendo a crimine organizzato e governo gli interstizi in cui alimentare guerre e tensioni locali.

30 ANNI DOPO il 1 gennaio 1994 l’Ezln non solo esiste ancora ma si fa portatore di nuove idee e pratiche di trasformazione del contesto indigeno e messicano, alimentando il sogno di un paese dove tutte e tutti abbiano un posto degno di vita, così che guerra, patriarcato, povertà e razzismo vengano cancellati dalla storia.

Ci vorrà pazienza dicono, forse anche 120 anni, ma promettono di esserci ancora come organizzazione e così poter finalmente festeggiare il nuovo mondo. Poi è iniziato il ballo popolare, a ritmo di cumbia, fino alle prime ore di quell’alba che 30 anni fa fu di fuoco e sangue. https://ilmanifesto.it/la-festa-e-il-concetto-di-comune-a-30-anni-dalla-rivolta-zapatista

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Messico, 30 anni fa nasceva l’EZLN. Così, nel bene e nel male, la lotta zapatista ha cambiato faccia al Paese

di Andrea Cegna | 1 GENNAIO 2024

Il 1 gennaio 1994 il “sogno” messicano di entrare nel “primo mondo” grazie al Trattato di Libero Commercio con Usa e Canada si scontrava con l’opposizione ideologica e materiale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. “All’alba del giorno primo del primo mese dell’anno 1994, un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo al suo passaggio” scrisse il Subcomandante Marcos. Nelle prime ore di quel capodanno uomini e donne indigeni, di origine Maya con diverse lingue e abiti, occupavano sette municipi del Chiapas rifiutando l’idea di omologazione neoliberista, rivendicando la politica della differenza, ricordando le distanze culturali e organizzative del mondo indigeno rispetto a quello urbano, mettendo al centro la vita, il bene comune, e l’idea di collettività contro quella della singolarità, aprendo così una crepa,ancora aperta, nel muro del pensiero unico e facendo una proposta di Messico possibile per tutte e tutti ed un “mondo capace di contenere tanti mondi”.

Uomini e donne indigene, con il volto coperto dal passamontagna, cambiarono in maniera imprevista il Messico e la storia rivisitando l’idea di rivoluzione, utilizzando l’insurrezione armata non per prendere il potere se non per rivendicare diritti universali partendo dalla decostruzione interna della cosmogonia indigena imponendo discorsi e pratiche femministe e di convivenza pacifica nelle comunità originarie e ricordando che il mondo è un congiunto di varietà non omogenizzabili. Indigeni ed indigene sono, oggi, un soggetto riconosciuto e presente nel dibattito politico, tanto che candidati e candidate alle presidenziali cercano il loro supporto, ma il Messico ancora non si definisce, per costituzione, plurinazionale.

30 anni fa, a San Cristobal de Las Casas, i popoli originari soffrivano un razzismo violentissimo: era loro precluso camminare sui marciapiedi o entrare nei negozi, il turismo non esisteva ed il meticciato “coleto” viveva nel ricordo di essere l’antica capitale dello stato di confine con il Guatemala. Ora camminano a testa alta, aprono locali, c’è chi di loro vive il contesto urbano senza tradire le proprie tradizioni, chi si fa assorbire dalla società occidentale, chi resta in comunità, chi è vicino ad un partito, chi al sogno rivoluzionario. Nelle aperte e conclamate contraddizioni esistenti, forse la più grande conquista dell’EZLN è che le indigene e gli indigeni del Messico hanno acquisito libertà e diritti, per quanto ancora insufficienti, impensabili quando Salinas De Gortari firmava il Nafta con Usa e Canada.

Trent’anni dopo il mondo è molto diverso da quel giorno del 1994, e sono diversi San Cristobal, il Chiapas ed il Messico. Il turismo, per esempio, in questo stato di confine con il Guatemala, è da anni la prima industria locale e le trasformazioni urbane ed infrastrutturali sono scusa e causa dell’espulsione dalle città di povere e poveri, sgomberare comunità indigene, e cambiare in maniera irreversibile il territorio. L’accelerazione del processo di turistificazione è stata una delle risposte del governo messicano alla rivolta zapatista, nel tentativo di cooptare comunità originarie, arricchendo il territorio e frazionando così le necessità collettive. Ciò dice chiaramente che, a prescindere dall’idea che si possa avere dell’azione rivoluzionaria dell’EZLN, il Messico sarebbe un paese diverso, oggi, e con il paese anche i movimenti sociali del continente ed europei che hanno trovato nel neo-zapatismo un referente innovativo e eterodosso.

Una storia imperfetta, fatta di errori ed inciampi, rotture ed innamoramenti, conflitti interni alle comunità e alla struttura, una storia che ha appassionato intellettuali di mezzo mondo e artisti, e vive in uno scontro aperto con Andres Manuel Lopez Obrador, attuale presidente del Messico, per il quale la sconfitta elettorale nel 2006 è figlia non solo del possibile broglio del PRI ma anche del posizionamento dell’EZLN che si disse distante e non interessato al risultato delle presidenziali. Per “AMLO”, il mancato endorsment dell’EZLN e la critica del sistema istituzionale messicano tutto segnò la sconfitta. Uno scontro che prosegue anche oggi, apertamente, in maniera bi-direzionale. La rivendicazione della propria imperfezione è metodo politico e pratico per gli zapatisti. Dopo aver creato i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) e quindi le Giunte di Buon Governo (JBG), inventandosi un governo alternativo a quello federale anche grazie “all’edificazione” di scuole e cliniche e così aver pensato un sistema di salute, educazione e giustizia autonomo non hanno esitato a mettere tutto in discussione. Hanno ammesso i proprio errori, con una serie di comunicati pubblici che hanno accompagnato il countdown per le celebrazioni dei primi 30 anni di lotta.

“In sintesi, ti dico che MAREZ e JBG ci hanno aiutato a imparare che la teoria senza pratica è pura chiacchiera” scrive Marcos il 14 novembre di quest’anno, non più subcomandante ma Capitano come all’inizio della sua “carriera” nell’EZLN. “La pratica senza teoria è camminare come un cieco. E poiché non esiste una teoria su ciò che abbiamo iniziato a fare, cioè non esiste un manuale o un libro, allora abbiamo dovuto creare anche la nostra teoria. A tentoni abbiamo fatto teoria e pratica. Penso che sia per questo che non piacciamo molto ai teorici e alle avanguardie rivoluzionarie, perché non solo gli togliamo il lavoro, ma mostriamo loro anche che le chiacchiere sono una cosa e la realtà è un’altra. Ed eccoci qui, gli ignoranti e arretrati, come ci chiamano, che non riescono a trovare la strada perché siamo solo campesinos. Ma eccoci qui e anche se ci negano, esistiamo. È così”.

L’EZLN ha resistito a 5 presidenti, alla militarizzazione del territorio (oggi in Chiapas ci sono 72 accampamenti o basi militari che circondano l’area di influenza zapatista), alla para militarizzazione (tristemente famoso il massacro di Acteal nel 1997), e alla guerra a bassa intensità. Oggi si trovano a confrontarsi resistendo anche al crimine organizzato e la violenza congiunta di criminali e grandi interessi economici, forse anche per questo hanno deciso di cambiare, al netto dei proprio sbagli, le forme organizzative. Quasi sicuramente anche per questo, pur non sparando più un colpo di fucile dal 12 gennaio del 1994, persistono ad essere un esercito sognando di poter smettere di esserlo, ma come scrisse sempre Marcos, “se c’è un mito in tutto questo non è il passamontagna, ma la menzogna che si ripete fin da quei giorni, perfino ripresa da persone molto istruite, e cioè che la guerra contro gli zapatisti è durata solo 12 giorni”.

IlFattoQuotidiano https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/01/messico-30-anni-fa-nasceva-lezln-cosi-nel-bene-e-nel-male-la-lotta-zapatista-ha-cambiato-faccia-al-paese/7397199/

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Video e foto del 30° Anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio
31 dic 2023
Subcomandante Insurgente Moisés: https://www.facebook.com/LosTejemedios/videos/219341304589556

Video Discorso del Subcomandante Insurgente Moisés: https://www.centrodemedioslibres.org/2024/01/01/discurso-del-subcomandante-moises-en-el-30-aniversario-del-levantamiento-del-ezln/?s=09

https://radiozapatista.org/?p=47166
https://fb.watch/pitNHu63t1/

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*Youtube
https://www.youtube.com/live/aSmBORB7i10?feature=shared

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Los de abajo

30° Anniversario dell’Insurrezione Zapatista

Gloria Muñoz Ramírez

30 dicembre 2023

Cosa spinge oggi un gruppo di attivisti di Valencia a fare un viaggio lampo nel sud-est messicano per celebrare con gli zapatisti il 30° anniversario dell’inizio della loro insurrezione? Cosa si smuove affinché 90 delegati indigeni provenienti da diverse parti del Messico si spostino in carovana per stare con i loro fratelli? Perché studenti, attivisti, lavoratori, ricercatori, artisti, registi, ballerini, rocker e artisti teatrali si sentono chiamati?

Le risposte sono molteplici e possono essere analizzate a partire dalle lotte a cui appartengono e dal riflesso che trovano nello zapatismo trentennale o nelle guerre che inondano il mondo; nella necessità di organizzarsi per affrontare le proprie disgrazie, nella lotta all’orfanità, nella consapevolezza del disastro nazionale e globale e dell’impossibilità di non fare niente. Sì, ma non solo.

Questo fine settimana, persone provenienti da 20 paesi del mondo e da quasi tutto il territorio nazionale saranno nel Caracol zapatista di Dolores Hidalgo, nel comune di Ocosingo, Chiapas, anche loro in cerca di una festa, di un ballo e di un incontro sociale, di azioni e pensieri. I video realizzati dall’EZLN come invito non lasciano spazio a dubbi. Continuano a parlare con il cuore di un bambino, ora in più una bambina, e di migliaia di adolescenti i cui genitori non erano ancora nati o erano molto piccoli quando i loro nonni decisero di imbracciare le armi, prendere militarmente sette città e dichiarare guerra allo Stato messicano e dire basta, frase emblematica del movimento che continua ad oltrepassare i confini.

Qui si celebra il 30° anniversario della rivolta armata contro l’oblio, contro la morte e la distruzione, recita lo striscione di benvenuto. E la messa in atto della proposta Terra di Nessuno. Terra di Tutti. Quale movimento nel mondo oggi osa invocare una festa internazionale autogestita e anticapitalista avendo tutti e tutto contro? Gli stessi che hanno osato imbracciare le armi nel pieno del boom neoliberista, prevedendo che sarebbe arrivato il peggio…

Da qui in poi, continuerà il lavoro che implica la non resa e la coerenza. Ma oggi i 30 anni della sua presentazione pubblica armata inizieranno con un altro ballo. https://www.jornada.com.mx/noticia/2023/12/30/columnas/los-de-abajo-8788

desinformemonos.org

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INVITO AL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO.

Dicembre 2023

Le comunità zapatiste e l’EZLN invitano tutte le persone, gruppi, collettivi, associazioni, organizzazioni e movimenti firmatari della Dichiarazione per la Vita, i popoli indigeni riuniti nel Congresso Nazionale Indigeno, la Sexta Mondiale, le organizzazioni non governative che difendono i diritti umani e, soprattutto, coloro il cui destino è nella creazione artistica, alla celebrazione del trentesimo anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio.

La celebrazione si svolgerà il 30 e 31 dicembre 2023 e l’1 e 2 gennaio 2024. Gli ospiti potranno arrivare dal 29, non prima di quel giorno.

La registrazione dei partecipanti avverrà presso il CIDECI a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Stampa, ospiti e il Congresso Nazionale Indigeno si registrano lì, o direttamente nella sede del caracol.

La celebrazione centrale del 30° anniversario sarà al Caracol “Resistencia y Rebeldía: Un Nuevo Horizonte”, inaugurato 3 anni fa nella città di Dolores Hidalgo, fondata su un terra recuperata. Clima da temperato a caldo di giorno. Da fresco a freddo notte-mattino.

Ubicazione: a un’ora dalla città di Ocosingo, autostrada per Monte Libano. A circa 4-5 ore da San Cristóbal de las Casas. A Ocosingo ci sono alberghi di prezzi diversi. Da San Cristóbal si consiglia il percorso attraverso Chanal-Altamirano verso Ocosingo. Poi prendere la strada per il Monte Libano. Superare la caserma federale di Toniná e più avanti, sempre sulla strada per il Monte Libano, ci saranno le indicazioni dei diversi GAL lungo la strada. Da Ocosingo, in un’ora e 20 minuti arriverete al Caracol della celebrazione.

Date: 30 e 31 dicembre 2023. Festival culturale con la partecipazione di giovani e bambini zapatisti. Non mancheranno spettacoli, canti, danze e poesie. Ballo nel pomeriggio e la sera.

1 gennaio 2024. Ore 00:00: discorso centrale zapatista. Nel pomeriggio e sera partecipazione culturale di famiglie ospiti provenienti da tutto il mondo. Coloro che hanno come vocazione l’arte e la cultura potranno presentare le loro creazioni alle comunità zapatiste e agli ospiti l’1 e il 2 gennaio 2024. Danza, teatro, cinema, musica, murales, ecc. saranno benvenuti.

2 gennaio 2024. Partecipazione culturale di familiari da tutto il mondo. Danza.

Si consiglia di portare con sé qualcosa da mettere tra il suolo e la propria malconcia anatomia per dormire. Qui, oltre ad essere dignitoso, il terreno è duro.

Ci sarà un servizio internet a gettoni, in modo che si possano avvisare i parenti del vostro arrivo sani e salvi. Saranno presenti postazioni di vendita di generi alimentari non specializzati (ovvero non ci sarà cibo vegano o vegetariano). Lo vedrete.

Raccomandiamo alle persone con dieta e farmaci speciali di portare ciò di cui hanno bisogno. Sarà attivo il servizio di ambulanza e cure mediche di base.

Per l’assegnazione degli spazi di riposo e nei dormitori verrà data precedenza alle persone di giudizio (quelle che voi chiamate “terza età” o “età dell’oro” o “anziani” o “persone in via di invecchiamento”) e minorenni.

Si avvisano i minorenni che è vietato lapidare, molestare o cacciare balene, unicorni, coccodrilli, draghi, cani, gatti, galline, galli, conigli, mucche, buoi (senza ferire), muli (senza ferire), cavalli, cavalle , pecore, biciclette e altri animali fantastici che possono incontrare. Il 3 volte T “Commando Palomitas” pattuglierà e garantirà che nessun essere vivente venga attaccato con pensieri, parole o azioni. È invece consentito attaccare le pietre, purché con la testa. Lo vedrete.

Ricordiamo che nei territori zapatisti è vietato il consumo, il commercio, lo spaccio e la semina di droga. Allo stesso modo, è vietato il consumo di alcol in qualsiasi sua forma.

È inoltre vietata l’esibizione, la distribuzione, la propaganda e l’apologia di qualsiasi partito politico elettorale di qualsiasi geografia.

Sono inoltre vietate le manifestazioni sessiste, religiose, nazionaliste, razziste, ideologiche, politiche e sportive che promuovano lo scherno, il bullismo, le molestie, l’aggressione e la violenza contro le persone per il loro colore, razza, orientamento sessuale, religione, lingua, cultura, origine sociale, taglia , nazionalità, ideologia, ecc.

La festa è di e per i popoli zapatisti. Si esige rispetto per i nostri usi e costumi, per i nostri modi e tempi, per la nostra lotta.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, dicembre 2023

Miliziani zapatisti al lavoro per preparare il luogo per la celebrazione del 30° anniversario. Laboratorio zapatista di biciclette. Il 3 volte T “Commando Palomitas” rinforzato dal batuffolo di peli della sua ala canina. Immagini per gentile concessione di Los Tercios Compas, copyleft dicembre 2023. Musica: Armad@s de Baile. Bossanonimi. Originale e Copla ℗ 2014 Bossanónimos Rilasciato il: 23-10-2014

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/24/invitacion-al-treinta-aniversario-del-inicio-de-la-guerra-contra-el-olvido/

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Ventesima e Ultima Parte: Il Comune e la Non Proprietà

Apri bene gli occhi, figliolo, e segui l’uccello Pujuy. Lui non si sbaglia. Il suo destino è come il nostro: camminare affinché gli altri non si perdano.”.

Canek. Ermilo Abreu Gómez

In qualche occasione, qualche anno fa, le comunità zapatiste spiegavano la lotta di “noi in quanto donne” sottolineando non una questione di mera volontà, disposizione o studio, ma la base materiale che aveva reso possibile questo cambiamento: l’indipendenza economica delle donne zapatiste. E non si riferivano al fatto di avere un lavoro e uno stipendio o all’elemosina in spiccioli con cui i governi di tutto lo spettro politico comprano voti e adesioni. Indicavano nel lavoro collettivo il terreno fertile per questo cambiamento. Cioè, il lavoro organizzato che non era finalizzato al benessere individuale, ma a quello del gruppo. Non si trattava solo di riunirsi per fare artigianato, commercio, allevamento del bestiame, o semina e raccolta di mais, caffè, ortaggi. Anche, e forse soprattutto, i propri spazi, senza uomini. Immaginate a quei tempi e luoghi di cosa parlavano e parlano tra loro: il loro dolore, la loro rabbia, le loro idee, le loro proposte, i loro sogni.

Non entrerò oltre nel dettaglio: le compagne hanno la loro propria voce, la loro storia e il loro destino. Lo cito solo perché resta da sapere quale sarà la base materiale su cui costruire la nuova tappa che le comunità zapatiste hanno deciso. La nuova iniziativa, come la classificherebbero quelli che vengono da fuori.

Sono orgoglioso di sottolineare che non solo l’intera proposta è stata il prodotto, fin dal suo concepimento, del gruppo dirigente organizzativo zapatista, tutto di sangue indigeno con radici maya. Ma anche che il mio lavoro si è limitato a fornire informazioni che le mie cape e capi “incrociavano” con le loro, e poi cercare e argomentare obiezioni e probabili futuri fallimenti (la già citata “ipotesi” a cui ho fatto riferimento in un testo precedente). Alla fine, quando hanno terminato la loro deliberazione e hanno concretato l’idea centrale per sottoporla alla consultazione di tutte le comunità, sono rimasto sorpreso come forse lo sarete voi ora che lo saprete.

In questo frammento dell’intervista al Subcomandante Insurgente Moisés, ci spiega come sono arrivati a questa idea del “comune”. Forse qualcuno di voi potrà apprezzare il significato profondamente ribelle e sovversivo di tutto questo dove, tanto per non cambiare, mettiamo a rischio la nostra esistenza.

El Capitán

LA NON PROPRIETÀ

Ebbene, in sintesi questa è la nostra proposta: stabilire estensioni della terra recuperata come terreni comuni. Cioè senza proprietà. Né privata, né ejidale, né comunale, né federale, né statale, né aziendale, né altro. Una non proprietà della terra. Come si dice: “terra senza documenti”. Quindi, per quelle terre che verranno stabilite, se si chiede chi possiede quelle terre o chi ne è il proprietario, la risposta sarà: “nessuno”, cioè “comuni”.

Se vi chiedete se è terra degli zapatisti, di quelli del partito o di chicchessia, beh, di nessuno di loro. O di tutti, fa lo stesso. Non c’è nessun commissario o agente che possa comprare, uccidere, far sparire. Quello che c’è sono persone che lavorano e si prendono cura di quelle terre. E le difendono.

Una parte importante è che, affinché ciò si realizzi, deve esserci un accordo tra i residenti, indipendentemente dal fatto che siano di partito o zapatisti. In altre parole, devono dialogare tra loro e non con i malgoverni. Chiedere il permesso ai malgoverni ha solo portato divisioni e persino morti tra gli stessi contadini.

Così, pur rispettando le terre che sono proprietà personale-familiare e quelle che sono destinate al lavoro collettivo, questa non-proprietà si crea sulle terre recuperate durante questi anni di guerra. E si propone di lavorare insieme a turni, indipendentemente dal partito di appartenenza, dalla religione, dal colore della pelle, dalla taglia o dal genere.

Le regole sono semplici: ci deve essere un accordo tra gli abitanti di una regione. Non coltivare droghe, non vendere la terra, non permettere l’ingresso di alcuna azienda o industria. Sono esclusi i paramilitari. Il prodotto del lavoro di quelle terre appartiene a chi le lavora nei tempi concordati. Non ci sono tasse, né pagamento delle decime. Ogni struttura costruita viene lasciata al gruppo successivo. Si porta via solo il prodotto del proprio lavoro. Ma di tutto questo parleremo più approfonditamente in seguito.

Questo, in estrema sintesi, è quanto è stato presentato e messo a consulta in tutti i villaggi zapatisti. E si è scoperto che la stragrande maggioranza era d’accordo. E anche che in alcune regioni zapatiste era ciò che si faceva già da anni.

Quello che abbiamo fatto è stato proporre un percorso per attraversare la tormenta e raggiungere l’altra sponda in sicurezza. E non fare questo cammino da soli come zapatisti, ma insieme come popoli indigeni. Naturalmente si saprà di più su questa proposta: circa la salute, l’istruzione, la giustizia, il governo, la vita. Diciamo che lo riteniamo necessario per poter affrontare la tormenta.

PENSARE AL PERCORSO E AL PASSO

Come ci è venuta in mente? Bene, ve lo dirò. Abbiamo visto diverse cose. Quindi questa idea non è nata tutta in una volta. Si è costruita pezzo per pezzo e poi si è messo tutto insieme.

Una cosa era la tormenta. Tutto ciò che rimanda alla non conformità della natura. Il suo modo di protestare, sempre più forte e sempre più terribile. La chiamiamo distruzione, ma molte volte quello che succede è che la natura si riprende un luogo. O attacca le invasioni del sistema: le dighe, per esempio. Località turistiche, ad esempio, che si costruiscono sulla morte delle coste. Megaprogetti che fanno male, feriscono la terra. Quindi, c’è la reazione. A volte reagisce rapidamente, a volte ci mette un po’. E l’essere umano, beh, quello che il sistema ha fatto dell’essere umano, è come stordito. Non reagisce. Anche se vede che la disgrazia sta arrivando, che ci sono avvertimenti, che ci sono avvisaglie, continua come se nulla fosse e, beh, succede quel che succede. Dicono che una simile disgrazia sia stata improvvisa. Ma sono ormai diversi anni che si avverte che la distruzione della natura avrà delle conseguenze. È la scienza, non noi, ad analizzarlo e dimostrarlo. Noi, quindi, come gente della terra lo vediamo. È tutto inutile.

La disgrazia non arriva all’improvviso in casa tua, no. Prima si avvicina, fa rumore così sai che sta arrivando. Bussa alla tua porta. Rompe tutto. Non solo la tua casa, la tua gente, la tua vita, ma anche il tuo cuore. Non sei più tranquillo.

L’altra cosa è ciò che chiamano decomposizione sociale o ciò che dicono che il tessuto sociale si rompe a causa della violenza. In altre parole, una comunità di persone è legata da determinate regole, norme o accordi, come diciamo noi. A volte vengono fatte leggi scritte e a volte non c’è nulla di scritto, ma la gente comunque lo sa. In molte comunità si dice “verbale di accordo” cioè si mette per iscritto. “Questo si può fare, questo non si può fare, questo si deve fare”, e così via. Ad esempio, chi lavora avanza. Chi non lavora è fottuto. Chi non lavora resta indietro. Che è sbagliato costringere qualcuno a fare ciò che non vuole, ad esempio nel caso degli uomini contro le donne. Che è sbagliato aggredire i deboli. Che è sbagliato uccidere, rubare, violentare. Ma cosa succede al contrario? Se il male viene premiato e il bene viene perseguito e punito. Ad esempio, un contadino indigeno che vede che la distruzione di una foresta è sbagliata, ne diventa il guardiano. Protegge la foresta, quindi, da chi la distrugge per trarne profitto. Difendere è una buona cosa, perché quel fratello o quella sorella si prendono cura della vita. Questo è umano, non è una religione. Ma accade che questo guardiano venga perseguito, imprigionato e, non di rado, assassinato. E se ti chiedi qual è stato il suo crimine, perché lo hanno ucciso, e senti che il suo crimine è stato difendere la vita, come il fratello Samir Flores Soberanes, allora è chiaro che il sistema è malato, che non c’è più rimedio, che bisogna cercare altrove.

Cosa ci vuole per rendersi conto di questa malattia, di questo marciume dell’umanità? Non c’è bisogno della religione, o della scienza, o di un’ideologia. Basta guardare, ascoltare, sentire.

E poi vediamo che ai Padroni, ai capitalisti, non importa cosa succederà domani. Vogliono guadagnare oggi. Il più possibile e il più rapidamente possibile. Non importa se dici loro “ehi, ma quello che fai distrugge e la distruzione si diffonde, cresce, diventa incontrollabile e ti torna indietro. È come sputare o pisciare controvento. Ti si ritorce contro”. Potresti pensare che è buona cosa che la disgrazia si abbatta su un mascalzone. Ma prima di questo, si abbatte su molte persone che non sanno nemmeno il perché. Come i bambini, per esempio. Cosa ne sa un bambino di religioni, ideologie, partiti politici o altro. Ma il sistema li rende responsabili. Gliela fa pagare. Nel loro nome si distrugge, nel loro nome si uccide, nel loro nome si mente. E gli si lascia in eredità morte e distruzione.

E non sembra che migliorerà. Sappiamo che andrà peggio. E comunque dobbiamo attraversare la tormenta e arrivare dall’altra parte. Sopravvivere.

Un’altra cosa è quello che abbiamo visto nel Viaggio per la Vita. Quello che c’è in quei luoghi che dovrebbero essere i più avanzati, che sono più sviluppati, come si suol dire. Abbiamo visto che tutto ciò che parla di “civiltà occidentale”, di “progresso” e cose del genere è una bugia. Abbiamo visto che c’era tutto quello che serve per le guerre e i crimini. Ci siamo accorti davvero di due cose: la prima è dove andrà a sbattere la tormenta se non facciamo nulla. L’altra è quello che altre ribellioni organizzate stanno costruendo in quelle aree geografiche. In altre parole, quelle persone vedono la stessa cosa che vediamo noi. Cioè, la tormenta.

Grazie a questi popoli fratelli abbiamo potuto allargare la nostra visione, renderla più ampia. Cioè, non solo guardare più in là, ma vedere anche più cose. Più mondo.

Quindi noi, come popoli indigeni, ci chiediamo cosa stiamo facendo e se è sufficiente, se ognuno di noi riesce a vederlo. Ma vediamo dei fratelli che si comportano come se non gli importasse cosa succede agli altri, pensano solo a se stessi, ma poi tocca a loro. Si credono al sicuro, chiusi in se stessi. Ma per niente.

IL CAMMINO DELLA MEMORIA

Quindi abbiamo pensato e ricordato com’era prima. Ne abbiamo parlato con i nostri predecessori. Abbiamo chiesto loro se prima era così. Abbiamo chiesto loro di dirci se c’è sempre stata l’oscurità, la morte, la distruzione. Da dove viene questa idea del mondo? Com’è che è andato tutto a puttane? Pensiamo che se sapessimo quando e come si è persa la luce, il buon pensiero, la conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male, allora forse potremo ritrovarci e quindi lottare affinché tutto torni come dovrebbe essere, nel rispetto della vita.

E poi abbiamo visto come ciò è avvenuto: è avvenuto con la proprietà privata. E non si tratta di cambiare nome e dire che è una proprietà ejidale, una piccola proprietà o una proprietà federale. Perché in tutti i casi è il malgoverno a dare le carte. In altre parole, è il malgoverno che dice se qualcosa esiste o, con i suoi trucchi, cessa di esistere. Come ha fatto con la riforma di Salinas de Gortari contro la proprietà comunale, che esisteva solo se registrata e che, con le stesse leggi, la fanno scomparire. E anche i beni comunali registrati provocano divisioni e scontri. Perché quelle terre appartengono legalmente ad alcuni, ma contro altri. I documenti di proprietà non dicono “questo è tuo”, ma dicono “questo non è di quella persona, attaccala”.

E i contadini si sbattono per farsi dare un pezzo di carta che dice che quello che è loro è loro perché già ci lavorano. E i contadini fanno la guerra ad altri contadini nemmeno per un pezzo di terra, no, per un pezzo di carta su cui è scritto a chi appartiene quella terra. E documenti e aiuti economici sono un altro inganno. Perché si scopre che se hai un documento ti danno un aiuto economico del programma sociale, ma ti chiedono di sostenere, ad esempio, un candidato perché quel candidato ti darà il documento e i soldi. Ma poi quello stesso governo ti sta ingannando perché vende quel documento a un’azienda. E poi arriva l’azienda e ti dice che devi andartene perché quella terra non è tua perché il documento adesso lo ha quel cazzo di imprenditore. E te ne devi andare con le buone o con le cattive perché hanno eserciti, polizia e paramilitari per convincerti ad andartene.

È sufficiente che l’azienda dica che vuole tali terreni perché il governo ne decreti l’esproprio e dica all’azienda di fare i suoi affari “per un po’”. Questo è quello che fanno con i megaprogetti.

E tutto per un dannato pezzo di carta. Anche se il pezzo di carta risale ai tempi della Nuova Spagna, non è valido per i potenti. È un inganno. Potete fidarvi e stare tranquilli finché il sistema non scopre che sotto la vostra povertà c’è il petrolio, l’oro, l’uranio, l’argento. Oppure che esiste una sorgente di acqua pura, perché l’acqua è ormai una merce che si compra e si vende.

Una merce come lo erano i tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi bisnonni. Una merce come lo sei tu e come lo saranno i tuoi figli, i tuoi nipoti, i tuoi pronipoti, e così via per generazioni.

Quel documento è come le etichette delle merci al mercato, è il prezzo della terra, del tuo lavoro, dei tuoi discendenti. E senza accorgertene, sei già in fila alla cassa. E si scopre che non solo dovrai pagare, ma uscirai dal negozio e scoprirai che hanno preso la tua merce, che non hai nemmeno il documento per cui tu e i tuoi antenati avete combattuto così duramente. E che ai tuoi figli, forse, lascerai un documento, e magari nemmeno quello. I documenti del governo sono il prezzo della tua vita, devi pagare quel prezzo con la tua vita. Quindi sei una merce legale. Questa è l’unica differenza dalla schiavitù.

I più anziani ti dicono che il problema, la divisione, le discussioni e le risse, sono arrivate quando sono arrivati i documenti di proprietà. Non è che prima non ci fossero problemi, è che si risolvevano facendo un accordo.

E il problema è che puoi fare tanti documenti che suddividono la terra tante volte, ma la terra non cresce come le carte. Un ettaro è pur sempre un ettaro, anche se le carte sono tante.

Questo accade con quella cosa che chiamano Quarta Trasformazione e il suo programma Sembrando Vida: negli ejidos ci sono gli aventi diritto – che sono gli ejidatarios che hanno il suddetto documento di certificazione agraria – e i richiedenti che, pur partecipando nella comunità, non hanno i documenti perché la terra è già distribuita. I richiedenti chiedono un pezzo di terra, ma in realtà chiedono un pezzo di carta che dica che sono agricoltori che lavorano la terra. Quindi non è che il governo viene a dire loro che quella terra è loro. No. Dice che se dimostreranno di possedere 2 ettari, riceveranno un sostegno finanziario. Ma da dove vengono quei due ettari? Beh, dagli aventi diritto.

In altre parole, il terreno che secondo il documento è di propria di uno, deve essere fatto a pezzi per i richiedenti. Deve essere suddiviso in modo che possano esserci più documenti dello stesso documento. Non è una distribuzione agraria, è una frammentazione della proprietà. E cosa succede se gli aventi diritto non vogliono o non possono? I loro figli vogliono il sostegno finanziario, ma hanno bisogno dei documenti. Quindi litigano con il padre. E le figlie? Le donne non contano nella suddivisione dei documenti. E i figli litigano a morte coi padri. La spuntano i figli e con quel documento, benché la terra resta la stessa e rimane dov’era, ricevono i loro soldi. Con quel pagamento si indebitano, comprano qualcosa o mettono insieme qualcosa per pagare il coyote per andare negli Stati Uniti. Ma siccome non basta, vendono il documento a qualcun altro. Vanno a lavorare all’estero e si scopre che guadagnano per ripagare chi glieli ha prestati. Sì, inviano rimesse ai loro familiari, ma le loro famiglie le usano per ripagare il debito. Dopo un po’ quel figlio ritorna o viene restituito. Questo se non lo uccidono o lo rapiscono. Ma non ha più la terra, perché ha venduto il documento e ora quella terra appartiene a chi possiede il documento. Quindi ha ucciso suo padre per un documento che non ha più. Allora deve trovare i soldi per riacquistare il documento.

La popolazione cresce, ma la terra non cresce. Ci sono più documenti, ma è solo la stessa estensione di terra. Cosa succederà? Che in quel momento aventi diritto e richiedenti si uccidono tra loro, ma più tardi si uccideranno tra richiedenti. I loro figli combatteranno tra loro, proprio come lui ha combattuto con i suoi genitori.

Ad esempio: sei un avente diritto con 20 ettari e hai 4 figli. È la prima generazione. Distribuisci la terra o meglio il documento, ed ora c’è un documento per 5 ettari per ciascuno. Poi quei 4 figli fanno altri quattro figli ciascuno, seconda generazione, e distribuiscono i loro 5 ettari e ottengono così poco più di un ettaro ciascuno. Poi quei 4 nipoti hanno altri 4 figli ciascuno, terza generazione, e si dividono i documenti e ciascuno ottiene circa un quarto di ettaro. Poi quei pronipoti hanno 4 figli ciascuno, quarta generazione, e si dividono il documento e prendono un decimo di ettaro a testa. E non vado oltre perché solo in 40 anni, nella seconda generazione, si uccideranno a vicenda. Ecco cosa stanno facendo i malgoverni: seminano morte.

IL VECCHIO NUOVO CAMMINO

Quale è stata la cosiddetta “base materiale” nella nostra storia di lotta?

Bene, per prima è stata l’alimentazione. Con il recupero delle terre che erano in mano ai latifondisti, la dieta migliorò. La fame non era più presente nelle nostre case. Poi, con l’autonomia e il sostegno delle persone che chiamiamo “brave persone”, la salute è continuata a migliorare. Qui è stato ed è molto importante il sostegno dei medici fraterni, così li chiamiamo perché sono come nostri fratelli che ci aiutano non solo nelle malattie gravi. Anche e soprattutto nella formazione, cioè nella conoscenza sanitaria. Poi l’istruzione. Poi il lavoro con la terra. Poi il governo e l’amministrazione delle comunità zapatiste stesse. Quindi il governo e la convivenza pacifica con chi non è zapatista.

La base materiale di questo modo di produzione, è la coesistenza del lavoro individuale-familiare con il lavoro collettivo. Il lavoro collettivo ha permesso il decollo delle compagne e la loro partecipazione nell’autonomia.

Diciamo che i primi 10 anni di autonomia, cioè dalla sollevazione alla nascita delle Giunte di Buon Governo, nel 2003, sono stati di apprendimento. I successivi 10 anni, fino al 2013, sono stati dedicati all’apprendimento dell’importanza del ricambio generazionale. Dal 2013 ad oggi si è trattato di verificare, criticare e auto-criticare errori di funzionamento, amministrazione ed etica.

In ciò che verrà, avremo una fase di apprendimento e riadattamento. In altre parole ci saranno molti errori e problemi, perché non esiste un manuale o un libro che ti spieghi come fare. Faremo molte cadute, sì, ma ci rialzeremo ancora e ancora per continuare a camminare. Siamo zapatisti.

La base materiale o produttiva di questa fase sarà una combinazione di lavoro individuale-familiare, di lavoro collettivo e di questa nuova cosa che chiamiamo “lavoro comune” o “non proprietà”.

Il lavoro individuale-familiare si basa sulla proprietà piccola e personale. Una persona e la sua famiglia lavorano il loro pezzo di terra, il loro negozietto, il loro automezzo, il loro bestiame. Il guadagno o beneficio è per quella famiglia.

Il lavoro collettivo si basa sull’accordo tra compagne e/o compagni di lavorare sui terreni collettivi (assegnati così prima della guerra e ampliati dopo la guerra). Il lavoro è distribuito in base al tempo, alle capacità e alla disposizione. Il guadagno o beneficio è per la collettività. Viene solitamente utilizzato per feste, mobilitazioni, acquisizione di attrezzature sanitarie, formazione di promotori sanitari e di educazione, nonché per gli spostamenti e il mantenimento di autorità e commissioni autonome.

Il lavoro comune comincia, adesso, nella proprietà della terra. Una parte dei terreni recuperati vengono dichiarati di “lavoro comune”. Cioè non sono lottizzati e non appartengono a nessuno, né per piccola, media o grande proprietà. Questa terra non appartiene a nessuno, non ha proprietario. E le comunità vicine se la “prestano” a vicenda per lavorarci. Non può essere venduta o acquistata. Non può essere utilizzata per la produzione, lo spaccio o il consumo di stupefacenti. Il lavoro si svolge su “turni” concordati con i GAL e i fratelli non zapatisti. Il beneficio o il guadagno spetta a chi lavora, ma la proprietà no, è una non proprietà che si usa in comune. Non importa se sei zapatista, di un partito, cattolico, evangelico, presbiteriano, ateo, ebreo, musulmano, nero, bianco, scuro, giallo, rosso, donna, uomo, otroa. Puoi lavorare la terra in comune, con l’accordo dei GAL, CGAL e ACGal, per villaggio, regione o zona, che sono quelli che controllano il rispetto delle regole di uso comune. Tutto ciò deve servire al bene comune, niente deve andare contro il bene comune.

UNA CONDIVISIONE MONDIALE: LA GIRA POR LA VIDA

Alcuni ettari di questa Non-Proprietà saranno proposti ai popoli fratelli di altre geografie del mondo. Li inviteremo a venire e lavorare queste terre, con le loro mani e la loro conoscenza. Cosa succede se non sanno lavorare la terra? Ebbene, le compagne e i compagni zapatisti insegneranno loro come fare, i tempi della terra e come prendersene cura. Crediamo che sia importante saper lavorare la terra, cioè saperla rispettare. Non credo faccia male a nessuno, così come si studia e si impara nei laboratori e nei centri di ricerca, studiare e imparare anche a lavorare nei campi. Ancora meglio se questi popoli fratelli hanno conoscenza e modo di lavorare la terra e ci portano quella conoscenza e quei modi, ed è così che anche noi impariamo. È una condivisione non solo a parole, ma nei fatti.

Non abbiamo bisogno che vengano a spiegarci lo sfruttamento, perché lo viviamo da secoli. Né che vengono a dirci che dobbiamo morire per ottenere la libertà. Lo sappiamo e lo mettiamo in pratica ogni giorno da centinaia di anni. Ciò che è benvenuto è la conoscenza e la pratica per la vita.

La delegazione che è andata in Europa ha imparato tante cose, ma la cosa più importante che abbiamo imparato è che ci sono tante persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che cercano un modo per lottare per la vita. Hanno un altro colore, un’altra lingua, altre usanze, un’altra cultura, un altro modo. Ma hanno il nostro stesso cuore di lotta.

Non cercano chi è il migliore, o che gli venga dato un posto nei malgoverni. Cercando di guarire il mondo. E sì, sono molto diversi l’uno dall’altro. Ma sono uguali, o meglio siamo uguali. Perché vogliamo davvero costruire qualcos’altro, e quella cosa è la libertà. La vita.

E noi, comunità zapatiste, diciamo che tutte queste persone sono la nostra famiglia. Non importa che siano molto lontane. E in quella famiglia ci sono sorelle maggiori, fratelli maggiori, sorelline e fratellini. E non c’è nessuno migliore di un altro. Ma una stessa famiglia. E come famiglia ci sosteniamo a vicenda quando possiamo, e ci insegniamo a vicenda ciò che sappiamo.

E tutte, tutti, todoas, sono gente dal basso. Perché? Perché quelli sopra predicano la morte perché questo dà loro profitti. Quelli di sopra vogliono che le cose cambino, ma a loro vantaggio, anche se la situazione sta peggiorando sempre di più. Ecco perché saranno quelli in basso che combatteranno e già lottano per la vita. Se il sistema è un sistema di morte, allora la lotta per la vita è la lotta contro il sistema.

Cosa succede dopo? Ebbene, ognuno costruisce la propria idea, il proprio pensiero, il proprio piano riguardo ciò che è meglio. E ognuno forse ha un pensiero diverso e un modo diverso. E questo va rispettato. Perché è nella pratica organizzata che si vede cosa funziona e cosa no. In altre parole, non esistono ricette o manuali, perché quello che funziona per uno potrebbe non funzionare per un altro. Il “comune” mondiale è la condivisione di storie, di conoscenze, di lotte.

In altre parole, come si suol dire, il viaggio per la vita continua. Per la lotta.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, dicembre 2023. 500, 40, 30, 20, 10, 3, un anno, qualche mese, qualche settimana, qualche giorno, poco fa. Dopo.

P.S.- Al termine dell’intervista e dopo aver verificato che il senso delle sue spiegazioni fosse corretto, il Subcomandante Insurgente Moisés – che è portavoce zapatista ed ha ricevuto il comando 10 anni fa, nel 2013 – si accese l’ennesima sigaretta. Io accesi la pipa. Restammo a guardare dalla porta della baracca. Il primo mattino lasciava il posto all’alba e le prime luci del giorno risvegliavano i suoni delle montagne del sud-est messicano. Non dicemmo altro, ma forse entrambi pensammo: “e manca quello che manca”.

P.S. CHE DICHIARA SOTTO GIURAMENTO. – In nessun momento e in nessuna fase della deliberazione che ha portato alla decisione dei popoli zapatisti sono emerse citazioni, note o riferimenti, anche lontani, di Marx, Engels, Lenin, Trotski, Stalin, Mao, Bakunin, el Che, Fidel Castro, Kropotkin, Flores Magón, la Bibbia, il Corano, Milton Friedman, Milei, il progressismo (se ha qualche riferimento bibliografico che non sia quello delle sue merde rosse), la Teologia della Liberazione, Lombardo, Revueltas, Freud, Lacan, Foucault, Deleuze, qualunque cosa sia di moda o modo a sinistra, o qualsiasi fonte proveniente da sinistra, destra o centri inesistenti. Non solo, so anche che non avete letto nessuna delle opere fondatrici degli ismi che alimentano i sogni e le sconfitte della sinistra. Da parte mia, do un consiglio non richiesto a chi legge queste righe: ognuno è libero di prendersi in giro, ma io consiglierei, prima di cominciare con stupidaggini come “il laboratorio Lacandona”, “l’esperimento zapatista”, e di categorizzarlo in un senso o nell’altro, di pensarci bene. Perché, a proposito di ridicolo, sono ormai quasi 30 anni che le sparano grosse per “spiegare” lo zapatismo. Forse adesso non ve lo ricordate, ma qui, di quel che ce n’è d’avanzo, oltre alla dignità e al fango, è la memoria. È così.

In fede.

El Capitán

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/20/vigesima-y-ultima-parte-el-comun-y-la-no-propiedad/

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Prodotto da Los Tercios Compas. Montagne del Sudest Messicano. Copyleft novembre 2023 Musica: «El pueblo y el mal gobierno», Óscar Chávez, Guillermo Velázquez e los Leones de Xichú https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/15/diecinueveava-parte-a-quien-corresponda/

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Diciottesima Parte: La Rabbia.

Si eredita? Si acquisisce? Si coltiva? Si perde? Si trasforma? È contagiosa? Attraverso quali canali si trasmette? Come si rende collettiva? È creativa?

A che punto diventa degna? Quando inizi a prendere le distanze dal risentimento e dalla vendetta? Si avvicina alla giustizia?

Come diventa radice storica di interi popoli, diversi per geografia, lingua, cultura, storia, tempo?

La rabbia è il ponte tra dolore e ribellione?

In quale momento l’angoscia, la disperazione e l’impotenza si trasformano in rabbia?

E se, al contrario, gli uomini e le donne desaparecidos trasmettessero la rabbia a chi li cerca? E se partorissero le loro progenitrici?

E se le cercatrici non cercano consolazione, pena, simpatia, l’elemosina dell’ascolto altrui? E se cercassero la nostra rabbia?

E se tutte le rabbie hanno una stessa radice e loro, noi – i popoli -, ci incontrassimo in questa radice?

Ci saluteremo? Avremo la forza di sorriderci, abbracciarci, scambiarci non solo il dolore, ma anche i dati del responsabile – lo stesso volto (anche se distinto), la sua risata sardonica, il suo sguardo beffardo, il suo cinismo, il suo modo di sapersi impune, la bandiera del denaro -?

E se mai, nel libro incompiuto della storia, qualcuno vedesse una luce, una qualsiasi, che, senza tante storie o slogan, indicasse “questa luce è stata partorita dalla rabbia”?

E se ciò che ci unisce, nonostante tutte le differenze, fosse la stessa rabbia? Chi si opporrà a noi? Chi ci condannerà alla stessa sconfitta del passato, di adesso, di oggi stesso? Chi ci minaccerà con un domani come ieri?

Chi perderà e chi troverà?

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Giovani donne e uomini zapatisti eseguono uno spettacolo teatrale per il 30° anniversario dell’inizio della Guerra contro l’Oblio. Immagini: Tercios Compas. Copyleft: dicembre 2023. Musica di Keni Arkana: “La Rage”.

El Capitán

Messico, dicembre 2023

40, 30, 20, 10, 1 anno dopo.

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Le terre recuperate dallo zapatismo

Magdalena Gómez

Il 3 dicembre scorso il corrispondente di La Jornada in Chiapas, Elio Enríquez, ha pubblicato una notizia preoccupante per ciò che potrebbe innescarsi nell’attivazione di attacchi contro le comunità zapatiste a pochi giorni dal 30° anniversario della sollevazione dell’EZLN, quando recuperarono terre che hanno occupato pacificamente, continuativamente e pubblicamente dal 1995, non certo esenti da aggressioni da parte di gruppi civili armati per provocarne lo sfollamento forzato. Si tratta di un’intervista con Raymundo Augusto García Álvarez, presidente del consiglio di sorveglianza dell’associazione civile Proprietari Rurali Sfollati della Zona di Conflitto (La Jornada 3/12/23) il quale ha riferito che “un giudice federale” ha emesso una sentenza che ordina al governo federale di risarcire i “41.937 ettari occupati dagli zapatisti nel 1994, che vede coinvolti più di 400 proprietari di Ocosingo, Altamirano e Las Margaritas rimasti nella cosiddetta zona di conflitto dopo la sollevazione”. Non ha specificato quale giudice né la data e il contenuto della risoluzione, ha solo indicato che “è appena uscita” dopo aver verificato che le autorità hanno omesso di difendere i loro diritti e ha sottolineato che da allora le loro famiglie hanno subito lo sfollamento forzato interno e ora sono pronti a far sì che la sentenza venga eseguita e si formi subito una commissione: “non aspetteremo oltre”. Fatta salva la disponibilità di maggiori informazioni giuridiche e la conoscenza delle argomentazioni ufficiali, è importante che, a quanto pare, non sia previsto lo scenario del recupero dei terreni o richieste al riguardo, e secondo l’intervistato si tratta di ottenere un risarcimento; tuttavia, l’immediata implicazione politica è ovvia. La questione del recupero delle terre occupate è stata il motore della maggior parte degli attacchi subiti dagli zapatisti e delle trattative che i governi federale e statale hanno condotto all’epoca con i detentori delle terre in questione e e, come emerso all’epoca, il pagamento ad alcuni di loro “a titolo di risarcimento” non è mai stato reso trasparente né formalizzato. Come ha sottolineato Barbara Zamora: “Queste terre, all’epoca, venivano pagate dal governo federale ai proprietari terrieri che affermavano di esserne i proprietari” (La Jornada, 1/3/14). D’altro canto, è quasi certo che non vi sia alcuna volontà da parte del governo di rispettare ciò che la Magistratura ordinerebbe. Non sappiamo se ci sarà una risposta al riguardo e lo scenario politico nell’entità non prevede interventi che blocchino gli sforzi di “giustizia” di coloro che sentono di avere un diritto riconosciuto. Né possiamo aspettarci una politica di contenimento a favore dello zapatismo. Non c’è stata giustizia nei continui attacchi che si sono intensificati negli ultimi anni. Si tratta insomma di informazioni su una risoluzione giudiziaria che può innescare un aumento della tensione contro lo zapatismo e in questo scenario non resta che rafforzare e riattivare l’attenzione e la difesa dall’esterno, poiché all’interno sanno già come procedere e hanno una comprovata esperienza. Sorge sempre l’idea di non credere a questo tipo di notizie; tuttavia, non possiamo dimenticare che la buona fede non prevale nella sfera sociale e politica dello stato del Chiapas. Una cosa da evidenziare nella costruzione autonoma dello zapatismo è che le cosiddette terre recuperate sono la sede del suo territorio. Come definito nella Convenzione 169 della OIL, è l’intero habitat che le persone occupano o utilizzano in qualche modo. Ad un certo punto coloro che rivendicano la terra li hanno accusati di tenerla inutilizzata. Ignorano che le scuole, le cliniche e tutti gli spazi comunitari, anche le case, si trovano su queste terre. È opportuno ricordare che la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni ha pubblicato il rapporto sulla sua visita in Messico nel 2018. Un paragrafo dice tutto: le attuali politiche di sviluppo basate su megaprogetti (estrattivi, energetici, turistici, immobiliari, per esempio) costituiscono una sfida importante per il godimento dei diritti umani delle popolazioni indigene. Alla mancanza di autodeterminazione e di consultazione preventiva, libera, informata e culturalmente appropriata si aggiungono conflitti territoriali, spostamenti forzati, criminalizzazione e violenza contro le popolazioni indigene che difendono i loro diritti. È in questo contesto che possiamo valutare il messaggio di una sentenza che pretende di chiedere il pagamento di diritti presumibilmente violati 30 anni fa. Mentre lo zapatismo si appresta a ricordare quei 40 e 30 anni di esistenza con un paradigma che ci coinvolge tutti ovunque nel mondo: la lotta è per la vita. E in un periodo talmente lungo da non rientrare nei termini del sessennio, tanto meno nei cosiddetti indennizzi.

https://www.jornada.com.mx/noticia/2023/12/05/opinion/las-tierras-recuperadas-por-el-zapatismo-285

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Diciassettesima Parte: Mai Più…

Tercios Compas e El Capitán

La memoria non è solo il cibo della rabbia degna, è anche la radice dell’albero della dignità e della ribellione. Nel caso dei popoli originari, è una radice che affonda in secoli di oscurità e che, con i popoli del mondo, dice e dice a se stessa: “mai più”.

Quelli in alto guardano al passato con la stessa nostalgia con cui i vecchi guardano le foto della loro nascita e infanzia.

Quelli in basso guardano al passato con rabbia. Come se ogni umiliazione, ogni ferita, ogni affronto, ogni beffa, ogni morte fossero parte di una ferita presente che deve essere sanata.

Quelli in alto scelgono quindi i loro eroi e partono e ripartiscono la storia in cui loro sono il culmine del tutto. Travestono da “giustizia” ciò che non è altro che elemosina.

Quelli in basso vedono la storia come un’unica pagina che non si è ancora finito di scrivere, e non ci sono eroi, solo una continua riscrittura dove cambia la mano che traccia gli scarabocchi ma non il cuore collettivo che detta orrori ed errori e, ovviamente, i conti da pagare.

I popoli zapatisti quando guardano al passato, guardano e parlano ai loro morti. Chiedono loro di mettere in discussione il presente, compresi loro stessi. Ed è così che guardano al futuro.

Così combattono e vivono le comunità zapatiste che non hanno letto Walter Benjamin. E penso che non ne abbiano bisogno…

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Giovani donne e uomini zapatisti mentre eseguono una rappresentazione teatrale che descrive non un passato lontano, ma qualcosa che era quotidiano circa 40 anni fa in Chiapas. In altre parti del Messico e del mondo è il presente… e forse il futuro. Quando lo zapatismo dice di essere contro il sistema patriarcale, non lo fa per moda, novità o per una questione di correttezza politica. Lo fa per memoria. E, cari amici e nemici, poche cose sono sovversive quanto la memoria… e la dignità.

Saggio preparatorio per la celebrazione dei 30 anni dall’inizio della guerra contro l’oblio. Immagini per gentile concessione dei Tercios Compas, copyleft dicembre 2023. Musica di León Gieco “La Memoria”, voci di León Gieco e Víctor Heredia. Abbracciando tutta l’america latina, quella che si scrive e si vive con le minuscole, quella del basso, la sorella nonostante i confini e i governi neoliberisti e progressisti.

El Capitán

Messico, dicembre 2023. 40, 30, 20, 10, 2, 1 anno, un mese dopo. https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/06/diecisieteava-parte-nunca-mas/

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Ragazze e ragazzi zapatisti mentre eseguono un teatro-danza-cumbiero per celebrare i 30 anni dell’inizio della guerra contro l’oblio. Sì, nemmeno noi capiamo come sia possibile se dicono che tutta la gioventù zapatista è andata al nord e non ci sono più giovani – e nemmeno zapatisti in generale – Mistero. Ehi? La cosa del teatro cumbiero? Ebbene Don Durito (DD per questioni legali) lo ha detto bene: “la cumbia è la continuazione della politica con altri mezzi”. Immagini per gentile concessione dei Tercios Compas, copyleft dicembre 2023. Musica: frammenti di cumbia dei suonatori zapatisti. Pista ragazzi! Un passo avanti, uno indietro. Bacino. Giro. Ora di lato. Giro. Ripetere. Vaiiiiii! Ossigeno, ho bisogno di ossigeno. Una polka? O un trap corrido? Lo dico a sostegno degli antropologi. Dove stanno il mio cappello e i miei stivali da cowboy?! Non ve l’avevo detto? Fate qualcosa. https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/05/dieciseisava-parte-bertold-brecht-las-cumbias-y-la-no-existencia/

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Quindicesima Parte: Di notte e in piena luce…

Immagini del lavoro artigianale delle insurgentas e degli insurgentes in preparazione della celebrazione dei 30 anni dall’inizio della guerra contro l’oblio. Foto e video per gentile concessione di Los Tercios Compas. Copyleft; Dicembre 2023. Musica Dan Dan Kokoro Hikareteku (Mi corazón encantado), Piano: RuRu Violino: Kathie

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Chiapas, la guerra che non viene chiamata con il suo nome

Luis Hernández Navarro

5 dicembre 2023

Fino a quando gli zapatisti non hanno imbracciato le armi il 1° gennaio 1994, i signori del denaro e del potere del Chiapas esercitavano uno sfruttamento selvaggio e una violenza spietata contro gli indigeni e i contadini.

Nelle fattorie, nelle piantagioni e nei vasti terreni di caccia, i padroni erano proprietari della vita, delle terre e delle risorse naturali dei lavoratori. Pascolavano il loro bestiame su terre comunali ed ejidali e, alla minima occasione, se ne appropriavano. Promuovevano l’allevamento intensivo che divorava suoli, foreste e giungle. Praticavano la silvicoltura predatoria, abbattendo sconsideratamente legnami pregiati.

Nelle piantagioni, più simili a succursali dell’inferno, sviluppavano le coltivazioni intensive di caffè destinato all’esportazione impiegando manodopera proveniente dagli Altos e dal Guatemala. I proprietari terrieri sfruttavano, discriminavano, espropriavano e dominavano gli indios e gli agricoltori poveri usando la violenza. Sia quella “legittima”, proveniente dallo Stato, sia quella di fatto, applicata dai loro eserciti irregolari di uomini armati e guardie bianche.

Il massacro di Golonchán Viejo, per mano dell’esercito il 15 giugno 1980, è un esempio della prima. Patrocinio González Garrido, governatore dell’entità tra il 1988 e il 1993, legalizzò la seconda sotto il nome di Uniones de Defensa Ciudadana, che operava a Ocosingo, Yajalón, Salto del Agua, Tila, Tumbalá, Sabanilla, Altamirano, Chilón e Sitalá.

Le cose sono cambiate quando intervenne l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che, in conformità con la Costituzione, dichiarò guerra “all’Esercito federale messicano, pilastro fondamentale della dittatura che subiamo, monopolizzato dal partito al potere e presieduto dall’Esecutivo federale che oggi ha il suo capo massimo e illegittimo in Carlos Salinas de Gortari”, invitando gli altri poteri a “deporre il dittatore” (https://shorturl.at/lmnuL).

Oltre alla militarizzazione dello Stato, che cresce con il passare degli anni, il governo ha risposto fomentando la nascita e l’azione dei paramilitari. Questi gruppi di civili armati hanno dei comandanti, sono formati da indigeni, contadini poveri e insegnanti (e spesso da personale militare in servizio o in congedo), reclutati in comunità beneficiarie di aiuti clientelari del governo. Sono stati armati, addestrati, finanziati e utilizzati dall’Esercito per combattere i ribelli, le loro basi di appoggio o i villaggi in cerca di neutralità.

La loro incubazione e proliferazione sono state il risultato di una decisione del potere. A differenza delle forze armate, questi gruppi non rispondono a nessuno e sfuggono a qualsiasi controllo pubblico. Possono agire con assoluta impunità. Sono la mano occulta del potere, l’altra faccia della Luna di una guerra che non viene chiamata con il suo nome.

Il risultato del loro operato è stato (ed è) sanguinoso. Tra il 1995 e il 2000 Paz y Justicia ha ucciso più di 100 indigeni Chole nel nord del Chiapas, espulso almeno 2.000 contadini e le loro famiglie dalle loro comunità, chiuso 45 templi cattolici e attentato alla vita dei vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera, rubato più di 3mila capi di bestiame e violentata 30 donne.

Paz y Justicia contava sull’appoggio del generale Mario Renán Castillo, capo della Settima Regione Militare. È stata fondamentale nella guerra a bassa intensità di Ernesto Zedillo contro gli zapatisti. Ha cercato di controllare territorialmente il corridoio strategico che collega le Cañadas del Chiapas con il Tabasco.

All’inizio di questo secolo era caduta temporaneamente in disgrazia. Tuttavia, è riuscita a riprendersi con la copertura del Partito Verde Ecologista del Messico. Un momento cruciale nell’escalation della controinsurrezione è stato il massacro di Acteal. Il 22 dicembre 1997 i paramilitari uccisero selvaggiamente 45 sfollati appartenenti al gruppo Las Abejas, mentre stavano pacificamente pregando per la pace in una cappella. Negli ultimi anni, in regioni come Chenalhó, Chilón, Chalchihuitán, Chavajeval, Oxchuc e Ocosingo, sono riemersi gruppi civili armati che svolgono compiti di controinsurrezione e sono responsabili dello sfollamento forzato di migliaia di persone.

L’impunità con cui agiscono riflette i potenti interessi che servono. Sono gli stessi paramilitari del periodo 1995-2000? Sì e no. Mantengono la loro funzione di controinsurrezione ma sono mutati. Sono coinvolti nella criminalità organizzata, con i vecchi-nuovi padroni, con le bande criminali, con le organizzazioni disgregate dei piccoli produttori e hanno a disposizione armi di grosso calibro.

Uccidono difensori dei diritti umani e leader popolari sparandogli dalle motociclette. È ciò che è accaduto, tra gli altri casi, nel gennaio 2019 ad Arriaga, con Sinar Corzo. Anche con il catechista Simón Pedro Pérez, giustiziato nel mercato di Simojovel nel luglio 2021.

La disputa crescente e sempre più incruenta tra il cartello Jalisco Nueva Generación e quelli del Pacifico per il controllo della frontiera con il Guatemala, sulle rotte di passaggio dei migranti privi di documenti, la riscossione del pizzo, il reclutamento dei giovani, il controllo delle zone di produzione e dei mercati della droga non è solo una lotta tra criminali. Si tratta, come dimostra lo spietato assassinio del leader di Chicomuselo, il professor José Artemio López Aguilar, di un’offensiva contro le organizzazioni popolari, il Pueblo Creyente e i gruppi evangelici progressisti che resistono.

Si tratta di una nuova forma di guerra che non vuole dire il suo nome, con cambiamenti e in continuità con la precedente, contro gli zapatisti e i loro territori e governi autonomi. I Narcos, con i loro alleati e sponsor, vogliono circondare e strangolare le comunità ribelli. Oltre a ostacolare le loro attività, bloccare le strade e intralciare la loro logistica, sono irriducibili: non possono comandarli. E questo per loro è inaccettabile.

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/noticia/2023/12/05/opinion/chiapas-la-guerra-que-no-dice-su-nombre-499

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Quattordicesima Parte e Seconda Allerta di Avvicinamento:
La (otra) Regola del Terzo Escluso

Novembre 2023

L’incontro è avvenuto un anno fa. Una mattina presto di novembre. Faceva freddo. Il Subcomandante Insurgente Moisés era nella baracca del Capitanato (sì, non sbagliate, a quel punto il SupGaleano era già morto, solo che la sua morte non era stata resa pubblica). L’incontro con i capi si era concluso tardi e il SubMoy si era fermato per chiedermi quali fossero i miei progressi nell’analisi che doveva essere presentata il giorno successivo in assemblea. La luna avanzava pigramente verso il suo primo quarto e la popolazione mondiale raggiungeva gli 8 miliardi. Sul mio taccuino c’erano tre appunti:

L’uomo più ricco del Messico, Carlos Slim, a un gruppo di studenti: “ora, quello che vedo per tutti voi è un Messico vivace, con una crescita sostenuta, con molte opportunità per la creazione di posti di lavoro e di attività economiche”. (10 novembre 2022). (Nota: Forse si riferisce alla criminalità organizzata come ad un’attività economica che genera occupazione. E con merce d’esportazione).

(…) Il numero delle persone attualmente scomparse in Messico dal 1964 ammonta oggi a 107.201; cioè 7mila in più rispetto allo scorso maggio, quando è stata superata la soglia dei 100mila. (7 novembre 2022). (Nota: cercare nei motori di ricerca).

In Israele, l’ONU stima a circa 5.000 il numero dei prigionieri palestinesi, tra cui 160 bambini, secondo il rapporto del relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. Netanyahu assume la guida del governo per la terza volta. (novembre 2022). (Nota: chi semina vento, raccoglie tempesta).

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Una crepa come progetto.

Non era la prima volta che affrontavamo l’argomento. Inoltre, le ultime lune erano state la costante: la diagnosi che avrebbe aiutato l’assemblea a prendere una decisione su “cosa sarà dopo”. Anche di questo si discuteva da mesi, ma l’idea-proposta dal Subcomandante Insurgente Moisés non era ancora messa a punto, né concretizzata. Era ancora una specie di intuizione.

E dunque?, ha chiesto il SubMoy accendendosi l’ennesima sigaretta.

– Ebbene, penso che tu abbia ragione, non resta che aprire uno spiraglio. Non cercare più altrove. Devi fare una porta. Ci vorrà del tempo, sì. E costerà molto. Ma sì, è possibile. Anche se non per chiunque. Quello che stai pensando, nessuno, mai. Io stesso non pensavo nemmeno che l’avrei sentito – ho sottolineato.

Il SubMoy rimase pensieroso per un po’ con lo sguardo sul pavimento della baracca pieno di mozziconi di sigaretta, residui di tabacco di pipa, un fiammifero bruciato, fango bagnato, qualche ramoscello spezzato.

Poi si alzò e, dirigendosi verso la porta, disse soltanto: “Beh, niente, stiamo a vedere… manca quello che manca”.

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Il fallimento come obiettivo.

Per capire il significato di quel breve dialogo devo spiegare una parte del mio lavoro di capitano. In questo caso un compito che ho ereditato dal compianto SupGaleano, il quale a sua volta l’aveva ricevuto dal compianto SupMarcos.

Un compito ingrato, oscuro e doloroso: prevedere il fallimento zapatista.

Se si sta valutando un’iniziativa, cerco tutto ciò che potrebbe farla fallire, o, almeno, ridurne l’impatto. Cerco il contrario contraddittorio. Diciamo qualcosa come “Marcos Contreras”. Sono, quindi, il massimo e unico rappresentante “dell’ala pessimista” dello zapatismo.

L’obiettivo è attaccare le iniziative con ogni tipo di obiezione fin dal momento in cui cominciano a nascere. Supponiamo che questo comporti un affinamento e un consolidamento di questa proposta, sia essa organizzativa interna, sia un’iniziativa esterna, sia una combinazione delle due.

Per dirla chiaramente: lo zapatismo si prepara a fallire. Cioè, immagina lo scenario peggiore. Con questo orizzonte in prospettiva si elaborano i piani e si dettagliano le proposte.

Per concepire questi “futuri fallimenti” vengono utilizzate le scienze che abbiamo a nostra disposizione. Bisogna cercare ovunque (e quando dico “ovunque” intendo ovunque, compresi i social network e le loro bot farm, le fake news e i trucchi che si mettono in atto per ottenere “follower”), raccogliere la maggior quantità di dati e informazioni, incrociarli e ottenere così la diagnosi di quella che sarebbe la tempesta perfetta e il suo risultato.

Dovete cercare di capire che non si tratta di costruire una certezza, ma piuttosto un’ipotesi terribile. Nei termini del defunto: “supponiamo che tutto vada in merda”. Contrariamente a quanto si possa credere, questa catastrofe non prevede la nostra scomparsa, ma qualcosa di peggio: l’estinzione della specie umana. Beh, almeno per come la concepiamo oggi.

