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Ondata di aggressioni.

La Jornada – Martedì 26 maggio 2009

Ondata di aggressioni contro ejidatari del Chiapas che si oppongono alla costruzione di un’autostrada

HERMANN BELLINGHAUSEN

Denunciando i soprusi e le aggressioni compiute da presunti evangelici nella comunità tzotzil di Mitzitón, nel municipio San Cristóbal de las Casas, Chiapas, i rappresentanti ejidali e comunali hanno messo a nudo non un problema religoso (che è servito di facciata) bensì manovre governative per imporre il passaggio sulle loro terre della pluriannunciata autostrada per Palenque.

I rappresentanti ejidali denunciano le azioni di un gruppo di elementi della Chiesa denominata Alas de Águila, in complicità con il capo della residenza della Procura Agraria di San Cristóbal, Rufino Rosales Suárez. I problemi sono cominciati il 16 aprile, quando Carmen Díaz López, Pablo Díaz López e Antonio Gómez Hernández hanno invaso terreni ad uso comunale senza l’autorizzazione dell’assemblea. Díaz López non vive a Mitzitón, ma nella comunità Nuevo Jardín, municipio de Teopisca, dove è pastore. “Da molti anni sta provocando ed era stato espulso dall’ejido per illeciti commessi per traffico di clandestini”, ricordano gli ejidatari.

Più di otto anni fa erano stai notificati alle autorità i reati di queste persone, senza effetto alcuno. Ora, l’assemblea informa “al malgoverno” che ha deciso di rimuovere le recinzioni installate dagli invasori. “Chiediamo loro di smetterla di creare conflitti con gli ejidatari di Flores Magón e Mitzitón. Abbiamo deciso di seminare alberi in questa area di uso comune”.

E sottolineano: “Curiosamente, l’area che hanno invaso si trova all’interno della superficie minacciata dal passaggio dell’autostrada (La Jornada, 21 aprile). Inoltre non sono nemmeno ejidatari riconosciuti, sono solo invasori”.

Gli ejidataris denunciano che gli invasori stanno abbattendo alberi ejido, mentre Miguel e Roberto Heredia de la Cruz “sono responsabili di furto con violenza di 130 sacchi di fertilizzante biologico del centro dell’ejido”.

Compiendo la loro azione, gli invasori hanno rotto tutti i verbali di accordo: “Noi come autorità del villaggio abbiamo rispettato il dialogo, ma quelli che non lo rispettano sono il malgoverno, i pastori e la loro gente; sono loro quelli che provocano e violano gli accordi”. In un verbale di assemblea del 19 giugno 2008, “dove figuravano 42 proprietari, furono falsificate dalla Procura Agraria 116 firme; avevano firmato perfino 8 morti e 2 detenuti, inoltre non è mai stato reso noto all’assemblea il contenuto dei verbali”. Quegli accordi furono imposti “con minacce ed inganni” alle precedenti autorità della comunità.

“Abbiamo dimostrato di essere ben disposti ad arrivare ad un accordo con i nostri compagni campesinos indigeni”, dichiarano le vittime. “Il 17 maggio si sono presentati in assemblea due evangelici per chiedere la loro partecipazione nell’ejido, accettando la cooperazione col villaggio, le assemblee, i lavori comunali, e sono stati accolti come ejidatarios, registrati nel registro del villaggio”.

Gli illeciti di Díaz López risalgono al 1999, “e tuttora tiene il suo gruppo organizzato di delinquenti”. Per dieci anni le autorità non hanno prodotto nessun risultato dalle indagini su queste persone. “Eravamo disposti al dialogo, abbiamo firmato accordi, ma vediamo che non c’è rispetto verso la nostra comunità da parte dei funzionari. Non permetteremo la divisione del nostro ejido, né l’esproprio delle nostre terre, né cadremo nelle provocazioni”, rimarcano gli ejidatarios.

Infine, esigono “la liberazione immediata dei sette compagni prigionieri politici aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón”, così come del maestro Alberto Patishtán Gómez, di La Voz del Amate, detenuto da otto anni e dieci mesi.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ancora espropri agli zapatisti.

La Jornada – Domenica 24 maggio 2009

La JBG denuncia che su questi poderi costruiscono una “casa de salud” alla quale affluiscono aiuti governativi

Leader perredisti sottraggono terreni ad un contadino zapatista, denuncia la JBG

Hermann Bellinghausen – Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis., 23 maggio. La giunta di buon governo (JBG) Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo, dal caracol di Oventic, negli Altos del Chiapas, denuncia che dirigenti perredisti ed autorità ejidali hanno sottratto due terreni ad un contadino zapatista in Elambó Bajo (municipio di Zinacantán), “per ordine della Procura Agraria di San Cristóbal de Las Casas e del commissario dei beni comunali di Zinacantán”, per edificare una “casa de salud”, dove si distribuiranno i programmi governativi, come Oportunidades, in un momento di proselitismo elettorale e senza basi legali.

Il proprietario legittimo di questi terreni, Mariano López López, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale di Elambó Bajo, sostiene che il podere in cui vive “è l’eredità lasciata da suo padre” e che è lì da 62 anni. Ora, “le autorità ufficiali della comunità ed i leader perredisti lo accusano di essere un invasore.”.

Il problema risale all’11 di aprile, quando Juan González Pérez ed altri perredisti hanno invaso due parti del terreno, spiega la JBG. Uno nel luogo chiamato Bavó, di 13 metri per 11,50, 10 e 13. Questo terreno non “è sua eredità, ma l’ha comperato per proprio conto.”.

Lo stesso giorno hanno invaso il sito Yolonté, di fianco all’abitazione di López López, a circa cento metri dal terreno precedente. Le sue misure sono 18,90 metri, per 22,30, 10 e 17.20. Gli invasori “hanno messo tronchi e pietre per delimitare il confine, questo terreno il compagno l’ha ereditato”.

La JBG sottolinea che di fronte a questi fatti non ha agito “perché come zapatisti non vogliamo avere problemi con i nostri fratelli della comunità, decidendo di aspettare che cosa avrebbero fatto” gli invasori filogovernativi.

Il giorno 20 i perredisti guidati di nuovo da González Pérez, “hanno dato via ad una provocazione costruendo una casa sul terreno invaso”. L’edificio servirebbe “alle persone affiliate ai diversi partiti politici”.

In precedenza López López era ricorso al presidente dei beni comunali Francisco Hernández Pérez. “Si organizzò un’assemblea alla quale parteciparono 80 persone della comunità, tra loro Juan e Mariano González Pérez, che dissero che il terreno che avevano occupato non aveva padrone”, mentre i testimoni di Mariano López López affermarono che quelle terre sono di sua proprietà “come eredità lasciata da suo padre”; i testimoni, chiarisce la JBG, “sono maggiorenni”.

Il presidente de beni comunali, “per risolvere il problema ha fatto un accordo” a favore dei perredisti. I testimoni dell’indigeno zapatista “hanno cercato di spiegare nuovamente le sue ragioni ma non sono stati ascoltati”.

La JBG sottolinea che “durante tutte queste azioni di sottrazione di terre erano presenti gli agenti municipali e rappresentanti della comunità tzotzil; alcuni di loro avevano guidato l’attacco (a spari) ai nostri compagni basi di appoggio zapatiste il 10 aprile 2004, quando hanno lasciato senza acqua i nostri compagni basi di appoggio a Jechvó”.

In quell’imboscata diversi zapatisti disarmati e pacifici furono feriti dalle pallottole, alcuni anche gravemente.

La JBG denuncia che queste azioni “non sono per il bene della società, ma sono atti di distruzione e provocazione”.

Comunicato completo della JBG http://enlacezapatista.ezln.org.mx/denuncias/1735

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ecofronteras e l’EZLN

La Jornada – Sabato 23 maggio 2009

Per 12 anni Ecosur ha eluso il tema

Ecofronteras affronta l’insurrezione dell’EZLN

Elio Henríquez – Corrispondente

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 22 maggio. La presentazione del numero 36 della rivista Ecofronteras, organo ufficiale del Colegio de la Frontera Sur (Ecosur), ha sollevato un acceso dibattito che per la prima volta in 15 anni riguarda l’insurrezione zapatista del 1994.

Esperanza Tuñón Pablos, direttrice di Ecosur, ha dichiarato che “con questo numero vogliamo contribuire modestamente alla riflessione ed al dibattito circa la trascendenza di questo movimento che ha rappresentato lo spartiacque nella lotta contro la disuguaglianza e la povertà e nella ricerca di un modello alternativo di società”.

La pubblicazione di Ecofronteras è iniziata nel 1997 e non aveva mai affrontato lo zapatismo, ma la direttrice di Ecosur, dipendente del Consiglio Nazionale di Scienza e Tecnologia, che si è insediata alla fine dell’anno scorso, afferma: “Ci interessa segnalare che non si può rendere invisibile il tema” del movimento ribelle chiapaneco.

Tuñón Pablos è la prima donna ad occupare la direzione di Ecosur e, a differenza dei suoi predecessori, è orientata alle scienze sociali. Una delle sue prime azioni è stato non rinnovare l’interscambio con il gruppo statunitense Peace Corps, che si ritiene abbiano vincoli con la CIA.

Attratte dall’argomento, più di 100 persone hanno assistito alla presentazione della rivista la sera di giovedì nel centro culturale Tierra Adentro.

Dopo aver ascoltato alcuni articolisti della pubblicazione, molti presenti hanno applaudito alla decisione di occuparsi dello zapatismo. Altri hanno criticato che l’argomento è stato affrontato superficialmente. Tuñón Pablos ha risposto: “In questo numero abbiamo voluto presentare diversi punti di vista di colleghi ed esperti su come lo zapatismo ha impattato, influito e si è articolato, nell’ambito dell’indagine che è la nostra missione”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 22 maggio 2009

Avvenne a Corralchén dove morirono tre militari ed un ribelle

Oggi, 16 anni fa, il primo scontro tra l’Esercito e l’EZLN

ELIO HENRÍQUEZ

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 21 maggio. Questo venerdì si compiono 16 anni dal primo scontro tra militari dell’Esercito Messicano e elementi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che avvenne sulla montuosa di Corralchén, nella selva Lacandona, dove fu distrutto l’accampamento ribelle Las Calabazas.

Secondo le informazioni fornite allora dall’Esercito federale, il primo scontro armato tra i suoi militari e le allora sconosciute forze zapatiste avvenne il 22 maggio 1993, mentre elementi della truppa stavano facendo addestramento militare sulla catena montuosa di Corralchén.

L’informazione fu divulgata in una lettera che il 31 maggio 1993 il tenente colonello José Guadalupe Rodríguez Olvera, capo dell’ufficio di stampa della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena), inviò all’allora direttore di La Jornada, Carlos Payán Velver, dopo la pubblicazione di alcune notizie che si riferivano allo scontro.

Nel documento si diceva che da 14 di maggio di quell’anno, personale del 83° Battaglione di Fanteria che stava “realizzando pratiche da addestramento sul terreno su aree disabitate del municipio di Ocosingo, veniva aggredito con armi da fuoco da un gruppo non identificato di individui che presumibilmente realizzava attività illegali”.

Precisava che nello scontro fu ucciso un ufficiale e feriti un sergente ed un capo, e “nel tentativo di respingere l’aggressione, perdeva non la vita un civile non identificato (nel 1994 si sarebbe saputo che si trattava di un ufficiale dell’EZLN) che portava un fucile mini-14 calibro 223, fatti che sono stati opportunamente messi a conoscenza dell’agente del Pubblico Ministero Federale nella città di Tuxtla Gutiérrez”.(…….)

Durante la ricerca degli “sconosciuti”, un giorno prima dell’omicidio dell’arcivescovo di Guadalajara, Juan Jesús Posadas Ocampo, il 23 maggio 1993, avvenne un secondo scontro tra soldati e zapatisti, mentre questi cercavano di uscire dalla zona.

Nel secondo scontro risultò ferito un altro ufficiale dell’Esercito Messicano. I morti furono il sottotenente José Luis Vera de Jesús e Librado Santís Gómez, elementi della truppa; i feriti, Mauro García Martínez e Lucio Hernández Xolo, oltre allo “sconosciuto”.

A causa degli scontri e della scoperta e smantellamento dell’accampamento zapatista, l’Esercito Messicano dislocò nella zona migliaia di soldati. Il centro di operazioni fu stabilito a Nazaret, dove la Petróleos Mexicanos aveva gli impianti. Le operazioni erano guidate dallo stesso titolare della Sedena, generale Antonio Riviello Bazán, ma giorni dopo le truppe furono ritirate per ordine del presidente Carlos Salinas de Gortari, poiché nel Congresso degli Stati Uniti stava per essere votato il Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord.

Questo permise all’EZLN di continuare con i preparativi e sollevarsi in armi il primo gennaio del 1994, davanti allo stupore non solo del paese ma del mondo.

In questo contesto è stato oggi presentato il numero 36 della rivista Ecofronteras, nel quale, facendo un bilancio degli oltre 15 anni del sollevamento indigeno, il Colegio de la Frontera Sur (Ecosur) afferma che la nascita e l’evoluzione del movimento zapatista “ha significato un cambiamento sostanziale nel divenire dei popoli indios del Messico”.

Per Ecosur, “sembra incredibile che lo Stato messicano, con circa trecentomila militari ben armati ed addestrati e con un grande sostegno economico, non sia riuscito a cancellare dalla mappa un esercito indigeno, quasi analfabeta, quasi senza armi, quasi senza cibo… ma con molte speranze”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Proteste per gli ultimi arresti.

La Jornada – Venerdì 22 maggio 2009

L’avvocato dei detenuti denuncia che continuano gli abusi contro i suoi assistiti

Esortano a “alzare la voce” per la liberazione dei sette tzeltales arrestati

Gruppi dei diritti umani si appellano agli aderenti nazionali ed internazionali dell’Altra Campagna

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 21 maggio. Cresce la protesta per la liberazione dei sette contadini tzeltales di San Sebastián Bachajón, arrestati dal governo del Chiapas tra il 13 e 17 aprile con l’accusa di essere “rapinatori di strada”. Tra organizzazioni sociali e dei diritti umani aumenta anche la certezza che sono “prigionieri politici”, ostaggi del governo, perché contrastano la realizzazione dei piani di sviluppo turistico nella regione di Agua Azul.

Nonostante la liberazione di Miguel Vázquez Moreno, base di appoggio dell’EZLN, una trentina di organizzazioni e collettivi dell’Altra Campagna oggi hanno invitato la Zezta Internazional e gli aderenti di tutto il Messico ad “alzare la voce e le forze” per chiedere la liberazione di Gerónimo Gómez Saragos, Antonio Gómez Saragos, Gerónimo Moreno Deara, Miguel Demeza Jiménez, Sebastián Demeza Reara, Pedro Demeza Reara e Alfredo Gómez Moreno.

Chiedono che, secondo “proprie forme e modalità”, tutti gli aderenti dell’Altra Campagna “promuovano azioni di propaganda e diffusione su quanto succede in Chiapas, e sulla persecuzione di cui sono vittime i compagni basi di appoggio zapatiste”. Propongono che il 30 maggio si realizzi una mobilitazione nazionale ed internazionale, ed il 7 giugno un festival nel Giardino Cuitláhuac, di Iztapalapa.

Invitano i partecipanti “a realizzare nei loro luoghi conferenze, incontri e festival informativi”. All’appello della Rete Nazionale contro la Repressione e per la Solidarietà si uniscono, tra altri, lo Spazio di coordinamento dell’Altra Campagna nella Valle de México, La Otra Puebla, Colectivo Naucalpan, Coordinadora Valle de Chalco, Frente del Pueblo, Karakola Global, Los Nadies, Partido de los Comunistas, Unidad Obrera y Socialista, e Unión de Vecinos y Damnificados 19 de Septiembre.

Il presidio di Molino de Flores, Texcoco, dove si trovano 12 prigionieri politici di Atenco, ha ribadito l’impegno “di lottare per la liberzione dei nostri carcerati, dovunque siano”. I presenti al presidio hanno dichiarto che gli arresti a San Sebastián sono parte della guerra contro le comunità ribelli che difendono il loro territorio e le loro risorse naturali. “I compagni sono in carcere perchè lottano per la vita, per le loro comunità, perchè si oppongono al potere ed ai piani economici”. Esigono che “il governo ed i suoi gruppi paramilitari smettano di attaccare le comunità zapatiste”.

La Confederazione Generale del Lavoro (CGT) dello Stato Spagnolo si è unita oggi alla convocazione di mobilitazione, ed i collettivi, gruppi, aderenti e simpatizzanti dell’Altra Campagna nello stato di Morelos invitano ad incontrarsi presso il monumento di Zapata, a Cuernavaca, per manifestare il prossimo 30 maggio contro la “detenzione arbitraria di sette compagni e la falsa accusa di rapina” che pesa su di loro.

Ricardo Lagunes, difensore dei sette indigeni detenuti a El Amate, informa che “continuano a fare lavori forzatamente per ordine dei “precisos“, giorno e notte e dormono sul pavimento, cioè, proseguono le condizioni di maltrattamento e vessazione senza che le autorità facciano nulla per garantire la loro integrità”.

Dopo un incontro con loro nel parlatorio della prigione di Cintalapa, l’avvocato ha confermato che Gerónimo Moreno Deara, responsabile del Comitato contro la repressione di San Sebastián Bachajón, è ferito a una costola sinistra che sembra essere rotta. Gerónimo riferisce di essere stato portato in un posto e lasciato senza magiare e a dormire sul pavimento, e visitato da alcune persone, apparentemente medici, “che gli hanno dato qualche ricetta e due medicinali, hanno fatto raggi X, ma fino ad ora non hanno fatto niente altro”.

Interrogato al riguardo, l’incaricato dell’area giuridica di El Amate ha spiegato che avevano trasferito momentaneamente Moreno Deara “perché sul giornale era uscito che era malato e ferito”, e siccome non sapevano se questo era avvenuto dentro o fuori, l’hanno spostato momentaneamente “per proteggere la sua integrità”. Che le persone che l’hanno visitato erano periti della Procura Generale di Giustizia dello stato, inviati su istruzioni del procuratore. Contraddicendo la versione dell’indigeno, ha detto di ver dato da mangiare al detenuto, ma non ha specificato cosa. Il detenuto è già stato riportato in carcere.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia di torture.

La Jornada – Sabato 16 maggio 2009

http://www.jornada.unam.mx

RILASCIATO MIGUEL VAZQUEZ MORENO, BASE DELL’EZLN RINCHIUSO NEL CARCERE DI EL AMATE

Hermann Bellinghausen – Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis. 15 maggio. Gli otto contadini tzeltales di San Sebastián Bachajón, sotto processo nella prigione di El Amate, da una settimana sono costretti a lavori forzati per tutte le 24 ore da parte dei “precisos“, la mafia dei detenuti meticci che controlla la prigione “agli ordini delle autorità”. Tuttavia, questa mattina è stato rilasciato Miguel Vázquez Moreno, l’unico di loro che è base di appoggio dell’EZLN. Gli altri sette, aderenti dell’Altra Campagna, restano in carcere. Il governo insiste nelle sue accuse contro di loro.

Di fronte alle allarmanti condizioni della loro detenzione, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) ieri ha chiesto che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) “richieda” allo Stato messicano di adottare “senza indugio”, misure di protezione per i detenuti, perché in caso contrario “l’integrità personale dei reclusi è a rischio”.

L’appello è stato rivolto a Santiago Cantón, titolare della CIDH, da parte di Blanca Isabel Martínez Bustos a nome del CDHFBC, per segnalare che gli indigeni si trovano “ingiustamente” in carcere nel Centro Statale di Reinserimento Sociale numero El Amate (CERSS 14). Nella missiva identifica come “prigionieri politici” Gerónimo Moreno Deara, Antonio Gómez Saragos, Gerónimo Gómez Saragos, Alfredo Gómez Moreno, Miguel Demeza Jiménez, Pedro Demeza Deara e Sebastián Demeza Deara, così come Miguel Vázquez Moreno, ora rilasciato.

Il CDHFBC ha raccolto la testimonianza dei detenuti, “sottoposti a lavori forzati per le intere 24 ore del giorno e minacce alla loro integrità personale da parte dei cosiddetti ‘precisos‘ ” che sono appoggiati dalle autorità carcerarie. In particolare, Gerónimo Moreno Deara “presenta difficoltà sia a parlare che respirare e non è mai stato assistito da un medico del centro penitenziario”.

La detenzione di questi indigeni, secondo Martínez Bustos, “si inserisce nel quadro di persecuzione politica del governo del Chiapas e federale nei confronti degli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, e delle basi di appoggio dell’EZLN dello stesso ejido, a causa della loro attività di organizzazione e difesa dei loro diritti come popolo indigeno, del territorio e delle risorse naturali, e per essersi assunti il compito di fornire sicurezza agli abitanti dell’ejido di fronte all’inefficienza e corruzione degli elementi delle polizie che operano nella regione”.

Il CDHFBC ha documentato violazioni dei diritti umani specialmente contro la popolazione indigena dei centri di reinserimento del Chiapas, sottoposta a schiavitù ed obbligati a vivere in spazi fisici senza le minime garanzie di dignità”. Tali pratiche “di discriminazione e violenza razziale sono tollerate dalle autorità” ed eseguite “da detenuti di origine meticcia conosciuti come ‘precisos‘ che mantengono il controllo della popolazione carceraria”.

Per tutto questo, lo Stato messicano “ha l’obbligo internazionale di garantire diritti e libertà”, si dice nel comunicato. Per quanto riguarda “l’integrità e la vita delle persone sotto la sua custodia, non si limita all’obbligo di astenersi dal torturarli o maltrattarli”. Essendo le carceri luoghi in cui lo Stato ha il controllo totale sulla vita dei detenuti, i suoi obblighi includono di “proteggere questi ultimi contro fatti di violenza di qualsiasi origine”.

La Jornada conferma che Miguel Vázquez Moreno è uscito da El Amate alle ore 8 di oggi, e che in modo molto informale il governo dello stato, tanto meticoloso, gli ha dato “uno strappo” fino alla città di Ocosingo, senza però chiedergli scusa per l’oltraggio. Fermato il 18 aprile e subito riconosciuto dalla giunta di buon governo di Morelia, è stato privato della libertà per quasi un mese.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La Jornada – Sabato 9 maggio 2009

Los de Abajo

Nuovi prigionieri politici

Gloria Muñoz Ramírez

In Chiapas c’è allerta. A partire dall’8 maggio ci sono nuovi prigionieri politici zapatisti: uno, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e sette membri dell’Altra Campagna. Tutti loro vittime di una cospirazione politica al più alto livello, che ha come sfondo il controllo ufficiale e privato dei siti turistici dello stato, concretamente le contese cascate di Agua Azul. In Chiapas c’è un appello urgente non solo a stare in allerta, ma condannare l’arresto degli otto tzeltales sottoposti ad un processo segnato da irregolarità: torture, trattamenti degradanti, fermi illegali, mancanza di interpreti e, alla fine, l’accusa di una serie di reati (furto con violenza e criminalità organizzata) che in situazioni normali (o la normalità è l’ingiustizia?) non potrebbero essere provati per la semplice ragione che sono innocenti e che due dei veri colpevoli si trovano sotto custodia delle autorità autonome zapatiste.

Il 13 aprile scorso la polizia statale e federale preventiva catturava, torturava e fermava illegalmente sei coloni tzeltales dell’ejido di San Sebastián Bachajón. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, che ha seguito il caso fin dal primo momento, constatò i segni di tortura con cui, come denunciato dagli arrestati, furono obbligati a firmare un’ammissione di colpa. Successivamente venivano catturati Alfredo Gómez Moreno e Miguel Vázquez Moreno, quest’ultimo base di appoggio dell’EZLN, contro i quali furono commessi gli stessi abusi.

Niente è a caso in questo processo. I nuovi prigionieri politici sono attivisti sociali dell’ejido Bachajón, proprio all’ingresso alle splendenti cascate di Agua Azul, che difendono i loro diritti territoriali e respingono qualsiasi piano governativo che non li coinvolga, come la costruzione della strada San Cristóbal de las Casas-Palenque, il progetto turistico più ambizioso del governo di Juan Sabines. Le pressioni per espropriare gli ejidatari tzeltales non sono nuove. Il 4 novembre 2008 Jerónimo Moreno Demeza fu colpito dagli spari di un membro dell’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), gruppo paramilitare incaricato del “lavoro sporco”, i cui membri hanno accompagnato la polizia durante gli attuali arresti.

A partire da ora i governi federale e statale si troveranno una patata bollente nella prigione di El Amate, Chiapas, perché inizierà una campagna per la liberazione degli imputati. La giunta di buon governo zapatista ha lanciato un appello alla solidarietà. Ancora non è detta l’ultima parola.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Arrestati simpatizzanti EZLN.

La Jornada – Sabato 9 maggio 2009

La Giunta di Buon Governo di Morelia ha comunicato l’arresto dei “veri colpevoli”

Trasferiti nel carcere di El Amate gli otto simpatizzanti dell’EZLN e dell’Altra Campagna

Senza prove e senza la presenza del giudice la segretaria del tribunale ha decretato l’arresto formale

Hermann Bellinghausen – Inviato

Caracol di Morelia, Chis., 8 maggio. Juan Sabines Guerrero, governatore perredista del Chiapas ha i suoi primi “prigionieri politici” zapatisti trasferiti oggi nella prigione di El Amate, a Cintalapa de Figueroa. Sono otto: uno, base di appoggio dell’EZLN, e sette dell’Altra Campagna.

Prima di apprendere la notizia, questa mattina, la giunta di buon governo (JBG) di Morelia aveva informato di avere sotto la sua custodia i due assalitori rei confessi (che io stesso ho potuto vedere e raccoglierne le dichiarazioni) che operavano nelle vicinanze di Agua Azul, sulla strada Ocosingo-Palenque.

Nel primo pomeriggio, prima del termine legale ed in assenza non solo di prove, ma perfino del giudice, la segretaria del tribunale del distretto di Tuxtla Gutiérrez a El Amate, Fabiola del Rosario Díaz García, ha decretato formale arresto contro gli otto contadini tzeltales di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón).

Secondo la difesa, “si conferma il carattere politico del processo, diretto dalla segreteria del Governo del Chiapas, a guida di Noé Castañón, amico personale del segretario di Governo, Fernando Gómez Mont”. Questo conferma, aggiungono gli avvocati, “l’assoggettamento del Potere Giudiziale all’Esecutivo dello stato”.

Da parte sua la JBG sostiene di avere pienamenteidentificato la banda che da due anni agisce in quella regione ed i cui legami con agenti della Polizia Statale Preventiva (PEP) e Stradale (PEC) sono noti a Betel Yochip ed Agua Clara. “I priisti se la ridono che in prigione ci stiano i compagni e non i veri ladri”, ha detto a La Jornada uno zapatista di Agua Clara nel caracol di Morelia.

La banda di assaltanti (quella vera) è composta da Manuel Pérez Gómez, identificato come il “capo” del gruppo, dai suoi figli Pedro, Sebastián e Juan Pérez Cruz, e dai fratelli Miguel, Pascual e Jacinto Hernández Moreno. Questi ultimi si riunivano nella sua casa con agenti della polizia statale nei giorni scorsi, durante gli operativi scatenati dal governo statale nelle vicinanze di Agua Azul.

I due giovani sotto custodia, Manuel Pérez Gómez (omonimo del precedente) e Manuel Gómez Vázquez, di 19 e 16 anni rispettivamente, sono stati denunciati alla JBG dai loro stessi familiari ed erano nuovi nella banda. Attualmente svolgono “lavori comunitari” in una milpa gestita dall’autorità autonoma e ricevono sostentamento insieme alle decine di basi zapatiste che lavorano nel caracol. Trascorrono la notte in due celle separate.

La JBG di Morelia ribadisce l’arresto ingiustificato dello zapatista Miguel Vázquez Moreno, catturato “di sorpresa, mentre lottava per guadagnarsi la giornata per sé e la famiglia, trasportando persone” nel centro turistico di Agua Azul.

“E’ evidente che il malgoverno del Chiapas sta provocando e costruendo false accuse, obbligandoli a firmare la loro deposizione con minacce e torture da parte dei poliziotti. Per noi, il nostro compagno è un prigioniero politico”. La JBG attribuisce “all’incapacità di Juan Sabines” il fatto che “suoi repressori hanno torturato ingiustamente i nostri compagni, mentre i veri delinquenti stanno godendo la libertà nelle proprie case”.

La JBG tiene sotto la sua custodia due dei “veri assaltanti”: Manuel Pérez Gómez, di Flor de Cacao (municipio Benemérito de las Américas) “con tatuaggi sulla mano sinistra ccon scitto ‘crimine’, e una croce a fianco, e cicatrici di vecchie ferite su entrambe le braccia che egli stesso si fece”, e Manuel Gómez Vázquez, di Agua Clara (municipio Salto de Agua).

Questi erano stati ingaggiati “dai veri capi degli assaltanti” (sopracitati) e portano armi calibro 22 a 16 colpi e nei giorni scorsi hanno sparato “dalla montagna” contro i poliziotti. Erano in pssesso anche di pistole ed armi bianche. “Vivono sulle montagne tra Betel Yochip e Agua Clara”.

Io stesso ho visto due filmati, girati questa settimana, dove i giovani sotto custodia raccontano la loro vita di emigranti a Cancun ed il modus operandi della banda che “li ha ingaggiati” al loro ritorno.

In mattinata ad Ocosingo si è svolta una manifestazione di aderenti dell’Altra Campagna provenienti da diverse parti dello stato per chiedere la liberazione degli indigeni condannati. Il corteo è partito dalla sede autonoma zapatista Primero de Enero per concludersi nella piazza centrale dove sono stati esposti striscioni e cartelli davanti al palazzo municipale, presieduto dal panista Leonel Solórzano.