Si immagina questa catastrofe e si cominciano a cercare dati che la confermino. Dati reali, non le profezie di Nostradamus o l’Apocalisse biblica o equivalenti. Cioè, dati scientifici. Vengono quindi utilizzate pubblicazioni scientifiche, dati finanziari, tendenze, registrazioni di fatti e molte pubblicazioni.

Da questo ipotetico futuro, si mette in moto l’orologio in senso inverso.

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La regola del terzo escluso.

Già in possesso del disegno del crollo e della sua inevitabilità, inizia a funzionare la regola del terzo escluso.

No, non è quella conosciuta. Questa è un’invenzione del defunto SupMarcos. Ai tempi in cui era tenente diceva che, in caso di fallimento, si tentava primo una soluzione; secondo una correzione, e terzo, ma non esisteva un terzo, rimaneva “non esiste rimedio”. Successivamente perfezionò questa regola fino ad arrivare a quella che ora vi spiego: supportato un’ipotesi con dati veri e analisi scientifiche, è necessario cercare due elementi che contraddicono nella sua essenza la suddetta ipotesi. Se si riscontrano questi due elementi, non si cerca più il terzo, allora l’ipotesi va riconsiderata o confrontata con il giudice più severo: la realtà.

Chiarisco che, quando gli zapatisti dicono “realtà”, includono le loro azioni in questa realtà. Quella che chiamate “la pratica”.

Quindi applico la stessa regola. Se trovo almeno 2 elementi che contraddicono la mia ipotesi, allora abbandono la ricerca, scarto quell’ipotesi e ne cerco un’altra.

L’ipotesi complessa.

La mia ipotesi è: non esiste rimedio.

Appunti:

La convivenza equilibrata tra uomo e natura è ormai impossibile. Nel confronto vincerà chi avrà più tempo: la natura. Il capitale ha trasformato il rapporto con la natura in uno scontro, in una guerra di saccheggio e distruzione. L’obiettivo di questa guerra è l’annientamento dell’avversario, in questo caso la natura (umanità compresa). Con il criterio della “obsolescenza programmata” (o “scadenza prevista”), la merce “esseri umani” scade in ogni guerra.

La logica del capitale è quella del maggior profitto alla massima velocità. Ciò fa sì che il sistema diventi una gigantesca macchina per rifiuti, compresi gli esseri umani. Nella tormenta, le relazioni sociali vengono interrotte e il capitale improduttivo getta milioni di persone nella disoccupazione e, da lì, nelle “occupazioni alternative” nella criminalità e nella migrazione. La distruzione dei territori include lo spopolamento. Il “fenomeno” migratorio non è il preludio della catastrofe, ne è la conferma. La migrazione produce l’effetto di “nazioni nelle nazioni”, grandi carovane migratorie che si scontrano contro muri di cemento, di forze di polizia, di militari, di criminali, di burocrazie, razziali ed economici.

Quando parliamo di migrazione, dimentichiamo l’altra migrazione che la precede nel calendario. Quella delle popolazioni originarie dai propri territori, oggi trasformati in merce. Il popolo palestinese non è forse diventato un migrante che deve essere espulso dalla propria terra? Non accade la stessa cosa con le popolazioni originarie del mondo?

In Messico, ad esempio, le comunità originarie sono lo “strano nemico” che osa “profanare” il suolo della finca del sistema, situata tra i fiumi Bravo e Suchiate. Per combattere questo “nemico” ci sono migliaia di soldati e poliziotti, megaprogetti, compravendita di coscienze, repressione, sparizioni, omicidi e una vera e propria fabbrica di colpevoli (cit. https://frayba.org.mx/). Gli omicidi del fratello Samir Flores Soberanes e di decine di guardiani della natura definiscono l’attuale progetto di governo.

La “paura dell’altro” raggiunge livelli di vera paranoia. Scarsità, povertà, disgrazie e criminalità sono responsabili del sistema, ma ora la colpa è trasferita al migrante che deve essere combattuto fino all’annientamento.

In “politica” si propongono alternative e offerte, ognuna più falsa dell’altra. Nuovi culti, nazionalismi – nuovi, vecchi o riciclati –, la nuova religione dei social network e i suoi neo profeti: gli “influencer”. E la guerra, sempre guerra.

La crisi della politica è la crisi delle alternative al caos. Il frenetico susseguirsi dei governi della destra, dell’estrema destra, del centro inesistente e di quella che presuntuosamente viene chiamata “sinistra”, è solo il riflesso di un mercato che cambia: se ci sono nuovi modelli di cellulari, perché non “nuove” opzioni politiche?

Gli Stati-Nazione diventano funzionari doganali del capitale. Non ci sono governi, c’è solo una Border Patrol di colori diversi e bandiere diverse. La disputa tra “Stato Grasso” e “Stato Famelico” è solo il mancato occultamento della sua natura originaria: la repressione.

Il capitale comincia a sostituire il neoliberismo come alibi teorico-ideologico, con la sua logica conseguenza: il neo-malthusianesimo. Cioè la guerra di annientamento di grandi popolazioni per raggiungere il benessere della società moderna. La guerra non è un’irregolarità della macchina, è la “manutenzione regolare” che ne garantirà il funzionamento e la durata. La riduzione radicale della domanda per compensare i vincoli dell’offerta.

Non si tratterebbe di neo-darwinismo sociale (i forti e i ricchi diventano sempre più forti e i deboli e i poveri diventano sempre più deboli) o di Eugenetica, che fu uno degli alibi ideologici per la guerra nazista di sterminio del popolo ebraico. O non solo. Sarebbe una campagna globale per annientare la maggioranza della popolazione mondiale: quella dei diseredati. Privarli anche della loro vita. Se le risorse del pianeta non sono sufficienti e non esiste un pianeta di riserva (o non è stato ancora trovato, anche se ci stanno lavorando), allora è necessario ridurre drasticamente la popolazione. Rimpicciolire il pianeta attraverso lo spopolamento e il riordino non solo di alcuni territori, ma del mondo intero. Una Nakba per l’intero pianeta.

Se la casa non può più essere ampliata né è possibile aggiungere altri piani; se gli abitanti del seminterrato vogliono salire al piano terra, razziano la dispensa e, orrore!, non smettono di riprodursi; se i “paradisi naturali” o “autosufficienti” (in realtà solo “panic room” del capitale) non bastano; se quelli del primo piano vogliono le stanze del secondo e così via; in breve, se la “civiltà moderna” e il suo nucleo (la proprietà privata dei mezzi di produzione, circolazione e consumo) è in pericolo, ebbene, allora bisogna espellere gli inquilini – a cominciare da quelli del seminterrato – finché non si raggiunge “l’equilibrio”.

Se il pianeta è impoverito di risorse e territori, ne consegue una sorta di “dieta” per ridurre l’obesità del pianeta. La ricerca di un altro pianeta sta incontrando difficoltà impreviste. La corsa allo spazio è prevedibile, ma il suo successo è ancora una grande incognita. Le guerre, invece, hanno dimostrato la loro “efficacia”.

La conquista dei territori ha portato alla crescita esponenziale del “surplus”, degli “esclusi” o dei “sacrificabili”. Seguono le guerre per la ripartizione. Le guerre hanno un duplice vantaggio: rilanciano la produzione bellica e le sue sussidiarie ed eliminano quelle eccedenze in modo rapido e irrimediabile.

I nazionalismi non solo riemergeranno o avranno nuovo respiro (da qui l’abbondanza di offerte politiche di estrema destra), ma costituiscono la base spirituale necessaria per le guerre. “Il responsabile delle tue mancanze è chi ti sta accanto. Ecco perché la tua squadra perde”. La logica delle “sciarpe”, dei “club” e degli “hooligans” – nazionali, razziali, religiosi, politici, ideologici, di genere – alimenta guerre di media, grande e piccola dimensione, ma con lo stesso obiettivo di purificazione.

Ergo: il capitalismo non scade, si trasforma soltanto.

Lo Stato-Nazione ha smesso da tempo di svolgere la sua funzione di territorio-governo-popolazione con caratteristiche comuni (lingua, valuta, ordinamento giuridico, cultura, ecc.). Gli Stati Nazionali sono ormai le postazioni militari di un unico esercito, quello del cartello del capitale. Nell’attuale sistema criminale globale, i governi sono i “capi della piazza” che mantengono il controllo di un territorio. La lotta politica, elettorale o meno, è vedere chi sarà promosso a capo della piazza. La “riscossione del pizzo” avviene attraverso le tasse e i contributi per le campagne elettorali e le elezioni. La criminalità disorganizzata ne finanzia così la riproduzione, anche se è sempre più evidente la sua incapacità di offrire ai suoi sudditi sicurezza e giustizia. Nella politica moderna i capi dei cartelli nazionali vengono decisi tramite elezioni.

Da questo insieme di contraddizioni non emerge una nuova società. La catastrofe non è seguita dalla fine del sistema capitalista, ma da una diversa forma del suo carattere predatorio. Il futuro del capitale è lo stesso del suo passato e presente patriarcale: sfruttamento, repressione, espropriazione e disprezzo. Per ogni crisi, il sistema ha sempre una guerra a portata di mano per risolverla. Pertanto: non è possibile delineare o costruire un’alternativa al collasso al di là della nostra stessa sopravvivenza come comunità originarie.

La maggioranza della popolazione non vede o non crede possibile la catastrofe. Il capitale è riuscito a instillare l’immediatismo e il negazionismo nel codice culturale di base di chi sta in basso.

Al di là di alcune comunità native, popoli in resistenza e di alcuni gruppi e collettivi, non è possibile costruire un’alternativa che vada oltre il minimo locale.

La prevalenza della nozione di Stato-Nazione nell’immaginario in basso costituisce un ostacolo. Mantiene le lotte separate, isolate, frammentate. I confini che le separano non sono solo geografici.

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Le Contraddizioni.

Appunti:

Prima serie di contraddizioni:

La lotta dei fratelli della regione di Cholulteca contro la compagnia Bonafont, a Puebla, Messico (2021-2022). Vedendo che le sorgenti si stavano prosciugando, i residenti si sono rivolti al responsabile: la ditta Bonafont, della Danone. Si sono organizzati ed hanno occupato l’impianto di imbottigliamento. Le sorgenti sono state recuperate e l’acqua e la vita sono tornate nelle loro terre. La natura ha così risposto all’azione dei suoi difensori e ha confermato ciò che dicevano i contadini: l’azienda depredava l’acqua. La forza repressiva che dopo un po’ li ha sgomberati non è riuscita a nascondere la realtà: la gente difendeva la vita, l’azienda e il governo difendevano la morte. La Madre Terra ha risposto così all’interrogativo: se esiste un rimedio, io corrispondo con la vita a chi difende la mia esistenza; possiamo convivere se ci rispettiamo e ci prendiamo cura l’uno dell’altro.

La pandemia (2020). Gli animali hanno recuperato la loro posizione in alcuni territori urbani abbandonati, anche se momentaneamente. L’acqua, l’aria, la flora e la fauna hanno avuto tregua e si sono riprese, anche se in breve tempo sono state nuovamente sopraffatte. Hanno indicato così chi era l’invasore.

Il Viaggio per la Vita (2021). In Oriente, cioè in Europa, ci sono esempi di resistenza alla distruzione e, soprattutto, di costruzione di un altro rapporto con la Madre Terra. I resoconti, le storie e gli aneddoti sono troppi per queste note, ma confermano che la realtà non è solo quella della xenofobia e dell’idiozia e petulanza dei loro governi. Speriamo di trovare sforzi simili in altre aree geografie.

Quindi: una convivenza equilibrata con la natura è possibile. Ci devono essere più esempi di questo. Nota: cercare più dati, rivedere i resoconti della Extemporánea al tuo ritorno dal Viaggio per la Vita – Capitolo Europa, cosa hanno visto e cosa hanno imparato, seguire le azioni del CNI e di altre organizzazioni e movimenti di popoli originari fratelli nel Mondo. Attenzione alle alternative nelle aree urbane.

Conclusione parziale: le contraddizioni rilevate mettono in crisi uno degli approcci dell’ipotesi complessa, ma non ancora la sostanza. Il cosiddetto “capitalismo verde” potrebbe assorbire o soppiantare queste resistenze.

Seconda serie di contraddizioni:

L’esistenza e la persistenza della Sexta e delle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti uniti nella Dichiarazione per la Vita. E molte altre persone in molti posti. C’è chi resiste e si ribella, e cerca di incontrarsi. Ma è necessario cercare. E questo ci insegnano le Cercatrici: cercare è una lotta necessaria, urgente, vitale. Con tutto contro, le Cercatrici si aggrappano alla speranza più remota.

Conclusione parziale: la sola possibilità, minima, minuscola, improbabile fino ad una percentuale ridicola, che resistenza e ribellione coincidano, fa traballare la macchina. Non è la sua distruzione, è vero. Non ancora. Le streghe rosse saranno decisive.

La percentuale di probabilità di vittoria della vita sulla morte è ridicola, sì. Poi ci sono le opzioni: la rassegnazione, il cinismo, il culto dell’immediato (“carpe diem” come sostegno vitale).

Eppure c’è chi sfida i muri, le frontiere, le regole… e la legge delle probabilità.

Terza serie di contraddizioni: Non è necessaria. Applica la regola del Terzo Escluso.

Conclusione generale: Occorre quindi proporre un’altra ipotesi.

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Ah! Pensavate che l’iniziativa o il passaggio annunciato dal popolo zapatista fosse la scomparsa di MAREZ e JBG, il capovolgimento della piramide e la nascita dei GAL?

Beh, mi dispiace rovinarvi la tranquillità. Non è così. Ritorniamo a prima della cosiddetta “Prima Parte” e alla discussione sulle motivazioni di lupi e e pastori. Già? Ora prendiamo questo:

Permissu et gratia a praelatis dico vobis visiones mirabiles et terribiles quas oculi mei in his terris viderunt. 30 Anno Resistentise, et prima luce diei viderunt imagines et sonos, quod nunquam antea viderant, et tamen litteras meas semper intuebantur. Manus scribit et cor dictat. Erat mane et supra, cicadae et stellae pugnabant pro terra…

Con il permesso e la grazia dei superiori vi racconto le visioni meravigliose e terribili che i miei occhi hanno visto in queste terre. Nel 30° anno della Resistenza, e alle prime luci del giorno, videro immagini e suoni che non avevano mai visto prima eppure guardavano sempre le mie lettere. La mano scrive e il cuore detta. Era mattina presto e lassù, i grilli e le stelle lottavano per la terra…

El Capitán.

Non apparve allora perché non sapevate della morte del SupGaleano, né delle altre morti necessarie. Ma noi zapatisti siamo così: quello che taciamo è sempre più di quello che diciamo. Come se fossimo determinati a progettare un puzzle sempre incompiuto, sempre con un pezzo in sospeso, sempre con quella domanda estemporanea: e tu?

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

40, 30, 20, 10, 2, 1 anni dopo.

P.S.- Quindi cosa manca? Ebbene… manca quello che manca.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/28/catorceava-parte-y-segunda-alerta-de-aproximacion-la-otra-regla-del-tercero-excluido/

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Tredicesima Parte: DUE PARTITE DI CALCIO E UNA STESSA RIBELLIONE

“Il calcio è la continuazione della politica con altri mezzi”.
Don Durito de La Lacandona (“DD”, a scopo legale).

Novembre 2023

I.- Vigilia del Viaggio per la Vita-capitolo Europa.

È arrivata una sfida calcistica da parte di una squadra femminile europea che resiste e lotta.

Il SupGaleano si è auto-nominato “direttore tecnico” della squadra “Ixchel–Ramona” composta da donne miliziane. Come è giusto che sia, il Sup ha studiato la squadra rivale. Raduna le compagne che faranno il viaggio. Analizza in dettaglio le abilità e le caratteristiche di ciascuna giocatrice. Si reca poi dal Subcomandate Moisés e gli fa la sua diagnosi: “ci faranno a pezzi”. Il SubMoy lo guarda con una faccia da “e allora?”, come se lo desse per scontato. Ma l’ormai defunto non ha finito: “Ma ho un piano segreto, come dice Dení. Con questo rivoluzioneremo il calcio e lo ridefiniremo nella sua essenza: il gioco”.

Il Subcomandante Insurgente Moisés, coordinatore del tour, è piuttosto impegnato con i corsi di preparazione, i certificati di nascita, i passaporti e la progettazione del percorso da seguire, quindi lascia che il SupGaleano proceda “a sua discrezione”. La faccia del defunto sorride e dice: “Discrezione è il mio secondo nome” (non chiedetemi quale fosse il suo primo nome perché ci vorrebbero diverse pagine per spiegarvelo).

Il defunto in divenire inizia la preparazione della squadra femminile. Ma, affinché la sua strategia abbia successo, ha bisogno dell’appoggio del temibile, terribile e terrificante “Commando Palomitas” che, in quel momento, sta cercando di aprire un varco nella nave scuola in cui si sta preparando il cosiddetto “Squadrone 421”. Deluso perché, prima di terminare i lavori sotto la linea di galleggiamento, la nave era stata trasformata in un imponente bimotore, il commando va a consultare il SupGaleano sul da farsi per incendiare il velivolo. Il Sup li convince che non era opportuno bruciarlo, che era meglio aspettare che fosse in pieno volo per abbatterlo dall’interno. L’amato Amado e Chinto obiettarono: se cade l’aereo, cadrà anche il Commando Palomitas. Il Sup rispose che non era il momento di soffermarsi sulle piccolezze. Inoltre, il Commando era richiesto per un lavoro più elevato che sabotare un viaggio aereo che non valeva nemmeno il costo dei biglietti, per non parlare della mancanza dei passaporti, e che la maggioranza della “Divisione Aerotrasportata La Estemporanea” soffriva la nausea a bordo del camion merci.

Quando il Commando Palomitas, il Sup, il Tzotz, il Tragón e la Pelusa si sono riuniti nel bunker ultra-segreto che si trova nel tempio Puy, nella zona di Tzotz Choj, si è proceduto ad affinare i dettagli di ciò che da quel momento in poi sarebbe stato conosciuto in tutto il mondo come il “Piano brillante ed eccellente per sconfiggere un rivale meglio preparato, allenato e attrezzato di noi” (BEPDRMPEEN, il suo acronimo in spagnolo), sottotitolo “E hanno una tecnica e un controllo di palla migliori”.

La riunione top secret ha seguito il suo corso normale. Cioè, il Chuy ha rubato a Lupita il ghiacciolo di chamoy [salsa di frutta secca agrodolce – n.d.t.], la Verónica ha rifilato uno scappellotto al Chuy e, come se fosse il Governo Supremo, si è tenuta il ghiacciolo del Chuy, quello di Lupita e pure il suo medesimo. Il Chinto e l’amato Amado protestavano che le loro biciclette si erano rotte e che il Monarca doveva sistemarle. La Pelusa, il Tragón e il Tzotz rovistavano il tavolo in cerca di biscotti, e il Sup impartiva la lezione magistrale di “Come vincere una partita di calcio con tutto contro”.

L’apparente caos si è placato quando il Sup ha tirato fuori, chissà da dove, una scatola di “Choki Il Biscotto del Diavolo”, e solo allora – dopo pappati 5 pacchetti – sono state distribuite le missioni, fissata la tabella di marcia, e pappato il sesto pacchetto “in onore dei futuri caduti”. “E cadute”, si è sentito obbligato ad aggiungere Chuy, solo per ricevere da Verónica un altro scappellotto del tipo “l’uguaglianza di genere non si applica alla disgrazia”. Lupita approva l’azione con il ghiacciolo di chamoy che il Sup le ha dato per farla smettere di piangere.

Il “tre volte T” Commando Palomitas, il Sup e l’ala canina del comando sono andati quindi al semenzaio e, con le miliziane riunite, si è spiegato e praticato il nuovo schema “passivo-aggressivo” che, come è giusto che sia, aveva come nucleo dirigente il predetto Commando.

Seguendo la vecchia e collaudata regola zapatista di “Non giocare con le regole del nemico”, il Sup ha sviluppato una sorta di miscuglio di rugby, con drammaturgia ottocentesca, con qualche Anime, con il cinema tipo Hollywood e risvolto di Cannes, con l’impressionismo di Monet, un pizzico di Allan Poe incrociato con Conan Doyle, qualcosa dell’epica di Cervantes, la brevità di Joyce, la prospettiva di Buñuel, un pizzico di Brecht mescolato a Beckett, il condimento di qualche tacos al pastor, una cumbia appena accennata, Anita Tijoux e Shadia Mansour che rompono le frontiere – Palestina libera – e, beh, non ho preso nota di tutto, ma l’unica cosa che mancava era la palla.

La strategia in questione si sviluppava in 3 fasi:

Per prima, Verónica ha afferrato un pupazzo zapatista e si è diretta con decisione verso la porta avversaria, si è messa di fronte alla portiera nemica e le ha parlato in Cho’ol. La portiera, ovviamente, non ha capito niente, ma c’erano Lupita ed Esperanza Zapatista che hanno tradotto a gesti che la ragazza le stava regalando il pupazzo. Ed Esperanza, come indica il suo nome, si è offerta di fare una foto con la ragazza e il pupazzo. Per la foto le ha detto di mettere giù la palla, perché Verónica voleva che la abbracciasse. Nel momento in cui ciò è accaduto, Esperanza ha calciato la palla “in fondo alla rete” e l’intera squadra ha gridato “Goool!” È stato fatto innumerevoli volte con successo. L’unica cosa che non è riuscita è che Verónica si riprendesse il pupazzo dalla portiera e scappasse via.

La seconda variante consisteva nel fatto che la portiera zapatista riceveva il pallone, se lo metteva sotto la maglietta come se fosse incinta e cominciava a camminare come se fosse incinta. Tutta l’équipe zapatista andava ad aiutarla e a portarla in infermeria. Naturalmente, trovandosi in territorio straniero, le compagne commettevano un errore e si dirigevano verso la porta avversaria dove, miracolosamente, la portiera zapatista si “liberava” del pallone che, rotolando appena, oltrepassava la linea nemica dando vita a un gol che neanche Messi e Cristiano. Intanto, il TTT Commando Palomitas circondava la sorella responsabile del tabellone per “esortarla” a dare per buono il risultato ottenuto “con il sacrificio della compagna zapatista e il suo pallone bambino”.

La terza variante comportava un rischio per la protagonista, poiché doveva fingere di svenire. Si è praticato una sola volta nel semenzaio perché il terreno lì è ghiaioso (pietra e sabbia) e ci si aspettava che ci fosse erba nel campo nemico. La compagna doveva svenire in mezzo al campo. Il subcomandante Moisés, allarmato, avrebbe corso verso la compagna e con lui tutta la panchina zapatista. Tutte le compagne gridavano, nelle rispettive lingue materne, per il servizio medico. Come previsto, il nemico non aveva alcun servizio medico, quindi sarebbe stata preparata in anticipo una barella. L’arbitra voleva chiamare i soccorsi, ma il SubMoisés adduceva usi e costumi dei popoli indigeni, così gli stessi zapatisti sollevano la donna svenuta e la depongono sulla barella. Confuse dal dolore e dalla tristezza di vedere la loro sorella di lotta caduta in combattimento, le miliziane non si sarebbero accorte di star portando la barella verso la porta avversaria. In quel momento, i primi dei, coloro che crearono il mondo, avrebbero compiuto la loro opera e la compagna ferita si sarebbe svegliata senza bisogno che nessun rospo maschio, comune o reale, la baciasse, e si ritrovava la palla ai suoi piedi, proprio sulla linea di porta e con un calcio ne suggellava il destino. C’era da aspettarsi che, animate dalla gioia di vedere la propria compagna in salvo, le miliziane gridassero “Goool!” A quel punto, il Commando Palomitas sarebbe stato sotto il tabellone per garantire che la vita fosse celebrata.

La quarta non la ricordo – lo so che ho detto che erano 3, ma non erano 4 i tre moschettieri? -, ma era simile per ingegno, creatività e furbizia alle altre tre.

Secondo quanto mi hanno raccontato le miliziane al loro ritorno, nei territori che chiamano “Italia” e “Stato spagnolo”, le sorelle nemiche hanno capito subito di cosa si trattava e hanno cominciato a giocare con lo stesso stile. Non so se la FIFA potrebbe classificarlo come calcio ma, a giudicare dalle foto e dai video che mi hanno mostrato, è stata una festa. Risultato: non c’è stato né vincitore né vinto… e Verónica è tornata con il pupazzo che, presumibilmente, apparteneva all’ormai defunto SupGaleano. No, non l’ha restituito.

E questo era il messaggio per le geografie di tutto il mondo: non giocare con le regole del tuo nemico, crea le tue regole”, mi ha dichiarato il SupGaleano prima del suo ultimo respiro.

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II.- Quanti Cipro possono stare in una partita di calcio?

Questo mi ha detto il Subcomandante Insurgente Moisés quando mi ha raccontato dettagli e aneddoti del cosiddetto “capitolo Europa” del Viaggio per la Vita. Quello che racconto di seguito è quanto sono riuscito a recuperare dalla narrazione, piena di ammirazione e rispetto, del Subcomandante Moisés.

“C’è una geografia chiamata Cipro. È rotta, cioè a pezzi. Ci sono ciprioti, ci sono greco-ciprioti e ci sono turco-ciprioti e non ricordo quante altre persone hanno il cognome cipriota. I capitalisti hanno diviso quella terra, l’hanno fatta a pezzi. E hanno anche fatto a pezzi la loro gente, la loro lingua, la loro storia, la loro cultura. E si scopre che, anche se è una piccola isola, tutti i ricchi la vogliono e, come fanno sempre, se la dividono, ma ciascuna parte vuole la parte dell’altro. In altre parole, in mezzo ai potenti e alle loro guerre c’è il popolo.

Bene, allora c’è una squadra di calcio in quella geografia chiamata Cipro. Hanno buoni giocatori e sono professionisti. Il loro lavoro è giocare a calcio. Ma stanno perdendo diverse partite e si incontrano per analizzare e dicono che stanno perdendo perché la strategia delle partite è sbagliata. Vanno a dire al proprietario della squadra, cioè al capo, che stanno perdendo per questo, che hanno pensato ad una strategia migliore e così vinceranno più partite.

Il capo, cioè il proprietario della squadra, li guarda con disprezzo e dice loro: “vincete o perdete come mi fa comodo. A volte mi conviene che perdiate ed è così che andrà avanti”.

I giocatori sanno giocare molto bene, ma hanno anche un buon cuore. Quindi, come si suol dire, si ribellano. Si chiama resistenza e ribellione, ma nella loro lingua. E mandano al diavolo il proprietario della squadra, cioè il capo. Quindi creano la propria squadra di calcio. Si organizzano e fanno il loro stadio. Quella terra è divisa, così in mezzo nella “terra di nessuno” fanno il loro stadio e poi invitano chiunque voglia a giocare e allenarsi. Gli altri gruppi e collettivi che lottano li sostengono e sono ben organizzati. Non importa se sei cipriota, greco-cipriota, turco-cipriota o cipriotanonsoché. Non c’è alcun costo, è volontario ciò che ogni persona vuole dare. Quindi, come si suol dire, i soldi non sono ciò che conta. Quindi di tanto in tanto ci sono le partite e non ci sono divisioni di nazionalità, né religioni, né bandiere, c’è solo il calcio. Ed è come una festa.

In altre parole, come si suol dire, quei fratelli hanno infranto quei confini che i padroni e i proprietari avevano stabilito.

“È come se avessero fatto il loro caracol. Hanno un caracol di calcio! Ho detto loro che vediamo quando potremo fare una partita di calcio lì nella loro terra o qui nella terra di nessuno“, dice il Subcomandante Insurgente Moisés, portavoce delle comunità zapatiste, capo dell’EZLN e coordinatore del Viaggio per la Vita.

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Bene. Saluti e che i giochi, come i tornei, non siano una competizione ma piuttosto pretesti per convivere tra diversi.

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Messico, novembre 2023. 40, 30, 20, 10, 2 anni dopo.

Musica: «Somos Sur», interpretada da Ana Tijoux e Shadia Mansour
Immagini della partita di calcio tra la squadra Ixchel-Ramona e le sorelle nemiche italiane giocata nella geografia che si chiama Roma, Italia, a novembre del 2021. Striscioni delle mobilitazione dei popoli zapatisti contro le guerre nel 2022. Tercios Compas. Copyleft novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/23/treceava-parte-dos-partidos-de-futbol-y-una-misma-rebeldia-el-futbol-es-la-continuacion-de-la-politica-por-otros-medios/

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Dodicesima parte: Frammenti.
Frammenti di una lettera del Subcomandante Insurgente Moisés inviata qualche mese fa a una geografia lontana ma vicina nel pensiero:

Commissione Sexta Zapatista.
Messico.

Aprile 2023

(…)

Perché allora sarebbe un po’ come se, di fronte alla terribile tormenta che già si abbatte su ogni angolo del pianeta, anche su chi si credeva al sicuro da ogni male, non vedessimo la tormenta.

Voglio dire, non vediamo solo la tormenta e la distruzione, la morte e il dolore che porta con sé. Vediamo anche cosa verrà dopo. Vogliamo essere il seme di una futura radice che non vedremo, che sarà poi a sua volta l’erba che neanche noi vedremo.

La vocazione zapatista, se qualcuno ci spinge a una definizione laconica, è dunque “essere un buon seme”.

Non intendiamo trasmettere alle prossime generazioni una concezione del mondo. Non lasciare in eredità le nostre miserie, i nostri risentimenti, il nostro dolore, le nostre fobie o le nostre passioni. Né che siano lo specchio dell’immagine più o meno approssimativa di ciò che riteniamo buono o cattivo.

Ciò che vogliamo è trasmettere la vita. Ciò che ne faranno le altre generazioni sarà una loro decisione e, soprattutto, una loro responsabilità. Proprio come noi abbiamo ereditato la vita dai nostri antenati, abbiamo preso ciò che abbiamo ritenuto prezioso e ci siamo assegnati un compito. E, naturalmente, ci siamo assunti la responsabilità delle decisioni che abbiamo preso, di ciò che abbiamo fatto per portare a termine tale compito e delle conseguenze delle nostre azioni e omissioni.

Quando affermiamo che “Non è necessario conquistare il mondo, basta rifarlo”, ci allontaniamo definitivamente e irrimediabilmente dalle concezioni politiche attuali e precedenti. Il mondo che vediamo non è perfetto, nemmeno lontanamente. Ma è meglio, senza dubbio. Un mondo dove ognuno è quello che è, senza vergogna, senza essere perseguitato, mutilato, imprigionato, assassinato, emarginato, oppresso.

Come si chiamerà questo mondo? Quale sistema lo sosterrà o dominerà? Ebbene, questo lo decideranno, o no, coloro che vi vivranno.

Un mondo in cui il desiderio di egemonizzare e omogeneizzare impari da ciò che questo ha causato in questo e in altri tempi, e fallisca in quel mondo a venire.

Un mondo in cui l’umanità non è definita dall’uguaglianza (che non fa altro che nascondere la segregazione di coloro che “non sono uguali”), ma dalla differenza.

Un mondo dove la differenza non viene perseguitata, ma celebrata. Un mondo in cui le storie raccontate non sono quelle di chi vince, perché non vince nessuno.

Un mondo dove le storie che si raccontano, sia nell’intimità, sia nelle arti, sia nella cultura, sono come quelle che ci raccontavano le nostre nonne e i nostri nonni, e che insegnano non chi ha vinto, perché nessuno ha vinto e, quindi nessuno ha perso.

Quelle storie che ci hanno permesso di immaginare cose terribili e meravigliose e in cui, tra la pioggia e l’odore di mais, caffè e tabacco, abbiamo potuto immaginare un mondo incompleto, sì, anche goffo, ma molto migliore del mondo che conosciamo. I nostri antenati e i nostri contemporanei hanno sofferto e soffrono.

Non intendiamo lasciare in eredità leggi, manuali, visioni del mondo, catechismi, regole, percorsi, mete, passi, imprese, che, a ben guardare, è ciò a cui aspirano quasi tutte le proposte politiche.

Il nostro obiettivo è più semplice e terribilmente più difficile: lasciare in eredità la vita.

(…)

Perché vediamo che questa terribile tormenta, i cui primi temporali e piogge stanno già colpendo l’intero pianeta, sta arrivando molto rapidamente e con molta forza. Quindi non vediamo l’immediato. Oppure sì, ma secondo quello che vediamo a lungo termine. La nostra realtà immediata è definita secondo due realtà: una di morte e distruzione che farà emergere il peggio degli esseri umani, indipendentemente dalla loro classe sociale, colore, razza, cultura, geografia, lingua, dimensione; e un’altra di ricominciare dalle macerie di un sistema che ha fatto quello che sa fare meglio, cioè distruggere.

Perché diciamo che all’incubo che già c’è e che non potrà che peggiorare, seguirà un risveglio? Ebbene, perché c’è chi, come noi, è determinato a considerare questa possibilità. Minima, vero. Ma ogni giorno e a tutte le ore, ovunque, lottiamo affinché questa minima possibilità cresca e, sebbene piccola e senza importanza – come un minuscolo seme – cresca e, un giorno, sia l’albero della vita che sarà di tutti i colori, o non lo sarà affatto.

Non siamo gli unici. In questi 30 anni ci siamo sommati a tanti mondi. Diversi nei modi, nei tempi, nelle geografie, nelle proprie storie, nei calendari. Ma uguali nella fatica e nello sguardo assurdo posato su un tempo intempestivo che verrà, non per destino, non per disegno divino, non perché qualcuno perda affinché qualcun altro vinca. No, sarà perché stiamo lavorando, lottando, vivendo e morendo per questo.

E ci sarà un prato, e ci saranno fiori, e alberi, e fiumi, e animali di ogni specie. E ci sarà un prato perché ci saranno le radici. E ci sarà una bambina, un bambino, un bambin@ che sarà viva. E verrà il giorno in cui dovrà assumersi la responsabilità della decisione da prendere su cosa fare di quella vita.

Non è questa la libertà?

(…)

E racconteremo loro la storia della donna indigena di radice maya, di più di 40 anni, che cadde decine di volte imparando ad andare su una bicicletta con le ruote da 20. Ma anche che si alzò lo stesso numero di volte ed ora pedala su una bici con le ruote da 24 o 26 e, con questa arriverà alle lezioni sulle piante medicinali.

Del promotore di salute che arriverà in tempo in una comunità isolata e senza strada asfaltata per somministrare il siero antiveleno ad un anziano morso da una vipera nauyaca

Dell’indigena, autorità autonoma che, con la sua nagüa e il suo morraleta, arriverà in tempo all’assemblea di “noi donne” e potrà parlare dell’igiene femminile.

E che, quando non c’erano veicoli, benzina, autisti o strade transitabili, la salute, nella misura del nostro sviluppo e possibilità, arriverà in una capanna in un angolo della Selva Lacandona.

Una capanna dove, attorno a un fuoco, sotto la pioggia e senza luce elettrica, arriverà, in bicicletta, la promotrice di educazione e, tra l’odore di mais cotto, caffè e tabacco, ascolterà una storia terribile e meravigliosa, raccontata dalla voce e lingua di un’anziana. Ed in quella storia si parlerà del Votán che non era uomo né donna né otroa. E che non era uno, bensì molti. E sentirà che dirà: “questo siamo, Votán, guardiano e cuore del popolo”.

E che, ormai a scuola, quella promotrice di educazione racconterà ai bambini e le bambine zapatisti quella storia. Beh, piuttosto la versione che farà di quello che ricorderà di aver sentito, perché non si sentiva molto a causa del rumore della pioggia e della voce spenta della donna che raccontava la storia.

E della “cumbia della bicicletta” che qualche gruppo musicale giovanile creerà e che ci solleverà tutti dal sentire per l’ennesima volta “la cumbia del sapito”.

E i nostri morti, ai quali dobbiamo onore e vita, forse diranno “ebbene, siamo finalmente entrati nell’era della ruota”. E di notte guarderanno il cielo stellato, senza nuvole, e diranno “Biciclette! Da lì si arriverà alle astronavi”. E rideranno, lo so. E qualcuno vivo accenderà un registratore e si sentirà una cumbia che tutti noi, vivi e morti, speriamo non sia “la del moño colorado”.

(…)

Dalle montagne del Sudest Messicano.
A nome dei bambini, bambine, uomini, donne e otroas zapatisti.
Subcomandante Insurgente Moisés
Coordinatore Generale della “Gira por la Vida”.
Messico, aprile 2023”

Questi frammenti sono presi dall’originale con le autorizzazioni del mittente e della destinataria.

In fede.

El Capitán.
Novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/21/duodecima-parte-fragmentos-fragmentos-de-una-carta-del-subcomandante-insurgente-moises-enviada-hara-hace-algunos-meses-a-una-geografia-lejana-en-distancia-y-cercana-en-pensamiento/

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Undicesima Parte: Intanto, nelle montagne del sudest messicano…..

Produzione Los Tercios Compas. Montagne del Sudest Messicano. Copyright novembre 2023
With a Little Help from My Friends, Lennon y McCartney. Versione di Joe Cocker https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/17/mientras-tanto-en-las-montanas-del-sureste-mexicano/

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Decima Parte: Di Piramidi e loro usi e costumi.

Conclusioni dall’analisi critica di MAREZ e JBG.

(Frammento dell’intervista al Subcomandante Insurgente Moisés di agosto-settembre 2023 nelle montagne del Sudest Messicano)

Novembre 2023

Introduzione

Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a trascinarli, quei blocchi di pietra? E Babilonia distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò? In quali case, della Lima lucente d’oro, abitavano i suoi costruttori? Dove andarono i muratori, la sera che fu terminata la Grande Muraglia? Roma la grande è piena d’archi di trionfo. Chi li costruì?

Bertold Brecht.

È nota l’ossessione che i sistemi dominanti hanno avuto, nel corso della loro storia, nel salvare l’immagine delle classi o caste dominanti sconfitte. Come se il vincitore si preoccupasse di neutralizzare l’immagine dello sconfitto: ovviare la sua caduta. Nello studio dei resti della civiltà o della cultura sconfitta, l’accento è solitamente posto sui grandi palazzi dei sovrani, sugli edifici religiosi dell’alta gerarchia e sulle statue o monumenti che i popoli dominanti di quel tempo facevano a se stessi.

Non sempre con genuino interesse antropologico o archeologico (non è la stessa cosa), ad esempio, si studiano le piramidi. Il loro senso architettonico-religioso – a volte anche scientifico – e quello che gli opuscoli turistici (e i programmi politici di tutto lo spettro) chiamano “lo splendore del passato”.

È naturale che i diversi governi si fissino e, non senza sospirianelanti, si concentrino su re e regine. I grandi palazzi e le piramidi possono essere indicati come riferimenti del progresso scientifico di quei tempi, dell’organizzazione sociale e delle cause “del loro sviluppo e declino”, ma nessun sovrano ama vedere il suo futuro riflesso nel passato. Ecco perché stravolgono la storia passata ed è possibile riprogrammare fondamenti di città, imperi e “trasformazioni”. Così, senza rendercene conto, ogni selfie scattato nei siti archeologici nasconde più di quanto mostri. Lassù in alto, il vincitore di oggi sarà lo sconfitto di domani.

Ma, se non si dice che queste costruzioni devono aver avuto coloro che le hanno progettate – i loro architetti, ingegneri e artisti -, tanto meno si fa riferimento alla “manodopera”, cioè agli uomini e alle donne sulle cui spalle (in più di un senso) sono state costruite quelle meraviglie che stupiscono i turisti di tutto il mondo, che passano il tempo poi in discoteca, al centro commerciale e in spiaggia.

Da lì a ignorare che i discendenti di quella “manodopera” siano vivi e attivi, con lingua e cultura, il passo è breve. Gli indigeni che costruirono, ad esempio, le piramidi di Teotihuacán e della zona Maya nel sudest messicano, esistono (cioè resistono) e, talvolta, aggiungono alla loro resistenza quella componente sovversiva che è la ribellione.

Nel caso del Messico, i diversi governi preferiscono gli indigeni come artigianato vivente e, talvolta, come pura coreografia. L’attuale governo non rappresenta alcun cambiamento in questo (beh, non solo in questo, ma non è questo il tema). I popoli nativi continuano ad essere oggetto di elemosina (l’aspirina dei furfanti), di bottino elettorale, di curiosità artigianale e di via di fuga per chi amministra la distruzione in corso: “Distruggerò la tua vita, cioè il tuo territorio; ma non preoccuparti, preserverò le piramidi di coloro che sfruttarono i tuoi antenati e quelle cose divertenti di cui parli, ti vesti e fai”.

Ciò premesso, questa “immagine” della piramide – il vertice stretto superiore e la base larga inferiore – viene ora utilizzata dal Subcomandante Insurgente Moisés per spiegarci qualcosa dell’analisi (feroce e implacabile, a mio avviso) del lavoro dei MAREZ e delle Giunte di Buon Governo.

El Capitán

Un po’ di storia, non molto, solo 30 anni.

I MAREZ e le Giunte di Buon Governo non erano tutto male. Dobbiamo ricordare come li abbiamo raggiunti. Per i popoli zapatisti erano una scuola di alfabetizzazione politica. Un’autoalfabetizzazione.

La maggior parte di noi non sapeva leggere, scrivere o parlare spagnolo. Ma parliamo lingue diverse. Questo è stato un bene, perché le nostre idee e la nostra pratica non venivano da fuori, ma piuttosto dovevamo cercare nella nostra testa, nella nostra storia di indigeni, a modo nostro.

Non avevamo mai avuto l’opportunità di governarci da soli. Siamo sempre stati governati. Ancor prima di quello spagnolo, l’impero azteco, che l’attuale governo ama moltissimo – credo perché gli piacciono i prepotenti – opprimeva molte lingue e culture. Non solo in quello che oggi è il Messico, anche in quello che oggi è il Centroamerica.

La situazione in cui ci trovavamo era di morte e disperazione. Ci hanno chiuso tutto. Non c’erano porte, né finestre, né crepe. Come se volessero farci soffocare. Allora, come si suol dire, abbiamo dovuto aprire una crepa in quel muro che ci rinchiudeva e ci condannava. Come se tutto fosse oscurità e con il nostro sangue accendessimo una piccola luce. Questa è stata la sollevazione zapatista, una piccola luce nella notte più buia.

Poi è successo che molte persone hanno chiesto un cessate il fuoco, che dovevamo parlare. I cittadini sanno già queste cose. A molti di loro è successa la stessa cosa che a noi: i malgoverni tradiscono sempre. Non compiono il loro dovere perché i governi sono i principali oppressori. Quindi dovevamo scegliere se aspettare che un giorno facessero il loro dovere, o cercare da noi. E abbiamo scelto di cercare la nostra strada.

E beh, dovevamo organizzarci per questo. Ci siamo organizzati e preparati per 10 anni a prendere le armi, a morire e uccidere. Poi si scopre che dovevamo organizzarci per vivere. E vivere è libertà. E giustizia. E riuscire a governarci come persone, non come infanti come ci vedono i governi.

È lì che ci è venuto in mente che dovevamo creare un governo che obbedisse. In altre parole, non fare quello che voleva, ma rispettare quello che dice il popolo. In altre parole, “comandare obbedendo”, che è la parola che gli svergognati di oggi plagiano (cioè, non plagiano solo le tesi. Nota della redazione).

Quindi con i municipi autonomi abbiamo imparato che potevamo governarci da soli. E questo è stato possibile perché molte persone ci hanno sostenuto senza alcun interesse nel trovare la strada della vita. Cioè, quelle persone non sono venute per ricavarne qualcosa – come quelli che immagino tu descriva agli altri quando parli dei 30 anni -, ma davvero si sono impegnati per un progetto di vita. E c’è chi voleva dirci come dovevamo fare. Ma non abbiamo preso le armi per cambiare padrone. Non esiste un padrone buono. Ma c’erano altre persone che rispettavano i nostri pensieri, il nostro modo.

Il valore della parola.

Quando riceviamo questo appoggio, per noi è un impegno. Se diciamo che abbiamo bisogno di aiuto per fare scuole e cliniche, per preparare promotori di salute e di educazione, per esempio, dobbiamo rispettare l’impegno. Cioè, non possiamo dire che l’aiuto è per una cosa e poi lo usiamo per un’altra. Dovevamo e dobbiamo essere onesti, perché quelle persone non vengono a sfruttarci, ma a darci coraggio. Così lo intendevamo.

Dobbiamo quindi sopportare gli attacchi e le stronzate dei malgoverni, degli agricoltori, delle grandi aziende, che si sforzano di metterci alla prova per vedere se resistiamo o è facile per noi cadere nella provocazione per accusarci di dire bugie, che vogliamo anche Potere e soldi. Il Potere è come una malattia che ammazza le buone idee e corrompe, fa ammalare le persone. Una persona sembra buona, ma con il Potere impazzisce. O forse già era pazza e il Potere le ha scoperto il cuore.

Quindi pensiamo che dobbiamo organizzare, ad esempio, la nostra salute. Perché ovviamente abbiamo visto e vediamo che quello che fa il governo è una grande menzogna che serve solo a rubare e non gli importa che le persone muoiano, soprattutto se sono indigene.

Ed è successo che, quando abbiamo fatto quella crepa nel sistema e guardato fuori, abbiamo visto tante cose. Ma anche molte persone ci hanno visto. E tra quelle persone c’è chi ci ha guardato e ha corso il rischio di aiutarci e sostenerci. Perché cosa succede se siamo bugiardi e non facciamo quello che diciamo? Ma ehi, hanno corso un rischio e ci hanno impegnati.

Guarda, là fuori, nelle città, la parola non vale. Possono dire una cosa in un momento, e un minuto dopo dire il contrario come se nulla fosse. C’è, ad esempio, quello della “mañanera[conferenza stampa mattutina del presidente Obrador – n.d.t.], cioè un giorno dice una cosa e l’altro il contrario. Ma, siccome paga, lo applaudono e sono contenti perché fa loro un’elemosina che non viene nemmeno dal suo lavoro, ma da quello che i lavoratori danno ai governi con le tasse, che sono come il “pizzo” della criminalità disorganizzata.

Quindi queste persone ci sostengono e iniziamo poco a poco con la medicina preventiva. Dato che avevamo già recuperato le terre, abbiamo migliorato la nostra alimentazione, ma serviva di più. Più sanità. Dovevamo recuperare la conoscenza erboristica, ma non bastava, serviva anche la scienza. E grazie alle/ai medici, che noi chiamiamo “fratelli”, perché sono come nostri fratelli, che si sono adattati e ci hanno guidato. Così sono nati o si sono formati i primi formatori di Salute, cioè coloro che preparano i promotori.

E anche l’educazione, soprattutto la lingua castigliana. Perché per noi lo spagnolo è molto importante perché è come il ponte attraverso il quale possiamo comunicare e capirci tra lingue diverse. Ad esempio, se parli tzeltal, avrai difficoltà a comunicare con la lingua cho’ol, o tzotzil, o tojolabal, o zoque, o mame, o quiché. Quindi devi imparare lo spagnolo. E le scuole autonome sono molto importanti per questo. Ad esempio, la nostra generazione parla la sua lingua combinata con lo spagnolo, cioè parliamo strano. Ma le giovani generazioni che hanno studiato nelle scuole autonome conoscono il castigliano meglio di alcuni cittadini. Il compianto SupMarcos diceva che questi giovani possono correggere gli scritti degli universitari. Mentre prima, per fare una denuncia, dovevi andare dalla Comandancia per scriverla, poi non più. In ogni autorità autonoma c’era uno scrivano e, beh, ha funzionato.

Quindi un tipo di progresso ne spinge un altro. E subito dopo, questi giovani volevano di più, saperne di più. Quindi abbiamo organizzato la nostra salute in ogni città, in ogni regione e zona. Abbiamo progredito in ogni settore della salute, ostetricia, piante medicinali, ortopedia, laboratori, dentisti, ultrasuoni, tra gli altri settori, ci sono cliniche. E lo stesso nella scuola, cioè nell’educazione. Diciamo scuola, perché anche a noi adulti manca l’educazione, per noi è molto ampia l’educazione, non solo quella dei bambini e degli adolescenti.

Inoltre abbiamo organizzato il lavoro produttivo perché disponiamo ormai dei terreni che prima erano in mano ai latifondisti. E così lavoriamo come famiglia e come collettivo nei campi di mais, di fagioli, di caffè, negli orti e nelle fattorie. E un po’ di bestiame, che viene utilizzato più per le emergenze economiche che per le feste. Il lavoro collettivo ha permesso l’indipendenza economica dei compagni e questo ha portato molte altre cose. Ma di questo si è già parlato.

Una scuola.

Cioè, abbiamo imparato a governarci da soli e così siamo riusciti a mettere da parte i malgoverni e le organizzazioni che si dicono di sinistra, progressiste e non so che. 30 anni imparando cosa significa essere autonomi, cioè ci auto-dirigiamo, ci auto-governiamo. E non è stato facile, perché tutti i governi che sono passati dal PRI, PAN, PRD, PT, VERDE e MORENA, non hanno mai smesso di tentare di distruggerci. Per questo, come i governi passati, questo ha detto che siamo ormai scomparsi, o che siamo fuggiti, o che siamo sconfitti, o che non c’è più niente di zapatista, che siamo scappati negli Stati Uniti o in Guatemala. Ma vedete, eccoci qui. In resistenza e ribellione.

E la cosa più importante che abbiamo imparato con i MAREZ è che l’autonomia non è una questione di teoria, di scrivere libri o fare discorsi. Va fatta. E dobbiamo farla da noi come comunità, e non aspettare che qualcuno venga a farla per noi.

Tutto questo è, diciamo, il buono dei MAREZ: una scuola di autonomia nella pratica.

E anche le Giunte di Buon Governo sono state molto importanti perché con queste abbiamo imparato a scambiare idee sulle lotte con altri fratelli del Messico e del mondo, dove abbiamo visto del giusto l’abbiamo accolto e dove abbiamo visto che non lo era, l’abbiamo scartato. Alcuni ci dicono che dobbiamo obbedire. Perché mai? Abbiamo messo in gioco la nostra vita. Cioè, il nostro sangue e quello delle generazioni di prima e di quelle che verranno. Nessuno ci deve venire a dire cosa fare, anche se si credono molto esperti. Con le JBG abbiamo imparato a incontrarci e organizzarci, a pensare, a opinare, a proporre, a discutere, a studiare, ad analizzare e a decidere da noi stessi.

Quindi, in sintesi, ti dico che MAREZ e JBG ci hanno aiutato a imparare che la teoria senza pratica è pura chiacchiera. La pratica senza teoria è camminare come un cieco. E poiché non esiste una teoria su ciò che abbiamo iniziato a fare, cioè non esiste un manuale o un libro, allora abbiamo dovuto creare anche la nostra teoria. A tentoni abbiamo fatto teoria e pratica. Penso che sia per questo che non piacciamo molto ai teorici e alle avanguardie rivoluzionarie, perché non solo gli togliamo il lavoro, ma mostriamo loro anche che le chiacchiere sono una cosa e la realtà è un’altra. Ed eccoci qui, gli ignoranti e arretrati, come ci chiamano, che non riescono a trovare la strada perché siamo solo campesinos. Ma eccoci qui e anche se ci negano, esistiamo. È così.

La Piramide.

Ora arriva il brutto. O più che il brutto, ciò che ha dimostrato di non essere più utile per ciò che verrà. Oltre ai difetti intrinseci. Racconteremo come tutto questo è iniziato.

Il problema principale è quella dannata piramide. La piramide separava le autorità dalle comunità, comunità e autorità si allontanavano. Le proposte delle autorità non arrivano così come erano alla comunità, né le opinioni della comunità arrivavano alle autorità.

A causa della piramide venivano tagliate molte informazioni, linee guida, suggerimenti, supporto delle idee che i colleghi del CCRI spiegavano. La Giunta di Buon Governo non trasmetteva integralmente e la stessa cosa succedeva con le Autorità dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, e di nuovo si ripeteva quando i MAREZ informavano le assemblee di autorità delle comunità e per ultimo così succedeva con le autorità delle comunità quando riferivano ad ogni villaggio. Avvenivano molti tagli di informazione o interpretazioni, o entrambi che non corrispondevano all’originale.

Si sono fatti anche molti sforzi nella formazione delle autorità che ogni 3 anni turnavano. Ma le autorità delle comunità non si preparavano in tempo. Quindi, non si realizzava la turnazione. Lo chiamavamo “Collettivo di governo” ma non funzionava bene, poche volte funzionava ed era più quello che non andava che quello che andava, tanto nei MAREZ che nelle JBG.

Si stava cadendo nel voler decidere da parte delle autorità le faccende e le prese di decisioni, come MAREZ e JBG. Volevano mettere da parte i 7 principi del comandare obbedendo.

Ci sono state anche delle ONG che volevano che fossero accettati dei lor progetti nella JBG e nel MAREZ che non erano ciò di cui la comunità aveva bisogno. O persone in visita che facevano amicizia con qualche famiglia o comunità e solo a queste inviavano aiuti. E alcuni visitatori volevano addirittura comandarci e trattarci come loro servi. Così, con grande gentilezza abbiamo dovuto ricordare loro che siamo zapatisti.

In alcuni MAREZ e JBG c’è stata anche una cattiva amministrazione delle risorse della comunità e, naturalmente, sono stati sanzionati.

In sintesi, si è visto che la struttura per come si governava, una piramide, non è la strada giusta. Non viene dal basso, ma viene dall’alto.

Se lo zapatismo fosse solo l’EZLN, sarebbe facile dare ordini. Ma il governo deve essere civile, non militare. Poi le persone devono trovare la loro strada, il loro modo e il loro tempo. Dove e quando cosa. L’esercito dovrebbe essere solo per la difesa. La piramide può essere utile per scopi militari, ma non per scopi civili. Questo è ciò che crediamo.

Un’altra volta racconteremo com’è la situazione qui in Chiapas. Ora diciamo solo che è come altrove. È peggiorata degli ultimi anni. Adesso ti uccidono in casa, per strada, nei villaggi. E non esiste un governo che ascolti le richieste della gente. E non fanno nulla perché sono loro stessi i criminali.

Non solo questo. Abbiamo già detto che vediamo tante disgrazie che stanno per arrivare o che sono già arrivate. Se vedi che sta per piovere o che stanno cadendo le prime gocce e il cielo è nero come l’anima di un politico, allora tiri fuori la cerata e cerchi un riparo. Il problema è che non c’è nessun posto dove ripararsi. Devi costruire il tuo rifugio.

Il fatto è che abbiamo visto che con MAREZ e JBG non saremmo stati in grado di affrontare la tempesta. Abbiamo bisogno che la Dení cresca e viva e che tutte le altre sette generazioni nascano e vivano.

Per tutto questo e altro, siamo entrati in una fase di grandi riflessioni e siamo giunti alla conclusione che serviva una grande discussione e analisi con tutte le comunità per trovare il modo di affrontare la nuova e brutta situazione e contemporaneamente trovare come continuare a governarci. Si sono svolte riunioni e assemblee, zona per zona, finché non si è raggiunto l’accordo che non ci saranno più state le Giunte di Buon Governo né i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti. E che avevamo bisogno di una nuova struttura, cioè di sistemarci in un altro modo.

Naturalmente questa proposta non riguarda solo la riorganizzazione. È anche una nuova iniziativa. Una nuova sfida. Ma lo diremo più avanti.

Quindi in generale, per farla breve, i MAREZ e le JBG sono stati molto utili in quella fase. Ma c’è un altro passaggio e quei vestiti sono oramai troppo corti, laceri, e anche se li rammendi non servono più. Perché arriverà il momento in cui avrai addosso solo brandelli di tessuto.

Quindi quello che abbiamo fatto è stato tagliare la piramide. Abbiamo tagliata la punta. O meglio, l’abbiamo capovolta.

Celebrare il passato o il futuro?

Dobbiamo continuare a camminare e in mezzo alla tempesta. Ci siamo già trovati a camminare con tutto contro di noi.

I prossimi dicembre e gennaio non celebreremo i 30 anni della sollevazione. Per noi ogni giorno è una festa, perché siamo vivi e lottiamo.

Celebreremo l’inizio di un percorso che durerà almeno 120 anni, forse più. Siamo sulla breccia da 500 anni, quindi non manca molto, solo poco più di un secolo. È, come dice José Alfredo Jiménez, “appena dietro la collina”.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

(Frammento dell’intervista realizzata dal Capitán Marcos, per i Tercios Compas. Copyright Messico, novembre 2023. Autorizzazione della JBG… ah wow, ma non ci sono più le Giunte… beh, dei MAREZ… beh, neanche… Beh, il fatto è che è autorizzato. L’intervista è stata condotta alla vecchia maniera, cioè come facevano i giornalisti, con taccuino e penna. Adesso non vanno nemmeno sul posto a cercare la notizia, la prendono dai social. Sì, è un peccato).

In Fede.

El capitán, che balla la cumbia “Sopa de Caracol”. Accidenti al fango!

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/14/decima-parte-acerca-de-las-piramides-y-sus-usos-y-costumbres-conclusiones-del-analisis-critico-de-marez-y-jbg-fragmento-de-la-entrevista-hecha-al-subcomandante-insurgente-moises-en-los-meses-de-ag/

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Nona parte: La Nuova Struttura dell’Autonomia Zapatista

Novembre 2023

Fratelli e sorelle, compagni e compagne:

Cercherò di spiegarvi come abbiamo riorganizzato l’autonomia, cioè la nuova struttura dell’autonomia zapatista. Spiegherò più avanti in modo più dettagliato. O forse non mi spiegherò oltre, perché ciò che conta è la pratica. Naturalmente potete anche venire all’anniversario e assistere alle rappresentazioni teatrali, le canzoni, le poesie, l’arte e la cultura di questa nuova fase della nostra lotta. In caso contrario, i Tercios Compas vi invieranno foto e video. In un altro momento vi dirò cosa abbiamo visto di buono e di male nella valutazione critica dei MAREZ e JBG. Ora vi dirò solo come è. Vai:

Primo. – La base principale, che non è solo il luogo in cui si sostiene l’autonomia, ma anche senza la quale le altre strutture non possono funzionare, è il Governo Autonomo Locale, GAL. Esiste un GAL in ogni comunità dove ci sono basi di appoggio zapatiste. I GAL zapatisti sono il nucleo di ogni autonomia. Sono coordinati da agenti e commissari autonomi e sono soggetti all’assemblea del villaggio, ranchería, comunità, luogo, quartiere, ejido, colonia o come si chiami ciascuna comunità. Ogni GAL controlla le proprie risorse organizzative autonome (come scuole e cliniche) e i rapporti con le vicine comunità sorelle non zapatiste. E controlla il corretto utilizzo dei soldi. Rileva e segnala inoltre cattiva gestione, corruzione ed errori che potrebbero verificarsi. E vigila su coloro che vogliano spacciarsi per autorità zapatiste per chiedere appoggi o aiuti da utilizzare a proprio beneficio.

Quindi, se prima esisteva qualche decina di MAREZ, cioè i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, ora ci sono migliaia di GAL zapatisti.

Secondo. – A seconda delle necessità, dei problemi e dei progressi, i diversi GAL si riuniscono nei Collettivi di Governo Autonomo Zapatista, CGAZ, dove si discutono e si stipulano accordi su questioni che interessano i GAL convocanti. Quando lo decide, il Collettivo dei Governi Autonomi convoca un’assemblea delle autorità di ciascuna comunità. Qui vengono proposti, discussi e approvati o respinti i piani e i bisogni riguardo a Sanità, Educazione, Agroecologia, Giustizia, Commercio e quelli necessari. A livello CGAZ ci sono i coordinatori di ciascuna area. Non sono autorità. Il loro compito è vigilare sullo svolgimento dei compiti richiesti dai GAL o necessari per la vita comunitaria. Come ad esempio: campagne di medicina preventiva e di vaccinazione, campagne per le malattie endemiche, corsi e formazione specialistica (come tecnici di laboratorio, radiografie, ecografie, mammografie e quello che c’è da imparare), alfabetizzazione e livelli superiori, eventi sportivi e culturali, feste tradizionali, ecc. Ogni regione o CGAZ ha i suoi direttivi che sono quelli che convocano le assemblee se c’è un problema urgente o che coinvolge più comunità.

Vale a dire che dove prima c’erano 12 Giunte di Buon Governo, ora ce ne saranno centinaia.

Terzo. – Seguono poi le Assemblee dei Collettivi dei Governi Autonomi Zapatisti, ACGAZ. Che sono quelle che prima erano conosciute come zone. Non hanno autorità, ma dipendono dai CGAZ. Ed i CGAZ dipendono dai GAL. La ACGAZ convoca e presiede le assemblee di zona, quando necessario secondo le richieste dei GAL e dei CGAZ. Hanno sede nei Caracol ma si spostano da una regione all’altra. In altre parole, sono mobili, a seconda delle richieste specifiche delle comunità.

Quarto. – Come si potrà vedere nella pratica, il Comando e Coordinamento dell’Autonomia si è trasferito dalle JBG e MAREZ ai villaggi e comunità, ai GAL. Le zone (ACGAZ) e le regioni (CGAZ) sono comandati dalle comunità, devono rendere conto alle comunità e cercare il modo di soddisfare i loro bisogni riguardo a Salute, Educazione, Giustizia, Alimentazione e quelli che sorgono in caso di emergenze a causa di disastri naturali, pandemie, crimini, invasioni, guerre e altre disgrazie che il sistema capitalista porta con sé.

Quinto. – La struttura e la disposizione dell’EZLN sono state riorganizzate per aumentare la difesa e la sicurezza delle popolazioni e della madre terra in caso di aggressioni, attentati, epidemie, invasione di imprese depredatrici della natura, occupazioni militari parziali o totali, disastri naturali e guerre nucleari. Ci siamo preparati affinché i nostri popoli sopravvivano, anche isolati gli uni dagli altri.

Sesto. – Capiamo che abbiate difficoltà ad assimilare tutto questo. E che ci vorrà un bel po’ di tempo per capirlo. A noi ci sono voluti 10 anni per pensarlo e di questi 10 anni, 3 per predisporlo a metterlo in pratica.

Comprendiamo anche che vi sentiate confusi. Ecco perché è necessario cambiare il vostro canale di comprensione. Solo guardando molto lontano, avanti e indietro, si può comprendere il passaggio attuale.

Ci auguriamo che comprenderete che è una struttura nuova di autonomia, che stiamo imparando, e che ci vorrà un po’ perché proceda bene.

In realtà questo comunicato ha solo l’intenzione di dirvi che l’autonomia zapatista continua e avanza, che pensiamo sia meglio per i villaggi, le comunità, i luoghi, i quartieri, le colonie, gli ejidos e le rancherías dove vivono, cioè dove lottano le basi di appoggio zapatiste. E questa è stata una loro decisione, tenendo conto delle loro idee e proposte, delle loro critiche e autocritiche.

Inoltre, come si vedrà, questa nuova fase dell’autonomia è fatta per affrontare il peggio dell’Idra, la sua bestialità più infame e la sua follia distruttiva. Le loro guerre e invasioni affaristiche e militari.

Per noi non esistono frontiere né geografie lontane. Tutto ciò che accade in qualunque angolo del pianeta ci colpisce e ci coinvolge, ci preoccupa e ci ferisce. Nella misura delle nostre pochissime forze, sosterremo gli esseri umani in difficoltà indipendentemente dal loro colore, razza, nazionalità, credo, ideologia e lingua. Anche se non conosciamo molte lingue né comprendiamo molte culture e modi, sappiamo comprendere la sofferenza, il dolore, la tristezza e la rabbia degna che il sistema provoca.

Sappiamo leggere e ascoltare i cuori fratelli. Continueremo a cercare di imparare da loro, dalle loro storie e dalle loro lotte. Non solo perché ne soffriamo da secoli e sappiamo cosa vuol dire. Anche e soprattutto perché, come da 30 anni, la nostra lotta è per la vita.

Sicuramente abbiamo commesso molti errori in tutti questi anni. Sicuramente ne faremo altri nei prossimi 120 anni. Ma NON ci arrenderemo, NON cambieremo strada, NON ci venderemo. Rivedremo sempre la nostra lotta, i suoi tempi e i suoi modi con occhio critico.

I nostri occhi, le nostre orecchie, la nostra testa e il nostro cuore saranno sempre pronti a imparare da altri che, sebbene diversi in molte cose, hanno le nostre stesse preoccupazioni e desideri simili di democrazia, libertà e giustizia.

E cercheremo sempre il meglio per la nostra gente e per le nostre comunità sorelle.

Siamo zapatisti!

Finché ci sarà anche solo uno, una, unoa zapatista in ogni angolo del pianeta, resisteremo ribellandoci, cioè lotteremo.

Lo vedrete amici e nemici. E pure quelli che non sono né uno né l’altro.

Solo per ora.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, novembre 2023

Oltre 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo.