Testo integrale del comunicato della JBG di Morelia.

http://www.jornada.unam.mx/2009/05/09/index.php?section=politica&article=016n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Arrestati vittime di tortura.

La Jornada – Giovedì 7 maggio 2009

Si dichiarano vittime di tortura da parte di poliziotti in abiti borghesi

Indigeni chiapanechi affermano di essere stati arrestati perchè appartenenti all’EZLN

Si oppongono ai progetti neoliberisti che vogliono trasformare le loro terre in una nuova Cancún

Hermann Bellinghausen, Inviato

El Amate, Chis. 6 maggio. “Le ragioni per le quali sono stato arrestato è perchè appartengo all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale” (EZLN), ha dichiarato oggi Miguel Vázquez Moreno durante la sua deposizione al processo nel Centro Statale per il Reinserimento dei Condannati (CERSS) numero 14, El Amate, dove nessun funzionario o impiegato indossa mascherine né sa che esiste un’emergenza sanitaria nazionale e statale.

A differenza della sua prima “deposizione” resa sotto coercizione in stato di fermo, Vázquez Moreno è assistito da un traduttore nella sua lingua, sebbene di una variante dialettale diversa (il traduttore offerto dalle autorità è di Cancuc, mentre gli otto detenuti sono di San Sebastián Bachajón e parlano lo tzeltal di Chilón). Ma, almeno, si capiscono, ed è già abbastanza.

Da dietro le sbarre si dichiara innocente dei reati imputati e chiede di essere rilasciato per mancanza di elementi per processarlo. E si presenta così: “Sono originario dell’ejido San Sebastián Bachajón e faccio parte delle basi di appoggio dell’EZLN, organizzazione che difende il diritto di esercitare la sua autonomia e libera determinazione come popoli indigeni, il suo diritto al territorio ed alle risorse naturali”.

I governi federale e statale “vogliono imporre progetti economici neoliberisti nel nostro territorio autonomo; come indigeni, la terra è la nostra vita, da lei mangiamo, lavoriamo, cresciamo i nostri figli e è qualcosa di sacro, per questo riteniamo che la terra non si vende ma si lavora e si preserva” aggiunge.

“Il nostro territorio è ricco di acqua, animali, risorse naturali” che, il governo di Juan Sabines Guerrero e federale di Felipe Calderón Hinojosa, hanno detto pubblicamente di voler “trasformare nella ‘Cancun chiapaneca’, ma spogliando gli indigeni della nostra vita, che è la terra, solo perchè imprese straniere e del paese si arricchiscano, così come i funzionari di governo che beneficiano di questi progetti”.

Dentro tali progetti economici, spiega, si trova l’autostrada del Progetto Palenque (CIPP) “che vogliono far passare attraverso il nostro territorio autonomo senza rispettare i nostri diritti; questi progetti vogliono essere imposti ai popoli indigeni senza tenere conto della nostra parola e con discriminazione vogliono toglierci le nostre terre per fini turistici e solo per fare gli interessi degli impresari e del governo federale e statale, mettendoci da parte perchè secondo loro diamo una brutta immagine a questi centri ecoturistici, perchè noi siamo originari, discendenti dei popoli che hanno vissuto su queste terre da prima che esistesse qualsiasi cosa del governo ufficiale”.

Riferisce di essere stato fermato il 18 aprile scorso al crocecia di Agua Azul, insieme ad altri due compagni, senza giustificazione alcuna, da alcuni elementi della Polizia Statale Preventiva che l’hanno poi portato a Tuxtla Gutiérrez, “dove alcuni poliziotti in borghese mi dicevano che io ero un rapinatore e che dovevo firmare dei fogli di cui non conoscevo il contenuto”.

Questi “fogli” sono la deposizione che la Procura Specializzata Contro la Criminalità Organizzata ha esibito come prova d’accusa, per questo Vázquez Moreno si rifiuta di ratificare questa deposizione dato che non è mai venuto a conoscenza del suo contenuto.

In termini simili hanno reso dichiarazioni davanti al giudice gli altri sette detenuti, tutti aderenti dell’Altra Campagna, che in alcuni casi sono stati oggetto di tortura per confessare.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Relativamente alla situazione degli 8 indigeni arrestati dell’ejido San Sebastian Bachajón, Municipio di Chilón, Chiapas, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas sollecita azione urgente di solidarietà.

Vi chiediamo di inviare entro venerdì 8 maggio prossimo comunicazioni agli indirizzi che indichiamo, a causa della situazione di emergenza imposta dalle procedure legali.

Per facilitarvi trasmettiamo un modello di lettera in spagnolo che potrete usare, se lo credete opportuno. Dovete solo aggiungere l’indirizzo di destinazione, la data, il luogo ed il nome vostro e della vostra organizzazione.

Vi chiediamo di scrivere anche alle rappresentanza diplomatiche del vostro paese in Messico. A tale scopo trasmettiamo gli indirizzi delle ambasciate.

Cordiali saluti.
Bárbara Dolman y Rosy Rodríguez

Área de Sistematización e Incidencia

Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas

bricos@frayba.org.mx, bdolman@frayba.org.mx

Qui di seguito, e in allegato, trasmetto la lettera già completa con gli indirizzi email ai quali inviarla.

Io raccoglierò le adesioni che riceverò all’indirizzo maribel_1994@yahoo.it entro giovedì 7 maggio. ma ognuno può inviare autonomamente la lettera agli indirizzi indicati.

Saluti.

Annamaria

Lic. Carlos Alberto Bello Avendaño

Juez Segundo de Penal del Distrito Judicial de Tuxtla Gutiérrez

cbelloa@poderjudicialchiapas.gob.mx

Lic. Juan Gabriel Coutiño Gómez

Tribunal Superior de Justicia

Magistrado Presidente Juan Gabriel Coutiño Gómez

administrator@mail.scjn.gob.mx

Lic. Juan José Sabines Guerrero

Gobernador Constitucional del Estado de Chiapas

Gobernatura del Estado de Chiapas secparticular@chiapas.gob.mx

Rpte. De la Oficina del Alto Comisionado Para Los Derechos Humanos en Mexico oacnudh@ohchr.org

Embajador de Italia en México: Señor Felice Scausosegreteria.messico@esteri.it

copia:

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. accionurgente@frayba.org.mx

——————

città… , Italia, 6 de Mayo de 2009

Manifiestamos preocupación sobre los acontecimientos de la detención arbitraria y actos de Tortura, tratos o penas crueles, inhumanos y degradantes; y violaciones a las garantías judiciales contra  Jerónimo Gómez Saragos, Antonio Gómez Saragos, Miguel Demeza Jiménez, Sebastián Demeza Deara, Pedro Demeza Deara y Jerónimo Moreno Deara, indígenas tseltales, habitantes del Ejido San Sebastián Bachajón, municipio de Chilón, Adherentes a La Otra Campaña, el lunes 13 de abril del 2009, así como al señor  Alfredo Gómez Moreno, vecino del zona de Agua Azul detenido el 17 de abril; y del señor Miguel Vázquez Moreno Base de Apoyo del Ejército Zapatista de Liberación Nacional  detenido el 18 de abril.

Ninguno de los ocho detenidos contaron durante su declaración ministerial no fueron asistidos por interpretes y defensores que tuvieran conocimiento de su lengua y cultura, que en este caso es el tseltal de Bachajón, por lo cual  no tuvieron conocimiento de lo que sucedió en dicha diligencia y por lo tanto firmaron una declaración cuyo contenido desconocen. Con lo que el  ministerio publico que tomó dicha declaración ministerial vulneró lo previsto en los artículos 2º y 20 de la Constitución Federal en su perjuicio.

También fueron violados en perjuicio de los ocho detenidos arbitrariamente las siguientes garantías judiciales:

A los detenidos se les incomunicó vulnerando de esta manera el derecho a un debido proceso por un juez o tribunal competente, independiente e imparcial, además de ser sometidos a actos de tortura y otros tratos o penas crueles inhumanos o degradantes, ocurridos durante su aprehensión, su traslado, arraigo y declaración ministerial y posteriormente arraigados,

Se vulnero el  Derecho a la defensa adecuada, obstruyendo las autoridades ministeriales a los abogados  para asumir la defensa de los detenidos

Ante la gravedad de los hechos y actos arbitrarios y violatorios a los derechos humanos solicito:

1.- Cesar las acciones de represión cometidas en contra de los ocho integrantes de La Otra Campaña del ejido San  Sebastián Bachajón y se les otorgue su se otorgue la libertad inmediata.

2.- Que exija a las autoridades responsables de la Procuración y Administración de Justicia se investigue de manera imparcial, las violaciones a los derecho humanos cometidos por la Tortura, Tratos o penas crueles inhumanos o degradantes, por la detención arbitraria y demás violaciones que fueron objeto los ocho tsetales de la Región de Agua Azul.

Atentamente,

mettere vostro nome e/o nome dell’organizzazione

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Noi prigionieri in Messico tra i fantasmi della peste

di PACO IGNACIO TAIBO II

CITTA’ DEL MESSICO – State tranquilli, amici miei. Non è così terribile come vi dicono, questa non è la città di appestati che vi hanno descritto. Viviamo in un perenne stato di shock, d’accordo. Però esaminate le cifre, la dimensione del fatto. Città del Messico è una metropoli di oltre venti milioni di abitanti, la più popolosa del mondo. Sapete quanti sono i presunti contagiati? Due o tremila al massimo, che fa una percentuale dello 0,0001 eccetera. Tutto molto relativo. Tuttavia, siamo calati in uno scenario straordinario. Spettatori e protagonisti di uno spettacolo da pellicola di fantascienza.

I cinema sono chiusi, i teatri sono chiusi. Niente partite di calcio allo stadio, ristoranti con le serrande abbassate. Scuole primarie ferme come la maggior parte degli uffici pubblici. Ma la gente continua ad andare al lavoro, i servizi di trasporto – metropolitana, pullman, taxi – funzionano regolarmente. Le strade però sembrano quasi deserte. Prive di colori. Mancano le nuvole immobili nel cielo, le pozzanghere, le insegne giallognole al neon, il calore del pomeriggio. Ti fermi un istante, e ti rendi conto che il frastuono di questa città – il torrente della maledetta baraonda di fumo e di clacson, di marmitte che strepitano, di semafori rossi: la sinfonia delle sette di sera – suona lontano, ovattato.

Hai solo occhi per questi fantasmi che camminano in silenzio con le loro mascherine sul volto, mantenendo cinquanta centimetri di rigorosa distanza l’uno dall’altro. Fantasmi che sollevano la mascherina e si arrestano un istante per ingozzarsi lungo la strada in quei piccoli posti dove ancora continuano a dare da mangiare, guardandosi intorno furtivi. Prendi nota, compare. A Città del Messico battono simultanemente i cuori del Primo e del Terzo Mondo. Il paradosso malvagio è che in questa città ci sono più studenti universitari che a New York, più clochard che a Parigi, più poveri che a Nuova Delhi, più morti ammazzati che nell’Inghilterra di Jack lo Squartatore, una polizia più corrotta che in Thailandia. E alcuni tra i migliori scrittori del mondo.

Bene, la verità è che siamo una razza abituata a sopravvivere. Da un paio di giorni la gente di Città del Messico sta cominciando ad abituarsi allo spettacolo. All’inizio sembrava solo una influenza un po’ più aggressiva, ed è questo che ha prodotto le morti: l’automedicazione, la convinzione di potersi tranquillamente curare a casa. Adesso va molto meglio, ora se individui il virus nelle prime lo puoi tranquillamente curare: a livello di base distribuiscono degli anti-virali che fermano la febbre. Il governo federale sosteneva di aver messo a disposizione un vaccino, ma era una bugia: per fortuna c’è una tale diffidenza nei confronti delle autorità che nessuno ha prestato attenzione. L’espansione del virus è ormai controllata, contenuta.

Vivo in una bolla. Nel mezzo di una tana, e aspetto. Mi sento bene fisicamente, ma sono stato costretto a interrompere le poche cose che avevo da fare. Ho rinunciato ad un paio di presentazioni di libri, dovevo partecipare al Festival letterario di Acapulco. Passo il mio tempo in casa, leggo, mi appunto qualcosa. E rifletto. Rifletto sulla disinformazione, sul tanto rumore che è stato fatto per presentare questa come una città di appestati. Ci si concentra sulla malattia, e si dimentica la crisi politica permanente di questo paese, la vergognosa inefficienza del governo federale, la spaventosa crisi economica che ci divora, l’arroganza delle organizzazioni criminali e dei politici, i quotidiani massacri dei narcotrafficanti. Inizia l’epidemia e noi tutti messicani cominciamo a tremare.

Ma cosa sta accadendo davvero? In quasi due settimane dicono siano morte in tutto il paese circa centocinquanta persone, ma nessuno ancora sa esattamente le cause di tutti questi decessi. Il numero dei contagiati ve l’ho detto. Ma ci raccontano – ma vi raccontano – un’altra storia, la storia di una metropoli e di un paese di appestati.

(Testo raccolto da Massimo Calandri)
(4 maggio 2009 – La Repubblica)

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I messicani su Obama.

Ecco cosa pensano i messicani di influenza suina, Obama e politica interna secondo alcuni sondaggi realizzati dalla rivista Proceso:

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Solidarietà da Atenco.

La Jornada – Martedì 5 maggio 2009

Dallo zapatismo abbiamo appreso il senso della vita:

lottare e resistere, dice il FPDT

Il FPDT esprime la sua solidarietà con gli otto indigeni reclusi a El Amate

Hermann Bellinghausen – Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis. 4 maggio. A tre anni dalla repressione contro il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT) di San Salvador Atenco e la permanenza in carcere di 12 membri, più altri due perseguiti e sotto minaccia, l’organizzazione atenquense ha diffuso un messaggio di riconoscimento e gratitudine a “tutto lo zapatismo”, ed esprime la sua solidarietà con gli otto tzeltales dell’EZLN e dell’Altra Campagna attualmente rinchiusi a El Amate.

“Ad Atenco sapevamo che la sua parola era già impressa nella storia universale e la sua lotta vive nei nostri cuori”, dice il FPDT. “Sappiamo che nel cuore zapatista ci sarà sempre un piccolo posto per gli uguali, che sempre ci sarà la parola seria e compromessa della sua lotta ribelle”.

Ricordando il contesto in cui avvenne l’aggressione, nel maggio del 2006, contro i contadini di Mexico e decine di aderenti dell’Altra Campagna dell’EZLN che solidarizzavano con loro, il FPDT ha dichiarato: “Sappiamo anche che avete in corso una guerra di bassa intensità contro il malgoverno. Che la situazione che state affrontando è una guerra sempre meno occulta. Che da tutti i fronti cercano di minare la resistenza, vogliono distruggere uno dei processi sociali più importanti in Messico e nel mondo”.

Gli atenquensi alludono all’attuale momento della lotta zapatista, e lo fanno con ferma solidarietà: “Quindi capiamo l’aggressione che hanno subito in questi giorni i nostri fratelli indigeni dell’ejido di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, fermati e torturati dal governo di Juan Sabines, accusati di essere assalitori e narcotrafficanti; ugualmente, la recente aggressione armata subita dai compagni della Giunta di Buon Governo del Caracol IV, di Morelia, addetti allo stabilimento balneare El Salvador”.

Rilevano che l’aggressione contro l’EZLN è latente, “perché voi avete costruito un contropotere capace di confrontarsi con lo Stato; il suo processo è uno sforzo molto importante per costruire la democrazia dal basso, ed un colpo a voi sarebbe una vittoria del potere politico ed economico non solo del nostro paese, ma mondiale. Per questo vi diciamo che la lotta zapatista è nostra per quanto possibile, secondo le nostre capacità, siamo con voi”.

Il messaggio dice ai ribelli del Chiapas: “Da voi abbiamo appreso il senso della vita: lottare e resistere. Dal vostro grido abbiamo conosciuto il messaggio che si deve alla vita: la dignità ribelle. Dal vostro cuore che muove il mondo, abbiamo preso la ragione unica e vera della lotta: l’amore. Così è per noi come per molti, abbiamo preso dal vostro volto coperto l’identità dei nascosti, di quelli che non vogliono più essere invisibili per assumere il loro ruolo nella storia, quelli che si trasformano nei motori del cammino dell’umanità”.

Il FPDT ricorda che nel 2001, quando iniziò la sua resistenza alla fine vittoriosa contro la costruzione dell’aeroporto voluto dal governo di Fox, “molta gente ci diceva: ‘non si può sconfiggere il governo’ “. Ma, prosegue, “ci siamo guardati intorno ed abbiamo cercato altri che come noi stavano lottando.

“Sapevamo di non essere gli unici. E dappertutto c’eravate voi, c’era una lunga scia colma di dignità e di speranza che annunciava il vostro passaggio, apparivano sempre gli occhi brillanti e le dolci mani della resistenza, delle piccole donne e piccoli uomini che ci insegnavano il cammino che costruisce la giustizia e la libertà”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Los de Abajo

A tre anni dalla repressione

Gloria Muñoz Ramírez

Questa settimana si compiono tre anni dalla repressione poliziesca contro il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT) di San Salvador Atenco, i fioristi di Texcoco e uomini e donne solidali dell’Altra Campagna. L’anniversario rafforza la lotta per la liberazione dei 12 prigionieri politici e la domanda di punizione dei responsabili dell’aggressione nella quale sono stati violati i diritti umani dei 207 detenuti iniziali che furono picchiati, torturati e violentati, in un operativo al quale parteciparono i tre livelli di governo, e che lasciò un saldo di due giovani assassinati.

In mezzo all’attuale contingenza epidemiologica e del bombardamento mediatico dell’Istituto Federale Elettorale, attivisti ed organizzazioni del Messico e di alcuni paesi organizzano giornate di lotta per la liberazione di Ignacio del Valle, Felipe Álvarez e Héctor Galindo, carcerati in condizioni deplorevoli nella prigione di massima sicurezza di El Altiplano, e Juan Carlos Estrada, Román Ordóñez, Jorge Ordóñez, Alejandro Pilón, Narciso Rellano, Inés Rodolfo Cuéllar, Édgar Eduardo Morales, Julio César Espinosa, Pedro Reyes e Óscar Hernández, di Tacotalpa, reclusi a Molino de las Flores, Texcoco.

La storia non è cominciata a maggio del 2006, bensì il 23 ottobre 2001, quando il governo federale annunciò l’esproprio di 5 mila ettari di terra per la costruzione di un aeroporto a Texcoco. I contadini protestarono e si mobilitarono quel giorno e non cessarono la lotta e la mobilitazione fino al 6 agosto 2002, quando ottennero la cancellazione degli espropri e si aggiudicarono una delle vittoriei più notevoli nella storia recente della difesa della terra.

Dopo la vittoria il FPDT ed i contadini strinsero alleanze e impegni di solidarietà con altri movimenti. Nell’aprile del 2006 accolsero L’Altra Campagna, guidata dal subcomandante Marcos, mentre appoggiavano i floricoltori di Texcoco ai quali veniva impedito di vendere i fiori al mercato.

Il 3 e 4 maggio 2006 arrivò la vendetta dello Stato. Una repressione “esemplare” contro il movimento dei floricoltori, i contadini del FPDT ed i membri dell’Altra Campagna che erano accorsi in solidarietà. Arrivano quindi le vessazioni, torture, pestaggi, violenze ed abusi sessuali su circa 50 donne.

Oggi, quelli che ordinarono le violazioni sono liberi. Nelle prigioni rimangono 12 persone che non sono colpevoli. La loro libertà è quella di tutti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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False accuse contro zapatisti.

La Jornada – Domenica 3 maggio 2009

Il governo del Chiapas si accanisce accusandoli di rapina

Un avvocato accusa: costruiscono reati contro gli indigeni dell’Altra Campagna

Torture e mancanza di traduttori, tra le violazioni al giusto processo

Hermann Bellinghausen – Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis. 2 maggio. Il governo di Juan Sabines Guerrero sembra determinato a portare fino alle ultime conseguenze l’arresto, senza prove, degli otto indigeni della regione di Agua Azul accusati di essere rapinatori di strada. Per il momento, in prigione hanno già un membro dell’EZLN, Miguel Vázquez Moreno, riconosciuto dalla giunta di buon governo (JBG) di Morelia che sostiene la sua innocenza. Altri sei sono aderenti dell’Altra Campagna.

Diego Cadenas Gordillo, avvocato dei detenuti e direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, sottolinea che eventi di questo tipo non si erano presentati durante il governo precedente del Chiapas. Pablo Salazar Mendiguchía non ha mia assunto pubblicamente degli impegni con le comunità zapatiste come ha fatto Juan Sabines in due messaggi dove ribadisce il suo rispetto per i governi autonomi.

La JBG il 28 aprile scorso ha dichiarato che “in Chiapas è di tornata la legge di Absalón Castellanos e di Roberto Albores Guillén, messa in atto da Juan Sabines”.

Cadenas, difensore degli imputati spiega: “Usando i trucchi che durante il passato governo hanno portato in prigione molti degli indigeni recentemente liberati dopo uno sciopero della fame, le autorità attuali ripetono i procedimenti illegali – incluse tortura e fabbricazione di reati e prove – che praticava Mariano Herrán Salvatti quando era procuratore dello stato. Sabines incorre nelle stesse violazioni dei suoi predecessori”.

Segnala inoltre che mentre gli indigeni erano in stato di fermo, è stato impedito l’accesso ai detenuti ed agli atti. “In violazione del giusto processo in cui sono incorsi i detenuti precedenti. Gli elementi di accusa sono insufficienti e l’identificazione non è avvenuta secondo requisiti legali”.

Cadenas rileva che “i querelanti sono poliziotti statali della stradale, come quelli che, confabulando con i priisti della zona, nel 2008 torturarono ed accusarono lo zapatista Eliseo Silvano e suo figlio”. Ora, gli agenti accusano Jernónimo Saragos, di San Sebastián Bachajón, il quale non parla castigliano e non ha avuto un traduttore nella sua lingua, quando sotto coercizione della polizia è stato obbligato a firmare la deposizione.

La Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE), a capo di Raciel López Salazar, in un’inserzione a pagamento apparsa oggi sulla stampa, usa questi termini: “La procura ha esercitato azione penale davanti al giudice secondo del ramo penale del distretto giudiziario di Tuxtla Gutiérrez, contro otto membri di una banda criminale dedita ad assalti alle auto in transito sul tratto Ocosingo-Palenque.

“Sono reclusi come probabili responsabili dei crimini di furto aggravato e criminalità organizzata, nel Centro di Reinserimento Sociale Numero 14, El Amate, Jerónimo e Antonio Gómez Saragoz (sic), Jerónimo Moreno Deara, Miguel Demeza Jiménez, Sebastián e Pedro Demeza Deara, Juan Gómez Moreno (sic) e Miguel Vázquez Moreno”.

Secondo la PGJE, “gli indiziati nei primi assalti utilizzavano passamontagna per coprire i volti, ma negli ultimi assalti avevano il volto scoperto”.

Con questo comodo argomento le autorità hanno ritenute valide le identificazioni di autisti che sarebbero stati assaltati. Secondo Cadenas ai presunti testimoni sono stati presentati solo i detenuti senza un reale confronto con altri individui, come esige la legge. “È possibile pensare che si è trattato di un montaggio”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Aggressione armata.

La Jornada – Mercoledì 29 aprile 2009

Da domenica hanno sparato diverse volte contro le case

AGGRESSIONE ARMATA CONTRO GLI ZAPATISTI DI AGUA AZUL

“E’una messinscena contro di noi per creare un pretesto per arrestarci”

Hermann Bellinghausen – Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis. 28 aprile. La giunta di buon governo (JBG) di Morelia ha denunciato che da domenica gli zapatisti di Agua Azul e di Betel Yochip sono aggrediti dagli spari dei poliziotti settoriali e paramilitari mentre un elicottero sorvola le località. Casualmente, lo stesso giorno il segretario di Governo, Noé Castañón León, ha visiato il villaggio Alan Sacjún. Secondo la JBG, “per parlare col commisaario priista Pedro Álvaro” e concordare con i priisti “di trasferire la cabina di riscossione, che i compagni dell’Altra Campagna stavano gestendo, nelle manie dei poliziotti e di installare un accampamento al crocevia di Agua Azul”.

In quello che sembrerebbe lo scenario per un’aggressione più grande, questo lunedì i poliziotti sono tornati ad Agua Clara ed insieme ai priisti hanno bloccato l’accesso allo stabilimento balneare El Salvador, gestito dalle basi di appoggio dell’EZLN. “I nostri compagni del municipio autonomo Comandante Ramona sono continuamente vessati dalla polizia di settore, di pubblica sicurezza, dai pattugliamenti costanti dell’Esercito federale e dai paramilitari”, denuncia la JBG che ha anche identificato alcuni dei veri rapinatori della zona.

Domenica 26, verso le 5:30, “a 300 metri dalla casa dove vive un compagno”, i poliziotti hanno sparato cinque colpi contro la casa, sono avanzati ed hanno sparato ancora due volte. “D’avanguardia c’erano cinque indigeni che vivono a Betel Yochip; dopo gli spari della polizia, anche gli indigeni hanno sparato 60 colpi calibro 22 a circa 20 metri dalla casa”.

Le persone di Betel Yochip che guidavano i poliziotti, secondo la JBG, sono leader priisti, “paramilitari dell’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic)”. I numeri delle pattuglie “che stanno sparando contro i nostri compagni” sono 088, 077 e 092.

“L’intimidazione e persecuzione a colpi di pallottole” che hanno subito le basi dell’EZLN “è durata quattro ore e mezza”. A mezzogiorno “è iniziato il sorvolo radente di un elicottero della Pubblica Sicurezza, molto vicino ai tetti delle case dei nostri compagni di Agua Azul e Agua Clara”.

La JBG precisa alle 11 della notte, ad Agua Clara si sono risentiti colpi di spari calibro 22 “nella montagna e la polizia ha risposto sparando”. Questo atto “è solo un piano di provocazione per incolparci. E’ una messinscena contro di noi per creare il pretesto di arrestarci”. Il 27 aprile, alle 6 di mattina, la polizia “è tornata sul luogo degli spari, secondo loro, per investigare, e si sono addentrati nella montagna ‘per seguire le orme di chi aveva sparato il giorno 26’. Fino al momento non sappiamo che direzione abbiano preso, sappiamo solo che ora sono in montagna”.

All’ingresso dello stabilimento balneare El Salvador, su una sponda di Agua Clara, “dove stanno facendo i turni le basi di appoggio zapatiste, i priisti hanno bloccato gli accessi con pietre e grossi pali di legno, “appoggiati dalla polizia”. “Sospettiamo che stiano tendendo un’imboscata ai nostri compagni che fanno turni”.

La JBG denuncia: “Juan Sabines ed i suoi complici José Luis Cortés Solís (commissario di Pubblica Sicurezza), Antonio Gamboa López, segretario particolare di Sabines, e suo fratello Alejandro Gamboa López, dirigente statale del PRD, vanno dicendo che la JBG avrebbe ricevuto il 30% (degli incassi della cabina di riscossione di San Sebastián Bachajón, da aderenti dell’Altra Campagna), e questo è totalmente falso”.

Inoltre, la JBG revela di aver trovato in montagna “un sacco di abiti, sei documenti di identità con nomi stranieri, un libro, tre pantaloni che sembrano uniformi di colore blu, tre tee-shirt di colore nero, una spazzola con incise le lettere ‘MP’, chevogliono dire Manuel Pérez, abbiamo scoperto questo nome dopo le nostre indagini, ed è originario di Flor de Cacao”. Gli zapatisti hanno scoperto che di giorno questo gruppo “ruba mais nelle milpas e galline, e nella notte assalta le auto di passaggio”.

Nel municipio autonomo Lucio Cabañas, le basi zapatiste “subiscono minacce di morte da quelli della Orcao” che hanno provocato tre incendi su un totale di 60 ettari; l’ultimo, questo lunedì. Tagliano e vendono illegalmente legname, “protetti e complici del malgoverno nel saccheggio delle nostre risorse naturali”.

Comunicato completo della JBG: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/denuncias/1615

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 27 aprile 2009

Hermann Bellinghausen

Tortura e menzogna in Chiapas

Con brutalità giudiziaria e mediatica, come non si vedeva dalla dittatura militare virtuale stabilita in Chiapas con i governi di Ernesto Zedillo e Roberto Albores Guillén, l’attuale governo ha fatto un salto nel vuoto inventando accuse contro attivisti sociali, aderenti all’Altra Campagna e basi di appoggio dell’EZLN, diffondendole a livello di massa senza il minimo pudore e sostenendo una politica di tortura e terrore senza sentire la necessità di offrire spiegazioni, per non parlare di scuse.

Non solo Ulises Ruiz Ortiz ed Enrique Peña Nieto sono governatori che confondono impunemente ordine e crimine. Anche Juan Sabines Guerrero ed il suo segretario di Governo, Noé Castañón (resuscitato dell’alborismo dal suo protettore, il segretario di Governo calderonista, Fernando Gómez Mont), appartengono a quella casta di mandatari che con il sorriso sulle labbra torturano ed imprigionano cittadini innocenti. Bisogna spianare la strada ad un’autostrada che i contadini che vivono sul suo tragitto respingono.

Gli ejidatari di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, il 24 aprile hanno nuovamente smentito le accuse del governo contro otto indigeni, “fermati, accusati di essere delinquenti, assalitori e narcotrafficanti” in maniera gratuita. Piuttosto hanno partecipato ad azioni per controllare gli assalti ed i furti a danno dei turisti nei pressi delle cascate di Agua Azul. Invece, i poliziotti di settore “non servono a niente, perché loro usano tutto questo come un affare, quando fermano qualche rapinatore e poi lo lasciano in libertà”.

I delegati dell’ejido accusano il governo di invadere “il territorio dei popoli indigeni con i suoi cattivi progetti, autostrade e hotel”. Denunciano inoltre l’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) di delinquere al riparo delle autorità statali e federali. Ricordano che il 17 aprile 800 poliziotti sono entrati nella regione autonoma San José en Rebeldía per sgomberare gli indigeni che bloccavano la strada per chiedere la liberazione dei detenuti.

Quel giorno gli agenti, “guidati da membri di Opddic”, hanno abbattuto la cabina di riscossione rubando la radio di comunicazione (mostrata sulla stampa come “prova” contro gli arrestati), archivi e 115 mila pesos in contanti. I poliziotti che hanno partecipato allo sgombero hanno tentato di violentare due donne a Crucero Agua Azul; rubato merci da un negozio, di proprietà di Juana Silvano García, minacciando di violentarla e rubandole 20 mila pesos.

Il giorno 19 membri di Opddic e poliziotti settoriali hanno occupato la cava di ghiaia dell’ejido, nella ranchería Jol Huk’um. Il 23 ejidatari di Opddic del municipio Sitalá hanno tentato di cacciare gli indigeni della ranchería Mojón Tzuy, “perchè aderenti all’Altra Campagna”. In entrambe le occasioni erano guidati da Pedro Álvaro Hernández.

Gli ejidatari dell’Altra Campagna chiedono il ritiro immediato dei poliziotti da Agua Azul e Xanil. Gli agenti “servono solo a creare conflitti tra indigeni”.

L’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura (OMCT) ha espresso “seria preoccupazione” per la detenzione arbitraria, i maltrattamenti, tortura, violazioni delle garanzie giudiziarie ed il fermo di otto persone delle comunità tzeltales San Sebastián Bachajón, Xanil e Crucero Agua Azul. Il giorno prima l’ha fatto Amnesty International.

L’azione repressiva è stata accompagnata da un’intensa campagna mediatica del governo del Chiapas che criminalizza senza fondamento degli indigeni che pubblicamente si era impegnato a rispettare. Ora, la stampa locale dà per “risolto” un presunto “conflitto di due anni” tra indigeni del luogo, che, come per magia, avrebbe permesso di “riannodare” il flusso di turisti alle cascate di Agua Azul (che non si è mai interrotto), “grazie” alla presenza massiccia dei poliziotti.

Gli indigeni, dice la OMCT, “sono stati obbligati dagli agenti a dichiarare di essere rapinatori di strada”. Con maltrattamenti e torture li hanno costretti ad apporre le loro impronte digitali “su alcuni fogli senza conoscere il loro contenuto”.

I detenuti si trovano in regime di fermo nella sinistra Quinto Pitiquitos, a Chiapa de Corzo, su mandato della Procura Specializzata Contro la Delinquenza Organizzata della Procura Generale di Giustizia dello Stato. La OMCT ha chiesto alle autorità di garantire la sicurezza e l’integrità personale, così come la liberazione immediata dei fermati, se non si possono attribuire loro i reati di cui sono accusati; investigare sulle violazioni commesse ed indennizzare e riabilitare i “fermati”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – 25 aprile 2009

AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE ALLO STATO DI GARANTIRE L’INTEGRITA’ DI 11 ARRESTATI DURANTE I RECENTI OPERATIVI IN CHIAPAS

Hermann Bellinghausen

Dalla sua sede a Ginevra, Svizzera, Amnesty International (AI) ha espresso preoccupazione per gli undici uomini catturati in due diverse operazioni di polizia realizzate a Tuxtla Gutiérrez ed Ocosingo, stato del Chiapas, che sono reclusi in un centro di detenzione non ufficiale senza capi d’acusa depositati. Tutti con possibilità ristrette di incontrare avvocati e familiari. Questi ultimi e le organizzazioni dei diritti umani sostengono che sono stati sottoposti a torture e minacce.

L’organizzazione chiede al governo messicano di garantire l’integrità e la libertà di tutti loro. Menziona cinque membri del Mocri-CNPS-MN e sei aderenti dell’Altra Campagna, benché ora si presume che ci siano altri due arrestati, uno dei quali è base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e l’altro parente di qualcuno degli altri detenuti.

Nel suo appello Amnesty riassume: “Il 7 aprile cinque uomini sono stati fermati a Tuxtla Gutiérrez dopo aver organizzato una protesta davanti alla prigione locale dove si trovano reclusi alcuni dei loro familiari. Protestavano perché ritengono che i loro familiari, che appartengono ad un’organizzazione di contadini nota come Mocri-CNPA-MN, siano reclusi sulla base di false accuse. La polizia, inoltre, ha perquisito gli uffici dell’organizzazione e si è portata via computer, archivi elettronici e su carta, materiale d’ufficio e denaro.

“Dopo il fermo i cinque uomini sono rimasti isolati per due giorni e portati in un hotel in disuso del municipio di Chiapa de Corzo chiamato ‘Quinta Pitiquito’ che la Procura Generale di Giustizia dello Stato utilizza come centro di detenzione”.

Erick Bautista Gómez, uno dei detenuti, ha denunciato che “mentre erano sotto custodia l’hanno ripetutamente preso a pugni nello stomaco, schiaffeggiato e percosso. Quando hanno permesso a sua sorella di vederlo, a lui hanno detto che se avesse detto qualcosa a lei sarebbe successo ‘qualcosa di spiacevole’ “.

Poi, il 14 aprile – spiega Amnesty – sei uomini di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, sono stati fermati ad Ocosingo e reclusi nel Quinto Pitiquitos: appartengono ad una comunità indigena simpatizzante dell’EZLN, gruppo armato di opposizione militarmente inattivo da più di dieci anni e che porta avanti un movimento sociale e di governi locali indipendenti nelle comunità indigene del Chiapas.

Denuncia che gli avvocati che hanno visitato i reclusi affermano che gli indigeni sono stati torturati dai poliziotti del Chiapas ed avevano segni visibili delle percosse sui corpi. Inoltre, una volta catturati sono stati obbligati a firmare deposizioni che non comprendevano. Non c’era un traduttore della loro lingua.

Vari stati messicani – aggiunge Amnesty – utilizzano la detenzione preventiva (fermo di polizia) per recludere sospetti mentre si svolge un’indagine. Non vengono accusati fino a che un giudice ordina la loro custodia su istanza del pubblico ministero. Possono rimanere in fermo per 80 giorni senza che il pubblico ministero li accusi o li rimetta in libertà. Bisogna ricordare che in Chiapas il provvedimento del fermo di polizia è stato creato dall’oggi screditatissimo ex procuratore Mariano Herrán Salvatti, ma l’attuale governo l’ha mantenuto facendone un uso intensivo, nonostante la dubbia legalità e provenienza dal pessimo governo precedente (di Pablo Salazar Mendiguchía).

Secondo l’ONU il fermo è una misura arbitraria

Amnesty ed altre organizzazioni hanno documentato come questa forma di detenzione può dare luogo a tortura; frequentemente ai sospetti è negato l’accesso ad un avvocato di loro scelta, alla famiglia o assistenza medica. E cita il gruppo di lavoro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sulla detenzione arbitraria, che nel 2002 dichiarò che il fermo costituisce una forma di detenzione arbitraria e crea un clima che dà luogo all’uso della coazione.

L’organizzazione sollecita le autorità messicane a garantire che gli 11 (in realtà 13) reclusi in Chiapas non siano sottoposti a tortura o maltrattamenti né obbligati con altri mezzi a rendere deposizioni contro la loro volontà.

A San Cristóbal de las Casas le autorità ejidali di San Sebastián Bachajón hanno di nuovo smentito le imputazioni contro gli ejidatari aderenti all’Altra Campagna, che dichiarano di essere oggetto di persecuzione e criminalizzazione per le loro azioni in difesa delle risorse naturali e del loro territorio di fronte ai progetti neoliberali.

(Traduzione “Maribel”  – Bergamo)

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Tensione per presenza militare.

La Jornada – Mercoledì 22 aprile 2009

La presenza dei militari a San Quintín causa tensioni sociali

La JBG annuncia che ripristinerà il servizio di erogazione dell’acqua alle basi di appoggio zapatiste di Espíritu Santo

HERMANN BELLINGHAUSEN

La Realidad, Chis., 21 aprile. La giunta di buon governo (JBG) di La Realidad ha annunciato che “prossimamente” ripristinerà il servizio di erogazione dell’acqua alle basi zapatiste di Espíritu Santo, alla periferia di Las Margaritas, che sono state private dello stesso da mesi dagli ejidatari del PRD e della CIOAC.

Intervistati nel caracol zapatista Madre de los caracoles del mar de nuestros sueños, i membri della JBG hanno dichiarato: “È la nostra decisione, ripristineremo l’erogazione dell’acqua al compagno José Domingo López López e ad altre cinque famiglie zapatiste di quel luogo, perché è una necessità basilare ed i compagni ne hanno diritto”.

Segnalano che l’aggressione contro gli zapatisti era stata promossa dal sig. Juan García “che guida le provocazioni”. Per il resto, questi “si dedica alla compravendita di terreni e vuole usurpare i nostri compagni. È priista, ma ha convinto i vicini, che sono perredisti, ad abbattere la recinzione di Domingo, togliergli l’acqua e sottrargli il terreno, approfittando di una sua assenza ed abusando di suo papà malato”.

La JBG assicura: “Non permetteremo che i compagni soffrano. Loro cooperano nei lavori della comunità, ma il signor García gli ha messo contro tutti gli altri”.

Passata la Quaresima, le bruciature dei campi per la semina rendono l’aria grigia e pesante. Non piove. I ruscelli e gli stagni sono asciutti. I fiumi, ridotti e trasparenti, si riducono al minimo. Siccità in montagna, nella selva e nelle valli, in colonie come Espíritu Santo dove in aggiunta c’è una “siccità” indotta; simile a quella che dal 2002 subiscono gli zapatisti di Sok’on, Zinacantán, dove i perredisti del posto li hanno privati del servizio di ergoazione dell’acqua e della loro sorgente.

“La JBG si è recata sul posto, a Espíritui Santo, cercando alternative al problema, tentando di risolvere, non di aggravare. Ma è chiara la strategia delle autorità e del proprietario Juan García”, raccontano i due portavoce della giunta, un uomo ed una donna (una terza, molto giovane e nel costume tradizionale dei tojolabales, prende nota nel computer). “Quello che vogliono è togliere terre e acqua ai nostri compagni, senza alcun motivo”.

Il governo municipale perredista di Las Margaritas “non ha fatto niente”. Come gli aggressori “è gente del presidente Rafael Guillén Domínguez, della CIOAC e del PRD, quello preferisce non intervenire né fare giustizia. Ed è ancora più complice il governo dello stato, che è dello stesso partito”.

Interrogati al riguardo, i portavoce della JBG confermano le voci secondo cui nella comunità priista di San Quintín è cresciuto lo scontento della popolazione tzeltal per la presenza della truppa. L’Esercito ha una base di grandi proporzioni ed una considerevole quantità distaccata di effettivi. Dal 1995 la “convivenza”, accettata o imposta, fa parte della quotidianità.

San Quintín, che non dista molto da La Realidad, sull’altra sponda del fiume Jataté, ha deciso di proibire l’ingresso dei soldati nel villaggio. “Come abbiamo saputo, non è permesso loro di andare nei negozi e se hanno bisogno di acquistare qualcosa, i soldati devono incaricare qualcuno”.

Settimane fa, a San Quintín, un gruppo di militari in stato di ebbrezza ha dato scandalo e sparato. Per gli indigeni è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le storie di molestie sessuali e prostituzione erano abituali in questa comunità ben servita dal governo già da prima dell’insurrezione zapatista e virtualmente occupata dai soldati delle forze armate più di 14 anni fa.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Altri arresti.

La Jornada – Lunedì 20 aprile 2009

Il CDHFBC critica lo sgombero degli indigeni che chiedevano la liberazione dei sei compagni arrestati

La polizia arresta un altro zapatista ad Agua Azul, anche lui con l’accusa di rapina

Si ignora dove si trovi Miguel Vázquez Moreno che era stato segnalato dalla Opddic

Hermann Bellinghausen, Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis., 19 aprile. Agenti della Polizia Statale Preventiva (PEP) sabato notte hanno arrestato un indigeno, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) all’incrocio di Agua Azul mentre transitava su un’auto con altre due persone. Miguel Vázquez Moreno, abitante della regione autonoma San José en Rebeldía, sarebbe stato accusato di “rapina” dagli agenti, secondo la versione dei suoi compagni rimasti in stato di fermo fino all’alba di oggi.

Si ignora ancora dove si trovi e la situazione giuridica di Vázquez Moreno, commerciante del luogo, che era stato segnalato da membri dell’organizzazione paramilitare Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) che lunedì 13 sono serviti da informatori della polizia per catturare, torturare e arrestare sei indigeni aderenti all’Altra Campagna, un parente di questi – della comunità confinante di Xanil – ed ora uno zapatista.

Le autorità ejidali di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, hanno denunciato che questo sabato Francisca Silvano Gómez e Julia Silvano sono stati inseguiti nella montagna e “hanno subito un tentativo di violenza da parte dei poliziotti”.

Nello stesso tempo hanno ricordato l’aggressione di circa 800 agenti dell’Agenzia Federale di Investigazione (AFI) e poliziotti settoriali, PEP e Federale Preventiva, due ambulanze ed una pattuglia della Protezione Civile, il pomeriggio di venerdì 17, durante lo sgombero del blocco che gli ejidatari mantenevano per chiedere la liberazione dei detenuti. “Sono arrivati aggredendoci a calci. Poi si sono diretti alla cabina per il pagamento dell’ingressp dove hanno preso le radio, colpito la casa e poi sono arrivati i pick up della polizia con cui hanno abbattuto la casa che inoltre era piena di alimentiari. Si sono portati via zaini con vestiti, denaro ed altri oggetti”.

L’autorità ejidale assicura che con queste azioni, “il governo vuole distruggere la nostra organizzazione che porta avanti una lotta degna e giusta, perché difendiamo il nostro territorio dai suoi piani neoliberali ed i nostri diritti come popoli indigeni”.

Il blocco è stato installato mercoledì 15, perchè il 13 erano stati arrestati Jerónimo Gómez Saragos, Antonio Gómez Saragos, Miguel Demeza Jiménez, Sebastián Demeza Deara, Pedro Demeza Deara e Gerónimo Moreno Deara, aderenti all’Altra Campagna che si ono distinti per aver difeso i loro diritti territoriali. Il giorno 16 si erano raggruppati altri aderenti “per esigere la liberazione dei compagni, distribuire volantini ed esporre striscioni”.

Da parte sua il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) oggi comunica che “su informazione pubblica del governo dello stato si sa che l’operativo del giorno 17 era per sgomberare il blocco. Tuttavia, in maniera arbitraria sono entrati nell’ejido, hanno smantellato la cabina di controllo di entrata alle cascate di Agua Azul che gli ejidatari gestivano da vari mesi e l’hanno distrutta”.

Personale del CDHFBC ha interpellato due responsabili dell’operativo: il vicedirettore della delegazione della PGR in Chiapas ed un agente del Pubblico Ministero Federale che hanno dichiarato che esiste un’indagine preliminare “per attacco alle vie di comunicazione”. Gli avvocati hanno chiesto di ritirare l’indagine, poiché il blocco era stato rimosso. Per tutto sabato distaccamenti della PEP sono rimasti all’incrocio di Agua Azul, Xanil e Agua Clara, e ci sono stati sorvoli di elicottero.

Lo stesso giorno è stato fermato Alfredo Gómez Moreno, su segnalazione di Juan Carlos Jiménez Hernández, membro di Opddic che accompagnava gli agenti di polizia. Il CDHFBC sottolinea che “la relazione tra membri di Opddic, funzionari di pubblica sicurezza ed autorità di investigazione è un modello reiterato nella zona per accusare aderenti dell’Altra Campagna e membri dell’EZLN”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Aggressione poliziesca.

La Jornada – Domenica 19 aprile 2009

Il Centro Per i Diritti Umani chiede “Un’azione urgente” rispetto all’aggressione della polizia contro un villaggio zapatista

I governi federale e del Chiapas reprimono la protesta sociale, denuncia la ONG

La procura statale “viola i diritti” pubblicando le foto dei sei presuenti delinquenti

Hermann Bellinghausen, Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis., 18 aprile. “I governi federale e dello stato del Chiapas usano le forze di polizia per reprimere la protesta sociale”, denuncia il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) e chiede un’azione urgente dopo l’aggressione della polizia contro l’ejido San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, i cui abitanti sono aderenti all’Altra Campagna.

Le forze di polizia hanno anche aggredito o coperto attacchi a basi di appoggio zapatiste del vicino villaggio San José en Rebeldía, all’incrocio delle cascate di Agua Azul, e ad Agua Clara, entrambi nel municipio autonomo Comandanta Ramona.

Il CDHFBC sottolinea che “la Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE), in un’inserzione a pagamento su La Jornada e Cuarto Poder (17 aprile), ha pubblicato le foto di sei detenuti, accusati di essere assalitori, in chiara violazione della loro dignità, dato che a livello giudiziale non hanno potuto dimostrarloro i reati imputati loro. Li stigmatizza come delinquenti davanti alla società, in chiara violazione del diritto di presunzione di innocenza”.

Bisogna dire che con l’enfasi data a questa informazione del governo, è sembrato perfino che avessero catturato importanti narcos o qualche ex procuratore di pessima fama; invece no. Si tratta solo dell’esibizione di una presunta “banda di assalitori”. Anche se ,o fossero, meriterebbero intere pagine su tutta la stampa statale e nazionale, come in questo caso?

Il ritorno degli alboristas riporta alle tattiche pubblicitarie dell’ultimo governo priista (1998-2000).

Il CDHFBC denuncia che “la PGJE stigmatizza i detenuti”. Il giorno 15 truppe federali hanno sparato contro i manifestanti all’incrocio di Agua Azul, mentre chiedevano la liberazione di sei compagni accusati di essere assalitori.

Prima e durante l’operativo i poliziotti si sono riuniti con membri dell’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) denunciati come paramilitari legati agli assalti a turisti a Xanil, Agua Azul ed Agua Clara. Contemporaneamente, la polizia vuole “restituire” ad Opddic la cava di sabbia che illegalmente avevano sfruttato alcuni dei suoi membri, fino a che mesi fa è stata recuperata dall’ejido di San Sebastián.

La polizia ha anticipato alla stampa statale che “avrebbe sgomberato” gli zapatisti che vivono ad Agua Clara e “restituito” lo stabilimento balneare ai priisti delle vicinanze, così come le installazioni che questo gruppo ha lasciato nell’abbandono fin dal sessennio precedente.

Secondo fonti ufficiali, l’operativo è federale, in conseguenza di una denuncia penale per il reato di attacchi alle vie federali di comunicazione.

Inoltre, le azioni di intimidazione, vessazione e provocazione di un convoglio della polizia nella regione autonoma ribelle zapatista San José en Rebeldía, “hanno fatto sì che i priisti della zona diventasse aggressivi contro le basi dell’EZLN”.

Ad Agua Clara, dove i priisti si sono ripetutamente incontrati con gli agenti segnalando la casa di Eliseo Silvano, zapatista già torturato dalla polizia un anno fa, gli agenti hanno minacciato di entrare nella proprietà, ma fino al momento non l’hanno fatto.

L’organizzazione civile ritiene che “questi eventi sono la dimostrazione della criminalizzazione della protesta sociale; il governo del Chiapas usa la procura di giustizia ed i mezzi di comunicazione come strumenti di repressione, come ha fatto con altre organizzazioni in giorni recenti”.

Tutto avviene nel contesto della costruzione imminente dell’autostrada San Cristobal-Palenque che comprendere come punto chiave dei progetti ecoturistici le cascate di Agua Azul, dove si trovano diversi villaggi in resistenza, zapatisti o dell’Altra Campagna.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La Jornada – Sabato 18 aprile 2009

Los de Abajo

PERSECUZIONE CONTRO LA POPOLAZIONE

Gloria Muñoz Ramírez

I sentieri nella selva Lacandona sono asciutti. I contadini hanno cominciato a bruciare la montagna per prepararla alla semina. Altri aspettano le prime piogge per avviare il ciclo e così impedire che gli incendi si espandano con le alte temperature. L’asfalto guadagna terreno nelle vallate. Da Las Margaritas la strada arriva ormai fino al villaggio zapatista di San José del Río, la comunità anfitrione del film Corazón del Tiempo. E si aspetta che arrivi fino alla comunità priista di San Quintín che ospita il quartiere militare più grande della zona. I camion strapieni di soldati continuano ad essere la costante dal 9 febbraio del 1995, quando il governo federale optò per la militarizzazione e paramilitarizzazione per eliminare gli zapatisti.

Dall’inizio della guerra, nel gennaio del 1994, in Chiapas sono passati sette governatori. Tutti, senza eccezione di colore o filiazione, hanno affrontato l’EZLN con le armi e senza, hanno tentando di tutto per minare le sue basi e senza alcuna originalità di tanto in tanto annunciano la morte del movimento. L’esistenza di centinaia di comunità in resistenza afferma il contrario.

Il governo di Jaime Sabines persegue la stessa politica di persecuzione e solamente in una settimana sono avvenute due aggressioni che provano che il Chiapas continua ad essere una polveriera nella quale operano in complicità tutti i livelli di governo.

Al grido di “Berremo sangue! Ammazziamo questi stronzi zapatisti! “, i membri del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) di Zinacantán hanno aggredito le basi di appoggio di Sok’on, villaggio spogliato della sua sorgente d’acqua da nove anni proprio da questo stesso gruppo. E’ successo il 12 aprile scorso, quando 26 persone provenienti da Nachij, guidate dalle autorità perrediste municipali, hanno minacciato con picconi e bastoni la popolazione zapatista. “C’è un limite a tutto”, avverte la giunta di buon governo con sede ad Oventic. In questa occasione, segnalano, “non è successo niente solo perché noi zapatisti non cadiamo nelle provocazioni (né) ci scontriamo contro i nostri fratelli indigeni, anche se sono usati dal malgoverno sabinista”.

D’altra parte, nella zona nord dello stato l’Esercito federale ha sparato in sei occasioni per rompere il blocco che i coloni dell’ejido San Sebastián Bachajón avevano organizzato all’altezza delle cascate di Agua Azul per chiedere la liberazione di sei tzeltales catturati e torturati dallo scorso 14 aprile. Al presidio, oltre all’Esercito, erano arrivati elementi della Polizia Federale Preventiva (PFP) e della polizia statale che sono riusciti a rimuovere il blocco, anche se questo è stato reinstallato qualche ora dopo e fino al momento è sotto minaccia.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Picchiati e arrestati.

La Jornada – Sabato 18 aprile 2009

Sono aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón; li difende il CDHFBC

Picchiati, arrestati e presentati come “assalitori” dal governo del Chiapas

Hermann Bellinghausen, Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis., 17 aprile. Con singolare enfasi, il governo del Chiapas ha esibito oggi come volgari “assalitori di autobus” sei contadini tzeltales dell’ejido San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna dell’EZLN, che si sono distinti per aver difeso i loro diritti territoriali nella zona delle cascate di Agua Azul, dove passerebbe la programmata autostrada  San Cristóbal de las Casas-Palenque.

Secondo gli stessi detenuti ed i loro difensori del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC), gli indigeni sono stati obbligati sotto tortura a dichiararsi colpevoli dei presunti reati che la giustizia statale attribuisce loro, con l’abituale “sostegno” dell’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), organizzazione filogovernativa che controlla il centro turistico delle cascate nel municipio di Tumbalá, ed il cui accesso attraversa l’ejido di San Sebastián Bachajón, nella vicina Chilón.

Il CDHFBC “è venuto a conoscenza della detenzione arbitraria ed atti di tortura, maltrattamenti o pene crudeli, inumani e degradanti, e violazioni delle garanzie giudiziali” contro di loro. Secondo le informazioni ottenute “durante la visita medica in presenza del CDHFBC”, Jerónimo Gómez Saragos è stato arrestato lunedì 13 ad Ocosingo da elementi della Polizia Statale Preventiva (PEP). Dichiara “che l’hanno picchiato al collo e sulla schiena”; mi hanno messo “una macchina fotografica ed un cellulare nelle taache dei pantaloni ed a Tuxtla Gutiérrez i poliziotti mi hanno messo un sacco in testa e versato dell’acqua, mi hanno bendato gli occhi, mi hanno messo un fazzoletto bagnato nel naso, mi hanno costretto a confessare e non mi hanno letto la mia deposizione”.

Gómez Saragos, la cui faccia (come quelle dei suoi compagni) è apparsa oggi su decine di giornali come quella di un delinquente caduto nelle mani della giustizia, “non parla bene lo spagnolo, la sua lingua è il tzeltal; si nota una certa difficoltà nel movimento del braccio sinistro e zoppica dalla gamba destra”, osserva il CDHFBC.

Lo stesso lunedì, nella comunità di Temó, Chilón, erano stati arrestati Antonio Gómez Saragos, Miguel Demeza Jiménez, Sebastián Demeza Deara, Pedro Demeza Deara e Jerónimo Moreno Deara, da elementi della PEP e della Polizia Stradale dello Stato (PEC). Secondo le loro testimonianze, “i poliziotti hanno rotto i vetri dell’auto e li hanno tirati fuori a calci e pungni”. Antonio Gómez Saragos denuncia di essere stato picchiato dalla PEP durante la sua detenzione e che “sono stati costretti a dichiararsi assalitori e che portavano machete e coltelli”. Gerónimo Moreno Deara ha l’incisivo superiore destro rotto, “perchè durante la cattura un poliziotto l’ha colpito col calcio della pistola”. Dichiarano di appartenere “alla commissione che vigila la strada per gli assalti” nella zona di Salto del Tigre, vicino ad Agua Azul, e negano di portare passamontagna o machete. I detenuti sono detenuti da 30 giorni, “per i reati di furto aggravato e criminalità organizzata”, riporta il CDHFBC.(…)

Il 15 aprile è iniziato un blocco stradale all’incrocio di Agua Azul da parte di elementi dell’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, per chiedere la liberazione dei loro sei compagni. Dopo gli spari delle truppe federali, la mobilitazione si è ritirata. Reinstallato giovedì, oggi è stato rimosso quando 800 agenti statali si sono concentrati ad Ocosingo ed Agua Azul per sgomberare il blocco. Secondo le informazioni ricevute, hanno distrutto la cabina di pagamento dell’ingresso e questa notte pattugiavano ancora l’ejido.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia da Oventic.

La Jornada – Giovedì 16 aprile 2009

La JBG di Oventic denuncia la provocazione del gruppo perredista di Sok’on ed afferma che il gruppo era guidato dalle autorità di Nachij, con l’appoggio del governo statale.

Denuncia che gli aggressori dal 2002 si sono appropriati di una sorgente delle basi di appoggio zapatiste

Hermann Bellinghausen, Inviato

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 15 aprile. Perredisti della comunità Nachij, nel municipio tzotzil di Zinacantán, hanno aggredito con violenza le basi di appoggio dell’EZLN di Sok’on, villaggio al quale è stata sottratta la sorgente d’acqua dal 2002 dallo stesso gruppo perredista appoggiato dai governi municipali e statali. La giunta di buon governo (JBG) di Oventic oggi ha denunciato i fatti:

“Lo scorso 12 aprile, verso le ore 15, a Sok’on sono arrivate 26 persone di Nachij a bordo di un camion di proprietà del municipio di Zinacantán con targa CY-94-500, di colore bianco”.

Il gruppo di aggressori guidato dalle autorità di Nachij, Mariano Pérez Pérez (agente ausiliare municipale), José López Gómez (sostituto agente municipale) e Mariano Francisco Hernández Pérez (sostituto giudice rurale), gridava: “Berremo sangue! Ammazziamo questi stronzi zapatisti!”.

Secondo la JBG, “tutti erano armati di picconi e bastoni che brandivano per provocare i nostri compagni e compagne”. Fortunatamente, aggiunge, “non è successo niente, ma solo perché noi zapatisti non cadiamo nelle provocazioni (né) ci scontriamo con i nostri fratelli indigeni anche se sono usati dal malgoverno di Sabines. Anche se c’è un limite a tutto”.

La JBG di Oventic assicura che gli attaccanti sono “finanziati dal presidente municipale Antonio Vázquez Conde e dal governatore Juan Sabines Guerrero, che sono dello stesso partito, del PRD”.

Senza accesso all’acqua

I perredisti, prosegue il racconto dell’autorità autonoma, “hanno attraversato i cortili dei nostri compagni e poi si sono diretti verso la sorgente d’acqua che si trova sulle terre dei compagni zapatisti, ma che dal 2002 gli stessi perredisti hanno sottratto recintando la sorgente con reti, lucchetti, muri di cemento e intubando l’acqua e da quella data rubano l’acqua portandola fino a Nachij impedendo l’accesso all’acqua degli zapatisti”.

Domenica scorsa gli stessi perredisti che nel 2002 tesero un’imboscata e spararono su una marcia pacifica di basi zapatiste, “sono venuti a provocare e tagliare il tubo galvanizzato che loro stessi hanno collegato ed ora si sta solo sprecando acqua”.

Quelli di Nachij “non hanno toccato la recinzione che hanno messo nel 2002 e mentre tornavano si guardavano intorno con paura, pensavano che noi avfemmo risposto con la violenza”. La JBG afferma: “Non sappiamo quale sia la loro intenzione, ma quello che sappiamo bene è che stanno provocando i nostri compagni zapatisti che non sono caduti nella provocazione, ma pensiamo che forse getteranno la colpa dei danni che loro hanno fatto sulle basi di appoggio zapatiste, abbiamo già sentito commenti in proposito”.

Il comunicato ribelle ricorda che da sette anni le basi di appoggio zapatiste di Sok’on vengono vessate da questi perredisti, “ma questo non succede solo a loro, ma anche a tutte le nostre basi di appoggio del municipio di Zinacantán”.

Questa vessazione “è spinta dalla presidenza municipale e permessa dal governatore Juan Sabines. Come JBG abbiamo chiesto alle nostre basi di appoggio di avere pazienza. A buon intenditor, poche parole”, conclude il comunicato ribelle.