P.S.- Qui uno schema per meglio comprendere.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/12/novena-parte-la-nueva-estructura-de-la-autonomia-zapatista/

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Ottava Parte: P.S. CHE BISOGNA LEGGERE PER SAPERE DI COSA SI TRATTA

Novembre 2023

La leggenda narra che, nei tempi in cui il tempo non contava, la pioggia e la notte coprivano la Casa degli Esseri. Poi è andata via la luce. Tutto era buio. Donne, uomini e altri inciampavano e si scontravano tra loro. Per questo motivo discutevano e litigavano tra fratelli e vicini di casa. Non si riconoscevano nemmeno nonostante fossero familiari e conoscenti perché era molto buio. Si litigava parecchio.

I primi dei, coloro che crearono il mondo, erano pigri, sdraiati sulle loro amache i raccontavano pettegolezzi e storie. Ma il chiasso nella Casa degli Esseri li raggiunse. “Cos’è questo chiasso?”, chiese uno. “Chi lo sa”, rispose un altro. Ixmucané, che era la dea madre, disse: “Vediamo di cosa si tratta”, ma quando scese dall’amaca cadde sbattendo a terra la faccia che risultò ammaccata, cioè come se avesse delle crepe. Ixmucané si alzò da terra e non imprecò perché le parolacce non erano ancora state inventate. Si diede una spolverata. Sollevò un poco la gonna e corse verso la Casa degli Esseri.

Gli dei si scambiarono uno sguardo e non dissero niente, ma pensarono “Vuoi vedere che ci batterà una donna?” e scesero dalle loro amache, ma facendo attenzione, e corsero per raggiungere Ixmucané. Ma si scopre che, poiché erano stati pigri, non avevano pulito il loro posto che era tutto un cespuglio. Pieno di acahual (girasole selvatico). Abbondavano tzaw ch´ix (spine), rami secchi, paglia tagliente (che chiamano anche gezau h´ak) e ch´oox tz´an, che è una liana con le spine. Ma corrono e saltano come possono mentre si lamentano, perché non avrebbero permesso di essere battuti da una donna. Arrivarono quindi alla Casa degli Esseri, tutti graffiati ed ammaccati in viso e mani. Ma nessuno vide che erano feriti, perché non c’era luce. Per questo si crede che gli dei non hanno ferite.

Neanche gli dei vedevano niente. Tutto era buio. Solo per il rumore si sapeva che c’era altra gente. “E adesso?”, si domandarono gli dei. Ixmucané non si chiese nulla, ma restò pensierosa. Gli dei maschi erano sempre molto fanfaroni e cominciarono a dire che bisogna andare a cercare legno di ocote. Un altro diceva che bisognava inventare il faretto e la lampada ad olio. Un altro che bisognava catturare un buon numero di lucciole. E così via.

Ixmucané pensò: “Bisogna rimettere la luce. Ma per rimetterla, dobbiamo trovarla. E per trovarla, dobbiamo sapere dove cercarla. E per sapere dove cercarla, dobbiamo sapere che cosa è successo”.

Ixmucané riunì gli uomini, le donne e otroas di mais. Allora c’erano solo uomini, donne e otroas di mais, erano di molti colori e ognuno aveva il suo modo. Non c’erano religioni, né nazioni, né Stati, né partiti politici, né tutto quello che nacque dopo come seme della guerra. Quindi, quando Ixmucané disse “venite fratelli e sorelle”, guidati dalla sua voce arrivarono tutti gli uomini e le donne e anche otroas – perché non si sentivano esclusi -.

Così si riunirono in assemblea. Non si vedevano perché non c’era luce, ma potevano parlare e ascoltarsi.

Ixmucané domandò loro “Che cosa facciamo?”. Gli uomini, le donne e otroas non si vedevano – perché non c’era luce – ma restarono in silenzio. Fino a quando una voce disse “Bene, dicci tu cosa faremo”. Gli applausi non si videro, ma si sentirono bene. Ixmucané rise di gusto e disse “Nemmeno io lo so. Non lo sappiamo, ma forse così riuniti, in assemblea e parlandone, magari usciranno delle idee su cosa fare”. Rimasero tutti in silenzio pensando che cosa fare.

L’unico rumore che si sentiva era il rumore degli dei maschi che litigavano tra loro per dove diavolo era l’ocote, se qualcuno si fosse ricordato di creare le lucciole, che se non toccava a me, che se quello dipendeva da non so chi era da papero [ridicolo – n.d.t.] e cosa è un “papero” se le papere non sono ancora state create. E così via.

Nell’assemblea si parlava e si proponeva cosa fare. Prima erano solo poche voci, poi sempre di più. Poi si dovette stabilire un ordine per parlare e mettere qualcuno a scrivere quanto concordato. Siccome non c’era luce per scrivere né per leggere, c’era solo la parola parlata, nominarono Ixmucané che conserva nella sua testa ciò che viene detto e poi ne parla.

Furono dette molte idee e parole che non ci stavano più nella testa di Ixmucané. Allora cominciò a tenerli tra i capelli e i suoi capelli si allungarono, ecco perché le donne hanno i capelli lunghi. Ma neanche questo bastò, anche se si sistemò i capelli e fu allora che venne inventato il “fermaglio per capelli” che, come indica il nome, significa “afferra idee”. I capelli di Ixmucané toccavano ormai terra e continuavano a parlare idee e parole. Allora Ixmucané cominciò a conservare le idee nelle ferite che si era procurata cadendo con le spine e le liane. Aveva ferite ovunque: in viso, sulle braccia, mani, gambe. Tutto il suo corpo era pieno di ferite cosicché poté conservare tutto. Per questo dicono che le persone anziane, sagge, hanno tante rughe e cicatrici perché hanno molte idee e storie. Cioè, sanno molto.

Vi racconterò un’altra volta quello che decisero in quella prima assemblea nella Casa degli Esseri, ma ora vi dico ciò che disse Ixmucané: “Bene, ora abbiamo un piano per affrontare questo problema. Poiché il mondo sta appena nascendo e stiamo dando un nome a ogni cosa o caso, per non confonderci chiameremo ciò che abbiamo fatto “in comune”, perché tutti partecipiamo: alcuni dando idee, altri che ne propongono altre, e c’è chi parla e c’è chi prende nota di ciò che viene detto”.

Dapprima calò il silenzio. Un silenzio pesante, forte. Poi si sentì un applauso, poi un altro, e poi tutti applaudirono e si sentiva che erano molto contenti. E non si misero a ballare perché non si vedeva un accidente. Ridevano tutti perché avevano trovato una nuova parola che si chiama “in comune” che vuol dire “cercare insieme la strada”. E non la inventarono gli dei primi, quelli che crearono il mondo, ma furono gli uomini, le donne e otroas di mais che, in comune, trovarono la parola, cioè, la strada.

-*-

Ixmucané era la più saggia di tutti gli dei e, siccome fu la prima ad arrivare alla Casa degli Esseri, aveva più ferite, per la caduta e per la corsa tra i girasoli selvatici, e così restò segnata da quelle cicatrici. “Rughe” e “cicatrici”, le chiamarono. Da allora, le rughe e le cicatrici rappresentano la saggezza. Più rughe e cicatrici, più saperi. Chiaro, allora non c’erano i social network e nessuno usava trucchi e modificava le sue foto con le App. Poi succede che vedi la foto del profilo e poi vedi la realtà, e allora vuoi scappare. No, le rughe e le cicatrici erano un orgoglio e non per tutti. Perfino gli uomini e le donne giovani si dipingevano rughe e cicatrici o addirittura si buttavano tra i rovi per graffiarsi in volto con le spine. Perché non contava chi fosse più bella o bello, bensì chi era più saggia o saggio. Invece di “followers” e “likes” si cercava chi aveva più rughe e cicatrici.

Eh, sì.

-*-

Sì, anche io vorrei sapere che cosa accadde con la luce persa. Forse dopo, in un altro poscritto, lo sapremo. Per ora, dobbiamo imparare a camminare e vivere nell’oscurità.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Novembre 2023. 40, 30, 20, 10 anni dopo.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/11/octava-parte-p-d-que-hay-que-leer-para-saber-de-que-trata/

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Settima Parte: Uno Scarabeo in Streaming

Novembre 2023

Durito mi ha inoltrato questo che ha ricevuto uno dei suoi milioni (così diceva) di fan:

Aggiunge quanto segue:

Anche se è un dettaglio che abbiano cambiato il colore dal nero al blu, che protegge la mia identità segreta, può darsi che vogliano evitare di pagare i diritti d’autore. Soprattutto per la mia discreta partecipazione allo sciopero della SAG-AFTRA, insieme alla mia ammirata Susan. Ad ogni modo, apprezzo l’umile tributo della HBO al più grande supereroe che il pianeta Terra abbia mai dato alla luce: Io”.

Quasi contemporaneamente mi arriva questo messaggio dal Community Manager di HBO:

«In relazione all’annuncio della programmazione del suddetto film, la HBO chiarisce che non si fa riferimento a Don Durito (DD per questioni legali) né si tratta di un riferimento al prossimo anniversario dell’EZLN. È una semplice coincidenza. HBO ribadisce il suo impegno nei confronti del sistema e sta già adottando misure per punire i responsabili della nostra programmazione per questo deplorevole malinteso. La HBO non fa film, né programma la proiezione di film di veri supereroi, ma solo di quelli di fantasia. E, anticipando le richieste del suddetto DD, avvertiamo che tutta la documentazione che tutela la nostra innocenza è depositata presso il nostro ufficio legale. Non accetteremo richieste superiori a 10 milioni di dollari, anche se saremmo disposti a reindirizzare il risarcimento in Guerrero, purché si tratti di un importo ragionevole che non superi la somma indicata e che non passi attraverso il Congresso dell’Unione del cimitero chiamato Messico. Siamo a vostra disposizione per raggiungere un accordo ragionevole. Cordiali saluti. L’amministratore delegato della HBO».

Penso che la cosa sia andata ormai fuori controllo.

Ora Durito sarà insopportabile. Beh, lo era già, ma ora lo sarà di più.

Dall’ufficio del Rappresentante Artistico di DD (per questioni legali).

El Capitán

Novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/10/septima-parte-un-escarabajo-en-streaming/

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SESTA PARTE:
POSCRITTO CHE CERCA SPERANDO DI TROVARE

Novembre 2023

P.S. CHE DICE QUELLO CHE DICE. – Come disse uno dei defunti Sup: “la storia si ripete due volte: una volta come disgrazia e l’altra pure”. E questo assioma della vita arriva proprio al caso, o cosa, dipende, perché ho ricevuto un pacco con una breve nota. No, non è della SEGALMEX (quelli esportano, non importano). Il pacco ha il timbro postale di “una geografia lontana”, delle lontane Europe. La data è sbiadita, ma si legge il mittente: “Non sono Don Durito de La Lacandona, da non confondere. Sono solo un’entità IA”. Questa frase avrebbe dovuto bastare a mettermi in allerta, ma comunque ho letto il biglietto e ho aperto il pacco. La nota è breve e dice:

Mio caro e mai rimpianto Cyrano: sarò breve e preciso. Vado là in tuo aiuto. Non aspettarmi perché andrò in incognito. Non ho ancora deciso se mi travestirò da nuvola o da Bad Bunny o da Luis Miguel o da Al Pacino. Comunque, qualcosa che mi permetta di passare inosservato, mi capisci. Per ora, e visto che c’è tormenta, ti mando il mio ultimo libro. È tutto. Da un angolo della… Slovenia?… eh, come si chiama questo posto? Cipro? Eh? Penso che metterò “Europa dell’Est”… Eh? Neppure? Ok, allora al diavolo la geografia di sopra: da “The Cardinal Points”. Domicilio noto. Codice postale… Ehi, qual è il codice postale? Eh? 666? Nah, è uno scherzo, vero? No? Qualcuno là fuori può confermare che si tratta di uno scherzo? Hola? Hola? Firma: Durito travestito da IA”.

Sì, lo so. Ma credetemi, quando si tratta di Durito il messaggio è breve e preciso. Il libro in copertina, c’erano dubbi? Ha uno scarabeo… in smoking?!, e il titolo molto rassicurante “Manuale di Sopravvivenza in caso di Collasso Mondiale”. E, più sotto, “Tutto quello che avreste voluto sapere per affrontare la fine del mondo con stile ed eleganza. Progetta l’outfit ideale per la fine dei tempi. Sii la sensazione nell’Apocalisse. Sììì!”

Il libro in questione ha solo una pagina bianca e un poscritto perduto in un angolo: “CERCATE CHI GIÀ VIVE L’INFERNO CHE ASPETTA TUTTI. CERCATE CHI CERCA”.

P.S. PER LE CERCATRICI. – Prima di loro, si sapeva solo, per esempio, delle signore del FNCR. Ma poi ne apparvero altre, mi sembra dal sessennio di Vicente Fox. Prima solo poche e disperse nella geografia. Poi di più. Quindi in gruppi. Ora, in tutta questa fossa clandestina che si chiama “Messico”, vanno da una parte all’altra alla ricerca di chi manca loro. Non c’è nessuno che le aiuti o sostenga. Sono sole nel senso che contano solo su loro stesse. Sì, ci sono anche uomini, ma la maggioranza sono donne. No, non sono di moda. I desaparecidos non votano, di questo si tratta. Nei diversi governi è passato tutto lo spettro politico elettorale, tutte le bandiere elettorali, tutte le sigle di partito, e la professione di “CERCATRICE” cresce.

Anni fa, nei moduli da compilare per le pratiche, c’era una riga dove si metteva “occupazione”. Di solito le donne mettevano “casalinga”, “impiegata”, “professionista”, “studentessa”, ecc..

La mostruosità di un sistema ha creato un’altra occupazione: quella di “cercatrice”. Forse la più terribile, angosciante, penosa ed anacronistica di tutte le occupazioni.

Poche cose segnalano di più il fallimento di una proposta politica del potere quale l’esistenza e la crescita della professione di CERCATRICE.

Immaginate che qualcuno le intervistasse: “Mi dica, lei a cosa si dedica?”. E lei risponde “a cercare”. “E quanto guadagna per questo lavoro?”. “Niente”. “E come fa?”. “Non so, ma so che devo farlo. E devo farlo perché lei/lui sa che non mi fermerò fino a che non li troverò”. “C’è qualcosa che vorrebbe dire alla gente?”. “Sì, guardatemi, sono voi nel futuro se non facciamo niente”. La giornalista scoppia in lacrime. Ancora sta piangendo. E loro? Beh, continuano a cercare.

Nel frattempo, qualcuno nelle montagne del Sudest Messicano scrive:

“Alle Cercatrici:

Avevamo pensato ad un incontro con voi che non fosse di dolore, ma di gioia. Sapete: balli, canti, poemi, cinema, opere teatrali, disegni infantili, cose così. Non qualcosa che allevi o curi quella ferita che non si chiude, bensì solo una festa, quella che merita la vostra lotta.

Ma un essere nefasto, di quelli che non mancano mai, voleva trasformare quella riunione in una leva elettorale per la cosiddetta opposizione. Richiamare al “voto critico” per Bertha e quelle sciocchezze che servono solo affinché un opportunista si prenda una poltrona. Per questo non l’abbiamo realizzata… non ancora. Non avremmo permesso che si macchiasse il vostro nobile impegno.

Ma vi diciamo qui quello che vi avremmo detto là: “Non smettete di cercare. Quelle persone assenti valgono per il sangue che hanno ereditato, il vostro. Non conosciamo chi vi manca, ma conosciamo voi e la nobiltà della vostra lotta. Non arrendetevi non vendetevi, non cedete. Benché l’orrore che affrontate non sia di moda, la vostra causa è giusta e nobile. E nessun politico può dire la stessa cosa. La vostra ostinata dignità insegna e mostra la strada. Magari più persone vi guardassero come vi guardiamo noi popoli zapatisti: con ammirazione e rispetto”.

P.S.- A Gaza. – L’infanzia palestinese assassinata non è una vittima collaterale, è l’obiettivo principale di Netanyahu, lo è sempre stato. Questa guerra non è per eliminare Hamás. È per ammazzare il futuro. Hamás sarà solo la vittima collaterale. Il governo di Israele ha già perso la battaglia mediatica, perché risulta che il genocidio, anche se mascherato da vendetta, non ha tanti seguaci come credevano. Ora è capace della crudeltà più inimmaginabile. Chi forse potrebbe fermare il massacro è… il popolo di Israele.

Salute e che chi cerca, trovi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Novembre 2023

40, 30, 20, 10 anni dopo.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/09/sexta-parte-posdata-que-busca-esperando-encontrar/

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QUINTA PARTE:AHÍ VA EL GOLPE, JOVEN

Novembre 2023

P.S. DI AVVISO. – Stavamo per raccontarvi di cosa si tratta, ma leggere, vedere e ascoltare la sfilza di atrocità che gli “specialisti” di tutto e conoscitori di nulla dicono e scrivono (su presunti ritiri, smantellamenti, avanzate della criminalità organizzata e “ritorni al passato” – la maggioranza dovrebbero essere coletos [termine usato per indicare i meticci di San Cristóbal de las Casas – n.d.t.] -), abbiamo quindi deciso che era meglio lasciarli continuare a ruttare.

Con le loro approfondite analisi e fondate ricerche, gli zapatologi concludono: “Un esempio della sconfitta zapatista è la perdita dell’identità indigena: i giovani indigeni indossano ormai stivali da cowboy invece di camminare a piedi nudi o con i sandali. E per corteggiare le ragazze indossano pantaloni e camice nuovi – o stirati! – invece di indossare braghe di tela e comprare la loro moglie secondo gli usi e costumi indigeni. E vanno in motocicletta invece di portare sulla schiena i loro padroni coletos. Manca solo che le giovani donne indigene indossino pantaloni o che, orrore!, giochino a calcio e guidino veicoli, invece di servire le signore coletas. Osino persino ballare cumbia e ska invece del Bolonchon, e cantare rap e hiphop invece di salmi e odi ai latifondisti. E come ulteriore segno della perdita della loro identità indigena, che si arrivi all’assurdo che ci siano subcomandantes, comandantes e comandantas! E si governino da soli. E non chiedano il permesso di essere come vogliono loro. E viaggino e conoscano altre terre. E lavorino e si guadagnino la paga senza indebitarsi negli spacci del padrone. E non vengano tenuti in campi di concentramento, come a Gaza, in modo che non raccolgano idee “sinaloensi”, cioè straniere – beh, i mayo-yoreme di Sinaloa [gruppo indigeno del nord di Sinaloa – n.d.t.], sono solo per i narcocorrido -. Per colpa dello zapatismo noi antropologi non avremo più lavoro. Una vergogna. E tutto per non seguire l’avanguardia rivoluzionaria del proletariato o MORENA, è la stessa cosa. Grave errore dello zapatismo che non ci ha obbedito. Perché ormai gli indigeni non abbassano più lo sguardo quando li incontri. Ti guardano con irriverenza, con sfida, con rabbia, come se fossimo noi gli intrusi e non loro, come se fossimo noi i criminali e non loro. Prima lo facevano solo gli zapatisti, adesso qualunque “chamulita” ti tiene testa. E come dice il marxismo-leninismo-stalinismo-maoismo-trotskismo-tutti-ismi, ogni indigeno che non sia come nel manuale di antropologia è un narco”.

Siamo sicuri che, più tardi, quando si conoscerà tutto il senso di questa tappa, avranno un minimo di onestà per dire e pubblicare: “Non abbiamo la minima idea di quello che hanno fatto, di quello che fanno o di quello che faranno. La cosa migliore sarebbe stata chiedere agli zapatisti e non agli antizapatisti”. O non sono così onesti?

Dite a quei “giornalisti” che è sempre meglio, anche se più scomodo e senza compenso, intervistare gli attori, non gli spettatori, perditempo e paramilitari cialtroni. Il giornalismo investigativo è un lavoro professionale che spesso comporta rischi e disagi. Ma, non preoccupatevi, capiamo che ognuno cerca il sostentamento come può.

Dunque, come saluto agli “zapatologi”, proseguiamo con questi P.S. scritti con molto affetto:

P.S. DALLA CAPITANERIA DI PORTO DI MONTAGNA. – Avevamo preparato una serie di frasi intelligenti per prendere in giro la classe politica nel suo insieme (governo e opposizione), ma ora pensiamo che non abbia senso, visto che ogni gregge ha il suo pastore o ogni pastore ha il suo gregge. Oppure qualcuno crede ingenuamente che la questione sia tra due pastorelle?

Il nostro silenzio in questi anni non è stato, né è, un segno di rispetto o di approvazione di qualcosa, ma piuttosto lo sforzo di guardare oltre e cercare quello che tutti, tutte, todoas cercano: una via d’uscita dall’incubo. Man mano che apprenderete dagli scritti successivi cosa stiamo facendo, forse capirete che la nostra attenzione era altrove.

Ma comprendiamo che più di una persona soffra di quello che noi zapatisti chiamiamo “torcicollo teorico” causato dal guardare in alto e colpisce la capacità di giudizio, il buon senso, la decenza e l’onestà – oltre a creare dipendenza cronica -. Comprendiamo i limiti dei loro orizzonti di analisi. Una cosa è la scrivania, l’accademia, la rubrica giornalistica, il reportage giusto, la posizione nel governo, i pettegolezzi da caffè rivoluzionario o i social network, un’altra cosa è la realtà.

Quest’ultima non solo non paga, ma costa tantissimo. Anche Shakira l’ha detto: la realtà fattura, e non include l’IVA. È così.

Non faremo legna dagli alberi caduti là in alto. La realtà, implacabile testarda, farà la sua parte e le ultime schegge saranno quelle che raccoglierà il crimine organizzato dalle tangenti nei piani degli uni e gli altri.

Alcuni si masturbano con la mañanera [riferimento alla conferenza stampa mattutina del presidente Lopez Obrador – n.d.t.]. Altri con distruzioni, morti, omicidi, stupri, sparizioni, fame, guerre, malattie, dolore e tristezza. Nessuno di loro ha una proposta politica fattibile e seria, si limitano a intrattenere… fino a non mai.

Ma visto che parliamo di autoerotismo: potendo scegliere tra Bertha e Claudia, beh, Wendy.

-*-

Bene, salute e adesso cosa faccio col mio costume per ballare i trap corrido? “Ehi amico, che ne dici di questo cappello?” … Cosa? Non va? Accidenti! È la perdita dell’identità indigena. Spero che gli antropologi arrivino presto a salvarci.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

(bellissimo col suo cappello da cowboy. A ognuno il suo, gente! ¡Ajúa raza! [espressione il cui significato è qualcosa come Viva! – n.d.t.])

Messico, 40, 30, 20, 10 anni dopo.

P.S. “CONTESTUALE”. – Televisa è Televisa e gli antropologi sono antropologi: https://www.nmas.com.mx/noticieros/programas/en-punto/videos/ezln-cierra-caracoles-avance-crimen-organizado/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/08/quinta-parte-ahi-va-el-golpe-joven/

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Quarta Parte e Primo Avviso di Avvicinamento

Alcune Morti Necessarie

Novembre 2023

Alle persone che hanno sottoscritto la Dichiarazione per la Vita:

Comunichiamo quanto segue:

PRIMO. – Alcuni mesi fa, dopo una lunga e profonda analisi critica e autocritica, e dopo aver consultato tutte le comunità zapatiste, si è deciso di far scomparire i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) e le Giunte di Buon Governo.

SECONDO. – Tutti i timbri, intestazioni, incarichi, rappresentanze e accordi recanti il nome di qualsiasi MAREZ o di qualsiasi Giunta di Buon Governo non sono più validi da questo momento in poi. Nessuna persona può presentarsi come membro, autorità o rappresentante di qualsiasi MAREZ o Giunta di Buon Governo. Gli accordi stipulati prima di questa data con Organizzazioni Non Governative, organizzazioni sociali, collettivi, gruppi ed organismi di solidarietà in Messico e nel mondo si mantengono fino alla loro scadenza, ma non si potranno stipulare nuovi accordi con questi organismi di autonomia per la emplice ragione che non esistono più.

TERZO. – I Caracol restano, ma rimarranno chiusi verso l’esterno fino a nuova comunicazione.

QUARTO. – Discuteremo poco a poco le ragioni e il processo attraverso il quale è stata presa questa decisione negli scritti seguenti. Posso solo dirvi che questa valutazione, nella sua fase finale, è iniziata circa 3 anni fa. Vi spiegheremo anche com’è e come si sta sviluppando la nuova struttura dell’autonomia zapatista.

Tutto questo e molte altre cose saranno rese note al momento opportuno.

QUINTO. – Vi informiamo che organizzeremo una celebrazione per il 30° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio. Questo nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024. Tutte le persone che hanno firmato la “Dichiarazione per la Vita” sono invitate.

Tuttavia, mentre vi invitiamo, è nostro dovere scoraggiarvi Contrariamente a quanto riporta e disinforma la stampa ufficiale autoproclamatasi cool-progre-buena-ondita, le principali città dello stato messicano sud-orientale del Chiapas sono nel caos più completo. Le presidenze comunali sono occupate da quelli che noi definiamo “sicari legali” o “Criminalità Disorganizzata”. Ci sono blocchi stradali, aggressioni, sequestri, estorsioni, reclutamento forzato, sparatorie. Questo è l’effetto del patrocinio del governo statale e della disputa in corso per le poltrone. Non sono proposte politiche quelle che si affrontano, ma società criminali.

Quindi ovviamente vi diciamo che, a differenza degli altri anni, non è sicuro.

San Cristóbal de las Casas, Comitán, Las Margaritas e Palenque, per citare alcuni capoluoghi, sono nelle mani di uno dei cartelli della criminalità disorganizzata in conflitto con un altro. Lo confermano i cosiddetti settori alberghiero, turistico, della ristorazione e dei servizi. Chi lavora in questi posti lo sa e non lo denuncia perché minacciato e, inoltre, sa che ogni richiesta è inutile, perché a commettere i reati sono le autorità statali e comunali che non ne hanno abbastanza della rapina che stanno commettendo.

Nelle comunità rurali il problema è ancora più serio. Lo gridano coloro che vivono in tutte le regioni del Chiapas, in particolare in tutta la fascia di confine con il Guatemala.

Ciò che si legge, si sente e si vede nella maggior parte dei media locali e nazionali è solo una pessima e spudorata eco delle reti sociali del governo statale. La verità è che il problema sono le autorità ufficiali. Sì, come nel resto del Paese.

Le forze militari e di polizia federali, statali e locali non sono in Chiapas per proteggere la popolazione civile. Il loro unico obiettivo è fermare la migrazione. Questo è l’ordine ricevuto dal governo nordamericano. Com’è loro abitudine, hanno trasformato l’immigrazione in un business. Il traffico e la tratta di esseri umani sono affari delle autorità che, attraverso l’estorsione, il rapimento e la compravendita di migranti, si arricchiscono spudoratamente.

Quindi non vi consigliamo di venire. A meno che, ovviamente, non siate molto ben organizzati per farlo.

Quindi, anche se non vi aspettiamo, ti invitiamo. Le date provvisorie delle commemorazioni sono tra il 23 dicembre 2023 e il 7 gennaio 2024, con la celebrazione centrale il 30-31 dicembre e l’1-2 gennaio. Vi diremo in seguito il luogo. Quindi vogliamo che veniate, anche se non lo consigliamo.

Anche se non verrete, non preoccupatevi. Invieremo comunque foto e video.

Beh, se esisterà ancora un mondo per quelle date.

Vedremo.

Dalle Montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, novembre 2023

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/05/cuarta-parte-y-primera-alerta-de-aproximacion-varias-muertes-necesarias/

Traduzione “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.com/

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Parte Terza: Dení

Il defunto SupMarcos diceva che non si possono comprendere le motivazioni della sollevazione senza conoscere prima la storia di Paticha, la bambina poco più piccola di 5 anni che gli morì tra le braccia per l’assenza di una pillola per la febbre. Adesso io vi dico che non potrete comprendere quello che successivamente vi spiegherà nel dettaglio il Subcomandante Insurgente Moisés se non conoscete la storia di Dení.

Dení è una bambina indigena, di radici e sangue Maya. È figlia di una insurgenta e di un insurgente indigeni zapatisti. Quando nacque, sarà stato 5 anni fa, la chiamarono con quel nome per omaggiare la memoria di una compagna che morì molti anni fa.

Denì fu conosciuta dal defunto SupGaleano quando era un Patz. Ovvero un tamalito, per quanto era in carne. Di fatti, così la chiamava il Sup: “Patz”. Adesso è magrolina, perché se ne va da una parte all’altra. Denì, quando le insurgente si riuniscono per svolgere un lavoro, si mette, secondo lei, a dargli lezione di salute autonoma. E disegna scarabocchi che, come ha poi spiegato, rappresentano delle promotrici di salute. Lei sostiene che sono meglio le promotrici, perché poi gli uomini non capiscono niente di “como mujeres que somos” [Come siamo come donne]. Sostiene fieramente che, per essere promotrice di salute, devi imparare a saper fare una iniezione che però non ti faccia male. “Perché che succede se hai bisogno di una puntura e non la vuoi perché ti fa male?”

Ora ci troviamo in una riunione delle cape e dei capi zapatisti. Il padre e la madre di Dení non sono presenti, ma la bambina è giunta seguendo Tzotz e la Pelusa, che sono sdraiati ai piedi del Subcomandante Insurgente Moisés e, a quanto pare, stanno attenti a quello che si sta dicendo.

Qualcuno sta spiegando:

“È qui presente Dení e lei è, diciamo, la prima generazione. Da qui a 20 anni, Dení avrà una creatura donna e la chiamerà “Denilita”, e lei sarebbe la seconda generazione. Denilita, 20 anni dopo, concepirà una bambina che si chiamerà “Denilitilla”, ed è la terza generazione. Denilitilla, arrivata ai suoi 20 anni, procreerà una bambina che si chiamerà “Denilititilla”, e si tratterebbe della quarta generazione. Denilititilla, al compiere i 20, partorirà una bambina che chiamerà “Denilí”, la quinta generazione. Denilí ai 20 anni d’età, avrà una bambina che chiamerà “Dení Etcétera”, che arriva ad essere la sesta generazione. Dení Etcétera, 20 anni dopo, ovvero tra 120 anni, avrà una bambina che non possiamo arrivare a sapere che nome ha, perché la sua nascita è già lontana sul calendario, ma lei è la settima generazione”.

Ora interviene il Subcomandante Insurgente Moisés: “Quindi noi dobbiamo lottare affinché questa bambina, che nascerà tra 120 anni, sia libera e sia ciò che voglia essere. Quindi non stiamo lottando perché questa bambina sia zapatista o aderente ai partiti o qualsiasi altra cosa, ma perché possa scegliere, quando avrà giudizio, quale sia il suo cammino. E non solo che possa decidere liberamente, ma anche e, soprattutto, che si assuma la responsabilità di questa scelta. Sarebbe a dire che, tutte le decisioni, quello che facciamo e quello che smettiamo di fare, hanno delle conseguenze. Quindi si tratta della possibilità che questa bambina cresca con tutti gli elementi per prendere una decisione e per assumersi le responsabilità delle sue conseguenze.

Ovvero che non dia la colpa al sistema, ai cattivi governi, al suo papà o alla sua mamma, ai sui familiari, agli uomini, alla sua metà (sia uomo, donna, o quello che sia), alla scuola, alle sue amicizie. Perché questa è la libertà: poter fare qualcosa senza pressioni o obbligo, ma assumendo ciò che si è fatto. Ovvero conoscendo le conseguenze già da prima”.

Il SubMoy si gira a guardare l’adesso defunto SupGaleano, come a dire “tocca a te”. Il defunto che ancora non è defunto (ma che già sa che presto lo sarà), sta prevedendo che un giorno bisognerà raccontare questo agli estranei e inizia:

“Questa Dení alla N-esima Potenza avrà smesso di parlare male dei maledetti uomini? Si che lo farà, come sempre. Ma le sue motivazioni non saranno legate al fatto che si burlarono di lei, la disprezzarono, la violentarono, la molestarono, la stuprarono, la picchiarono, la fecero scomparire, la assassinarono, la squartarono. No, sarà per cose e questioni normali, come il maledetto uomo che fa i peti a letto e appesta la coperta; o che non ci prende con la tazza del bagno; o che rutta come un becero; o che si compra la maglietta della sua squadra preferita, si mette i pantaloncini, calzettoni e scarpe speciali da calcio, per poi sedersi a vedere le partite mentre si imbottisce di popcorn pieni di salsa piccante; o che mette molta cura nella scelta dell’ “outfit” che indosserà per decenni: la sua maglietta preferita, i suoi pantaloncini preferiti, e le sue ciabatte predilette; o perché non lascia mai il telecomando della televisione; o perché non le dice che la ama, anche se lei sa che la ama, anche se un piccolo promemoria ogni tanto non è mai di troppo.”

Tra chi sta ascoltando, le donne, muovono la testa in modo affermativo come a dire “come al solito”; e gli uomini sorridono nervosamente.

Il SubMoy sa che si tratta dell’esordio del SupGaleano e che adesso passerà a quella che si chiama “solidarietà di genere”, e a parlare male delle donne, così che lo ferma giusto quando l’adesso defunto sta dicendo: “Ma sono le donne che…”

“Bene”, dice il SubMoy, “adesso stiamo parlando di una bambina che nascerà tra 120 anni e ci concentreremo su questo”. Colui che sa che soccomberà prende posto, lamentandosi di non aver potuto esporre la sua brillante tesi contro le donne. Il SubMoy continua:

“Quindi dobbiamo pensare a questa bambina. Quindi guardare lontano. E, guardando ciò che sembra molto lontano, bisogna capire che dobbiamo fare affinché questa bambina sia libera.

E questo è importante perché la tormenta è già su di noi. La stessa che avvertivamo quasi 10 anni fa. La prima cosa che vediamo è che la distruzione arriva più velocemente. Quello che pensiamo che sarebbe successo in 10 anni, già è qui.

Voi qui, già lo avete spiegato. Ci avete raccontato quello che vedete nelle vostre zone Tzeltal, Tzotzil, Cho´ol, Tojolabal, Mame, Zoque, Quiché. Sapete già quello che sta succedendo alla madre terra perchè la lavorate e in lei vivete. Sapete che il tempo sta cambiando. “Il clima”, come dicono gli abitanti delle città. Che piove quando non deve, che non piove quando non deve. E così via. Sapete che i momenti della semina non possono essere decisi come facevano i nostri predecessori, perché il calendario è distorto, perché è cambiato.

Ma non solo. Vediamo anche che i comportamenti degli animali sono cambiati, appaiono in zone che non sono di loro abitudine e in stagioni in cui non dovrebbero. Qui e nelle geografie di popoli fratelli, aumentano quelli che chiamano “disastri naturali” che non sono altro che le conseguenze di ciò che fa, e smette di fare, il sistema dominante, ovvero il capitalismo. Ci sono piogge, come al solito, ma adesso sono più violente e in luoghi e stagioni che non sono quelle di prima. Ci sono siccità terribili. E adesso succede che in una stessa geografia – per esempio qui in Messico–, in alcune zone ci sono inondazioni e in altre siccità che le lasciano senza acqua. Ci sono forti venti che sembra come se il vento si scalmanasse e dicesse “ora basta” cercando di buttare giù tutto. Ci sono terremoti, vulcani, parassiti come mai prima. Come se la madre terra stesse dicendo non oltre questo punto, ora basta. Come se l’umanità fosse una malattia, un virus che bisogna espellere vomitando distruzione.

Ma, oltre al fatto che si vede che la madre terra è come in disaccordo, come se stesse protestando, c’è ancora di peggio: il mostro, l’Idra, il capitalismo, che sta rubando e distruggendo come un matto. Adesso vuole rubarsi ciò di cui prima non gli importava e continua a distruggere il poco che rimane. Il capitalismo adesso produce la miseria e chi fugge da questa: i migranti.

La Pandemia del COVID, che è ancora in corso, ha mostrato l’incapacità di un sistema intero a dare una spiegazione reale e a prendere le misure necessarie. Mentre morivano milioni, in pochi sono diventati più ricchi. Si avvicinano già altre pandemie e le scienze lasciano il posto alle pseudo scienza e alle ciarlatanerie convertite in progetti politici di governo.

Vediamo anche quello che chiamiamo il Crimine Disorganizzato, che sono gli stessi malgoverni, di tutti i partiti politici, che si nascondono e duellano per il denaro. Questo crimine Disorganizzato è il principale trafficante di droghe e di persone; quello che si appropria della maggior parte dei sostegni federali; quello che sequestra, assassina, fa scomparire; quello che fa affari con gli aiuti umanitari; quello che estorce, minaccia e chiede il pizzo con tasse che servono a un candidato o una candidata per dire che adesso sì che cambieranno le cose, che adesso sì che si comporteranno bene.

Vediamo popoli originari fratelli che, stanchi di disprezzo, prese in giro e menzogne, si armano per difendersi o attaccare i caxlanes [termine chiapaneco utilizzato per indicare i bianchi o la popolazione meticcia]. E gli abitanti delle città spaventandosi, essendo loro stessi che, con le loro maniere di merda, hanno alimentato questo odio che adesso patiscono e che oramai è fuori controllo. Come nella superba Jovel [San Cristobal de Las Casas, città del Chiapas, in lingua Tzotzil], raccolgono ciò che hanno seminato.

E vediamo con tristezza che combattono anche tra indigeni dello stesso sangue e lingua. Combattono tra di loro per ricevere miserabili aiuti dai malgoverni. O per rubarsi il poco che hanno o che arriva. Anziché difendere la terra, combattono per elemosina.

-*-

Di tutto questo stiamo avvisando gli abitanti delle città e i popoli originari fratelli da quasi 10 anni. Ci sarà chi ci ha dato ascolto, e ci sono molti che non ci hanno neanche preso da conto. Come se hanno visto, e vedono ancora, che tutto questo orrore è ancora molto lontano da loro, nel tempo e nella distanza. Come se vedono solamente quello che hanno di fronte. Non vedono più lontano. O vedono, ma non gli importa.

Come già sappiamo, in tutti questi ultimi anni, ci siamo preparati a questa oscurità. Sono 10 anni che ci stiamo preparando per questi giorni di pena e dolore, per tutti noi che siamo tutti i colori della terra. 10 anni guardando autocriticamente quello che facciamo e quello che non facciamo, quello che diciamo e quello che tacciamo, quello che pensiamo e quello che vediamo. Ci siamo preparati nonostante i tradimenti le calunnie, le menzogne, i paramilitari, il blocco delle informazioni, il disprezzo, i rancori e gli attacchi di chi ci rimprovera di non obbedirgli.

Lo abbiamo fatto in silenzio, senza fracasso, tranquilli e sereni perché guardiamo lontano come al solito, come ci hanno insegnato i nostri predecessori. E lì fuori ci gridano di guardare solamente qui, solamente un calendario e una geografia. È molto piccolo ciò a cui vorrebbero farci guardare. Ma come zapatisti che siamo, il nostro sguardo è della grandezza del cuore, e il nostro cammino non è di un giorno, di un anno o di un sessennio. Il nostro passo è lungo e lascia un’impronta, anche se adesso non si può vedere, o anche se ignorano o disprezzano il nostro cammino.

Lo sappiamo bene che non è stato facile. E adesso tutto è peggio, e dobbiamo guardare a quella bambina da qui a 120 anni. Ovvero dobbiamo lottare per qualcuno che non conosceremo. Né noi, né i suoi figli, né i figli dei suoi figli, e così via. E dobbiamo farlo perché è nostro dovere come zapatisti che siamo.

Stanno arrivando molte disgrazie, guerre inondazioni, siccità, malattie e nel mezzo del collasso dobbiamo guardare lontano. Se i migranti adesso sono migliaia, presto saranno decine di migliaia, poi centinaia di migliaia. Sono in arrivo combattimenti e morti tra fratelli, tra padri e figli, tra vicini, tra razze, tra religioni, tra nazionalità. Bruceranno i grandi edifici e nessuno saprà spiegare il perché, o chi, o per quale motivo. Anche se sembra che per ora no, però sì, si farà peggiore.

Ma, così come quando lavoriamo la terra, quando prima della semina, vediamo già la tortilla, i tamales, il pozol nelle nostre case, così dobbiamo guardare adesso questa bambina.

Se non guardiamo a questa bambina che è già con la sua mamma, ma da qui a 120 anni, non capiremo quello che stiamo facendo. Non lo potremo spiegare ai nostri stessi compagni. E men che meno lo capiranno i popoli, le organizzazioni e le persone sorelle di altre geografie.

Già possiamo sopravvivere alla tormenta, come comunità zapatiste che siamo. Ma adesso non si tratta solo di questo, ma di attraversare questa e altre tormente a venire, attraversare la notte e arrivare a una mattina, da qui a 120 anni, dove una bambina inizia ad imparare che essere libera è anche essere responsabile di questa libertà.

Per questo, guardando questa bambina là da lontano, faremo i cambi e le modifiche che abbiamo discusso e accordato comunemente negli ultimi anni, e che abbiamo già consultato con tutti i popoli zapatisti.

Se qualcuno pensa che riceveremo un premio, o una statua, o un posto in museo, o delle lettere d’orate nel libro della storia, o una paga, o un ringraziamento; allora è giunto il momento che vada a cercare altrove. Perché l’unica cosa che riceveremo, nell’ora della morte, sarà di poter dire “ho fatto la mia parte” e sapere che non è menzogna.

-*-

Il Subcomandante Insurgente Moisés rimase in silenzio, come se aspettasse che qualcuno uscisse. Nessuno lo fece. Continuarono a discutere, fornendo spunti, pianificando. Poi arrivò l’ora di mangiare e arrivarono a chiedergli quando si sarebbero fermati per riposare.

Il Subcomandante Insurgente Moisés rispose: “Adesso, da qui a 120 anni”.

-*-

Sarò sincero come al solito. Io, il capitano, posso sognare questo momento in cui una bambina nasce senza paura, che sia libera e che si assuma la responsabilità di ciò che fa e di ciò che non fa. Posso anche immaginarlo. Potrei anche scrivere un racconto o una storia su questo. Ma queste donne e uomini che ho davanti a me e a fianco, indigeni zapatisti tutti di origini maya, le mie cape e capi, non sognano, né immaginano questa bambina. Loro tutti e loro tutte la vedono, la guardano. E sanno quello che devono fare affinché questa bambina nasca, cammini, giochi, impari e cresca in un altro mondo…da qui a 120 anni.

Come quando guardano la montagna. Nel loro sguardo c’è qualcosa, come se guardassero più in la nel tempo e nello spazio. Guardano la tortilla, i tamales e il pozol a tavola. E sanno che non è per loro ma per una bambina che neanche è lì nelle intenzioni di chi saranno i suoi genitori, perché non sono nati. Ne loro, né i loro genitori, né i loro nonni, né i loro bisnonni, né i loro trisavoli, e avanti così per 7 generazioni. Sette generazioni che si iniziano a contare da questa Dení, la Dení Prima Generazione.

Sono fiducioso che ci riusciremo. Solamente ci metteremo un po’ di tempo, ma neanche troppo.

Giusto poco più di un secolo.

Dalle montagne del sudest messicano.

Capitano Insurgente Marcos.

Messico, novembre 2023

P.S. – Ogni bomba che cade a Gaza, cade anche nelle capitali e nelle principali città del mondo, solo ancora non se ne sono resi conto. Dalle macerie nascerà l’orrore della guerra di domani.

P.S. DIVERSE GUERRE PRIMA (la viglia, quasi 120 anni anni fà)

–“Non sarebbe meglio dichiarare la guerra con franchezza?”

Il professore rispose con semplicità: –Il nostro Governo vuole, senza dubbio, che siano gli altri a dichiararla. Il ruolo di aggredito e sempre quello più gradito e giustifica tutte le ulteriori risoluzioni, per quanto possano apparire estreme. L^ abbiamo gente che vive bene e non desidera la guerra. È conveniente fargli credere che sono i nemici che ce la impongono, affinché sentano la necessità di difendersi. Solo gli spiriti superiori arrivano alla convinzione che i grandi avanzamenti si realizzano unicamente con la spada, e che la guerra, come diceva il nostro grande Treitschke, è la forma di progresso più evoluta.” I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse (1916) di Vicente Blasco Ibáñez (Spagna 1867-1928).

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/02/tercera-parte-deni/

Traduzione – Collettivo Nodo Solidale

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STOP ALLA REPRESSIONE CONTRO LA COMUNITÀ INDIGENA OTOMÍ RESIDENTE A CITTÀ DEL MESSICO

NO ALLO SGOMBERO DELLA CASA DEI POPOLI “SAMIR FLORES”

Ai popoli del Messico e del mondo.

Alle organizzazioni e ai gruppi che difendono i diritti umani.

Ai media.

Di fronte ai recenti atti di repressione contro la Comunità Indigena Otomí residente a Città del Messico e al tentativo di sgombero della Casa dei Popoli e delle Comunità Indigene “Samir Flores Soberanes”, dichiariamo quanto segue:

Il 16 ottobre di quest’anno, all’alba, più di 500 granatieri hanno circondato la Casa dei Popoli e delle Comunità Indigene “Samir Flores Soberanes” con l’ordine di eseguire lo sgombero della Comunità Otomí. Questo tentativo di sgombero ha lasciato un totale di 10 compagni gravemente picchiati e feriti, tra cui adolescenti di 13 anni, anziani e compagni con disabilità.

La Comunità Otomí è riuscita a respingere l’aggressione e a far ritirare i granatieri, ma il risultato di questa repressione è il seguente: un uomo di 28 anni ha ricevuto forti colpi a tutto il corpo ed è stato ferito con uno scudo sulla fronte provocandogli una profonda lesione che ha richiesto la sutura; un adolescente di 17 anni è stato aggredito da un gruppo di 5 granatieri che lo hanno preso a calci e pugni provocandogli l’immobilità di una gamba; una ragazza di 13 anni è stata picchiata da 3 granatieri che le hanno preso a calci la testa facendola svenire; un’adolescente di 18 anni è stata spinta da un elemento dotato di scudo facendola cadere, è stata tirata per i capelli da un elemento maschile, sono arrivati altri 8 agenti che l’hanno colpita alle costole e alla schiena, è stata presa a calci ripetutamente, non volevano lasciarla andare, l’hanno insultata, l’hanno sollevata per i capelli e e l’hanno colpita con uno scudo sulla schiena provocandole ferite a schiena, costole, testa, braccia e mani; 2 donne anziane sono state picchiate e gettate a terra da più elementi e una persona che stava documentando l’aggressione è stata aggredita da un gruppo di almeno 8 elementi, che l’hanno picchiata slogandole un dito e rompendo il teleobiettivo della macchina fotografica, hanno inoltre cercato di sottrarre l’attrezzatura fotografica e il cellulare con cui stava documentando gli eventi.

Peggio ancora, come un vero e proprio atto di provocazione, quasi un’ora dopo la repressione un gruppo di oltre 6 motociclisti si è avvicinato alla Casa dei Popoli per attaccare e provocare. Un’ora dopo, i motociclisti sono tornati e hanno sparato tre colpi contro i membri della comunità Otomi mettendo a rischio la vita non solo dei membri della comunità, ma anche di coloro che si trovavano nella zona.

Questi atti di repressione, discriminazione e razzismo contro la comunità indigena Otomí sono avvenuti tre giorni dopo aver celebrato il terzo anniversario dell’occupazione degli uffici dell’INPI, oggi Casa dei Popoli e delle Comunità Indigene “Samir Flores Soberanes”.

È deplorevole che a più di tre anni dall’occupazione dell’INPI, la domanda di “abitazioni dignitose e decorose” continui ad essere ignorata come 3 anni fa, ma anche come 30 anni fa. Non importa il colore del governo al potere, l’indifferenza e il disprezzo rimangono gli stessi.

A quasi venti giorni dall’inizio del blocco imposto dalla Comunità Indigena Otomí sull’Avenida Messico-Coyoacán e dopo la sanguinosa repressione del 16 ottobre scorso, la risposta del governo di Città del Messico è un silenzio minaccioso che ci porta a pensare all’altissima probabilità che da un momento all’altro il governo tenti nuovamente di sgomberare e reprimere la comunità Otomí. Di conseguenza, per quanto sopra, chiediamo la cessazione della repressione e di ogni tentativo di sgomberare i nostri fratelli membri della Comunità Otomí.

STOP ALLA GUERRA CONTRO I POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO, CONTRO I POPOLI ZAPATISTI E CONTRO I POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO!

STOP ALLO SGOMBERO DELLA CASA DEI POPOLI “SAMIR FLORES SOBERANES”!

MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI!

PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI!

DISTINTAMENTE

MESSICO, OTTOBRE 2023

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/10/30/alto-a-la-represion-en-contra-de-la-comunidad-indigena-otomi-residente-en-la-ciudad-de-mexico/

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Seconda parte: i morti starnutiscono?

Ottobre 2023

Il SupGaleano è morto. È morto come è vissuto: infelice.

Ma sì, prima di morire, si è preoccupato di restituire il nome a colui che è carne e ossa ereditati dal maestro Galeano. Ha raccomandato di mantenerlo vivo, ovvero, di lottare. È così che Galeano continuerà a percorrere queste montagne.

Per il resto, è stata una cosa semplice. Ha iniziato a balbettare qualcosa come “lo so che sono finito, finito, finito”, e, subito prima di spirare ha detto, o meglio ha chiesto: “I morti starnutiscono?”, e basta. Queste sono state le sue ultime parole. Nessuna citazione da lasciare alla storia, né da scolpire su una lapide, né degna di un aneddoto da raccontare davanti al fuoco. Solamente questa domanda assurda, anacronistica, estemporanea: “I morti starnutiscono?”.

Poi è rimasto immobile, sospesa la stanca respirazione, gli occhi chiusi, le labbra finalmente ammutolite, le mani contratte.

Stavamo andandocene quando, uscendo dalla baracca, ormai sulla soglia della porta, abbiamo udito uno starnuto. Il SubMoy si è voltato a guardarmi e io ho guardato lui, pronunciando un “salute” appena accennato. Nessuno dei due aveva starnutito. Ci siamo girati dove si trovava il corpo del defunto e, nulla. Il SubMoy ha solo detto “buona domanda”. Io non ho proferito parola, però ho pensato “sicuramente la luna sarà finita nell’orbita di Callao” [Citazione della canzone in difesa della follia “Balada para un loco” di Adriana Verela – n.d.t.].

Vero, ci siamo risparmiati la sepoltura. Ma ci siamo pure persi caffè e tamales.

-*-

Lo so che a nessuno interessa l’ennesima morte, e men che meno quella del defunto SupGaleano. In verità, vi racconto tutto questo perché è lui che ha lasciato quella poesia di Rubén Darío con cui inizia questa serie di testi. Tralasciando l’evidente ammiccamento al Nicaragua che resiste e persiste – che si potrebbe anche vedere come riferimento all’attuale guerra dello Stato di Israele contro il popolo palestinese, anche se, al momento della sua morte, non era ancora ripreso il terrore che sconvolge il mondo –, ha lasciato questa poesia come riferimento. O meglio come risposta a qualcuno che ha chiesto come spiegare quello che sta succedendo in Chiapas, in Messico e nel mondo.

E, naturalmente, come discreto omaggio al maestro Galeano – dal quale aveva ereditato il nome –, ha lasciato quello che ha definito un “controllo di lettura”:

Chi ha cominciato? Chi è il colpevole? Chi innocente? Chi è il buono e chi è il cattivo? In che posizione si trova Francesco d’Assisi? Perde lui, il lupo, i pastori o tutti? Perché l’Assisi concepisce che si faccia un accordo basandosi solo sul fatto che il lupo rinunci a essere ciò che è?

Sebbene ciò sia avvenuto mesi fa, il testo ha scatenato accuse e discussioni che continuano ancora oggi. Quindi ne descrivo una di queste:

È una specie di riunione o di assemblea, o qualcosa come una tavola rotonda. C’è il meglio del meglio: dotti specialisti tuttologi, militanti e internazionalisti di qualsiasi causa, meno quella della loro geografia, spontaneisti con dottorati in social network (la maggioranza), e chi, vedendo il parapiglia, viene a vedere se si regalano borse, cappellini o magliette con il nome di qualche partito. Parecchi si sono fatti avanti per capire di cosa si trattava.

– “Non sei altro che un agente del sionismo imperialista ed espansionista”, ha gridato uno.

– “E tu sei solo un propagandista del terrorismo arabo musulmano fondamentalista!” – rispondeva un altro furioso.

C’erano già stati diversi scontri, ma ancora non si era andati oltre qualche spintone del tipo: “ci vediamo fuori”.

Si è arrivati a questo punto perché si sono messi ad analizzare la poesia di Rubén Darío “Los Motivos del Lobo”.

Non tutto era stato uno scambio di aggettivi, frecciatine e smorfie. Era iniziato tutto come al solito da quelle parti: buone maniere, frasi incisive, “interventi brevi” – spesso della durata di mezz’ora o più – e una profusione di citazioni e note a piè di pagina.

Prettamente al maschile, ovviamente, perché il dibattito è stato organizzato dal cosiddetto “Toby Hipertextual Club”.

“Il Lupo è il buono”, ha detto qualcuno, “perché ha ucciso solo per fame, per necessità”.

“No”, sostiene un altro, “è lui il cattivo perché ha ucciso le pecore che erano il sostentamento dei pastori”. E lui stesso ha riconosciuto che “a volte ha mangiato agnello e pastore”.

Ancora uno: “I cattivi sono gli abitanti, perché non hanno rispettato l’accordo”.

E un altro: “la colpa è dell’Assisi, che ottiene l’accordo chiedendo al lupo di smettere di essere lupo, fatto discutibile, e poi non resta a mantenere il patto”.

E un altro ancora: “Ma l’Assisi sottolinea che l’essere umano è malvagio di natura”.

Si controbattono l’un l’altro. Ma si capisce che se in questo momento si facesse un sondaggio, il lupo vincerebbe con un abbondante vantaggio a due cifre sul villaggio di pastori. Ma un’abile manovra sui social network ha ottenuto che l’hashtag “lupoassassino” fosse TT molto più di #morteaipastori. Quindi il trionfo degli influencer pro-pastore su quelli pro-lupo è stata netta, anche se solo sui social network.

Qualcuno ha argomentato a favore di due Stati sullo stesso territorio: lo Stato Lupo e lo Stato Pastore.

E qualcun altro su uno Stato Plurinazionale, con lupi e pastori che convivono sotto lo stesso oppressore, scusate volevo dire lo stesso Stato. Un altro ha risposto che questo era impossibile visti i precedenti da ambo le parti.

Un signore in giacca e cravatta si alza e chiede la parola: “Se Rubén (così ha detto, omettendo Darío), è partito dalla leggenda di Gubbio, allora possiamo fare lo stesso. Diamo continuazione al poema:

I pastori, avvalendosi del loro legittimo diritto di difendersi, attaccano il lupo. Prima distruggono la sua tana con i bombardamenti, poi entrano con i carri armati e la fanteria. Mi sembra, onorevoli colleghi, che la fine sia scontata: la violenza terroristica e animale del lupo viene annientata e i pastori possono continuare la loro vita bucolica, tosando le pecore per una potente impresa multinazionale che produce abbigliamento per un’altra impresa multinazionale altrettanto potente che, a sua volta, è debitrice di un’istituzione finanziaria internazionale ancora più potente; questo porterà i pastori a diventare efficienti lavoratori della propria terra ovviamente con tutti i benefici di legge sul lavoro – ed eleverà questo villaggio ai livelli del primo mondo, con autostrade moderne, edifici alti e persino un treno turistico dove i visitatori di tutto il mondo potranno apprezzare le rovine di quelli che un tempo erano prati, boschi e sorgenti. L’annientamento del lupo porterà pace e prosperità nella regione. Certo, alcuni animali moriranno, non importa il numero o la specie, ma sono semplicemente danni collaterali perfettamente trascurabili. Dopotutto, non si può chiedere alle bombe di distinguere tra un lupo e una pecora, né di limitare la loro onda d’urto per non danneggiare uccelli e alberi. La pace sarà conquistata e il lupo non mancherà a nessuno”.

Qualcuno si alza e dice: “Ma il lupo ha il sostegno internazionale e ha abitato quel luogo già da prima. Il sistema ha abbattuto gli alberi per farne pascoli e questo ha alterato l’equilibrio ecologico, riducendo il numero e le specie di animali che il lupo mangiava per vivere. E bisogna aspettarsi che i discendenti del lupo si prendano la giusta vendetta”.

“Ah, quindi il lupo ha ucciso anche altri esseri. È proprio come i pastori”, replica qualcuno.

Così hanno continuato, adducendo argomenti altrettanto buoni di quelli qui indicati, pieni di ingegno, colmi di erudizione e riferimenti bibliografici.

Ma la moderazione è durata poco: si è passati dal lupo e pastori alla guerra Netanyahu–Hamas e la discussione è salita di tono fino ad arrivare a ciò che fa capo a questo aneddoto, per gentile concessione post mortem dell’ormai defunto SupGaleano.

Ma in quel momento, dal fondo della sala, si è alzata una piccola mano per chiedere la parola. Il moderatore non riusciva a vedere di chi fosse la mano, così ha concesso la parola “alla persona che ha alzato la mano là in fondo”.

Tutti si sono girati a guardare e stavano quasi per lanciare un urlo di scandalo e riprovazione. Era una bambina che teneva in braccio un orso di peluche grande quasi quanto lei, che indossava una camicetta bianca ricamata e pantaloni con un gattino sulla gamba destra. Comunque, il classico “outfit” per una festa di compleanno o qualcosa del genere.

La sorpresa era tale che sono tutti rimasti in silenzio con gli sguardi fissi sulla bambina.

Lei si è messa in piedi sulla sedia pensando che così l’avrebbero sentita meglio e ha chiesto:

“E i bambini?”

La sorpresa si è trasformata in un mormorio di condanna: quali bambini? Di cosa parla questa bambina? Chi diavolo ha fatto entrare una donna in questo sacro recinto? E peggio ancora, è una donna bambina!”

La bambina è scesa dalla sedia e, sempre portando con sé il suo orsacchiotto con evidenti segni di obesità – l’orso ovviamente -, si è diretta verso la porta d’uscita dicendo:

“I bambini. Ovvero, i cuccioli del lupo e i cuccioli dei pastori. I loro piccini. Chi ci pensa ai bambini? Con chi parlerò? E dove andremo a giocare?”

Dalle montagne del Sudest Messicano

Capitán Insurgente Marcos

Messico, ottobre 2023

P.S.- Libertà incondizionata per Manuel Gómez Vázquez (ostaggio dal 2020 del governo statale del Chiapas) e José Díaz Gómez (ostaggio dall’anno scorso), indigeni basi di appoggio zapatiste imprigionati per questo, per essere zapatisti. E poi non chiedetevi chi ha seminato ciò che raccogliete.

P.S.- Uragano OTIS: Centro di raccolta per i popoli originari dello stato di Guerrero: nella sede della Casa de los Pueblos “Samir Flores Soberanes”, in Av. México-Coyoacán 343, colonia Xoco, Alcaldía Benito Juárez, Ciudad de México, C.P. 03330. Versamenti e bonifici bancari a sostegno di questi popoli e comunità su Conto Corrente Numero 0113643034, CLABE 012540001136430347, codice SWIFT BCMRMXMMPYM, della banca BBVA México, succursale 1769. A nome di: “Ciencia Social al Servicio de los Pueblos Originarios”. Telefono: 5526907936.

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/10/29/segunda-parte-los-muertos-estornudan/

Traduzione: “Maribel” – Bergamo

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A SOSTEGNO DEI NOSTRI FRATELLI ORIGINARI DEL GUERRERO

Ottobre 2023

AI POPOLI ED AI GOVERNI DI MESSICO E DEL MONDO:

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE:

Con grande sgomento abbiamo visto come l’uragano Otis si sia abbattuto con insolita furia sulle coste dello stato di Guerrero provocando la morte di decine di esseri umani e la distruzione di villaggi e città. I nostri fratelli dell’Organizzazione Contadina della Sierra del Sur, del municipio di Coyuca, stato di Guerrero, e membri del Congresso Nazionale Indigeno, ci hanno informato dei danni che questo uragano ha causato alle comunità indigene e rurali ed in particolare nei comuni della Costa Grande di questo stato.

Questo uragano non è un fenomeno atipico, come sottolineano i media e i malgoverni, è il prodotto diretto della distruzione causata dal capitalismo, dei danni sempre maggiori che le grandi aziende e le politiche governative provocano alla nostra Madre Terra. L’atipico non è l’uragano, l’atipico è questo sistema violento che si sostiene sulla base di guerre, pandemie e del crudele sfruttamento ed espropriazione di milioni e milioni di esseri umani e della natura.

Di fronte ai gravi eventi verificatisi in Guerrero, osserviamo come il governo della cosiddetta Quarta Trasformazione concentra i suoi aiuti ai grandi centri alberghieri e commercianti del porto di Acapulco, dimenticando le migliaia di famiglie povere, principalmente contadine, che sono state colpite da Otis.

Sappiamo che, come sono soliti fare i malgoverni, non faranno altro che prendersi gioco delle nostre sofferenze, scattarsi qualche foto sulle macerie e trarre profitto dal dolore delle persone in disgrazia, per questo invitiamo le persone di buon cuore uomini e donne, i gruppi della Sexta Nazionale e Internazionale e il popolo del Messico e del mondo a dare solidarietà e donare cibo e medicinali non deperibili a sostegno delle popolazioni indigene colpite dello stato di Guerrero, presso la Casa dei Popoli “Samir Flores Soberanes”, in Av. México-Coyoacán 343 colonia Xoco, Alcaldía Benito Juárez, Città del Messico, CP03330, e a donare aiuti economici con bonifico sul conto corrente bancario Numero 0113643034, CLABE 012540001136430347, codice SWIFT BCMRMXMMPYM, banca BBVA México, intestato a: Ciencia Social al Servicio de los Pueblos Originarios.

MESSICO, 27 OTTOBRE 2023

DISTINTAMENTE

PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI

MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/10/27/en-apoyo-a-nuestros-hermanos-originarios-en-guerrero/

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Prima parte:

LE RAGIONI DEL LUPO.
Rubén Darío.
Nicaragua.

L’uomo che ha il cuore di fiordaliso
l’animo di cherubino, la lingua celestiale
il piccolo e dolce Francesco d’Assisi;
si trova con un rude e potente animale,
la bestia temeraria, ingorda di sangue
le fauci cattive, gli occhi malvagi:
il lupo di Gubbio, il terribile lupo!
rabbioso, ha devastato i dintorni;
crudele ha sbranato tutte le greggi;
ha divorato agnelli, ha divorato pastori,
e sono innumerevoli i suoi morti e i suoi danni.

I forti cacciatori armati di fucili
sono stati fatti a pezzi. Le dure zanne
hanno preso i cani più feroci,
così come capre e agnelli.

Francesco uscì:
cercò il lupo
nella sua tana.
Vicino alla grotta trovò l’enorme bestia
che, vedendolo, si scagliò ferocemente contro di lui.
verso di lui. Francesco, con la sua voce dolce
alzando la mano, al lupo furioso,
disse: «Pace, fratello lupo!
L’animale guardò l’uomo con il ruvido saio;
rinunciò alla sua aria scontrosa,
chiuse le fauci aperte e aggressive
e disse: «Va bene, frate Francesco!”.
“Perché», esclamò il santo, «è legge che tu viva
nell’orrore e nella morte?
Il sangue che versa
il tuo muso diabolico, il lutto e l’orrore
che diffondi, il pianto
dei contadini, l’urlo, il dolore
di tante creature di Nostro Signore
non devono frenare la tua furia infernale?
Venite dall’inferno?
Siete stati infusi dell’eterno rancore

di Luzbel o Belial?”
E il grande lupo, umile: “L’inverno è duro!
e la fame è orribile! Nella foresta gelata
non ho trovato nulla da mangiare; e ho cercato il bestiame,
e a volte ho mangiato il bestiame e il pastore.
Il sangue? Ho visto più di un cacciatore
sul suo cavallo, che conduceva l’astore
al pugno; o correre dietro al cinghiale,
l’orso o il cervo; e ne ho visto più di uno
macchiato di sangue, ferire, torturare,
dalle corna rauche al clamore soffocato,
gli animali di Nostro Signore.
E non era per la fame, che andavano a cacciare.”

Francesco risponde: “Nell’uomo c’è un lievito cattivo.
Quando nasce viene con il peccato. È triste.
Ma l’anima semplice della bestia è pura.
Avrete
da oggi in poi cosa mangiare.
Lascerete in pace
le mandrie e le persone in questo paese.
Che Dio migliori la vostra selvatichezza!”
“Va bene, frate Francesco d’Assisi.”

Davanti al Signore, che lega e scioglie tutte le cose,
nella fede della promessa, posa la tua zampa su di me.

Il lupo tese la sua zampa al frate
d’Assisi, che a sua volta tese la mano.
Andarono al villaggio. La gente vide
e ciò che vedeva stentava a credere.
Il lupo feroce seguiva il religioso,
e, a testa bassa, lo seguiva tranquillamente…
come un cane domestico, o come un agnello.

Francesco chiamò il popolo in piazza
e lì predicò.
E disse: «Ecco una caccia gentile.
Fratello Lupo viene con me;
mi ha giurato di non essere più vostro nemico,
e di non ripetere il suo sanguinoso attacco.
Voi, in cambio, darete cibo
alla povera bestia di Dio.” “Così sia!”

rispose l’intero villaggio.
E poi, in segno di
di contentezza,
il buon animale ha mosso testa e coda,
e si avviò con Francesco d’Assisi verso il convento.