Comunicato completo della JBG   http://enlacezapatista.ezln.org.mx/denuncias/1576

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 27 marzo 2009

La GBG studia misure contro “gli abusi dei mal governi”

La CFE sospende l’energia elettrica nel villaggio di Pueblo Maya Tzeltal

Hermann Bellinghausen

Dal caracol di La Garrucha, Chiapas, la giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, ha denunciato “gli abusi del malgoverno federale, statale e municipale” contro Pueblo Maya Tzeltal (già barrio San Jacinto, nella città di Ocosingo), località appartenente al municipio autonomo Francisco Gómez. Si tratta di nuovi tagli della luce da parte della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE), “che violano i diritti dei compagni basi di appoggio zapatisti”.

Secondo le indagini della GBG, lo scorso 20 marzo si sono presentti nella comunità menzionata due lavoratori della CFE per tagliare la luce agli zapatisti. “Quelli della CFE dicevano di avere ricevuto l’ordine dal malgoverno di tagliare la luce”. In realtà, del “falso delegato” del quartiere, Ernesto Cruz Gomez. La GBG accusa il presidente municipale panista Carlos Leonel Solórzano di minacciare e voler obbligare le basi zapatiste a pagare il servizio nonostante siano in resistenza.

“Il terreno è stato legalmente donato dalla proprietaria María Tilsia Robledo Ramírez  all’ufficio della GBG, lasciando la scrittura originale per gli usi legali del municipio autonomo. Per questo il delegato Cruz Gómez non può obbligare i compagni zapatisti a effettuare pagamenti per il terreno. Il municipio Francisco Gómez è il proprietario legittimo dei tre ettari ed un quarto che occupa Pueblo Maya Tzeltal.”

Già in precedenza le autorità avevano sospeso l’erogazione elettrica: a marzo del 2007 e maggio 2008. In entrambe le occasioni le basi zapatiste avevano riparato la linea. Nella seconda occasione i lavoratori della CFE “si sono portati via tutti i cavi che i compagni dell’EZLN avevano comprato; la CFE li ha rubati su ordine dei tre livelli del malgoverno che imbroglia, questo sì nei fatti e non a parole”, dichiara la JBG con riferimento allo slogan pubblicitario del governo di Juan Sabines Guerrero (“fatti, non parole”).

“I tre livelli del malgoverno stanno facendo pressioni sulle basi zapatiste per pagare la luce. I nostri compagni basi di appoggio dell’EZLN non pagano la luce perché sono in ribellione”, afferma l’autorità autonoma.

“Pueblo Maya Tzeltal ripristinerà di nuovo la luce”, aggiunge la denuncia. “Se la CFE tornerà a tagliare la luce dei compagni, la GBG prenderà altre misure”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 27 marzo 2009

Chiapas e le sue prospettive future

Jaime Martínez Veloz

Il 27 dicembre 1994 arrivammo per la prima volta in Chiapas come i legislatori di quella che successivamente sarebbe diventata la Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa). Una sola aspirazione univa tutti i membri di quella commissione: la pace in Chiapas con giustizia e dignità.

La sfiducia iniziale e comprensibile dell’EZLN verso la commissione legislativa andò svanendo nella misura in cui il lavoro collettivo cominciò a dimostrare, per la via dei fatti, che l’obiettivo della pacificazione in Chiapas non era un esercizio retorico, ma una convinzione collettiva di quella strana commissione legislativa.

Da allora e fino ad oggi, il proposito di una soluzione giusta e degna delle cause che hanno dato origine all’insurrezione armata zapatista nel 1994 è stato il punto di riferimento della mia presenza in Chiapas. Per quindici anni sono stato testimone delle vicende chiapaneche e modesto collaboratore in alcuni compiti legislativi o pubblici legati alle attività di pacificazione nello stato. L’insurrezione zapatista ha fornito molti insegnamenti al mondo ed al paese. Molti paradigmi sono caduti e ne sono apparsi di nuovi.

In mezzo ad un mare di discrediti, noi membri della Cocopa imparammo che nelle comunità indigene esistevano altri modi di intendere la vita e, pertanto, un altro modo di relazionarsi. Il tempo, i modi, i sogni e perfino il camminare nelle comunità indigene hanno un ritmo molto diverso dalla concezione della politica messicana tradizionale. Imparammo anche che la migliore compagna per riuscire a costruire opportunità tra le parti in conflitto è la discrezione.

Il Chiapas di oggi è diverso da quello del 1994. Sul piano politico esiste una nuova istituzionalità democratica, con nuove variabili, nuovi attori e nuovi modi di intendersi. Sussistono molte inerzie, ma sono lontani i tempi in cui anno dopo anno si cambiavano governatori con la conseguente instabilità con cui questa perniciosa pratica colpiva lo sviluppo delle istituzioni ed i piani e programmi di governo.

L’elemento di maggiore rilevanza che ha spinto la modernità chiapaneca è stato quello che ha goduto meno della stessa, cioè, lo zapatismo. Senza l’EZLN il destino del Chiapas e la sua realtà sarebbero differenti. Nel Chiapas attuale persistono ritardi ancestrali, ma oggi lo stato ha un’infrastruttura, un potenziale per il suo sviluppo e maggiori livelli di stabilità rispetto a quelli esistenti fino a prima dell’insurrezione zapatista. Il Chiapas di oggi ha delle prospettive per il futuro.

Dopo l’inadempimento del governo federale degli accordi di San Andrés Larráinzar, le basi di appoggio, le comunità e la comandancia zapatista crearono un metodo innovativo di intendimento, elaborazione delle differenze ed interlocuzione con altre comunità indigene attraverso le giunte di buon governo. Nonostante le loro modeste risorse, i risultati ottenuti dalle giunte di buon governo in materia di salute e educazione sono stati di successo. Il loro lavoro non solo è una maniera esemplare di affrontare l’avversità, ma costituisce inoltre un’esperienza che dovrebbe essere recepita da molte istituzioni messicane.

L’altro elemento distintivo per comprendere la governabilità chiapaneca è l’atteggiamento rispettoso del governatore dello stato, Juan Sabines Guerrero, nei confronti dello zapatismo. Sono lontani i tempi in cui il governante di turno, per fare bella figura col governo federale, incoraggiava le diserzioni di presunti zapatisti o permetteva il rafforzamento delle politiche di contrainsurgencia. Avendo chiaro che le parti in conflitto sono l’EZLN ed il governo federale, il governo dello stato svolge il suo compito, contribuendo con discrezione a distendere potenziali zone di conflitto. Nessun tema è semplice, ma con pazienza, volontà e sforzo si formulano schemi che permettano di ridurre le tensioni e creare condizioni affinché le comunità possano elaborare le loro differenze e trovare soluzioni per ogni situazione, per difficile che sembri.

Un terzo elemento è stato il prezioso apporto della società civile e delle organizzazioni sociali. Non è possibile spiegare quello che succede in Chiapas senza l’apporto dei molteplici sforzi collettivi.

Senza essere gli unici, ma i più rilevanti, potremmo citare in particolar modo quanto fatto dal Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, fondato da don Samuel Ruiz García, vescovo emerito della diocesi di San Cristóbal. Il suo lavoro è stato un riferimento permanente nella difesa e protezione dei diritti umani dei settori più deboli della popolazione. Un altro sforzo di enorme ripercussione a beneficio delle comunità chiapaneche è quello realizzato dal 1969 dall’associazione civile Sviluppo Economico Sociale dei Messicani Indigeni, più nota come DESMI, con Jorge Santiago a guida della stessa, presente nelle zone Altos, Nord e Sud, dove mediante un metodo di lavoro comunitario si incoraggia e rafforza l’organizzazione comunitaria. Importante come i precedenti è lo sforzo realizzato dal Centro Integrale di Sviluppo e Formazione Indigena (Cideci), dove il dottor Raymundo Sánchez Barraza, alla guida di un collettivo sociale, è riuscito a consolidare un compito in cui, secondo le sue stesse parole, “il Cideci non è un centro solo per, ma anche degli indigeni. È un centro indigeno nel suo fare, nella sua definizione, nel suo modo di lavorare”.

Questo tipo di sforzi della società civile si è costituito come un fattore di equilibrio nel mezzo di una realtà complessa, dove nonostante le molte contraddizioni sociali, politiche ed economiche esiste un insieme di fattori che spiegano come il Chiapas si sviluppa e costruisce il suo futuro, mediante la creatività, l’immaginazione di un popolo o di molti popoli, con una storia ed una cultura centenarie che costituiscono l’orgoglio nazionale. In Chiapas, come nel mondo, niente è per sempre, ma la governabilità attuale e le sue prospettive non sono un argomento di ispirazione, bensì l’espressione di uno sforzo collettivo che si costruisce e si rinnova in quotidianamente.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia della OCEZ.

La Jornada – Venerdì 20 marzo 2009

È strumento della contrainsurgencia ufficiale, denuncia la OCEZ

Denunciano assalti ed usurpazioni dell’organizzazione perredista Orcao nell’ejido El Carrizal

Hermann Bellinghausen

L’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata (OCEZ) ha denunciato che un gruppo di elementi dell’Organizzazione Regionale deiColtivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao), noto come Los Petules, compie assalti ed usurpazioni di terre contro l’ejido El Carrizal, Chiapas, i villaggi vicini e le persone che transitano sulla strada Cuxuljá-Altamirano, dove hanno stabilito un insediamento su poderi ejidali che non appartengono loro e, secondo la OCEZ, coperti dalle autorità del governo.

La denuncia sottolinea che, dopo che il dirigente della Orcao, José Pérez Gómez, “ha iniziato ad utilizzare la sua organizzazione come strumento della contrainsurgencia ufficiale, ingannando una parte della sua gente affinché operasse come gruppo paramilitare contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”, il leader “si è posto alla testa di questa strategia governativa per distruggere le organizzazioni indipendenti, ed ha ordinato a Los Petules di attaccare anche la OCEZ”.

Bisogna segnalare che i fatti denunciati avvengono nella stessa zona dove la Orcao, di filiazione perredista, ha in corso dei conflitti con le comunità del municipio autonomo 17 de Noviembre, como Moisés Gandhi.

Il gruppo “ha provocato molti problemi in tutta la zona”. Nell’ejido El Carrizal “ha rubato i raccolti, distrutto piantagioni di caffè, divelto recinzioni e introduce il suo bestiame nelle nostre milpas; si ubriacano continuamente e si radunano in strada a molestare le persone che passano e gli abitanti di Tomás Munzer, e la cosa peggiore è che molestano sessualmente le ragazze che vanno alla scuola secondaria e le donne che si recano nella clinica”.

Il 25 agosto 2008 hanno cercato di rubare con violenza una motocicletta ad un passante. Gli agenti municipali delle comunità confinanti Chalam del Carmen San Agustín, Viejo Chalam del Carmen e Sacrificio Buenos Aires fermarono e multarono i responsabili, “ma il delegato di governo ed il pubblico ministero di Ocosingo proteggevano i ladri”. Recentemente hanno dato fuoco ad una casa a Tomás Munzer, ed il 13 marzo hanno danneggiato gravemente un trattore di un elemento della OCEZ.

Gli abusi ed i crimini “sono stati coperti dal presunto agente municipale di Nacimiento, il loro villaggio”, si aggiunge nella denuncia. “È evidente che non hanno nessuna volontà di rispettare gli usi e i costumi secondo i quali convivono pacificamente le comunità della zona, e per questo è sempre più necessario che siano spostati lontano da qui”.

L’ostilità di queste persone non è nuova; 15 anni fa “un gruppo di coloni di El Carrizal, nel municipio di Ocosingo, guidati da Pedro López Rodríguez, incominciarono a commettere assalti in strada”. Durante una rapina nel 1994, suo fratello José morì vicino ad Oxchuc, in uno scontro a fuoco con poliziotti giudiziali.

Secondo la OCEZ, i delinquenti cercarono di farsi passare per zapatisti, “ma poi si inserirono nella Orcao”.

La OCEZ, che appartiene al Frente Nacional de Lucha por el Socialismo (FNLS), in diverse occasioni ha denunciato come “paramilitari” organizzazioni della Orcao, appoggiate da suoi dirigenti, funzionari federali, statali e municipali e dalle forze di polizia.

“Los Petules hanno tentato di strappare terre e diritti a 12 membri della OCEZ a El Carrizal con la complicità delle autorità agrarie e ricorrendo a provocazioni ed aggressioni violente contro le nostre famiglie. Noi non lo permettiamo”, perché El Carrizal è “il risultato della lotta fatta dalla OCEZ per recuperare queste terre nel 1985; di fronte al loro fallimento, questo gruppo, nell’aprile del 2007, ha montato un caso dicendo falsamente che il nostro gruppo li aveva sgomberati”.

“L’autosgombero” era stato pianificato. Le autorità “diedero loro rapidamente tutto l’appoggio per installare quel villaggio irregolare che chiamarono Nacimiento. Ci misero la scuola ufficiale, diedero le lamiere per i tetti delle loro case, asfalto ed ora luce elettrica”.

La OCEZ lancia “un appello fraterno” alle basi della Orcao “affinché non permettano che la loro organizzazione continui ad essere usata per nascondere bande di delinquenti e gruppi di scontro”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 18 marzo 2009

La decisione presa di fronte al rifiuto delle autorità di risolvere il conflitto

Gli indigeni faranno pagare il biglietto di ingresso alla cascata di Misol-ha

Il governatore del Chiapas, “cieco e sordo” alle proteste

Hermann Bellinghausen

Gli indigeni che vivono nei pressi della cascata di Misol-ha, appartenenti all’ejido Adolfo Ruiz Cortines, a Salto de Agua, Chiapas, hanno annunciato che installeranno un ingresso a pagamento per l’accesso alle famose cascate che attraggono migliaia di visitatori tutto l’anno. L’assemblea ejidale, alla quale partecipano in armonia membri di diverse organizzazioni, comprese basi di appoggio dell’EZLN, ha preso la decisione di fronte alla mancanza di risposte del governo all’annosa richiesta di rispetto dei loro diritti territoriali sulla strada Ocosingo-Palenque che porta al sito naturale.

Da anni gli indigeni chiedono il rispetto da parte “di chi usufruisce e  viola i nostri diritti ejidali percorrendo la strada che conduce al centro turistico senza nessun permesso o consultazione”, e controlla l’unico ingresso a pagamento.

Denunciano che il governo di Juan Sabines Guerrero non ha risposto alle loro domande “di un popolo violentato e sfruttato”, comportamento che lo porta “sulla stessa strada dei governanti passati”. Nemmeno dal governo federale hanno ottenuto risposta “nonostante le autorità di distretto e di delegazione federali sappiano delle nostre preoccupazioni e delle minacce di morte ricevute dalla società cooperativa ejidale turistica Cascada de Misol-ha” (La Jornada, 13 gennaio).

Gli ejidatari pensano di installare un ingresso a pagamento per i turisti, “e utilizzare il 100% del ricavato per la nostra gente dimenticata ed ingannata, perché è nostro diritto di usufrutto, se non c’è alcun documento legale” espropriare il terreno.

Nel gennaio scorso gli ejidatari avevano fissato un termine di 60 giorni per ottenere risposte. Di fronte all’indifferenza del governo hanno deciso di installare l’ingresso a pagamento sul tratto di strada di loro “competenza”. Oggi “entreremo in azione e faremo pagare l’ingresso ai turisti, senza esagerare né abusarne, secondo i prezzi correnti”. Il pagamento dell’ingresso offrirà “un migliore servizio e più rispetto per i visitatori”.

Affermano: “Non vogliamo soldi che influiscano negativamente sullo sviluppo dei nostri figli, ma solo un casello di ingresso a pagamento per avere posti di lavoro e contribuire allo sviluppo del luogo”. Avvertono: “Non cederemo, non useremo la forza. Se il governo imporrà la sua forza con poliziotti, esercito ed altro, noi denunceremo la sua mancanza di leadership ed onestà”.

Esigono “un trattamento giusto, pace ed armonia”, e riterranno responsabili i governi statale e federale, ed i vicini della società cooperativa Cascada de Misol-ha, di “qualsiasi evento che metta a rischio la nostra integrità fisica e la nostra libertà”. Dichiarano che “la terra è di chi la lavora” ed invitano ad esigere dal governo “una politica di uguaglianza e non solo per quelli che hanno di più, né per le proprie fila politiche e gli amici”.

Solo lo scorso 12 marzo il governo del Chiapas aveva riconosciuto “l’impegno dell’iniziativa autonoma di prendersi cura e preservare la riserva di Huitepec”, riconoscendo “la vocazione alla cura e preservazione del villaggio zapatista Bolom Ajaw” (ad Agua Azul, non lontano da Misol-ha). Il comunicato governativo sottolineava “l’atteggiamento rispettoso delle comunità zapatiste nel non realizzare nuove invasioni”.

In questo contesto, diceva, il governo dello stato “contribuirà affinché in queste due località ed in altre le comunità indigene beneficino della loro opera di salvaguardia”. A tale proposito, “in risposta alla domanda crescente”, annunciò che avrebbe reso nota “la prima di una serie di impegni che apriranno molte possibilità di sfruttamento ecoturistico, amministrazione e benefici su basi di autogestione comunitaria nelle immediate vicinanze dei siti archeologici, riserve ecologiche, aree naturali e patrimoni culturali delle comunità stesse”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Guerra batteriologica.

La Jornada – Mercoledì 11 marzo 2009

I PRIISTI TRASFORMANO IN DISCARICA I RIFUGI DEGLI ZAPATISTI AD ACTEAL

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 10 marzo. Il municipio priista di Chenalhó ha scatenato, in silenzio ma sfacciatamente, una nuova tappa dell’ostilità contrainsurgente rivolta alle comunità ed agli accampamenti di rifugiati zapatisti del municipio autonomo San Pedro Polhó. Una rozza ma non meno dannosa forma di guerra batteriologica. Hanno trasformato gli accampamenti di Acteal ed i dontorni nella loro discarica di rifiuti.

Quattro o cinque volte al giorno, i camion del municipio di Chenalhó riversano ogni tipo di rifiuti ed animali morti a circa 300 metri dall’accampamento zapatista di Acteal. Hanno così trasformato l’intera zona in un immondezzaio pestilenziale, che viene dato alle fiamme e che sprigiona permanentemente fumi sopra questo insediamento, colpendo anche gli accampamenti e le comunità di Cacacteal, Chimix e Tzanembolom.

I rifiuti sono così abbondanti che hanno ormai invaso l’unico ruscello della zona. In tutti questi luoghi la maggior parte degli abitanti soffre di infezioni intestinali e respiratorie a causa dell’acqua e dei fumi velenosi, o lamentano costanti mal di testa. La pestilenza è cronica ed arriva ad essere insopportabile.

All’aggressione si è sommato il municipio di Pantelhó, sempre priista, che ha deciso di scricare proprio qui i rifiuti del suo capoluogo municipale senza che le autorità sanitarie del Chiapas intervengano nonostante sappiano che si tratta una delle zone indigene a maggiore fragilità in materia di salute.

A dispetto del disinteresse dell’opinione pubblica, continuano ad essere migliaia i profughi zapatisti che non sono tornati nelle loro comunità dal 1997, quando si scatenò la violenza paramilitare culminata col massacro di Acteal il 22 dicembre di quell’anno. Nonostante gli sforzi del municipio autonomo e di organizzazioni civili come il Fideicomiso para la Salud de los Niños Indios de México (Fisanim), promosso dall’attrice Ofelia Medina, e dell’ospedale di Esquipulas (i cui medici si dicono “spaventati” dalla dimensione del problema). La denutrizione, la disoccupazione e la siccità sono la realtà quotidiana tra questi contadini tzotziles defraudati che continuano ad essere gli ultimi, i più ignorati.

La mancanza di controllo sanitario è tale che i rifiuti, non solo si riversano nella valle avvelenando suolo, acqua ed aria, ma ostruiscono perfino il transito veicolare sulla strada.

L’atteggiamento di disprezzo del governo municipale di Chenalhó, e lo stesso fatto di avere trasformato in discarica di rifiuti una zona che si trova tra la miniera di ghiaia di Majomut (Polhó) ed Acteal, è il proseguimento con altri mezzi la guerra contro le comunità in resistenza.

Nello stesso modo in cui il sistema di salute zapatista è stato capace di soddisfare e risolvere molte minacce alla salute degli indigeni, in particolare dei bambini, così affronta situazioni di grande difficoltà e fuori del suo controllo, come questa sorgente di rifiuti tossicia, una deliberata aggressione del municipio priista che conta sulla complicità, almeno per omissione, del governo statale perredista.

A questo si sommano la mancanza d’acqua (molto acuta in questa stagione), di cibo ed in fin dei conti di casa e terre, visto che le piantagioni di caffè, le case e le capanne degli zapatisti sono stati usurpati dagli stessi che hanno scatenato una guerra civile virtuale dieci anni fa. Sono i frutti a lungo termine dell’impunità.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ancora tagli dell’energia.

La Jornada – 10 marzo 2009

Bollette della luce di 2 mila pesos in una zona dove la gente guadagna meno di 50 pesos al giorno

Abitanti dell’ejido chiapaneco di Lázaro Cárdenas sono in resistenza per gli abusi della Commissione Federale dell’Elettrica (CFE)

Accusano il governo perredista di Pijijiapan di sostenere la commissione nella campagna di vessazioneo

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 9 marzo. Il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, aderente all’Altra Campagna, denuncia gli abusi della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) e del governo perredista di Pijijiapan contro l’ejido Lázaro Cárdenas, dove “oltre 200 abitanti sono in resistenza per gli alti costi dell’energia elettrica”.

Questo a causa delle bollette bimestrali che vanno tra i 500 e 2 mila pesos, “un abuso della CFE e del governo in una zona dove la gente percepisce meno di 50 pesos al giorno per sopravvivere”. Per questo motivo “sono in lotta da oltre 15 anni come Frente Cívico e da quasi due anni come Consiglio Autonomo Regionale”.

Nella denuncia si segnala che da molti anni la CFE “non viene nella comunità neppure per aggiustare un cavo, un palo o un trasformatore, ma solo per riscuotere ed abusare della gente e obbligarci a pagare la luce, riscossioni abusive ed ingiuste perché siamo gente umile, semplice e povera”. Rivendicano il loro appello “a tutte le resistenze contro la CFE perchè si prosegua organizzati ed andare avanti insieme per resistere a qualsiasi attacco o attentato contro la nostra gente”.

Chiedono la cancellazione dei debiti delle comunità e la liberazione dei loro “prigionieri politici”: Horacio Enríquez Escobar (nel penitenziario 13 di Tonalá), Rigoberto Méndez Mérida (Penitenziario di Tapachula) ed i quattro di Puerto Madero, arrestati per aver fatto resistenza alla CFE.

Chiedono la sospensione dei tagli indiscriminati dell’energia elettroca, la fine della repressione e persecuzione, la manutenzione delle linee elettriche e tariffe giuste per il Chiapas e tutto il Messico. “Ci opponiamo a qualsiasi progetto neoliberista e capitalista, alle privatizzazioni di luce, acqua e delle risorse naturali e vogliamo il rispetto dei diritti umani e dei popoli in resistenza”.

Rivelano abusi della CFE e del municipio di Pijijiapan, guidato da Saín Cruz, che il 21 gennaio ha notificato al commissario ejidale che dopo “una supervisione negli abitati con illuminazione pubblica, si è scoperto che Lázaro Cárdenas non è solvente”, ed “è invitato” a presentarsi negli uffici della CFE “presso gli uffici addetti e con il nome di chi sosterrà il pagamento”.

In un’altra lettera ufficiale inviata dal municipio perredista il 19 gennaio a Maritza López Selvas, agente commerciale a Pijijiapan della CFE, si rimette un accordo del consiglio comunale che ordina che “ogni comunità paghi il servizio di energia elettrica.

Il 26 gennaio, Lázaro Cárdenas ha ricevuto una lettera dalla CFE di Pijijiapan che dice: “Come parte del nostro programma di verifica del servizio, il 17 luglio 2008 abbiamo controllato la vostra linea ed abbiamo riscontrato un’anomalia che consiste in ui-03 (servizio diretto senza contratto), cosa che viola i termini di contratto di erogazione che regolano la prestazione che forniamo”.

Questo “ha fatto sì che del 17 luglio 2008 al 16 gennaio 2009 non sia stato fatturato il totale dell’energia consumata, per una differenza di 9.210 kw/h ed un importo di 20.478 pesos” e si richiede la vostra presenza nell’agenzia Pijijipan “per liquidare la somma succitata entro 72 ore”.

Il Consiglio Regionale dichiara che gli ejidatari e vicini, e le autorità ejidali si oppongono al pagamento dell’illuminazione pubblica. “È obbligo dei municipi erogare il servizio pagato dalle nostre tasse e non c’è nessuna normativa che obblighi ejidos o comunità a pagare i servizi di base”.

Gli ejidatari ed il consiglio regionale comunicano che non pagheranno l’illuminazione pubblica “e che se non si rispetterà questo diritto prenderemo misure più drastiche contro la CFE ed il municipio, affinché imparino a rispettare i popoli organizzati”. Tutti gli abitanti dell’ejido sono contrari al pagamento ed avvertono le autorità che “non devono imporsi al popolo che si oppone a queste bugie e farse”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 9 marzo 2009

La festa della donna si conclude con un messaggio della dirigenza dell’EZLN

LE ZAPATISTE NEL GIORNO DELLA DONNA: “È TEMPO DI PRENDERCI I NOSTRI DIRITTI”

Hermann Bellinghausen – Inviato

Oventic, Chis. 8 marzo. “È l’ora di rompere le catene, di rompere il silenzio, di dire ‘basta’ di sentirsi inferiori agli uomini. È tempo di agire, di prenderci i nostri diritti. È tempo di mettersi in marcia”. Le comandanti Hortencia, Rosalinda e Florinda diffondono in castigliano e tzotzil un intenso messaggio del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno (CCRI-CG) dell’EZLN nel Giorno Internazionale della Donna.

“Più della metà della popolazione mondiale sono donne. Bisogna che questa metà si ribelli”, affermano le comandanti mentre scende la sera, accompagnate dalle donne della giunta di buon governo, dei consigli autonomi degli Altos, dalle responsabili di commissione ed insurgentas in divisa e senza armi.

“Non sappiamo quante ne festeggeremo di celebrazioni come questa, perché la guerra continua”, denunciano. “Ma adesso, festeggiamo che siamo vivi”.

Dall’ampio spazio del caracol Resistencia y rebeldía por la humanidad, migliaia di donne indigene, provenienti dai cinque caracol, ascoltano, compatte, i messaggi delle loro compagne. “In tutti i caracol stanno facendo festa molte compagne che non sono venute qua”, informano le comandanti. Finalmente il sole si impietosisce dei presenti.

Dedicano la festa “alle compagne cadute dalla nascita del nostro movimento ed alle desaparecidas, imprigionate ed assassinata dal malgoverno”. Ma “non abbiamo paura della morte”, aggiungono. “Col malgoverno non abbiamo speranza che la situazione nei nostri villaggi cambi. I potenti sperano di distruggerci, come hanno fatto ad Acteal, Unión Progreso, Oaxaca, Atenco e Guerrero”.  Si dicono consapevoli che “il malgoverno può attaccare in qualsiasi momento, e dobbiamo essere preparate.

“Dobbiamo afferrarci alla nostra forza. Altrimenti, che esempio diamo alle nostre figlie, che tributo diamo alle nostre cadute?” Rivolgono un appello “speciale” alle ragazze “delle nuove generazioni affinché partecipino ai lavori di salute, educazione ed altre attività necessarie, perché siete voi quelle che porteranno avanti la nostra lotta”.

Poco prima, le comandanti avevano incitato “le donne zapatiste che ancora non hanno nessuna responsabilità” ad unirsi ai lavori. “Si devono nominare più compagne nel CCRI e nelle JBG. Dobbiamo formare più collettivi”. E propongono di “diventare miliziane”.

Ringraziano gli uomini “che lo hanno compreso ed hanno permesso alle loro compagne di partecipare”, perché dentro lo zapatismo ci sono ancora reticenze maschiliste ai cambiamenti che subiscono migliaia di donne choles, tojolabales, tzeltales, tzotziles, mam e zoques nelle montagne del sudest.

La capitana Elena parla per le truppe insorte dell’EZLN: “Fino a quando continueranno a molestarci i malgoverni?”. Denuncia che “quando le donne si organizzano per protestare, le perseguono ed assassinano.

“Ci vogliono tenere prigioniere, ingabbiate come animali. Sono milioni le donne in questo paese che non hanno mai preso in considerazione”. Critica i politici ed i partiti, che “si scelgono tra loro”, in particolare le donne che diventano legislatrici e funzionarie, perché pur essendo donne “stanno col malgoverno”.

Scende la nebbia. La capitana prosegue: “Dov’è la libertà per le donne? Dov’è la felicità per il popolo del Messico?”. Ed afferma: “Siamo in grado di lavorare, di fare quello che ci chiede il popolo e di combattere di fianco agli uomini”.

Dichiara: “Siamo qui per servire il popolo del Messico”. Ed aggiunge: “Non abbiamo paura delle armi del nemico”.

Migliaia di indigeni di bassa statura, insieme a molte donne del resto del paese e di altre parti, concludono la loro festa, ora in onore di doña Concepción “Coral” (come pronunciano ripetutamente le indigene nominando Mamá Corral), madre di desaparecidos politici. Le sue figlie, Adela e Rosario Corral, ascoltano l’omaggio delle comandanti ad un lato della piazza.

Per il caracol di La Realidad parla Everlida; per Morelia, Liliana; per Roberto Barrios, Grisel. Ed infine la bambina Lupita lancia un breve e fulminante avvertimento a nome delle “donne e bambine maltrattate”. Con la sua vocina dice: “Un giorno, col nostro potere, vinceremo”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 7 marzo 2009

GLI ZAPATISTI HANNO ESTIRPATO ALCOLISMO E DROGA

Hermann Bellinghausen – Inviato

Municipio autonomo Lucio Cabañas, Chis., 6 marzo. Un risultato sanitario indiscutibile delle comunità zapatiste è lo sradicamento dell’alcolismo da oramai 20 anni. La differenza nella quotidianità familiare e comunitaria è profonda ed implica meno violenza, che è già un indicatore sanitario. Ancora di più trattandosi di popoli indigeni e conoscendo le stragi che causa tra loro l’alcool, sempre di pessima qualità.

Lo raccontano cronache e romanzi: gli indios si controllano con l’acool. Fernando Benítez negli anni ’70 visitò in Chiapas questi popoli e li trovò prostrati, con la dignità umiliata, ubriachi come un’epidemia. Oggi non si vede più questo nelle comunità in resistenza. Le feste che hanno fatto per 15 anni, visibili o discrete, grandi o piccole, sempre con danze fino all’alba, si svolgono sempre senza una goccia di alcool. È un’eccezione assoluta su scala nazionale, con carnevali e feste patronali a colpi di posh, acquavite o brandy sintetico. E senza andare lontano, ogni fine settimana.

Non bevendo, i contadini, in particolare gli uomini, eliminano il rischio di malattie frequenti nei popoli indigeni: ulcera, cirrosi, denutrizione e ferite di machete provocate dalle risse tra ubriachi. Non si scorge tra gli indicatori di salute delle istituzioni governative, ma il suo effetto sulla salute pubblica, a ben vedere, è eccezionale.

Per non parlare dell’inesistenza di consumo o spaccio di droga, assolutamente non  permessi nelle comunità autonome. Il ritorno all’alcolismo normalmente è il percorso verso la diserzione nelle comunità divise e strumento privilegiato delle strategie di contrainsurgencia dal 1995.

Il murales sulla facciata della clinica autonoma Esperanza de los Pobres, dipinto dai promotori di salute, fiancheggia l’accesso alle strutture, povere come il nome, ma di una pulizia che balza agli occhi. La sua parte principale è come un libro aperto con le istruzioni per il percorso della salute. È un dipinto che potrebbe anche essere esposto in un museo, anche se parla solo dell’igiene personale e comunitaria, della latrina, deimmetodi per separare la spazzatura, legare gli animali, spazzare il patio. Tutto illustrato in maniera molto espressiva.

I promotori di guardia, un ragazzo ed una ragazza, tzotziles molto svegli, permettono a La Jornada di visitare le strutture. Un ambulatorio ampio, arredato solo con un lettino e strumenti base; sotto il vetro della scrivania una foto grande del dottor Ernesto Che Guevara. Una sala di ginecologia per il controllo di gravidanze, parti ed esami. Un’area dentistica. Una farmacia con le cose essenziali ordinate con cura. “Visitiamo qui e a domicilio”, afferma il promotore. “Raramente c’è un medico, ma accompagniamo la gente che deve andare all’ospedale”. Qui si distribuiscono anche i vaccini del municipio autonomo.

Sopra il sedile posteriore di un combi (taxi collettivo – n.d.t.) appoggiato alla parete dell’entrata, si legge: “Sala d’aspetto”. Ci conducono al laboratorio dove si realizzano biometrie, esami delle urine, il test per la tubercolosi, coproculture, paptest. Imbrunisce. Arriva di corsa una famiglia indigena con un neonato in lacrime. Il promotore li accompagna nell’ambulatorio.

“Quella è l’ambulanza”, dice Irma, la promotrice, indicando una combi adattata per trasportare i pazienti. È promotrice da anni, e sembra saperci fare. Se qualcosa risalta nelle cliniche autonome zapatiste è la mancanza assoluta di negligenza. Non potrebbe esserci. Le comunità non lo permetterebbero.

Dall’oscurità della strada spuntano tre figure; una è avvolta in una coperta. È un anziano con grave difficoltà respiratoria. Irma saluta e porta l’anziano all’interno della clinica. Ci sono notti che qui non si dorme, come nei grandi ospedali.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Autosufficienza sanitaria.

La Jornada – Domenica 1 marzo 2009

Non ci sono specialisti né letti, dice il responsabile della clinica nel caracol

Il governo è negligente per la mancanza di servizi medici in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Oventic, Chis., 28 febbraio. Dall’ambulatorio principale della clinica La Guadalupana arriva il pianto intermittente ma intenso di un neonato, il crepitare acuto e fragile dei suoi polmoni. Esce, preoccupato, un medico, “cooperante” europeo, che lavora qui frequentemente. Parla col ‘compagno’, si consulta con due infermieri e rientra nell’ambulatorio.

Un anziano ed un’anziana prendono sono seduti al sole, forse sono stati da poco operati; entrambi indossano le vestaglie azzurre dell’ospedale. Convalescenti e pazienti guardano il viale che attraversa il caracol, animato come sempre. Alle loro spalle un murales con grandi ritratti di Che Guevara ed Emiliano Zapata. Nel laboratorio di erboristeria due donne tzotziles imbottigliano delle sostanze in boccette semitrasparenti di plastica.

Dalla finestra della cucina attigua arrivano le canzoni e le voci zapatiste di Radio Amanecer del Pueblo. Sue due tavoli all’aperto, altri giovani indigeni fanno delle registrazioni: circondati da carte ascoltano le persone che di tanto in tanto li interpellano.

Luis, responsabile di salute del caracol di Oventic e promotore da 15 anni, riceve il giornalista sulla terrazza dell’edificio dove ci sono aule e camere da letto per i promotori di tutti gli Altos. Inquieto, pallido.

– Questo bambino non riesce a respirare. Ha 20 giorni. Ha dei blocchi respiratori – spiega. La conversazione viene interrotta un paio di volte da altri promotori che lo informano in tzotzil sui preparativi di un’auto per il trasferimento. L’ambulanza di cui dispongono, ben equipaggiata, è in riparazione. Hanno dovuto arrangiare un veicolo da carico Nissan.

– Nella nostra zona degli Altos sono molti i problemi di salute. È sempre così nelle comunità indigene. Da parte del governo non ci sono stati cambiamenti reali riguardo all’assistenza. Non è migliorata. Spendono un mucchio di soldi, costruiscono edifici, riempiono le strade con ambulanze e fuoristrada per il trasferimento del loro personale. Ma quando la gente ne ha bisogno non ci sono medici, né personale, tanto meno medicine.

Sempre autocritico, Luis ammette che il servizio autonomo di salute è molto povero. “Ci mancano molte cose”, dice.

– Gli ospedali del malgoverno sono pieni di indigeni. Non ci sono letti, né specialisti, e dicono sempre che il paziente non è grave, anche se lo è. Se ha bisogno di ulteriori analisi, la vedono come un’impossibilità.

A volte la clinica di Oventic conta su medici volontari e sull’appoggio di chirurghi, ma in generale si basa su proprie risorse. “Nell’assistenza alle nostre comunità, con le nostre piccole conoscenze, ci prendiamo cura dei malati e diamo istruzioni alle famiglie”. Ed aggiunge:

– La denutrizione è un problema generale negli Altos. In alcune parti, non in questo municipio di San Andrés, c’è la tubercolosi. Nelle nostre comunità facciamo le vaccinazioni. E scopriamo i casi.

Benché ripeta che “manca molto”, riconosce che “prima c’erano più morti, con i nostri sforzi sono diminuiti”. Smentisce quello che dicono quelli del “malgoverno” sulla salute delle comunità zapatiste: “Non dicono la verità”.

Arriva un’infermiera per avvisarlo che è tutto pronto. Luis interrompe l’intervista, scende e sale al volante della Nissan. Sul sedile posteriore viaggia il bebè, minuto e scuro, in braccio ad una promotrice che aggiusta la mascherina che copre il viso del bimbo. Al suo fianco, la madre, non molto giovane, tenta di sorridere, senza riuscirci. Nella parte posteriore del rimorchio, sotto una tenda nera, il padre della creatura li seguirà fino all’ospedale civile di San Cristóbal de las Casas reggendo la grossa bombola di ossigeno collegata ai polmoni del figlio attraverso lo sportellino.

Intraprendono il viaggio il più velocemente possibile nella valle di Jovel. Più di un’ora tra le montagne e le incessanti curve. Fino all’ospedale nel centro di San Cristóbal. Luis si ferma all’entrata del pronto soccorso, scende dal veicolo ed insieme alla promotrice che porta il bambino entra nell’edificio, apre la porta senza esitazione e senza fermarsi allo sportello né chiedere permesso. Mettono il neonato su una barella e chiedono l’immediato intervento dei medici.

Li avvertono che non ci sono posti, né letti. I promotori zapatisti insistono con fermezza ed un medico finisce per dare loro ascolto. Luis non se ne va fino a che la sua compagna, aiutata da un’infermiera, mette il bambino nel respiratore. Allora esce in strada, parla con la madre in tzotzil. E poi mi dice, più tranquillo ma con i nervi ancora tesi:

– E’ così ogni volta. Se non insistiamo noi, non ci assistono perché siamo indigeni, credono che non lo sappiamo, a loro non importa se i nostri malati muoiono. Se lasciamo fare a loro, sarà sempre troppo tardi, non hanno colpa, se ne lavano le mani.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Le cliniche autonome.

La Jornada – Sabato 28 febbraio 2009

Possono contare su cliniche autonome in cui si eseguono interventi chirurgici ed analisi di base

LE COMUNITA’ ZAPATISTE HANNO RAGGIUNTO L’AUTOSUFFICIENZA NEI SERVIZI ALLA SALUTE

Nei nostri villaggi la situazione è cambiata, e non grazie al governo, segnalano i promotori

Hermann Bellinghausen, Inviato

Municipio autonomo 17 de Noviembre, Chis. 27 febbraio. “La situazione sanitaria nei nostri villaggi è cambiata, e non per quello che fa il governo, ma grazie a noi stessi. Sono ormai scarse le diarree che prima uccidevano tanti bambini e quando si presentano, le isoliamo e curiamo. I nostri bambini non muoiono più per questo”. Ciò nonostante, “è difficile mettere in pratica la salute”, ammette José, responsabile della commissione di salute del caracol. “Qualsiasi corso o formazione deve venire dalle necessità di ogni comunità. E col lavoro dei promotori conosciamo come si ammala la nostra gente”.

Con una punta di ironia dice che “dove il governo vede una clinica autonoma, ne apre una dell’IMSS per fare concorrenza”. Al principio “guadagna terreno perché promettono molto e distribuiscono programmi, ma subito dopo si vede che non offrono assistenza, mancano le medicine, non hanno personale o non lo usano”.

Inoltre, “il governo cerca di corrompere i promotori con i soldi, e se non accettano getta discredito sui compagni e crea problemi con la gente che non è in cura e non fa parte della resistenza. Ma noi lavoriamo secondo coscienza, non per denaro”.

In qualsiasi momento si possono presentare casi che necessitano di ospedalizzazione o trattamento da parte di specialisti. “Nelle cliniche autonome ci sono ambulanze, o almeno un’auto, per portarli all’ospedale San Carlos (Altamirano) o al civile di San Cristóbal de las Casas, ma contiamo anche su alcune sale chirurgiche negli ospedali autonomi di Oventik e San José del Río”.

I promotori seguono le gravidanze, “e quasi tutte le compagne partoriscono il bambino in comunità, e se si può, in casa propria, e le assiste un promotore o promotrice, ma se il parto è difficile le portano nella clinica che ha il reparto di ginecologia”. L’assistenza alla donna comprende la ricerca di cancro cervicouterino e la prevenzione e cura delle infezioni. Le brigate sono costanti.

Nella zona del caracol di Morelia sono circa 200 i promotori di salute che coprono diversi settori come donna, dentistico o medicina generale”. Il coordinamento delle regioni che formano la cosiddetta regione Tzotz Choj risale al 1999. “Prima, ognuna si organizzava per conto proprio, così dall’insurrezione del 1994”, racconta José. Ed in alcuni casi, ancora prima.

La clinica del municipio 17 de Noviembre, El Salvador Corazón de Jesús, è sorta nella comunità di Morelia anni prima dell’insurrezione e non ha mai smesso di funzionare. Dotata di ambulatorio, farmacia, laboratorio base di analisi, sala di ginecologia e clinica dentistica, è composte da cinque padiglioni ed è presidiata da quattro promotori che ruotano ogni quattro giorni.

Tutte le cliniche, circa 12 in questo caracol, hanno la farmacia con medicine di base. Le case di salute e la scorta dei medicinali delle comunità sono fornite dalle cliniche autonome. Un’altra costante è la preparazione e l’impiego clinico in erboristeria: sciroppi, unguenti, tinture, disinfettanti ed altri prodotti naturali che fanno parte della farmacia.

Gli zapatisti acquistano i farmaci che non producono loro stessi. Per questi, i malati devono pagare un prezzo molto basso ed uguale per tutti. Che la modesta economia autonoma si eserciti fuori del sistema statale capitalista, non impedisce che sia un’economia in forma.

Periodicamente si susseguono voci e pressioni ufficiali per “introdurre” brigate nei villaggi zapatisti sulla base di supposizioni che lì non si vaccinano i minorenni. Sotto questo aspetto, come in altri, la popolazione zapatista ufficialmente “non esiste”. Non importa quanto efficiente è il sistema zapatista di cartelle e registri, se le istituzioni non “li rilevano”, ritengono che non ci siano.

Questo accade anche a livello di censimento. Centinaia di villaggi e comunità zapatiste create dal 1994, e che in alcuni casi costituiscono interi municipi autonomi, neanche “esistono”. Né per i conteggi ufficiali, né per l’accademia che gode a minimizzare lo zapatismo con ignorante volontarismo ideologico. Per loro nessuno esiste fuori dei registri, indici e “programmi” governativi.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La Jornada – Sabato 28 febbraio 2009

Los de Abajo

La festa delle donne che lottano

Gloria Muñoz Ramírez

Come ogni anno da ormai un quarto di secolo, le donne insurgentes e dei villaggi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si preparano a celebrare il Giorno Internazionale delle Donne che Lottano. I festeggiamenti si realizzeranno i giorni 7 e 8 marzo nel caracol di Oventik, la stessa regione nella quale questa settimana le autorità autonome zapatiste hanno denunciato pattugliamenti aerei e terrestri dell’Esercito federale, col pretesto di cercare coltivazioni di marijuana.

Non è un caso che in vista di un’imminente celebrazione zapatista il governo federale risponda con l’invio di aeroplani, elicotteri e camion pieni di soldati, malgrado nemmeno nei peggiori momenti delle ostilità militari siano riusciti a frenare una festa pacifica dell’EZLN. Anche così, non si può ignorare che sono incrementati i sorvoli negli Altos del Chiapas nelle settimane recenti e sono state rafforzate le mobilitazioni militari terrestri. Il pretesto è vecchio ed illegittimo, perché a questo punto “tutto il mondo sa che nei municipi autonomi ed in tutto il territorio zapatista è proibita la semina, il traffico ed il consumo di droghe e di altre attività illecite”.

L’8 marzo è una data emblematica nelle terre zapatiste. Fu precisamente un Giorno Internazionale della Donna, di 15 anni fa, quando le insurgentas dell’EZLN si presenterano per la prima volta in una cerimonia di fronte ad un piccolo gruppo di giornalisti, in una notte stellata nella comunità tzeltal di Prado Payacal. Una festa intima durante la quale le insurgentas Irma ed Elena, tra molte altre, rivendicarono il ruolo della donna indigena nella lotta per la liberazione del loro popolo. Indossando i loro abiti multicolori, decine di donne, con i bambini in braccio, ascoltavano ed assentivano in silenzio.

Tre lustri dopo quell’umile celebrazione notturna, le bambine che pendevano dagli scialli delle madri vivono un’altra realtà. In così poco tempo sono state protagonise del risultato forse più importante e più difficile delle zapatiste: la rivendicazione dei loro diritti, sforzo che hanno visto concretizzato nella partecipazione di donne tzeltales, tzotziles, tojolabales, choles, mames e meticce nei diversi incarichi dell’autonomia, nei comandi del Comitato Clandestino e nelle file dell’esercito zapatista.

È per questo che, se le zapatiste non decideranno diversamente, questi 7 e 8 marzo ci sarà molto da festeggiare e riflettere. All’evento politico, culturale ed artistico “mamá Corral” parteciperanno donne dell’AltraCampagna e della Zezta Internazional.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Andrés: 13 anni dopo

La Jornada – 27 febbraio 2009

Jaime Martínez Veloz

San Andrés Larráinzar: 13 anni dopo

Il 15 febbraio 1996, secondo giorno dell’assemblea plenaria, le delegazioni del governo federale e l’EZLN concordarono di firmare i primi accordi in materia di diritti e cultura indigeni. La delegazione zapatista consegnò al governo una proposta sulla formazione della commissione di seguimento. Il giorno dopo si chiuse la seconda parte della plenaria risolutiva del tavolo di diritti e cultura indigeni. La delegazione dell’EZLN firmò gli accordi di San Andrés in presenza della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) e della Commissione Nazionale di Intermediazione (Conai). La cerimonia si svolse in uno dei saloni della sede del dialogo in San Andrés Larráinzar. Come presidente di turno della Cocopa firmai il documento, in rappresentanza della commissione legislativa, in qualità di testimone. Successivamente, con un atto protocollare, li firmò la delegazione del governo federale. Da parte del governo firmarono: Marco Antonio Bernal, Jorge del Valle ed Uriel Jarquín, mentre per l’EZLN lo l’avevano fatto i comandanti Tacho, David e Zebedeo.

Gli accordi ai quali arrivarono, dopo le consultazioni che ogni parte realizzò, erano che il governo federale e l’EZLN accettavano i documenti emanati dalla prima parte della plenaria risolutiva, accogliendo nel documento le osservazioni che gli zapatisti avevano fatto. L’EZLN insistette nel segnalare: “… la mancanza di soluzione del grave problema agrario nazionale, e la necessità di riformare l’articolo 27 costituzionale che deve riprendere lo spirito di Emiliano Zapata, riassunto in due domande basilari: la terra è di chi la lavora e Terra e Libertà”.

Relativamente al tema Situazione, Diritti e Cultura Indigeni, la delegazione zapatista giudicò insufficienti i punti di accordo. Dichiarò che i popoli indigeni e le autorità dovevano programmare e calendarizzare di mutuo accordo la loro messa in pratica. Circa le Garanzie di accesso pieno alla giustizia, la delegazione zapatista considerò la necessità della nomina di interpreti in tutti i processi in cui erano coinvolti gli indigeni. Nello stesso tempo ritenne indispensabile che si legiferasse per salvaguardare i diritti dei migranti, indigeni e non indigeni, dentro e fuori i confini nazionali.

Al fine di rafforzare i municipi segnalò che dovevano esserci impegni espliciti del governo per garantire il loro accesso alle infrastrutture, alla formazione e risorse economiche adeguate.

Attraverso i mezzi di comunicazione dichiarò necessario che si garantisse l’accesso all’informazione vera, opportuna e sufficiente sulle attività del governo e che i popoli indigeni potessero contare su propri mezzi di comunicazione. Le parti si assunsero l’impegno di inviare la risoluzione alle istanze di discussione e decisionali nazionali, così come a quelle dello stato del Chiapas.

Il documento Pronunciamento congiunto che il governo federale e l’EZLN inviarono alle istanze di dibattito e decisione nazionali, segnò quello che avrebbe dovuto essere una nuova relazione tra il governo ed i popoli indigeni, confermando che questi ultimi erano “… stati oggetto di forme di subordinazione, disuguaglianza e discriminazione che hanno determinato una situazione strutturale di povertà, sfruttamento ed esclusione politica”.

Il governo federale si impegnò a riconoscere i popoli indigeni nella Costituzione Generale della Repubblica, ampliare la loro partecipazione e rappresentanza politica, garantire il pieno accesso alla giustizia col riconoscimento e rispetto delle specificità culturali e sistemi normativi interni, garantendo il pieno rispetto dei diritti umani, promuovere le manifestazioni culturali dei popoli indigeni, assicurare educazione e formazione, garantire il soddisfacimento di necessità basilari, promuovere la produzione ed il lavoro e proteggere gli indigeni migranti.

Sull’impegno assunto dal governo federale di riconoscere nella Costituzione le rivendicazioni indigene, si specificò che queste dovevano contenere: diritti politici, diritti di giurisdizione, diritti sociali, diritti economici e diritti culturali. Ugualmente, il riconoscimento “… nella legislazione nazionale delle comunità come entità di diritto pubblico, il diritto di associarsi liberamente in municipi con popolazione a maggioranza indigena, così come il diritto di diversi municipi di associarsi al fine di coordinare le loro azioni come popoli indigeni”.

La Cocopa dichiarò che per quanto difficile avrebbe potuto essere, “anche tra le più grandi differenze, sempre resterà il ricorso alla parola che rende possibile la comprensione e la riconciliazione”.

L’EZLN affermò: “… alla fine dell’attuale fase del dialogo, riteniamo che solo la più ampia mobilitazione sociale potrà dare corpo a queste domande fondamentali. Questo si otterrà solamente promuovendo l’organizzazione indipendente che nasce come uno dei compiti del Forum Nazionale Indigeno. Che deve estendersi in tutte le regioni del paese”.

Da parte sua, Marco Antonio Bernal disse che per il governo questo era “un passo deciso che ci dà la sicurezza che questo conflitto ha una soluzione politica definitiva”.

In retrospettiva è possibile affermare che la tappa che culmina con la firma degli accordi di San Andrés fu la più fruttiuosa del dialogo, nonostante i disaccordi, le provocazioni e la lentezza con le quali si avanzò.

In contrasto con quello che succedeva nel contesto del processo di dialogo tra il governo federale e l’EZLN, nell’ambito nazionale la crisi si notava già in tutta la sua grandezza. Non si era ancora toccato il fondo, ma già si diceva che era la crisi più grave degli uiltimi tempi.

In effetti, fino ad ottobre del 1995 si era registrata un’inflazione superioire al 40% ed il tasso di disoccupazione era il più alto dal 1987. In quei mesi si persero 780 mila posti di lavoro. Gli esperti segnalavano che, per la prima volta, l’economia informale occupava più messicani di quella formale.

La caduta del PIL nel secondo semestre del 1995 era del 10%, la più grave degli ultimi 50 anni. Davanti a questo panorama, tra gennaio e giugno di quell’anno erano usciti dal paese più di 10 mila milioni di dollari.

Le banche naufragavano e già si presentava il caso del Fobaproa. Questo fondo dava con facilità alle banche contributi miliardari e senza che si vedesse alcun chiaro miglioramento della loro situazione. I partiti di opposizione criticavano il funzionamento del fondo ed il modo in cui erano state privatizzate le banche.

In questo contesto, a San Andrés Larráinzar si incontrano due linguaggi o, meglio ancora, vari linguaggi. Quello dell’EZLN è incisivo e diffidente. Nonostante ciò, dialoga e negozia.

Il linguaggio del governo federale è incerto, schivo e cerca sempre di coprirsi di una veste istituzionale che nei fatti non ha. La delegazione negozia senza sapere dove sta andando la barca e tenta di riprendere lin mano ‘iniziativa che nei fatti hanno sempre avuto gli zapatisti. Nonostante tutto, anch’essi negoziano.

Ci sono anche gli altri linguaggi. I legislatori della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) ad ogni passo cercano di mettere da parte le loro differenze di partito ed i loro interessi ed affinità personali, per arrivare prima a raggiungere consensi interni, e poi servire da ponte tra le parti. Costa molto lavoro, ma ci riescono.

Così, il linguaggio della Cocopa e della Conai si costruisce passo, passo per costituirsi nel tentativo delle due istanze di tradurre nel linguaggio della pace le sfide di ognuna delle due parti.

L’EZLN insisteva sul fatto che San Andrés includesse tutti i problemi nazionali. In principio, la delegazione governativa aveva opposto resistenza. Si deve solo concordare la pace, poi si potrà includere quello che si vuole. Come si può raggiungere la pace senza considerare le cause che hanno portato all’esplosione del conflitto?

Le cause profonde del conflitto armato in Chiapas sono le stesse di molte dimostrazioni di dissenso pacifico che esistono in tutto il paese: ingiusta distribuzione della ricchezza; misere condizioni di vita ed un sistema politico escludente ed autoritario. Nel caso delle comunità indigene, i poveri tra i poveri, si aggravano perché si aggiunge l’oppressione razzista verso le loro forme culturali e perfino verso la loro stessa esistenza etnica.

Per i membri della Cocopa di quei tempi, la soluzione del conflitto passava e passa dalla spinta alla riforma democratica dello Stato che è, alla fine, lo scenario nel quale gli accordi che si stabiliscono tra le parti si possono trasferire sul terreno dei fatti.

Sotanzialmente, l’EZLN chiede lo stesso di molti altri milioni di messicani: democrazia, pace con dignità, giustizia ed uno sviluppo economico e sociale includente. Le agende del conflitto e della riforma democratica dello Stato sono gemellate. Per questo la proposta della Cocopa di includere l’EZLN nel dialogo nazionale non solo era auspicabile, ma anche indispensabile. La storia del Messico contemporaneo ha dimostrato che l’EZLN è un attore politico irrinunciabile. Le dirigenze dei partiti ed il governo di Zedillo fecero di tutto per far fallire questo sforzo sincero.

Il grido di “mai più un Messico senza di noi” si spiega con le comunità indigene sottomesse ad un’oppressione centenaria, durante la quale hanno perso terre e diritti, anche se non si è riusciti ad annichilirle né a spogliarle della loro ricchezza cultura, che è parte delle radici della nostra patria.

Per questo gli accordi di San Andrés Larráinzar siglati tra il governo federale e l’EZLN 13 anni fa sono l’espressione di una delle costruzioni politiche più importanti degli ultimi venti anni e sono un riferimento fondamentale nella costruzione del Messico democratico al quale aspiriamo. Non c’è né può esserci progresso democratico in Messico senza il loro compimento.

Le forze politiche messicane hanno il dovere di mettere in campo tutti gli strumenti politici e le attibuzioni repubblicane competenti per concretizzare l’aspirazione e gli aneliti dei popoli indios del Messico concordati 13 anni fa tra il governo federale e l’EZLN a San Andrés Larráinzar.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 26 febbraio 2009

Nelle scuole si promuove la prevenzione quale migliore strategia contro le malattie

LO ZAPATISMO AVANZA SUL FRONTE DELLA SALUTE

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ejido Morelia, Chis., 25 febbraio. Il fondamento base della salute pubblica, almeno in teoria e nei discorsi, è la prevenzione. Il sistema di salute autonomo zapatista ha sviluppato da più di un decennio un’esperienza (molto più di un esperimento) che conferma questo principio base. I popoli in resistenza lo fanno senza il “malgoverno”, e non poche volte lo fanno meglio. La medicina dei poveri non è necessariamente una medicina povera.

“Nessun bambino base di appoggio zapatista resta senza vaccinazione”, dice José, coordinatore di salute del caracol di Morelia, con tale sicurezza e tranquillità che gli si chiede se ne è sicuro, se non ne è scappato qualcuno. “Ogni due mesi le brigate si recano in tutti i municipi e le regioni, e se un bambino è rimasto senza vaccinazione perché aveva la febbre o non c’era la volta precedente, viene vaccinato. Tutti hanno una tessera che registra le vaccinazioni fino ai quattro anni”.

Spiega che per ottenere le schede e la documentazione completa non chiedono nulla al governo, ma lo ricevono da medici che li appoggiano in città come Altamirano, Palenque o Comitán, e dalla solidarietà internazionale “che si è organizzata molto bene per farlo”. Questa prevenzione “prosegue a scuola e tiene i bambini in salvo dal tetano e dalle altre infezioni”. E’ rivolta anche alle madri ed alle donne incinta.

Descrive come si coordina la salute nel caracol, “rispettando la cultura dei popoli”. In questa zona, recentemente ristrutturata in tre grandi municipi ed una decina di regioni autonome, esiste una clinica in ognuna di queste sedi. La maggioranza sono modeste, ma funzionano permanentemente, gestite da almeno quattro promotori che lavorano dalle 8 del mattino alle 22 di sera, e siccome dormono lì, stanno di guardia.

“Assistiamo chiunque lo chieda, anche se non sono zapatisti. A volte vengono malati che prima sono andati nella clinica del governo e non hanno ricevuto assistenza, o chiudeva  alle due del pomeriggio o non avevano le medicine”. Conferisce autorità alle sue parole la presenza di tutta la giunta di buon governo (JBG) e di altri membri della commissione di salute. Quasi una ventina. E con una grande partecipazione di donne di diverse età.

“Ogni comunità autonoma ha una cassetta di medicinali in custodia presso i promotori di salute, c’è n’è sempre una, ma quasi sempre più d’una”. Questi si sono formati nel corso degli anni, con costanti laboratori di apprendistato e valutazioni. Inoltre, per il concetto di salute comunitaria in autonomia, è centrale l’educazione. Non solo quella che si impartisce a scuola. Bisogna segnalare che nel caracol di Morelia ogni villaggio ha una scuola che funziona.

“I promotori tengono dei corsi nelle comunità. Insegnano a costruire le latrine, a tenere pulite le case, a separare la spazzatura, a lavarsi le mani, a bere solo acqua precedentemente bollita. E si fanno corsi di nutrizione”.

In questa zona, in qui convivono tzeltales, tzotziles e tojolabales, la denutrizione è un problema meno acuto che in altre parti del Chiapas indigeno. “Si pesano i bambini e li registriamo, e se vediamo che qualcuno ha un problema, insegniamo alla mamma come nutrire meglio il bambino”.

In queste comunità andare in clinica è un po’ come andare a scuola: “I promotori spiegano sempre ai malati ed ai loro parenti qual’è il loro problema e danno indicazioni”.