Per qualche tempo il lupo rimase tranquillo
nel santo asilo.
Le sue orecchie rozze ascoltavano i salmi
e i suoi occhi chiari si inumidirono.
Imparò mille grazie e giocò a mille giochi
quando andava in cucina con i laici.
E quando Francesco recitava la sua preghiera,
il lupo leccava i suoi poveri sandali.
Usciva per la strada,
attraversava la boscaglia e scendeva a valle,
entrava nelle case e gli veniva dato qualcosa
da mangiare. Lo guardavano come un levriero addomesticato.
Un giorno Francesco era assente. E il lupo
gentile, il lupo buono e gentile, il lupo gusto,
scomparve, tornò sulla montagna,
e ricominciò il suo ululato e la sua furia.
Ancora una volta si sentirono paura e allarme,
tra i vicini e i pastori;
La paura riempì l’ambiente circostante,
e il coraggio e le armi non servirono a nulla,
perché la bestia feroce
non dava tregua alla sua furia,
come se avesse
fuochi di Moloch e di Satana.

Quando il santo divino tornò al villaggio,
tutti lo cercarono con lamentele e pianti,
e con mille litigi testimoniavano
di ciò che avevano sofferto e perso così tanto
per quell’infame lupo del diavolo.

Francesco d’Assisi si fece severo.
Andò sulla montagna
per cercare il falso lupo macellaio.
E presso la sua grotta trovò il parassita.

Nel nome del Padre del sacro universo,
evocami», disse, «o lupo malvagio!
Rispondimi: perché sei tornato al male?
Rispondimi. Ti ascolto»
.
L’animale parlò, come se fosse in una lotta spietata,
la bocca schiumante e l’occhio fatale:
Fratello Francesco, non avvicinarti troppo….
Ero tranquillo nel convento;
uscivo in paese,
e se mi davano qualcosa ero felice
e mangiavo docilmente.
Ma ho cominciato a vedere che in tutte le case
c’era invidia, rabbia e ira,
e in ogni volto ardeva la brace
dell’odio, della lussuria, di infamia e di menzogna.
I fratelli facevano guerra ai fratelli,
i deboli perdevano, i malvagi vincevano,
la femmina e il maschio erano come il cane e la cagna,
e un bel giorno mi picchiarono tutti.
Mi videro umile, leccavo le mani
e i piedi. Seguivo le tue sacre leggi:
tutte le creature erano i miei fratelli,
fratelli gli uomini, fratelli i buoi,
sorelle le stelle e fratelli i vermi.
E così mi picchiarono e mi buttarono fuori
E le loro risa erano come acqua bollente,
e nelle mie viscere la bestia selvaggia si rianimò,
e mi sentii improvvisamente un lupo cattivo;
ma sempre meglio di quella gente cattiva.
E ricominciai a combattere qui,
per difendermi e per nutrirmi.
Come fa l’orso, come fa il cinghiale,
che devono uccidere per vivere.

Lasciatemi nella boscaglia, lasciatemi sul crinale,
lasciatemi esistere nella mia libertà,
vai al tuo convento, frate Francesco,
segui il tuo cammino e la tua santità.

Il santo di Assisi non gli disse nulla.
Lo guardò con sguardo profondo,
e cominciò a piangere senza conforto,
e parlò al Padre Eterno con il suo cuore.
Il vento del bosco portò la sua preghiera,
che era: Padre nostro, che sei nei cieli…

Dicembre del 1913

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Di semine e raccolti.

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO.

Ottobre 2023

Quasi quindici anni fa, nelle nostre parole, abbiamo intravisto un incubo. Era in un seminario ed era attraverso la voce del defunto SupMarcos che parlavamo. Diceva:

Di semine e raccolti
(Gennaio 2009)

Forse quello che sto per dire è irrilevante per il tema centrale di questa tavola rotonda, o forse no. Due giorni fa, proprio nel giorno in cui parlavamo di violenza, l’ineffabile Condoleezza Rice, funzionario del governo statunitense, dichiarava che quanto stava accadendo a Gaza era colpa dei palestinesi, a causa della loro natura violenta.

I fiumi sotterranei che attraversano il mondo possono cambiare geografia, ma intonano lo stesso canto.

E quella che sentiamo ora è una canzone di guerra e di dolore. Non lontano da qui, in un luogo chiamato Gaza, in Palestina, nel Medio Oriente, accanto a noi, un esercito pesantemente armato e addestrato, quello di Israele, continua la sua avanzata di morte e distruzione.

I passi compiuti sono, finora, quelli di una classica guerra militare di conquista: prima un massiccio e intenso bombardamento per distruggere i punti «nevralgici» militari (così li chiamano i manuali militari) e per «ammorbidire» le fortificazioni della resistenza; poi il ferreo controllo dell’informazione: tutto ciò che si sente e si vede «nel mondo esterno», cioè fuori dal teatro delle operazioni, deve essere selezionato con criteri militari; ora un intenso fuoco di artiglieria sulla fanteria nemica per proteggere l’avanzata delle truppe verso nuove posizioni; poi sarà l’accerchiamento e l’assedio per indebolire la guarnigione nemica; quindi l’assalto che conquista la posizione annientando il nemico, poi la «pulizia» dei probabili «nidi di resistenza».

Il manuale militare della guerra moderna, con alcune variazioni e aggiunte, viene seguito passo dopo passo dalle forze militari di invasione.

Noi non ne sappiamo molto e, a ben vedere, ci sono specialisti del cosiddetto «conflitto mediorientale», ma da questo angolo (del mondo n.d.t.) abbiamo qualcosa da dire:

Secondo le foto delle agenzie di stampa, i punti «nevralgici» distrutti dall’aviazione governativa israeliana sono case, capanne, edifici civili. Non abbiamo visto bunker, caserme o aeroporti militari, o batterie di cannoni, tra ciò che è stato distrutto. Quindi, scusate la nostra ignoranza, o pensiamo che gli artiglieri abbiano una pessima mira o la verità è che non ci sono punti militari «nevralgici» a Gaza.

Non abbiamo avuto l’onore di conoscere la Palestina, ma presumiamo che queste case, capanne ed edifici fossero abitati da persone, uomini, donne, bambini e anziani, non da soldati. Non abbiamo nemmeno visto fortificazioni, ma solo macerie.

Abbiamo assistito, invece, al tentativo, finora inutile, di oscurare i media, all’esitazione dei vari governi del mondo nel prendere una posizione rispetto all’invasione, e alla figura dell’ONU, da tempo inutile, capace solo di emettere tiepidi comunicati stampa.

Ma aspettate.  Ci è venuto in mente che forse per il governo israeliano questi uomini, donne, bambini e anziani sono soldati nemici e, come tali, le capanne, le case e gli edifici in cui vivono sono caserme da distruggere.

Quindi sicuramente il fuoco che è caduto su Gaza questa mattina presto era per proteggere  da questi uomini, donne, bambini e anziani l’avanzata della fanteria dell’esercito israeliano.

E la guarnigione nemica che si vuole indebolire con l’assedio di Gaza non è altro che la popolazione palestinese che vi abita. E l’offensiva cercherà di annientare quella popolazione. E ogni uomo, donna, bambino o anziano che riuscirà a sfuggire, nascondendosi, all’assalto prevedibilmente sanguinoso, sarà poi «braccato» in modo che la pulizia possa essere completata, in modo che il comandante militare incaricato dell’operazione possa riferire ai suoi superiori «abbiamo completato la missione».

Perdonate ancora una volta la nostra ignoranza, forse quello che stiamo dicendo è, in realtà, fuori tema, o qualcosa del genere, a seconda dei casi. E che invece di ripudiare e condannare il crimine in corso, da indigeni e guerrieri quali siamo, dovremmo discutere e prendere posizione sul fatto che si tratti di «sionismo» o «antisemitismo», o che tutto sia partito dalle bombe di Hamas.

Forse il nostro pensiero è molto semplice, e ci mancano le sfumature e i dettagli che sono sempre così necessari nell’analisi, ma, per noi, noi zapatisti e zapatiste, a Gaza c’è un esercito di professionisti che uccide una popolazione inerme.

Chi sta in basso e a sinistra può tacere?

-*-

Serve dire qualcosa? Le nostre grida fermeranno qualche bomba? Le nostre parole salveranno la vita di un bambino palestinese?

Noi pensiamo di sì, forse non fermeremo una bomba o la nostra parola non diventerà uno scudo corazzato che impedirà a quel proiettile calibro 5,56 mm o 9 mm, con le lettere «IMI» («Israeli Military Industry») incise sulla base della cartuccia, di raggiungere il petto di una bambina o di un bambino, ma forse la nostra parola riuscirà a unirsi ad altre in Messico e nel mondo e forse diventerà prima un mormorio, poi una voce forte, e poi un urlo che sentiranno fino a Gaza.

Non sappiamo voi, ma noi, zapatiste e  zapatisti dell’EZLN sappiamo quanto sia importante, in mezzo alla distruzione e alla morte, sentire qualche parola di incoraggiamento.

Non so come spiegarlo, ma si scopre che sì, le parole da lontano forse non bastano a fermare una bomba, ma sono capaci di aprire una crepa nella stanza nera della morte per farvi entrare un po’ di luce.

Altrimenti, succederà quello che succederà. Il governo israeliano dichiarerà di aver inferto un duro colpo al terrorismo, nasconderà al suo popolo l’entità del massacro, i grandi produttori di armi avranno guadagnato un po’ di respiro economico per affrontare la crisi e «l’opinione pubblica mondiale», quell’entità malleabile e sempre uguale a sè stessa, si girerà dall’altra parte.

Ma non solo. Succederà anche che il popolo palestinese resisterà e sopravvivrà e continuerà a lottare, e continuerà a ricevere solidarietà dal basso.

E, forse, sopravvivrà anche un ragazzo o una ragazza di Gaza. Forse cresceranno e, con loro, il coraggio, l’indignazione, la rabbia. Forse diventeranno soldati o miliziani di uno dei gruppi che combattono in Palestina. Forse combatteranno contro Israele. Forse lo faranno sparando con un fucile. Forse si immoleranno con una cintura di candelotti di dinamite intorno alla vita.

E allora, dall’alto, scriveranno della natura violenta dei palestinesi e condanneranno la violenza e il dibattito tornerà schiacciato tra sionismo o antisemitismo.

E nessuno si chiederà chi ha seminato quello che stiamo raccogliendo.

A nome degli uomini, donne, bambini e anziani dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 4 gennaio 2009

-*-

Coloro che all’epoca, quasi 15 anni fa, erano minorenni e sono sopravvissuti, beh….

C’è chi è stato responsabile della semina di ciò che si sta raccogliendo oggi e c’è chi, impunemente, continua a seminare.

Chi solo pochi mesi fa giustificava e difendeva l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin adducendo il «diritto di difendersi da una potenziale minaccia», ora deve destreggiarsi (o scommettere sulla dimenticanza) per invalidare tale argomentazione di fronte a Israele.  E viceversa.

Oggi, in Palestina e in Israele – e in tutto il mondo – ci sono bambini e ragazzi che imparano ciò che il terrorismo insegna: che non ci sono limiti, né regole, né leggi, né vergogna.

Né responsabilità.

-*-

Né Hamas né Netanyahu.  Il popolo di Israele sopravvivrà.  Il popolo palestinese sopravvivrà. Devono solo darsi una possibilità e impegnarsi. Nel frattempo, ogni guerra continuerà a essere solo un preludio alla successiva, più feroce, più distruttiva, più disumana.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, ottobre 2023

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Chiapas un disastro

Tra la violenza criminale e la complicità dello Stato.

Rapporto Frayba 2023

In Chiapas ci troviamo nel mezzo di una diversificazione e opacità di gruppi armati che usano la violenza per il controllo sociale, politico, economico e territoriale segnata dalla continuità della strategia di controinsurrezione; così come di un’impunità promossa da attori statali che contribuisce all’espropriazione, allo sfruttamento e all’emarginazione sociale. L’aumento di questa violenza ha portato a gravi violazioni dei diritti umani, tra cui situazioni di sfollamento forzato massiccio e intermittente, sparizioni, espropriazione di terreni, omicidi, torture, tra gli altri.

A questo clima si aggiungono la rimilitarizzazione e il comprovato spionaggio del Ministero della Difesa Nazionale (Sedena) in Chiapas. Parallelamente, i diritti dei popoli originari e delle comunità indigene in generale restano in secondo piano dopo aver classificato come di sicurezza nazionale i progetti di sviluppo o la costruzione di infrastrutture militari nei territori; nello stesso tempo, l’Esercito Messicano (EM), il principale autore di vari crimini contro l’umanità nella storia recente del Messico, si consolida come una superpotenza con la possibilità di controllare tutte le sfere della vita e spalancare le porte all’esercizio di un governo neosviluppista e autoritario. Si scommette sulla continuazione della guerra a vantaggio dei poteri di fatto in Messico, all’incremento della violenza generalizzata e all’aumento della crisi dei diritti umani.

Qui per scaricare il Rapporto 2023 del Frayba https://frayba.org.mx/sites/default/files/Informes/Informe-Frayba-2023/Informe-Frayba-2023_Chiapas-un-desastre.pdf

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La Santa Muerte in Chiapas

Luis Hernández Navarro

La Santa Muerte e Malverde sono ovunque a San Cristóbal de las Casas e nelle città del Chiapas come Teopisca. Il suo culto non è nascosto. I mercati sono colmi di elementi rituali tipici della loro venerazione. Le erboristerie e le botteghe esoteriche dell’antica Jovel, oggi accolgono i fedeli con le monumentali Huesudas e Malverdes.

Il 17 aprile, Jerónimo Ruiz, leader dell’Associazione degli Assegnatari dei Mercati Tradizionali del Chiapas (Almetrach), è stato ucciso da due uomini a bordo di una motocicletta. Nel mezzo del caos e panico, la violenza è scoppiata nel nord della vecchia capitale coleta. Due gruppi armati hanno bloccato le strade, si sono affrontati e hanno dato fuoco a pneumatici e abitazioni. Tra le altre attività redditizie, Almetrach riscuote i diritti di occupazione di suolo degli artigiani

Jerónimo era originario di una comunità vicina a Betania/Teopisca chiamata ironicamente Flores Magón. Sull’altare alla Niña Blanca che il defunto aveva in casa, si giurava di vendicare la sua morte.

Due giorni dopo il suo delitto, una registrazione avvertiva: “San Cristóbal e dintorni: come avrete notato, siamo arrivati e la pulizia è iniziata, siamo il cartello di Jalisco e quello che è successo a Jerónimo Ruiz sta per succedere a Narciso Ruiz, alias El Narso, Calafas, Águila, Birria, Max e tutti quei gruppi di motonetos (motociclisti) che sostengono questi pezzenti”.

Il Chiapas è il luogo in cui fioriscono molte delle sigle più diverse. Chiese tradizionali convivono con espressioni di religiosità popolare. La venerazione della Santísima Muerte è cresciuta esponenzialmente di pari passo con la crescita della criminalità organizzata, ma anche per altre cause ad essa del tutto estranee, come le guarigioni per fede. Non tutti i suoi fedeli sono dediti ad attività illecite ma, spesso in una sorta di sincretismo, molti di coloro che vi si dedicano trovano nel fervore di questa religiosità la via per avvicinarsi al sacro.

Teopisca, a 30 chilometri da San Cristóbal, è una rotta chiave per migranti irregolari e droga. Nel giugno del 2022, individui armati hanno sparato e ucciso il sindaco, Rubén de Jesús Valdez Díaz, del Partito Ecologista Verde del Messico (PVEM), mentre stava uscendo di casa. I sicari sarebbero stati assunti tra i motonetos di Jovel

L’omicidio fa parte del conflitto per il controllo del municipio tra due gruppi. Quelli di Betania, il cui capo di facciata è Javier Velázquez Díaz, alias La Pulga (già arrestato), e quelli del gruppo locale dell’ex presidente municipale Luis Alberto Valdez Díaz, accusato di aver rapinato il municipio quando era sindaco, e fratello del sindaco assassinato. Voci locali lo indicano come la presunta mente del fratricidio.

Entrambe le bande sono legate al traffico di migranti (polleros) e alla produzione e traffico di droga. Quelli di Betania hanno laboratori nella loro comunità, profondamente evangelica.

Nella comunità prolifera il culto de La Huesuda e Malverde. Si tengono grandi processioni e c’è sempre più devozione nei loro confronti. Come parte della norteñización della cultura popolare, i narcocorridos proliferano. I gruppi reclutano i giovani più poveri. Girano impunemente per il villaggio con armi di grosso calibro e giubbotti antiproiettile. È comune sentire raffiche sparate in aria.

Una delle fazioni vuole insediare il consiglio comunale di Teopisca. Tuttavia, al di là delle presunte rivendicazioni democratiche, i suoi promotori sono anche narco-polleros che vogliono convincere le comunità finanziando le feste religiose. Allo stesso tempo, promettono di costruire strade nella piana del municipio, la depressione centrale del Chiapas adiacente al comune di Venustiano Carranza, una via chiave per il passaggio di droga e immigrati irregolari.

Secondo i residenti del comune, il gruppo dell’ex presidente municipale Luis Valdez sarebbe legato a Sinaloa, mentre quelli di Betania de La Pulga farebbero parte delle quattro lettere. Dicono che quelli del Pacifico, che sono nella regione da più tempo, si fanno gli affari loro e non si immischiano con la gente comune, ma quelli di Jalisco estorcono, rapiscono, chiedono il pizzo, ecc. Dal loro punto di vista, quelli di Sinaloa fanno quello che più gli conviene a seconda degli affari in ballo, e sono tranquilli, se non ti immischi con loro. Ma quelli di Nueva Generación è gente cattiva.

Quanto sta accadendo a San Cristóbal e Teopisca è solo un assaggio di ciò che sta accadendo in tutto il Chiapas. Non è un’eccezione, ma la regola. Fa parte di una trama molto più ampia. È inimmaginabile supporre che le attività di questi narco-polleros siano estranee alle reti di potere regionali e ai responsabili del mantenimento dell’ordine.

Le comunità zapatiste non consentono la semina, la produzione e il traffico di droga. I loro territori sono chiusi per i trafficanti di esseri umani. Non prendono posizione nelle dispute tra cartelli per il controllo dei mercati e dei territori. Sono un freno all’espansione dell’industria criminale e agli affari delle autorità ad essa collegate. Al di là della loro esperienza di autogoverno e autogestione, tra le tante ragioni, ecco perché hanno dichiarato loro guerra. Inoltre, a causa di ciò, vecchi e nuovi paramilitari (alcuni convertiti in narcoparamilitari) si sono lanciati nel tentativo di distruggere le comunità autonome.

L’attacco della Orcao alle basi della comunità autonoma Moisés Gandhi, municipio ribelle Lucio Cabañas, fa parte della strategia contrainsurgente. Come Teopisca, non è un’anomalia ma una costante nella politica del Chiapas. Basta guardare storicamente la mappa della violenza nello stato per verificarlo.

Il culto della Santa Muerte e Malverde ha preso piede nel sud-est messicano. La sua proliferazione è il termometro di ciò che accade socialmente.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2023/06/13/opinion/019a1pol

Traduzione Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

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Messico: Chiapas è una polveriera pronta ad esplodere

Da LaJornada un articolo di Luis Hernández Navarro

La violenza si moltiplica in modo allarmante. Gli attacchi armati dei paramilitari contro le comunità zapatiste sono frequenti e si intensificano. Gruppi criminali organizzati reclutano giovani per ingrossare le loro file. Migliaia di sfollati vivono nelle foreste o in insediamenti temporanei. Bande di criminali su moto si scontrano in vere e proprie battaglie campali a San Cristóbal per il controllo dei mercati e delle rotte della droga. I cartelli combattono a fuoco e sangue per il controllo del confine con il Guatemala.

Si tratta di una violenza diversificata, alimentata dalla combinazione di conflitti ancestrali e nuove dispute legate alla terra, al commercio e al narcotraffico. Nonostante la presenza dell’esercito e della Guardia Nazionale, le armi di grosso calibro si ottengono con una facilità sorprendente. Di fronte all’inazione del governo, i paramilitari, gli assassini a pagamento, i gruppi di autodifesa (a Pantelhó, Altamirano e San Cristóbal) e le agenzie di sicurezza privata si moltiplicano in tutto lo stato.

I gruppi paramilitari, protetti dalle autorità, si sono associati al crimine organizzato, che ne subappalta i servizi. Lavorano a doppio turno. Da un lato, cercano di contenere l’espansione delle comunità ribelli e le proteste dei contadini in lotta. Dall’altro, gestiscono il traffico di migranti senza documenti, spostano grandi quantità di stupefacenti e si dedicano allo spaccio di droga, alla distribuzione di prodotti contraffatti e pornografia indigena, al traffico di auto rubate e armi. Ora, come si può vedere nel caso di Chicomuselo, si dedicano anche al furto di minerali.

Queste bande, che spesso controllano i trasporti locali e le rotte in varie regioni, servono politici locali. La “nuova famiglia” chiapaneca, che in realtà è la vecchia famiglia chiapaneca riciclata, si è profondamente intrecciata con loro. Lo stesso è accaduto da parte delle leadership indigene tradizionali, alcune delle quali si sono avventurate con successo nel traffico di migranti e/o narcotraffico.

Una delle principali cause di questa violenza sono gli attacchi paramilitari contro le basi di appoggio zapatiste. (https://rb.gy/yrx0e). Appena lunedì 22 maggio, come parte di un’aggressione durata quattro giorni senza che le autorità intervenissero, il gruppo paramilitare dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) ha sparato a Gilberto López Santis, di origine tseltal, appartenente alla comunità autonoma di Moisés Gandhi nel municipio ribelle di Lucio Cabañas. Le sue condizioni sono gravi. Ha subito perforazioni al diaframma, all’intestino crasso, allo stomaco e alla milza. Lotta tra la vita e la morte. Negli ultimi mesi, l’Orcao ha attaccato i ribelli più di 10 volte, con totale impunità. Hanno bruciato magazzini di caffè, scuole e rapito indigeni.

Tra le altre cose, l’obiettivo dell’Orcao è spossessare i zapatisti delle terre che avevano riconquistato nella rivolta del 1994, anche per ottenere gli aiuti governativi del programma Sembrando Vida. Le loro aggressioni, perpetrate con totale complicità delle autorità, mostrano il grave deterioramento che si vive nello stato e inviano un segnale pericolosissimo. Non è solo un altro attacco. Il conflitto di fondo è in uno stato critico.

La situazione è altrettanto grave in molti altri comuni e località, tra cui Teopisca, Comalapa, Betania, la strada Las Choapas-Ocozocoautla, San Cristóbal, Frontera Comalapa, Trinitaria e Chicomuselo. I blocchi stradali a Teopisca sono sempre più frequenti, a causa della richiesta formale di destituire la sindaca Josefa María Sánchez e formare un consiglio comunale. Appena il 21 maggio scorso tre persone sono state ferite in uno scontro a fuoco tra agenti statali, che cercavano di arrestare i leader del movimento, e contadini che li difendevano.

A poco più di 120 chilometri di distanza, sulla strada Las Choapas-Ocozocoautla, il 25 maggio si sono verificati blocchi stradali (per cinque ore), sparatorie e l’incendio di un camion. Soggetti mascherati hanno assaltato camion e negozi Coppel e hanno dato fuoco a piccoli esercizi commerciali. Appena l’8 febbraio era successo qualcosa di simile. Nella zona di Malpaso, i cartelli si contendono il traffico di droga, il pagamento del “pizzo”, il passaggio di migranti senza documenti, armi e carburante di contrabbando.

La scorsa settimana è stata particolarmente tragica a Frontera Comalapa, dove i criminali si contendono il territorio, uccidendo persone innocenti nel fuoco incrociato. Spari, blocchi stradali, auto bruciate, carovane di veicoli armati (i famosi “mostri”) fanno ormai parte del paesaggio quotidiano della regione negli ultimi giorni. Nelle comunità vicine a Nueva Independencia, dove opera il gruppo Maíz (filiale del cartello Jalisco Nuova Generazione), vengono reclutati giovani e armati per combattere i rivali. Circa 3.000 persone sfollate dai loro villaggi si sono rifugiate sulle montagne e sulle rive dei fiumi.

Secondo il Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, lo Stato acconsente a tutto ciò, dato che nella comunità di El Jocote c’è un distaccamento dell’Esercito messicano. Sulla strada Paso Hondo-Frontera Comalapa si trova un distaccamento della Guardia Nazionale. E nel comune di Chicomuselo si trova la base militare più grande dell’Esercito messicano.

Non è un’esagerazione. La polveriera di Chiapas può esplodere in qualsiasi momento.

Articolo originale https://www.jornada.com.mx/2023/05/30/opinion/011a1pol?from=homeonline&block=opinion

Traduzione Cooperazione Rebelde Napoli

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Pronunciamento nazionale e internazionale sull’aggressione alla comunità Moises Gandhi

 Ai popoli del Messico e del mondo,

Alle persone, alle collettivitá e ai popoli che difendono la Vita.

A coloro che sentono l’urgenza di agire di fronte a un sud-est messicano in fiamme.

Oggi, in questo momento, il Messico è giunto ad un limite, un limite che sembra sempre lontano finché un proiettile esploso dall’alto non fa detonare la rabbia del Messico dal basso. Il compagno zapatista Jorge López Santiz è in bilico tra la vita e la morte a causa di un attacco paramilitare dell’Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (ORCAO), la stessa organizzazione che da tempo sta attaccando e molestato le comunità zapatiste. Il Chiapas è sull’orlo di una guerra civile, con paramilitari e assassini al soldo di vari cartelli che si contendono i territori per i propri profitti, e i gruppi di autodifesa, con la complicità attiva o passiva del governo statale di Rutilio Escandón Cadenas e il governo federale di Andrés Manuel López Obrador.

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), che ha mantenuto la pace e ha sviluppato un proprio progetto di autonomia nei suoi territori cercando di evitare scontri violenti con paramilitari e altre forze dello Stato messicano, viene costantemente molestato, attaccato e provocato. Dalla fine del XX secolo, e fino al giorno d’oggi, l’EZLN ha optato per la lotta politica pacifica e civile nonostante le sue comunità siano state attaccate con proiettili, i suoi raccolti incendiati e il suo bestiame avvelenato. Nonostante il fatto che, invece di investire il proprio lavoro nella guerra, lo abbiano speso nella costruzione di ospedali, scuole e governi autonomi di cui hanno beneficiato zapatisti e non zapatisti, i governi, da Carlos Salinas a López Obrador, hanno sempre tentato di isolarli, delegittimarli e sterminarli. Oggi, a pochi mesi dal 40° anniversario dell’EZLN, l’attacco paramilitare contro gli zapatisti da parte dell’ORCAO ha come conseguenza che la vita di un uomo sia appesa a un filo, così come é al sul punto di esplodere un Messico che non può più sopportare la pressione che subisce nei confronti della propria dignità o la guerra contro le sue comunità e nei suoi territori.

L’attacco dell’ORCAO non è un conflitto tra comunità, come lo avrebbe definito Carlos Salinas e, come López Obrador cercherà sicuramente di dipingerlo. Si tratta di un atto la cui responsabilità diretta é tanto del governo del Chiapas quanto del governo federale. Il primo per aver coperto la crescita di gruppi criminali che hanno trasformato il Chiapas, da uno stato di relativa tranquillità, in una zona rossa di violenza. Il secondo per essere rimasto in silenzio e passivo di fronte all’evidente situazione in cui si trova il sud-est del paese. Perché l’ORCAO attacca le comunità zapatiste? Perché puó. Perché lo permette il governo di Rutilio Escandón? Perché, nel Chiapas di cui sopra, governare significa bagnarsi di sangue indigeno. Perché López Obrador tace? Perché il governatore del Chiapas è cognato del suo caro e fedele Ministro degli Interni, Adán Augusto López; perché come i suoi predecessori non può sopportare che un gruppo di ribelli sia il punto di riferimento per la speranza e la dignità; perché ha bisogno di giustificare un’azione militare per “ripulire” il sud-est e poter finalmente imporre i suoi megaprogetti.

Allo stesso modo crediamo che questo attacco sia il risultato delle politiche sociali del governo attuale per dividere e corrompere, distruggendo il tessuto sociale delle comunità e dei popoli messicani,in particolare del Chiapas. Vediamo con preoccupazione che programmi come “Sembrado Vida” (che si caratterizza per avere praticamente lo stesso budget del Ministero Federale dell’agricoltura) e altri simili, stiano incoraggiando lo scontro tra comunità storicamente espropriate delle loro terre e dei loro diritti, giacché vengono utilizzati come meccanismi di controllo politico e come merce di scambio affinché le organizzazioni come la ORCAO possano ottenere l’accesso ai presunti benefici che questi programmi forniscono, il cui prezzo è il furto delle terre autonome zapatiste recuperate. Per noi è chiaro che non si tratta di conflitti tra villaggi; si tratta di un’azione di controinsurrezione che mira a distruggerli, a distruggere l’EZLN e tutte le comunità e i popoli che continuano a lottare per una vita dignitosa.

Firmiamo questa lettera per chiedere a noi stessi e a coloro che credono che la dignità e la parola devono sollevarsi per fermare il massacro che si sta profilando; per chiamare a raccolta coloro che sono d’accordo con l’attuale governo, ad aprire i loro cuori alle ingiustizie che stanno sommergendo il presente di questo Paese, aldilà delle loro affinità o simpatie politiche; affinché possiamo riconoscerci nella necessità di agire con l’obiettivo comune di fermare questa atrocità.

Firmiamo questa lettera perché vediamo l’urgenza di porre fine alla violenza paramilitare in Chiapas. Perché non farlo significa lasciare che il Messico sprofondi ancora di più in questa guerra infinita che lo sta distruggendo.

Chiediamo giustizia per Jorge López Santiz.

Chiediamo lo scioglimento assoluto dell’ORCAO.

Chiediamo un’indagine approfondita sul governo di Rutilio Escandón.

Chiediamo che il silenzio di López Obrador cessi di essere complice della violenza in Chiapas.

Facendo nostre le richieste presentate dal Congresso Nazionale Indigeno, chiediamo:

1. Che sia garantita la salute del compagno Jorge e che gli sia prestata tutta l’attenzione necessaria per il tempo necessario.

2. Che si fermi l’attacco armato contro la comunità “Moisés y Gandhi” e che si rispetti il suo territorio autonomo.

3. Che gli autori materiali e intellettuali di questi attacchi paramilitari siano puniti.

4. Che vengano smantellati i gruppi armati attraverso i quali la guerra contro le comunità zapatiste è attiva e in crescita.

Chiediamo inoltre l’immediata liberazione di Manuel Gómez, base d’appoggio dell’EZLN, di cui non abbiamo dimenticato l’ingiusta detenzione.

​Con il CNI, avvertiamo che la guerra che hanno dichiarato contro i popoli originari, custodi della Madre Terra, ci obbliga ad agire in modo organizzato per fermare la crescente violenza e per ristabilire il nostro legame e la nostra cura per la Vita. Invitiamo a manifestare nelle strade, nelle ambasciate e nei consolati, nei centri di studio e nei luoghi di lavoro, nelle reti sociali; dovunque sia possibile e imprescindibile, contro la violenza militare, paramilitare e del crimine organizzato e in difesa della Vita.

Ci invitiamo e vi invitiamo a unire le forze per tessere una giornata di azioni dislocate dal 27 maggio al 10 giugno con una azione coordinata nazionale e internazionale il giorno 8 giugno.

​Che si fermi la guerra contro i popoli zapatisti.

             Se toccano un@, toccano tutt@

Giugno 2023

seguono centinaia di firme da tutto il  mondoqui l’appello in originale https://www.caminoalandar.org/about-4

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Ayotzinapa, il difficile cammino verso la verità

Luis Hernández Navarro

4 aprile 2023

Ayotzinapa è una ferita aperta. Sono passati otto anni e mezzo dall’atrocità e la ferita non si è cicatrizzata. Come si può chiudere se la verità non c’è? Se non c’è giustizia? E se il danno non viene riparato?

Il quinto rapporto del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI), Una visione globale dei fatti, dei responsabili e della situazione del caso Ayotzinapa, l’ultimo, ci mostra, articolato in 36 punti, gli enormi ostacoli per illuminare il l’oscurità che incombe sulla tragedia. Con prove comprovate, dimostrano l’impossibilità di chiudere il caso.

Il rapporto dimostra che diverse autorità a livello municipale, statale e federale, compresi i servizi di informazione contro il traffico di droga, ovvero Esercito, Polizia federale e di Stato, Cisen e polizia municipale di Iguala, erano a conoscenza, in tempo reale, dell’arrivo degli studenti della Normal Rural Raúl Isidro Burgos e della loro intenzione di prendere gli autobus per andare alla marcia del 2 ottobre a Città del Messico.

Le dichiarazioni dei testimoni protetti e i documenti trovati dal GIEI tracciano un ritratto terrificante del narco-stato esistente in Guerrero. C’è stata collusione tra membri di corporazioni e istituzioni di sicurezza a livello municipale, statale e federale con la criminalità organizzata a Iguala e nelle città vicine. Sebbene si sapesse del trasferimento di droga negli autobus passeggeri, gli esperti non hanno individuato rapporti sulle partenze di questi bus o sui filtri di ingresso in città da parte di gruppi della droga.

I militari erano collusi con il narcotraffico, come si evince dalle intercettazioni telefoniche di Chicago (intercettazioni DEA, conversazioni di membri dei Guerreros Unidos) responsabili del 27° e 41° Battaglione, in cui si parla di pagamenti ad almeno un comandante e un capitano. Testimoni protetti hanno confessato di ricevere periodicamente denaro per consentire le attività di Guerreros Unidos.

Gli studenti non sono stati catturati tutti contemporaneamente, in un’unica operazione. Sono stati attaccati con armi da fuoco in sette momenti diversi, in luoghi diversi, nell’arco di quattro ore. Le informazioni sugli eventi erano note in tempo reale dal C4. Nonostante la consapevolezza e la brutalità degli attacchi, nessuna autorità governativa a nessun livello ha fatto nulla per impedirlo.

Nonostante l’ordine del presidente Andrés Manuel López Obrador di consentire agli esperti il pieno accesso alle informazioni fondamentali, il ministero della Difesa Nazionale le nasconde. Le dichiarazioni dei comandanti e del personale del 27° Battaglione di fanteria, di base a Iguala, sono state modificate con l’avanzare delle indagini. I suoi membri hanno mentito più e più volte. Ad esempio, hanno nascosto la loro presenza sul posto o hanno detto falsamente di essere rimasti nelle loro baracche quella notte.

Un militare ha osservato, con mezzi tecnici, tre furgoni della polizia municipale. In quello centrale erano trasportati i civili. Tuttavia, questa prova non è stata consegnata al Procuratore Generale della Repubblica (FGR).

“Inspiegabilmente”, nonostante le prove a loro carico e disponendo di tutto il supporto legale, i mandati di cattura nei confronti di numerosi militari che hanno partecipato ai fatti sono stati annullati dalla Procura nel settembre 2022. Sei di essi, prioritari per il GIEI, non sono stati riattivati.

Come parte di una logica controinsurrezionale, l’Esercito si è infiltrato ad Ayotzinapa con tre militari spacciati per studenti. Noti come organismi di ricerca e osservazione (OBI), informavano i loro superiori degli accordi e dei movimenti degli studenti. Hanno comunicato ogni giorno per riferire sulla situazione. Uno era tra i 43 ragazzi scomparsi. Un altro OBI ha fatto rapporto il 27 settembre, dopo gli eventi, e ha annunciato ai suoi comandanti che avrebbe sospeso le comunicazioni per motivi di sicurezza. Il segretario di Sedena in quel momento riferì falsamente che il militare scomparso aveva sospeso le comunicazioni dal 22 settembre. Il 27 la segreteria ha preso contatto con la famiglia del giovane. “Tutto questo – dicono gli esperti – è rimasto nascosto nelle indagini per sette anni, fino a quando il GIEI ha trovato i documenti negli archivi Sedena dopo l’ordine di accesso del presidente del Messico”.

La segreteria sapeva in ogni momento cosa veniva fatto agli studenti. Nonostante ciò, non ha fatto nulla per prevenire, proteggerli o soccorrerli. Tuttavia, l’Esercito lo nega, così come nega anche l’esistenza, documentata, del Centro di Fusione Regionale dell’Intelligence di Iguala (CRFI), quando è avvenuto l’attacco contro i giovani.

Non erano gli unici servizi segreti statali a sapere cosa stava succedendo in tempo reale. Il Cisen aveva agenti e informazioni su quanto stava accadendo. Ma quei rapporti non sono mai stati resi pubblici.

Il rapporto GIEI dimostra che Ayotzinapa è stato un crimine di stato, un crimine contro l’umanità. Un’atrocità in cui sono coinvolte le più alte autorità civili e militari dell’amministrazione di Enrique Peña Nieto, con potere sufficiente per fermare e boicottare il pieno chiarimento dei fatti. Se la verità sulla notte di Iguala non emergerà e se non sarà fatta giustizia per le vittime, il fantasma di Ayotzinapa perseguiterà senza pietà l’intero Paese. https://www.jornada.com.mx/notas/2023/04/04/politica/ayotzinapa-el-dificil-camino-a-la-verdad/

Twitter: @lhan55

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(© borphy/istockphoto.com&Sebastian Terfloth-Collage RdR)

Tren Maya, la super ferrovia che distrugge gli ecosistemi. Gli zapatisti e il Tribunale internazionale per i Diritti della Natura bocciano la linea ferroviaria da 1.500 km che trasformerà il Sud del Messico.

Andrea Cegna. Il Manifesto 13 aprile 2023

Le garanzie di sostenibilità con cui il presidente del Messico Andres Manuel Lopez Obrador difende quotidianamente il Tren Maya si sono da subito scontrate con le denunce delle comunità indigene e di chi, nel paese, difende natura e biodiversità.

I 1500 KM DI ROTAIA che attraverseranno cinque stati meridionali del Messico collegando Palenque con Cancun sono stati progettati, secondo AMLO, «per essere un mezzo di comunicazione efficace e moderno che avvicinerà le zone archeologiche del sud-est del paese al turismo nazionale ed estero» e per essere «eredità di sviluppo per il sud-est del Messico». Non la pensano tutti e tutte così.

I PRIMI A DENUNCIARE l’assurdità e la violenza del progetto sono stati gli Zapatisti, per voce del Subcomandate Moises, nel 2020. Dicevano: «Grande Opera vuole dire distruggere un intero territorio». E andavano oltre: «Come zapatisti affermiamo con fermezza che solo un imbecille può considerare positive le grandi opere. Un imbecille o uno malvagio e scaltro che sa di mentire e non gli importa che la propria parola nasconda morte e distruzione, quindi il governo e tutti i suoi difensori dovrebbero dire chiaramente cosa sono: se sono imbecilli o bugiardi».

ORA C’È ANCHE LA DENUNCIA formale del Tribunale Internazionale Per i Diritti della Natura che è stato dal 9 al 12 marzo in Yucatan per verificare le denunce arrivate da più parti e tenere l’ottava udienza locale. «Un mega progetto di trasporto ferroviario che mette in serio pericolo la distruzione degli ecosistemi e delle comunità Maya, che, come hanno espresso varie testimonianze, non è solo un treno né è propriamente Maya», si può leggere nel documento reso pubblico alla fine del viaggio. «Un progetto – si legge ancora – che si connette con molti altri poli di sviluppo, mega-allevamenti di maiali, tra gli altri, esacerbandone gli impatti sociali, culturali, ambientali e di genere, e il cui master plan non è mai stato presentato dalle autorità».

PER IL TRIBUNALE IL PROGETTO sta proseguendo non solo senza rispettare la natura, la biodiversità e i diritti umani ma anche favorendo ecocidi ed etnocidi grazie alla massiccia presenza militare e alla «politica della paura» utilizzata per intimidire coloro che si oppongono alla sua costruzione. I cinque membri del Tribunale, tra i quali c’era Raul Vera, ex vice di Don Samuel Ruiz e quindi suo successore come vescovo a San Cristóbal de Las Casas e poi a Saltillo, hanno ascoltato le testimonianze di 23 diverse comunità di Yucatan, Quintana Roo, Chiapas e Campeche.

IL PROGETTO DIPINTO come grande «occasione» di turistificazione per il paese non prevede però solo la costruzione di imponenti strutture «eco-turistiche» che impatteranno in maniera notevole i diversi territori attraversati dalle rotaie, ma anche un collegamento con il Corridoio Transistmico, altra grande opera promossa da AMLO, gestita e controllata dalla Marina Militare, che consiste nella riattivazione del treno di collegamento del porto di Salina Cruz con Oaxaca, di quello di Coatzacoalcos con Veracruz e quindi all’installazione di dieci parchi industriali, nonché con l’aeroporto in costruzione di Tulum e quello in via di potenziamento di Palenque e quindi con la futura autostrada Palenque-San Cristóbal de Las Casas. Ogni opera ha bisogno delle altre per poter corrispondere al pieno delle aspettative.

IL TREN MAYA È IL GRIMALDELLO attorno a cui si muove l’enorme operazione di maquillage, guidata in prima persona dal presidente, che nasconde in sé un progetto, di stampo neoliberista, di strutturale trasformazione del sud del Messico. https://ilmanifesto.it/tren-maya-la-super-ferrovia-che-distrugge-gli-ecosistemi

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Un treno devasta la terra dei Maya

Francesco Martone 23 Marzo 2023 https://comune-info.net/un-treno-devasta-la-terra-dei-maya/

Una delegazione del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura ha visitato nei giorni scorsi lo Yucatan ed il Quintana-Roo in Messico. Voleva incontrare le comunità che subiscono le devastanti conseguenze della costruzione del megaprogetto del Tren Maya, il fiore all’occhiello del governo di centrosinistra messicano. Ne abbiamo parlato tante volte: il progetto essenziale di quella modernità è la riduzione a uno dei mondi possibili. Tutto quel che gli resiste va calpestato e dilaniato: le conoscenze denigrate come pseudoscientifiche, le forme di vita comunitaria che non mettono al centro la “democrazia” delle istituzioni statali, le economie non assoggettate all’accumulazione, le relazioni sociali, magari molto più segnate da profondità ma ispirate a un “romantico misticismo”, il rifiuto “anti-storico” di consegnarsi mani e piedi all’avanzata di tecnologie e della sola idea di scienza desiderabile, quella asservita al denaro e alla produttività. Il racconto di Francesco Martone, che è uno dei giudici del Tribunale, e la sentenza emessa sulla criminalità che umilia la terra e la dignità Dal 9 al 12 marzo scorso una delegazione di giudici del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura ha visitato lo Yucatan ed il Quintana-Roo in Messico, per incontrare le comunità che subiscono l’impatto della costruzione del megaprogetto del Tren Maya e per svolgere una udienza pubblica che serve a valutare le violazioni sui diritti della Natura e quelli dei popoli indigeni.

Il progetto prevede la costruzione di 1500 kilometri di ferrovia attraverso foreste, territori ricchi di tesori archeologici, e comunità locali. Si prevede anche la costruzione di una ventina di nuovi insediamenti urbani (Polos de Desarrollo) come volano per lo “sviluppo” economico e produttivo di tutta la regione.

L’infrastruttura è connessa al Corridoio Trans-istmico che attraverserà la lingua di terra di Tehuantepec, e già oggetto di forti proteste locali, ed al Plan Puebla Panamà. Seppur venga promosso come progetto di valorizzazione turistica di tutto lo Yucatan le cifre svelano un’altra storia: sui convogli che saranno lunghi in media mezzo chilometro solo il 20% del carico sarà composto da turisti, il resto da materie prime o prodotti di esportazione, come la carne di maiale verso la Cina.

Da tempo gli impatti ambientali, culturali, sociali e sui diritti dei popoli indigeni sono denunciati pubblicamente ma invano, visto che il presidente AMLO punta su questo megaprogetto come il “segno” distintivo del suo mandato in scadenza, e non esita a militarizzare il territorio per imporne la costruzione.

Non a caso la costruzione di metà del tragitto della ferrovia – che dovrebbe essere ultimata entro fine anno – è in mano ai militari che controlleranno anche la società nella quale confluiranno le rendite del progetto, e che verranno poi redistribuite come pensioni ai militari in pensione.

A Piste’, nei pressi di Chichen Itza’ i giudici (Maristella Svampa, Padre Raul Vera, Francesco Martone, Yaku Perez, Alberto Saldamando) hanno raccolto le testimonianze di lavoratori ed artigiani del settore turistico, poi a Señor, dove hanno toccato di prima mano il clima di intimidazione da parte delle forze armate: poche ore prima i militari erano andati casa per casa a minacciare chi era stato invitato a partecipare ad una assemblea pubblica con i giudici.

All’appuntamento comunque si sono presentate una decina di persone che hanno raccontato della deforestazione e degli impatti ambientali del Treno e dei megaprogetti infrastrutturali connessi, allevamenti intensivi di suini, taglio di indiscriminato di alberi di specie preziose, risarcimenti mai concessi.

Eppoi a Tihosuco dove sono state raccolte testimonianze sull’impatto devastante di monoculture di mais transgenico, sistemi di asservimento dei piccoli produttori alla produzione forzata di cibo per le catene alberghiere e per l’esportazione in una sorta di “megamaquiladora” a cielo aperto, dell’impatto devastante sulla produzione tradizionale di miele o quello delle megacentrali eoliche e solari destinate a alimentare i resort turistici che verranno costruiti.

Il giorno seguente a Valladolid si è tenuta una udienza pubblica con interventi di leader di comunità maya, movimenti per la difesa del territorio, accademici e ricercatori che hanno fornito ulteriori prove di quello che si sta prefigurando come un vero e proprio etnocidio, ed ecocidio.

Un rischio ormai evidente come nel caso dei “cenote” (specchi d’acqua sotterranei che rappresentano la fonte principale di acqua potabile nonché importanti siti sacri per la cosmologia Maya) del tragitto 5 della ferrovia a Playa del Carmen, oggetto di un sopralluogo da parte del Tribunale.

I giurati hanno potuto constatare come la costruzione di piloni di cemento per le rotaie, conficcati nel terreno vanno ad impattare in maniera devastante sui “cenote” oltre a essere destinati a sprofondare nel terreno friabile che caratterizza tutta la regione.

Impatti ambientali irreversibili che si accompagnano alla distruzione di luoghi fondamentali per le culture ancestrali Maya, già sotto attacco dalla crescente industria del turismo di massa. Non è infatti un caso che la “securitizzazione” dello spazio pubblico, attraverso la militarizzazione, la dichiarazione del Tren Maya come opera di sicurezza nazionale, la repressione o la delegittimazione delle proteste e delle legittime richieste delle comunità interessate dal Treno e dalle infrastrutture connesse, si accompagnino a una strategia di stigmatizzazione, disprezzo e delegittimazione della cultura, delle pratiche, delle misure di vita e delle conoscenze ancestrali del popolo Maya.

Si tratta di un’ulteriore forma di violenza che deriva dalla violazione dei diritti bioculturali dei popoli a conferma di come il neo-estrattivismo si nutre di morte e geneai morte, morte dei territori, degli ecosistemi, morte dei loro popoli, delle loro culture, delle loro cosmologie, in una parola una “necropolitica”.

Il Tren Maya nella sua accezione più ampia si alimenta e si impone grazie ad un clima di sospensione o violazione dei diritti o peggio ancora di privazione dei diritti, di vuoto giuridico e legale, di violenza istituzionale o statale e di violazione della dignità e dei diritti i un popolo che nel corso della storia ha subito due estinzioni, la seconda come conseguenza della conquista e del genocidio che ne è seguito.

Nonostante questo debito storico, il popolo Maya sia ancora in piedi, dignitoso, offrendoci un esempio di come recuperare un rapporto intrinseco con la nostra Madre Terra, soggetto di dignità e diritti. E mostra al mondo che non ci può essere territorio senza popoli e non ci possono essere popoli senza territori.

Il Treno Maya e gli altri megaprogetti ad esso connessi come il Corridoio Transistmico e i piani di estrazione mineraria e petrolifera pertanto non solo sono estranei alla natura e al popolo Maya, ma rappresentano un modello criminogeno, nel senso che generano crimini sistemici contro i diritti esistenziali della Madre Terra e dei Popoli.

Di seguito il testo tradotto della sentenza, che chiede la sospensione immediata del Tren Maya e dei progetti connessi, accusa lo stato messicano di violazioni dei diritti della Natura e dei popoli, propone la creazione di una commissione indipendente d’indagine, chiede il risarcimento dei danni ambientali e sociali, esorta alla protezione e tutela dei difensori e difensore dell’ambiente sotto minaccia, e chiede la promulgazione di leggi che riconoscano i diritti della Natura come già fatto in alcuni stati messicani.

La sentenza preliminare è stata tradotta in Maya e verrà diffusa in tutte le comunità, per essere usata come strumento di rivendicazione e piattaforma di costruzione di alleanze e collaborazioni a livello nazionale ed internazionale.

Il Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura è un Tribunale di opinione fondato dalla GARN (Global Alliance on the Rights of Nature) nel 2014 con l’obiettivo di promuovere i diritti della Natura e offrire uno spazio di denuncia e rivendicazione sulle violazioni degli stessi e dei diritti di chi li difende.

Ha svolto varie sessioni ed udienze, prima di questa sul Tren Maya una sull’Amazzonia brasiliana nel giugno dello scorso anno in concomitanza con il Forum Sociale Panamazzonico di Belem, nello stato brasiliano del Parà. Nei prossimi giorni una delegazione del Tribunale si recherà in Patagonia Argentina, a Vaca Muerta (il secondo giacimento di gas e petrolio di scisto più grande del mondo) per indagare gli effetti del fracking sui diritti della natura e quelli del popolo Mapuche

Per maggiori informazioni: www.rightsofnaturetribunal.org

www.garn.org

per materiali in italiano sulla missione del Tribunale in Messico:

https://ecor.network/articoli/il-tribunale-locale-dei-diritti-della-natura-contro-il-tren-maya/

Intervista a Francesco Martone, membro della giuria del Tribunale per Radio Onda D’Urto:

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EZLN, 29 años después, apuesta a las nuevas generaciones para continuar lucha zapatista

La cuarta generación de milicianos zapatistas se reunió con los iniciadores del EZLN para conmemorar el levantamiento indígena de 1994 y recuperar la memoria de quienes dieron su vida por el EZLN.

Redacción AN / BJC 02 Jan, 2023 08:05

Foto: Ángeles Mariscal

Por: Ángeles Mariscal

https://aristeguinoticias.com/0201/mexico/ezln-29-anos-despues-apuesta-a-las-nuevas-generaciones-para-continuar-lucha-zapatista/

Miles de jóvenes, hombres y mujeres de rostro aniñado, conmemoraron el aniversario 29 del alzamiento del Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN). Fueron sus abuelos y tatarabuelos los que iniciaron la organización indígena que fue el parteaguas en la reivindicación de los derechos de los pueblos indígenas y declararon la guerra al gobierno mexicano, ahora ellos y ellas tienen la encomienda de continuarlo.

Ese fue el mensaje que se dio en los centros de reunión donde celebraron con bailes, justas deportivas y una demostración de las fuerzas insurgentes el levantamiento zapatista de 1994.

“Sigan en lucha, sigan en resistencia. Todavía no se acaba el trabajo. Se vienen cosas en las que se necesita la colaboración de las comunidades. Les pedimos a las nuevas generaciones que aprendan la forma de organización, que aprendan a trabajar dentro de sus pueblos y comunidades”, fue el mensaje de uno de los mandos del EZLN, en el Caracol Jacinto Canek también llamado “Flor de nuestra palabra y luz de nuestros pueblos que refleja para todos”, cuya sede se encuentra en el centro de capacitación CIDECI-Unitierra, del municipio de San Cristóbal de las Casas.

Ahí, entre las instalaciones que sirven como talleres de oficios, salones de estudio, bibliotecas, auditorio y albergue a donde asisten todos los días del año jóvenes zapatistas, se efectuó una de las celebraciones que se replicaron en cada sede del EZLN a lo largo del territorio indígena de Chiapas.

En el Caracol Jacinto Canek hubieron ancianos, ancianas, también hombres y mujeres de edad adulta, pero quienes prevalecieron fueron las juventudes zapatistas que constituyen la cuarta generación de quienes integran el movimiento insurgente.

La mayoría con el rostro descubierto, a diferencia de los adultos acostumbrados a usar el pasamontaña que se constituye como un elemento identitario del EZLN, las juventudes celebraron los 29 años del alzamiento armado.

Hubo dos escoltas que le dieron formalidad al acto, una que portaba la bandera de México y otra con la bandera zapatista, una estrella roja sobre un fondo negro.

En esta última, la abanderada era una mujer joven con uniforme de miliciana -pantalón verde y camisola café-, a su izquierda estaba un hombre cuyas arrugas que asomaban por el pasamontaña denotaba tener más de 50 años; el resto de la escolta eran hombres fuertes con porte y movimientos que evidenciaban tener entrenamiento de quienes forman las milicias zapatistas.

El discurso político que se dio poco antes de las 12 de la noche del 31 de diciembre en este centro de reunión, estuvo a cargo de una mujer y un hombre dirigentes del movimiento armado.

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“Estamos unidos para recordar esta fecha que es de importancia para nosotros. Tal vez sean solo unas horas que vamos a estar juntos, pero estamos recordando una fecha que es importante para todos. Una fecha en donde personas dieron su vida para que nosotros pudiéramos tener una buena vida, alcanzar el buen vivir”, dijo en tsotsil, el idioma indígena de la región, la dirigente zapatista.

También les recordó a quienes murieron en 1994, durante los primeros minutos y días del alzamiento armado; les recordó las demandas enunciadas en su primer pronunciamiento: trabajo, tierra, techo, alimentación, salud, educación, independencia, libertad, democracia, justicia y paz; y la vigencia de estas demandas que no han sido subsanadas por el gobierno mexicano.

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“Es de suma importancia recordar a todos los que perdieron la vida, a hombres y mujeres que murieron en esos días difíciles. Sigan trabajando en unidad. Es un largo caminar que ya está andado, que los que murieron dejaron. Seguimos en busca de justicia”, explicó la dirigente zapatista.

En su turno, al hablarles a las y los asistentes, en nombre del EZLN, uno de los líderes habló directamente a las juventudes del zapatismo y les dijo: “es importante que las nuevas generaciones aprendan para que pueda seguir la organización. No cambien su forma de pensar, honren a quienes murieron por la organización y porque sigan los pueblos siendo comunidad”.

También, en tostsil, les recordó que el trabajo y lucha del EZLN tiene nuevos retos que deberán afrontar, “sigan en lucha, sigan en resistencia. Todavía no se acaba el trabajo”, les insistió.

“No cambien su forma de pensar, sigan así, sigamos pensando así porque hasta ahora la organización ha caminado bien y seguimos el legado y el pensamiento de los que ya murieron. Y si bien se ha transformado, esto ha sido en comunidad, por lo que es importante que sigamos aprendiendo todo esto”, dijo a quienes atentos escuchaban sus palabras.

Casi a la media noche, mientras celebraban con juegos pirotécnicos, las y los zapatistas pregonaban sus consignas: “¡Viva el EZLN!, ¡Viva el 29 aniversario del levantamiento armado! ¡Vivan las insurgentas! ¡Vivan los insurgentes! ¡Vivan las milicianas! ¡Vivan los milicianos! ¡Viva el Subcomandante Insurgente Pedro! ¡Vivan todos los caídos y caídas! ¡Viva la resistencia y rebeldía!

¡Viva el subcomandante insurgente Moisés!, ¡Viva el Subcomandante Insurgente Galeano! ¡Viva Chiapas! ¡Viva Chiapas! ¡Viva México!, ¡Viva México! ¡Viva México!”.

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di Andrea Cegna – https://ilmanifesto.it/caserma-messicana

Il Parlamento messicano ha votato affinché l’esercito continui a svolgere operazioni di «pubblica sicurezza» nelle strade fino al 2028 e non fino al 2024 come disposto nel 2006 con l’inizio della mal chiamata «guerra alla droga». Il Messico, allora, non era il paese violento che è oggi, morti e desaparecidos non avevano indotto l’Istituto di Studi Strategici di Londra a parlare di stato di guerra non riconosciuta. Ogni qualvolta è stato decretato lo stato d’emergenza e ed è cresciuto il numero di militari e poliziotti abbiamo visto la violenza esplodere. Stato dopo stato fino al Chiapas dove per “contenere” i flussi migratori sono stati schierati, recentemente, migliaia di effettivi della Guardia nazionale. Una presenza che ha generato fenomeni di violenza anomali per lo stato, e contestualmente fatto scoprire la presenza di gruppi del crimine organizzato prima invisibili. Con l’arrivo alla presidenza di Andrés Manuel López Obrador (Amlo) in molti e molte avevano sperato che si sarebbe messo un freno alla massiccia presenza di militari nel paese. Non è andata così.

IL VOTO DEFINITIVO in aula si è svolto lo scorso 12 ottobre, data che negli anni ha smesso di essere il giorno della scoperta delle Americhe e si è trasformata in momento di mobilitazione contro il colonialismo. I tradizionali cortei allora sono diventati occasione per dire «no alla militarizzazione». Alcuni hanno denunciato il rischio di estendere con la presenza dei militari anche le volontà non dette della war on drugs, tanto che a Città del Messico è comparsa la scritta «più potere all’esercito = più alleati per i narcos». Per Oswaldo Zavala, docente universitario, studioso delle dinamiche militari, autore del libro La guerra en las palabras. Una historia intelectual del narco en México, «il processo di militarizzazione che stiamo vivendo ha storia e complessità molto più ampie della guerra alla droga». Secondo Zavala «è un processo di militarizzazione globale della sicurezza intrinseco all’idea di dominio neoliberista. Un processo che i governi del nord-globale hanno voluto riprodurre e imporre in tutto il pianeta. Così abbiamo visto armare e dare la possibilità di agire come forze di sicurezza alle polizie municipali e locali, con una riproduzione della violenza che colpisce maggioritariamente le categorie più vulnerabili e povere».

D’altro canto il governo di López Obrador ha dato una significativa svolta alle indagini sui casi di Ayotzinapa e di Tlatlaya che stanno portando in carcere o alla sbarra militari di alto livello. Ha rotto con la gestione di Calderon e Peña Nieto, condivisa con gli Usa, del dossier crimine organizzato portando a uno scontro, tutt’altro che retorico, sia con Trump che con Biden.

LA DEA E GLI USA HANNO DECISO di intervenire con la maldestra operazione di arresto del figlio del Chapo, Garcia Luna (colui che ideò e mise in pratica la “guerra alla droga”) e soprattutto il fermo dell’ex generale e ministro della Difesa Salvador Cienfuegos. Un’intromissione che ha fatto scattare una spasmodica difesa delle forze armate proprio da parte del governo messicano. E questo nonostante il caso Garcia Luna – come fa notare Manuel Vázquez Arellano, sopravvissuto alla notte di Iguala e oggi parlamentare di Morena – mostri con evidenza come «lo Stato messicano fosse in stretta relazione con il crimine organizzato: le indagini dimostrano come Garcia Luna trattasse e difendesse gruppi del crimine organizzato e come il presidente Calderon sapesse tutto questo. Ma anche il caso Florence Cassez vede la regia occulta di Garcia Luna e mostra come ci fossero funzionari disposti a manipolare tutto ciò era in loro potere per difendere gli affari che stavano svolgendo. Osservando Garcia Luna si può vedere lo stretto legame tra Stato e narcotrafficanti». Secondo Associated Press «durante il suo mandato López Obrador ha lasciato un numero crescente di compiti all’esercito, tra cui la costruzione di opere emblematiche come il nuovo aeroporto della capitale e una linea ferroviaria nel sud del paese (il contestatissimo Tren Maya, ndr), la gestione di dogane e aeroporti civili e la distribuzione dei vaccini». Il dispositivo di legge è arrivato al voto in un momento di forte dibattito sull’operato dell’esercito, poiché il caso Ayotzinapa sta mostrando come le forze armate abbiano agito congiuntamente a gruppi del crimine organizzato, e a pezzi della politica locale, nella pianificazione e azione che ha portato alla scomparsa dei 43 studenti. E anche perché, grazie a un azione hacker, sono state rese pubbliche le isteriche operazioni di spionaggio dei militari contro attiviste e attivisti politici, le costanti violenze contro le comunità zapatiste e anche la vendita di armi tra esercito e gruppi del crimine organizzato. Ma è almeno dal massacro del 2 ottobre 1968 che in Messico ci sono campagne contro la militarizzazione del paese. Una rivista di sinistra, Porqué, nel 1972 titolava: «Senza colpo di stato in Messico il potere è dei militari».

ZAVALA RICORDA che «il problema inizia alla fine degli anni ’40 quando l’esercito iniziò ad occuparsi di campagne contro la coltivazione di droghe. Poi – prosegue – c’è una accelerazione con l’applicazione del “Plan Condor” (1975-1977) e la consistente militarizzazione del cosiddetto “triangolo dorato”, regione montuosa tra gli stati di Sinaloa, Chihuahua e Durango. La militarizzazione del paese continua poi per tutti gli anni ’80 e diventa più radicale a partire dagli anni ’90 con la nascita del Cisen – Centro di investigazione e sicurezza nazionale – e la firma di accordi internazionali con gli Usa. L’esercito è cresciuto in termini di importanza, dimensione e capacità di influire nelle dinamiche interne durante le ultime quattro decadi». Nella fotografia del potere che l’esercito ha in Messico, Zavala ricorda anche che «esiste una relazione molto complessa tra militari, economie legali e illegali e potere politico. Viviamo un processo costante di saccheggio ed espropriazione delle risorse naturali ed è il vero problema che attraversa tutti i paesi definiti dall’occidente “in via di sviluppo”. Paesi che più di altri subiscono le volontà dei grandi oligopoli transnazionali che trafficano con petrolio, gas naturale, litio, e più in generale con l’estrazione di materie prime ed energia. E cosa vediamo? Vediamo uno scontro, a volte, per il controllo di queste risorse tra stati e imprese private, ma più spesso vediamo che le risorse naturali vengono regalate alle grandi società private».

ED È PROPRIO QUI, secondo Zavala, che «si sta giocando la partita fondamentale del Messico, non nel traffico di sostanze o nella presunta guerra tra presunti cartelli. Il tema centrale è il controllo del territorio e delle risorse. Per il controllo del territorio, in Messico, si arriva a uccidere e fare violenza anche su chi fa attività sociale e si oppone allo sfruttamento di corpi e territori. È finito il tempo di pensare che politiche energetiche e di sicurezza siano due cose distinte».

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Diagramma dei nomi e rete di collegamenti per la sparizione dei 43 studenti presentato questo venerdì dal sottosegretario ai Diritti Umani, Alejandro Encinas. Foto presa dalla trasmissione.

L’ordine di far sparire i 43 studenti fu dato presumibilmente dal sindaco di Iguala José Luis Abarca

Emir Olivares y Arturo SánchezLa Jornada 26/08/2022

L’ordine di far sparire i 43 studenti da Ayotzinapa fu dato da A1 che presumibilmente sarebbe l’ex sindaco di Iguala, José Luis Abarca e da dirigenti del gruppo criminale Guerreros Unidos, in collusione con altre autorità di diversi livelli di governo.

Lo ha annunciato questa mattina il presidente della Commissione Verità e Accesso alla Giustizia (Covaj) per il caso Ayotzinapa, Alejandro Encinas, anche sottosegretario ai Diritti Umani del Ministero dell’Interno (SG).

Ai fatti avrebbe partecipato anche il comandante del 27° battaglione dell’Esercito, con base a Iguala, José Rodríguez, identificato come El Coronel, che avrebbe giustiziato gli ultimi sei studenti normalisti che erano stati trattenuti in un magazzino per diversi giorni dopo la notte del 26 e la mattina presto del 27 settembre 2014.

Partecipando questo venerdì alla mañanera del presidente Andrés Manuel López Obrador, il sottosegretario Encinas ha svelato uno schema che contiene i nomi e la rete di collegamenti avvenuta per la scomparsa dei 43 studenti della Normale. Questa informazione è stata verificata nella copia del rapporto sul caso che lo stesso funzionario ha rilasciato la scorsa settimana perché non erano stati emessi mandati di arresto contro molti dei presunti coinvolti, compresi i militari.

“Chi ha dato l’ordine (di farli sparire)? Sarebbe A1, presumibilmente José Luis Abarca; i vertici di Guerreros Unidos e in collusione con alcune altre autorità, che è ciò che fa parte dell’indagine (condotta dalla Commissione)”, ha sottolineato Encinas.

Nel rapporto si afferma: “A1 ha dato l’ordine di recuperare la merce: ‘fotteteli tutti come vi pare‘. A1 ha ordinato di far sparire tutti gli studenti perché non sanno ‘con chi hanno a che fare‘ e la piazza si sta scaldando troppo, ‘uccideteli tutti, Iguala è mia‘”.

Interrogato su dove si trovassero i normalisti o le loro spoglie, il sottosegretario ha risposto: “I ragazzi sono stati oggetto di un crudele lavorio di sparizione e si sta cercando di individuare i luoghi sulla be delle testimonianze di alcune delle persone coinvolte, perché i resti sono stati persino spostati in un altro luogo dopo la notte della scomparsa. Questi sono i problemi che stiamo analizzando”.

Ha sottolineato che non spetta alla commissione preposta, ma che spetterà alla giustizia civile e militare svolgere le indagini, formulare le accuse, le conclusioni e indirizzare tutto questo verso la verità e la giustizia – che è la richiesta centrale delle famiglie dei 43 studenti.

“Stiamo fornendo tutti i rilievi, le indicazioni e le prove alla Procura Generale, in particolare all’Unità Specializzata per il Contenzioso del Caso, loro dovranno delineare le responsabilità, questo è molto importante. Noi siamo la commissione per la verità e l’accesso alla giustizia, non siamo agenti di polizia, non siamo pubblici ministeri; stiamo fornendo tutte le informazioni che ci consentono di chiarire i fatti e sarà l’autorità stessa a definire la portata delle responsabilità”.

Ha aggiunto: “ci sono responsabilità all’interno della giustizia militare, perché non è stato applicato il protocollo di ricerca stabilito dal Ministero della Difesa Nazionale per i soldati desaparecidos, ma sarà anche l’autorità militare a prendere le decisioni”. Questo perché l’Esercito aveva infiltrato uno dei suoi elementi, Julio César López Patolzin, che è uno dei 43 studenti, perché i protocolli delle forze armate richiedono che sia tutelata l’integrità dei soldati a rischio.

Fonte: https://www.jornada.com.mx/notas/2022/08/26/politica/orden-de-desaparecer-a-los-43-fue-presuntamente-de-abarca-covaj/

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MESSICO. Svolta nelle indagini sulla “sparizione” dei 43 studenti e sulla strage di Iguala nel 2014. Ribaltata la “verità storica” di Murillo Karam. Militari, agenti e malavitosi tra gli 83 arrestati

di Andrea Cegna

«Ya me cansé» (mi sono stancato) disse Jesús Murillo Karam, capo della Procura generale della Repubblica durante il governo dell’ex presidente Enrique Peña Nieto (EPN). Era il 7 novembre del 2014, durante la conferenza stampa che comunicava al Messico, e al mondo, la presunta «verità storica» sulla scomparsa di 43 studenti della scuola Normale Rurale Isidro Burgos di Ayotzinapa e l’omicidio di sei persone a Iguala la notte tra il 26 ed il 27 settembre dello stesso anno.

IL 19 AGOSTO DI 8 ANNI DOPO Jesús Murillo Karam è stato arrestato dallo stesso istituto, che ora ha cambiato – non solo formalmente – nome in Fiscalia Generale della Repubblica (Fgr). In manette sono finite altre 83 persone tra cui militari, poliziotti, e alcuni malavitosi. L’ex procuratore è stato arrestato con l’accusa di sparizione forzata, tortura e mala gestione della giustizia, nel caso “Ayotzinapa”.

Potrebbe esserci qualche legame tra l’ondata di arresti, le indagini della Fgr e i risultati dell’ultima informativa del Giei che a marzo mostrò prove scientifiche sull’infiltrazione da parte dell’esercito negli studenti di Ayotzinapa, così come della manomissione del «luogo dove i 43 sarebbero stati bruciati», ovvero la discarica di Cocula, poche ore prima dell’arrivo di Jesús Murillo Karam e di altre cariche dello stato che avrebbero poi scritto la «verità storica». Tra le carte si legge che l’ex presidente e l’ex ministro della Difesa, il militare Salvador Cienfuegos Zepeda, non sono indagati.

IL GIORNO PRIMA dell’ondata di arresti Alejandro Encinas, presidente della Commissione verità e accesso alla giustizia, ha reso note alcune conclusioni preliminari per cui sarebbe evidente, come i familiari degli studenti han detto dal primo giorno, che il caso dei 43 normalisti di Ayotzinapa è stato un crimine di Stato, che a oggi non ci sono indicazioni che siano vivi e certo che governo ed esercito ne avrebbero potuto prevenire morte.

Nella relazione presentata giovedì scorso al Palazzo nazionale in presenza dei genitori dei 43, Encinas ha insistito sul fatto che non vi è alcuna indicazione che siano vivi. Al contrario, secondo le testimonianze e le prove sarebbero stati astutamente uccisi. Invece pr il Pri, ex “partito Stato” e riferimento di Murillo Karam, «l’arresto risponde più a una questione politica che di giustizia. L’azione non dà risposte alle famiglie delle vittime».

MANUEL VÁZQUEZ ARELLANO, conosciuto come Omar Garcia, oggi deputato di Morena, nel 2014 normalista sopravvissuto al massacro di Iguala, dice che «non siamo più ai tempi di EPN, ma è chiaro che c’è qualcosa legato a lui nella vicenda. Si è mobilitato un intero Paese, non è possibile che la voce di migliaia e milioni di persone in solidarietà con il movimento di Ayotzinapa non conti nulla. Allora EPN avrebbe dovuto rinunciare al suo ruolo, oggi dovrebbe essere, almeno, chiamato a testimoniare».

Per Gilberto Lopez y Rivas, antropologo e giornalista «è difficile dare un opinione, ora, visto che i familiari si sono presi il tempo di riflettere prima di rilasciare una dichiarazione pubblica. Pare però importante che finalmente si riconosca che la notte di Iguala e la pseudo indagine conseguente furono un crimine di stato, come sempre abbiamo detto. Pare anche importante l’arresto di Murillo Karam, se questo significa che si sta indagando su tutta la catena di comando civile e militare. Solo se si avrà il coraggio di indagare fino alle più alte sfere dell’esercito e della politica si potrà aver giustizia. Per questo è molto preoccupante che l’attuale presidente dica «la ricerca della verità rafforza le istituzioni e l’esercito», non è molto responsabile che si continui a difendere le forze armate che per decenni hanno vissuto nell’impunità.

PER FEDERICO MASTROGIOVANNI, giornalista autore di Ni Vivos Ni Muertos, «è una svolta interessante perché Murillo Karam non è un quadro intermedio e questo fa pensare che finalmente si stia facendo sul serio, non è usuale che in Messico venga arrestato un personaggio della sua caratura. Soprattutto per i capi di accusa per cui è stato arrestato».

Il Manifesto, 21/08/2022 https://ilmanifesto.it/ayotzinapa-fu-crimine-di-stato-in-manette-lex-procuratore

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La Giunta di Buon Governo del Caracol 10 Patria Nueva e Le Brigate Civili di Osservazione avvertono del rischio di sgombero forzato delle Basi di Appoggio Zapatiste a Nuevo San Gregorio, Chiapas, Messico

Firma l’azione urgente: https://frayba.org.mx/220511_au06

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Messico: esercito coinvolto nella strage di Ayotzinapa

Lo denuncia il Gruppo interdisciplinario di Esperti indipendenti (Giei) che indaga sul caso della sparizione forzata dei 43 normalistas

a cura di Radio Onda d’Urto

Lunedì 28 marzo il Gruppo interdisciplinario di Esperti indipendenti che indagano sul caso della sparizione forzata dei 43 di Aytozinapa ha mostrato le prove di come elementi della Marina Militare abbiano inquinato le prove sulle tracce dei giovani ragazzi intervenendo nella discarica di Cocula. Ieri, martedì 29 marzo, il presidente messicano Andreas Manuel Lopez Obrador ha dichiarato “l‘inchiesta sui 43 normalisti è ancora aperta ed è un impegno dell’attuale governo far conoscere ciò che è loro accaduto”. Il presidente ha detto anche che dopo aver visionato il video ha dato l’istruzione di indagare sugli allora capi del corpo militare.

L’informativa dice anche che l’esercito messicano aveva infiltrato i giovani della scuola Normale Rurale di Ayotzinapa e che quindi, anche la lotte tra il 26 e 27 settembre 2014, stavano monitorando gli spostamenti dei giovani. L’esercito sapeva. L’esercito è stato parte dell’operativo.

Il GIEI ha evidenziato che con l’inizio del governo di Andrés Manuel López Obrador sono stati rilevati documenti che hanno evidenziato come la passata amministrazione ha cercato di delegittimare e limitare le indagini. Le famiglie dei 43 normalisti di Ayotzinapa hanno chiesto l’apertura di un’indagine contro il Segretario alla Difesa Nazionale, la Marina e l’ex presidente Enrique Peña Nieto per la scomparsa degli studenti nel 2014. Per il Gruppo interdisciplinario di Esperti indipendenti “per avanzare nel caso è necessario il pieno accesso alle informazioni e lasciare il formalismo al formalismo che ostacola e ritarda” e aggiunge “22 persone che potrebbero aver avuto informazioni sul caso sono morte; solo due di morte naturale. Il ruolo della criminalità organizzata nel caso non può essere ignorato”.

Angela Buitrago, del GIEI, ha detto, che ci sono stati tre momenti chiave nell’inuqinamento delle prove nel caso della scomparsa dei 43 normalisti, “le autorità hanno omesso e modificato le informazioni per nascondere ciò che sapevano. Ad esempio, si decide di catturare le persone come possibili autori e sulla base di questi arresti viene elaborata una versione dei fatti”.

Mario González, padre de César Manuel González Hernández, in conferenza stampa ha dichiarato “vorrei dirvi che le istituzioni hanno giocato con noi: ci hanno fatto firmare un decreto presidenziale a dicembre in cui ci hanno promesso di consegnare tutte le informazioni che c’erano sul caso Ayotzinapa, ci hanno fatto andare al 27° Battaglione sapendo che non avremmo trovato niente. Come non arrabbiarsi, se dopo tre anni escono informazioni che avrebbero dovuto essere consegnate in quel momento? Come non essere arrabbiati se non sappiamo nulla dei nostri figli?”

Un estratto della conferenza stampa dei genitori dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa Ascolta o scarica https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2022/03/estrettao-conferenza-stampa-gr13.mp3

(*) Link all’articolo originale: https://www.radiondadurto.org/2022/03/30/messico-il-giei-denuncia-le-compromissioni-nellesercito-nella-scomparsa-dei-43-studenti-di-ayotzinapa/

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Sono onorato di presentarvi questo libro digitale che ho scritto in spagnolo l’estate scorsa, e che è appena stato pubblicato grazie al lavoro paziente della compagna valenciana Lola Cubells. Onorato per varie ragioni: perché è uno dei 27 volumi dell’iniziativa “Al faro zapatista” scritti in occasione del Viaggio per la vita attraverso il quale abbiamo poi ospitato le delegazioni zapatiste, perché dietro c’è il silenzioso lavoro di revisione di brave compagne, perché nel comitato editoriale c’è anche un certo John Holloway, perché sto accanto a nomi di persone che hanno studiato e agito molto più di me e scritto cose molto più importanti, perché scrivere mi ha consentito di rielaborare quel che so dell’autonomia zapatista, della vecchia autonomia operaia italiana e del rapporto ideale che c’è tra esse, perché è un libro “hecho en Chiapas” (dato che non ci vado da tanti anni, un modo particolare di tornarci), perché mi piace pensare che Paola e Gianfranco ne sarebbero stati fieri, perché dentro c’è la storia di tante e tanti di noi.

Il progetto editoriale prevedeva tre filoni, dei quali ne ho scelti due: l’apporto teorico-politico dello zapatismo e come ci ha ispirato nelle nostre pratiche. La proposta mi ha costretto a condensare in una cinquantina di pagine alcune idee che ho maturato in questo ventennio di vita politica adulta dentro Ya Basta!

Non sarà ineccepibile né incontestabile, ma è un po’ di quello che ho capito io, se ci ho capito qualcosa.

Il link per scaricarlo gratuitamente è QUI

Buona lettura a chi vuol leggerlo.

Daniele Di Stefano

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COMMISSIONE SEXTA ZAPATISTA

Messico

NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA BATTAGLIA

(Sull’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo)

2 marzo 2022

Ai firmatari della Declaración por la Vida:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Compañer@s y herman@s:

Esprimiamo il nostro pensiero e parole su quanto sta accadendo attualmente nella geografia che chiamano Europa:

PRIMO.- C’è un aggressore, l’esercito russo. Ci sono interessi dei grandi capitali in gioco, da entrambe le parti. Coloro che ora patiscono i deliri di alcuni ed i subdoli calcoli economici di altri, sono i popoli di Russia e Ucraina (e, forse presto, quelli di altre geografie vicine o lontane). Da zapatisti quali siamo, non sosteniamo l’uno o l’altro Stato, ma piuttosto coloro che lottano per la vita contro il sistema.

Durante l’invasione multinazionale dell’Iraq (quasi 19 anni fa) guidata dall’esercito americano, ci furono mobilitazioni in tutto il mondo contro quella guerra. Nessuno sano di mente allora pensava che opporsi all’invasione fosse mettersi dalla parte di Saddam Hussein. Ora è una situazione simile, anche se non la stessa. Né Zelensky né Putin. Fermate la guerra.

SECONDO.- Diversi governi si sono allineati da una parte o dall’altra, facendolo su calcoli economici. Non vi è alcun valore umanistico in loro. Per questi governi e i loro “ideologi” ci sono interventi-invasioni-distruzioni buone e ce ne sono di cattive. Le buone sono quelle portate avanti dai loro affini, e le cattive sono quelle perpetrate dai loro opposti. Il plauso all’argomento criminale di Putin per giustificare l’invasione militare dell’Ucraina, si trasformerà in lamento quando, con le stesse parole, si giustificherà l’invasione di altri popoli i cui processi non sono di gradimento al grande capitale.

Invaderanno altre geografie per salvarli dalla “tirannia neonazista” o per porre fine ai “narco-stati” vicini. Ripeteranno quindi le stesse parole di Putin: “dobbiamo denazificare” (o il suo equivalente) ed abbonderanno di “ragionamenti” di “pericoli per i propri paesi”. E poi, come ci dicono le nostre compagne in Russia: “Le bombe russe, i razzi, le pallottole volano verso gli ucraini senza chiedere le loro opinioni politiche e la lingua che parlano”, ma cambierà la “nazionalità” delle une e delle altre.

TERZO.- I grandi capitali e i loro governi “occidentali” sono rimasti in poltrona a contemplare – e persino incoraggiare – la situazione che si stava deteriorando. Poi, una volta iniziata l’invasione, hanno aspettato di vedere vedere se l’Ucraina avrebbe resistito, calcolando ciò che si poteva trarre da un risultato o dall’altro. Poiché l’Ucraina resiste, si cominciano ad emettere fatture per “aiuti” che verranno riscosse in seguito. Putin non è l’unico ad essere sorpreso dalla resistenza ucraina

I vincitori di questa guerra sono le grandi industrie degli armamenti e i grandi capitali che vedono l’opportunità di conquistare, distruggere/ricostruire territori, ovvero, creare nuovi mercati di merci e di consumatori, di persone.

QUARTO.- Invece di rivolgerci a quello che diffondono i media e i social network delle rispettive parti – che entrambe presentano come “notizie” – o alle “analisi” nell’improvvisa proliferazione di esperti di geopolitica e nostalgici del Patto di Varsavia e della NATO, abbiamo cercato e chiesto a coloro che, come noi, sono impegnati nella lotta per la vita in Ucraina e in Russia.

Dopo diversi tentativi la Commissione Sexta Zapatista è riuscita a mettersi in contatto con i nostri parenti di resistenza e ribellione nelle geografie che chiamano Russia e Ucraina.

QUINTO.- In breve, questi nostri parenti, che oltretutto sventolano la bandiera della @ libertaria, sono decisi: in resistenza quelli che sono nel Donbass, in Ucraina; e in ribellione coloro che percorrono e lavorano per le strade e i campi della Russia. In Russia ci sono arrestati e pestati per aver protestato contro la guerra. In Ucraina ci sono assassinati dall’esercito russo.

Li unisce tra loro, e loro con noi, non solo il NO alla guerra, ma anche il rifiuto di “allinearsi” con i governi che opprimono la loro gente.

In mezzo alla confusione e al caos da entrambe le parti, le loro convinzioni restano salde: la loro lotta per la libertà, il loro ripudio dei confini e dei loro Stati Nazione e le rispettive oppressioni che cambiano solo bandiera.

Il nostro dovere è sostenerli al meglio delle nostre possibilità. Una parola, un’immagine, una melodia, una danza, un pugno alzato, un abbraccio – anche da geografie lontane – sono un sostegno che animerà i loro cuori.

Resistere è persistere ed è prevalere. Sosteniamo questi parenti nella loro resistenza, cioè nella loro lotta per la vita. Lo dobbiamo a loro e lo dobbiamo a noi stessi.

SESTO.- Per quanto sopra, invitiamo la Sexta nazionale e internazionale che non l’ha ancora fatto, secondo i propri calendari, geografie e modi, a manifestare contro la guerra e a sostegno di ucraine e ucraini e di russe e russi che lottano nelle loro geografie per un mondo con libertà.

Nello stesso tempo, invitiamo ad appoggiare economicamente la resistenza in Ucraina attraverso i numeri di conto corrente che ci indicheranno a suo tempo.

Da parte sua, la Commissione Sexta dell’EZLN sta inviando un piccolo aiuto a quanti, in Russia e Ucraina, combattono la guerra. Sono stati inoltre avviati contatti con i nostri parenti in SLUMIL K´AJXEMK´OP per creare un fondo economico comune per sostenere coloro che resistono in Ucraina.

Senza doppiezze, gridiamo e invitiamo a gridare ed esigere: Fuori l’Esercito Russo dall’Ucraina.

-*-

Se continua e, come prevedibile, cresce, forse poi non ci sarà nessuno a rendere conto del paesaggio che resterà dopo la battaglia.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés SupGaleano

Commissione Sexta dell’EZLN

Marzo 2022

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2022/03/03/no-habra-paisaje-despues-de-la-batalla/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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STOP ALLA REPRESSIONE DEI POPOLI ORIGINARI IN MESSICO

Al popolo del Messico.

Ai popoli del mondo.

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Ai mezzi di comunicazione.

Denunciamo che il 15 febbraio intorno all’1:20, le forze repressive del malgoverno, composte da elementi della Guardia Nazionale, la polizia di stato di Puebla e la polizia municipale di Juan C. Bonilla, hanno invaso e smantellato gli spazi di resistenza e organizzazione della Casa de los Pueblos Altepelmecalli, spazio culturale e politico autonomo che fino al 22 marzo 2021 è stato lo stabilimento fisico della società Bonafont, azienda transnazionale che da anni ruba e sovrasfrutta le falde acquifere della regione di Cholulteca.

Condanniamo fermamente l’escalation repressiva che viene dalle viscere del governo della capitale, che si fa chiamare 4T, contro la resistenza e la lotta per la vita delle nostre sorelle e fratelli dei Pueblos Unidos della regione di Cholulteca e dei Vulcani che, sostenendo la difesa della vita collettiva, ha trasformato questo focolaio di morte in uno spazio di incontro e di scambio nel mezzo della determinazione di imporre il Progetto Integrale Morelos a Morelos, Puebla e Tlaxcala, che prevede un gasdotto attraverso il territorio dei popoli dei Vulcani, dove germoglia la speranza fatta di ribellione e di antiche e nuove forme di organizzazione.

Ci dichiariamo in allerta di fronte alla possibile persecuzione dei fratelli e delle sorelle della Casa de los Pueblos Altepelmecalli e consideriamo il governo federale responsabile dell’utilizzo del suo gruppo armato chiamato Guardia Nazionale per intensificare la guerra del denaro contro la vita. Lo riteniamo responsabile della tutela delle imprese dell’azienda Bonafont che spossessa, monopolizza, privatizza e trae profitto in modo immorale dall’acqua dei nostri villaggi, dove subiamo l’emergere di doline e il prosciugamento di pozzi, sorgenti, fiumi e i flussi, come è il caso del fiume Metlapanapa, che il Fronte popolare della regione di Cholulteca e dei Vulcani ha difeso dallo sfruttamento e dalla contaminazione a beneficio dei corridoi industriali.

Denunciamo l’offensiva repressiva del malgoverno neoliberista messicano contro le nostre compagne e compagni che, dalle loro geografie, alzano la bandiera dell’organizzazione del basso per chiamarci a combattere per la vita, CONDANNIAMO:

  1. L’omicidio del compagno Francisco Vázquez, presidente del consiglio di vigilanza dell’ASURCO, che ha alzato la voce contro il furto dell’acqua dagli ejidos della regione di Ayala per il funzionamento della centrale termoelettrica di Huexca, Morelos.
  2. La criminalizzazione del popolo Otomí e del compagno Diego García da parte del titolare di quell’oscura istituzione del malgoverno che chiamano INPI, che serve come organismo replicante dell’indigenismo e per il controllo clientelare nelle nostre comunità, istituzione che aveva i suoi uffici in quella che oggi è la Casa de los Pueblos Samir Flores Soberanes.
  3. La persecuzione contro il Consiglio Supremo Indigeno di Michoacán, viste le sue recenti mobilitazioni contro il disprezzo, il razzismo e l’espropriazione e per la rimozione dell’oltraggioso monumento noto come Los Constructores a Morelia, Michoacán.
  4. L’indifferenza e la complicità criminale della Guardia Nazionale di fronte alle violenze in Guerrero, mentre i cartelli della droga attaccano le comunità del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero-Emiliano Zapata che si oppongono ai megaprogetti estrattivi e denunciano la complicità dei governi con i gruppi narco-paramilitari, assassinando e facendo sparire i nostri fratelli.
  5. La militarizzazione dell’Istmo di Tehuantepec per imporre il megaprogetto del Corridoio Interoceanico Salina Cruz-Coatzacoalcos, nonché l’occupazione illegale delle terre delle nostre comunità per tale progetto, come avviene con la comunità binnizá di Puente Madera, appartenente ai beni comunali di San Blas Atempa, Oaxaca.
  6. L’uso della Guardia Nazionale e dei gruppi armati degli stati e dei municipi per reprimere gli studenti delle scuole rurali normali di Ayotzinapa, Tiripetío e Mactumatzá che protestano per chiedere giustizia e migliori condizioni per le loro scuole.

Riteniamo il governo federale del Messico responsabile di questa escalation repressiva contro i nostri popoli e chiediamo che cessino le azioni della Guardia Nazionale e delle forze di polizia contro coloro che si oppongono allo sfruttamento-distruzione della natura e all’esproprio dei territori, patrimonio comunitario dei popoli originari, per imporre i progetti di morte promossi dallo Stato Messicano.

Invitiamo i popoli, le nazioni e le tribù indigene del Messico, così come le organizzazioni e i gruppi alleati, a vigilare su questa ondata di repressione neoliberista annunciata dal governo capitalista di questo paese attraverso l’accordo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Federazione il 22 novembre 2021, che dichiara i progetti e le opere del governo federale di interesse pubblico e sicurezza nazionale come pretesto per utilizzare le sue forze armate contro quei popoli che si oppongono allo spossessamento e alla distruzione senza precedenti del territorio messicano.

Invitiamo le persone, i gruppi, i collettivi, le organizzazioni e i movimenti nei territori di SLUMIL K´AJXEMK´OP (nota anche come “Europa”) a mobilitarsi e pronunciarsi contro la transnazionale Bonafont-Danone – con sede in Francia – e le rappresentanze dell’attuale governo federale messicano in Europa.

Per la Vita!

Solidarietà e sostegno ai popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno!

Distintamente.

16 febbraio 2022

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Commissione Sexta

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2022/02/16/alto-a-la-represion-en-contra-de-los-pueblos-originarios-en-mexico/

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Messico: cartografia della guerra

Raúl Romero* / I

Visualizzate una mappa del Messico. A nord si trova il Corridoio Logistico e Industriale del Trattato tra Messico, Stati Uniti e Canada. Sebbene le informazioni pubbliche al riguardo siano ancora scarse e imprecise, Caxxor Group ha già riferito che sta cercando di costruire e modernizzare porti, parchi industriali e una ferrovia come parte di questo corridoio. Il porto di Mazatlán, in Sinaloa, si trasformerebbe in un nodo che collegherebbe la costa dell’Asia con quella messicana. L’informazione si completa con i piani annunciati dalla fusione tra Canadian Pacific Railway e Kansas City Southern, che prevedono di collegare per 32mila chilometri di ferrovia Canada, Stati Uniti e le città messicane di Matamoros, Monterrey, Città del Messico e Veracruz, tra altre.

In questa mappa che state visualizzando, collocate ora il Progetto Integrale Morelos che include un gasdotto, un acquedotto e due centrali termoelettriche in pieno territorio vulcanico, negli stati di Puebla, Morelos e Tlaxcala. Anche al centro del paese, nello stato del Messico, metteteci l’Aeroporto Internazionale Felipe Ángeles.

Negi stati di Oaxaca e Veracruz mettete un treno, un’autostrada e due porti come parte del Corridoio Interoceanico che vuole unire via terra l’Oceano Pacifico con l’Oceano Atlantico. Molto vicino a qui, proprio di fianco a Veracruz, collocate anche la nuova raffineria a Dos Bocas, in Tabasco. Non dimenticate di tracciare, in Chiapas, Campeche, Yucatan, Quintana Roo e Tabasco il Tren Maya, con le sue strade ed il suo aeroporto.

Attorno a tutti questi progetti e megaprogetti visualizzate gli effetti della costruzione o modernizzazione, così come di quelli di esercizio, di hotel, bar, ristoranti, parchi eolici, miniere, allevamenti di maiali, birrerie, fabbriche componentistiche (maquilas), corridoi industriali, centri logistici, imprese energetiche e molto altro.

Su questa stessa mappa, ora collocate i gruppi del crimine organizzato, quelli presenti a livello nazionale, come il cartello di Sinaloa e quello di Jalisco Nueva Generación, o quelli con presenza nei singoli Stati o regioni, come gli scissionisti di Los Zetas, del Golfo, i Caballeros Templarios, la Familia Michoacana, o quello di Santa Rosa de Lima, l’Unione Tepito, Los Rojos, Los Ardillos

In questa stessa geografia, identifichi i più di 4.806 fosse clandestine come rifportato ad ottobre 2021 da Karla Quintana, incaricata nazionale per la ricerca di persone scomparse, ubicate praticamente tutta la nazione, ad eccezione di Querétaro e Città del Messico (https://bit.ly/3KI9U4S). Includete anche i dati del Registro Nazionale delle Persone Scomparse o non Localizzate: 97.306 persone in tutto il Messico. Osservate in particolare Jalisco, Tamaulipas e lo stato del Messico, dove si registra il maggiore numero di casi. Qui metteteci anche gli oltre 43 uomini e donne giornalisti assassinati dal dicembre 2018 a luglio 2021 e riconosciuti dal Ministero degli Interni (https://bit.ly/3o7JXSD). Includete i sei giornalisti che sono stati assassinati da allora, compresi Margarito Martínez e Lourdes Maldonado.

In questa cartografia della guerra, mettete anche le 68 persone attiviste dei diritti umani assassinate dal dicembre 2018, la maggioranza di loro, attivisti ambientali. Inoltre, includete i femminicidi e transfemminicidi.

Se volete aggiungere maggiori dettagli nella cartografia, metteteci anche la città prigione per le persone migranti in Tapachula, o le regioni con presenza di gruppi paramilitari e narcoparamilitari che tutte le settimane attaccano comunità indigene, come a Nuevo San Gregorio, nel Chiapas Zapatista, o nella Montaña Baja di Guerrero. Potete anche contrassegnare gli stati con politici denunciati per agire in coordinamento con imprese estrattive o con il crimine organizzato. O quelli dove si sottraggono o inquinano le riserve di acqua dolce o dove si disboscano le foreste.

Il capitalismo neoliberista che in Messico ha raggiunto le sue espressioni più rappresentative nei megaprogetti infrastrutturali, energetici ed estrattivi, così come nelle economie criminali, non è solo eredità del passato, ma prosegue vigente ed in espansione.

Se voi come me siete stati colti dalla disperazione dopo aver abbozzato questa cartografia, ne avete tutte le ragioni, le cose non vanno bene e non dobbiamo ingannarci. Ma non dimenticate anche che in queste stesse geografie possiamo tracciare una cartografia della resistenza e della speranza. Molto altro nella seconda parte.

* Sociólogo

Twitter: @RaulRomero_mx

Fonte: La Jornada https://www.jornada.com.mx/2022/02/06/opinion/013a2pol

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Intervista a Pedro Faro, coordinatore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé De Las Casas sulla campagna “Nuestra Lucha Es Por La Vida”

In Messico la violenza è diffusa da nord a sud, da est a ovest. Uno degli ultimi stati dove la violenza è esplosa è il Chiapas, che nel 1994, dopo la rivolta zapatista è stato lo stato messicano più militarizzato di sempre e ha vissuto il dramma della paramilitarizzazione negli anni seguenti. Ora il Chiapas ha subito un percorso di re-militarizzazione tramite lo schieramento di migliaia di uomini della Guardia Nazionale schierati al confine in chiavi anti-migranti e sta vivendo un ritorno degli attori del paramilitarismo che ora si mettono al soldo dei gruppi del crimine organizzato che quasi sempre rispondono a loro volta agli interessi dell’economia e della politica.

Per capirne di più abbiamo intervistato (assieme a Radio Onda d’Urto, con la preziosa traduzione di Annamaria Pontoglio del Comitato Maribel di Bergamo) Pedro Faro, coordinatore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas.

Pedro, grazie di essere con noi. A settembre l’EZLN ha scritto un comunicato parlando di uno stato di guerra civile in Chiapas. E’ così?

Come riporta la denuncia del Subcomandante Galeano, nel comunicato intitolato “Chiapas sull’orlo della guerra Civile”, la situazione che stiamo vivendo è assolutamente reale. In base alla documentazione da noi raccolta, la violenza in Chiapas è esplosa e la situazione molto critica sta generando condizioni di violenza profonde. Questo è dovuto a diversi fattori, primo fra tutti l’assenza dello Stato e l’ingovernabilità, per cui lo Stato sta permettendo a gruppi legati al crimine organizzato e a gruppi paramilitari di esercitare le loro azioni criminali nei territori in cui vivono i popoli originari e in diverse città dello stato del Chiapas. Stiamo constatando una crisi della situazione dei diritti umani evidenziata dagli sgomberi forzati: ci sono circa 14.776 persone sfollate vittime di sgomberi forzati completamente abbandonate dallo Stato Federale e da quello locale che non forniscono loro alcuna assistenza. E questo viola gravemente i diritti umani di questi uomini, donne e bambini, con un impatto pesante a livello psicologico e stravolgendo la vita e la cultura delle comunità indigene che vivono ormai in uno scenario di guerra. Il caso più evidente è quanto succede nel Municipio di Aldama, situato negli Altos del Chiapas, che subisce la persistente aggressione contro due sue comunità da parte di un gruppo paramilitare proveniente dalla zona di Santa Marta Chenalhó. Abbiamo verificato che la presenza dello Stato è assolutamente insufficiente e non disattiva questa violenza che tiene nel terrore l’intera popolazione. La situazione più critica è in Aldama, ma questo avviene anche a Chalchihuitán, Pantelhó, Simojovel ed in altre zone nea nord dello stato come a Chilón dove ci sono molti sfollati.

Come si esercita questo clima nei territori rurali ed indigeni?

Questa violenza viene esercitata sulle terre recuperate dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazione (EZLN) con la sollevazione armata del 1994, che sono territori sotto il controllo dell’EZLN dove le comunità stanno costruendo la loro autonomia, il loro governo alternativo, antisistemico e anticapitalista, dove si è creato un meccanismo di giustizia molto più legato alla comunità, con proprie forme di governo e amministrazione costruite in questi 28 anni di resistenza dell’EZLN.

Ed ora di fronte a questa deliberata azione dello Stato di permettere a questi gruppi armati di agire impunemente nei territori dove vivono i popoli zapatisti che costruiscono la loro autonomia, arrivano nuove denunce da parte del Frayba ma anche da altre organizzazioni nazionali e internazionali, relative alla comunità di Nuevo San Gregorio e Moisés Gandhi, dove i gruppi criminali vogliono sottrarre territori che appartengono all’EZLN per diritto legittimo a partire dalla sollevazione del 1994 e dove continua a costruire e generare un processo molto importante che evidenzia come sia possibile vivere con un governo e un modo diverso dal sistema capitalista.

Questo come si inserisce nella storia recente del Messico?

Come viene evidenziato sui mezzi di comunicazione e da diverse analisi sul Messico negli ultimi decenni, stiamo vivendo in una situazione molto critica della violenza con quasi 95.000 desaparecidos ed oltre 300.000 omicidi vincolati al crimine organizzato. Noi abbiamo verificato il legame con il governo nei territori in cui si verificano le sparizioni forzate e gli omicidi. Esiste una trilogia del male tra gruppi criminali, le imprese ed i governi complici che generano le situazioni qui esposte che provocano gravi violazioni dei diritti umani della popolazione civile in Messico. Il Chiapas per molto tempo era rimasto fuori dal circolo della violenza estrema, ma in questo ultimo anno si è registrata una crisi della sicurezza con aumento della violenza in alcuni municipi dove si verificano scontri tra cartelli e gruppi criminali locali per il controllo del territorio e l’infiltrazione nelle istituzioni, così come la proliferazione di diversi attori oscuri che operano in impunità in varie zone del territorio chiapaneco. L’insicurezza e la dinamica della violenza in questi municipi ha generato situazioni di emergenza anche nelle zone di frontiera, come la situazione migratoria molto critica, che ha generato aumento di crimini associati al traffico illegale di esseri umani, narcotraffico, estorsioni, traffico illegali di armi. Questa conflittualità permanente socio-politica che presenta molti fattori legati anche al territorio, ha costi umani e sociali molto alti.

Pedro, che rapporto vedi tra crimine organizzato, politica ed economia?

C’è una violenza strutturale che deriva dal potere politico ed economico fondato sull’emarginazione ed esclusione storica delle comunità indigene e dei popoli originari, come se al governo messicano non importasse nulla nonostante anche il cambio di governo ora con Manuel Lopez Obrador. E nemmeno gli importano le cause di questa violenza, come neppure riconoscere le proprie responsabilità ed agire per disattivare questa violenza e consentire la pace in Chiapas. C’è un continuum con i governi precedenti e questo governo di MORENA [coalizione dei partiti al governo – N.d.T.] che governa sia a livello federale che statale, e non ci sono evidenze di cambiamenti nei confronti dei popoli originari e delle comunità indigene. Si percepisce invece una continuità ed una profonda discriminazione. La popolazione continua ad essere considerata sacrificabile, soprattutto la popolazione indigena che disturba i piani dei governi locali, statali e federale e gli interessi economici di gruppi armati criminali e imprese. Attualmente la maggioranza della violenza in Chiapas è legata a questi interessi criminali sul territorio che operano grazie a vincoli col governo che ora sono molto riconoscibili all’interno dell’apparato statale. L’aumento delle rotte criminale e del giro di affari di traffico di armi, auto rubate, narcotraffico, tratta di persone, pornografia, locali clandestini, sono vincoli di interesse comune tra criminalità, governo e imprese.

Uno dei nodi dello stato è senza dubbio la questione migratoria. Ci fai una fotografia della questione?

Negli ultimi anni si è denunciato una politica molto restrittiva dei diritti nei riguardi della popolazione migrante, soprattutto verso i richiedenti asilo, protezione internazionale e sanitaria. L’immigrazione è molto aumentata a causa della violenza, della povertà estrema, del cambio climatico, e originata anche da crisi economiche e dalla pandemia di COVID-19 che ha creato situazioni di difficoltà estreme per a sopravvivenza di questa gente nei propri paesi di origine. Per molte famiglie la sola alternativa è stata emigrare e cercare migliori condizioni di vita, che è un diritto alla migrazione, alla mobilità di ogni persona. Come risposta i governi sia di Cento America che del Messico hanno irrigidito le loro operazioni per fermare la migrazione e la mobilità delle persone con azioni di razzismo, discriminazione, un uso massiccio della forza e violando l’accesso alla giustizia e commettendo crimini vincolati con gruppi criminali. C’è stato un aumento esponenziale di arresti e deportazioni con numeri record: solo nel 2020 e fino agosto 2021 si sono registrati 148.903 arresti e 65.799 deportazioni. A fine anno questi numeri saranno molti di più. I luoghi di detenzione sono le stazioni migratorie dove non esiste alcun accesso ai servizi, ad una giusta difesa perché sono luoghi di detenzione, soprattutto per le persone che non parlano spagnolo, dove si commettono atti di tortura, omicidi, situazioni molto critiche, in particolare nella Estacion Migratoria (Siglo XXI) a Tapachula, che abbiamo visto essere un ghetto, un luogo di sterminio. A parte questo, il governo messicano ha rafforzato la militarizzazione ed i posti di controllo alla frontiera con l’Esercito Messicano e la Guardia Nazionale che per il 90% è formata da soldati dell’esercito. La situazione più grave si è verificata poche settimane fa quando un gruppo di circa 150 migranti si trovava in un camion che ha subito un incidente e 56 persone sono morte. Questo evento ha messo in luce la complicità dell’Istituto di Migrazione con questi gruppi criminali dediti alla tratta di persone che, come abbiamo visto, è uno dei giri d’affari criminali che genera più profitti. La politica migratoria in Messico continua ad essere deplorevole e a non dare risposte alla popolazione migrante che necessita di esercitare il diritto alla mobilità, come tutti noi, o come dovrebbe essere in termini umanitari e di diritti umani.

Il FrayBa ed altre organizzazioni hanno lanciato una campagna chiamata “Nuestra Lucha es Por La vida” a supporto dell’EZLN ci spieghi come funziona?

L’anno scorso si sono intensificate le aggressioni contro gli zapatisti, contro l’EZLN, in diversi territori in cui è in corso la costruzione permanente della loro autonomia e l’esercizio della libera autodeterminazione in quanto popoli originari. La situazione è critica. Diverse organizzazioni aderenti alla Sesta Dichiarazione dell’EZLN si sono unite alla campagna “Nuestra Lucha Es Por La Vida”, che è una frase che i compagni zapatisti hanno ricavato in ognuna delle loro azioni politiche per la difesa del proprio territorio, per la difesa della madre terra. È per questo che diverse organizzazioni internazionali, nazionali e statali ci siamo unite a questa campagna permanente per evidenziare questa situazione di aggressioni contro i territori zapatisti, in particolare ora a Nuevo San Gregorio che attualmente è assediato da un gruppo denominato “Los 40 invasores” che aggredisce le persone ed occupa il loro territorio. In questa situazione, la Rete AJMAQ insieme ad altre organizzazioni aderenti alla Sexta hanno realizzato una Carovana di Solidarietà ed hanno prodotto una serie di rapporti che documentano in maniera molto puntuale il meccanismo di violenza che viene esercitata da questo gruppo di scontro che gode dell’impunità del governo locale, statale e federale che in questo modo compie azioni di contrainsurgencia nel territorio che appartiene all’EZLN.

Per questo chiediamo la vostra attenzione e di aderire alla campagna “Nuestra Lucha Es Por La Vida” con azioni sui social da ognuna delle vostre trincee, secondo il proprio modo di agire, per denunciare e far sì che questi territori in cui lottano i nostri compagni zapatisti siano liberati dalla violenze e tornino sotto il controllo dei compagni zapatisti.

Le azioni che si possono fare sono video, azioni di fronte alle ambasciate del Messico per chiedere che si rispetti il diritto all’autonomia ed alla libera autodeterminazione dei popoli originari in Messico, delle comunità zapatiste, per il rispetto del territorio e della madre terra. https://www.olaamericana.info/2022/01/25/intervista-a-pedro-faro-coordinatore-del-centro-dei-diritti-umani-fray-bartolome-de-las-casas-sulla-campaga-nuestra-lucha-es-por-la-vida/

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Di Andrea Cegnahttps://www.olaamericana.info/2022/01/29/messico-non-si-uccide-la-verita-uccidendo-giornalisti/

I due omicidi in sei giorni a Tijuana hanno lasciato il segno. Non è facile trovare voci che abbiano voglia di parlare, non è semplice trovare commenti e racconti del clima che si vive nella città di frontiera. Seppure la violenza in città resta un dato di fatto e di continuità qualcosa è cambiato dopo i colpi di pistola contro Lourdes Maldonado. Dal 2000 ad oggi sono 148 i giornalisti uccisi nel paese per cui è possibile presumere che il movente dell’omicidio sia legato al proprio lavoro. 136 sono gli uomini uccisi, 12 donne. 28 sono stati uccisi sotto il governo dell’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador, 47 durante il governo del suo predecessore, Enrique Pena Nieto. A livello statale 31 sono stati uccisi in Veracruz, di questi 18 sotto il governatore Javier Duarte (dicembre 2010 – novembre 2016). Luis Hernandez Navarro, capo opinionista de La Jornarda, ricorda che “il Messico è un paese consumatore, produttore, e di transito per quanto riguarda la droga. Qui l’impresa criminale rappresenta il 10% del prodotto interno lordo, di questo totale il 40% è creato dal traffico di droga, attività combinata con il traffico di persone, il furto di mezzi di locomozione, il subaffitto di appartamenti, la pirateria e l’estorsione nel senso più ampio della parola. Questo implica che più di 60mila milioni di dollari provengono direttamente dal traffico e vendita di droga. Almeno mezzo milione di persone lavora nella filiera criminale. Attorno a tutto ciò c’è un sistema di lavaggio di denaro attraverso diverse forme d’impresa e tutto ciò si regge su reti di complicità molto ampie a cui partecipano l’esercito, la polizia, notai, impresari, politici ecc ecc”. Navarro prosegue “i giornalisti e le giornaliste quindi sono un ostacolo per queste reti criminal-politiche poiché molto spesso documentano i crimini che vengono commessi e mostrano la trama criminale a cui partecipano direttamente i grandi signori dell’economia e della politica”. Un giovane giornalista tijuanense, costretto dalla sindemia a fare altri lavori, trova il coraggio di parlare “penso che essere giornalista è pericoloso in tutte le parti del mondo ma in Messico, con i fatti dell’ultima settimana – soprattutto a Tijuana – è molto pericoloso”. Il clima in città è molto complesso infatti “a Tijuana il sistema di giustizia non funziona. Solo in questo inizio di 2022 ci sono state almeno 100 persone uccise e almeno nel 90% dei casi non ci sono responsabili. Di fatto sembra molto facile uccidere qui a Tijuana senza finire processati. Il nostro lavoro è trovare la verità, rendere pubbliche bugie e corruzione, ma questo è un paese corrotto, se si molestano gli interessi di alcune persone e visto che è provato che negli anni i colpevoli non vengono consegnati alla giustizia allora succede che ti ammazzano. E’ abbastanza allarmante e ci si rendiamo conto che anche se si è nei gruppi di protezione dello stato, anche se si grida di essere in pericolo, ti ammazzano lo stesso. E’ abbastanza triste, io sono molto triste e provato” racconta. La violenza in Messico si è fatta strutturale e le aggressioni ai giornalisti si intrecciano con le aggressioni sistematiche che si vivono. “In Messico ogni giorno vengono uccise 11 donne e ogni 38 ore una donna che lavora come giornalista o nell’ambito della comunicazione viene violentata” dice Amaranta Cornejo, ricercatrice universitaria “ma le cifre, se pur spaventose e terrificanti, non ci devono far fermare alla tragedia della vita troncata e neppure a ciò che colpisce le persone vicine alla persona assassinata, dobbiamo vedere come agisce più in profondità. Non si uccide la verità uccidendo giornalisti diciamo noi in Messico perchè le aggressioni non colpiscono solo chi viene colpito direttamente ma tutta la società, perchè generano di fatto il silenzio. Gli omicidi di giornaliste/giornalisti/comunicatori sono uno specchio in più della de-scomposizione sociale e politica. Dobbiamo capire seriamente chi ha realizzato il crimine perchè non si può cadere nella narrativa “che è sempre colpa del crimine organizzato”, questa è uscita semplicistica perchè sappiamo che viviamo in un paese dove esiste una collusione tra i criminali, i poteri economici e lo stato”. In questo clima è esplosa rabbia ed indignazione che ha portato, martedì 25 gennaio, ad una giornata nazionale di protesta e denuncia della violenza contro chi lavora nell’informazione. Protesta che ha portato in piazza in oltre 40 città ed in tutti gli stati che compongono il Messico diverse migliaia di persone mentre il presidente eletto Andres Manuel Lopez Obrador ha pensato fosse utile difendere l’ex governatore della Baja California, impresario di una televisione statale, ovvero il “capo” di Lourdes Maldonado contro il quale la giornalista aveva agito, e vinto, una causa lavorativa. AMLO ha difeso il suo compagno di partito dalle voci che lo vorrebbero legato alle violenze subite dalla giornalista.

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GRAZIE!

Comisión Sexta Zapatista
Coordinación Travesía por la Vida-Capítulo Europa

14 dicembre 2021

Alle organizzazioni, movimenti, gruppi, collettivi, popoli originari e individualità delle diverse geografie della terra ora nota come Slumil K´ajxemk´op.

Dalla Delegazione Zapatista La Extemporánea.

Compagne, compañeroas, compagni:

Hermanoas, sorelle, fratelli.

Vi salutiamo dalle montagne del Sudest Messicano e vi informiamo che tutte le compagne e compagni della delegazione aereo-trasportata che, nei mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre di quest’anno 2021, vi hanno visitati nelle vostre rispettive geografie, sono ormai nei rispettivi villaggi e località.

Alle 21:34 ora zapatista – 20:34 ora del Messico – di questo 14 dicembre: le 03:34 del 15 dicembre, ora di Slumil K´ajxemk´op, è stato confermato che tutte e tutti sono nei loro villaggi e località.

Siamo arrivati tutte e tutti in buone condizioni, interi e sani. Anche se siamo tutt@ emozionati e commossi dai giorni e dalle notti che ci avete permesso di condividere con voi. Torniamo con una ferita nel cuore che è di vita. Una ferita che non lasceremo che si chiuda.

Ora dobbiamo rivedere i nostri appunti per informare la nostra gente e le nostre comunità di tutto quello che abbiamo imparato e ricevuto da voi: le vostre storie, le vostre lotte, la vostra resistenza, il vostro indomito esistere. E, soprattutto, l’abbraccio di umanità che abbiamo ricevuto dai vostri cuori.

Tutto ciò che vi abbiamo portato proveniva dalla nostra gente. Tutto ciò che abbiamo ricevuto da voi è per le nostre comunità.

Per tutto questo, per la vostra ospitalità, per la vostra fratellanza, per la vostra parola, per il vostro ascolto, per il vostro sguardo, per il vostro cibo, per le vostre bevande, per il vostro alloggio, per la vostra compagnia, per la vostra storia, per l’abbraccio collettivo del vostro cuore, vi diciamo:

Kiitos
Danke schön
Hvala ti
Благодаря ти
Gràcies
Děkuju
Grazie
Hvala vam
Tak skal du have
Ďakujem
Aitäh
Eskerrik asko
Merci
Diolch
Grazas
Σας ευχαριστώ
Köszönöm
Thanks
Go raibh maith agat
Paldies
Ačiū
Ви благодарам
Takk skal du ha
Dziękuję Ci
Obrigada
Mulțumesc
Спасибо
Хвала вам
Tack
Teşekkürler

Grazie SLUMIL K´AJXEMK´OP!

Comunicheremo di nuovo con voi presto, perché la lotta per la vita non è finita. Abbiamo ancora molto da imparare da voi e molto per abbracciarvi.

A presto, compas.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

A nome della Extemporánea Zapatista.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Coordinatore.
Messico, Dicembre 2021

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LA LUCHA SIGUE!

Ieri abbiamo accolto per tutta la giornata la delegazione della Gira Zapatista a Bergamo! La giornata è stata di “Escucha y Palabra”. Tantissimi i temi che abbiamo toccato con i compañeros Zapatisti, testimoni diretti dell’esperienza anticapitalista e di autonomia nel Chiapas, stato a sud-est del Messico.

Partendo dal racconto della schiavitù e delle violenze subite dalle popolazioni indigene per secoli, e passando dalla nascita clandestina dell’EZLN nel 1983, i compagni ci hanno raccontato le tappe e gli snodi che hanno portato alla sollevazione armata del 1° gennaio 1994 e alla formazione delle Giunte di Buongoverno.

Vedere i compañeros all’interno del Pacì, negli spazi dove costruiamo alternativa al capitalismo quotidianamente, è stato emozionante, affascinante e coinvolgente.

È stato ancora più bello condividere la giornata con tante realtà e singoli della città, grazie a tutte e tutti!

Ci teniamo solo a sottolineare in modo molto veloce alcuni passaggi, anche simbolici, che possono forse suonare come slogan casuali, ma che contestualizzati con la lotta zapatista e soprattutto raccontati dalle loro lente parole, acquisiscono un enorme valore e un’esperienza unica.

1 – Il padrone è ovunque. Nello Stato c’è il padrone. Nella polizia c’è il padrone. Nelle organizzazioni del governo c’è il padrone. Nei funzionari c’è il padrone. Lui è il nemico.

2 – Non esiste un padrone buono, non esiste un governo buono.

3 – La lotta armata è iniziata dopo 10 anni di relazioni e clandestinità, per essere il più preparati possibile.

4 – Anche trattando con il Governo non sono mai state deposte le armi, si trattava restando EZLN a difesa delle comunità ribelli.

5 – Il supporto della comunità internazionale è stata fondamentale; ha contributo a far sì che la lotta zapatista cambiasse e lavorasse sulle Giunte di Buongoverno.

L’ultima cosa che vogliamo condividere qui è una delle ultime frasi dei compañeros: “Sieti sicuri che questi spazi di autogestione e queste libertà che avete ora il Governo vi permetterà di tenerle a lungo?” Ecco, continuiamo a muoverci insieme, portiamo solidarietà ed organizziamo la nostra rabbia!

Un grazie speciale a Il Baro per aver realizzato per la giornata di ieri questo fantastico pezzo, così che questa storica giornata resti impressa anche sui muri del Pacì e possa essere strumento per chi attraverserà lo spazio.

¡REBELDIA Y SOLIDARIDAD!

¡ZAPATA VIVE, LA LUCHA SIGUE!

c.s.a. Pacì Paciana https://www.facebook.com/pacipacianabergamo/posts/4275337172584779

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L’INVASIONE ZAPATISTA IN EUROPA È INIZIATA!

12 OTTOBRE – 8 NOVEMBRE 2021

https://www.facebook.com/LiberaAssembleaPensandoPraticando/

⭐️È iniziata la #GiraZapatista nella nostra Penisola e Isole! Un appuntamento costruito in un anno di incontri, percorsi, relazioni tra territori diversi, vicini e più lontani, uniti dallo stesso intento, di offrire un’accoglienza degna a popoli indigeni che dal Chiapas e dal Sud-Est del Messico hanno deciso di intraprendere un Viaggio per la Vita! EZLN, Congreso Naciónal Indígena e Fronte Del Popolo in Difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala hanno deciso di ripercorrere al contrario la rotta di Colombo e Cortès e di Invadere l’Europa, già ribattezzata SLUMIL K’AJXEMK’OP (Terra che non si rassegna o Terra Indomita), seminando una scia di Vita, Lotta e Bellezza, al contrario di quello che fecero i colonizzatori europei con al seguito Morte, Schiavitù e Devastazione.

Ci saranno decine di appuntamenti e di incontri, di scambio, di semi che incontrano altri semi, alcuni aperti e pubblici di fiesta condivisione e locura, altri incontri di confronto di esperienze pluridecennali di Resistenza in tutto il Pianeta, altri ancora intimi e ristretti che metteranno in contatto le lotte dei nostri territori a quelle rivoluzionarie del Chiapas dove da più di 30 anni si sta svolgendo un pezzetto di quell’Altro Mondo Possibile, senza sfruttamento della Terra nè della dignità umana, che in diverse parti del mondo tutte le persone che lottano e resistono al capitalismo stanno provando a costruire.

OVUNQUE E SEMPRE SAREMO ATTENT@:

– Alla salute di chi incontriamo, pretendendo le giuste pratiche di tutela sanitaria e utilizzando i relativi dispositivi.

– Alla sensibilità di chi incontriamo, rispettando la temperatura emozionale, evitando categoricamente lo sfruttamento social-mediatico e momenti di incoscienza collettiva ed individuale.

L’invasione da una geografia Europea si irradierà per tutta la Penisola fino alle Isole coinvolgendo 12Macro-Aree di cui di seguito trovate la lista (in aggiornamento) e alle quali fare riferimento per avere maggiori informazioni:

PIEMONTE e-mail : piemontezapatista@autistiche.org

NORDEST e-mail : girazapatistanordest@gmail.com

LOMBARDIA e-mail : a breve…

LIGURIA e-mail : onnivoro.asscult@gmail.com

TOSCANA EMILIA ROMAGNA e-mail : emiliatoscanazapatista@gmail.com

ROMA e-mail : romaviaggiozap@gmail.com

CENTRO ITALIA e-mail : lapaz.italiacentrale@gmail.com

SARDEGNA e-mail : zapatistasinsardigna2021@riseup.net

CAMPANIA e-mail : viaggiozapcampania@gmail.com

PUGLIA BASILICATA e-mail : girapugliabasilicata@gmail.com

CALABRIA e-mail : calabriaporlavida@autistici.org

SICILIA e-mail : siciliezapatiste@gmail.com

LINK & SOCIAL

Sito Europeo https://viajezapatista.eu/it/

Instagram Nazionale https://cutt.ly/BnQjI2X

Twitter Nazionale https://cutt.ly/AnQjHI2

Canale Youtube https://cutt.ly/cn76a61

Social Territoriali https://cutt.ly/bnQjbF5

#LaGiraZapatistaVa #EZLNinITALIA #LaGiraInItalia #OtroMundoEsPosible #UnAltroMondoèPossibile

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Commando Popcorn.

Commando Popcorn

Settembre 2021

Non lo so per certo, ma la leggenda colloca la gestazione di questa unità d’élite dell’ezetaelene a poche lune fa.

Sebbene il comando generale zapatista abbia più volte negato la sua esistenza classificando queste maldicenze nella cartella dei “Grandi Miti e Non” (insieme alle leggende del Sombrerón, la Xpakinté e delle ricette gastronomiche del defunto SupMarcos), le voci collocano la nascita dell’ormai famoso Commando Popcorn nel Caracol di Tulan Kaw alla fine del 2019.

Secondo ciò, l’autoproclamato SupGaleano si era accaparrato tutto il mais da popcorn dello stato messicano sudorientale del Chiapas. E, sebbene il suddetto abbia poi affermato che il suo piano fosse quello di sabotare le grandi catene cinematografiche e costringerle a ridurre il prezzo di un articolo così prezioso – oltre a vietare le assurde varianti che offrono popcorn aromatizzati al sapore di fritture stantie – indagini successive hanno sostenuto l’ipotesi avanzata dall’accusa (un essere straordinariamente simile a uno scarabeo), che al processo sollevò il movente del crimine: il SupGaleano voleva strafogarsi di popcorn. L’improvvisa e incomprensibile carenza di salsa piccante ne aumentava i sospetti.

Il procuratore di nome Don Durito – abbigliato come il Procuratore di Ferro dei fratelli Almohada (da non confondere con gli Almada, quelli sono altri) – aveva esibito una brillante oratoria ricca di riferimenti cinematografici che, bisogna ammetterlo, a volte ricordava Al Pacino, Tom Cruise, John Travolta e Matthew McConaughey (cit. i film di questi attori e le tematiche di giurisprudenza). L’imputato, in qualità di difensore di sé stesso, non era stato da meno e, inoltre, aveva aggiunto riferimenti drammaturgici. Il suddetto stava argomentando come Shui Ta/Shen Te davanti agli dei (“L’anima buona di Sezuan”. Bertold Brecht), quando è arrivata l’ora del pozol e la giuria al completo si è assentata.

Capendo che giustizia non sarebbe stata fatta e che il malvagio SupGaleano se la sarebbe cavata, la banda di Defensa Zapatista, con la collaborazione del Gatto-Cane, prese d’assalto la capanna del SupGaleano ed “espropriato” non solo diversi sacchi di popcorn, ma anche non pochi cartoni di salsa piccante. L’amato Amado stava allora facendo le sue prime incursioni nella banda di Defensa Zapatista (sebbene avesse già debuttato a Oventik nel 2018, al primo festival del cinema, quando rubò la macchina da presa a Gael García Bernal), così formò, con l’amico Chinto , una sorta di succursale dell’orda di Defensa Zapatista.

Nella nuova banda si è auto-reclutata la Veronica, la sorellina di Amado, che si dice sia “l’ala radicale” del Commando (di solito porta i tatuaggi anche sulle labbra quando gli tocca la caramella gommosa che li contiene). Il Chuy e Cintia sono stati reclutati successivamente. Per un po’ Esperanza ha guidato la truppa, ma non è passato molto prima che si unisse, insieme a Defensa, alla squadra di calcio femminile delle miliziane. Allora l’amato Amado è rimasto al comando.

-*-

Erano i mesi di aprile e maggio. L’unità che sarebbe stata poi battezzata “La Extemporánea”, si preparava in centinaia nel Semillero “Comandanta Ramona”.

Al SupGaleano era stato ordinato di impedire ai bambini di disturbare le loro madri mentre seguivano il corso di Ascolto e Parola. Il suddetto ha affrontato questa nuova sfida organizzativa e progettato una riforma alla legge organica inesistente dell’ezetaelene. Il suo obiettivo: dare loro una struttura militare e istruirli nella difficile arte del sabotaggio, della distruzione indiscriminata e delle urla coordinate e in sequenza.

Li ha radunati e con voce marziale ha detto loro: “Avete sentito il SubMoy che ha spiegato che dovete essere organizzati. Quindi dovete capire che anche per fare marachelle bisogna organizzarsi. D’ora in poi siete una unità militare e chi non obbedisce agli ordini subirà la punizione del taglio della testa con il machete, senza filo affinché ci metta tempo, e arrugginito affinché si infetti e si debba fare l’iniezione”.

Inutile dire che la minaccia non sortì l’effetto sperato. La Cintia ha fulminato il Sup dall’alto in basso con lo sguardo voltandogli le spalle. Il Chuy ha chiesto se dovesse andare a cercare un machete. Il Chinto sembrava valutare i rischi. L’amato Amado si è alzato il colletto della camicia e la Veronica ha deciso che era un buon momento per urlare a squarciagola. In cho’ol, di nuovo.

Il nostro eroe (attenzione: io sono “il nostro eroe”) non si è lasciato scoraggiare da questo contrattempo e, sfoggiando le sue vaste conoscenze in psicologia, è arrivato con un secchio da 20 litri pieno di popcorn. La banda si è raccolta intorno al SupGaleano pressionandolo con il classico “devi condividere“. Ma il Sup ha risposto: “Non posso, è solo per i commandos“. Immediatamente tutt@ si sono iscritti. Questa è stata la nascita ufficiale del Commando Popcorn in quanto tale.

Il Sup, lungimirante, aveva alcuni orsacchiotti e qualche potente pistola ad acqua. Ha fatto scegliere a loro. Amado e Chinto hanno scelto pistole ad acqua; Cintia ha preso l’orsacchiotto, che era anche della sua altezza; il Chuy – come sua abitudine – ha scelto un cavallino di plastica che, per inciso, non era contemplato nella distribuzione.

Mentre tutti si aspettavano che Veronica scegliesse l’altro orsacchiotto, lei lo ha rifiutato, ha preso una delle pistole ad acqua, si è pigliata il cavalluccio del Chuy dopo averlo bagnato (non è riuscita a prendere l’orsacchiotto di Cintia perché l’aveva già nascosto “in modo che non si bagnasse”) ed ha attaccato Amado e Chinto. Immersa nel fragore della battaglia, Veronica è andata da sua mamma perché la cambiasse ma non si è riposata e si è lanciata contro i fottuti uomini – che avevano finito le munizioni, cioè l’acqua – e li ha sconfitti con un’azione fulminante applaudita da Defensa e da Esperanza in quella che hanno definito una “vittoria di genere”. Il nostro eroe, vedendo il potenziale bellico di Veronica, le ha regalato un fucile lanciapalloni ad acqua (di ultima generazione).

Come dice il proverbio – inventato all’epoca dal nostro eroe -: “non si vive di solo popcorn, ma ci sono anche ghiaccioli e caramelle gommose”; il Commando è stato dotato di ogni genere di elementi per il suo ferreo addestramento. È così che sono arrivate delle caramelle gommose che avevano in omaggio degli adesivi simili a tatuaggi. Veronica è stata l’unica ad appiccicarseli senza esitazione. E, naturalmente, anche l’unica che, leccando la calcomania che aveva un po’ di zucchero, si è tatuata la lingua. È così che Verónica, a soli tre anni, si è ritrovata, oltre al cho’ol e castigliano, con la lingua cinese-giapponese-coreana.

Il temibile Commando Popcorn è attualmente composto dall’amato Amado (10 anni e responsabile del commando), Chinto (10 anni e coordinatore operativo), Cintia (3 anni e dottoressa del gruppo), Chuy (3 anni, demolizioni controllate) e Verónica (3 anni, demolizioni senza alcun controllo).

-*-

La prima operazione del CP è stata quella di salutare lo Squadrone 421. Mentre le basi di supporto gridavano evviva allo Squadrone e il consiglio degli anziani benediceva i futuri marinai con il fumo di copale, il CP gridava slogan assurdi, incitati da un individuo di dubbia reputazione, come “Vogliamo popcorn!“, “Lottiamo per i popcorn!“, “Per tutti, tutto. Popcorn per noi!“.

Naturalmente ci sono state lamentele e persino un’accusa formale, ma Veronica ha iniziato a piangere in ch’ol e il SubMoisés disperato ha detto “fate zittire quella bimba“. Il SupGaleano, vantando suoi diplomi e dottorati in pedagogia infantile, ha presentato due opzioni: o cucire le labbra all’urlatrice o darle dei popcorn – perché con la bocca piena di popcorn non avrebbe potuto urlare -. Poiché non sono riusciti a trovare ago e filo, le hanno dato un sacchetto di popcorn. Il pianto è cessato immediatamente. Ma, oh sorpresa, accortisi del risultato, anche il resto della banda ha iniziato a piangere. Conclusione: la sottotenente Angelina ha dovuto fare i popcorn da dare a tutti.

La storia della motosega è simile. Quando i bambini hanno visto gli insorti tagliare il legno per scolpire i cayucos, hanno cominciato a giocare alla motosega con delle assi. Cioè, la tavola di legno era la motosega. Il loro ottimismo era encomiabile: con la tavola-motosega hanno cercato di abbattere i pali metallici dei tabelloni da basket. Ma, quando hanno iniziato a “giocare” a chi segava l’altro, il SupGaleano si è reso conto, con profonda soddisfazione, che la banda avrebbe potuto affrontare con successo un’apocalisse zombie.

Quando l’amato Amado si è ferito al piede con un chiodo, Veronica ha pensato che fosse una buona idea “curare” il suo piede ed ha chiesto aiuto al Chuy. Con le rispettive tavole hanno cercato di segare i piedi dell’Amado. Lì Cintia ha informato il SupGaleano che l’Amado “si era inchiodato un chiodo“. Il Sup le ha dunque consigliato, per vedere se era vero, di dirgli che gli avrebbe fatto un’iniezione. Se Amado fosse fuggito, significava che stava fingendo e non era gravemente ferito. Cintia dopo poco è tornata ed ha riferito: l’Amado era ancora postrato (attenzione Centennials – o come si dice -, ha detto “postrato”). Il Sup ha fatto la sua migliore faccia da Doctor House e ha detto: “È serio, dobbiamo operare“. Ed ha consigliato a Cintia di tagliargli i piedi… e la testa perché “forse gli fa male la testa“. La Cintia ha concordato. La storia sarebbe culminata in un trionfo della scienza medica, con un importante intervento chirurgico eseguito a 4 mani e due tavole in modalità motosega, se non fossero arrivati i promotori di salute che hanno portato Amado in clinica in barella, gli hanno messo delle bende e non so che unguenti.

Ma, di fronte alla frustrazione, Cintia non si è lasciata scoraggiare ed ha deciso di essere la dottoressa del Commando. Siccome il Sup non ha trovato una scatola gioco del piccolo medico ma solo una del piccolo veterinario, con questa Cintia si è presentata come la dottoressa della truppa.

Vedendo la lodevole vocazione per la demolizione di Verónica e del Chuy, hanno ottenuto due motoseghe di plastica e una valigetta da meccanico, con trapano, pinza, seghetto, taglierino, cacciavite, martello e chiave inglese (tutto in plastica), con il vantaggio di poter essere utilizzate sia per operazioni medico-chirurgiche, sia per riparare motoseghe che, ovviamente, si sono “rotte” fin dal primo giorno.

Poi sono arrivate le biciclette. Tutti sanno che un commando senza biciclette non può spostarsi in modo rapido ed efficiente. Il problema è che non sapevano andare in bicicletta. Il Sup non glielo ha insegnato sostenendo che “Forse qualcuno ti insegna a vivere? No, impari cadendo”. Infatti: il Commando si è riempito di graffi, contusioni e tagli, ma, pochi giorni dopo, già pedalava senza difficoltà sul campo da basket.

-*-

Quando La Extemporánea è stata informata che finalmente, c’erano i voli e, soprattutto, un posto dove atterrare in Europa, il nostro acclamato eroe (io) ha convocato il Commando Popcorn e ha detto loro: “Tra pochi giorni partirete. È vietato ammalarsi e ferirsi. Dovete badare a voi stessi, perché chi si farà dei graffi non avrà i popcorn. È chiaro?“.