Alla domanda se esistono epidemie, risponde tranquillamente no. “Abbiamo saputo che in alcune parti di Chilón c’è la tubercolosi, ma da noi abbiamo pochissimi casi e tutti sono in cura nel municipio Comandante Ramona”. Ammette che c’è ancora presenza di varicella, “ma non molto”. Ricorda nei mesi scorsi un focolaio di pertosse a Cancuc (negli Altos, che non risponde a questo caracol): “Nessuno dei bambini malati era zapatista”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Contro il caro-bollette.

La Jornada – Domenica 15 febbraio 2009

La CFE provoca conflitti tra gli abitanti indigeni del Chiapas, denuncia un gruppo civile

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 14 febbraio. Rappresentanti di comunità di 50 municipi che formano la Rete Statale di Resistenza Civile La Voce del Nostro Cuore, aderente all’Altra Campagna, accusano la Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) di sostenere “una strategia di provocazione di conflitti nelle comunità indigene e contadine del Chiapas, cercando di corrompere diverse autorità ejidali, comunali e municipali affinché incitino una parte della popolazione a scontrarsi con le famiglie che partecipano alla giusta e legittima lotta di resistenza contro le alte tariffe”.

La rete denuncia atti di persecuzione, minacce di morte e perfino omicidi, spiti o sostenuti dall’ente parastatale, “in complicità con le autorità municipali.”

Un morto e diversi feriti a Sitalá

Durante l’assemblea, iniziata venerdì e conclusasi oggi, La Voce del Nostro Cuore ha riferito dei fatti successi nelle scorse settimane nella comunità La Gloria, municipio di Venustiano Carranza, “perseguitata dalla Procura Generale della Repubblica (PGR) con mandati di comparizione” contro tre partecipanti alla resistenza, così come lo scontro tra indigeni nella comunità Don Pedro, municipio di Sitalá, provocato dai lavoratori della CFE lo scorso 6 febbraio.

In questo ultimo caso, un gruppo di abitanti filogovernativi, aizzati dai lavoratori della CFE, volevano “tagliare la luce alle famiglie in resistenza, lasciando sul posto un contadino morto e diversi feriti”, ha ricordato la rete statale.

Rivolgendosi alla società civile, al presidente Felipe Calderón, al governatore Juan Sabines Guerriro ed al direttore della CFE, Alfredo Elías Ayub, i rappresentanti del movimento civile di resistenza alle alte tariffe elettriche condannano queste azioni e ritengono responsabili “in maniera diretta i governi federale, statale e municipale, così come la CFE, di quello che potrebbe accadere dentro e fuori le nostre comunità indigene e contadine”.

Bisogna dire che questa resistenza si è molto diffusa in Chiapas negli ultimi dieci anni. Sulla costa, la frontiera, lo zona nord, gli Altos e la Selva Lacandona si manifesta opposizione al pagamento delle bollette eccessive dell’energia elettrica in comunità povere, mentre vengono esentate o “favorite” le grandi imprese. È uno degli specchi più nitidi della disuguaglianza, e sebbene si manifesti con speciale forza in un importante numero di comunità zapatiste, è una lotta comune per centinaia di comunità e colonie urbane di diverse filiazioni politiche.

Così, il Coordinamento Statale del Chiapas del Fronte Nazionale di Lotta per il Socialismo (FNLS), dopo l’aggressione a Sitalá, questo venerdì ha sottolineato “l’enorme responsabilità della CFE e del governo dello stato nel deplorevole evento”, poiché “invece di rispondere ai giusti e legittimi richiami di centinaia di comunità per le elevate tariffe dell’energia elettrica, hanno scelto di criminalizzare la nostra lotta e sono ricorsi ad inganni, come i suoi programmi Luce Amica, Tariffa Vita Migliore ed ora Luce Solidale, cercando con diversi mezzi di far scontrare e dividere le comunità e generare scontri tra chi paga il servizio e chi è in resistenza. Quanto accaduto a Sitalá è un fatto serio degno di attenzione ed una conseguenza di questa criminale politica”.

Intanto, l’assemblea della Voce del Nostro Cuore solidarizza con gli abitanti di Candelaria, Campeche, un altro luogo “dove la CFE cerca di usare le leggi per reprimere i popoli che difendono i loro diritti”; anche con i membri del Centro di Ricerche Economiche e Politiche di Azione Comunitaria (Ciepac) “che hanno subito minacce e vessazioni da parte dello Stato”.

Persecuzione

Giovedì scorso Ciepac ha reso noto che Norma Iris Cacho Niño, coordinatrice operativa dell’organizzazione non governativa, con sede a San Cristóbal de las Casas, ha subito spionaggio e minacce telefoniche dopo la marcia-carovana delle donne che ha attraversato il paese da Ciudad Juárez, Chihuahua, fino in Chiapas, realizzata tra il 25 novembre ed il 2 dicembre. Cacho ha partecipato attivamente a questa protesta.

L’assedio “si inserisce in un contesto di aggressioni, minacce e persecuzioni avvenute tra l’ottobre 2008 e gennaio 2009 a San Cristóbal de las Casas, fatti che ricordano il clima repressivo che si viveva in Chiapas dal 1995 al 1997”.

Il Ciepac lo considera “parte di una diffusa strategia di repressione contro le comunità, le organizzazioni e le persone, in particolare le donne”, dentro una “crescente tendenza repressiva, fomentata dai gruppi di potere e da diverse istituzioni di governo”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Persecuzione contro zapatisti.

La Jornada – Martedì 10 febbraio 2009

Luis Hernández Navarro

LA PERSECUZIONE CONTRO LE COMUNITA’ ZAPATISTE

In Chiapas, la persecuzione contro le comunità zapatiste segue una direzione precisa. Come se si trattasse di una staffetta, gruppi contadini legati al governo dello stato si alternano in diverse regioni per cercare di sfinire la resistenza indigena. In lungo e in largo per i territori ribelli, un esercito di sigle che parlano a nome dei contadini provocano regolarmente e sistematicamente le basi di appoggio che rifiutano di avere rapporti col governo.

La provocazione non ha tregua. Si tratta di non concedere respiro a chi ha osato costruire l’autonomia senza chiedere il permesso. Un giorno occupano le loro terre, un altro rubano il loro caffè o il loro bestiame, un altro ancora rompono i recinti, il giorno dopo distruggono i piccoli orti. Stanno in agguato in attesa del momento opportuno per tendere imboscate ai ribelli, brandire il machete o sparare con la fionda.

Una coltre di impunità protegge gli aggressori. La legge non è per loro. Far scontrare contadini contro contadini ed indigeni contro indigeni è stata una pratica comune del potere. Loro sono lo strumento. Per i loro servizi succhiano le risorse pubbliche destinate alla lotta alla povertà o allo sviluppo agropecuario e, se hanno più fortuna, occupando qualche incarico pubblico.

Durante gli anni successivi all’insurrezione armata, la maggioranza delle organizzazioni mercenarie appartenevano alle file del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI). Nomadi della politica, dall’anno 2000 hanno cambiato domicilio alla sede del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Il sole azteco in Chiapas non è solo il veicolo per compiere frodi contro i suoi e favorire dirigenti come Jesús Ortega, ma anche, è covo di paramilitari.

Uno degli ultimi episodi della guerra che non si dice contro gli zapatisti, è a carico dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffé di Ocosingo (Orcao). Mentre l’EZLN celebrava nella città di San Cristóbal il Festival della Degna Rabbia, elementi di questa organizzazione hanno tentato di sottrarre ad un gruppo di indigeni zapatisti una proprietà di 500 ettari che si trova a Bosque Bello, nel municipio autonomo Che Guevara.

La loro scommessa era alta. Se quello che si voleva fare era delegittimare gli zapatisti, la rappresentazione teatrale non avrebbe potuto essere in un momento migliore. In una riunione internazionale ad alto livello, di fronte a centinaia di invitati di diversi paesi, con i riflettori dei media puntati addosso, l’organizzazione dei coltivatori di caffè si è presentata come la vittima, “presentando” i ribelli come una forza “contesa” da un gruppo di indigeni. La provocazione non è stata casuale, né un fatto “sfuggito dal controllo”. E’ stato qualcosa di programmato.

L’Orcao non è sempre stata così. Per anni è stata in stretto contatto con lo zapatismo. Tuttavia, tra il 1997 e 1999 questo vincolo si ruppe e la sua dirigenza cominciò ad essere critica con la base sociale ribelle, accettando appoggi governativi e incarichi di rappresentanza popolare dei suoi dirigenti. Con l’arrivo al governo dello stato di Pablo Salazar, la rottura si trasformò in conflitto crescente. Nel 2002 le aggressioni dell’organizzazione dei coltivatori di caffè contro le basi zapatiste crebbero drammaticamente.

La Orcao si formò nel 1988, con 12 comunità di Sibacjá, nel municipio di Ocosingo.In poco tempo si unirono altri villaggi, fino ad arrivare quasi a 90. Le sue domande originali consistevano sia nella ricerca di migliori prezzi per il caffè (nel 1989 crollarono drasticamente), sia nella soluzione dell’arretratezza agraria. Nel 1992, nel contesto della commemorazione dei 500 anni di resistenza indigena, nera e popolare, rivendicò l’autodeterminazione indigena, si oppose alla riforma dell’articolo 27 Costituzionale e chiese libertà, giustizia e democrazia.

Orcao fa parte dell’Unione Nazionale delle Organizzazioni Regionali Contadine Autonome (Unorca) in Chiapas. Come è successo a quasi tutte le organizzazioni contadine dello stato, nazionali e locali, quelle che formano Unorca soffrono di un inarrestabile processo di decomposizione, dispersione e divisione interni. Orcao guida la Unorca nello stato. Juan Vazquez, uno dei suoi principali leader, è commissario per la riconciliazione nel governo di Juan Sabines. L’organizzazione ha stretti vincoli con questa amministrazione. La maggioranza dei suoi leader fanno parte del PRD.

A dicembre del 2007 l’EZLN ha avviato una distribuzione agraria dal basso, avallata dalla Legge Agraria Zapatista. Il provvedimento rispondeva, in parte, alla decisione governativa di riconoscere, a certi gruppi di contadini, dei diritti sulla terra occupata dai ribelli. Con ciò, l’amministrazione pubblica federale e statale seminarono il seme della discordia tra i poveri. Il 15 maggio 2008 gli zapatisti informarono la Orcao che avrebbero delimitato le terre recuperate nel 1994 per quantificarne gli ettari e distribuirli. La risposta dell’organizzazione dei coltivatori di caffè non si è fatta attendere: affittò e vendette le sue terre, invase proprietà di basi zapatiste, rubò e ferì animali dei suoi avversari ed aggredì violentemente le comunità ribelli.

I ribelli non sono l’unica associazione che ha gravi conflitti con la Orcao. L’Organizzazione Contadina Emiliano Zapata (OCEZ), che non ha niente a che vedere con l’EZLN, ha protestato pubblicamente davanti a Juan Sabines che “diversi funzionari del governo che lei guida hanno compiuto abusi, truffe, inadempimenti di accordi e costanti provocazioni commesse dall’attuale ex consigliere comunale di Ocosingo, José Pérez Gómez, e dal gruppo paramilitare inserito nella Orcao che egli stesso dirige, che pretende di commettere la vergognosa ingiustizia di spogliare dei loro legittimi diritti ejidali 10 indigeni tzeltales, che sono nostri compagni della OCEZ-FNLS”.

Quanto successo a Bosque Bello non è stato uno scontro, ma un’aggressione della Orcao contro gli zapatisti, una provocazione che non è degenerata solo grazie alla prudenza dei ribelli.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 31 gennaio 2009

Jaime Martínez Veloz

L’EZLN E LA POLITICA SOCIALE

Le attività realizzate dall’EZLN per commemorare i 15 anni dell’insurrezione armata sono state una verifica di quanto conquistato e di quanto ancora c’è da fare. Nello stesso tempo sono state uno spazio per aprire il dibattito su temi di portata nazionale.

Con precisione, il comandante David ha segnalato: “Il malgoverno ha tentato di convincere e comprare la coscienza delle nostre basi di appoggio promettendo loro migliori condizioni di vita per dimenticare i loro morti e le loro giuste richieste. Purtroppo ci sono fratelli indigeni che sono caduti nelle trappole del malgoverno credendo di migliorare le loro condizioni di vita senza lottare”.

La Sedeso ha risposto che “i programmi per la lotta alla povertà non fanno parte dei piani di contrainsurgencia sociale” e che “dall’anno 2000 c’è stato l’impegno del governo federale per risarcire i danni derivati dall’oblio, dall’emarginazione e dall’esclusione in cui si tenevano le comunità indigene del Chiapas”. Sono documentati decine di esempi in cui enti federali hanno realizzato azioni che non hanno risolto i problemi strutturali derivati dalla povertà, ma hanno invece contribuito alla frattura del tessuto sociale comunitario.

L’utilizzo delle risorse governative per la cooptazione ed il clientelismo è la costante della maggioranza dei governi, a tutti i livelli e di tutti i partiti. La politica sociale si è ridotta a forme selvagge di assistenzialismo grossolano e sono scarsi i programmi sociali che promuovono l’organizzazione ed il lavoro comunitario. Per questo la critica dell’EZLN ha una connotazione che trascende anche lo zapatismo, e la realtà è sotto gli occhi di tutti. Gli indici di sviluppo umano nel paese non sono sostanzialmente cambiati ed ogni giorno sono sempre di più i messicani che sprofondano nella povertà. Quello che dicono sia politica sociale, non riesce ad assistere i poveri che genera la politica economica.

Per ignoranza o per convinzione, esiste il rifiuto tra gli apparati governativi a concedere potere alle comunità. Si è optato per l’elargizione invece dell’organizzazione, la formazione, la produttività ed il lavoro comunitario. La pianificazione regionale o locale è un’entelechia. Si fa quello che sembra meglio all’autorità di turno. A volte l’azzeccano, ma più spesso si diluisce l’impatto sociale o l’efficacia del lavoro governativo.

Per questo la politica sociale intesa come la politica di Stato, deve trascendere l’ambito temporale e funzionale dell’amministrazione pubblica, coinvolgendo gli altri livelli di governo, i partiti, le organizzazioni sociali e l’insieme della società.

Davanti alla sfida della povertà, la disuguaglianza ed il deterioramento delle condizioni di vita della cittadinanza che minacciano il nostro futuro, è necessaria una politica sociale di lungo respiro.

La politica sociale può contribuire ad ottenere una nuova governabilità che sbarri il passo alla violenza come linguaggio politico; allo scetticismo come atteggiamento della società di fronte alle istituzioni; al pettegolezzo come agente corrosivo della coesione e del rispetto sociale.

Nessun sforzo in materia di politica sociale ha futuro se non è volto a modificare le tendenze attuali che assegnano ad una piccola percentuale della popolazione una grande quantità della ricchezza, mentre un’enorme massa di cittadini affronta povertà, disoccupazione, bassi salari, abitazioni inadeguate, insufficienti servizi urbani, bassi livelli di istruzione e crescenti deficienze in materia di salute ed alimentazione.

Nella misura in cui la società potrà contare sulla dovuta attenzione alle sue istanze ed i suoi bisogni saranno risolti, l’autorità avrà maggiori margini di governabilità per il compimento della sua missione.

L’intera politica sociale deve partire dal fatto tangibile che la lotta alla povertà è solo un aspetto dell’azione dello Stato, e che deve incidere sul cambiamento dell’attuale distribuzione della ricchezza e, di conseguenza, in aspetti come posti di lavoro, salario e sviluppo regionale.

A questo rispetto, maggiori livelli di partecipazione e vigilanza sociale, in un clima di piena democrazia, aiuterebbero a raggiungere una politica sociale più efficiente. Gli errori od omissioni in materia sociale, così come in politica ed economia, colpiscono i migliaia che aspettano una risposta alla loro situazione.

Trasformare la politica sociale in un compito di Stato richiede democratizzare la sua concezione ed applicazione, convocare a discutere ampie e plurali forze politiche e sociali affinché cooperino nella sua attuazione, valutazione e correzione. Quanto detto implica generare nuove forme di articolazione tra la società ed il governo, che spingano l’organizzazione e la partecipazione comunitaria e generino migliori livelli di convivenza civica.

Molto di quanto qui esposto ha a che vedere col rifiuto dello Stato messicano di rispettare quanto concordato a San Andrés, in quanto a “riconoscere le comunità come entità di interesse pubblico”, in base ai quali i cittadini smetterebbero di essere “oggetto” e si trasformerebbero in individui delle politiche pubbliche.

Per questo il comandante David, dalla trincea zapatista, ha aperto un tema che richiede un atteggiamento trattamento strutturale da parte dello Stato messicano che trascenda la congiuntura e definisca nuovi modi di relazione tra il governo e la società, includendo, ovviamente, lo zapatismo.

(Traduzione “Maribel”  Bergamo)

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Denuncia da La Garrucha.

CARACOL DE RESISTENCIA HACIA UN NUEVO AMANECER

GIUNTA DI BUON GOVERNO EL CAMINO DEL FUTURO

CHIAPAS, MESSICO

22 gennaio 2009

Ai compagni e compagne della Sesta Internazionale.

Ai compagni e compagne dell’Altra Campagna nazionale ed internazionale.

Ai compagni e compagne dei media alternativi.

Ai fratelli e sorelle del Messico e del Mondo.

Alle organizzazioni non governative dei diritti umani.

I FATTI:

La Giunta di Buon Governo denuncia all’opinione pubblica gli abusi dei tre livelli del malgoverno, federale, statale e municipale.

I fatti si stanno svolgendo nella proprietà San Antonio Toniná e El Carmen Toniná, di proprietà del compagno Alfonso, Cruz Espinosa e Benjamín Martínez Ruíz membri dell’organizzazione zapatista del Municipio Autonomo Francisco Gómez appartenente al caracol di La Garrucha.

Si tratta di un problema nella zona archeologica che si trova dentro la proprietà del compagno Alfonso.

INDAGINI DELLA GIUNTA DI BUON GOVERNO

DEL GIORNO 16 GENNAIO 2009

1. – il giorno 16 gennaio 2009 la Giunta di Buon Governo ha visto personalmente che il Personale della sicurezza non permetteva il passaggio per visitare il rancho Toniná, di  proprietà del nostro compagno Alfonso.

2. – La Giunta di Buon Governo ha inoltre notato che esiste un accampamento dentro la proprietà del compagno Alfonso. Ed il compagno Alfonso Cruz Espinosa paga le imposte relative al suo rancho ed ha le ricevute di pagamento del passaggio di proprietà dal 2008 al 2009.

3.- Il compagno sta pagando le tasse anche per il progetto delle rovine elaborato dall’archeologo Juan Yadeum.

4. – Da anni il governo federale, statale e municipale stanno approfittando delle entrate provenienti dai turisti nazionali ed internazionali che visitano la rovina. E delle tasse che paga il proprietario.

5.-Ciò che stanno facendo i tre livelli del malgoverno, CALDERON, SABINES E LEONEL SOLORZANO ARSIA è un chiaro abuso che può vedere anche un cieco.

6. – I tre livelli del malgoverno sfruttano da anni la riscossione delle imposte e la riscossione dei biglietti di ingresso alle rovine che si trovano dentro la piccola proprietà.

7.- La giunta di Buon Governo dichiara che questi tre livelli del malgoverno, CALDERON, SABINES E LEONEL SOLORZANO ARSIA, stanno invadendo la piccola proprietà del nostro compagno base di appoggio zapatista.

8.- La Giunta di buon governo esige da questi tre livelli del malgoverno che ritirino l’accampamento che si trova dentro la proprietà del compagno Alfonso Cruz.

9.- La giunta di buon governo esige che il malgoverno paghi per il terreno che occupa il basamento della zona archeologica secondo un prezzo di vendita concordato con il proprietario.

10. – Se i tre livelli del malgoverno non accettano di pagare il terreno che occupa il basamento della zona archeologica, la Giunta di buon governo si assumerà la responsabilità e l’amministrazione della rovina facendo valere il diritto stabilito dalla legge, non vogliamo invasori dentro la proprietà di una base di appoggio zapatista.

11. – Chiediamo inoltre che Juan Yadeum e la direttrice del Museo Julisa Camacho si dimettano dal loro incarico nella rovina di Toniná perchè non se ne stanno prendendo cura, ma al contrario provocano problemi senza rispettare il padrone della proprietà.

12.- I tre livelli del malgoverno hanno fatto pressioni su questo compagno per obbligarlo a firmare un accordo il giorno 14 gennaio che per dare attuazione al provvedimento No. 401-3-112 datato 9 gennaio, ma questa firma è una falsificazione come sempre fanno i malgoverni di CALDERON, SABINES E LEONEL SOLORZANO ARSIA.

Il nostro compagno Alfonso dichiara di non aver firmato nessun accordo col malgoverno.

E non accetterà nessun documento che non sia un atto di compra-vendita del terreno che occupa il basamento della rovina e si fissi un prezzo concordato.

Confermiamo che abbiamo le ricevute di pagamento prediali e di passaggio di proprietà, quindi che sia chiaro a questi malgovernanti che paghino o ce lo riprendiamo.

Distintamente

Le Autorità della Giunta di Buon Governo

SEFERINO GUZMAN SANCHEZ,PEDRO GUTIERREZ GUZMAN,FLORITA LOPEZ PEREZ

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 16 gennaio 2009

Jaime Martínez Veloz

A 15 anni dall’insurrezione zapatista

15 anni fa la nazione messicana si destò alla notizia di un sollevamento armato in diversi municipi dello stato del Chiapas. L’azione portata avanti dalle forze ribelli si caratterizzò per la sua sincronia, disciplina e l’efficacia dei suoi propositi.

Dopo i primi giorni di combattimento, la società messicana chiese la sospensione delle ostilità ed obbligò le parti in conflitto a cercare un’uscita negoziata che rispondesse ai giusti reclami che sollevava lo zapatismo. I successivi processi di negoziazione risultarono complessi, ma si realizzarono nonostante le evidenti provocazioni promosse da chi, dentro lo Stato, sono risultati essere i beneficiari degli scontri sociali. Per questi la guerra è un affare, la pace non lo sarà mai.

In questo contesto, si formò una commissione legislativa paritetica che poi sarebbe stata nota come la Commissione di Concordia e Pacificazione, di cui ho fatto parte. La decisione di parteciparvi non fu semplice: a quel tempo ero deputato federale per Tijuana ed occuparmi di un tema distante in termini geografici non risultava un compito semplice. Tuttavia, le caratteristiche e la portata nazionale delle rivendicazioni zapatiste costituiscono un avvicinamento ad uno dei temi del Messico profondo ancora irrisolto.

Questo fatto mi ha permesso da allora di conoscere da vicino una realtà complessa, inedita e rinnovata di giorno in giorno da fatti e nuove circostanze. Il Chiapas è, in sé, un’università della vita.

La costruzione di ponti tra il governo e lo zapatismo, nelle prime tappe del processo di negoziazione svolto nell’ambito della Legge per il Dialogo, la Negoziazione e la Pace Degna in Chiapas, non fu esente da atteggiamenti ostili, o quanto meno scettici, di chi, dalle istituzioni dello Stato, ha sempre rifiutato di ammettere l’esistenza di un paese che non ha concluso la sua tappa di consolidamento democratico. L’EZLN, attraverso la sua lotta, ha dimostrato che le istituzioni del nostro paese non includono ampi settori della società messicana, tra questi, ed in maniera particolare, gli indigeni messicani.

Il Chiapas di oggi è molto diverso da quello che c’era all’inizio del conflitto. Lo stato possiede un’infrastruttura stradale, portuale ed aeroportuale che può stimolare lo sviluppo e la crescita; è avvenuta una ridistribuzione del potere politico; sono finiti i tempi del partito unico. Tuttavia, i ritardi sociali, principalmente nelle comunità indigene, sono ancora presenti. La sfida è enorme.

Al margine della soluzione di fondo che richiede l’agenda nazionale presentata dallo zapatismo, la cui realizzazione dipenderà da una nuova correlazione di forze nel Congresso dell’Unione e da un rinnovato atteggiamento dell’Esecutivo di fronte a questa problematica, è indispensabile l’avvio di una serie di misure che evitino tensioni non necessarie e riducano al minimo qualsiasi azione di confronto.

La tentazione di alcuni comandi militari, attraverso un’interpretazione distorta dell’Iniziativa Mérida, firmata dal Messico col governo statunitense, per intervenire in territorio zapatista sulla base di presunte azioni contro la coltivazione di stupefacenti, deve essere respinta perché non ha la minima veridicità e perché rappresenta una grave e pericolosa provocazione.

In un paese che ha permesso che molte delle sue istituzioni siano state infiltrate dal narcotraffico, l’unica regione che ha impedito la presenza di questo flagello è il territorio dove si trova lo zapatismo.

La realizzazione del Festival della Degna Rabbia è stato luogo di incontro di molteplici voci di paesi e realtà diverse unite nello stesso proposito di cambiare le ingiuste condizioni vita di milioni di cittadini del Messico e del mondo. L’organizzazione dell’incontro è stata una nuova dimostrazione della capacità creativa dello zapatismo, della validità delle sue domande e l’espressione di un movimento che, nonostante gli anni, conserva una struttura ed una capacità che non possono essere sottovalutate.

Si può essere d’accordo o no con quanto dicono gli zapatisti, ma nessuno può negare la giustezza delle sue domande e la capacità di tenere alti i sogni, aneliti ed ideali dei membri e simpatizzanti dello zapatismo in un momento in cui la società messicana è assediata dal consumismo, dalla narco-cultura e dai nuovi stereotipi nati da un modello che vuole trasformare in merce tutto ciò che tocca. Per questo, quanto realizzato dagli zapatisti ha un grande valore in mezzo alle tante carenze economiche ed in un contesto dominato dal consumismo e dalla frivolezza.

Per questo, la capacità di sognare, di criticare, di dire la loro verità a modo loro e nel loro stile, continuerà ad essere la costante del dire e fare degli zapatisti. C’è a chi da fastidio, perfino alcuni che si presume siano di sinistra vorrebbero il silenzio permanente dello zapatismo. C’è a chi danno fastidio gli argomenti dell’EZLN, ma poco fanno per costruire un’uscita dal conflitto. Concordano con la destra nella strategia secondo cui “il conflitto finirà per usura o esaurimento dello zapatismo; pertanto, meno si fa e si dice sull’argomento, meglio è”. Niente è più lontano dalla verità. La fermezza, la capacità organizzativa, lo spirito di combattimento e la validità delle sue domande, oggi sono attuali più che mai.

Congratulazioni per i 15 anni dall’apparizione pubblica dell’EZLN ed i 25 della sua formalizzazione come organizzazione combattente.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ecoturismo come contrainsurgencia.

La Jornada – 14 gennaio  2009

I PROGETTI “ECOTURISTICI” GENERANO CONFLITTI IN CHIAPAS

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ocosingo, Chis., 13 gennaio. Una cascata di conflitti collegati ai cosiddetti “centri ecoturistici” si succede nel tragitto tra Ocosingo e Palenque, dove i governi federale e statale hanno grandi progetti di sviluppo turistico. La determinazione delle comunità indigene di recuperare i loro diritti territoriali sta facendo compiere passi avanti ai coloni di Agua Clara, Misol Há, Agua Azul ed altre località.

Reagiscono così ad autorità statali e gruppi locali che, appoggiati da queste autorità, sono ostili mentre monopolizzano l’usufrutto di cascate, fiumi e località di proprietà pubblica. In generale, militanti del PRI affiliati all’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) che si mimetizzano sotto altri nomi o sotto società cooperative turistiche.

D’altra parte, l’Organizzazione dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) ha acuito le sue dispute con i municipi autonomi per le terre recuperate dopo l’insurrezione dell’EZLN nel 1994. Questo accade vicino ad Ocosingo, in aree dove il governo statale vuole acquisire dei poderi per il passaggio di un’eventuale autostrada San Cristobal de las Casas-Palenque, come ha denunciato la giunta di buon governo di Morelia alcuni giorni fa.

Il turismo è la panacea dove c’è qualcosa di “bello” da sfruttare, per mascherare da “sviluppo” l’esproprio e la predazione privata. È la scommessa più ambiziosa dell’amministrazione statale, e federale, per quanto possibile. Il governo di Juan Sabines Guerrero investe grandi somme per “promuovere” le virtù turistiche del Chiapas.

Gli esempi abbondano. Le troupe di attori e vedette di Televisa e Tv Azteca si alternano nelle ore di maggior ascolto, sempre a carico all’erario. Panem et circenses. A volte li portano lì a passeggio, altre ad incoronarli o a portare e distribuire giocattoli ai poveri. Si investe anche in giornalisti di lusso del mondo intero. A dicembre è venuto a farci il favore di un reportage il “viaggiatore ozioso” del The New York Times, ma il meglio sono gli inviti, come ai giornalisti della Svizzera: “Il governatore dello stato del Chiapas invita i giornalisti del Club Stampa Svizzero a visitare il paese tra il 10 ed il 22 febbraio 2009. Tutte le spese in loco (visite, trasferimenti, alloggio) saranno a carico del governo del Chiapas. Solo il biglietto aereo per il Messico, andata e ritorno, sarà a carico dei partecipanti”.

Poi si descrive il Trip to Chiapas con tutti i dovuti “luoghi comuni”, con allettanti promesse come la vita notturna di una vera little New York, perché adesso sembra che Tuxtla Guitiérrez “è meglio conosciuta come la ‘piccola New York’ per la sua vita notturna, mentre San Cristóbal de las Casas è la ‘nuova Soho’. Venite e scoprirlo”. Alla gastronomia locale si attribuisce “uno dei menù più prelibati del mondo”.

La passeggiata comprende “risorse naturali (petrolio, elettricità, settore minerario); cultura (maya, popoli indigeni, artigianato, intellettuali ed artisti); economia (investimenti stranieri diretti, come gli investimenti svizzeri nella pesca, piantagioni di cacao e nell’industria turistica); politiche di inclusione (avanzamenti democratici, migrazione) e la presenza delle Nazioni Unite (agenzie ONU che lavorano congiuntamente nell’agenda per lo sviluppo)”.