Per dimostrare che tutto era chiaro, Chuy ha accusato Cintia di essere caduta dalla bicicletta. La Cintia ha detto che era una bugia di Chuy, che Veronica l’aveva spinta. L’amato Amado ha spiegato che litigano per qualsiasi cosa, che è sufficiente che una abbia un giocattolo, che litigano. Il nostro ammirato paladino ha confutato: “ma se dessimo ad ognuna lo stesso giocattolo, così che non litighino“. Il Chinto ha fatto l’espressione di “il Sup non capisce un bel niente” e l’amato Amado ha sentenziato: “Non gliene importa nulla, vogliono il giocattolo che ha l’altra“.

L’incomparabile e idolatrato eroe (di nuovo io, ma più modesto se possibile) li ha avvertiti: “Bene, vi ho già avvertito, se vi fate male o ammalate allora non partirete e le vostre mamme piangeranno perché neanche loro potranno partire, a causa vostra. Capito?“. Tutt@ hanno risposto affermativamente.

Non appena il gagliardo Sup ha girato le spalle, il Chuy ha iniziato a piangere. Veronica gli ha dato uno schiaffo per essere stato pettegolo. A Veronica è stato chiesto se fosse vero e lei ha confessato che lo era, senza il minimo segno di pentimento.

Sconsolato, il Sup è andato nella sua capanna. Lungi dal darsi sconfitto, ha controllato la sua vasta libreria di trattati di psicologia, geografia, scienze occulte e la sua collezione di fumetti i Memín Pingüín, ed è tornato. Ha chiamato il CP e su una mappa ha mostrato loro dove sono il caracol ed il semillero. Poi ha mostrato loro dov’è Madrid e dov’è Vienna. In seguito ha tracciato una linea elegante per descrivere il volo imminente.

Dopo una lunga spiegazione, il Sup si è ritirato soddisfatto: era riuscito a convincere il Commando Popcorn. Le ultime parole del nostro eroe riecheggiavano nell’aria: “Perché accontentarsi di fare marachelle e guai in un caracol, se puoi distruggere un intero continente?“.

-*-

L’inquadratura della telecamera si allontana. Il Commando Popcorn guarda la mappa del mondo mentre succhia avidamente ghiaccioli alla frutta. Tzotz, il Greedy e la Pelusa, tre cagnolini che di solito accompagnano il CP nelle sue incursioni, arrivano e distruggono la cartina. Una folata di vento solleva e fa volare via un frammento su cui si legge “Viaggio per la Vita”.

Un finale epico… e, beh, sì, un poco paradossale.

Warning: il Commando Popcorn per due mesi non ha dimostrato la ragione della sua esistenza. Un Commando Popcorn senza popcorn è come un vampiro che si consola con la salsa di pomodoro, quindi c’è da sperare che una volta giunto in Europa… beh, ecco… il SupGaleano con due vecchi walkie-talkie prova e riprova “Hallo? Vienna e Berlino bruciano?” con Amado che è a soli 10 metri di distanza e gli risponde che non sente niente. Certo, forse se mettessero le batterie nei dispositivi…

In fede.

Il SupGaleano.
Capo Supremo, Leader Maximo, Dirigente Eccezionale, Grande Guida, Storico, Saggio Infallibile, Luce Perenne alla Fine del Tunnel, Alfa e Omega – e Delta e Lambda -, Faro delle Generazioni Presenti e Future, Paladino della Modestia e Istruttore del Commando Popcorn.
(e, beh, anche “Nostro eroe” in questo racconto epico, degno di essere ampliato dalle penne di Martín Luis Guzmán e León Tolstoi)

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/10/comando-palomitas/

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Dopo i 17
(La Sezione Miliziana Ixchel-Ramona)

Settembre 2021

Come parte della Extemporánea c’è una sezione di miliziane. Oltre a far parte dei gruppi “Escucha y Palabra”, si occuperanno della sicurezza della squadra aerotrasportata e dello svolgimento di una o più partite di calcio con squadre femminili di tutta Europa.

C’erano 196 miliziane iscritte per viaggiare. Circa 20 avevano meno di 18 anni, ma si preparavano per viaggi successivi e per i continenti Asia, Oceania, Africa e America, prevedendo che per allora sarebbero state maggiorenni per ottenere il passaporto.

Le difficoltà per avere i documenti (tutte sono estemporanee) e il continuo andirivieni dovuto alle pretese dei “funzionari”, le hanno costrette ad abbandonare il tentativo. Alcune sono madri single e devono lavorare per sostenere i loro piccoli. La maggior parte lavora a sostegno delle proprie madri e dei fratelli più piccoli. Anche la preparazione è stata un problema, perché non è stata una passeggiata, ma piuttosto è stato necessario prepararsi per fare il lavoro di “Ascolto e Parola”. Quello che è costato loro più lavoro è stato imparare ad ascoltare.

Ne sono rimaste 37. Si sono aggiunte due minorenni: Defensa (15 anni) ed Esperanza (12 anni). Quindi, in totale sono 39 miliziane. Da 3 mesi sono acquartierate nel Semillero, esercitandosi, imparando, provando e aspettando che si aprisse la possibilità di partire: un posto dove arrivare in Europa. Tutte hanno radici maya e parlano Tzeltal, Tzotzil, Cho’ol, Tojolabal e castigliano. Pochissime hanno più di 25 anni, la maggior parte ha tra i 18 e 21 anni. Le loro abilità calcistiche sono un segreto di Stato, ma la loro volontà di lottare è lampante.

Nessun maschio adulto senza permesso ha potuto entrare nel luogo in cui erano acquartierate. Nel caso dell’ingresso di un uomo, magari disorientato, questo veniva subito circondato da un gruppo di miliziane ed “esortato” ad andarsene immediatamente con la solida argomentazione dei bastoni e delle fionde.

Nella loro preparazione e adattamento, i primi giorni sono stati difficili. I successivi lo sono stati ancora di più. Lontane dalle loro famiglie, dagli amori e dal cibo dei loro villaggi, hanno sopportato l’incertezza, la fame, le malattie, i cambiamenti di clima, lo sconcerto di convivere con altre diverse, la sorpresa di apprendere cose nuove e lo stupore di rendersi conto di essere in grado di fare quello che non sapevano di poter fare. Ad esempio: ascoltare. E scusate se ancora una volta insisto sul fatto di ascoltare, ma guardo là fuori e sento tutti che vogliono parlare – anzi, urlare – e nessuno, o quasi, con la volontà di ascoltare.

Queste mie compagne combattenti, si sono lasciate alle spalle, vicino o lontano nel calendario, i 17 anni. La loro identità non è in dubbio: sono ZAPATISTE.

-*-

Invece no.

Una miliziana prende la parola nell’Assemblea Generale della Extemporánea, mentre si valuta ciò che è stato realizzato o meno nel corso di “Ascolto e Parola”:

“Non sapevo niente di quello che raccontate. Pensavo che fosse sempre stato così, che potevo andare a scuola, che potevo avere un ragazzo senza costringermi a sposarmi, che potevo sposarmi se volevo, o non sposarmi, che potevo vestirmi secondo i miei gusti, che potevo partecipare, che potevo imparare, che potevo insegnare. Pensavo che fosse sempre stato come adesso, che abbiamo diritti e non solo doveri. Ma ho ascoltato la compagna raccontare di come si viveva al tempo dei finqueros. Ho sentito quanto è costato prepararsi a combattere. Ho ascoltato quanto è costata la guerra. Ho ascoltato come è stata fatta l’autonomia. Quindi quello che penso è che devo prepararmi a difendere tutto questo. Per non tornare mai più a quel tempo passato. Pensavo che così si nascesse, con la libertà. E invece no, tutto questo dopo che si è dovuto combattere, e quindi dobbiamo continuare a lottare. Quindi non c’è riposo”.

-*-

A difesa dei 17 anni.

Non ne sono proprio sicuro, ma penso che fosse nel 2018.

In occasione del Primo Incontro delle Donne che Lottano, fu deciso che le miliziane sarebbero state incaricate della sicurezza. Furono convocate per l’addestramento. Nelle marce non ne indovinavano una. Diversi come le lingue che danno loro origine e destinazione, i loro passi erano disordinati, scomposti. Per quanto si esercitassero, non c’erano miglioramenti. Disperato, decisi che forse con un po’ di ritmo musicale avrebbero potuto uniformare il passo. Las tercias stavano testando l’impianto audio. Chiesi loro se avessero portato della musica. “Solo cumbias e reguetón“, mi risposero. “Qualcos’altro?“, ho insistito. “Non c’è” hanno risposto ridendo. Chiesi allora alle miliziane se qualcuna di loro avesse, nei propri cellulari, una canzone che potessi usare. Sussurri e risate complici tra di loro. Dopo un po’ una ha detto “solo cumbias”. “Bene”, mi dissi rassegnato, “che cumbia avete? E non ditemi quella del Moño Colorado perché vi dico che morirete tutte miseramente“. Nuove risatine e bisbiglii in 4 diverse lingue maya. Dopo un po’: “solo una, quella dei 17 anni“. “Tutte avete una sola cumbia ed è la stessa?” “Sì, quella dei 17 anni.” “Vabbè, quella allora, passatela a Las Tercias e fatela mettere nell’altoparlante grande. E mettetevi in riga per provare di nuovo“.

Partono i primi accordi, alzano e incrociano i bastoni e, accidenti, iniziano a marciare uniformemente, senza perdere il passo. In seguito ho chiesto loro se era vero che avessero solo quella cumbia. ““, dissero, “quando avremo campo o arriveranno altre compagne, ne avremo di più, tipo Cómo te voy a olvidar“.

Chiesi l’elenco delle miliziane per caracol e per età, per raggrupparle per lingua ed età. La stragrande maggioranza aveva tra i 15 e i 17 anni.

Adesso hanno tra i 18 e i 21 anni, nessuno le ha obbligate a sposarsi, hanno un fidanzato o no – non se ne preoccupano – si innamorano e si disinnamorano, spezzano cuori e spezzano i loro. Sanno che nessuno può costringerle a fare qualcosa che non vogliono, e sanno difendersi. È stato insegnato loro qualcosa sui punti deboli dei maschi, nel caso debbano ricorrere alla difesa fisica. Anche quello che ai maschi fa male sentirsi dire, nel caso debbano ricorrere alla difesa psicologica. Non chiedetemi chi ha insegnato loro questi “segreti” maschili.

Alla domanda se hanno un fidanzato, la maggioranza ha risposto di sì. Una ha detto: “cheb” (“due” nella sua lingua). Quella accanto le ha detto qualcosa sotto voce, allora la compagna ha corretto: “No, ocheb” (“tre”, nella sua lingua). Ancora un’altra: “bayal” (“molti”). Un’altra ci ha messo un po’ a rispondere perché, ha detto, aveva perso il conto. Le tre sono scoppiate a ridere.

In sintesi: avevano 17 anni e a quell’età, quella cumbia – credo “Los Ángeles Azules” – le ha accompagnate nell’amore e nel disamore. Chi critica quella cumbia o ne chiede la censura, forse ha dimenticato cosa vuol dire avere 17 anni. Forse ha dimenticato che sì, le relazioni possono essere quelle di un predatore che dissangua la sua preda – e a qualsiasi età. Ma possono anche essere inquietudine e libertà di amare e non amare. Scoprire così che al posto del cuore si può avere un fiore agrodolce e, allo stesso tempo, una ferita che non si chiude. Inoltre, ovviamente, poi dovrebbe anche chiedere di censurare Violeta Parra e la sua “Volver a los 17″.

Ora, dopo i 17, può darsi che le miliziane dedichino “Cómo te voy a olvidar”a quell’amore passato o presente.

-*-

Penelope Sovvertita.

Ho chiesto loro cosa avessero detto ai fidanzati. Così mi hanno risposto: “se mi ama davvero e non è una bugia, che mi aspetti, e se no, allora niente, ne troverò un altro“. In altre parole, nessuna tela della vana attesa da tessere e sbrogliare. Un altro esempio di “le anatre che sparano ai fucili”.

-*-

Il Consenso.

Alle compagne viene detto che nessuno può toccarle senza il loro esplicito consenso. Non prenderle per mano, né mettere la mano sulle spalle, o altro. Sono state istruite, ad esempio, su come togliersi di dosso una mano maschile, non importa se è un comandante o meno. Lo stesso vale per la loro immagine: nessuno può scattare foto o video senza il loro consenso. Tanto meno pubblicarle. È stato mostrato loro il video che appare alla fine di questo testo ed è stato chiesto se fosse pubblicabile o no. Si sono riunite per caracol e lingua. Hanno discusso e all’unanimità hanno deciso che si pubblicasse. Siete avvisat@.

-*-

Ognuno a modo suo.

Da parte mia, dal 2018 ho vissuto nell’inganno. Credevo che il ritornello della cumbia “17 anni” dicesse “quanto è triste l’amore, quanto è triste l’amore“. Le sergenti mi hanno cavato dall’errore: “Non è così Sup, dice che “se questo è l’amore “, cioè la ragazza non lo sa, sta appena imparando“, e ridono.

Nell’esercizio della marcia, con La Carencia de los Panteones, il Lago de los Cisnes e La Cumbia del Sapito, è stato dimostrato che la danza, come la vita, può attraversare i muri più inviolabili.

Non lo so, dico che le cumbias sono come le magliette delle divise da calcio. Con forbici, filo e ago si sistemano in modo che si adattino al tuo gusto: giusta o che vesta bene.

Conclusione: Ognuno a modo suo, ad ognuno la sua cumbia, ad ognuno il suo pas de chat (o de Chat-Chien)… e ognuno il suo ska. Saltare, raza!

In fede.

Il SupGaleano mentre si esercita al “Chúntaro Style”.
(Oh beh, ognuno pesta il pavimento come può).
Messico, Settembre dell’anno 501

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/08/despues-de-los-17-la-seccion-miliciana-ixchel-ramona/

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Itinerario della Extemporánea:

10 settembre 2021. Partenza la mattina presto della delegazione aviotrasportata dal caracol di Jacinto Canek.

10 settembre 2021. Ora indeterminata, a partire dalle ore 18:00. Arrivo della Extemporánea nei locali di Carmona y Valle, a Città del Messico.

11 settembre 2021. La Extemporánea viene sottoposta ai tamponi.

Arrivo dall’Europa dello Squadrone 421 con volo Lufthansa LH498. Arrivo 18:30 Città del Messico, Terminal 1.

Invitiamo ad accogliere lo Squadrone 421.

12 settembre 2021. Preparativi.

13 settembre 2021. 08:00 partenza da Carmona y Valle per l’aeroporto di Città del Messico del primo gruppo aviotrasportato con destinazione Vienna, Austria. Scalo a Madrid, Spagna. Volo Iberia IB6400. Decollo alle ore 12:10 da Messico.

Il secondo gruppo parte da Carmona y Valle per l’aeroporto alle ore 16:00. Destinazione Vienna, Austria. Scalo a Madrid, Spagna. Volo Iberia IB6402. Partenza 20:45 da Messico.

14 settembre 2021. Arrivo della Extemporánea a Vienna, Austria, nella geografia che chiamano Europa.

È tutto.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/08/itinerario-de-la-extemporanea/

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COMMISSIONE SEXTA ZAPATISTA
Messico

4 settembre 2021

A chi di dovere:

In accordo con le Giunte di Buon Governo Zapatiste, il CCRI-CG dell’EZLN e le comunità indigene zapatiste, dichiariamo quanto segue:

Primo.- Nei giorni scorsi abbiamo assistito al trattamento disumano che lo Stato messicano riserva ai migranti che cercano di fuggire dalla trappola, muta e invisibile, in cui si trovano nella città di Tapachula, Chiapas, Messico.

Secondo.- Come nei governi precedenti a quello attuale, alle denunce e reclami dei cittadini per queste crudeltà il governo messicano promette sanzioni per gli “eccessi” commessi dagli agenti dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM). Questa promessa è solo un’altra bugia. Agli agenti viene detto che è questo che sarà detto pubblicamente per evitare la pressione della cosiddetta opinione pubblica, ma che devono continuare con i loro metodi di caccia all’uomo senza timore di conseguenze. Nessun migrante deve andare oltre il Chiapas.

Terzo.- Anche tra gli elementi della Guardia Nazionale c’è malcontento. Perché è stato detto loro che la loro missione sarebbe stata quella di combattere il crimine organizzato, e ora li usano come cani da caccia che inseguono persone dalla pelle scura. Perché questa è la consegna: dare la caccia a qualsiasi persona con la pelle scura: “Fermate qualsiasi fottuto negro che trovate”, è l’ordine. È piuttosto una dichiarazione di politica estera.

Quarto.- L’indottrinamento degli agenti dell’Istituto Nazionale di Migrazione rasenta il ridicolo. Dicono loro che stanno difendendo il Messico da un’invasione, come ha affermato con sicurezza un funzionario dell’INM. Non farebbe male all’Istituto Nazionale di Migrazione seguire alcune lezioni di storia di base – ora che c’è il ritorno a scuola – per capire che gli invasori sono del governo degli Stati Uniti che impone questa politica migratoria che contraddice l’intera storia della politica estera dello Stato Messicano.

Quinto.- Le manovre dell’INM per incapsulare le organizzazioni per i diritti umani e la stampa, in modo che non documentino le loro azioni, ci ricordano ciò che fece il governo di Salinas de Gortari nei primi giorni del 1994, quando chiuse l’accesso alla selva Lacandona per impedire che si sapesse quello che stava facendo. E la caccia all’uomo ai migranti ci ricorda il governo Zedillo che, nel 1995, ci fece inseguire dai cani.

Sesto.- È abbastanza vergognoso che un governo, che si dice progressista, si pieghi alla politica estera del governo nordamericano, a imitazione di ciò che facevano i finqueros del Chiapas, ancora pochi anni fa, per sottomettere i loro peones. I dettami religiosi, così cari là sopra, predicano: “che il tuo piede sinistro non sappia chi stai prendendo a calci con il piede destro”.

Settimo.- Invitiamo ogni persona onesta e sensibile a chiedere che questa situazione si fermi, ora. E che, nella misura delle possibilità di ognuno, si forniscano aiuti umanitari ai migranti.

Da parte nostra, le comunità indigene zapatiste, attraverso le loro 12 Giunte di Buon Governo e la Commissione Sexta Zapatista, hanno raccolto una modesta somma di denaro che sarà inviata ad alcuni centri di accoglienza o organizzazioni che svolgono attività umanitarie con i migranti in Chiapas.

Invitiamo la Sexta Nazionale, le Reti in Resistenza e Ribellione, il collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”, le Organizzazioni Non Governative e le persone di buona volontà in tutto il mondo, a fare ciò che nelle loro possibilità, in primo luogo, per fermare la caccia all’uomo condotta dall’INM con il sostegno della Guardia Nazionale e, in secondo luogo, per migliorare le condizioni di vita della popolazione migrante presente in questa geografia chiamata Messico.

-*-

Proprio come questi fratelli migranti e noi estemporanei, un giorno saremo tutt@ migranti ed estemporanei su questo pianeta. E tutti coloro che non avranno il colore del denaro, saranno perseguitati, braccati, confinati, desaparecidos, eliminati.

Quindi, contro la xenofobia e il razzismo, la lotta per la vita.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés Subcomandante Insurgente Galeano.
Messico, 4 settembre 2021

a di migranti, composta principalmente da haitiani, che percorre una strada nel comune di Tapachula, nello stato del Chiapas, in Messico, il 1 settembre 2021. © EFE/Juan Manuel Blanco

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/04/contra-la-xenofobia-y-el-racismo-la-lucha-por-la-vida/

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Per la vita: Partenza della Extemporánea per l’Europa

Commissione Sexta Zapatista

Messico

30 agosto 2021

All’Europa in basso e a sinistra:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Alle organizzazioni, gruppi e collettivi che cercano verità e giustizia per gli assenti:

Sorelle, fratelli, hermanoas:

Compañeroas, compagne, compagni:

Vogliamo iniziare salutando la lotta e l’impegno di tutte quelle persone che cercano i propri assenti, Le/gli desaparecid@s. La loro lotta è anche, e soprattutto, una lotta per la vita. Non è un caso che sia in questo giorno che vi annunciamo quanto segue:

Primo. – Dopo innumerevoli procedure, ostacoli e problemi, annunciamo che la compagnia aerotrasportata zapatista, che abbiamo chiamato “La Extemporánea”, partirà da Città del Messico per l’Europa il 13 settembre 2021.

Secondo. – La destinazione è la città di Vienna, nella geografia che chiamano Austria, e viaggeremo in due gruppi.

Terzo. – Il primo gruppo lascerà l’aeroporto di Città del Messico il 13 settembre 2021 alle 12:10 circa. Arriverà a Madrid, nella geografia chiamata Spagna, alle 06:00 del 14 settembre. Dopo una sosta di 2 ore e un trasferimento, il volo riprenderà alle 08:20 per atterrare nella città di Vienna, in Austria, alle 11:05 del 14 settembre. Il secondo gruppo partirà lo stesso giorno, 13 settembre, alle 20:45 con scalo sempre a Madrid alle 14:35 del 14, riprendendo il volo alle 16:00 e atterrando a Vienna alle ore 19:00 dello stesso giorno 14 settembre.

Quarto. – “La Extemporánea” è organizzata in 28 squadre di Escucha y Palabra (composte da 4-5 compas ciascuna), 1 di Gioco e Marachella, e una di Coordinamento. “La Extemporánea” può così coprire contemporaneamente 28 angoli della geografia europea.

Qualche giorno dopo, si unirà la delegazione del Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo e del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua.

Insieme a questa delegazione di organizzazioni sorelle, continueremo il lavoro iniziato dallo Squadrone 421, che attualmente sta coprendo la geografia che chiamano Svizzera.

Quinto. – Tra qualche giorno comunicheremo la data in cui lasceremo il Semillero “Comandanta Ramona” per concentrarci nel caracol Jacinto Canek, a San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Da lì andremo via terra, con una carovana di veicoli, a Città del Messico dove alloggeremo nel locale di Carmona y Valle fino al giorno e all’ora della partenza. Nel caso qualcuno volesse accompagnare la partenza e il viaggio da San Cristóbal a Città del Messico.

Sesto. – Dedichiamo questo sforzo (che ha coinvolto molte persone non zapatiste e alcune anche antizapatiste) a tutte le desaparecidas, alle famiglie che soffrono la loro assenza e, soprattutto, alle donne e agli uomini che lottano per ritrovarle e ottenere la verità e la giustizia di cui tutte necessitiamo e meritiamo. Sappiate che il vostro esempio, il vostro instancabile lavoro e il vostro non arrendervi, non svendervi e non tentennare, sono per noi popoli zapatisti una lezione di dignità umana e un autentico impegno nella lotta per la vita.

Nei giorni in cui saremo a Città del Messico consegneremo i verbali delle assemblee delle comunità zapatiste, non zapatiste e antizapatiste, con i loro accordi sul sostegno alla lotta per la verità e la giustizia per le vittime della violenza, secondo la consultazione effettuata il primo di agosto di quest’anno 2021.

È tutto.

Dalle montagne del Sud-est Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Coordinatore Generale del Viaggio per la Vita – Capitolo Europa.

Ancora Messico. Anno 501.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/08/30/por-la-vida-salida-de-la-extemporanea-a-europa/

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Parole dei popoli zapatisti

13 agosto 2021.

Sorelle, fratelli, fratelloa

Compagni, compagne, compagnoa:

Attraverso le nostre voci parlano le comunità zapatiste.

Per prima cosa vogliamo ringraziare.

Ringraziare per averci invitato.

Ringraziare per averci accolto.

Ringraziare per averci ospitato.

Ringraziare per averci alimentato.

Ringraziare di esservi presi cura di noi.

Ma soprattutto ringraziarvi del fatto che, nonostante le vostre differenze e contrarietà, vi siate messi d’accordo per ciò che oggi stiamo facendo. Cosa che talvolta vi sembrerà da poco, ma che per noi popoli zapatisti è qualcosa molto grande.

-*-

Siamo zapatisti di origine maya.

Veniamo da una geografia chiamata Messico e abbiamo attraversato l’oceano per rivolgervi queste parole, per stare con voi, per ascoltarvi, per imparare da voi.

Veniamo dal Messico e in voi e con voi troviamo affetto, cura, rispetto.

Lo Stato Messicano e i suoi governi non ci riconoscono come connazionali di questa geografia. Siamo strani, stranieri, indesiderabili, inopportuni sulle stesse terre che coltivarono nostri antenati.

Per lo Stato Messicano siamo “estemporanei”. Questo dice il certificato di nascita che, a seguito di molte spese e viaggi dai nostri villaggi verso le officine del malgoverno, siamo riusciti ad ottenere. E lo abbiamo fatto per poter arrivare fino a voi.

Però non siamo arrivati fino a qua per lamentarci. E neanche per denunciare il mal governo che subiamo.

Vi diciamo solamente questo, perché è questo mal governo che ha richiesto allo Stato Spagnolo di chiedere perdono per quanto accaduto 500 anni fa.

Dovete comprendere che, oltre ad essere uno svergognato, il mal governo Messicano è anche ignorante della storia. E la distorce e aggiusta a suo comodo.

Così che lasciamo da parte i malgoverni che ognuno di noi subisce nelle proprie geografie.

Loro sono solamente caposquadra, impiegati obedienti di un criminale più grande.

-*-

Noi che formiamo lo Squadrone Marittimo Zapatista, e che siamo conosciuti come Squadrone 421, oggi siamo di fronte a voi, ma siamo solamente l’antecedente di un gruppo più grande. Fino a 501 delegati. E siamo 501 solamente per dimostrare ai cattivi governi che li abbiamo superati. Mentre loro simulano un festeggiamento falso di 500 anni, noialtri, noialtre e noialtrei, andiamo diretti a ciò che segue: la vita.

Nell’anno 501 ricorreremo gli angoli di questa terra indomita.

Ma non vi preoccupate. I 501 delegati non arriveranno tutti d’un tratto. Ma arriveranno per parti.

In questo momento, nelle montagne del Sudest Messicano, si sta preparando una compagnia zapatista aerotrasportata che chiamiamo “L’Estemporanea” che è composta da donne, uomini, bambini e bambine zapatiste.

Insieme a questa compagnia aerotrasportata viaggerà anche una delegazione del Congresso Nazionale Indigeno Consiglio di Governo e del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua.

Tutte, tuttie, tutti hanno faticato per conseguire documenti e vaccini. Si sono ammalati e sono guariti. Hanno avuto fame e sono stati lontano delle loro famiglie, dalle loro comunità, dalla loro terra, dalla loro lingua, dalla loro cultura.

Ma tutti, tutte e tuttie sono animati ed entusiasti di venire a incontrarvi. Non in grandi eventi, ma nei luoghi dove resistete, vi ribellate e lottate.

Forse qualcuno penserà che ci interessino i grandi eventi e l’impatto mediatico, perchè così valutano gli esiti o i fracassi.

Ma noi abbiamo imparato che i semi si scambiano, si seminano e crescono nella quotidianità, nei propri terreni, con i saperi di ciascuno.

La gestazione del domani non si fa alla luce [del sole, ndt]. Si coltiva, si cura e si fa nascere nelle ombre inosservate dell’alba, appena quando la notte inizia a cedere terreno.

I terremoti che scuotono la storia dell’umanità iniziano con un “ya basta” isolato, quasi impercettibile. Una nota a metà tra il dissonanza e il rumore. Una crepa nel muro.

-*-

È per questo che non veniamo a portarvi ricette, a imporre visioni e strategie, a promettere futuri luminosi e istantanei, piazze piene, soluzioni immediate. Neanche veniamo per invitarvi a unioni meravigliose.

Veniamo ad ascoltarvi.

Non sarà facile, certamente.

Siamo tanto differenti, tanto distinti, tanto lontani, tanto contrari e, soprattutto, tanto contraddittori.

Ci separano molte cose.

Magari, al parlare, volendo o no, non solo raccontiamo la nostra storia, ma in verità dimostriamo anche la convinzione che ciò che è nostro è ciò che conta.

Ogni sguardo verso il passato ci divide. E questa differenza non è per niente. In ogni sguardo esistono rabbia e dolore che si affacciano al precedente.

È vero che nel guardare la storia passata cerchiamo di trovare ciò che vogliamo. Siano rabbie, rancori, condanne e assoluzioni. Anche se esistono studi seri e profondi, possiamo cercare quello che ci conviene, ciò che ci dà ragione. Ciò che ci giustifica. E lo rendiamo “verità”.

Così possiamo giudicare e condannare. Ma la giustizia rimane dimenticata.

E così possiamo trovare molte cose che ci dividono e ci mettono contro.

Abbiamo problemi nelle nostre famiglie, nel nostro gruppo, collettivo, organizzazione. Nel nostro quartiere. Nella nostra regione. Nella nostra geografia.

Chiunque ha un dolore che lo segna. Una rabia che lo muove.

E questi dolori e queste rabbie, che non sono poche, stanno lì.

E noi popoli zapatisti diciamo che solamente una minaccia più grande, un dolore più terrificante, una rabbia più grande, sono ciò che ci possono mettere d’accordo per rivolgere questa rabbia e questo dolore più in alto.

Ma non è che queste differenze che abbiano scompaiano, come nelle false chiamate all’”unità” che loro che stanno sopra sono soliti fare quando chi sta in basso chiede il conto.

No, quello di cui parliamo noi comunità zapatiste è una causa, un motivo, una meta: la vita.

Non si tratta di abbandonare convinzioni e lotte. Al contrario. Pensiamo che le lotte delle donne, delle altrei, dei lavoratori, dei popoli originari, non solo non si devono fermare, ma che dovrebbero essere più profonde e radicali. Ognuno affronta una o varie teste dell’Idra.

Perché tutte queste lotte, quelle vostre e quelle di noi popoli zapatisti, sono per la vita.

Ma finché non distruggeremo il mostro dritto al cuore, queste teste continueranno a spuntare e cambiare di forma con sempre maggiore crudeltà.

-*-

Adesso, in questi tempi, vediamo e soffriamo una distruzione gigantesca; quella della natura, umanità compresa.

Perché sotto le macerie, la cenere, il fango, le acque sporche, le pandemie, lo sfruttamento, il disprezzo, il saccheggio, il crimine, il razzismo, l’intolleranza, ci sono esseri umani senza vita. E ogni vita è una storia che si trasforma in un numero, in una statistica, in oblio.

Il futuro, la storia a venire, è, come il presente, un incubo vero. E, quando pensiamo che non possa essere peggiore, arriva la realtà a colpirci in volto.

E quindi ognuno guarda a sé stesso e, nel migliore dei casi, alle persone vicine: la sua famiglia, le sue amicizie, le persone che conosce.

Però, così come in ogni angolo del pianeta, in ogni cuore che batte, esiste una disgrazia presente e una a venire, c’è anche una resistenza, una ribellione, una lotta per la vita.

Perché vivere non è solamente non morire, non è sopravvivere. Vivere come esseri umani è vivere in libertà. Vivere è arte, è scienza, è allegria, è ballo, è lotta.

È chiaro, vivere è anche essere in disaccordo con una cosa o un’altra, discutere, dibattere, confrontarsi.

Quindi esiste qualcuno o qualcosa che ci impedisce di vivere, che ci sottrae la libertà, che ci inganna, che ci truffa, che ci pugnala, che ci sta sottraendo il mondo a tutti con morsi, con tagli, con ferite.

Così possiamo individuare un responsabile. Cercare un colpevole. Affrontarlo e fare giustizia. Qualcuno o qualcosa che paghi, che risponda per questo dolore che ci lascia soli, sole, solei. Che ci mette all’angolo su di un’isola sempre più piccola, così piccola che rimane solo l’io di ognuno.

E anche lì, sulla piccola isola, lontana da tutto e tutti, ci obbligano a essere altro, a non essere ciò che siamo. La nostra storia individuale che fa parte della storia collettiva: una camera, una casa, un quartiere, una comunità, una geografia, una causa che deve essere cambiata e tradita per essere parte di altro.

Una donna che piaccia all’uomo. Unoa altroa che sia accettata da un etero. Una gioventù soddisfacente per i più maturi. Una vecchiaia tollerata dalla gioventù. Un’infanzia in disputa con giovani, adulti, anziani. Una forza di lavoro efficiente e docile per il caposquadra. Un caposquadra su misura del Padrone.

E questa pressione per trasformarci in quello che non siamo ha la forma della violenza.

Ed è strutturale. L’intero sistema è costruito per imporre lo stampo della normalità.

Se siamo donne, dobbiamo esserlo secondo il modello degli uomini.

Se siamo altrei, dobbiamo esserlo secondo il modello dell’eterosessuale.

Per esempio, potete notare che esistono già delle cliniche per “correggere” la differenza sessuale.

Bene, quindi il sistema è una gigantesca e brutale clinica che “cura” l’“anormalità”. Una macchina che attacca, isola e liquida l’altro, il differente.

Insomma è così che ci trattano, giorno e notte, volendoci domare, cercando di addomesticarci.

E noi, ben resistendo. La vita intera e generazioni intere resistendo, ribellandosi. Dicendo “no” all’imposizione. Gridando “si” alla vita.

Non è una novità, è certo. Potremmo ritornare indietro di 5 secoli e sarebbe la stessa storia.

E il ridicolo di tutto questo è che, chi ci opprime adesso, pretende di giocare il ruolo di nostro “liberatore”.

-*-

Senza dubbio, qualcosa è differente. E allora anche il dolore della terra, della natura, si è unito al nostro.

E su questo possiamo essere d’accordo o no. Possiamo dire che non è vero, che le pandemie termineranno, che le catastrofi cesseranno, che il mondo, che la nostra vita al mondo, tornerà a essere come prima. Anche se questo “prima” era ed è fatto di dolore, distruzione e ingiustizia.

Noi, i popoli zapatisti, crediamo che non sia così. Che non solo non sarà mai come prima. Che andrà sempre peggio.

Noi le comunità zapatiste nominiamo il responsabile di questi male e lo chiamiamo “capitalismo”.

E diciamo anche che solamente con la distruzione totale di questo sistema sarà possibile che ognuno, con i suoi modi, secondo il suo calendario e la sua geografia, dovrà mettere su qualcos’altro.

Non perfetto, ma comunque migliore.

E a ciò che si costruirà, a queste nuove relazioni tra esseri umani e tra gli esseri umani e la natura, si darà il nome che ognuno vorrà.

E sappiamo che non sarà facile. Già non lo è adesso.

E sappiamo bene che da soli non potremo, ognuno combattendo nel proprio pezzetto di terra contro la testa dell’idra subisce, mentre il cuore del mostro si rigenera e cresce sempre di più.

E soprattutto sappiamo che non dovremo guardare a quel domani dove, alla fine, la bestia arda e si consumi fino a che di questa non rimanga che un cattivo ricordo.

Ma sappiamo anche che faremo la nostra parte, anche se piccola, anche se le generazioni future la dimenticheranno.

-*-

Come comunità zapatiste che siamo, vediamo dei segnali.

Però magari ci sbagliamo come popoli che siamo.

Già potete vedere che dicono che siamo ignoranti, arretrati, conservatori, nemici del progresso, premoderni, barbari, incivili, inopportuni e sconvenienti.

Forse è così.

Forse siamo arretrati perché come donne che siamo o come altrei, possiamo uscire a passeggiare senza il timore che ci attacchino, che ci violino, che ci facciano a pezzi, che ci facciano scomparire.

Forse siamo contro il progresso perché ci opponiamo ai megaprogetti che distruggono la natura e ci distruggono come popoli, e che ereditano morte per le generazioni a venire.

Forse siamo contro la modernità perché ci opponiamo a un treno, a un’autostrada, a una diga, a una centrale termoelettrica, a un centro commerciale, a un aeroporto, a una miniera, a un deposito di materiale tossico, alla distruzione di un bosco, all’inquinamento di fiumi e lagune, e al culto dei combustibili fossili.

Forse siamo arretrati perché onoriamo la terra anziché il denaro.

Forse siamo barbari perché coltiviamo i nostri alimenti. Perché lavoriamo per vivere e non per guadagnare una paga.

Forse siamo inopportuni e sconvenienti perché ci governiamo da noi, come popoli che siamo. Perché consideriamo il lavoro del governo come un lavoro in più tra i lavori comunitari che dobbiamo portare a termine.

Forse siamo ribelli perché non ci vendiamo, perché non ci arrendiamo, perché non tentenniamo.

Forse siamo tutto ciò che dicono di noi.

-*-

Ma qualcosa lo vediamo, qualcosa lo sentiamo, qualcosa sappiamo che sta succedendo e che succederà.

E per questo abbiamo intrapreso questo viaggio. Perché pensiamo e sappiamo che non siamo gli unici che lottano, che non siamo gli unici che vediamo ciò che sta succedendo e ciò che succederà.

Il nostro angolo del mondo è una piccola geografia in lotta per la vita.

Stiamo cercando altri angoli, e vogliamo imparare da loro.

Per questo siamo arrivati fin qua, non per porgervi rimproveri, reclami, pagamenti per debiti insoluti.

Anche se questo fosse di moda e anche se qualcuno dicesse di sì, che abbiamo ragione con queste richieste o che, in realtà, noi non sappiamo ciò che dobbiamo fare e loro, i mal governi, lo faranno per noi.

E va di moda che questi mal governi si nascondano dietro nazionalismi di cartone.

E che, sotto la bandiera del nazionalismo, ci copriamo noi e si copre anche chi ci opprime, chi ci perseguita, chi ci assassina, chi ci divide e ci affronta.

No. Non veniamo per questo.

Dietro i nazionalismi si nascondono non solo le differenze, ma anche e soprattutto i crimini. Sotto lo stesso nazionalismo si proteggono il maschio violento e la donna aggredita, l’intolleranza eterosessuale e l’alterità perseguitata, la civilizzazione depredatrice e il popolo originario annichilito, il capitale sfruttatore ed i lavoratori soggiogati, i ricchi e i poveri.

Le bandiere nazionali nascondono più di ciò che mostrano, molto di più.

Poiché la pensiamo così, il nostro impegno per la vita è mondiale. Non riconosce frontiere, lingue, colori, razze, ideologie, religioni, sessi, età, dimensioni, bandiere.

Per questo la nostra è una Traversata per la Vita

-*-

Questa è una delle poche volte che faremo uso della parola in un evento dove pochi parlano e molti ascoltano.

E ne approfittiamo per farvi una richiesta rispettosa.

Raccontateci la vostra storia. Non importa se sia grande o piccola.

Raccontateci la vostra storia di resistenza, di ribellione. I vostri dolori, le vostre rabbie, i vostri “no” e i vostri “si”.

Perché noi comunità zapatiste veniamo ad ascoltare e imparare la storia che esiste in ogni stanza, in ogni casa, in ogni quartiere, in ogni comunità, in ogni lingua, in ogni modo e in ogni nessun modo.

Perché, dopo tanti anni, abbiamo imparato che in ogni dissidenza, in ogni ribellione, in ogni resistenza, esiste un grido per la vita.

E, secondo noi popoli zapatisti, tutto consiste in questo: nella vita.

E, quando un giorno qualsiasi, qualcuno vi domandi “Perché sono venuti gli zapatisti?”, insieme potremo rispondere, senza pena per voi e senza vergogna per noi, “sono venuti ad imparare”.

500 anni dopo, le comunità zapatiste sono venute ad ascoltarci.

Da Madrid, dalla geografia chiamata Spagna,

su questa terra e sotto questo cielo rinominati come

SLUMIL K’AJXEMK’OP, o “Terra Indomita”.

A nome delle comunità zapatiste.

Lo Squadrone Marittimo Zapatista, chiamato “Squadrone 421”.

Pianeta Terra. 13 di agosto, giusto 500 anni dopo.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/08/13/apenas-500-anos-despues/

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Chiapas: violenza e territorio

León Enrique Ávila y Peter Rosset*

Dalla sollevazione zapatista del 1° gennaio 1994, lo stato del Chiapas ha sperimentato diverse iterazioni della cosiddetta guerra a bassa intensità, o contro-insurrezione, che combina la violenza paramilitare anti-zapatista (tinyurl.com/fzwdfpdb) con vari misure politiche e sociali, compreso il veto mediatico, programmi assistenzialisti e la strumentalizzazione delle organizzazioni sociali e dei partiti politici, il tutto con l’obiettivo di isolare e contenere i ribelli.

Se all’inizio le violenze erano rivolte in particolare contro le basi di appoggio zapatiste e le comunità alleate (aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona), durante il governo statale di Manuel Velasco Coello (2012-2018) si è favorita la creazione di nuovi gruppi di scontro, spesso costituiti dal narco, con l’obiettivo di colpire nelle aree indigene non solo lo zapatismo, ma anche tutti i gruppi oppositori al PRI-Verde. Questo si è diffuso nelle città, come San Cristóbal de las Casas, dove sono emerse bande criminali come Los Motonetos [i motorizzati]che seminano il terrore tra la popolazione e si dedicano allo spaccio di droga, huachicol, vendita di lotti in aree naturali protette (foreste e zone umide) e controllo dell’acqua e la sua vendita in tubazioni.

Con il cambio del governo federale si genera l’ipotesi che la politica nazionale contro il narcotraffico sia quella di abrazos, no balazos [abbracci, niente spari] o del laissez faire. Il corollario ipotetico o apparente per il Chiapas, prima con l’alleanza Verde-Morena e poi con le tensioni tra di loro, insieme agli altri narco-partiti, è stato quello di dare mano libera ai gruppi criminali in tutto lo Stato, sia nelle campagne che in città, con il duplice scopo di tenere lo zapatismo alle strette e aggredito, e controllare e anche ripulire i territori e le risorse quotate dal capitale, siano esse minerarie, petrolifere, turistiche, stradali e, nelle città, la speculazione immobiliare probabilmente alimentata dal riciclaggio di denaro sporco. Ciò si sta traducendo in un aumento notevole del traffico di droga e di esseri umani e nella generalizzazione dei casi di gruppi armati irregolari che sparano alle comunità e intimidiscono le popolazioni.

Col governo di Rutilio Escandón Cadenas, questi gruppi godono di una quasi completa impunità e hanno ampliato il loro controllo territoriale, cercando di destituire ogni tipo di organizzazione e movimento sociale che difenda la terra e il territorio, sia in campagna che in città. La sua massima espressione è la combinazione con le forze del traffico come è stato sperimentato nella parte settentrionale dello stato, in cui comuni come Yajalón, Amatán, Aldama e Chilón, tra gli altri, hanno autorità municipali e vessazioni che per le denunce presentate rispondono a questi interessi. Secondo il CDHFBC, in Chiapas ci sono più di 40 conflitti socio-ambientali, un eufemismo per lo stesso. Tutto questo insieme alle continue o intensificate vessazioni allo zapatismo (tinyurl.com/z5bc7uxz).

Nel municipio di Pantelhó, negli Altos del Chiapas, è ormai evidente la decomposizione del governo e l’esecuzione degli oppositori, con l’omicidio di Simón Pedro, ex leader di Las Abejas, assassinato giorni dopo aver presentato prove di collusione tra le autorità municipali con i narcotrafficanti, che porta a una vera e propria crisi umanitaria con oltre 3.000 sfollati, e provoca la creazione di gruppi armati di autodifesa (tinyurl.com/y9z59afx). Intanto si sono verificate sparatorie tra narcotrafficanti a Tuxtla Gutiérrez e a San Cristóbal de las Casas, è aumentata la violenza dei Los Motonetos e di altri gruppi d’assalto, con colpi di arma da fuoco sparati in aria nei quartieri. Il 16 luglio scorso c’è stato uno scontro tra Los Motonetos e difensori delle zone umide nei quartieri meridionali e l’esecuzione di un volontario italiano (tinyurl.com/b428yt3b), tra altri eventi.

Tutto indica che l’apparente politica di Rutilio Escandón, lasciare mano libera alla criminalità armata in Chiapas per il controllo del territorio e la controinsurgencia anti-zapatista, si è trasformata in una guerra tra cartelli e di questi contro la cittadinanza (tinyurl.com/ 536umc8t ), in modo tale che l’entità oggi assomiglia all’era dell’ascesa della narcopolitica in stati come Guerrero, Michoacán, Sinaloa, Sonora o Tamaulipas. È in questo contesto di generale degrado in Chiapas che l’EZLN e il Congresso Nazionale Indigeno compiono il loro giro di denuncia in Europa.

In un panorama così oscuro, tuttavia, ci sono elementi di speranza. Il triste fatto che quasi ogni comunità o organizzazione possa ora essere bersaglio di attacchi, crea nuove condizioni per la concertazione. Tra questi, gli storici accordi dal basso per porre fine a oltre mezzo secolo di violenza nella Selva Lacandona (tinyurl.com/j5b2rv4w) e creare un piano di vita collettivo per la convivenza di tutti gli esseri nella regione (tinyurl.com/hfe5xpky) . C’è anche l’eminente annuncio di una nuova iniziativa nazionale dell’EZLN (tinyurl.com/2z6chk92>). Il Chiapas di Rutilio Escandón vive una straordinaria battaglia tra le forze del bene e quelle del male.

Fonte: La Jornada 24/07/2021 https://www.jornada.com.mx/2021/07/24/opinion/014a1pol

*León Enrique Ávila, profesor de la Universidad Intercultural de Chiapas (Unich), y Peter Rosset, profesor de El Colegio de la Frontera Sur (Ecosur)

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La Estemporanea e una Iniziativa Nazionale

COMMISSIONE SEXTA ZAPATISTA

Messico

Luglio 2021

A le/gli aderenti alla Dichiarazione per la Vita:

All’Europa in basso e a sinistra:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:
Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:
Alle Reti in Resistenza e Ribellione:
Al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos“:

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

Compagne, compañeroas, compagni:

Sorelle, hermanoas, e fratelli:

Vi saluto a nome dei bambini, delle donne, otroas, anziani e uomini delle comunità zapatiste, e vi comunico quanto segue:

Primo.- Abbiamo pronta una compagnia aerea zapatista forte di 177 zapatisti. È composta interamente da originari di radice maya di lingua cho’ol, tzotzil, tzeltal, tojolabal e castigliano. Siamo nati nella geografia che chiamano Messico. I nostri antenati sono nati e sono morti in queste terre. Poiché lo Stato Messicano non riconosce la nostra identità e origine, e ci dice che siamo “estemporanei” (come dice il Ministero degli Affari Esteri, che siamo messicani “estemporanei”), abbiamo deciso di battezzare questa unità di “Escucha y Palabra” come “La Extemporanea”.

Come abbiamo visto nei dizionari, “estemporaneo” significa “che è inopportuno, sconveniente“, oppure “che è inappropriato per il tempo in cui accade“. Quindi siamo inopportuni, sconvenienti e inappropriati.

Mai prima d’ora siamo stati così adeguatamente definiti. Siamo lieti che lo Stato Messicano riconosca finalmente che è così che considera i popoli originari di questa geografia chiamata Messico. Penso che sia così che si rammarica di non averci annientati… non ancora; e che la nostra esistenza contraddica il discorso ufficiale sulla “conquista”. Ora si capisce che la richiesta del governo del Messico a quello della Spagna, di chiedere perdono, è per non averci sterminati.

De@ 177 delegat@, 62 di noi non hanno ancora il passaporto. Il Ministero degli Esteri è pressato dalla “sconvenienza” che rappresentiamo. Nonostante abbiamo dimostrato identità e origine, continua a richiedere sempre più documenti. Manca solo che chieda ai governi dell’America Centrale di dire che non siamo cittadini di quei paesi.

2.- La compagnia aerea “La Extemporánea”, con me al timone, si sta preparando da ottobre 2020 e siamo in quarantena da quasi un mese. È composta da:

.- Diversi gruppi di “Escucha y Palabra“. Zapatisti indigeni la cui esistenza e memoria copre la storia della nostra lotta dagli anni prima della sollevazione fino all’inizio del Viaggio per la Vita.

.- Una squadra di calcio femminile. È composta da 36 miliziane (che sono anche “Escucha y Palabra“) che hanno preso il nome e l’esempio dalla compianta Comandanta Ramona, la prima zapatista a lasciare il Chiapas, e si identificano come “Ixchel Ramona” e così usciranno sui campi sportivi d’Europa.

.- Il cosiddetto “Comando Palomitas“. Ci sono 6 ragazze e ragazzi che fanno parte del gruppo “Juego y Travesura” [Gioco e Marachella]. Come tutt@ noi, si sono preparati.

.- Il gruppo di coordinamento dell’invasione. Sono coloro che avranno il compito di organizzare e, nel caso, rafforzare i gruppi “Escucha y Palabra” che si distribuiranno nelle 5 zone in cui abbiamo diviso il continente Europeo. Inoltre presenzieranno ai media gratuiti e prezzolati, parteciperanno a tavole rotonde, conferenze ed eventi pubblici; e valuteranno lo sviluppo dell’invasione.

Con lo Squadrone 421 completeremo la prima ondata zapatista e inizieremo le visite a coloro che ci hanno invitato e, con attenzione e rispetto, li ascolteremo. Se lo chiederanno, racconteremo loro la nostra piccola storia di resistenza e ribellione.

3.- Con noi viaggerà una delegazione del Congresso Nazionale Indigeno-CIG, forte di 10 indigeni di lingua: Maya originaria, Popoluca, Binizá, Purhépecha, Raramuri, Otomí, Naayeri/Wixarika e Nahua; così come 3 fratelli e sorelle del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua di Tlaxcala, Puebla e Morelos. In totale 13.

4.- Poiché a me tocca il Viaggio per la Vita-Capitolo Europa, ho incaricato il Subcomandante Insurgente Galeano di assumere il comando in Messico e di avviare, quanto prima, contatti con il Congresso Nazionale Indigeno-CIG, con la Sexta Nazionale, con le Reti in Resistenza e Ribellione, con Organizzazioni Non Governative per la difesa dei Diritti Umani, con gruppi di Vittime di violenza, familiari di scomparsi e affini, nonché con artisti, scienziati e intellettuali, con l’obiettivo di far loro conoscere una nuova iniziativa nazionale e invitarli ad organizzarsi per questa. E aprire così un fronte di lotta per la Vita nel nostro Paese.

5.- Tra pochi giorni, che vi comunicheremo a tempo debito, inizieremo il nostro viaggio. Adesso stiamo provando a vaccinarci tutti per evitarvi problemi sanitari, e in attesa che la cosiddetta “terza ondata” di contagi in Messico si abbassi un po’.

Poi andremo nel caracol Jacinto Canek, a San Cristóbal de Las Casas, e lì ci concentreremo. Da lì ci sposteremo a Città del Messico dove le/i 177 delegat@ si recheranno negli uffici della SRE affinché ci dicano, in faccia e in pubblico, che non abbiamo diritti perché siamo “estemporanei”, e che il loro “ambizionismo” li costringe a delegare la loro responsabilità a burocrati razzisti e ignoranti. Poi, forse, Parigi, Francia.

Le date precise le diremo più avanti, perché sembra che anche per il governo francese noi siamo importuni; in aggiunta, ovviamente, alla nuova ondata mondiale di COVID19. Niente da fare, deve essere la globalizzazione.

6.- Siamo un po’ nervosi ma felici – non è la prima volta che faremo qualcosa senza sapere cosa aspettarci -. Fin da ora ringraziamo l’Europa del Basso, la Sexta Nazionale, le Reti in Resistenza e Ribellione, le ONG solidali di questa e dell’altra sponda dell’Oceano, e il collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos” per il sostegno economico e in natura che consentirà il viaggio aereo. Il costo del viaggio in mare e dei passaporti (tra i 10mila e i 15mila pesos ciascuno, per i continui viaggi di andata e ritorno dai nostri villaggi per soddisfare le ridicole richieste dello Stato Messicano per essere “estemporanei”), è stato interamente coperto dall’EZLN e ci ha lasciati senza fondi di riserva. Ma non ha comportato alcuna spesa personale per nessun@ de@ delegat@.

7.- Per quanto riguarda l’iniziativa nazionale – di cui è incaricato il SupGaleano -, anticipo solo che partirà con il nostro appello a partecipare alla cosiddetta “Consulta Popular” del 1° agosto, e a rispondere “Sì” alla domanda se si deve o no fare qualcosa per rispettare il diritto alla verità e alla giustizia di coloro che sono stati vittime di azioni e omissioni dello Stato Messicano (che questo, e nient’altro, è la domanda che ha elaborato la Corte Suprema di Giustizia della Nazione del paese chiamato Messico). Chi in alto, tra i partiti di “opposizione”, si oppone alla consultazione, non solo teme ciò che ne seguirà; ha pure il terrore che le vittime recuperino le loro istanze dall’uso vile e perverso che l’estrema destra fa del loro dolore. Perché il dolore non deve essere un affare elettorale, e tanto meno per scopi merdosi come che tornino al governo alcuni dei principali responsabili delle violenze e che prima si sono solo dedicati ad accumulare soldi e cinismo. Ecco perché l’INE, che considera noi indigeni “estemporanei” e ci nega i documenti, sta facendo tutto il possibile per far fallire la consultazione, perché sa che anche questo istituto ha la sua parte nel crimine a causa della sua politica esclusiva per la pelle chiara e urbana.

Bisogna entrarci, non guardando in alto, ma guardando le vittime. Bisogna trasformare la consultazione in una consulta “estemporanea”. Questo al fine di avviare, indipendentemente da quelli in alto, una mobilitazione per una Commissione per la Verità e la Giustizia per le Vittime, o come si voglia chiamare. Perché non può esserci vita senza verità e giustizia.

Per ora è tutto.

Dalle Montagne del Sudest Messicano.

Per gli zapatisti estemporanei.

Subcomandante Insurgente Moisés

Ancora in Messico, Luglio 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/07/16/la-extemporanea-y-una-iniciativa-nacional/

“Bella Ciao” versione tromboni, Germán El Trombón & El Clan del Solar

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Foto: Cuartoscuro

Pantelhó, narcoparamilitari e autodifesa indigena

Luis Hernández Navarro

Simón Pedro Pérez López è stato giustiziato nel mercato di Simojovel, in Chiapas. Il delitto è stato eseguito da un professionista. Da una motocicletta in corsa un sicario gli ha sparato alla testa. Impotente, quel 5 luglio, suo figlio ha visto il padre morire dissanguato a terra fino a che non ha esalato l’ultimo respiro.

Simón, indigeno tsotsil di 35 anni, padre di sette figli, era catechista nella parrocchia di Santa Catalina, a Pantelhó. Nel 2020 ha presieduto il consiglio di amministrazione della Società Civile Las Abejas di Acteal, a cui appartengono le vittime del massacro paramilitare del 22 dicembre 1997, in cui furono uccise selvaggiamente 45 persone che stavano pregando in una cappella. Faceva parte anche del Congresso Nazionale Indigeno (CNI).

Era un brav’uomo, dedito alla difesa dei diritti umani e alla richiesta di giustizia. Aveva appena denunciato gli abusi subiti dagli abitanti di Pantelhó da parte di un gruppo narcoparamilitare dedito al traffico di droga, migranti e armi, oltre che al furto di automobili. Pochi giorni prima del suo assassinio, il 26 giugno, autorità comunali e agenti comunali avevano presentato al segretario del Governo del Chiapas, Victoria Cecilia Flores Pérez, un documento che fornisce un resoconto dettagliato dei rapporti tra le autorità locali ed i gruppi criminali.

Colui che controlla la presidenza municipale di Pantelhó è del PRD. Non è un fenomeno nuovo. Senza essere l’unico caso, da anni nello Stato il partito è al servizio dei paramilitari (https://bit.ly/3yEDilR). Santos López Hernández ha vinto tre anni fa ed è stato poi arrestato per abusi sessuali su due donne, funzionarie della Giunta. Al suo posto è stata nominata Delia Janet Velasco Flores, moglie del sindaco eletto alle ultime elezioni con le sigle del sole azteco, Raquel Trujillo Morales (che assicura di aver divorziato sei mesi fa https://bit.ly/3yJwMdo).

Nel 2019 Raquel è stato accusato dagli abitanti di aver usurpato le funzioni di sindaco, di aggredire i cittadini e di aver sottratto oltre 3 milioni di pesos dalle casse comunali, in complicità con il tesoriere. Da allora, è stato associato ai fratelli Rubén e Daily Herrera per intimidire con la violenza coloro che gli si oppongono (https://bit.ly/3r05hto). Il patriarca del clan, Austreberto, è in carcere per aver ucciso due persone nell’aprile 2015 (https://bit.ly/3hXCcuy). Nel 2002 voleva auto-nominarsi giudice locale. È stato lui ad aprire le porte alla criminalità organizzata.

Simón Pedro non è l’unico membro della Società Civile Las Abejas ucciso a Pantelhó. Nel 2015, i criminali hanno ucciso il catechista Manuel López. Nonostante la procura del Chiapas sia a conoscenza del fatto, non ci sono stati progressi nelle indagini né sono stati puniti i colpevoli.

Con l’appoggio di uomini armati di Campeche, Veracruz e Sinaloa, questo gruppo ha conquistato il controllo del territorio attraverso terrore, omicidi, sparizioni, rapine, espropriazioni e sgomberi forzati, usando armi ed esplosivi ad uso esclusivo dell’Esercito Messicano. Non è estraneo all’organizzazione criminale che opera a Chenalhó (https://bit.ly/2TMWejF) e al cartello di Chamula.

La violenza scatenata dal gruppo all’interno del comune si è esacerbata nell’ultima competizione elettorale. Il Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha documentato l’omicidio di 12 persone, tra cui un bambino e un’altra desaparecida, dal marzo di quest’anno. Moltissimi abitanti sono stati sfollati a causa della paura e del rischio di perdere la vita. Posti di blocco, imboscate e incursioni di gruppi armati, in compagnia di elementi della polizia, sono all’ordine del giorno. Diverse testimonianze hanno rivelato che i veicoli della Guardia Nazionale sono guidati da membri del gruppo criminale (https://bit.ly/3e0nQZu).

In questo clima di coercizione, 11 parrocchie tsotsil della Diocesi di San Cristóbal de Las Casas, guidate da padre Marcelo Pérez Pérez, questo 6 giugno hanno chiesto di rinviare le elezioni in questo municipio. “A Pantelhó vige il silenzio. Nessuno vuole parlare. Non lasciano le comunità perché temono di essere uccisi”, ha segnalato dopo un incontro tra agenti pastorali. Ma nessuno ha ascoltato il suo avvertimento.

Padre Marcelo non è stato l’unico a prevedere il pericolo in agguato. Siamo preoccupati – osservano i vescovi del Chiapas – che alcuni gruppi di potere, legati ad attività criminali, si infiltrino nei partiti politici.

Foto: Cuartoscuro

La goccia che ha fatto traboccare il vaso nella regione è stato l’omicidio di Simón Pedro Pérez López e la rivelazione del patto di impunità istituzionale che protegge il gruppo criminale. Due bombe artigianali sono state trovate a casa degli assassini del catechista nella comunità di Nuevo Israelita. Collocate in una situazione limite, il 7 e 8 luglio scorso le Forze di Autodifesa per la Vita di Pantellhó “El Machete” hanno affrontato i narcoparamilitari e hanno occupato la sede municipale per difendere le loro vite. In questo contesto, un convoglio di soldati e polizia è stato attaccato con armi da fuoco mentre cercava di rimuovere un blocco stradale.

Il conflitto è stato esacerbato. Centinaia di indigeni tsotsil hanno cercato rifugio in luoghi sicuri. Pantelhó è diventata una città fantasma. Gli abitanti del vicino comune di Cancuc hanno bloccato uscite ed entrate. Nella regione sono sfollate più di duemila persone. Il tentativo di creare un cordone sanitario per isolare lo zapatismo e le lotte indigene per l’autonomia utilizzando i narcoparamilitari si è fatto critico.

Twitter: @lhan55

Fonte: La Jornada 11 luglio 2021 https://www.jornada.com.mx/2021/07/11/opinion/010a1pol?s=03

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MESSICO: UCCISO A SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS IL COMPAGNO BRESCIANO MICHELE ‘MIGUEL’ COLOSIO

Radio Onda D’Urto 13 Luglio 2021

È stato ucciso a colpi di pistola Michele Colosio, per tutti Miguel, bresciano di 42 anni, a San Cristobal de las Casas, in Chiapas, Messico. L’omicidio nella serata (messicana) di domenica 11 luglio 2021.

Da dieci anni Miguel faceva avanti e indietro tra il Chiapas, dove partecipava a progetti di cooperazione e volontariato, e il Bresciano dove aveva tuttora la residenza. Dieci anni fa, Miguel aveva lasciato il lavoro di tecnico di radiologia agli Spedali Civili di Brescia e aveva deciso di dedicarsi ai progetti in Chiapas, la regione delle municipalità ribelli zapatiste nel sud-est del Messico.

Nell’ultimo periodo si era avvicinato al progetto “Casa de Salud Comunitaria “Yi’bel ik’ Raíz del Viento”, cogestito dal Nodo solidale e da alcune realtà territoriali, mettendo a disposizione le proprie competenze di ex-radiologo.

Non si sa praticamente nulla, al momento, della dinamica della sua uccisione. Solo che era uscito di casa per vedere la finale degli Europei di calcio e che, dopo la partita, qualcuno si è avvicinato sparandogli e uccidendolo, fuggendo poi in sella a una motocicletta.

Michele Colosio era stato tra i fondatori della Critical Mass di San Cristobal. Per questo oggi, martedì 13 luglio, compagne e compagni lo ricorderanno con una biciclettata per le vie dell’antica capitale dello Stato messicano del Chiapas. Appuntamento alle ore 19.30 locali (le 02.30 italiane di mercoledì 14 luglio) nella piazza della Cattedrale, con una critical mass, il posizionamento di una bicicletta rossa e una veglia denominata “Basta con la violenza”».

Miguel, in passato, è stato anche volontario della Festa di Radio Onda d’Urto nello stand Salamaia.

L’intervista a Sante, compagno del Nodo solidale e volontario della Festa di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica: https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2021/07/Sante-su-Michele-Colosio.mp3

Sulla pagina sociale della Casa de Salud Comunitaria “Yi’bel ik’ Raíz del Viento” è comparso un ricordo di Michele Colosio:

“Michele Colosio è stato ucciso domenica sera. Il suo sorriso noto e largo si è spento, lo hanno ucciso in un assalto, a un isolato da casa sua, tornando dai festeggiamenti per la finale dell’Eurocoppa di calcio. Ero così felice.

Michele è nato in Italia ma è sempre stato un cittadino del mondo, viveva in Messico da più di 10 anni e aveva una grande rete di amicizie, grande come il suo cuore. Artigiano, viaggiatore, pastore di capre, contadino, trapaniere, meccanico di bicicletta e tutto quello che gli veniva in mente di imparare, Michele nella sua gioventù ha studiato e lavorato come radiologo in un ospedale e il suo cuore e le sue conoscenze lo hanno avvicinato alla nostra Casa di Salute Comunitaria Yi ‘ bel Ik ‘ ′′Radice del Vento”, così come a molti altri progetti sociali, convinto com’era lui che bisognava dare, bisognava aiutare, bisognava fare popolo nella fratellanza, senza distinzioni di lingue, confini e colore di pelle.

È morto dopo un assalto, uno dei tanti che ogni giorno si danno nel villaggio magico di San Cristoforo, una città già alla mercé di tanti gruppi armati (criminalità comune, crimine organizzato, narcos, gruppi di choc e paramilitari, sicari in uniforme , ecc) che agiscono grazie alla vista grassa di tutti i governi e alla corruzione di tutti i corpi di polizia. Il marciume istituzionale, la povertà diffusa e l’impunità hanno trasformato questa bella città in un inferno più delle migliaia di questo paese addolorato. Lo denunciamo da anni e resistiamo, non ci fermiamo.

Ciao Michele, ci vediamo in giro. Mentre siamo anche nel tuo percorso di apprendimento e consegne, per costruire un mondo in cui ci sono molti mondi”.

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VOLANTEM EST ALIO MODO GRADIENDI

(Cosa ci aspettiamo?)

Un qualsiasi giorno, di qualsiasi mese di qualsiasi anno.

Siccità. Inondazioni. Terremoti. Eruzioni. Inquinamento. Pandemie attuali e future. Omicidi di leader di popoli originari, difensori dei diritti umani, guardiani della Terra. La violenza di genere che raggiunge il genocidio contro le donne – lo stupido suicidio dell’umanità -. Razzismo non di rado mal nascosto dietro l’elemosina. Criminalizzazione e persecuzione della differenza. La condanna irrimediabile della sparizione forzata. Repressione in risposta a richieste legittime. Sfruttamento dei più da parte dei meno. Grandi progetti di distruzione dei territori. Villaggi desolati. Milioni di sfollati, occultati sotto il termine di “migrazione”. Specie in pericolo di estinzione o solo, ormai, un nome nella cartella “animali preistorici”. Profitti giganteschi dei più ricchi tra i più ricchi del pianeta. Estrema miseria dei più poveri tra i bisognosi del mondo. La tirannia del denaro. La realtà virtuale come falsa via d’uscita dalla realtà reale. Stati Nazionali agonizzanti. Ogni individuo un nemico estraneo. La menzogna come programma di governo. Il frivolo e il superficiale come ideali da raggiungere. Il cinismo come nuova religione. La morte come routine quotidiana. La guerra. Sempre la guerra.