Mentre si diffonde tanta bellezza, le autorità ejidali e comitati di difesa dell’ejido San Sebastián Bachajón (Chilón), aderenti all’Altra Campagna dell’EZLN nella regione autonoma San José en Rebeldía, che sono stati perseguitati dalla Opddic, il 28 dicembre scorso hanno fermato quattro assalitori di turisti e automobilisti sulla strada Palenque- Incrocio di Agua Azul-Xahanil ed Ocosingo, “nel tratto dei 7 chilometri del centro ecoturistico di Agua Azul”. I fermati avevano appena fatto una rapina di fronte alla comunità Salto de Tigre. Si tratta di un problema ricorrente di cui si dà la colpa ai contadini autonomi o indipendenti, con l’intenzione di criminalizzarli.

Sulla base di testimonianze oculari, gli ejidatari hanno fermato Gaspar Silvano López, Juan Pérez Hernández, Sebastián López Hernández e Nicolás Guzmán López. “Sul luogo del fermo sono stati trovati molti oggetti appartenenti a turisti e persone che erano state derubate”. Gli ejidatari hanno poi deciso di consegnare i fermati al Ministero di Giustizia di Palenque.

Intanto, ejidatari indipendenti di Ruiz Cortines, a Misol Há, e basi di appoggio dell’EZLN ad Agua Clara, si oppongono ai piani turistici portati avanti nonostante l’opposizione delle comunità, piani che qualificano “di sviluppo ingiusto per noi come indigeni”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 11 gennaio 2009

Appoggiati da uffici del governo “montano” provocazioni e false denunce

Priisti chiapanechi attizzano il conflitto contro i simpatizzanti dell’EZLN

HERMANN BELLINGHAUSEN

Municipio autonomo Comandanta Ramona, Chis. 10gennaio. Il luogo dove, proveniente dal fiume Agua Azul, Agua Clara dà il nome ai dintorni e ad uno stabilimento balneare che normalmente era abbandonato, alcuni mesi fa era stato occupato dagli zapatisti della comunità dando avvio ad un’esperienza turistica semplice ed innovativa. “Occupato” è un modo di dire. Tutte queste terre erano state recuperate dopo l’insurrezione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Lo stabilimento balneare e le terre circostanti erano di proprietà di un certo Coutiño, di Tuxtla Gutiérrez. Zapatisti ed indigeni di altre organizzazioni “recuperarono” la proprietà e la terra bastava per tutti. Erano contadini, non guide turistiche, cosicché lo stabilimento balneare rimase semi-abbandonato.

Ma non è un posto qualsiasi. È uno dei più bei luoghi nel bacino degli spettacolari fiumi Tulijá, Aga Azul e Bascán che scendono nella selva e sono loro stessi selvaggi. Agua Clara è di quegli alvei azzurro-smeraldo con tronchi sommersi che sembrano incrostazioni d’ambra, soprattutto in inverno.

I turisti hanno continuato ad arrivare. Nel sessennio foxista, la Commissione per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (CD), spinse la costruzione di una pensione con alcune stanze ed aggiustò strade e palapas, anche se le rive sono rimaste naturali ed intatte. Se ad Agua Azul questi investimenti così come nel lontano hotel Las Guacamayas dei Montes Azules, qui no.

Gestito da gruppi filogovernativi di Santa Clara, noti come priisti dell’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), il progetto cadde nell’abbandono e le strutture del CDI morirono.

Nel 2008 le basi zapatiste decisero di pulire lo stabilimento balneare e ristrutturarlo e, con l’accordo dei commissari della parte ejidale di Agua Clara (i priisti), rimase a carico della giunta di buon governo (JBG) di Morelia. Oggi, consigliati dal Partito Rivoluzionario Istituzionale dello stato, i primi hanno disonorato l’accordo, assumendo atteggiamenti ostili, montando provocazioni e false denunce con l’appoggio degli uffici stampa governativi e dei media filogovernativi.

In possesso di La Jornada c’è una copia dei verbali firmati da priisti e zapatisti il passato 14 ottobre nell’ejido Santa Clara, municipio Salto de Agua: “Le autorità della JBG, consigli municipali e le autorità di questo ejido riunite nella scuola primaria per redigere un verbale di accordo con gli ejidatari e consiglieri del municipio Comandanta Ramona per il fatto che nell’ejido sopraccitato si trova una struttura ecoturistica”.

Il documento, con firme e timbri in calce dei rappresentanti ejidali ed autonomi, dice: “Entrambe le autorità manifestano concordi che quell’area sarà controllata con la JBG. Si concorda inoltre che questo avverrà conformemente alle indicazioni della Legge Rivoluzionaria dell’EZLN. Successivamente saranno rese note le aree delimitate dalle organizzazioni. Sono 19 mila 215 ettari”.

Ci sono le firme di Pascual Pérez Gómez, Santiago Deara Gómez e Jacinto Hernández Moreno, commissario, consigliere di vigilanza ed agente ausiliare ejidali, rispettivamente, e tre membri del consiglio autonomo Comandanta Ramona. Ed i timbri di ognuno.

Ciò nonostante, da dicembre i priisti sono diventati ostili accusando gli zapatisti di quello che loro stessi facevano. Hanno parlato di aggressioni e del presunto arrivo di zapatisti armati. Quelli che sono arrivati sono gruppi di autonomi della regione Tzot’z choj per fare la guardia e partecipare alla ristrutturazione del luogo.

Oggi, quando esistono due “caselli” di pedaggio, uno dei priisti ed un’altro degli autonomi, il conflitto è attizzato dagli ejidatari di La Concordia (sic) che chiedono al Congresso ed al governo dello stato di “risolvere un problema di convivenza” con “presunti zapatisti”. Ed i priisti di Agua Clara, guidati da Pascual Hernández, vessano gli abitanti ed hanno inventato “sparizioni” ed aggrediscono i turisti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Irruzione della ORCAO

La Jornada – Sabato 10 gennaio 2009

TENSIONE NEL CARACOL PER L’ARRIVO DI 220 ELEMENTI DELLA ORCAO

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ejido Morelia, Chis. 9 gennaio. Provenienti da Sibacá (Ocosingo), alle 8 circa sono arrivate 50 persone dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) a bordo di tre camion fino ai cancelli del caracol zapatista e, colpendoli, hanno cercato di entrare con la forza. Non sono riusciti a rompere la catena ed hanno desistito. Nelle ore successive sono arrivati altri veicoli. Alle 11 erano orami 220 persone e 19 tra camion e furgoni. Tra grida e minacce, guidati dal dirigente José Pérez Gómez, chiedevano di entrare per parlare con la giunta di buon governo (JBG).

In realtà, la JBG aveva accettato di discutere con la Orcao la proprietà del podere Chijtal, terre recuperate dalle basi zapatiste nel 1994 nella regione autonoma Che Guevara del municipio Lucio Cabañas, e che reclama l’organizzazione di coltivatori di caffè, di filiazione perredista.

“Loro si sono spaccati e le terre sono rimaste nelle mani dell’EZLN. Le terre recuperate sono già state misurate ma c’è stato un accordo per aprire una discussione con i fratelli della Orcao”, ha detto la JBG a La Jornada.

La JBG aveva acconsentito a ricevere 15 rappresentanti della Orcao, ma questi insistevano per 30, adducendo che era il numero di comunità presenti, anche se quelle dichiarate sono solo 12, come risulta dal documento, completo di timbri e firme, lasciato in terra fuori del caracol. Il clima era teso. Minacciavano di irrompere nella sede autonoma. Presto sono iniziati ad arrivare veicoli con basi di appoggio zapatiste delle comunità della regione Tzot’z choj che sono entrati direttamente nel caracol, senza scontrarsi con i contadini tzeltales, che si sono dichiarati perredisti o priisti.

Col gruppo dell Orcao c’erano anche Nicolás López Gómez, Leticia Sántiz López e María Cleopatra Carrillo Cabrera, rappresentanti di Unorca e dela denominata Commissione delle Donne. Hanno accusato la JBG di “non avere buona volontà non ricevendo la commissione proposta”. Più tardi, la stessa JBG dichiarava che “la commissione proposta” era una provocazione, ma non si sono mai rifiutati di ricevere quelli della Orcao. “Li stavamo aspettando per una riunione”. In realtà, Orcao aveva mancato ad un appuntamento precedente.

Un altro problema era nell’aria, benché non in relazione con quanto si doveva discutere. Data lo scorso 26 novembre, quando Juan Urbina, dipendente di una ditta costruttrice di Macuspana (Tabasco), con un contratto del costruttore López Flores, di Yajalón (Chiapas), distrusse col suo macchinario la tubatura che porta l’acqua nella comunità Patria Nueva, vicino a Sibacá e sede della regione Primero de Enero del municipio autonome Lucio Cabañas, dove abitano zapatisti e “orcaisti”.

Il dipendente e l’impresa si erano impegnati a riparare il danno sia sulla tubatura che sulle strade del villaggio. Patria Nueva è da un mese e mezzo senza acqua. Non l’hanno fatto. Neanche “il problema non è nemmeno con la Orcao, ma con la compagnia”, ha spiegato  più tardi un membro della JBG circondato dai suoi compagni.

Dopo settimane di proteste, la mattina di ieri gli zapatisti hanno fatto venire Urbina al caracol. Non avendo risolto il problema, è stato trattenuto dalla JBG fino alla mattina di oggi, quando ha rinnovato il suo impegno di ripristinare la tubatura distrutta e se n’è poi andato a bordo della sua auto.

Da parte sua, e “approfittando del viaggio”, quelli della Orcao volevano oggi discutere con la JBG la questione di Chijtal ed altre faccende sulle quali non ci sono impegni: i diverbi per la strada Patria Nueva-San Marcos edil tratto  la parentela Corazón de María-Ojo de Agua. Inoltre, in quest’ultima località la Orcao ha bloccato il passaggio ed impedisce alle basi zapatiste di trasportare legno per costruire nuove strutture nella scuola autonoma di Primero de Enero.

Il concentramento di “orcaisti” è durato fino alle 13:30. Prima di ritirarsi hanno insultato e minacciato gli osservatori internazionali che si trovavano nel caracol, provenienti da cinque paesi.

Quelli della Orcao “gridavano insulti, come è loro abitudine”, ha raccontato la JBG. Se ne sono andati gridando “morte all’EZLN” e “che muoiano di sete”, riferendosi alla tubatura rotta a Patria Nueva).

“La provocazione è stata della Orcao”, ha dichiarato la JBG. Nel pomeriggio nel caracol c’erano diverse centinaia di indigeni zapatisti. “I compagni sono venuti a proteggere, non a scontrarsi”.

Questi fatti avvengono nel contesto di molti conflitti nella regione avvenuti nei giorni scorsi sui quali ci sono state informazioni confuse, false o contraddittorie, ma che prefigurano una situazione potenzialmente esplosiva. Dall’attacco di Orcao agli zapatisti a Bosque Bonito, il giorno 5, a seguito del quale si era detto falsamente che c’erano 14 morti, fino alle divergenze tra priisti e zapatisti nello stabilimento balneare Agua Clara, dove si era parlato di tre desaparecidos, risultato falso.

Oggi è stato comunicato, con molta imprecisione, un altro scontro tra contadini filogovernativi e presunte basi zapatiste nellejido Agua Azul, nella gola di Taniperlas (niente a che vedere con le cascate di Agua Azul a Tumbalá). Deve essere confermato. Una settimana prima, un altro scontro a Palenque era stato falsamente attribuito agli zapatisti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Quinto Vento: Una degna e femminile rabbia.

Buona sera a tutte e tutti.

Compagne e compagni dell’Altra Campagna e della Sesta Internazionale.

Fratelli e sorelle del Messico e del Mondo.

Compagni e compagne, fratelli e sorelle che siete qui a questo Primo Festival della Degna Rabbia.

A nome delle mie compagne e compagni basi di appoggio, delle e degli insurgentes e miliziani, delle e dei responsabili locali e regionali del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, delle Giunte del Buon Governo, dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, e delle e dei compagni che prestano servizio nelle diverse attività dentro ai territori Zapatisti.

A nome loro faccio uso della parola. Vi racconterò del lavoro, la partecipazione e l’organizzazione delle donne nei territori zapatisti.

Come gia sapete, da quando è nata  la nostra organizzazione zapatista si sono promosse la partecipazione e l’organizzazione delle donne. Si è fatto in modo che siano uguali agli uomini nella partecipazione a qualsiasi tipo di attività: politica, economica, sociale e militare.

Quando abbiamo dato il posto che spettava alle donne affinché potessero lavorare all’interno dell’organizzazione, all’inizio è stato difficile sia per gli uomini che per le donne, perché avevamo nel cuore e nella testa che quello non era il nostro lavoro. Il nostro lavoro di donne era solo stare a casa, badare ai figli, aspettare il marito e altre cose che a noi tocca fare.

Ma grazie a quelli che diedero inizio e vita alla nostra organizzazione, che diedero importanza alle donne, noi abbiamo iniziato a chiamarci compagne in lotta. In questo modo diedero nome, vita e volto alle donne. Ma soprattutto, per le donne indigene, perché siamo noi quelle che più subiamo lo sfruttamento, il disprezzo, l’umiliazione e l’abbandono a tutti i livelli della vita.

Per questo diciamo grazie all’organizzazione zapatista che ci ha permesso di nascere nuovamente, tanto agli uomini come alle donne. Ci hanno dato la luce, ci hanno dato speranza e ci hanno dato la vita. In maniera tale che un giorno fiorirà quello che speriamo: cioè che le donne abbiano gli stessi diritti e siano considerate in tutto e per tutto uguali.

Per questa ragione abbiamo avuto donne degne e ribelli, quelle che ci diedero la vita e il lavoro affinché la nostra organizzazione potesse crescere. Durante questi 15 anni di lotta e resistenza ci sono state donne che hanno potuto prestare la loro opera e partecipazione a tutti i livelli.

Per esempio, in politica, ci sono state donne nella dirigenza della nostra organizzazione come Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno. Come responsabili locali e regionali e anche sono state nominate compagne per essere supplenti del CCRI. Le donne ormai partecipano alle assemblee dei villaggi. Partecipano alla discussione politica o nelle assemblee generali per eleggere le proprie autorità, come per esempio: le autorità municipali, le Giunte di Buon Governo, agenti municipali, comissari ejidali e comitati di educazione. E come responsabili locali, anche per elegere i propri “comandanti” politici nelle comunità.

Inoltre, ci sono compagne che già fanno parte di queste autorità. E ci sono compagne che si sono organizzate per trovare il modo di resistere e lottare ed anche per trovare soluzioni alle proprie necessità e per questo si sono organizzate per lavorare collettivamente in settori quali: panificazione, allevamento di animali, produzione e vendita di artigianato, orti per il consumo collettivo. Questi sono i lavori che stanno provando a portare avanti nei territori zapatisti. Inoltre ci sono donne che si stanno formando come promotrici di salute e di educazione autonoma. Questo perché poi possano condividere le proprie conoscenze e prestare i propri servizi gratuitamente nei villaggi.

Ci sono donne che si stanno preparando per conoscere ed usare le piante medicinali. E le compagne si stanno preparando per essere levatrici e hueseras (che aggiustano le ossa – n.d.t.), proprio come si curavano i nostri vecchi. Per questo è importante e necessario che riscattiamo quello che ci hanno lasciato i nostri antenati.

Sia nell’ambito della salute che dell’educazione, ci sono compagne che sono riuscite ad occupare il posto di coordinatrici generali in questi due settori.

Ci sono inoltre donne che nelle comunità zapatiste fanno attività come operatrici di radio di comunicazione, annunciatrici di Radio FM, e ci sono ragazze che si stanno preparando per essere fotografe.

Oltre a tutto questo ci sono compagne che sono arrivate ad essere miliziane ed insurgentes. E sono arrivate ad essere comandanti militari nel nostro Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Tutte queste mansioni e attività che le donne svolgono nelle cinque zone zapatiste sono per esercitare i nostri diritti, il nostro dovere come zapatiste. Benché non sia stato facile per noi, stiamo facendo e faremo sforzi e sacrifici per applicare quello che prevede la Legge Rivoluzionaria delle Donne.

Ma dobbiamo ringraziare anche i compagni che hanno capito l’importanza della partecipazione delle donne. Ma, soprattutto, i compagni che ormai lasciano uscire le loro compagne per andare a lavorare. Anche se per i compagni non è facile, stanno facendo quello che chiede la nostra organizzazione. Per questo noi donne non dobbiamo farci più da parte. Dobbiamo prepararci sempre di più. Per poter continuare ad andare avanti e progredire il più possibile a tutti i livelli di lavoro.

Perché dobbiamo farlo noi donne che siamo in questo mondo, che è un mondo dove ancora le donne non hanno volto, nome né voce per i capitalisti e neoliberisti. Per questo è ora di esercitare e far valere i nostri diritti. Ma, per fare tutto questo, bisogna avere volontà, decisione, forza e ribellione. E non dobbiamo chiedere permesso a nessuno.

Quello che sto facendo e dicendo non è un’invenzione, né immaginazione. Ma è una realtà. Lo abbiamo dimostrato nel Terzo Incontro che si è svolto nel Caracol di La Garrucha, un anno fa. Lì abbiamo parlato e spiegat i nostri lavori come donne.

Ma voglio anche essere sincera e dirvi, fratelli e sorelle, compagni e compagne, che ancora in alcuni villaggi e regioni in territorio zapatista manca il’opera e la partecipazione delle donne. È che i compagni e le compagne non hanno ancora capito con chiarezza l’importanza della partecipazione delle donne. Ma lotteremo ancora per riuscire a compiere quello che è essere zapatiste e rivoluzionari.

Ma durante questi 25 anni dalla nascita dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, e 15 anni dalla nostra insurrezione armata, abbiamo fatto importanti progressi. Soprattutto, la partecipazione delle donne è a quasi tutti i livelli. È che 25 anni fa non c’erano comunità zapatiste. C’era solo ignoranza, schiavitú e oblio.

Quindici anni fa non c’era donne che nella dirigenza politica. Ma in questi 15 anni di lotta e resistenza ci siamo inserite a poco a poco nei differenti livelli di attività.

E ci siamo rese conto che possiamo pensare e decidere. Possiamo occupare incarichi come i compagni. Ma il poco che siamo riuscite a fare in questi quindici anni non è sufficiente. C’è ancora molto da fare.

Ora, i nostri popoli, la nostra patria che è il Messico, ed il nostro pianeta Terra, hanno bisogno che gli uomini, le donne, i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze, gli anziani e le anziane, si ribellino e lottino ed abbiano dignità e rabbia.

Dobbiamo avere nella nostra mente e nel nostro cuore queste due cose importanti, che sono ciò che ci fa andare avanti, fino ad ottenere quello che vogliamo.

Infine, vogliamo rivolgere un appello a tutte le donne del Messico e del mondo a che uniamo le nostre forze, la nostra voce, la nostra ribellione e la nostra rabbia. Che lottiamo per i nostri diritti, per la nostra autonomia e per costruire un mondo dove possiamo stare tutti.

Democrazia, libertà e giustizia.

Molte grazie.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Comandante Hortencia

Chiapas, Messico, 4 gennaio 2009

(Traduzione a cura Andrea e Annamaria)

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Aggressione a Bosque Bonito.

La Jornada – Venerdì 9 gennaio 2009

L’aggressione a Bosque Bonito è avvenuto per interferire con il Festival de la Digna Rabia

ZAPATISTI: I MALGOVERNI SONO COMPLICI DEGLI ABUSI DELLA ORCAO

Hermann Bellinghausen

Ejido Morelia, Chis., 8 gennaio. “I compagni non hanno usato violenza né armi. Gli unici aggressori sono quelli della”, dice il comandante Zebedeo, accompagnato dai contadini zapatisti aggrediti lo scorso lunedì a Bosque Bonito dai elementi dell’Organizzazione Regionale di Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao); tra loroi ci sono tre feriti con le bende e le medicazioni in testa e in faccia. Diego Sántiz López ha una vistosa fasciatura che gli copre la guancia.

Con ironia Zebedeo si riferisce alla “doppia maschera” sul viso di Diego: “quella della ferita e quella che lo identifica zapatista”, e è il motivo – ha detto – “della nostra indignazione” davanti al tentativo di quelli della Orcao di “interferire” nel Festival della Degna Rabbia che finiva a San Cristobal de las Casas lo stesso giorno dei fatti di Bosque Bonito.

“Questo dà ragione a quello che stiamo dicendo a proposito della rabbia. Quello che i compagni vogliono è una vita dignitosa, il buon esercizio, libero e autonomo, dei popoli indigeni”.

Cede la parola ai suoi compagni, circa 15 contadini tzeltales. Raccontano praticamente diffuso ieri dalla giunta di buon governo (JBG) dal caracol Torbellino de nuestras palabras, in cui denunciava, inoltre, che “i cosiddetti governi non fanno niente contro questa gente della Orcao, e la Segreteria della Riforma Agraria si rende complice perché queste persone che occupano la terra, poi la cominciano a vendere e la trasformano in commercio. Quando non ne hanno più nemmeno un pezzettino da lavorare per vivere, tornano ad occupare un altro terreno”.

Bisogna ricordare che dopo la rottura – sette anni fa – dell’accordo collettivo con le basi zapatiste nella comunità Moisés Gandhi, quelli della Orcao costruirono un caseggiato ai bordi della strada e lo chiamarono “Jetjá”. In tutti questi anni, il caseggiato, su terre  “concesse” dal governo di Pablo Salazar Mendiguchía, è rimasto semideserto.

Le autorità autonome hanno dichiarato ieri: “Non ci sarà nemmeno un millimetro di terra per loro e sappiano che questo lo pagheranno molto caro, perché il sangue non si compra né si vende. Nella proprietà dove lavoriamo collettivamente, quelli della ORCAO sono venuti a disboscanre ed il governatore Juan Sabines non fa niente”.

La Orcao, “organizzazione che si definisce indipendente” che la JBG identifica come “lopezobradorista”, ha causato “caos” sulla strada San Cristobal-Ocosingo facendo dei posti di blocco. “Ad ogni utente chiedono da 50 a 200 pesos; fanno questi blocchi per fare pressione sul suo papà governo perchè gli assegni altri progetti, e siccome la risposta dei malgoverni è negativa, chiudendo le porte anche alle briciole, i leccapiedi si offendono e estorcono soldi agli utenti che sono anche loro poveri, ma a loro non importa perché il leader della Orcao, José Pérez ed i suoi complici, hanno imparato bene dalle corruzioni del presidente municipale (di Ocosingo, Leonel Solórzano), dei governi statale e federale”.

Citano come prova che il lunedì scorso “il problema si stava placando ed hanno subito fatto un blocco nello stesso posto chiedendo 50 pesos per automobile senza che  Juan Sabines facesse qualcosa” perché “presto avrà bisogno dei loro voti”.

I giornalisti che nella notte sono arrivati all’incrocio di Cuxuljá hanno trovato ubriachi ed aggressivi i tizi che facevano il blocco, ed è stato meglio evitarli.

Secondo la JBG, nelle azioni di questa organizzazione si vedono chiaramente i piani dei grandi impresari per tenerli sono controllo, istruiti a dovere, trasformati in fannulloni ed addomesticati con i soldi facili; insegnando agli indigeni a trasformare in un affare le risorse naturali, e con i pesos, li stanno allontanando dal lottare per esercitare i loro diritti come indigeni, e non parliamo di cercare una vita migliore.

“Ci spezza il cuore vedere indigeni farsi complici dei malgoverni nel vendere la sovranità del nostro paese ad impresari stranieri. Nei nostri territori zapatisti della zona Tzot’z choj ci sono diverse miniere che sono disposti a vendere ad impresari stranieri, ed i venditori e distruttori della natura e della nostra madre terra sono questa coppia di asini di Felipe Calderón e Juan Sabines. Loro non pensano mai di consultare gli indigeni, anche se questi sono dentro il PRI, il PAN ed il PRD; non li prendono nemmeno in considerazione, e tanto meno noi”.

La JBG ritiene che quelli della ORCAO sono dentro questo gioco senza rendersene conto”. E sottolinea: “La grossa minaccia alla nostra salute, tranquillità, cultura e risorse naturali in questa zona è l’apertura dell’autostrada San Cristobal-Palenque, non perché porta benessere e sviluppo agli indigeni, al contrario, ci porterà la morte, il disprezzo ed il totale saccheggio dei nostri beni.

“La trappola – aggiunge – è che stanno ottenendo l’apertura dell’autostrada negoziando persona per persona, mano a mano che avanzano i lavori, per passare su terreni ejidali senza tenere in considerazione la decisione delle assemblee, e forse parleranno con i commisari dell’ejido ma che condividendo l’osso che gli sta allungando Calderón e Sabines”.

La situazione “da brivido” di esproprio di terre nella zona “e maggiormente il programma del malgoverno di privatizzare le nostre ricchezze naturali, sono la ragione della nostra resistenza, e soprattutto la virtù della degna rabbia che è nazionale, la ragione per unirci ed unire le nostre voci perché è necessario per evitare i saccheggi ed i furti che perpetrano ricchi”.

La JBG avverte: “Sappiamo bene che quando noi denunciamo le trappole dei malgoverni a loro non piace e cercano di reprimerci”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ondata di aggressioni.

La Jornada – Giovedì 8 gennaio 2008

L’ondata di aggressioni è cominciata lunedì

DENUNCIATE NUOVE AGGRESSIONI DELLA ORCAO

Hermann Bellinghausen

Bosque Bonito, Chis. 7 gennaio. La giunta di buon governo (JBG) Corazón del arco iris de la esperanza ha denunciato l’aggressione di elementi dell’Organizzazione Regionale di Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) contro basi di appoggio zapatiste della comunità Moisés Gandhi, nella regione zapatista Tzotz’choj, vicino alla crocevia di Cuxuljá.

L’aggressione, avvenuta lunedì, ha lasciato sul terreno tre zapatisti feriti. Quel giorno ed i seguenti, elementi della Orcao ed il governo dello stato sostenevano il contrario davanti alla stampa, e senza fare chiarezza sull’episodio, riferivano di cinque “feriti lievi” della Orcao, che sarebbero stati gli aggrediti. Quello stesso giorno si diffuse per radio, a Città del Messico, la versione di “14 morti”, che ovviamente non ci sono stati.

In quei momenti si concludeva a San Cristobal de las Casas il Festival della Degna Rabbia, convocato dall’EZLN. I fatti sono avvenuti a Bosque Bonito, un terreno recuperato dopo la sollevazione armata del 1994.

Il pomeriggio di oggi sono tornati a circondare la proprietà circa 30 membri della Orcao, alcuni armati. A meno di un chilometro, verso Abasolo, si sono appostati diversi veicoli della Polizia Statale Preventiva e Stradale. Al tramonto, entrambi i gruppi si sono ritirati.

I problemi sono cominciati il 2 gennaio. Basi zapatiste che coltivano il podere hanno trovato tagliato il recinto del pascolo ed una mucca era sparita. La JBG riferisce: “Sono andati a cercarla ed a controllare il recinto ed hanno scoperto che quelli della Orcao avevano tagliato nove tratti del recinto”. Lo stesso giorno “quelli della Orcao di Cuxuljá hanno tagliato 35 alberi di caffè di proprietà del nostro compagno Pedro López Sántiz”. Gli zapatisti assicurano che “spesso vengono a fare danno nel nostro raccolto”.

Domenica 4 i contadini hanno trovato la mucca “ferita da machete nella zampa destra” e verso le cinque del pomeriggio sono arrivate circa 30 persone della Orcao, “con parole volgari e minacciando di toglierci la terra con le buone o con le cattive, perché noi zapatisti non contiamo più niente e non esistiamo più, e che il nostro compagno subcomandante insurgente Marcos si è venduto ai neoliberisti”.

Secondo la JBG, i loro compagni non hanno risposto alla provocazione. Mentre si ritiravano, “il gruppo della Orcaoè rimasto sul posto minacciando col machete e colpendo il palo della luce che si trova sul terreno. Più tardi i nostri compagni sono tornati sul posto ed hanno scoperto il recinto di filo di ferro che circonda il pasolo, tagliato in 16 punti”.

Il giorno 5 gli zapatisti si sono organizzati per aggiustare quello che avevano tagliato quelli della Orcao”. Sono arrivati alle 7:30 “con l’intenzione di lavorare, senza nessuna intenzione di farsi risarcire il danno”.

La testimonianza raccolta dalla JBG spiega: “Stavamo lavorando tranquillamente pulendo il prato, quando 60 elementi della Orcao si sono avvicinati attraversando un ruscello e con la totale intenzione di colpirci con machete, bastoni, lanciasassi e pietre, ma per lo più hanno usato dei bastoni appuntiti lanciandoli contro di noi.

“Mentre quelli della Orcao avanzavano, i nostri compagni sono retrocessi di 100 metri, ma loro continuavano a venire avanti”. Trovandosi a 15 metri dagli aggressori, Diego Sántiz Gómez, base zapatista, è stato raggiunto da un bastone trasformato in lancia che gli ha provocato una profonda ferita alla bocca. “Nicolás Sánchez López si è avvicinato al nostro ferito e, mentre lo soccorreva, è stato raggiunto da un bastone che lo ha ferito in fronte. Anche Jacinto López Sántiz, di 60 anni, è stato picchiato brutalmente ed ha ferite in testa e nella schiena”.

Un gruppo di circa 60 basi zapatiste presenti all’aggressione “si sono di nuovo ritirati di altri 100 metri ed un’altra volta quelli della Orcao sono avanzati continuando a minacciare ed i nostri compagni, vedendosi raggiunti, hanno risposto con gli stessi bastoni scagliati da quelli della Orcao, e questi si sono messi a piangere”.