La tormenta che spazza via tutto, sussurra, consiglia, grida:

Arrenditi!

Arrenditi!

Arrenditi!

Tuttavia…

Là, vicino e lontano dai nostri suoli e cieli, c’è qualcuno. Una donna, un uomo, unoa otroa, un gruppo, un collettivo, un’organizzazione, un movimento, un popolo originario, un quartiere, una strada, una città, una casa, una stanza. Nell’angolo più piccolo, più dimenticato, più lontano, c’è qualcuno che dice “NO”. Che lo dice piano, che si sente appena, che lo grida, che lo vive e lo muore. E si ribella e resiste. Qualcun@. Devi cercarl@. Devi trovarl@. Devi ascoltarl@. Devi impararl@.

Anche se dobbiamo volare per abbracciarl@.

Perché, in fondo, volare è solo un altro modo di camminare. E, beh, camminare è il nostro modo di lottare, di vivere.

Quindi, nel Viaggio per la Vita, cosa ci aspettiamo? Non vediamo l’ora di guardare il tuo cuore. Speriamo non sia troppo tardi. Speriamo… tutto.

InFede.
SupGaleano.
Pianeta Terra… o ciò che ne resta.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/07/06/volantem-est-alio-modo-gradiendi/

«On lâche rien» in Francese, Spagnolo, Catalano, Euskera, Gallego. Interpretata dar: HK et les SALTIMBANKS con LA PULQUERIA, TXARANGO, LA TROBA KUNG-FÙ, FERMIN MUGURUZA et DAKIDARRIA.

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Il Viaggio per la Vita: PER FARE COSA?

Giugno 2021

Una precisazione: molte volte, quando usiamo il termine “los zapatistas – gli zapatisti” – non ci riferiamo agli uomini ma ai popoli zapatisti. E quando usiamo “las zapatistas” – le zapatiste – non definiamo le donne, ma le comunità zapatiste. Dunque, troverai questo “salto” di genere nelle nostre parole. Quando ci riferiamo al genere, aggiungiamo sempre “otroa” per indicare l’esistenza e la lotta di coloro che non sono né uomini né donne (e che la nostra ignoranza in materia ci impedisce di definire – ma impareremo a nominare tutte le differenze -).

-*-

Ora, la prima cosa che devi sapere o capire è che noi zapatisti quando facciamo qualcosa, per prima cosa ci prepariamo al peggio. Partiamo da un finale di fallimento e, in senso opposto, ci prepariamo ad affrontarlo o, nel migliore dei casi, ad evitarlo.

Ad esempio, immaginiamo di essere attaccati, i massacri di rigore, il genocidio travestito da moderna civilizzazione, lo sterminio totale. E ci prepariamo a queste possibilità. Ebbene, per il 1° gennaio 1994 non immaginammo la sconfitta, la prendemmo come una certezza.

Ad ogni modo, forse questo ti aiuterà a capire perché inizialmente eravamo stupiti, titubanti e confusi nell’improvvisare quando, dopo tanto tempo, lavoro e preparazione alla rovina, ci siamo ritrovati… vivi.

È da questo scetticismo che nascono le nostre iniziative. Alcune piccole, altre più grandi, tutte un delirio; le nostre convocazioni sono sempre rivolte “all’altro”, a ciò che va molto oltre il nostro orizzonte quotidiano, ma che riteniamo qualcosa di necessario nella lotta per la vita, cioè nella lotta per l’umanità.

Con questa iniziativa o scommessa o delirio o follia, per esempio, nella sua versione marittima ci siamo preparati al Kraken, ad una tempesta o una balena bianca che avrebbe fatto naufragare l’imbarcazione, ecco perché abbiamo costruito i cayucos – che hanno viaggiato con lo Squadrone 421 su La Montaña fino a Vigo, Galizia, Stato Spagnolo, Europa -.

Ci siamo preparati anche a non essere i benvenuti, per questo prima abbiamo chiesto il consenso per l’invasione, cioè la visita… Beh, di essere i “benvenuti” non siamo ancora del tutto sicuri. Per più di una, uno, unoa, la nostra presenza è a dir poco inquietante, quando non francamente dirompente. E lo capiamo, può darsi che qualcuno, dopo più di un anno di confinamento, trovi quantomeno inopportuno che un gruppo di indigeni di radice maya, molto poca cosa in quanto a produttori e consumatori di merci (elettorali e non), voglia parlare di persona. Di persona! (ricordi che questo prima faceva parte della tua quotidianità?). E, che inoltre, abbia come missione principale quella di ascoltarti, riempirti di domande, condividere incubi e, naturalmente, sogni.

Ci siamo preparati che i malgoverni, da una parte e dall’altra, impediscano o ostacolino la nostra partenza e il nostro arrivo, per questo alcun@ zapatisti erano già in Europa… Opps, non avrei dovuto scriverlo, cancellatelo. Sappiamo che il governo messicano non porrà ostacoli. Resta da vedere cosa diranno e faranno gli altri governi europei – Portogallo e Stato Spagnolo non si sono opposti -.

Ci siamo preparati al fallimento della missione, cioè che diventi un evento mediatico e, quindi, fugace e irrilevante. Per questo accettiamo anzitutto gli inviti di chi vuole ascoltare e parlare, cioè conversare. Perché il nostro obiettivo principale non sono gli eventi di massa – anche se non li escludiamo -, ma lo scambio di storie, conoscenze, sentimenti, valutazioni, sfide, fallimenti e successi.

Ci siamo preparati alla caduta dell’aereo, motivo per cui abbiamo realizzato dei paracadute con ricami colorati affinché invece di un “D-Day” in Normandia (oh, oh, questo significa che lo sbarco aereo sarebbe in Francia?… eh?… a Parigi?!), sia un “Z-Day” per l’Europa del basso, e sembrerà allora che dal cielo piovano fiori come se Ixchel, dea madre, dea arcobaleno, ci accompagni e, con la sua mano e con il suo volo, apra un secondo fronte all’invasione. E più sicuro perché ora, grazie alla Galizia del basso, lo Squadrone 421 è riuscito a installare una testa di ponte nelle terre di Breogán.

In breve, ci prepariamo sempre a fallire… e a morire. Ecco perché la vita, per lo zapatismo, è una sorpresa che va celebrata tutti i giorni, a tutte le ore. E cosa altro c’è di meglio se non con balli, musica, arti.

-*-

In tutti questi anni abbiamo imparato molte cose. Forse la cosa più importante è rendersi conto di quanto siamo piccoli. E non intendo altezza e peso, ma la dimensione del nostro impegno. I contatti con persone, gruppi, collettivi, movimenti e organizzazioni di diverse parti del pianeta ci hanno mostrato un mondo diverso, molteplice e complesso. Ciò ha rafforzato la nostra convinzione che ogni proposta di egemonia e di omogeneità non solo è impossibile, ma è soprattutto criminale.

Perché i tentativi – non di rado nascosti dietro nazionalismi di cartapesta nelle vetrine dei centri commerciali della politica elettorale – di imporre modi e sguardi sono criminali perché cercano di sterminare differenze di ogni genere.

L’altro è il nemico: differenza di genere, razza, identità sessuale o asessuale, lingua, colore della pelle, cultura, credo o miscredenza, concezione del mondo, fisico, stereotipo di bellezza, storia. Contando tutti i mondi che ci sono nel mondo, ci sono praticamente tanti nemici, reali o potenziali, quanti sono gli esseri umani.

E potremmo dire che quasi ogni dichiarazione di identità è una dichiarazione di guerra contro il diverso. Ho detto “quasi” e, in quanto zapatisti, ci aggrappiamo a questo “quasi”.

-*-

Secondo le nostre modalità, i nostri calendari e la nostra geografia, siamo giunti alla conclusione che l’incubo può sempre peggiorare. La pandemia di “Coronavirus” non è l’apocalisse. È solo il suo preludio. Se i media e i social volevano rassicurarci, prima, “informando” sull’estinzione di un ghiacciaio, un terremoto, uno tsunami, una guerra in qualche parte lontana del pianeta, l’omicidio di un altro indigeno da parte dei paramilitari, una nuova aggressione contro la Palestina o il popolo mapuche, la brutalità del governo in Colombia e Nicaragua, le immagini dei campi di detenzione per migranti che vengono da un altro luogo, da un altro continente, da un altro mondo, convincendoci così che questo “succede da un’altra parte”, in poche settimane, la pandemia ha dimostrato che il mondo può essere solo una piccola parrocchia egoista, sciocca e vulnerabile. I diversi governi nazionali sono le cosche che vogliono controllare, con la violenza “legale”, una strada o un quartiere, ma il “capo” che controlla tutto è il capitale.

Ad ogni modo, si sta preparando il peggio. Ma questo lo sapevi già, vero? E se no, allora è ora che tu lo sappia. Perché, oltre a cercare di convincerti che sofferenze e disgrazie saranno sempre estranee (fino a quando non smettono di essere tali e si siedono alla tua tavola, turbandoti il sonno e lasciandoti senza lacrime), ti dicono che il modo migliore per affrontare queste minacce è individualmente.

Questo male si evita allontanandosi da esso, costruendo il tuo mondo a tenuta stagna e rendendolo sempre più angusto fino a che c’è spazio solo per “io, mio, me, con me”. E per questo, ti offrono “nemici” a modo, sempre con un fianco debole e che è possibile sconfiggere acquistando, ascolta bene, questo prodotto che, guarda che coincidenza, per questa unica occasione in offerta e puoi acquistarlo e riceverlo sulla porta del tuo bunker in poche ore, giorni … o settimane, perché la macchina ha scoperto, oh sorpresa, che il reddito dipende anche dalla circolazione della merce e che, se questo processo si ferma o rallenta, la bestia soffre… cosicché è business anche la sua distribuzione e ripartizione.

Ma, in quanto zapatisti, abbiamo studiato e analizzato. E vogliamo confrontare le conclusioni a cui siamo giunti con scienziati, artisti, filosofi e analisti critici di tutto il mondo.

Ma non solo, anche e soprattutto con coloro che, nelle loro lotte quotidiane, hanno subito e avvertito le disgrazie a venire. Perché, per quanto riguarda il sociale, teniamo in grande considerazione l’analisi e la valutazione di chi rischia la pelle nella lotta contro la macchina, e siamo scettici nei confronti di chi, dal punto di vista esterno, opina, valuta, consiglia, giudica e condanna o assolve.

Ma, attenzione, riteniamo che questo sguardo critico “outsider” sia necessario e vitale, perché ci permette di vedere cose che non si vedono nel vivo della lotta e, attenzione, contribuisce alla conoscenza della genealogia della bestia, delle sue trasformazioni e del suo funzionamento.

In ogni caso, vogliamo parlare e, soprattutto, ascoltare chi si mette in mezzo. E non ci interessa il suo colore, taglia, razza, sesso, religione, militanza politica o percorso ideologico, se questo coincide con il ritratto fedele della macchina assassina.

E se, quando parliamo del criminale, qualcuno lo identifica con il fato, la sfortuna, “l’ordine naturale delle cose”, il castigo divino, la pigrizia o l’incuria, lì non ci interessa ascoltare o parlare. Per queste spiegazioni basta guardare le soap opera e andare sui social in cerca di conferme.

Cioè, crediamo di aver stabilito chi è il criminale, il suo modus operandi e il crimine stesso. Queste 3 caratteristiche si sintetizzano in un sistema, cioè in un modo di rapportarsi all’umanità e alla natura: il capitalismo.

Sappiamo che è un crimine in corso e che il suo perseguimento sarà disastroso per il mondo intero. Ma non è questa la conclusione che ci interessa corroborare, no.

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Perché sembra che, anche studiando e analizzando, abbiamo scoperto qualcosa che può o no essere importante. Dipende.

Supponendo che questo pianeta sarà annientato, almeno per come lo percepiamo adesso, abbiamo studiato le possibili opzioni.

Cioè, la nave affonda e lassù dicono che non succede nulla, che è qualcosa di passeggero. Sì, come quando la petroliera Prestige naufragò al largo delle coste europee (2002) – la Galizia fu la prima testimone e vittima – e le autorità imprenditoriali e governative dissero che erano state sversate solo poche gocce di carburante. Il disastro non è stato pagato né dal Boss, né dai suoi sgherri e caporali. L’hanno pagato, e continuano a pagare, gli abitanti che vivono di pesca su quelle coste. Loro e i loro discendenti.

E per “Nave” intendiamo il pianeta omogeneizzato da un sistema: il capitalismo. Certo, potranno dire che “questa non è la nostra nave”, ma il naufragio in corso non è solo di un sistema, ma del mondo intero, completo, totale, anche l’angolo più remoto e isolato, e non solo dei suoi centri di Potere.

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Capiamo che qualcuno pensi, e agisca di conseguenza, che è ancora possibile rattoppare, rammendare, dipingere un po’ qua e là, rimodellare l’imbarcazione. Tenerla a galla anche vendendo la fantasia che siano possibili megaprogetti che non solo non annientano intere popolazioni, ma anche che non colpiscano la natura.

Che ci sono persone che pensano che basti essere molto determinate e darci dentro con il maquillage (almeno fino a quando non passano le elezioni). E che credono che la migliore risposta al reclamo di “Mai più” – che si ripete in tutti gli angoli del pianeta -, siano promesse e denaro, programmi politici e denaro, buone intenzioni e denaro, bandiere e denaro, fanatismo e denaro. Che credano davvero che i problemi del mondo si riducano alla mancanza di denaro.

E il denaro ha bisogno di strade, grandi progetti di civilizzazione, hotel, centri commerciali, fabbriche, banche, manodopera, consumatori, … polizie ed eserciti.

Le cosiddette “comunità rurali” sono classificate come “poco sviluppate” o “arretrate” perché la circolazione del denaro, cioè delle merci, è inesistente o molto limitata. Non importa che, ad esempio, il loro tasso di femminicidi e violenze di genere sia inferiore rispetto a quello delle città. I successi dei governi si misurano dal numero di aree distrutte e ripopolate da produttori e consumatori di merci, grazie alla ricostruzione di quel territorio. Dove prima c’era un campo di grano, una sorgente, un bosco, ora ci sono alberghi, centri commerciali, fabbriche, centrali termoelettriche, … violenza di genere, persecuzione della differenza, narcotraffico, infanticidi, tratta di esseri umani, sfruttamento, razzismo, discriminazione. In breve: c-i-v-i-l-i-z-z-a-z-i-o-n-e.

L’idea è che la popolazione contadina diventi una dipendente di questa “urbanizzazione”. Continuerà a vivere, lavorare e consumare nella sua località, ma il proprietario di tutto ciò che la circonda è un conglomerato industriale-commerciale-finanziario-militare la cui sede è nel cyberspazio e per il quale quel territorio conquistato è solo un puntino sulla mappa, una percentuale di profitto, una merce. E il vero risultato sarà che la popolazione originaria dovrà migrare, perché il capitale arriverà con propri dipendenti “qualificati”. La popolazione originaria dovrà irrigare giardini e pulire parcheggi, locali e piscine dove prima c’erano campi, boschi, coste, lagune, fiumi e sorgenti.

Ciò che si nasconde è che, dietro le espansioni (“guerre di conquista”) degli Stati – siano esse interne (“incorporando più popolazione alla modernità”), sia esterne con alibi diversi (come quello del governo israeliano nella sua guerra contro la Palestina) – c’è una logica comune: la conquista di un territorio da parte della merce, cioè del denaro, cioè del capitale.

Ma capiamo che queste persone, per diventare il cassiere che amministra i pagamenti e i ricavi che danno vita alla macchina, formano partiti politici elettorali, fronti – ampi o ristretti – per disputare l’accesso al governo, alleanze e rotture “strategiche”, e tutte le sfumature in cui sono impegnati lavoro e vite che, dietro piccoli successi, nascondono grandi fallimenti. Una piccola legge lì, un interlocuzione ufficiale qui, una nota giornalistica lì, un tuit qua e là, un like là, tuttavia, per fare un esempio di un crimine globale in corso, i femminicidi sono in aumento. Nel frattempo la sinistra sale e scenda, la destra sale e scende, il centro sale e scende. Come cantava l’indimenticabile malagueña Marisol, “la vita è una lotteria“: tutti (di sopra) vincono, tutti (di sotto) perdono.

Ma la “civilizzazione” è solo un fragile alibi per la distruzione brutale. Il veleno si diffonde (non più dalla Prestige – o non solo da quella nave -) e l’intero sistema sembra voler avvelenare ogni angolo del pianeta, perché distruzione e morte sono più redditizie che fermare la macchina.

Siamo sicuri che potrai aggiungere molti altri esempi. Indicatori di un incubo irrazionale, tuttavia, attivo.

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Quindi, per diversi decenni ci siamo concentrati sulla ricerca di alternative. La costruzione di zattere, cayucos, lance e anche imbarcazioni più grandi (la 6a come improbabile arca), ha un orizzonte ben definito. Da qualche parte si dovrà sbarcare.

Abbiamo letto e riletto. Abbiamo studiato e continuiamo a farlo. Abbiamo fatto analisi prima e ora. Abbiamo aperto il nostro cuore e il nostro sguardo non alle ideologie attuali o passate di moda, ma alle scienze, alle arti e alle nostre storie di popoli originari. Con queste conoscenze e strumenti, abbiamo scoperto che esiste, in questo sistema solare, un pianeta che potrebbe essere abitabile: il terzo del sistema solare e che, fino ad ora, compare nei libri scolastici e scientifici con il nome di “La Terra”. Per ulteriori riferimenti, si trova tra Venere e Marte. Cioè, secondo certe culture, sta tra l’amore e la guerra.

Il problema è che questo pianeta è ormai un cumulo di macerie, veri incubi e orrori tangibili. Poco è rimasto in piedi. Anche la cortina che nasconde la catastrofe è strappata. Allora, come posso dirtelo? Il problema non è conquistare quel mondo e godere dei piaceri dei vincitori. È più complicato e richiede, sì, uno sforzo mondiale: bisogna rifarlo.

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Ora, secondo le grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane, l’uscita dalla catastrofe mondiale (sempre qualcosa di esterno – alieni, meteore, pandemie inspiegabili, zombie simili a candidati a qualche carica pubblica -) è il prodotto dell’unione di tutti i governi del mondo (guidati dai gringos)… o, peggio, dal governo degli Stati Uniti sintetizzato in un individuo, o individua (perché la macchina ha imparato che la farsa deve essere includente), che può avere le caratteristiche razziali e di genere politicamente corrette , ma che sul petto porta il marchio dell’Idra.

Ma, lungi da queste finzioni, la realtà ci mostra che tutto è business: il sistema produce la distruzione e ti vende i biglietti per fuggire da esso… nello spazio. E sicuramente, negli uffici delle grandi corporazioni, ci sono brillanti progetti di colonizzazione interstellare… con proprietà privata dei mezzi di produzione inclusa. In altre parole, il sistema viene traslato, nella sua interezza, su un altro pianeta. “All included” si riferisce a chi lavora, a chi vive sopra coloro che lavorano e al suo rapporto di sfruttamento.

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A volte non si limitano a guardare allo spazio. Il capitalismo “verde” si batte per le aree “protette” del pianeta. Bolle ecologiche dove la bestia può rifugiarsi mentre il pianeta guarisce dai morsi (il che richiederebbe solo pochi milioni di anni).

Quando la macchina parla di “un nuovo mondo” o “di umanizzazione del pianeta”, pensa ai territori da conquistare, spopolare e distruggere, per poi ripopolare e ricostruire con la stessa logica che ora tiene il mondo di fronte al baratro, sempre pronta a fare il passo avanti che richiese il progresso.

Potresti pensare che non sia possibile che qualcuno sia così imbecille da distruggere la casa in cui vive. “La rana non beve tutta l’acqua della pozza in cui vive“, dice un proverbio del popolo originario Sioux. Ma se intendi applicare la logica razionale al funzionamento della macchina, non capirai (beh, nemmeno la macchina). Le valutazioni morali ed etiche non servono a niente. La logica della bestia è il profitto. Certo, ora ti chiederai come sia possibile che una macchina irrazionale, immorale e stupida governi i destini di un intero pianeta. Ah, (sospiro), è nella sua genealogia, nella sua stessa essenza.

Ma, tralasciando l’impossibile esercizio di dotare di razionalità l’irrazionale, arriverai alla conclusione che è necessario distruggere questa mostruosità che non è diabolica. Purtroppo è umana.

E, naturalmente, tu studi, leggi, confronti, analizzi e scopri che ci sono ottime proposte per uscirne. Da quelle che propongono trucco e parrucco, a quelle che consigliano lezioni di morale e logica per la bestia, passando per nuovi o vecchi sistemi.

Sì, ti capiamo, la vita fa schifo ed è sempre possibile rifugiarsi in quel cinismo così sopravvalutato sui social network. Diceva il compianto SupMarco: “la cosa brutta non è che la vita fa schifo, ma che ti costringano a mangiarla e si aspettano pure che tu l’apprezzi“.

Ma supponi di no, che tu sappia che, in effetti, la vita fa schifo, ma la tua reazione non sia quella di chiuderti in te stesso (o nel tuo “mondo”, che dipende dal numero dei tuoi “follower” sui social network di adesso e a venire). E poi decidi di abbracciare, con fede, speranza e carità, alcune delle opzioni che ti vengono presentate. E scegli la migliore, la più grande, la più famosa, quella vincente… o quella che ti è vicina.

Grandi progetti di nuovi e vecchi sistemi politici. Ritardi impossibili dell’orologio della storia. Nazionalismi sciovinisti. Futuri condivisi in forza di tale opzione che prende il Potere e ci rimane fino a quando tutto non sarà risolto. Il tuo rubinetto perde? Vota per tizio. Schiamazzi nel quartiere? Vota per caio. Il costo dei trasporti, del cibo, delle medicine, dell’energia, delle scuole, dell’abbigliamento, dell’intrattenimento, della cultura è aumentato? Hai paura dell’immigrazione? Ti senti a disagio con persone dalla pelle scura, credi diversi, lingue incomprensibili, stature e carnagioni diverse? Vota per…

C’è anche chi non si discosta dall’obiettivo, ma dal metodo. E poi ripete da sopra ciò che criticava da sotto. Con disgustosi contorsionismi e argomentando strategie geopolitiche, si appoggia a chi si ripete nel crimine e nella stupidità. Si chiede che i popoli sopportino le oppressioni a beneficio della “correlazione internazionale di forze e l’ascesa della sinistra nell’area”. Ma il Nicaragua non è Ortega-Murillo e la bestia non ci metterà molto a capirlo.

In tutte queste grandi offerte di soluzioni nel mortale supermercato del sistema, molte volte non si dice che si tratta della brutale imposizione di un’egemonia, e di un decreto di persecuzione e morte a ciò che non è omogeneo al vincitore.

I governi governano per i loro seguaci, mai per quelli che non lo sono. Le star dei social network alimentano i loro seguaci, anche a costo di sacrificare l’intelligenza e la vergogna. E il “politicamente corretto” ingoia rospi, dopo aver divorato chi consiglia la rassegnazione “per non beneficiare il nemico principale”.

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Lo zapatismo è la grande risposta, un’altra, ai problemi del mondo?

No. Lo zapatismo è tante domande. E la più piccola può essere la più inquietante: E tu, che fai?

Di fronte alla catastrofe capitalista, lo zapatismo propone un vecchio-nuovo sistema sociale idilliaco e con esso ripete le imposizioni di egemonie ed omogeneità ora “buone”?

No. Il nostro pensiero è piccolo come noi: sono gli sforzi di ciascuno, nella sua geografia, secondo il suo calendario e i suoi modi, che consentiranno, forse, di liquidare il criminale e, contemporaneamente, rifare tutto. E tutto vuol dire tutto.

Ognuno, secondo il proprio calendario, la propria geografia, la propria strada, dovrà costruire il proprio percorso. E, come noi popoli zapatisti, inciamperà e si rialzerà, e ciò che costruirà avrà il nome che avrà voglia di avere. Sarà solo diverso e migliore di ciò che abbiamo subito prima, e di ciò che patiamo attualmente, se riconosce l’altro e lo rispetta, se rinuncia a imporre il suo pensiero sul diverso e se finalmente si rende conto che ci sono molti mondi e che la loro ricchezza nasce e risplende nella loro differenza.

È possibile? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che, per scoprirlo, si deve lottare per la Vita.

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Allora, cosa veniamo a fare in questo Viaggio per la Vita se non aspiriamo a dettare strade, rotte, destinazioni? Cosa, se non cerchiamo adesioni, voti, likes? Cosa, se non andiamo a giudicare e condannare o assolvere? Cosa, se non invitiamo al fanatismo per un nuovo-vecchio credo? Cosa, se non vogliamo passare alla Storia e occupare una nicchia nel pantheon ammuffito dello spettro politico?

Ebbene, ad essere onesti in quanto zapatisti: non solo verremo a confrontare le nostre analisi e conclusioni con l’altro che lotta e pensa criticamente.

Veniamo a ringraziare l’altro per la sua esistenza. Ringraziare per gli insegnamenti che ci hanno dato la sua ribellione e resistenza. Veniamo a consegnare il fiore promesso. Abbracciare l’altro e gli diremo all’orecchio che non è solo, sola, soloa. Veniamo a sussurrargli/le che valgono la pena la resistenza, la lotta, il dolore per chi non c’è più, la rabbia per il criminale impunito, il sogno di un mondo non perfetto, ma migliore: un mondo senza paura.

E anche, e soprattutto, veniamo a cercare complicità… per la vita.

SupGaleano

Giugno 2021, Pianeta Terra

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/27/la-travesia-por-la-vida-a-que-vamos/

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LO SBARCO.

LO SBARCO

https://player.vimeo.com/video/566702426

“El Desembarco” di León Gieco eseguita da León Gieco (Voce e Armonica), Jairo (Voce e Djembe), Silvina Moreno (Voce), Sandra Corizzo (Voce), Diego Boris (Armonica), Antonio Druetta (Mandolino), Pablo Elizondo (Chitarra), Luciana Elizondo (Violoncello). 2021.

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Da L’Altra Europa.

Individui, Gruppi, Collettivi, Organizzazioni e Movimenti Europei – con la collaborazione dello Squadrone 421.

Giugno 2021

P.S.- C’è questa canzone di León Gieco intitolata “El Desembarco”. Ce l’ho da anni nella cartella dei “sospesi“, chiedendomi quando e in quale video inserirla. Alla fine ho pensato che quando sarebbe arrivato il suo momento, l’avrei saputo.

Guardando il momento in cui Marijose mette piede sul suolo della Galizia, ho pensato, non alla canzone, ma alla trama invisibile che univa la musica e uno stivale da bucaniere, indossato da un piede maya originale, che si posava sul suolo iberico.

Ho indagato ed ho scoperto che la canzone è stata pubblicata nel 2011, in un album omonimo. È stato 10 anni fa… o più. Quando è che León Gieco ha scritto nel suo cuore questa canzone, questo fratello involontario – o fratello giurato, come Juan Villoro-, che abbiamo nel grande abbraccio che è l’America Latina? Mesi o anni prima?

León ha sognato ciò che dice il testo?

È lo stesso sogno che ha fatto Marijose quando, nell’abbraccio infuocato di aprile, le fu detto che sarebbe stata la prima a sbarcare? È lo stesso che fece il defunto SupMarcos quando, anni prima della sollevazione, scrisse “Marinaio nella montagna”? Lo stesso che ha svelato a Don Durito de La Lacandona quando ha immaginato (o realizzato, non si saprà mai) il suo periplo attraverso le terre d’Europa? Lo ha sognato la Comandante Ramona, la prima ad uscire dal territorio zapatista e al cui passaggio è nato il Congresso Nazionale Indigeno? È lo stesso che sognava l’allora tenente colonnello Insurgente Moisés quando – nel 2010 e nei pressi di una capanna tra le montagne del sudest messicano – ha ricevuto il grado di Subcomandante? Quello che fecero il Señor Ik, il SubPedro e altri 45 zapatisti, pochi istanti prima di cadere in combattimento nel gennaio del 1994? Quello che, collettivamente, ha sognato il popolo originario Sami – nell’estremo nord dell’Europa – con la Dichiarazione per la Vita? L’ha sognato Gonzalo Guerrero più di 500 anni fa, quando fece proprio il percorso e il destino del popolo maya? Inquietò Jacinto Canek?

Ha alleviato in qualche modo la dipartita del Comandante Ismael, della dott.ssa Paulina Fernández C., di Oscar Chávez, di Jaime Montejo, di Jean Robert, di Paul Leduc, di Vicente Rojo, di Mario Molina, di Ernesto Cardenal e di tanti e tanti famigliari – fratelli e sorelle senza saperlo – che abbiamo perso negli ultimi mesi?

È il sogno che ha animato l’Europa del basso che ha organizzato questa incredibile e meravigliosa accoglienza a Vigo?

Quello che ora percorre le strade, i quartieri, le campagne e le coste d’Europa e che ripete “Pioverà a luglio a Parigi?”

È il sogno che anima le voci che, negli emblematici specchi della spiaggia di Vigo, hanno attraversato l’Atlantico ed annidano ora nelle comunità zapatiste?

Perché non da una nave scende lo Squadrone 421, ma sbarca da La Montaña “senza armi, per la vita”.

È umano questo? Ciò che ricama il lungo e occulto filo che unisce geografie diverse e lontane, che unisce calendari vicini e lontani?

Non lo so. Ma consiglierei a chi è posseduto dalla maledizione dell’arte: plasma tutto questo nel tuo sogno. Qualunque cosa sia, ma che sia tuo.

Perché non si sa mai quando e dove un altro sguardo, un altro ascolto, altre mani, un altro passo, un altro cuore, in un altro calendario e in un’altra geografia, lo tirerà giù dal grande scaffale delle illusioni, gli aprirà le viscere e lo pianterà, come un seme, nella dolente realtà.

In fede.

Il SupGaleano.

Giugno 2021

Testo e video originali: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/23/el-desembarco/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Montaña zapatista ha attraversato l’Atlantico ed è arrivata sulle coste della Galizia per far nascere un incontro di ribellioni che vuole dar vita a un mondo nuovo. Un mondo che contenga molti mondi diversi. È il mondo che restituisce un significato ai semi della speranza e non poteva che presentarsi con un battesimo: “A nome delle donne, dei bambini, degli anziani e delle otroas zapatiste, dichiaro che il nome di questa terra, che adesso chiamano Europa, da qui in avanti si chiamerà: SLUMIL K´AJXEMK´OP, che vuol dire: Terra indomita”, ha detto Marijose. L’ha accolta un abbraccio enorme, quello di chi, in ogni angolo del vecchio continente, sta re-imparando ad ascoltare il suono nuovo e profondo di parole che vengono dal cuore per condividere la vita e le ribellioni.

Il battesimo

Rebecca Rovoletto

23 Giugno 2021

Una gonna tzotzil, due tzeltal, una cho’ol. Tre paia di jeans, però uno infilato in lunghi stivali col tacco alto. Dentro a questi abiti – visiere anticovid e mascherine al posto del passamontagna – el Escuadrón da sbarco 4-2-1, testa di ponte del prossimo contingente aviotrasportato, poggia finalmente i piedi sul vecchio continente. Non conoscono nessuno, ma tutt@ conoscono loro e fanno ala al passaggio dei sette: Marijose, Lupita, Carolina, Ximena, Yuli, Bernal, Felipe.

Cembali, cornamuse e tamburi della fanfara popolare galiziana aprono loro la strada verso la spiaggia dei saluti, poi verso il prato delle celebrazioni. Le delegazioni del vecchio continente abbracciano, con inni e battimani, i volti maya partiti sette settimane fa dalle coste di Abya Yala.

Il capitano della Montagna dice che “è finito un viaggio, ma da qui ne inizia un altro”. Inizia, infatti, col battesimo di questa vecchia terra, affinché possa destarsi e rinnovarsi. Così come i popoli indigeni riscoprono il nome ancestrale della loro geografia, simmetricamente ci portano dall’oltremare un nuovo nome che non recrimina le disgrazie disseminate dalla sua storia, ma si appella a quella sua parte che ancora guarda, cammina, sogna.

E Marijose, che non è né uomo né donna, dichiara: “A nome delle donne, dei bambini, degli uomini, degli anziani e, naturalmente, degli otroas zapatisti, che il nome di questa terra che i suoi nativi ora chiamano ‘Europa’, d’ora in poi si chiamerà: Slumil K’ajxemk’op, che significa ‘Terra Indomita’, o ‘Terra che non si rassegna, che non cede’. E così sarà conosciuta dalla gente del posto e dagli estranei finché qui ci sarà qualcuno che non si arrende, non si vende e non cede”.

Parole tzotzil degli Altos, tojolabal della Selva di confine, tzeltal della selva Lacandona e cho’ol del nord venute “per aprire i cuori e condividere lotte per la vita, esperienze, modi… e per dimostrare al mondo capitalista patriarcale che un altro mondo è possibile”, che in qualche posto di Abya Yala è già realtà. Un cesto di erbe di San Juan, poesie e canti in dono agli ospiti. E poi cumbia fino all’alba.

22 | 06 | 21 da un’insenatura della Terra Indomita, pianeta Terra.

https://www.facebook.com/rebecca.rovoletto

Foto da Desinformémonos e Comune-info

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SIAMO ARRIVATI.

SIAMO ARRIVATI

20 giugno 2021

Sarebbero le 06:59 – ora del Messico – del 20 giugno 2021, quando, da La Montaña e attraverso un orizzonte nebbioso, è stata avvistata la terra della penisola iberica. Sarebbero le 09:14:45 quando la nave ha gettato l’ancora nella baia di Baiona o Bayona, Galizia, Stato Spagnolo, Europa. Da lì è vicina, “a due passi”, la geografia chiamata Portogallo, e un po’ a nord-est si vede Vigo. Tutt@ stanno bene. Per ragioni burocratiche ecc. ecc., La Montaña e lo Squadrone 421 rimarranno qui, si pensa, fino a martedì 22 alle 17:00 – data e ora di Vigo – quando avverrà lo sbarco. La Guardia Civil dello Stato Spagnolo è salita a bordo della nave, ha preso i dati dell’equipaggio e dei passeggeri, ha esaminato i passaporti ed ha effettuato i controlli di routine. Niente da segnalare. Condizioni meteorologiche: nuvoloso, piogge deboli ma frequenti, 15 gradi centigradi.

Dopo un po’, diverse barche a vela con compagn@ dell’Europa ribelle si sono avvicinate per dare il benvenuto… o per verificare se fossero vere le voci che giravano tra i quartieri, i campi e le montagne del mondo che: “gli zapatisti hanno invaso l’Europa”.

A terra, ai piedi di quello che sembra un faro, un altro gruppo gridava qualcosa come “Ci arrendiamo!”… Nah, scherzo. Gridavano Zapata Vive, Benvenut@,… non si capiva bene. Portano striscioni e disegni. Per quanto si riesce a vedere, non ci sono segnali osceni – che potrebbero voler dire che non ci hanno ripudiato… non ancora -. Qualcuno un po’ strano solleva un cartello che recita: “Ristorante La Palomita Insurrecta. Brodo galiziano, Empanadas Ídem e Xoubas. Sconti speciali per Invasori@, scarabei e gatto-cani”. Un altro cartello dice “Portami via di qui!” Le persone più prudenti usano gli striscioni come ombrelli.

Il cielo europeo piange commosso. Le sue lacrime si confondono con quelle che bagnano le guance – abbronzate dal sole, dal mare, dall’angoscia e dall’adrenalina – dell’intrepido Squadrone 421. Nei loro passi, nei loro sguardi, nei loro palpiti, i popoli maya – così dirà la leggenda – hanno attraversato l’Atlantico in 50 giorni e 50 notti, nel loro lungo e accidentato viaggio per la vita.

Fuori fa freddo, ma dentro, nella geografia del cuore, qualcosa come un sentimento scalda l’anima. Nelle montagne del sudest messicano il sole sorride e, dall’impianto audio, escono gioiose le prime note di una cumbia.

Certo, manca lo sbarco, il trasferimento della delegazione aerea, l’organizzazione dell’agenda, gli incontri … e la festa della parola.

Cioè, manca tutto.

SupGaleano.
Giugno 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/20/llegamos/

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Lettera della Commissione Sexta Zapatista al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”.

Pubblicata da Camino al andar.

14 giugno 2021

Da: Il Sup Galeano.

11 giugno 2021

Al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”.

Messico.

Sorelle, hermanoas e fratelli:

Mando un abbraccio a tutt@… beh, tanti. Volevamo mandarvi un saluto… ok, parecchi e, approfittando del volo di queste parole, chiedervi un aiuto.

Per la Travesía por la Vida Capítulo Europa è stato deciso di rispettare i requisiti legali per poter raggiungere, con il nostro ascolto e la nostra parola, le terre che Marijose ribattezzerà tra pochi giorni. Tra poche ore (prendendo come riferimento il giorno e l’ora in cui vi scrivo – mattina dell’11 giugno 2021 -) questa delirante sfida chiamata “La Montaña” toccherà le terre europee nelle Isole Azzorre, del Portogallo. Lì sosteranno alcuni giorni e poi si dirigeranno verso la destinazione segnata: Vigo, Galizia, Stato Spagnolo. Poi, un gruppo partirà in aereo.

Lo “Squadrone 421” ha i documenti in regola. In altre parole, hanno doppio passaporto: quello ufficiale messicano e il “passaporto zapatista di lavoro” che viene rilasciato dalle Giunte di Buon Governo quando una compagna, compagno o compañeroa lascia il territorio zapatista per andare a svolgere un compito per le nostre comunità. Qui diciamo che va “su commissione”. In altra occasione parleremo del “passaporto zapatista”, ora vorremmo parlarvi di quello ufficiale.

Abbiamo già fatto riferimento, in scritti e discorsi, a quello che chiamiamo “il calendario e la geografia”. Bene, la nostra geografia si chiama “Messico”. E, per noi, comunità zapatiste, questa non è solo una parola. Nel senso zapatista, è una geografia. Quando diciamo che siamo “messicani” sottolineiamo che condividiamo storie con altri popoli originari (come quelli che sono raggruppati nel Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo). Storie, cioè: dolori, gioie, rabbie, umiliazioni, lotte. Ma non solo con i popoli originari di questa geografia, anche con individui, gruppi, collettivi, organizzazioni e movimenti che coincidono con noi, popoli zapatisti, nei sogni e, naturalmente, negli incubi.

Con questo voglio dire che noi, comunità zapatiste, non solo non ci vergogniamo di dire che siamo messicani, ne siamo orgogliosi. Perché questo orgoglio non nasce guardando in alto ed alle loro storielle, ma guardando, ascoltando e parlando con il Messico del basso, le sue vite e le sue morti. Non è fuori luogo raccontare, seppur velocemente, come si vive e lotta in questo Messico. Ognuno ha i suoi modi, le sue storie, le sue sconfitte e vittorie, il suo sguardo e il suo modo di spiegare il suo mondo, il suo guardarsi e spiegarsi. Ma vediamo che c’è qualcosa in comune, una specie di radice, o trama, o spina dorsale… ci deve essere un modo per dirlo in linguaggio cibernetico… una matrice o matrix? Ebbene, è in questa radice comune che ci identifichiamo.

Oh, so che più di uno, unoa, si preoccuperà che quello che sto dicendo è una versione “zapatista” del nazionalismo. No, questo a volte ci infastidisce, altre ci fa arrabbiare, e sempre preoccupare. Non mi riferisco al nazionalismo. Nei nazionalismi si nascondono, ad esempio, disuguaglianze e, attenzione, rapporti criminali. Nei nazionalismi convergono il criminale e la vittima, il Boss e il subordinato. Qualcosa di così perverso come “ti distruggo ma lo faccio per il tuo bene perché siamo compatrioti”. Qualcosa come il significato maligno che viene dato “all’umano”, ad esempio dicendo che sia gli uomini che le donne sono esseri umani. Tralascio il fatto che si dimentica che c’è chi non è né donna né uomo e, essendo senza nome, non è “un essere umano”. In questo significato di “umano” si dimentica il rapporto di dominio tra uomini e donne. Non scriverò un trattato sul patriarcato, la sua genealogia e il suo folle crimine attuale; c’è tra voi chi ne sa di più e lo spiega meglio di me.

È possibile riferirsi all’umanità senza cadere nella trappola dell’uguaglianza ipocrita? Noi pensiamo di sì, ed è riferendo l’umanità alle scienze e alle arti. Ma non solo. Anche a sentimenti, pensieri e proposte di fondo: il senso della giustizia, della morale e dell’etica (che il defunto compagno Don Luis Villoro spiegherebbe meglio di quanto io possa anche solo tentare di fare), la fraternità ed altre cose che non dettaglierò (ma voi sentitevi liberi di farlo). Ad esempio, io aggiungerei la danza – musica e canzoni incluse -, e il gioco, ma fate caso a me.

Insomma, di dettaglio in dettaglio si presenteranno le differenze, le distanze, i disaccordi. Ma, in senso inverso, si potrebbe trovare qualcosa in comune: è ciò che noi chiamiamo “umanità”.

Quindi, quando diciamo che i popoli zapatisti sono “messicani” e che siamo orgogliosi di esserlo, ci riferiamo a quella matrice comune con l’altro che lotta in questa geografia intrappolata tra il Rio Bravo e il Suchiate, con il morso dato dal mare d’oriente e la curva allungata che il mare di occidente ha forgiato alla cintola, e incluso il braccio solitario che costeggia il “Mare di Cortez”. Aggiungete la storia vera, quella delle geografie limitrofe e…

Bene, basta storie. Il punto è che la nostra delegazione aerea è in fase di rilascio dei passaporti. E dico “fase di rilascio” per delicatezza, perché è come l’inferno, che si alimenta in silenzio fino ad essere considerato “normale”.

Perché si scopre che le nostre compagne, compagni e compañeroas soddisfano tutti i requisiti richiesti, effettuano il pagamento dovuto, si spostano dalle loro comunità agli uffici del Ministero degli Esteri e, pure con la pandemia e tutto il resto, prendono appuntamenti, fanno la fila, aspettano il proprio turno e… a loro viene negato il rilascio del documento.

Gli ostacoli del governo supremo e della sua ignorante burocrazia, stolta e razzista sono oltraggiosi.

Perché si potrebbe pensare che sia solo burocrazia, che hai avuto la sfortuna di imbatterti in qualcuno che pensa di avere il Potere perché sta dietro uno schermo, una scrivania, un ufficio. Ma no, è anche altro e si potrebbe sintetizzare così: razzismo.

Le ragioni? Ebbene, ce n’è una fondamentale e, naturalmente, i suoi derivati: nel governo c’è un’atmosfera di isteria mal celata. In accordo con il suo impegno con il governo degli Stati Uniti di fermare il flusso di migranti dal Centro America, per i governi federale, statale e municipale tutto ciò che non è biondo, con gli occhi chiari e viene da più a sud di Puebla, è centroamericano. Per le autorità governative schizofreniche, la prima cosa che fa un centroamericano è: presentare il certificato di nascita, la credenziale INE (Ente Nazionale Elettorale) o i documenti di identità con fotografia (che è un documento ufficiale perché rilasciato dal municipio), e di origine nel capoluogo ufficiale, il certificato di battesimo, i certificati di nascita dei genitori o dei fratelli/sorelle maggiorenni, copie del loro INE, certificati del municipio autonomo e della Giunta di Buon Governo, testimoni oculari con identificazione ufficiale, e così via. Fatto tutto questo, la loro richiesta del documento a cui ogni messicano ha diritto per uscire ed entrare dal territorio nazionale, è respinta.

Sì, si presentano tutti questi documenti ma il problema è che, agli occhi della burocrazia del Ministero degli Esteri, ciò che conta è il colore della pelle, il modo di parlare, il modo di vestire e il luogo di provenienza. “A sud della metro di Taxqueña, tutto è Centro America“.

Tanto bla, bla, bla di diritti e di riconoscimento delle nostre radici, eccetera – inclusi ipocriti perdoni chiesti sulla terra da distruggere –, ma la popolazione originaria, o indigena, continua ad essere trattata come straniera nella propria terra. E peggio ancora a Città del Messico, che dovrebbe essere “progressista”. Lì una signora, una burocrate del Ministero degli Esteri, ha respinto la credenziale INE con un dispregiativo “questa è inutile, serve solo per votare“, ed ha chiesto alla compagna, che ha più di 40 anni, residente nella Selva Lacandona, il suo diploma di scuola superiore per dimostrare che non fosse guatemalteca. La compagna ha detto: “ma io vivo della terra, sono una contadina, non ho un’istruzione secondaria“. La burocrate, altezzosa e arrogante: “beh, non studiate perché non lo volete“. “Ma io vengo dal Chiapas”, insiste la compagna. “Non m’importa. Vediamo cosa succede”, risponde la burocrate.

La burocrazia governativa si eccita maltrattando gli indigeni? L’arroganza è il suo afrodisiaco? “Sono qui, tesoro, oggi ho ribaltato una fottuta india, ed ho molta voglia“, diranno facendo l’occhiolino con civetteria.

Per verificare se fosse razzismo e non solo burocrazia, abbiamo mandato un compagno “bianco e barbuto” a richiedere il passaporto. Glielo hanno dato lo stesso giorno e senza chiedere altro che il certificato di nascita, il documento d’identità con foto e la ricevuta del pagamento, che sono i requisiti legali.

E non solo: il Ministero degli Esteri trattiene il pagamento effettuato da tutt@ i/le compagn@ a cui viene negato il passaporto con pretesti e requisiti che non sono nemmeno sul suo sito web. Deve essere molto dura l’austerità se devono sottrarre i soldi agli indigeni.

A un compagno (di più di 60 anni) hanno chiesto: “Non è che vuoi andare negli Stati Uniti a lavorare?” Il compa ha risposto: “No, lì sarà per un’altra volta. Adesso andiamo in Europa”. Il funzionario, quale Tribunale Elettorale Federale, se ne è lavato le mani e lo ha mandato a un altro sportello. Lì gli hanno detto: “È molto lontano e il viaggio è costoso, non puoi avere i soldi perché sei indigeno. Devi portare l’estratto conto della tua carta di credito. Avanti un altro”. Ad una compagna hanno detto: “Vediamo, canta l’inno“. E la compagna ha intonato “ya se mira el horizonte“. Repinta. Mi ha detto triste: “credo che sia perché l’ho cantata con un ritmo cumbia e non come corrido ranchero. Ma la cumbia è più allegra. I corridos rancheros parlano solo di massacro di donne. Se ti chiami “Martina” o “Rosita”, allora vale”.

Lo stesso a Città del Messico: due compagne di lingua tzeltal, della Selva Lacandona. Camminano dal loro villaggio fino a dove si prende un camion de redilas fino alla capoluogo municipale; da lì con i mezzi pubblici fino a San Cristóbal de Las Casas; da lì un altro a Tuxtla Gutiérrez; da lì un altro per Città del Messico; pagano il passaporto per validità 10 anni “perché viaggiare per il mondo richiederà tempo“; si presentao in un ufficio della SRE (Ministero degli Esteri); si mettono in fila con la mascherina, lo schermo e a distanza di sicurezza; entrano e presentano i loro documenti; fanno loro una foto; aspettano fuori di essere chiamate per la consegna del passaporto; le chiamano e dicono a una di loro “una lettera del tuo cognome è sbagliata” e “tuo fratello ha un altro cognome materno”; quella del fratello: “questi fottuti uomini sono così e mio padre era un bastardo“; quella della lettera “è che la persona che ha fatto il verbale non conosce la differenza scritta tra la “s” e la ‘z'”; in entrambi i casi le/i funzionar@: risate di scherno e: “devi tornare indietro e portare più prove che sei messicana“; le compagne: “ma io vivo in Chiapas”; quella del SRE: “non rilascio niente finché non porterai quello che ho chiesto“. Le compagne tornano indietro, arrivano nella loro città e raccolgono ulteriori prove del loro essere messicane. Nuovo viaggio a Città del Messico. Nuovo appuntamento, fila con mascherina, schermo, distanza di sicurezza. Sportello. L’alta funzionaria del Ministero degli Esteri: “ora bisogna aspettare di verificare che siete messicane“. Le compagne: “ma ho portato tutto quello che mi avete detto”. La SRE: “ma dobbiamo verificare che le carte siano veritiere, poi chiederemo all’anagrafe del tuo comune e del tuo stato”. Le compagne: “Quanto tempo ci vuole?” La SRE: “10 giorni o un mese, te lo faremo sapere”. Le compagne aspettano 10 giorni e niente. Loro tornano. Passa un mese e niente. Altri 30 giorni e niente. Tornano a Città del Messico. Stesso viaggio. La SRE: “Non hanno risposto, aspettate ancora”.

E le due compagne aspettano. Hanno iniziato le pratiche a marzo ed è il mese di… giugno.

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Se avete tempo, fate questo: immaginate di essere nati con la pelle scura, di essere di origine indigena e di provenire da qualche stato del sud-est messicano. Ora controllate i requisiti per ottenere il passaporto: certificato di nascita, identificazione ufficiale con foto, o diploma professionale, o titolo professionale, o tessera militare assolto, o credenziale dell’Istituto Nazionale Pensionati, o credenziale dell’assistenza medica di un istituto di sanità pubblica; e ricevuta di pagamento.

E anche se possiedi uno o tutti questi requisiti, se hai la pelle scura, parli in modo diverso e ti vesti “come la India María” (parole testuali di un’impiegata del SRE), dovrai affrontare qualcosa tipo: “no, devi portare i voti della scuola materna, elementare, media, superiore – CCH (Colegio de Ciencias y Humanidades) no, quelli sono casinisti -, diploma, corso di specializzazione personale presso NXIVM, e una lettera di buona condotta del preside”.

Non c’è molto da dire sul INE. Impegnato com’era il grande capo Tatanka (il buon Jairo Calixto dixit – oh, oh, sì, anche io leggo la stampa gossip -) a fingere di essere una persona perbene, e Murayama ad abbaiare, non si sono nemmeno accorti che i loro “uffici” In Chiapas erano chiusi da prima del 1° febbraio, nonostante fosse stato detto che dal 1° al 10 febbraio si poteva avere accesso senza appuntamento. Così, abbiamo perso l’opportunità di mandare molti più delegati su La Montaña. E INE ha ribadito l’atteggiamento razzista che aveva dimostrato nei confronti di Marichuy.

E penso che, tra le tante interviste che hanno rilasciato e concesso ai media, neo-conservatori e neoliberisti, per difendere la “loro indipendenza” (già), non si sono accorti che la credenziale INE è anche un documento di identità ufficiale e, negandolo o ostacolandolo, negano quel diritto a qualsiasi cittadin@, alla “cittadinanza”, o qualunque cosa significhi.

Il paradosso di tutto questo è che questi indigeni a cui vengono negati la credenziale INE ed il passaporto, lottano anche per la vita di questi burocrati che credono di servire “la Nazione Messicana” rifiutando a loro piacimento dal loro piccolo trono dietro uno sportello, solo per il piacere di dire “no” a chi considerano inferiore perché ha un altro colore della pelle, un’altra lingua, un’altra cultura, un altro modo, e i cui antenati erano in queste terre molto prima che i creoli diventassero indipendenti dagli Iberici e li sostituissero nell’oppressione dei popoli originari.

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Quindi l’aiuto che vi chiediamo è di parlare tra di voi per vedere se si può fare qualcosa. Ad esempio: dare lezione di vergogna ai burocrati del SRE; dire al signor Marcelo Ebrard che capiamo che a causa dell’austerità non abbia i soldi per la sua campagna elettorale del 2024, ma che rubare agli indigeni i soldi per il passaporto e tenerseli senza dare loro il documento, beh, come posso dirglielo senza essere volgare? … è da mascalzoni. O forse li vuole per comperarsi gli impermeabili modello “Neo di Matrix”? O, con i soldi trattenuti per i passaporti negati seguano un corso di genere, tolleranza e inclusione. Oppure si comprino dei libri di storia in modo da capire quale è il luogo dei popoli originari in questa geografia.

Siamo messicani, qui ci è toccato nascere, vivere, lottare e morire. È così. Se fossimo capitati nell’Unione Americana, o in Belize o Guatemala, Honduras o El Salvador, Costa Rica o Nicaragua, saremmo lo stesso orgogliosi di quelle geografie… e denunceremmo i loro rispettivi governi per essere burocrati, razzisti e ignoranti, che è quello che facciamo con quello attuale in Messico e il suo “Ministero degli Esteri”.

Ad ogni modo, non riesco a pensare a molte altre opzioni, ma voi forse sì. Vedete voi e fatecelo sapere.

Intanto vi mandiamo (todoas, tutte e tutti) un grande abbraccio che, seppur a distanza, non è meno sincero e fraterno.

Da qualche luogo del Pianeta Terra.

Il Sup Galeano.

P.S.- Tra poche ore vi manderò un testo per la sezione sportiva della vostra pagina web… Come?! Non avete una sezione sportiva? Lascia stare Ebbene, “quid pro quo“, dare e avere, con questo testo inaugurate la “sezione sportiva” e in cambio, ci date una mano nella suddetta faccenda. Oh, lo so, siete in debito. Ma potreste, non so, mandare qualche euro ai cechi in Europa… o, meglio ancora, accompagnarci e, come dice il termine, condividere, oltre a uno spazio accogliente in un centro di detenzione per migranti, parole, ascolti, sguardi e… sapete nuotare?

Testo originale: https://www.caminoalandar.org/post/carta-de-la-comisi%C3%B3n-sexta-zapatista-al-colectivo-lleg%C3%B3-la-hora-de-los-pueblos

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Il Passaporto Zapatista.

(A presto Portogallo, arriviamo Galizia)

Giugno 2021

Il 12 giugno 2021, il cosiddetto “Squadrone 421”, insieme agli altri passeggeri e membri dell’equipaggio, hanno ricevuto sui loro passaporti il visto d’ingresso legale nel cosiddetto spazio o zona Schengen e sono sbarcati a Horta, nelle Isole Azzorre in Portogallo, Europa. Senza perdere grazia ed eleganza (si fa per dire), sono scesi da La Montaña. Come dovuto, c’erano confusione, balli, foto e un’abbuffata di cibo. Marijose si è imbattuta in un’antica profezia che annunciava il suo arrivo. Abbiamo fatto una gara (si fa per dire), della serie “chi arriva per ultimo paga per tutti” (Diego Osorno ha perso). Si è brindato alla vita, ovviamente.

– * –

Alle 09:17:45 del 14 giugno di quest’anno, La Montaña si è sciolta dall’abbraccio portoghese e si è diretta a nord-est ad una velocità compresa tra 6 e 7 nodi. Alle 12:30:06 ha doppiato a sinistra “Pico Das Urzes”. Latitudine: 38.805213; longitudine: -28.343418. Il capitano Ludwig prevede di avvistare le coste della penisola iberica tra il 19 e il 20 giugno (anche se potrebbe essere prima, perché La Montaña, riconciliata con il vento, sembra avere fretta di abbracciare le sue sorelle portoghesi e galiziane). Da quella data in poi, saluteremo i rilievi delle isole di San Martino, Monte Faro e Monte Agudo. Poi, entreremo nella “Ría de Vigo”. L’arrivo è previsto alla Marina di Punta Lagoa, a nord del porto di Vigo, in Galizia nello Stato Spagnolo.

Allora, in silenzio, nostra sorella pioggia sarà la nostra montagna, umido tornerà il nostro sguardo, e così diremo senza parole:

(…)
desperta do teu sono
fogar de Breogán.

Os bos e xenerosos
a nosa voz entenden
e con arroubo atenden
o noso ronco son,
mais sóo os iñorantes
e féridos e duros,
imbéciles e escuros
non nos entenden, non.*

Frammento di “Os Pinos”, Inno della Galizia. Pascual Veiga e Eduardo Pondal.

* “… svegliati dal tuo sonno / casa di Breogán. / I buoni e generosi / la nostra voce comprendono / e con entusiasmo ascoltano / il nostro suono roco / ma solo gli ignoranti / i deboli e i duri, / gli imbecilli e oscuri / non ci capiscono, no.”

– * –

Ora lasciate che vi parli della documentazione zapatista dello Squadrone 421 (a cui in questo momento si potrebbe aggiungere “marittimo” al suo folgorante nome). L@s companer@s hanno un passaporto zapatista. Voglio dire, oltre al passaporto ufficiale del Messico, hanno il cosiddetto “passaporto di lavoro zapatista”. Qui di seguito lo descrivo:

Sulla copertina o pagina principale: un caracol con all’interno una stella rossa e la scritta: “Passaporto di lavoro zapatista”. In quarta di copertina o copertina posteriore: una stella rossa con dentro un caracol.

Sulla prima pagina si legge: “Questo passaporto è rilasciato dalle autorità civili autonome dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e dalle Giunte di Buon Governo del Chiapas, Messico. È valido solo durante il periodo stabilito e nel luogo descritto. Questo documento è composto da 32 pagine e non è valido se presenta danneggiamenti, tagli, cancellature e modifiche”.

Nelle pagine 2 e 3 si trovano gli spazi per: foto del titolare, i suoi dati anagrafici, dati della Giunta di Buon Governo e del MAREZ che rilasciano il documento. Il Lavoro che dovrà svolgere. La data di emissione, il calendario e l’area geografica nella quale svolgerà il lavoro. Spazio per il timbro del MAREZ e JBG.

Alle pagine 4 e 5 sono stabilite le seguenti 7 limitazioni:

“1.- Il, loa o la titolare del presente passaporto non può e non deve richiedere o ricevere aiuti in valuta o in natura a vantaggio proprio o della sua famiglia, oltre a quanto strettamente necessario per svolgere il lavoro che gli è stato affidato.

2.- La, loa o il titolare di questo passaporto potrà svolgere unicamente il lavoro specificato in questo stesso documento.

3.- Loa, il o la titolare di questo documento ha il divieto di portare e usare armi da fuoco di qualsiasi tipo, e non può proporre, suggerire o incoraggiare alcuna attività che implichi o derivi nell’uso di armi da fuoco nel luogo in cui svolge il suo lavoro.

4.- La, loa o il titolare di questo documento può raccontare solo della nostra storia di resistenza e ribellione come popoli originari e come zapatisti, dopo adeguata preparazione e addestramento.

5.- Il, loa o la titolare del presente documento non può stabilire accordi o disaccordi per conto delle strutture organizzative e/o di comando politico-militare con persone, gruppi, collettivi, movimenti ed organizzazioni, oltre a quanto strettamente necessario all’adempimento del lavoro affidato.

6.- Le opinioni personali su questioni pubbliche e private che loa, il o la titolare di questo documento esprime, non solo non riflettono le posizioni zapatiste, ma possono anche essere completamente contrarie al nostro pensiero e pratica.

7.- La, il o loa titolare di questo documento deve comportarsi in ogni momento nel rispetto delle differenze di identità, sesso, credo, lingua, cultura e storia delle persone e dei luoghi nei quali viene realizzato il lavoro per il quale questo documento è rilasciato.

A pagina 6 si precisa: “Si conferma che la, loa o il titolare di questo documento ha ricevuto un corso di formazione (se ha imparato o meno, lo si vedrà nei fatti) a____ (spazio per inserire il nome del luogo)”.

A pagina 7 sono indicate le date di partenza e di arrivo: “La, loa, o il titolare di questo documento è partito dal territorio zapatista _____ (spazio per dettagli e timbri a metà pagina)”. La metà inferiore della pagina: “La, loa o il titolare di questo documento è rientrato in territorio zapatista: ____ (spazio per dettagli e timbri)”.

Le pagine successive sono bianche, in modo che le diverse persone, gruppi, collettivi, organizzazioni e movimenti dei diversi angoli dei mondi dissimili che visitano, siglino, firmino, decorino, timbrino, facciano disegni, graffino o qualsiasi cosa preferiscano fare affinché il, la o loa compa abbia una specie di guida su dove è stato, oltre agli appunti del suo quaderno, quando torna e racconta come è andata.

L’ultima pagina è per “Osservazioni:” (ad esempio eventuali allergie, disabilità o gusti musicali – sì, perché se ama la cumbia e fanno ballare un valzer, vi lascio immaginare…).

In fede.

SupGaleano.
Pianeta Terra, giugno 2021

https://vimeo.com/embed-redirect/562926264

Musica «Il lago dei cigni» di Cesar Acuña Lecca e Los Pasteles Verdes / Versión sonora: Heriberto Destructor

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/14/el-pasaporte-zapatista-hasta-pronto-portugal-ahi-vamos-galicia/

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Ulisse, zapatista

Juan Villoro

In lontananza, a oriente, le colonne d’Ercole – un tempo il limite del mondo conosciuto – guardavano stupite una montagna che arriva da occidente. Si conclude con queste parole il testo con cui il subcomandante Galeano annuncia al Chiapas e al mondo che la traversata dell’Atlantico è compiuta. Il veliero “La Montaña” è arrivato alle isole Azzorre, Portogallo, Europa. Mentre gli analisti politici ancora si industriano a stilare pigri e vuoti commenti sul responso delle urne messicane di domenica scorsa, il viaggio dell’Escuadrón 421 (4 donne, 2 uomini e un’altr@) è arrivato in porto. Si tratta di un viaggio a ritroso, come ricorda Juan Villoro in questo bellissimo testo, perché le zapatiste e gli zapatisti propongono di considerare il tempo in un altro modo. Altri calendari e altre geografie, dicono. Da sempre. Quel viaggio serve a restituire un significato pedagogico alla speranza: quel che è importante non si vede ancora ma crescerà, grazie all’incontro tra diverse ribellioni. Anche Ulisse dominava l’arte del ragionamento a ritroso, il suo destino era il ritorno e né l’elisir di Circe né il canto delle sirene riusciranno a impedirlo. Nel viaggio Ulisse allena la memoria a ricordare per poter poi raccontare. La sua memoria è una risorsa ribelle: registra il passato in funzione dell’avvenire, viaggia verso un orizzonte sconosciuto che, curiosamente, è un ritorno. Grazie a questo peculiare uso del tempo, dispone della più rara delle utopie, quella possibile. Sul loro insolito telaio, oggi le zapatiste e gli zapatisti disegnano qualcosa che ancora non esiste, un domani che acquisirà logica man mano che si definirà l’ordito

“Non sappiamo voi, ma se noi, noi zapatiste e zapatisti, fossimo pigri nel pensare, staremmo in un partito politico istituzionale», scriveva il 4 maggio 2015 il subcomandante Galeano. Le sue parole risuonano di fronte alle insensatezze e alla demagogia delle campagne elettorali del 2021. Campagne che avvengono tra le Tenebre, antiche reginette di bellezza e accoliti del narcotraffico. Tutti i partiti condividono uno stesso sintomo: pensare dà loro la fiacca.

Tra i loro numerosi contributi alla riflessione, gli zapatisti propongono di considerare il tempo in un altro modo. Le grandi idee possono venire dal futuro che si sa anticipare. In “La genealogia del crimine” (vedi qui a pag.278, ndr), Galeano propone di pensare a ritroso, da dietro in avanti; se il destino si presume con sagacia, immaginando dove andranno le cose, si può reagire adeguatamente prima che sia troppo tardi: in previsione del diluvio, Noè costruisce l’arca.

In modo simile, i detective affrontano a un esito per il quale devono scoprire gli antecedenti; a partire dal delitto ricostruiscono quanto accaduto in precedenza. Per spiegare il metodo, Galeano cita una fonte autorevole, Sherlock Holmes: “Sono poche le persone che, se si racconta loro un esito dei fatti, sono capaci di estrarre dal più profondo della propria coscienza i passaggi che hanno portato a quel risultato. A questa capacità mi riferisco quando parlo di ragionare a ritroso; vale a dire analiticamente”.

Alcuni mesi fa, questa strategia ha portato alla costruzione di una barca in legno nel Semillero Ramona per anticipare cosa sarebbe successo nel viaggio verso l’Europa. All’imbarcazione mancava solo un dettaglio: il mare intorno. E tuttavia, a partire da quel risultato, si sarebbe dovuto dedurre ciò che sarebbe poi dovuto accadere nell’oceano. Sulla terraferma, la nave prefigurava la navigazione. Era un’aula per imparare tutto ciò che è necessario per sopravvivere alla tempesta degli elementi e alle minacce ancora più gravi, come il vortice distruttivo della storia, che – ha avvertito Walter Benjamin – si suole spesso presentare con il nome ingannevole di “progresso”.

Ragionare a ritroso è un modo di prevedere con cognizione di causa, cioè di dare un significato pedagogico alla speranza. Non è casuale che l@s compañer@s del Chiapas abbiano deciso che gli incontri in cui fioriscono le loro idee si chiamino semilleros (che oggi si preferisce tradurre “semenzai”, ma anche “seminari” ha la stessa derivazione latina, ndt) Ciò che è importante è quel che non si vede ancora ma crescerà grazie a quell’incontro.

Nell’aprile 2015, in “La tormenta, la sentinella e la sindrome della vedetta ”, Galeano anticipava quanto accadrà nel maggio 2021. Menzionava la rilevanza del 3 maggio, “il giorno della semina, della fertilità, del raccolto, dal seme. È il giorno della Santa Croce […] il giorno in cui chiedere l’acqua per la semina e un buon raccolto”. In modo emblematico, è stato il giorno scelto per salpare: l’oceano come milpa, campo, per seminari futuri.

“Chi semina vento raccoglie tempesta” , recita la saggezza popolare. A 500 anni dalla caduta di Tenochtitlan, le piantagioni zapatiste si caratterizzano per la varietà dei loro frutti. La scelta dell’equipaggio (quattro donne, due uomini e un altr@) richiama la diversità, così come il nome della barca, La Montaña, che attraversa il mare alludendo a ciò che in mare non c’è. In controtendenza con il pensiero unico e le dispute binarie causate dalla polarizzazione, le zapatiste e gli zapatisti scommettono sulla complessità del molteplice.

Dove stanno andando? Verso un luogo lungamente anticipato in mare. Anche Ulisse, che i greci chiamavano Odisseo, dominava l’arte del ragionamento a ritroso. Non ci si poteva aspettare di meno da un re descritto come il più astuto del Mediterraneo. Durante il suo viaggio movimentato, Ulisse avrebbe potuto conformarsi al suo destino. Perché non si è fermato? Ha respinto le più diverse tentazioni: i fiori di loto allucinogeni, il canto seducente delle sirene, l’elisir di Circe, le profezie di Tiresia, l’immortalità offerta da Calipso sulla sua isola paradisiaca. Il suo destino immutabile era il nóstos, il ritorno a casa.

In “Dialettica dell’Illuminismo“, Adorno e Horkheimer descrivono Ulisse come il primo eroe moderno a causa della sua condizione extraterritoriale. È un esule che lotta per tornare a casa. I migranti e le persone costrette a fuggire da dove vivono del nostro tempo conoscono le tribolazioni che Omero aveva immaginato nel VII secolo a.C.

Ulisse si serve di astuti espedienti per superare gli ostacoli, ma la cosa più importante è che allena la sua capacità di ricordare per poterli raccontare. Quando incontra i mangiatori di loto, teme che l’effetto allucinogeno possa cancelare i suoi ricordi. In “Perché leggere i classici“, Italo Calvino segnala che il suo vero timore non consiste nel dimenticare il passato, ma il futuro, la storia che sta vivendo e che dovrà raccontare. Il presente importa nel suo essere completamente ricordato; le sue lezioni sono future; ritornano come un passato carico di significato. Secoli dopo, davanti allo stesso mare, Platone dirà che la conoscenza è una forma della memoria.

Riguardo al testo di Calvino, il poeta comunista Edoardo Sanguineti ha fatto notare che non bisogna dimenticare che Ulisse viaggia tornando indietro; cerca quindi di restaurare qualcosa, cosa che non implica una regressione, ma il compimento di un futuro, vale a dire di una “vera utopia”.

La memoria di Ulisse è una risorsa ribelle: registra il passato in funzione dell’avvenire, viaggia verso un orizzonte sconosciuto che, curiosamente, è un ritorno. Grazie a questo peculiare uso del tempo, dispone della più rara delle utopie, quella possibile. Sul loro insolito telaio, le zapatiste e gli zapatisti disegnano qualcosa che ancora non esiste, un domani che acquisirà logica man mano che si definisca l’ordito, fatto con fili che vengono da molto lontano, dalla tradizione che non dimentica il futuro.

L’odissea che hanno intrapreso gli zapatisti conferma il loro modo di guardare il mondo, un modo che accetta i rischi ed è portatore di cambiamento. Cinquecento anni di attesa li hanno trasformati in professionisti della speranza. Non viaggiano con intenzioni di vendetta, ma di apprendimento nella differenza.

Come Ulisse nel vecchio mare, passeranno attraverso le tentazioni delle isole incantate e lasceranno le loro tracce per tornare al punto di partenza.

Le lotte che durano non dimenticano il loro futuro.

25 maggio 2021

Fonte originale: Comunizar

Traduzione per Comune-info: Marco Calabria

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ISOLE AZZORRE, PORTOGALLO, EUROPA

11 giugno 2021

(Nota: calendario e tempo nella geografia del Messico).

Con il suo faccino incipriato, rinnovato e il ponte pulito, risistemate le vele – dopo aver lasciato Cienfuegos, Cuba – il 16 maggio La Montaña si è diretta ad Oriente. Ha costeggiato la spiaggia di Las Coloradas e, con la Sierra Maestra alla sua sinistra, è stata nuovamente accompagnata dai delfini convocati da Durito Stahlkäfer, che ha imprecato quando sono passati davanti all’aberrazione statunitense di Guantanamo. Di fronte ad Haiti le balene hanno salutato il suo passaggio e Durito e il Gatto-Cane sono sbarcati sull’isola di Tortuga adducendo qualcosa su un tesoro sepolto… o da seppellire. A supporto della squadra di supporto, Lupita, Ximena e Bernal hanno vomitato fraternamente, anche se credo avrebbero preferito supportare in altro modo. A Punta Rucia, Repubblica Dominicana, La Montaña si è tenuta a riposo e cauta a causa dei forti venti contrari. Il 24 maggio, all’alba e a vele spiegate (“per non spaventare il vento”, ha detto il capitano Ludwig), La Montaña si è diretta a nord. Ora sono state le orche a salutare La Montaña che lasciava le acque dei Caraibi. Tra il 25 e il 26 maggio, la nave schizofrenica – lei crede di essere una montagna – ha aggirato le Bahamas e il 27 si è diretta a Nordest, in mare aperto, Duc in Altum.

Il 4 giugno, superato il cosiddetto Triangolo delle Bermude, l’imbarcazione e il suo prezioso equipaggio si sono rivolti al sole che si affacciava ad oriente. Tra il 5 e il 9 giugno hanno navigato dove la leggenda colloca la superba Atlantide.

Sarebbero state le 22:10:15 del 10 giugno quando, tra le nebbie dell’alba europea, dalla coffa de La Montaña si riusciva ad intravedere la montagna sorella, Cabeço Gordo, sull’isola di Faial nell’arcipelago delle Azzorre, regione autonoma della geografia chiamata Portogallo, in Europa.

Sarebbero state le 02:30:45 dell’11 giugno quando la vista, “a due passi”, delle rive del porto di Horta ha inumidito gli occhi della nave e dell’equipaggio. Sulle montagne delle Azzorre erano le 07:30 del mattino di questo giorno. Sarebbero state le 03:45:13 quando una lancia dell’autorità portuale di Horta si è avvicinata a La Montaña per indicare dove avrebbe dovuto ancorare. Sarebbero state le 04:15:33 quando la nave avrebbe gettato l’ancora davanti alle altre montagne. Sarebbero state le 08:23:54 quando la barca della Capitaneria di Porto ha prelevato l’equipaggio da La Montaña per portarlo a terra per il test molecolare Covid (PRC), riportandolo poi sulla nave in attesa dei risultati. In ogni momento “l’Autorità Marittima” nel porto di Horta si è comportata con cortesia e rispetto.

L’equipaggio, passeggeri compresi, gode di ottima salute, “animato e felice, senza litigi, pettegolezzi o risse. (Nello Squadrone 421) si prendono cura l’un@ dell’altr@”.

È ora di informare chi altro, a parte l’equipaggio della Stahlratte e dello Squadrone zapatista 421, ha navigato in questo tratto. Per documentare il viaggio via mare ci sono María Secco, cineasta-fotografa indipendente, e Diego Enrique Osorno, reporter indipendente. Come squadra di supporto della delegazione zapatista c’è Javier Elorriaga.

Secondo gli usi e costumi zapatisti, queste 3 persone hanno dovuto, oltre a coprire le loro spese, presentare l’autorizzazione scritta delle loro famiglie, partner e prole. I documenti sono stati consegnati al Subcomandante Insurgente Moisés. Mogli, mariti, madri, figli e figlie hanno scritto e firmato le autorizzazioni di proprio pugno. Ho dovuto leggerle. C’è di tutto, dalle riflessioni filosofiche ai disegni dei bambini, alla richiesta precisa di una bimba di portarle una balena. Nessuno ha chiesto scarabei o cani-gatto, il che non so se sia un affronto o un sollievo. Nelle lettere infantili si scorge l’orgoglio che il padre o la madre dipendessero da un loro permesso (il classico zapatista: “le anatre sparano ai fucili”). Immagino che avrete l’opportunità di conoscere gli sguardi di María e Diego, i loro aneddoti, le riflessioni e l’apprezzamento del loro essere “in prima fila” (entrambi fanno cinema) in questo delirio. Altri sguardi sono sempre i benvenuti e rigeneranti.

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Quando la notizia si è diffusa nelle montagne del Sudest Messicano, le comunità zapatiste hanno inviato un messaggio all’equipaggio della Stahlratte, attraverso il loro capitano: “Grazie, siete fantastici”. Stanno ancora cercando di tradurlo in tedesco.

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Riflessione: il motto delle Azzorre è “Antes morrer livres que em paz sujeitos” (Meglio morire liberi che oppressi in pace).

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In lontananza, ad oriente, le colonne d’Ercole – che un tempo erano il limite del mondo conosciuto – guardavano stupite una montagna che arriva da occidente.

In fede.

SupGaleano.
11 giugno 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/11/islas-azores-portugal-europa/

Video: https://vimeo.com/embed-redirect/561981756

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Domenica di voto in Messico, il 6 giugno. Oltre 96 milioni di persone sono chiamate a votare per decidere sindaci, governatori e soprattutto la nuova cameda dei deputati. L’Istituto elettorale nazionale (incaricato di organizzare e monitorare i processi elettorali in Messico) definisce le prossime elezioni come “le più grandi della storia” del paese. Gli occhi sono puntati sul risultato delle elezioni per la camera dei deputati, con Morena, il partito, fondato da Andres Manuel Lopez Obrador, e la coalizione a sostegno del presidente, che potrebbe perdere la maggioranza alla camera. Secondo Juan Villoro, scrittore e giornalista,  “il paese si prepara ad assistere alle elezioni più ridicole della sua storia”.

La campagna elettorale è stata segnata dal sangue, oltre 80 i candidati e le candidate uccise. Come sempre la stampa mondiale ha incolpato i narcos senza guardare alla promiscuità del potere nel paese, dove politica, forze di sicurezza, economie legali ed illegali vivono in una zona grigia fatta di scontri ma anche accordi nel controllo del territorio. Il voto locale e le sue tenzioni dimostrano come il Messico non sia uno stato fallito e come il controllo di ruoli di potere politico determino, a cascata, equilibri nell’estrazione di ricchezza dai diversi territori.

Il commento di Federico Mastrogiovanni, giornalista e docente all’Iberoamericana di Città del Messico Ascolta o scarica

RADIO ONDA D’URTO

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Delfini!

https://vimeo.com/embed-redirect/548694843

Delfini!

Maggio 2021

Sono stati momenti drammatici. Messo alle strette, tra il cordame e il parapetto, il piccolo insetto minacciava l’equipaggio con la sua lancia, mentre con la coda dell’occhio osservava il mare agitato, dove un Kraken, della specie “kraken scarabeo” – specialista nel mangiare coleotteri – era in agguato. Quindi, l’intrepido clandestino si è fatto coraggio, ha sollevato al cielo le sue molteplici braccia e la sua voce ha ruggito, sovrastando il rumore delle onde che si infrangevano sullo scafo de La Montaña:

Ich bin der Stahlkäfer, der Größte, der Beste! Beachtung! Hör auf meine Worte! (Io sono lo scarabeo d’acciaio, il più grande, il migliore. Attenzione! Ascoltate le mie parole!)

L’equipaggio si è fermato di colpo. Non perché un insetto schizofrenico li avesse sfidati con uno stuzzicadenti e un tappo di plastica. Né perché parlava loro in tedesco. Ma perché sentendo la loro lingua madre, dopo anni a sentire solo dello spagnolo costiero tropicale, li ha trasportati nella loro terra come per un raro incantesimo.

Gabriela avrebbe poi affermato che il tedesco dell’insetto era più vicino al tedesco di un migrante iraniano che al Faust di Goethe. Il capitano ha difeso il clandestino, sostenendo che il suo tedesco era perfettamente comprensibile. E, siccome dove comanda il capitano non governa Gabriela, Ete e Karl hanno approvato, ed Edwin, sebbene avesse capito solo la parola “cumbia”, è stato d’accordo. Quindi quello che vi sto narrando è la versione dell’insetto tradotta dal tedesco:

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“L’esitazione dei miei aggressori mi ha dato il tempo di rifare la mia strategia difensiva, ricomporre la mia armatura (perché una cosa è morire in un combattimento impari e un’altra è farlo in disordine) e lanciare la mia controffensiva: una storia…

Qualche luna fa, sulle montagne del Sudest Messicano. Chi lì vive e lotta ha lanciato una nuova sfida per se stesso. Ma in quei momenti vivevano nell’ansia e nello sconforto perché non disponevano di un veicolo per la loro traversata. Così è stato fino a quando io, il grande, l’ineffabile, l’eccetera, Don Durito de La Lacandona A.C. de C.V. de (i)R. (i)L. sono arrivato in quelle montagne (le sigle, come tutti sanno, significano “Cavaliere Errante di Versatile Cavalcatura di Irresponsabilità Illimitata”). Non appena si è sparsa la voce del mio arrivo, una moltitudine di giovani donne, bambini di tutte le età e persino donne anziane, sono corse, vocianti e veloci, ad acclamarmi. Ma ho resistito e non ho ceduto alla vanagloria. Poi sono andato nelle stanze della persona incaricata della sfortunata spedizione. Per un attimo sono rimasto confuso: il naso impertinente di colui che faceva e rifaceva i conti impossibili per sostenere le spese della spedizione punitiva contro l’Europa, mi ricordava quel capitano che poi sarebbe stato noto come il SupMarcos, che ho guidato per anni e che ho educato con la mia saggezza. Ma no, anche se simile, chi si fa chiamare SupGaleano ha ancora molto da imparare da me, il più grande dei cavalieri erranti.

Alla fine, non avevano un’imbarcazione. Quando ho messo la mia nave a disposizione di quegli esseri, il suddetto Sup, sarcasticamente mi ha risposto: “ma lì c’è posto solo per uno, e deve anche essere molto piccolo, ed è… una scatola di sardine!”, così riferendosi alla mia fregata, il cui nome, “Pon tus barbas a remojar” [proverbio popolare: Impara dagli errori degli altri – N.d.T.] era inciso a babordo, all’altezza della prua. Ho ignorato tanta impertinenza e, camminando tra la folla che anelava un mio sguardo, almeno una parola, mi sono diretto verso l’isola “Senza nome” scoperta da chi questo narra nel 1999. Ed ora sì, sulla sommità della sua coffa alberata, ho aspettato pazientemente l’alba.

Ho quindi maledetto l’inferno, evocato dee da tutte le latitudini chiamando la più potente tra loro: la strega scarlatta. Lei, la disprezzata dagli altri dei, dediti al machismo fanfarone e da spettacolo. Lei, scacciata dalle altre dee, dedite alla falsa bellezza di belletti e cosmetici. Lei, la strega scarlatta, la strega mayor: Oh, die scharlachrote Hexe! Oh, die ältere Hexe!

Sapendo che le possibilità per questi strani esseri, che si fanno chiamare zapatisti, di ottenere una barca dignitosa erano esigue, sapevo bene che solo il più potente dei poteri magici poteva tirarli fuori dai guai e mantenere la parola data. Ergo, ho chiamato la strega mayor, quella con le vesti purpuree, che può alterare la possibilità che qualcosa accada. Lei ha fatto conti su conti ed è arrivata alla conclusione che, in effetti, la probabilità di recuperare un’imbarcazione era quasi zero. Così ha detto:

Ma non posso fare nulla se non c’è una petizione. E non una petizione qualsiasi. Deve essere fatta da un Titano, un essere grande e magnanimo che di buon grado soccorra chi ha bisogno di un evento magico”.

E chi meglio di me?, ho ruggito sonoramente. La signora dalla veste cremisi ha sollevato la mano chiedendo il mio silenzio. “Non è tutto,” ha sussurrato. “È necessario che questo Titano rischi la sua vita, la sua fortuna e la sua reputazione nell’odissea che questi esseri intendono intraprendere. Cioè, che li accompagni con il suo incoraggiamento e bontà e, insieme a loro, sebbene non al loro fianco, affronti sfide e dolori. Questo è, sarà e non sarà”.

Ero d’accordo, perché la mia unica fortuna sono le mie imprese, rischio la mia vita solo esistendo e, beh, la mia reputazione è nota nelle cantine di tutto mondo.

Quindi la sorella strega ha fatto quello che si fa in questi casi: ha acceso il suo computer, si è collegata a un server in Germania, ha digitato non so quale incantesimo, ha modificato un grafico di probabilità e ha aumentato la percentuale da quasi zero al 99,9%, ha digitato di nuovo e un ronzio della stampante ha rivelato la carta che ne usciva. Non senza prima aver apprezzato la modernizzazione tra la corporazione delle streghe scarlatte e simili, ho preso la nota. C’era solo una sola frase:

“Se il titano è d’acciaio, trovi il suo simile, da cui dipende il mancante”.

Cosa significava? Dove avrei potuto trovare qualcosa o qualcuno, non dico simile, ma diciamo lontanamente vicino alla mia grandezza? Di Titani non ce ne sono molti. In effetti, secondo la wikipedia in basso e a sinistra, sono l’unico a prevalere. Poi “d’acciaio”. L’uomo d’acciaio?, dubito; non credo che la strega scarlatta abbia raccomandato un maschio. Quindi una femmina o una femmina d’acciaio.

Ho camminato a lungo. Ho viaggiato dalla Patagonia alla lontana Siberia. Ho incrociato le strade con il degno Mapuche, ho gridato con la Colombia insanguinata, ho attraversato la dolente ma persistente Palestina, ho attraversato i mari macchiati dal nero dolore dei migranti, e ho ripercorso i miei passi credendo erroneamente di aver fallito nella mia missione.

Ma, sbarcato nella geografia che chiamano “Messico”, qualcosa ha attirato la mia attenzione. Sulle acque turchesi una nave subiva le riparazioni e i rattoppi da parte del suo equipaggio. “Stahlratte” si leggeva sulla fiancata. Dal momento che ho incontrato la strega scarlatta nella Germania in basso, e che quella parola significa “ratto d’acciaio” nella sua lingua, ho deciso di tentare la fortuna. Ho aspettato, con saggia pazienza, che la notte e le ombre riparassero la solitudine della nave. Ho abilmente risalito la prua e, costeggiando il lato di dritta, sono arrivato dove si trova il centro di comando o di governo della nave. Qui, un uomo imprecava in lingua tedesca con maledizioni e bestemmie che avrebbero rattristato l’inferno stesso. Qualcosa diceva del dolore di lasciare i mari e le avventure. Seppi allora che la nave stava contando i suoi ultimi giorni e il suo capitano e l’equipaggio avevano incubi pensando ad una vita a terra. Le streghe scarlatte di tutto il mondo cospiravano a mio favore e per buona fortuna. Ma tutto dipendeva da me, lo scarabeo d’acciaio inossidabile, il più grande dei cavalieri erranti, ecc., per trovare “il mancante”. Ho quindi aspettato che il capitano smettesse di lamentarsi e imprecare. Quando ha smesso e solo un singhiozzo gli si è smorzato in gola, sono salito sul timone e guardandolo negli occhi ho detto: “Io Don Durito, tu chi?”. Il capitano non ha esitato a rispondere “Io capitano, tu clandestino” mentre brandendo un giornale o una rivista minacciava di sopprimere la mia bella e leggiadra figura. Allora, con voce potente mi sono presentato. Il capitano ha esitato restando in silenzio con il giornale o la rivista in mano.

Poi, sono bastate poche frasi per capire che eravamo persone di mondo, avventurieri per vocazione e scelta, esseri disposti ad affrontare qualsiasi sfida per quanto imponente e terribile potesse essere.

Ormai in confidenza, gli ho raccontato la storia di un’odissea in corso, qualcosa che avrebbe poi riempito gli annali delle storie a venire, il più pericoloso e ingrato dei compiti: la lotta per la vita.

Mi sono prodigato in dettagli, gli ho parlato di una barca costruita in mezzo alle montagne, senza altra acqua che quella della pioggia a darle vocazione e ragion d’essere. Gli ho parlato di chi aveva deciso di abbracciare tanta audacia, di leggende su una montagna che rifiuta la prigione dei suoi piedi per terra, di miti e leggende maya per voce delle loro origini.

Il capitano si è acceso una sigaretta, me ne ha offerta uno che ho dovuto rifiutare tirando fuori la mia pipa. Abbiamo così condiviso il fuoco e il fumo del tabacco.

Il capitano è rimasto in silenzio e, dopo qualche boccata, ha detto qualcosa del tipo: “Per me, sarebbe un grande onore unirmi a una causa così nobile e folle”. Ed ha aggiunto: “Adesso non ho un equipaggio, perché ci stiamo ritirando, ma sono sicuro che donne e uomini si avvicineranno solo per il fascino di questa storia. Vai dai tuoi e di’ loro di contare su ciò che siamo, esseri umani e navi”.

Terminato il mio racconto, mi sono rivolto a chi minacciava di gettarmi in mare: “Ed è così come voi, comuni mortali, vi siete imbarcati in questa avventura. Quindi lasciatemi in pace e tornate al vostro lavoro e doveri, che io devo vigilare che il Kraken lasci in pace la nostra casa e il nostro cammino. Per questo ho chiamato amici pesci che lo terranno assente”.

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Ed ecco che in quel momento qualcuno sul ponte grida “Delfini!” e tutt@ sono saliti sul ponte armati di macchine fotografiche, cellulari o solo dei loro occhi stupiti.

Nella confusione, Durito, il più grande dei Titani, l’unico eroe a livello dell’arte, complice di maghi e streghe, è sgusciato via e si è arrampicato, ora sì, sulla Coffa e da lì ha intonato canzoni che, giuro, venivano replicate dai delfini che, tra onde e sargassi, hanno ballato per la vita.

-*-

Più tardi, a cena, il capitano ha confermato la storia dell’insetto. E da quel momento l’insetto ha smesso di essere “l’insetto” e viene chiamato, a partire da quell’evento, “Durito Stahlkäfer“, “Durito, lo Scarabeo d’Acciaio“.

“Una tacca in più alla cintura”, avrebbe detto il defunto SupMarcos, tre metri sottocoperta, ehm, volevo dire, sottoterra.

Ora, con cameratismo, Gabriela corregge la pronuncia tedesca di Stahlkäfer; sulla spalla di Ete, Durito sale in cima all’albero maestro; accompagna Carl quando prende il timone e lo diverte con storie terribili e meravigliose; sulla testa di Edwin lo guida nello spiegamento e nell’abbassamento delle vele; e la mattina presto condivide con il capitano Ludwig il tabacco e la parola.

E quando il mare infuria e il vento aumenta il suo lussurioso corteggiamento, il più grande esemplare della cavalleria errante, Stahlkäfer, intrattiene lo Squadrone 421 raccontando leggende incredibili. Come quella che racconta l’assurda storia di una montagna che si è fatta nave per la vita.

In fede.

SupGaleano
Pianeta Terra

Nota: Il video dei delfini chiamati da Stahlkäker è stato girato da Lupita, perché il team di supporto della Commissione Sexta, incaricato di tale missione, era impegnato… a vomitare. Sì, con pena degli altri. Ora la missione dello Squadrone 421 è supportare il team di supporto. E dobbiamo ancora attraversare l’Atlantico (sigh).

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale, video e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/05/12/delfines/

https://vimeo.com/embed-redirect/548694843

Musica: «La Bruja», jarocho interpretat da Sones de México Ensamble, con Billy Branch.Immagini: parte della traversata de La Montaña, arrivo e sbarco a Cienfuegos, Cuba; e riunione dello Squadrone 421 per guardare la pagina di Enlace Zapatista.

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IN MARE

IN MARE

Maggio 2021

Pensando ai suoi passeggeri, come di dovere, il capitano Ludwig ha consigliato di partire il 2 nel pomeriggio. Le ondate previste per il giorno 3 avrebbero fatto soffrire i/le nuov@ velist@ più del necessario. Ecco perché il capitano ha proposto di anticipare la partenza alle ore 16:00 del secondo giorno del quinto mese.

Il subcomandante Insurgente Moisés gli ha dato ascolto ed ha acconsentito. Quindi, ora che è consuetudine usare la parola “storico” per qualsiasi cosa, è la prima volta che lo zapatismo ha fatto qualcosa di programmato prima di quando annunciato (di solito ci impicciamo e partiamo tardi). Ergo: è qualcosa di storico nello zapatismo.

Lo Squadrone 421 è quindi partito alle 16:11:30 del 2 maggio 2021. Qui presentiamo due diversi rapporti sullo stesso tratto di navigazione.

Rapporto dello Squadrone 421 all’Alto Comando Zapatista:
Itinerario della nave La Montaña. Le ore sono indicate all’ora ufficiale di Città del Messico, Messico (UTC -5).

2 maggio 2021. Alle 16:11:30 La Montaña ha iniziato il suo viaggio a una velocità di circa 4 nodi (1 nodo = 1.852 km/h). Alle 16:21:30 si è diretta a Sud-Sudest e, alle 17:23:04 La Montaña ha iniziato una leggera virata verso est. Alle 17:24:13 sono iniziate le manovre per dispiegare tutte le sue vele. L’equipaggio, con il supporto dello Squadrone 421, issava le vele. Alle 17:34 ha continuato la virata e si è diretta a Est. Ha completato la curva alle 17:41 tenendo a Nord la punta sud di Isla Mujeres. Allora si è diretta a Nordest, in direzione del Primo Territorio Libero d’America: Cuba. Con il vento a favore, La Montaña ha mantenuto velocità tra gli 8 ei 9 nodi. Alle 23:01, è entrata nel “Canale dello Yucatan”, la sua velocità era di 6 nodi.

3 maggio. Mattino presto.
Alle 01:42 con una velocità di 8 nodi, La Montaña si avvicina alla costa di Cuba. Riferimento: Cabo de San Antonio. Alle 08:18:00, poche miglia a sud del Faro Roncali, si dirige a Sudest. Velocità: 5 nodi. Alle 10:35:30 svolta in direzione Nord-Nordest. La velocità sale a 7 e 8 nodi e le raffiche di vento strapazzano le vele. A poche miglia a Sudovest di Cabo Corrientes, il Capitano decide di entrare nell’omonima baia. Alle 13:55 costeggia, a sinistra, Punta Caimán. Il 3 maggio, alle 14:25:15, il Capitano decide di gettare l’ancora davanti alla località cubana di “María la Gorda”; latitudine 21.8225; longitudine: 84,4987; per riparare le vele danneggiate e attendere che il vento si plachi.

Il 4 maggio 2021, alle 16:55:30, La Montaña riprende la sua navigazione, ora in direzione Ovest-Sudovest, con una velocità di 6 nodi. Alle 17:45:30, all’altezza di Cabo Corrientes, si dirige a Sud-Sudest. Alle 19:05:30 vira in direzione Est-Nordest.

Alle 00:16:15 del 5 maggio La Montaña naviga a 7-8 nodi. Alle 04:56:30, tenendo a Nord Cayo Real e Cayo del Perro, il motoveliero si dirige verso Sud-Sudest. Di fronte alla costa occidentale di Isla de la Juventud, disegna due “Z” successive e alle 12:07:00 naviga parallela alla costa sud dell’isola suddetta, a 5 nodi e in direzione Est. L’ultimo rapporto ricevuto è alle 23:16:45 del 5 maggio: 6-7 nodi direzione Est. Si dirige verso la città cubana e al porto di Cienfuegos, per arrivare lì il 6 maggio.

A Cienfuegos, La Montaña dovrà fare rifornimento e sostare per alcuni giorni, per poi proseguire il suo viaggio. Si riporta che lo Squadrone 421, nel suo insieme, sta bene e si sta adattando. Niente “gómitos” ma solo lieve nausea.

Per ora è tutto.

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Rapporto inviato da un essere straordinariamente simile ad uno scarabeo – che viaggia clandestinamente su La Montaña -. I membri dell’equipaggio hanno provato di tutto per catturarlo. Non ci sono riusciti. Le volte in cui sono riusciti a metterlo all’angolo, il piccolo insetto li strega con storie e leggende di cose terribili e meravigliose, storie che sono successe e devono ancora accadere. Quando l’equipaggio esce dalla trance, lo scarabeo è tornato sulla Coffa della nave e, da lì, declama poesie in varie lingue, lancia minacce e maledizioni e sfida la Idra con uno stuzzicadenti a forma di lancia e un tappo di plastica di qualche bibita come scudo. Qui la narrazione:

“Più che navigare, La Montaña sembra ballare sul mare. Come in un lungo e appassionato bacio, si è staccata dal porto e si è diretta verso una meta incerta, piena di sfide, scommesse, minacce e non pochi contrattempi.

Una cumbia l’accompagna, le segna il passo e la distanza. Il sole si ferma stupito per guardare meglio i fianchi che ancheggiano a ritmo. La luna, pallida di invidia e rabbia, perde il passo con l’ultimo sensuale agitar di palme.

Un vento lascivo, satiro di nubi e raffiche, inseguiva La Montaña, ammaliato dal dondolio della poppa. La cumbia non faceva nulla per placare i desideri e le ansie, in più li incoraggiava e così crescevano e aumentavano. Goffo e frettoloso, da amante novizio, il vento arrischiò, irrequieto di lussuria, una manata. Così strappava le vele, scurite a forza di sale e acqua, con le quali la nave protegge il suo prezioso carico.

Pudica, La Montaña, cercava segretezza e discrezione per riparare i suoi abiti. E così rifletteva: “Il vento deve imparare che l’appetito e le voglie devono essere reciproci, o saranno un furto e non amore, come lo chiamano”.

Rivestita, La Montaña ha ripreso il suo corso e la sua missione, non senza prima rimproverare il vento che, rattristato, furtivo e timido, ora la segue, ma che, con ostinazione marina, la riempie di complimenti.

Che abbandoni il suo pudore, la supplica. Che le vele cadano e che si mostri nuda anche se il suo splendore gli ferisce lo sguardo, supplica. Quella nudità non pecca se è coperta da un’altra nudità, sostiene.

La Montagna, degna e altezzosa, non cede. Ferma e tenera lo respinge. “Nemmeno se riposassi in porto e in porto riprendessi le forze”, dice La Montaña. E con la prua indica e dice: “Guarda quell’altra isola che sente la nostra speranza e chiamano Cuba. È da questa Montaña che salutano quelle montagne esseri anacronistici la cui attuale sfida è solcare il mare”.

Irritata, l’imbarcazione rimprovera il vento. Che la smetta di frugare sotto le gonne, che a volte basta uno sguardo per scatenare il desiderio. Allora il vento si trattenne, ma non risparmiò sospiri che sospingevano l’andare del naviglio.

E così La Montaña naviga, il vento la segue promettendo dei domani.

A Est cresce l’attesa e, con essa, la speranza.”

Firma: Don Durito de La Lacandona, alias “Black Shield“, alias “Durito“, alias “Nabucodonosor“, alias “Scarabeo impertinente“, alias “Riparatore di Torti“, alias “il grande, che dico ‘grande’, il gigante, il meraviglioso, il superlativo, l’iper-mega-plus, il supercalifragilisticochespiralidoso, l’unico, l’incomparabile, lui. Lui, Don Durito de La Lacandona!“, alias (seguono diversi volumi dell’enciclopedia degli attributi del “più grande dei cavalieri erranti”- la maggior parte di questi, elaborati dal suddetto-).

E aggiunge un lontano post scriptum del lontano e defunto SupMarcos: “La speranza è come un biscotto: non serve a niente se non ce l’hai dentro”.

-*-

Da parte mia, mi dissocio da tutto quanto sopra. Soprattutto dal rapporto dell’insetto.

Vale. Saluti e che imbarcazione e venti si alleino alla missione.

Il SupGaleano, ritmando la musica della cumbia come se la navigasse.
Pianeta Terra.
Maggio 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/05/06/sobre-el-mar/

«Viento en espiral», composizine di Jesús G. Camacho Jurado. Interpretat da PsiqueSon.

“Cumbia sobre el mar”: Parole e musica di Rafael David Mejía Romani. Canta: Quantic, Flowering Inferno.

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Nell’ottobre 2020 l’EZLN ha annunciato che una delegazione messicana composta dal CNI-CIG, dal Fronte del Popolo in Difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala, e dall’EZLN viaggerà in Europa per incontrare ciò che unisce popoli così lontani e diversi. Inizia così un cammino condiviso in tutto il Mondo e come collettivi europei ci stiamo organizzando per riceverla. Contribuisci con una libera donazione direttamente sul conto di LAPAZ ITALIA: Causale: “Contributo Viaggio Zapatista Italia” – IBAN:  IT89P0501801600000017030529 c/o Banca Popolare ETICA filiale 1 ag. 02 di Milano

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Luca Martinelli Pochi giorni fa in America Latina è entrato in vigore un accordo, patrocinato dalle Nazioni Unite, che dovrebbe favorire e promuovere la protezione dei difensori dell’ambiente e dei diritti umani. In #Messico in questi giorni cade l’anniversario numero 15 della violenza di Stato scesa contro le proteste degli abitanti di Atenco che non volevano il nuovo aeroporto di Città del Messico sui terreni fertilissimi dove coltivano fiori. In quei giorni ci furono 2 morti, oltre a violenze (anche sessuali) indicibili. In Messico in questi giorni altri due difensori sono stati assassinati. Erano una coppia. Lottavano contro una miniera. Gli accordi – per quanto siano storici – restano sulla carta se non cambia(mo) il sistema economico: il capitalismo estrattivista è assassino.

Assassinato un ex commissario ejidale de El Bajío, Sonora. Si opponeva alla miniera Penmont ed aveva subito minacce.

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L’Arrembaggio

Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

L’Arrembaggio

La Montaña è stata abbordata il 30 aprile 2021, essendo quella l’ora. La nave era ancorata a circa 50 braccia dal porto, “lontano dal trambusto e dalla falsa società”. Ridenti gabbiani, cormorani, fregate, ibis le volteggiavano intorno e persino un colibrì candido e smarrito cercava di fare un nido sulla piattaforma di prua. Nello scafo, sotto la linea di galleggiamento, i delfini tamburellavano una cumbia, uno squalo balena teneva il ritmo con le sue pinne e la manta distendeva le sue nere ali come fianchi volteggianti.

Il gruppo dei bucanieri era guidato dal Subcomandante Insurgente Moisés, il quale, con una truppa composta da una insurgenta tercia, un autista insurgente e un meccanico, un autista base, 5 terci@s, una comandanta e due comandanti, era presente per salutare la delegazione marittima, Squadrone 421, e controllare, in situ, che l’imbarcazione avesse ciò che era necessario per l’epopea nautica. Un team di supporto della Commissione Sexta assisteva per scrivere i necrologi dei caduti in azione.

Non c’è stata resistenza da parte dell’equipaggio. Il capitano aveva infatti precedentemente ordinato di issare, come albero di trinchetto, una grande vela con l’immagine che identifica la delegazione marittima zapatista, aggiungendo così La Montaña, incluso tutto l’equipaggio, alla lotta per la vita. Con gli alberi nudi, il simbolo del delirio zapatista scintillava impetuoso.

Quindi, diciamo che è stato un arrembaggio consensuale. Nessun tentativo di aggressione da parte delle truppe zapatiste, né della marineria ospite. E si potrebbe dire che tra noi e le/i marina@ de La Montaña c’era una sorta di complicità. Anche se, al primo approccio, erano sorpres@i quanto noi.

E saremmo rimasti lì, a fissarci immobili, se non ché, avanzando da poppa, un insetto straordinariamente simile a uno scarabeo ha gridato: “All’Arrembaggio! Se sono tanti, scappiamo! Se sono pochi, ci nascondiamo! E se non c’è nessuno, avanti, che siamo nati per morire!”. Questo è quello che ha deciso tutto. L’equipaggio guardava sbalordito il piccolo insetto e noi… non sapevamo se scusarci per l’irruzione o unirci all’attacco dei pirati.

Il subcomandante Insurgente Moisés ha ritenuto che fosse il momento opportuno per le presentazioni, quindi ha detto: “Buon pomeriggio. Il mio nome è Moisés, Subcomandante Insurgente Moisés, e loro sono…” Ma quando si è voltato per presentare la truppa, il SubMoy ha visto che non c’era nessuno.

Tutti stavano girando sulla nave con mal celate dimostrazioni di giubilo ed entusiasmo: le compagne delegate, come regine del Caribe, salutavano da babordo le barche piene di turisti che le guardavano con curiosità e scandalo, forse sorpresi che, con questo caldo , le compas indossassero gonne lunghe. Soprattutto perché le turiste indossavano bikini così ridotti da non credere. Marijose è andata a prua e da lì contemplava la casa di Ixchel, pensando tra sé e sé che non avrebbe indossato i suoi iper ultra mini shorts, perché non voleva umiliare le cittadine in quanto a sensualità.

I comandanti David e Hortensia davano le ultime raccomandazioni a una Lupita con il sorriso che le debordava dalla mascherina. Il comandante Zebedeo si ripeteva: “non devo vomitare, non devo vomitare”, che è l’antiemetico consigliato dal SupGaleano.

L@s tercios (4 uomini, una compa e una insurgenta), dal canto loro, facevano foto e video di tutto. E quando dico “di tutto”, è proprio di tutto. Quindi, non stupitevi se nelle foto compaiono solo lucernari, funi, catena dell’ancora, verricello, boe, teloni, secchi per drenare l’acqua e altre cose tipiche di una nave che sta per attraversare l’Atlantico nella nobilissima missione di invadere, voglio dire, conquistare, cioè, visitare l’Europa.

Marcelino e il Monarca hanno chiesto della sala macchine e, non so da dove, hanno tirato fuori una cassetta degli attrezzi e, con pinze e cacciaviti, sono andati dove pensavano che dovesse essere il motore perché, hanno spiegato ad un capitano attonito, dal rumore si deduceva che necessitava di regolazione. Bernal e Felipe (sostituto di Darío – che è dovuto restare a terra per il passaporto dei figli -, 49 anni, originario Tzeltal; parla fluentemente tzeltal e la castilla; padre di 4: il maggiore di 23 anni e il più giovane di 13 anni; è stato miliziano, sergente, responsabile locale, consigliere autonomo nel MAREZ, giunta di buon governo, insegnante della escuelita e autista; musica preferita: romantica, rancheras, banda, cumbia, rivoluzionaria; colori preferiti: nero, blu e grigio; si è preparato per 6 mesi come delegato; volontario per viaggiare in barca se qualcuno non poteva; esperienza marittima: nulla), si sono uniti alla squadra meccanica zapatista (nel caso che, in alto mare, ci fosse bisogno di riparazioni).

L’equipaggio de La Montaña, una volta ripresosi dallo sconcerto di un arrembaggio così altro, si è strategicamente distribuito in coperta, prevedendo che l’esaltazione zapatista sarebbe sfociata con uno di noi in mare.

Se questo fosse accaduto, eravamo preparati, che vi credete. Per la composizione della delegazione, la sera prima si è discusso di come gridare se ciò fosse accaduto: “uomo in mare” o “donna in mare” o “otroa in mare” o “tercio in mare” o “autista in mare” o “scarabeo in mare”, e così via. Il problema era che, per sapere cosa gridare, il SubMoy doveva prima prendere la lista e vedere chi mancava, e poi dare l’ordine di “panico sottovento” (che la delegazione aveva simulato fino alla perfezione durante l’addestramento nel Centro di Addestramento, area Naufragi e Affondamenti) affinché tutt@ gridassero. Poiché i secondi che si sarebbero persi (nella realtà, perché nelle simulazioni erano lunghi minuti) potevano essere decisivi, si è deciso di gridare “Zapatista in mare!”. Ciò non è accaduto, cosa che ha liberato il gruppo corsaro maya (permesso in regola nelle Giunte di Buon Governo zapatiste) da burle e scherni su di loro al Bar la Mota Negra, a Copenaghen, in Danimarca.

L’equipaggio presto è stato contagiato dall’entusiasmo zapatista e, nonostante fossero marinai con anni di esperienza nelle acque dell’oceano, guardava ora, attraverso lo sguardo zapatista, un mare che, calmo, celebrava una visita così inaspettata, rassegnato come prima all’impertinenza dei turisti di tutto il mondo. Il capitano dell’imbarcazione ha portato il SubMoy nella cabina di comando e l’ha messo al timone, mentre l@s tercios scattavano foto… dell’acqua (quindi ci saranno tante e tante foto di un mare vuoto).

La delegazione marittima zapatista, lo Squadrone 421 vero e proprio, da parte sua, è passato dall’entusiasmo alla cautela e ha sommerso l’equipaggio di domande sensate: “E se cade un fulmine e la nave si rompe, cosa facciamo?”. “E se si apre un buco e tutta l’acqua sparisce, dobbiamo camminare?”. “E voi come fate a mangiare se non avete la milpa?”. “E come fa il vento a sapere che stiamo andando di là?”. “E dove dorme il mare se ha sonno?”. “E se il cuore del mare è triste, come fa a piangere?”. “Quanto è grande il suo cuore per amarlo e consolare il mare che è grandissimo?”. “E, come noi difendiamo la terra, c’è qualcuno che difende il mare?”.

L’equipaggio de La Montaña composto da: il Capitano Ludwig (Germania), Edwin (Colombia), Gabriela (Germania), Ete (Germania) e Carl (Germania), si guardava perplesso e si diceva: “In welche Schwierigkeiten bin ich geraten?” (tranne Edwin, che in spagnolo pensava: “Accidenti, in quale guaio mi sono cacciato”).

-*-

E l’insetto? Ebbene, prevedendo che avrebbero cercato di buttarlo in mare (nonostante “avesse capeggiato l’arrembaggio con impareggiabile coraggio, grazia e bellezza” – così ha detto lui -), si è arrampicato in cima alla coffa e, da lì, ha declamato in un impeccabile galiziano:

Volverei, volverei á vida

cando rompa a luz nos cons

porque nós arrancamos todo o orgullo do mar,

non nos afundiremos nunca máis

que na túa memoria xa non hai volta atrás:

non nos humillaredes NUNCA MÁIS.” (*)

A oriente, in lontananza, le onde sulle coste della Galizia ripetevano: “nunca máis”.

In fede.

Il Gatto-Cane.

Ancora in Messico, Maggio 2021

(*) Parole della canzone “Memoria da Noite” del gruppo galiziano Luar Na Lubre.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale, foto e video: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/05/01/el-abordaje/

Musica: Frammento di «Aires Bucaneros». Parole del poeta Luis Palés Matos. Musica: Roy Brown.

Musica: Memoria da Noite. Parole: Xabier Cordal. Musica: Bieito Romero. Interpreta: Luar Na Lubre, con le voci di Rosa Cedrón e il maestro Pedro Guerra.

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Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

Ieri: La teoria e la pratica.

Un’assemblea in un villaggio in una delle montagne del sud-est del Messico. Devono essere i mesi di luglio-agosto di un anno vicino, con la pandemia di coronavirus che si impadronisce del pianeta. Non è una riunione qualsiasi. Non solo per la follia che la convoca, anche per l’evidente distanziamento tra sedia e sedia, e perché i colori delle mascherine sono opachi dietro lo schermo delle maschere trasparenti.

Ci sono i leader politico-organizzativi dell’EZLN. Ci sono anche alcuni leader militari, che restano in silenzio a meno che non si chieda loro di parlare su un punto preciso.

Sono molti di più di quanto si poteva supporre. Ci sono almeno 6 lingue originarie, tutte di radice Maya, e usano lo spagnolo o “la castilla” come ponte per capirsi.

Molti dei presenti sono “veterani”, erano nella sollevazione iniziata il 1 gennaio 1994 quando, armi in pugno, scesero nelle città insieme a migliaia di altre compagne e compagni, come una in più, uno in più. Ci sono anche “i nuovi”, uomini e donne che sono si sono inseriti nella dirigenza zapatista dopo molto apprendistato. La maggior parte dei “nuovi” sono “nuove”, donne di tutte le età e di diverse lingue.

L’assemblea stessa, il suo svolgimento, i suoi tempi, i suoi modi, riproduce le assemblee che si tengono nelle comunità. C’è qualcuno che coordina la riunione e che dà la parola e indica gli argomenti da discutere che sono stati concordati in precedenza. Non c’è limite di tempo per ogni intervento, cosicché il tempo qui acquisisce un altro ritmo.

Qualcuno, in questo momento, sta raccontando una storia o un racconto o una leggenda. A nessuno importa se ciò che viene narrato è un fatto reale o una finzione, ma ciò che viene detto con attraverso questo mezzo.

Questa è la storia:

Un uomo zapatista sta camminando in un villaggio. Indossa i suoi abiti migliori e il suo cappello nuovo perché, dice, cerca una fidanzata. Il narratore imita il passo e i gesti che ha visto in qualche film che circolava durante il Festival del Cinema “Puy Ta Cuxlejaltic”. L’assemblea ride quando, chi racconta la storia, fa il tono del Cochiloco (interpretato da Joaquín Cosío in “El Infierno”. Luis Estrada, 2010), e si toglie il cappello per salutare una donna immaginaria che passa con un mulo immaginario che porta legna immaginaria. Il narratore mescola lo spagnolo con una delle lingue maya, cosicché nell’assemblea, senza interruzioni, si traducono a vicenda.

Chi racconta la storia ricorda che è il tempo del mais, l’assemblea conferma. La narrazione continua:

L’uomo con il cappello incontra un conoscente, si salutano. “Ehi! Non ti avevo riconosciuto con quel cappello e così elegante”, dice il conoscente. L’interpellato risponde: “È che sto cercando una mia fidanzata”. E l’altro: “E come si chiama la tua fidanzata e dove vive?” Quello con il cappello: “Non lo so”. L’altro: “Come fai a non saperlo?”. Il cappello: “Beh, ecco perché ho detto che la sto cercando, guarda che l’ho già trovata perché conosco il suo nome e dove abita”. L’altro valuta per un secondo quella logica contundente e annuisce in silenzio.

È il turno del cappello: “E tu cosa fai?” L’altro risponde: “Sto piantando mais perché voglio le pannocchie”. Il cappello tace un attimo mentre guarda l’altro che, con un manico di scopa fa dei buchi in mezzo alla strada sterrata. Il cappello: “Ehi compare, con tutto il rispetto, ma sei abbastanza stupido”. L’altro: “e perché? Se ci sto dando dentro perché sono determinato a mangiare mais”.

Quello con il cappello si siede, accende una sigaretta e la passa all’altro, e se ne accende un’altra. Non sembrano avere fretta: né quello con il cappello per trovare la sua ragazza, né l’altro per mangiare il mais. Il pomeriggio si allunga e, a morsi, toglie alla notte un po’ di luce. Non piove ancora, ma il cielo comincia a spargere nuvole grigie per coprirsi. La luna si annida dietro gli alberi. Dopo un lungo silenzio, il cappello spiega:

“Bene, guarda, compare. Vediamo se mi capisci: in primo luogo si tratta del terreno. In questo acciottolato il mais non attecchirà. Il seme morirà sotto il calpestio e non ci sarà dove mettere radice. Il seme morirà. E poi la tua scopa, che usi come una zappa, ma la scopa è una scopa, e la zappa è una zappa, ecco perché la povera scopa è già tutta a pezzi.

Il cappello prende la scopa, controlla le toppe che l’altro ha fatto con nastro adesivo e corda, e continua: “Se ti vedesse mia madre a danneggiare così la sua scopa, ti caccerebbe a dormire in montagna”.

E prosegue: “allora, la milpa non è dovunque, compare, né si lavora con qualsiasi cosa, ma ha il suo dove e il suo con che cosa. Inoltre, non è il momento di seminare un campo di mais adesso, adesso è il tempo del raccolto. E perché ci sia il raccolto, devi prima aver lavorato duro nel campo. Cioè, nel campo non è che tu strilli “ehi donna, portami il mio pozol e le mie tortillas” che è il modo in cui urlavi alla tua donna, – beh, finché lei non si è riunita come donne che siamo e via, sono finite le urla -, ma questo è affar tuo, compare. Quello che ti sto dicendo è che alla terra non si danno ordini, ma le si spiega, le si parla, la si onora, le si raccontano storie per incoraggiarla. E la terra non ascolta un tempo qualsiasi, ma ha, come si suol dire, il suo calendario. Vuole che tu conti bene i giorni e le notti, e che guardi la terra e il cielo per vedere quando piantare il seme”.

“Quindi ecco, come si dice, la problema. Perché stai sbagliando tutto, e non è perché ci hai dato dentro e sei determinato che il tuo desiderio sarà esaudito. Ciò di cui hai bisogno è la conoscenza. Le cose non si realizzano solo perché ci dai dentro con decisione, ma serve che tu scelga un buon terreno, poi gli strumenti adatti, poi i tempi di ogni parte del lavoro. Cioè, come si suo dire, ci vuole la teoria e la pratica con conoscenza, e non le stupidate che stai facendo, che dovrebbero farti pena perché tutti ti guardano e ridono”.

“E gli stronzi che ridono non si rendono conto che le stupidate che fai colpiranno anche loro, perché proprio dove stai sprofondando, prima verrà allagato, poi l’acqua scorrerà e creerà dei rigagnoli come le rughe di tua nonna compa, che la mia è già in paradiso. E così l’auto della giunta di buon governo non riuscirà ad entrare, perché si bloccherà, e i materiali o le merci che porta dovranno essere scaricati a mano, sulle spalle, e camminando dentro i rigagnoli danneggeranno i loro stivali e pantaloni, tanto più se si vestiranno eleganti come me adesso, e così non troveranno mai una fidanzata. E le compagne, ancora peggio, compare, perché quelle sono toste. Ti passeranno accanto, con un asino che trasporta le loro cose, e diranno: “C’è chi è più cocciuto del mio asino, e più stupido”. E spiegheranno: “Ehi, quando dico ‘adesso fottuto asino’, non offenderti, sto parlando al mio animale”.

Che succede compare, mi offendi?” dice l’altro indignato.

Il cappello: “No, beh, te lo dico soltanto. Prendilo come un consiglio o un indicazione, non è un ordine. Ma, come diceva il compianto Sup: “è meglio che tu faccia come dico, perché se no, se va storto ti dirò “ odio dirti che te l’avevo detto, ma te l’avevo detto”. Quindi ascoltami, compare”.

L’altro: “Quindi questa terra è inutile, e così la mia zappa? Né è il momento?”.

Il cappello: “no, no e no”.

“E quando è il momento, allora?”.

“Ops, è già passato. Ora devi aspettare un altro giro. Intorno ad aprile, maggio, e affinché l’acqua non manchi, il 3 maggio vuole che alla terra venga dato il tuo pane, una bibita per il caldo, magari una sigaretta di foglie, le sue candele, e chi raccolga anche i suoi frutti e le sue verdure e persino il suo brodo di pollo. Il defunto Sup ha diceva che solo con la zucca no, che se alla terra dai la zucca ,si arrabbia e tira fuori un serpente. Ma credo che fosse una bugia del compianto, lo diceva perché non gli piaceva la zucca”.

Allora, quando?

“Mmm, ora vedrai: siamo già come si dice quasi a ottobre, quindi 6 mesi. Dunque in aprile-maggio. Ma dipende”.

“Va bene, e ora come faccio se voglio il mais in questo momento?” L’altro pensa e, improvvisamente, aggiunge: “Lo so! Chiederò in prestito del mais all’autorità autonoma”.

Il cappello: “E poi, come risarcisci l’autorità autonoma?”.

“Ah, beh, chiedo un prestito alla Giunta e restituisco con questo. E per restituire alla Giuta chiedo un prestito al Los Tercios. E per saldare Los Tercios chiedo di nuovo un prestito all’autorità, alla fine vedrai che pago.

Il cappello, grattandosi la testa, dice. “Accidenti compare, adesso viene fuori come nel film di Vargas, ne sei uscito più bastardo che bellino. Se la pensi come il malgoverno, dovresti essere un deputato, o un senatore o un governatore, o qualcuno di quegli stronzi”.

“Che dici, compare? Io solo resistenza e ribellione. Vedrai come faccio”.

Il cappello: “Allora me ne vado perché altrimenti non troverò la mia ragazza. Ci vediamo, amico”.

L’altro: “Vai con Dio, e se trovi la tua ragazza, chiedile se la sua famiglia non ha del mais che può prestarmi, che poi gli pagherò”.

Il narratore si rivolge all’assemblea: “Allora cos’è meglio? Prestiamo mais al compare o che se la sbrighi con la teoria e la pratica con consapevolezza?”.

-*-

È arrivata l’ora del pozol. L’assemblea si disperde. Il SupGaleano, solo per capriccio, dice al Subcomandante Moisés: “A me piacciono solo i popcorn” e si dirige alla sua capanna. Il Subcomandante Moisés gli risponde: “E pure la salsa piccante?”. Il SupGaleano non risponde ma cambia direzione. “Dove stai andando?”. Chiede il SubMoy. Il Sup, allontanandosi, quasi grida: “Vado a chiedere in prestito la salsa al negozio delle Insurgentas”.

In fede.

Miau-Guau.

Il Gatto-Cane, clandestino sul La Montaña.
(Vabbè, non aveva i soldi, inoltre, c’è un cartello all’ingresso de La Montaña che dice: “Non sono ammessi gatti, cani… o scarabei schizofrenici”).
Ancora in Messico. Aprile 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale e foto, video: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/30/ayer-la-teoria-y-la-practica/

El Mariachi Renacimiento del Caracol di Roberto Barrios. https://vimeo.com/video/543483661

https://vimeo.com/video/543481628 Ragazza base zapatista saluta la delegazione marittima zapatista.

https://vimeo.com/video/543505441 Musica: Santiago Feliú, mentre suona «Créeme» di Vicente Feliú.

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Dalla Lacandona al mondo

Luis Hernández Navarro

La storia della colonizzazione del Nuovo Mondo e dell’espansione capitalista segue la rotta atlantica. Attraverso l’oceano i primi coloni e religiosi arrivarono in America, accompagnati dalle loro armi e dalla loro fede. Inseparabili, la croce e la spada solcavano i mari, seguite da schiavi e mercanzie. Trasportate dai venti e dalle correnti marine, le navi tornavano in Europa cariche dei frutti di saccheggi e spoliazioni.

Questo 3 maggio, giorno della Santa Cruz, Chan Santa Cruz, il nome dato al santuario e al governo Maya autonomo che gli indigeni ribelli hanno tenuto in vita per mezzo secolo, i ruoli si invertiranno. In quella data, sempre attraverso l’Atlantico, la nave zapatista La Montaña, salperà da Isla Mujeres verso il porto di Vigo, in Spagna, per incontrare i loro compagni e una poliedrica serie di figure e movimenti sociali. L’antica rotta della Conquista sarà la via per la spedizione emancipatrice, battezzata dall’EZLN Viaggio per la Vita, per arrivare in Europa.

Così, ora in senso opposto, si rivisiterà l’appassionante incontro tra ribelli, fuorilegge e protagonisti delle rivolte popolari anticapitaliste dei due i continenti narrato da Peter Linebaugh e Marcus Redinker, nel loro meraviglioso libro L’idra della rivoluzione. Marinai, schiavi e contadini nella storia nascosta dell’Atlantico. I marinai – scrivono Linebaugh e Redinker – portavano in Europa storie che parlavano delle società alternative d’America. Lungo la strada allacciavano il comunismo primitivo del Nuovo Mondo con il comunismo plebeo del Vecchio Mondo.

La portata dell’iniziativa può essere compresa appieno solo se si mette da parte la mistificazione di presumere che tutto si risolve nello Stato e dallo Stato. Le lotte attuali, prese nella loro globalità, invece di accettare l’omogeneità dello Stato, del capitalismo, della tecnologia, conducono a differenze. La nostalgia per la Cortina de Nopal non c’entra niente con la sinistra. Le lotte di emancipazione sono sempre state internazionaliste.

Certamente – come ha sottolineato lo storico sociale inglese Edward P. Thompson – cercare di influenzare il corso della storia per mezzo di movimenti dal basso è un compito ingrato e terribilmente lungo. Ma, a lungo andare, è uno dei pochi posti onorevoli in cui stare.

Nella sua tappa europea, la delegazione marittima dell’EZLN, alla quale si uniranno altri delegati che arriveranno in aereo, visiterà più di 30 paesi. E lì incontreranno migliaia di attivisti che, dal 1994, hanno visitato e vissuto per intere stagioni nelle comunità autonome zapatiste. Vedranno le loro vecchie conoscenze altromondiste che oggi (come ieri) sono combattenti instancabili contro il fascismo, generosi organizzatori di migranti, costruttori vitali di nuove forme di convivenza urbana, agguerriti sindacalisti in un mondo del lavoro precario, feroci demolitori di statue di mercanti di schiavi e colonialisti (https://bit.ly/2PluaBF).

I legami duraturi e sorprendentemente vitali tra gli zapatisti ed i loro interlocutori europei, nonostante il passare degli anni, sono stati ignorati o sono passati inosservati da chi guarda il mondo dall’alto. Tuttavia, hanno segnato profondamente le dinamiche delle lotte antisistemiche. Sebbene formalmente lo sia, Bruxelles non è più la capitale dell’Unione Europea. Sulla mappa della resistenza, Atene, Genova, Gibilterra o i centri di arrivo dei migranti hanno cambiato la mappa delle resistenze ed occupano il suo posto.

Tra entrambi c’è una lunga storia di cooperazione, solidarietà dal basso, linguaggio condiviso, rivendicazione e reinvenzione del comune; il noi. Hanno sviluppato un orizzonte collettivista, antiautoritario ed egualitario. I loro stili di vita alternativi sono profondamente intrecciati. Hanno forgiato legami di amicizia, affetto e comunione a prova di avversità. Sono una comunità unita da idee, sentimenti ed esperienze comuni. Tra loro c’è, anche se in maniera incipiente, un destino globale creato congiuntamente (https://bit.ly/3gDMd14).

Il viaggio zapatista può essere letto come un esodo dal tessuto organizzativo in cui sono istituzionalizzate le ortodossie. I ribelli di entrambi i continenti condividono che le loro eresie sono nate dalle periferie. Come sottolinea il filosofo francese Henri Lefebvre, la periferia a volte si trova al centro, o è la chiave per raggiungerlo. Solo le periferie raggiungono la coscienza e la conoscenza dei centri. La coscienza periferica metodicamente guidata permette – dice – di raggiungere la conoscenza del centro e del mondo.

Molto distante dalla waltdisneyizzazione del passato, con il riconoscimento delle memorie dei popoli storici del continente americano in pegno, confrontati radicalmente con il persistere dell’arroganza coloniale, lungi dal vittimismo paralizzante che non rompe con le logiche del potere, hanno deciso di seguire un’altra politica per la vita, che non è soggetta all’orologio degli affari o al calendario di quelli sopra. La loro proposta, che evita di ripetersi e nasce dalle loro realtà terrene, sfugge ai tempi dell’economia e ai momenti della rappresentazione.

Nell’ora della parola, dalla Lacandona al mondo, in procinto di levare le ancora a Isla Mujeres per solcare le acque dell’Atlantico, gli zapatisti, come i marinai, non parleranno sotto voce, perché, come si sa, il mare parla forte.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2021/04/27/opinion/016a1pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Rotta di Ixchel.

Aprile 2021

La Montaña uscirà.

Da una delle case de Ixchel, la madre dell’amore e la fertilità, la nonna di piante e animali, madre giovane e madre anziana, la rabbia nella quale il dolore della terra si trasforma quando è ferita e macchiata, uscirà la Montaña.

Una delle leggende maya racconta che Ixchel si distese sul mondo in forma di arcobaleno. Lo fece per dare così al pianeta una lezione di pluralità e inclusione, e per ricordargli che il colore della terra non è uno solo, bensì molti, e che tutti, senza smettere di essere quel che sono, illuminano la meraviglia della vita. E lei, Ixchel, la donna arcobaleno, abbraccia tutti i colori e li rende parte di sé.

Nelle montagne del sudest messicano, nella lingua di radice maya dei più vecchi tra i vecchi, si narra una delle storie di Ixchel, madre-luna, madre-amore, madre-rabbia, madre-vita. Parlando il Vecchio Antonio, così disse:

“Da oriente venne la morte e la schiavitù. Arrivò e basta. Non possiamo cambiare niente di ciò che è stato. Ma così disse Ixchel:

Che domani ad oriente navighino la vita e la libertà nella parola delle mie ossa e sangue, le mie figlie. Che non comandi un colore. Che non comandi nessuno affinché nessuno ubbidisca e che ognuno sia ciò che è con gioia. Perché la pena e il dolore vengono da chi vuole specchi e non vetri per affacciarsi su tutti i mondi che io sono. Con rabbia bisognerà rompere 7 mila specchi fino ad alleviare il dolore. Molta morte dovrà dolere perché, finalmente, il cammino sia la vita. Che l’arcobaleno incoroni dunque la casa delle mie figlie, la montagna che è la terra dei miei successori”.

Quando l’oppressione arrivò in ferro e fuoco sul suolo maya, il Ts´ul, arrivato da lontano, vide molte figure della dea arcobaleno e così chiamò questa terra: Isla Mujeres.

Una mattina del domani, quando la croce parlante invochi, non il passato, ma il futuro, la montagna navigherà fino alla terra del Ts´ul e attraccherà di fronte al vecchio olivo che dà ombra al mare e identità a chi vive e lavora su quelle coste.”

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Il giorno 3 maggio dell’anno 21 del secolo 21, da Isla Mujeres, Quintana Roo, Messico, salperà la Montaña per attraversare l’Atlantico in una traversata che sa molto di sfida e nessun rimprovero. Nel sesto mese del calendario, avvisterà le coste del porto di Vigo (Ciudad olívica), Pontevedra, nella Comunità Autonoma della Galizia, Stato Spagnolo.

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Se non si potrà sbarcare, sia per il COVID, migrazione, pura discriminazione, sciovinismo, o che si sbagliano di porto o l’ostia, saremo preparati.

Siamo pronti ad aspettare e lì, di fronte alle coste europee, spiegheremo un grande striscione che dica “Sveglia!“. Aspetteremo di vedere se qualcuno leggerà il messaggio e poi se, in effetti, si sveglierà; e di vedere ancor di più se farà qualcosa.

Se l’Europa del basso non vorrà o non potrà, allora, previdenti, abbiamo 4 cayucos con rispettivi remi ed intraprenderemo il ritorno. Certo, ci vorrà un po’ per arrivare a scorgere le sponde della casa di Ixchel.

I cayucos rappresentano 4 tappe del nostro essere zapatisti:

.- La nostra cultura come popolo originario di radice maya. È il cayuco più grande dentro il quale possono starci gli altri 3. È un omaggio ai nostri antenati.

.- La tappa della clandestinità e la sollevazione. È il cayuco che segue il primo per dimensione, ed è un omaggio ai caduti del primo gennaio 1994.

.- La tappa dell’autonomia. È il terzo per volume, dal maggiore al minore, ed è un omaggio ai nostri villaggi, regioni e zone che, in resistenza e ribellione, hanno innalzato ed innalzano l’autonomia zapatista.

.- La tappa dell’infanzia zapatista. È il cayuco più piccolo che hanno dipinto e decorato bambini e bambine zapatiste con le figure ed i colori che hanno deciso loro.

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Ma, se riusciremo a sbarcare ed abbracciare con la parola coloro che là lottano, resistono e si ribellano, allora ci saranno festa, ballo, canzoni, e cumbie ed i fianchi scuoteranno suoli e cieli distanti tra loro.

E, su entrambi i lati dell’oceano, un breve messaggio inonderà tutto lo spettro elettromagnetico, il cyberspazio e l’eco sarà nei cuori:

вторгнення почалося
bosqinchilik boshlandi
a invasión comezou
Die Invasion hat begonnen
istila başladı
la invasió ha iniciat
l’invasione hè principiata
invazija je započela
invaze začala
инвазията е започнала
invasionen er startet
invázia sa začala
invazija se je začela
la invado komenciĝis
the invasion has started
invasioon on alanud
inbasioa hasi da
hyökkäys on alkanut
l’invasion a commencé
mae’r goresgyniad wedi cychwyn
η εισβολή έχει ξεκινήσει
tá an t-ionradh tosaithe
innrásin er hafin
l’invasione è iniziata
بدأ الغزو
êriş dest pê kiriye
iebrukums ir sācies
prasidėjo invazija
d’Invasioun huet ugefaang
започна инвазијата
bdiet l-invażjoni
de invasie is begonnen
invasjonen har startet
حمله آغاز شده است
rozpoczęła się inwazja
a invasão começou
invazia a început
вторжение началось
инвазија је започела
invasionen har börjat

“L’invasione è iniziata”.
.-.. .- / .. -. …- .- … .. — -. / …. .- / .. -. .. -.-. .. .- -.. — (in alfabeto morse)

E forse, solo forse, Ixchel, dea luna, sarà allora illuminazione sul nostro cammino e, come in questa alba, luce e destino.

In fede.

Dal Centro di Addestramento Marittimo-Terrestre Zapatista
Semillero Comandanta Ramona. Zona Tzotz Choj.

Il SupGaleano.
Messico, 26 aprile 2021. Luna piena.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale, video e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/26/la-ruta-de-ixchel/

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