La JBG “afferma” che “sono stati quelli della Orcao a provocare questo scontro perché i nostri compagni non hanno risposto agli insulti ed alle minacce”. Hanno identificato alcune delle persone armate: “Marcos López Gómez aveva una pistola di calibro sconosciuto; Joaquín López Gómez aveva una pistola di calibro sconosciuto; Antonio López Sántiz aveva una carabina 22 a 16 colpi”. Un altro, non identificato, aveva un’altra carabina 22.

Gli aggressori, perredisti conosciuti come “lopezobradoristas”, sono abitanti di Cuxuljá, Campo Virgen e Abasolo (municipio ufficiale Ocosingo). In precedenza avevano già occupato il podere Gracias a Dios “e Marcos López Gómez lo vendette”. Quello della Orcao ci hanno sottratto altri lotti”. Sono le stesse persone che nel 2000 hanno tentato di bruciare il negozio collettivo di zona a Cuxuljá, all’incrocio Altamirano-San Cristobal-Ocosingo. “Adesso vogliono toglierci la nostra terra”, aggiunge la JBG.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 7 gennaio 2009

Essere in tanti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina, dichiara a chiusura del festival

Marcos ai sostenitori dell’EZLN: “Non facciamo della nostra forza una debolezza”

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis., 6 gennaio. “Vogliamo dirvi, chiedervi, di non fare della nostra forza una debolezza. L’essere in tanti e tanto differenti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina e creare qualcosa di nuovo. Vogliamo chiedervi che anche questo nuovo sia differente”. Con queste parole il subcomandante Marcos ha riassunto ieri sera il messaggio principale della delegazione zapatista a chiusura del primo Festival della Degna Rabbia.

“Voi e noi abbiamo visto e sentito questa rabbia accumulata”, ha detto davanti ai presenti che affollavano le sale dell’Università della Terra fino all’ultima sessione dell’evento.

“A noi non preoccupa chi, o come, o con che cosa si dirigerà questa rabbia. Non ci preoccupa la velocità del sogno. Abbiamo imparato a fidarci delle persone. Non hanno bisogno di chi li guidi. Si dotano delle proprie strutture per lottare e vincere. Prendono nelle proprie mani i loro destini, e lo fanno meglio dei governi che vengono imposti da fuori”.

Invece, “ci preoccupa la direzione e la destinzione”, ha detto. E che “il mondo che partorirà la nostra rabbia somigli a quello che oggi subiamo”. Ha ammesso che “l’EZLN ha avuto la tentazione dell’egemonia e dell’omogeneità”. Ma “i popoli ci hanno insegnato che ci sono molti mondi e che è possibile e necessario il mutuo rispetto”. Con L’Altra Campagna non ci siamo proposti di organizzare e guidare tutto il Messico”.

Riprendendo un concetto del pensatore Jean Robert, ha dichiarato: “Riconosciamo i nostri limiti, le nostre possibilità, la nostra ‘dimensione’ “. Si è pronunciato “per mettere in relazione le nostre rispettive dimensioni, affinché il paese che ne risulti, il mondo che verrà, sia formato dai sogni di tutti e di ogni diseredato”.

Nella prima parte del suo intervento intitolato “Alcuni morti degni e rabbiosi”, Marcos ha risposto, senza citarne i nomi, alle domande di Jesusa Rodríguez e Liliana Felipe pubblicate questo lunedì da La Jornada:

“Due persone che amiamo e rispettiamo, forse con loro dispiacere, ci domandano cosa givi al movimento zapatista il fatto che Marcos denigri il movimento lopezobradorista. E che ogni volta che compaio davanti ai media lo faccio, tra le altre cose, per insultare AMLO. Bene, non sono davanti ai media, sono passati i tempi, ma sto ascoltando persone che lottano e pensano in diversi angoli del pianeta”.

C’è stato tempo per spiegare come il CCRI-CG dell’EZLN organizza il suo lavoro. Ha spiegato che i popoli zapatisti formano zone. Ognuna “ha una struttura organizzativa, ora parallela a quella di autorità autonoma” dove c’è “un comando collettivo organizzativo”. Non militare, ha sottolineato.

Tzotziles, tzeltales, tojolabales, choles, zoques, mames e meticci “hanno i loro problemi e ‘modi’ di affrontarli o risolverli”. L’EZLN è “un ponte di unione tra le zone”. Inoltre, “gli tocca” rappresentarli all’esterno.

Così, “anche se è comandante negli Altos, Hortensia non parla a voi degli Altos, per sua voce parla la voce dell’EZLN”. Lo stesso è per “chiunque” del CCRI-CG. “Quando Marcos o chiunque di noi parla in pubblico”, non lo fa “a titolo personale”.

Ha ricordato che nel 2006, durante la carovana dell’AltraCampagna e “nei giorni più vergognosi” della repressione ad Atenco, “siamo stati insultati ed aggrediti in atti pubblici e riunioni da parte del movimento lopezobradorista. Se abbiamo resistito 500 anni di tentativi di dominazione ed annichilimento, 25 nelle montagne, 15 di assedio militare, non vediamo perché non potremmo resistere alle grida isteriche, alle calunnie, alle bugie, alle denigrazioni ed ai veti giornalistici del lopezobradorismo”.

I partiti politici, ha detto, “possono dire una cosa e fare il contrario”. Questo si constata “in qualsiasi posto in cui sono al potere”, perché “il loro criterio di congruenza è un altro. Per loro è la quantità che possono mobilitare, non importano i metodi”. Invece, “noi pensiamo che ognuno deve essere responsabile di quello che dice e fa”. L’EZLN è sempre stato responsabile, e ci mette la vita”.

Ha sfidato a che “ci dicano chi dei nostri ‘alleati’ sono persecutori, discriminatori ed assassini di indigeni. Noi sì abbiamo detto chi dei loro dirigenti e ‘alleati’ lo sono. Chi perseguita, vessa e taglia l’acqua ai nostri compagni zapatisti di Zinacantán sono quelli della CND lopezobradorista”. Ha affermato che “dentro e fuori” del suo territorio “sono simpatizzanti di AMLO; chiaro, oltre al governo federale, statale, municipale, i mezzi di comunicazione (ora tutti) l’Esercito, la polizia statale, la AFI, il Cisen, la CIA e gli amici che li sostengono”.

Marcos ha chiesto a cosa è servito al lopezobradorismo “allearsi coi Núñez, Monreal, Muñoz Ledo, Sabines, Albores, Kanter, Iruegas, gli ex funzionari indigeni di Fox e quelli che votarono contro gli Accordi di San Andrés”. Dove sono al governo “sgomberano, espropriano, reprimono, sfruttano, discriminano, corteggiano il potente e consegnano le ricchezze naturali allo straniero”.

Che cosa serve al movimento lopezobradorista, domanda, “non vedere né sentire i morti che sono di sua responsabilità. Possono dire che questo non è AMLO”. Ciò nonostante, ha detto, “un dirigente deve essere responsabile di quello che dice e fa lui ed il suo movimento. E così anche i membri di un movimento”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Si chiude il Festival

La Jornada – Martedì 6 gennaio 2009

Il Movimento Sin Tierra denuncia che il Messico è il laboratorio sperimentale del capitalismo

“IL MONDO PER IL QUALE LOTTIAMO NON È UNICO NÉ INDIVISIBILE”, SOSTIENE MARCOS

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 gennaio. Con le parole del comandante David si è chiuso questa notte il primo Festival Mondiale della Degna Rabbia, in una sessione in cui hanno parlato anche Pablo González Casanova ed il subcomandante Marcos, che ha sostenuto che per gli zapatisti “il mondo per il quale lottiamo non è unico né indivisibile.

“Non abbiamo scartato la possibilità di sbagliarci in qualcosa, in molto, o in tutto”, ha ammesso davanti ai relatori che hanno ribadito in diversi modi il loro rispetto, ammirazione e gratitudine alla lotta degli zapatisti.

González Casanova, fedele sostenitore del movimento zapatista (“sempre con umiltà”, ha riconosciuto Marcos) ha dichiarato che due momenti trascendentali della sua vita sono stati la rivoluzione a Cuba e l’insurrezione dei maya di Chiapas, e dopo aver ribadito il suo rispetto, riconoscimento ed identificazione con l’EZLN, si è pronunciato per avanzare nella “pedagogia dell’emancipazione” come percorso per i movimenti del presente e del futuro. Ha inoltre affermato che “la dignità non è negoziabile”, alludendo all’esperienza zapatista.

In riferimento ai contenuti del festival, il comandante David ha dichiarato: “Ascoltandovi, ci è chiaro quello che sta succedendo in altre parti, e si vede che non c’è molta differenza con quello che succede qui”. Le persone e i movimenti riuniti nell’Università della Terra, ha aggiunto, “desiderano fare qualcosa” ed ora “sappiamo che un’altra politica, un’altra strada, un’altra cultura, un altro tutto è possibile”.

Al festival questo è stato il giorno della terra. Nel suo significato più ampio: il suolo che calpestiamo. Chiaro, si dirà, oggi hanno parlato principalmente indigeni e contadini; oppure intellettuali legati alla “sporca terra”, come John Berger. Quella dove “tutti vivono”, come ha detto questa mattina il tenente colonello Moisés. Ma non solo per questo.

In un trepidante messaggio, il Movimento di Lavoratori Sin Tierra (MST) del Brasile ha esortato a difendere la terra, l’acqua, i semi. Dando una svolta tipicamente zapatista, Moisés ha spiegato che per gli indigeni del Chiapas la campagna è solo una parte della terra, e così le città, gli ospedali. Ed invitò a pensare “a che cosa serve tutto quello che si costruisce sopra la nostra madre Terra”.

Il senso di urgenza del festival (presente negli interventi precedenti sull’America Latina, a partire da quelli dei movimenti, che degli analisti, dirigenti sociali ed artisti) questo lunedì ha assunto il suo profilo definitivo: la lotta è per il mondo e l’umanità, non in maniera declaratoria, bensì letterale. Per la Terra.

Tra le altre cose, il MST ha denunciato che il Messico è “il laboratorio del capitalismo”, dove si sperimentano le politiche che poi si cercano di estendere ad altri paesi. Da Sao Paulo, in accordo con i suoi compagni di tavolo e di lotta, il dirigente Joao Pedro Stadile ha affermato che i principali nemici dei popoli sono le multinazionali, i loro organismi finanziari e commerciali, i gruppi di governo dei paesi ricchi.

Il MST ha auspicato “lotte di massa” contro quei nemici che vogliono tutto. “Ognuno avrà le sue tattiche da usare contro di loro, sicuramente anche in Messico”. Sono tempi, ha detto, “in cui bisogna continuare a seminare: la rabbia, l’indignazione, la speranza e l’unità latinoamericana”. Non è ancora tempo “di raccogliere”.

Parole più, parole meno, hanno sostenuto la stessa cosa Carlos Marentes, del Sindacato Agricolo di Frontiera “dell’altro lato” (nella “zona zero della migrazione mondiale”); Alberto Gómez, di Vía Campesina in Messico; Dolores Sales, rappresentante mam del Coordinamento Nazionale Indigeno e Contadino del Guatemala, e Juan Chávez, rappresentante purépecha del Congresso Nazionale Indigeno.

Le loro testimonianze e le informazioni, una sorta di summa del pianeta realmente esistente, sono state impressionanti. E stimolanti nella loro semplicità. América Millaray Painemal Morales, mapuche dell’Associazione Nazionale delle Donne Rurali ed Indigene del Cile, e Juan Chávez hanno portato dei semi. La prima come offerta simbolica; il secondo come dichiarazione di principio. Hanno dimostrato che un seme dice più di mille parole.

Tutti i problemi sono urgenti nell’attuale congiuntura storica. Nel festival convocato dall’EZLN sono stati affrontati inevitabilmente molti temi, perché oggi tutto è simultaneo: rischiano i semi, l’aria, il clima, la libertà, l’alimentazione, la natura, la dignità delle persone, la vita stessa. Ci sono crisi economica globale, guerre di conquista, stati agonizzanti. C’è bisogno di “un’altra politica” per fermare il disastro.

Sabato, il pensatore svizzero-messicano Jean Robert aveva espresso qui una convinzione: “La plausibilità di un altro presente passa per la difesa del territorio”. Il capitalismo è un “grande deterritorializzatore“, ha detto. Le resistenze risultano, inevitabilmente, riappropriazioni e riscoperte della “realtà territoriale”. Pertanto, i movimenti e le lotte non stanno più nelle idee, ma sul terreno.

“Quello che facciamo sopra la madre Terra deve essere a beneficio di tutte e tutti noi”, ha detto il tenente colonello Moisés. Per questo “dobbiamo pensare noi popoli indigeni e non indigeni come convivere sulla terra senza sfruttamento”. Ed organizzarsi, perché senza questo “non si può fare niente”.

Ed ha raccontato, con lampante semplicità, a mo’ di “esempio”, come il conferimento di terre ejidali a dei “proprietari” intrapreso nel paese è stato la via al saccheggio. Ha citato “l’odioso Salinas” che ha ingannato i contadini con la sua controriforma agraria contro quelli che sarebbero “i veri padroni”. Da lì le banche, l’ipoteca, la perdita delle terre. È lì dove la resistenza autonoma ha senso, perché non è caduta nella trappola. I comuneros ed ejidatarios zapatisti non hanno visto i loro figli rubare i documenti per venderli e pagarsi il viaggio verso il sogno americano, come in molte parti.

La resistenza per la vita è nella terra, dovunque essa sia.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Marcos sull’attacco a Gaza.

La Jornada – lunedì 5 gennaio 2009

Per gli zapatisti, “un esercito professionista sta uccidendo una popolazione indifesa”

MARCOS: L’ATTACCO DI ISRAELE CONTRO GAZA È LA “CLASSICA” GUERRA DI CONQUISTA

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis. 4 gennaio. Per gli zapatisti, a Gaza c’è “un esercito professionista che sta uccidendo una popolazione indifesa”, ha detto oggi il subcomandante Marcos dedicando un intervento fuori programma alla nuova guerra in corso.

Il penultimo giorno del Festival Mondiale della Degna Rabbia si è riempito di indignazione per l’attacco contro la Palestina e la repressione a Oaxaca avvenuta poche ore prima con la cattura di 20 persone che partecipavano ad una protesta pacifica contro l’invasione a Gaza davanti al consolato statunitense.

Nelle prime ore di questa domenica centinaia di partecipanti al festival che si tiene alla periferia di San Cristóbal, oltre i sobborghi indigeni di La Hormiga, sono arrivati nel centro della città per protestare contro l’invasione e chiedere la liberazione dei fermati della APPO. Ieri notte si è almeno ottenuta questa liberazione. L’inusuale marcia con le torce proveniente dalla Università della Terra, ha fatto chiudere le porte agli hotel ed ha fatto ricordare ad alcuni coletos [residenti di San Cristóbal – n.d.t.] la prima alba del 1994.

Nel pomeriggio Marcos aveva detto: “Non molto lontano da qui, in un posto chiamato Gaza, un esercito fortemente armato ed addestrato, quello del governo di Israele, continua la sua avanzata di morte e distruzione”. Una guerra “classica” di conquista. “Primo un bombardamento massiccio per distruggere postazioni militari nevralgiche e indebolire i punti di resistenza”. Ha ricordato che venerdì, “lo stesso giorno in cui la nostra parola faceva riferimento alla violenza”, Condoleeza Rice dichiarava che quello che sta succedendo a Gaza era “colpa dei palestinesi, per la loro natura violenta”.

Ha affermato che prosegue “il ferreo controllo su tutto quello che si sente e si vede” nel mondo, “esterno al teatro di operazioni”, e “fuoco intenso di artiglieria sulla fanteria nemica per proteggere l’avanzata delle truppe. Poi l’accerchiamento e assedio alla guarnigione, e l’assalto che conquisti la posizione annichilendo il nemico”.

Sulla base delle foto delle agenzie ha aggiunto, “i ‘punti nevralgici’ distrutti dall’aviazione israeliana sono abitazioni, capanne ed edifici civili”. Allora, “pensiamo che o gli artiglieri hanno una pessima mira o non esistono tali postazioni. Non abbiamo l’onore di conoscere la Palestina, ma supponiamo che in quelle case, capanne ed edifici abita o abitava della gente, uomini, donne, bambini ed anziani, e non soldati”.

Forse, ha sostenuto, “per il governo di Israele quegli uomini, donne, bambini ed anziani sono soldati nemici, e le capanne, case ed edifici dove abitano sono quartieri che bisogna distruggere. Sicuramente i fuochi d’artiglieria che questa mattina cadevano su Gaza erano per proteggere da quegli uomini, donne, bambini ed anziani l’avanzata della fanteria di Israele, e la guarnigione nemica che vogliono sconfiggere non è altro che la popolazione palestinese che vive lì, e che l’assalto cercherà di annichilire”.

Con la voce rotta ha dichiarato: “Le nostre grida fermano qualche bomba? La nostra parola salva la vita di qualche bambino palestinese? Pensiamo di sì. Forse non fermiamo una bomba, né la nostra parola si trasforma in uno scudo blindato”, ma probabilmente riesce ad unirsi ad altre e “si trasforma in mormorio, poi in una voce alta e quindi in un grido che si senta a Gaza. Noi zapatisti e zapatiste dell’EZLN sappiamo quanto sia importante che in mezzo alla distruzione e alla morte si sentano parole di incoraggiamento”.

Per il resto, secondo l’analisi di Marcos, “il governo di Israele dichiarerà di aver inferto un duro colpo al terrorismo, occulterà al suo popolo la dimensione del massacro ed i produttori di armi avranno ottenuto un guadagno economico”.

Il popolo palestinese resiste, sopravvivere e continuare a lottare, ha detto il portavoce zapatista. “Forse un bambino o una bambina di Gaza sopravvivranno e cresceranno e con loro cresceranno il coraggio, l’indignazione, la rabbia; forse diventeranno soldati o miliziani, forse affronteranno Israele e là in alto scriveranno allora sulla natura violenta dei palestinesi, faranno dichiarazioni di condanna di quella violenza e si tornerà a discutere di sionismo o antisemitismo. Nessuno chieder chi ha seminato quello che sta raccogliendo”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO.

Settimo Vento: alcuni morti degni e arrabbiati.

Buona sera.

E con noi oggi, dalla nostra parte, come lo è da 15 anni, il compagno Don Pablo González Casanova.

Non parleremo della sua capacità intellettuale, della brillantezza della sua analisi, della sua posizione dalla parte di chi lotta. Chiunque ha un po’ di memoria o cerchi nel passato, lo sa. Noi lo sappiamo.

A noi, zapatiste e zapatisti, non ha smesso di stupirci la sua semplicità e modestia verso di noi. Spero non si offenda, ma non sembra un intellettuale.

Questo compagno è stato con noi nei momenti buoni, cattivi e nei peggiori. É stato nella Commissione Nazionale di Intermediazione (CONAI) guidata a suo tempo da Don Samuel Ruiz García, dove ha potuto constatare, dal vivo e direttamente, il disprezzo ed il razzismo dei quali faceva sfoggio la delegazione governativa nei cosiddetti Dialoghi di San Andrés. Ha potuto constatare anche, credo, la fermezza e dignità dei miei compagni e compagne comandanti che formavano quella che era la nostra delegazione a quei malriusciti, a causa del governo, dialoghi.

Ve lo diciamo chiaramente, per noi questo uomo è un saggio. E come tale ha tenuto, almeno con noi, un’umiltà ed una semplicità che lo identificano più con i saggi dei popoli indios, che con i superbi “esperti” che, dalla comodità e privilegio dell’accademia giudicano e condannano una realtà alla quale sono sempre stati alieni.

A differenza di molte “grandi teste”, come il nostro Comandante Tacho chiama quelli di grandi idee, Pablo González Casanova, Don Pablo, come lo chiamiamo noi, non ha mai preteso di dirci che cosa dobbiamo fare, “darci la linea”, o darci ordini, o guidarci.

Ci ha detto, a volte personalmente, a volte per iscritto, quello che pensa di un o un’altra cosa. Su molte cose abbiamo coinciso e la sua parola ha arricchito il nostro cuore. Speriamo che la nostra sia servita a qualcosa nella sua saggezza.

Su altre cose abbiamo dissentito ed abbiamo discusso. Ed anche qui ci ha stupiti la sua semplicità ed il senso dell’umorismo, a volte acido come il nostro, con cui imbastisce critiche e osservazioni.

Forse perché una delle cose su cui concordiamo è che il pensiero non deve essere uno, solo, unico ed unanime, e che la critica, la dissidenza e la discussione non significano, il più delle volte, passare dall’altra parte.

Ho detto prima che Don Pablo è un uomo saggio. Come ho spiegato giorni fa, la saggezza, secondo noi zapatisti, non consiste nella specializzazione del pensiero, nel sapere molto di una piccola parte della realtà. Neppure è sapere un po’ di tutto. Secondo il nostro pensiero, la saggezza consiste nel saper leggere quello che segue ed interpretare quello che precede, per capire quello che succede. E così conoscere e rispettare i mondi che ci sono nel mondo.

Questo, che sembra uno di quei giochi di parole tipici degli zapatisti, è quello che, come racconterà il Vecchio Antonio nel settimo dei racconti, ci hanno insegnato i nostri morti. Così ci hanno formato.

Non pretendiamo di dire che questo modo di pensare il mondo e di agire nel mondo e con lui sia il migliore. Probabilmente non lo è. Quello che sappiamo è che non è l’unico. E che, così come noi abbiamo fatto i nostri passi ed avuto i nostri intoppi seguendo questo pensiero, altri, altre, hanno ed avranno altri pensieri e, di conseguenza, hanno fatto altri passi ed avuto altri intoppi.

Salute Don Pablo. Ci creda, non le diamo un passamontagna solo perché, e chi meglio di noi lo può sapere, sappiamo quanto è stato ed scomodo… e lo sarà. E sappia che non poche volte le sue parole e pensieri si sono fatti parole sulle nostre labbra e nel cuore, sempre.

Salute compagno neozapatista Don Pablo González Casanova.

In questi giorni abbiamo chiesto rispettosamente a tre pensatori, tra quelli che sono venuti a condividere, qui ed in Messico, il loro ascolto e le loro parole, di sentirsi tra noi per rimarcare il nostro chiamarli “compagni”. Vogliamo dire che non sono gli unici. Ce ne sono altri, altre. A volte timidamente, chiedendo permesso, a volte con la disinvoltura e l’impertinenza che normalmente c’è tra compagni di lotta, conosciamo, riconosciamo e chiamiamo “compagno”, “compagna”, pensatrici e pensatori.

Non sono nemmeno gli unici con i quali ci sono state, o ci sono, divergenze o chiare discrepanze. Abbiamo chiesto loro, e loro hanno accettato, di aiutarci a lanciare questo messaggio: che il mondo per il quale lottano le zapatiste e gli zapatisti non è uno, unico ed indivisibile. Che la verità non è una, bensì molte. E che, nonostante tutti e tutte, non abbiamo mai scartato la possibilità di sbagliarci in qualche cosa, o in tutto.

Non siamo in territorio dell’EZLN. Stavo dicendo che non siamo in territorio zapatista, ma dopo avere visto questo nuovo grande sforzo delle compagne e dei compagni del CIDECI non sono così sicuro di non essere in territorio zapatista. Grazie a questi compagni e compagne. Spero che il Dottor Raymundo possa trasmettere questo sentimento a tutte e tutti quelli che lavorano qui.

Non siamo in territorio dell’EZLN, dicevo. Il CIDECI ci ha offerto, generosamente ed incondizionatamente, questo spazio per le attività, così come hanno fatto con la stessa generosità e incondizionatamente i compagni e le compagne del Fronte Popolare Francisco Villa Indipendente-UNOPII ed i compagni e le compagne dell’Associazione Charros Los Reyes di Iztapalapa, che noi chiamiamo “gli altri charros” per distinguerli dai leader corrotti che subiscono i movimenti operaio e contadino, ed ai quali esprimiamo la nostra gratitudine e riconoscimento.

Nel calendario che ci ha convocati non bisogna dimenticare la geografia nella quale le nostre rabbie si incontrano: grazie Lienzo Charro di Iztapalapa, grazie CIDECI.

Voi siete stati le nostre ed i nostri invitati. Ed in questo Festival, a nostra volta, noi siamo stati ospiti nel Lienzo e del CIDECI. Come tali, come ospiti, dobbiamo a chi ci riceve e assiste, non solo gratitudine ed ammirazione, ma anche e soprattutto rispetto. Ed altrettanto non possiamo né dobbiamo comportarci come se fossimo nel nostro prato.

Uno degli spiriti che anima la Sesta Dichiarazione e l’Altra Campagna è il rispetto ai “modi” di ogni lotta nel suo territorio. Quando nei nostri viaggi siamo stati nei diversi posti, non ci siamo andati per criticare o giudicare chi non solo ci dava un tetto e cibo, ma anche la medicina della sua lotta. Abbiamo offerto rispetto, sempre.

Ed altrettanto lo abbiamo ricevuto dai nostri compagni e compagne dell’Altra. Chi di voi era nella carovana che ci accompagnava nei giorni più vergognosi della repressione ad Atenco, sa che siamo stati insultati ed aggrediti in eventi pubblici e riunioni, perfino la nostra delegazione a Città del Messico, da parte del movimento lopezobradorista. E sa che il “modo” con cui compagne e compagni ci lanciavano critiche e osservazioni non è sempre stato misurato, ma non poche volte aspro ed acido, ed alcune, poche, una chiara provocazione.

Ieri sera il Comandante Zebedeo raccontava ad un compagno delle aggressioni dei lopezobradoristi (a lui ed alla Comandante Miriam è toccato subirne personalmente) e li distingueva dai “modi” di criticare dei compagni e delle compagne dell’Altra Campagna. Gli diceva che noi zapatisti, zapatiste, abbiamo la pelle dura. Non solo per i 15 anni di guerra di resistenza, ma anche, e soprattutto, per più di 500 anni di guerra di oblio. Gli diceva che ascoltavamo tutto quello che ci dicevano e che, dentro di noi, nel nostro cuore restava il buono, mentre il resto usciva dall’altro orecchio.

Come se le ferite ricevute in tutto questo tempo si fossero cicatrizzate e ci avessero inspessito la pelle rendendola coriacea, dura, resistente. E sì, se abbiamo resistito 500 anni di tentativi di dominazione ed annichilimento, se abbiamo resistito 25 anni nelle montagne, se abbiamo resistito 15 anni di assedio militare, non vediamo perché non potremmo resistere alle grida isteriche, alle calunnie, alle bugie, alle denigrazioni ed ai veti giornalistici del “lopezobradorismo”.

E, molto diverse, sono quelle che ci hanno fatto, fanno e faranno i nostri compagni e compagne dell’Altra in Messico e nel mondo.

Perché risulta che con la Sesta Dichiarazione non li abbiamo invitati a seguirci o ad obbedirci, o ad essere come noi, o ad importare i nostri “modi”, o a subordinare le loro lotte, progetti, sogni, ai nostri.

Li abbiamo invitati a conoscerci ed a conoscersi tra loro, a sapere che non siamo né sono soli, sole, a rispettarci, a sostenersi, affinché il silenzio di fronte alle nostre sofferenze non fosse unanime, li abbiamo invitati ad essere altri, altre.

Non concordiamo con alcuni di loro… bè, con diversi… insomma, con molti…, in realtà non concordiamo con nessuno. Perché se così fosse smetteremmo di essere EZLN e saremmo parte di essi. Ma li riconosciamo come di questa parte e, crediamo che loro, tutte e tutto, ci riconoscono.

E siamo molto orgogliosi che siano nostri compagni, compagne e compagnei.

Ed abbiamo questo vantaggio, o svantaggio, secondo, che stiamo con la Sesta. Chissà che c’è un posto, un lavoro, uno spazio, una lotta, dove si può verificare se quello che si dice è quello che si fa.

In questi giorni, ed anche durante questi 15 anni, si può verificare quello che abbiamo detto su di noi. Inoltre, forse ancora non per molto, si può andare nelle comunità indigene zapatiste (chiedete prima il permesso alla Giunta di Buon Governo, è il nostro modo) e vedere se è vero che ci sono delle donne con incarichi ufficiali o come educatrici o promotrici di salute o come responsabili locali e regionali. Come Comandanti forse non è necessario, perché a meno che non si tratti di un effetto virtuale ottenuto con raggi laser, o che i comandanti maschi abbiano subito la meravigliosa trasformazione che Krishna ci ha mostrato ieri, alcune delle Comandanti sono qui.

Andate e vedere se è vero che ci sono scuole e cliniche, se realmente le Giunte di Buon Governo cercano l’accordo tra le parti quando ci sono conflitti e dispute, se è vero che i maestri e le maestre che fanno lezione alla Lupita e alla Toñita si sono formati con i sistemi di educazione autonoma. Insomma, si può vedere se facciamo quello che diciamo.

E la stessa cosa succede con i nostri compagni, compagne e compagnei dell’Altra. Si può andare nella sede della Brigada Callejera e constatare se fanno quello che ieri ci dicevano; si può andare nei piccoli locali dove lavorano, loro sì in condizioni eroiche, chi fa comunicazione alternativa, o dice di realizzare informazione, od organizzare coloni, contadini, lavoratori della città, popoli indios, o dipingere, o cantare, o quello che ognuno dice di fare.

Qualche tempo fa, prima di venire a morire e nascere in queste montagne del sudest messicano, ero all’Università Nazionale Autonoma del Messico e molte volte sono stato nell’auditorium della Facoltà di Lettere e Filosofia, nell’auditorium conosciuto come “El Che”. Allora erano il rettorato e le autorità amministrative incaricate del “El Che”. Non mento, quello era un letamaio. Ed un letamaio trascurato, perché esistono letamai ben curati.

Tempo dopo, già diventati quello che siamo, come parte del nostro percorso dell’Altra Campagna ho avuto l’opportunità di andare in due occasioni nel Che. Una volta senza conoscere la dimensione della disputa. L’altra, conoscendola e prendendo posizione. Nemmeno ora sto mentendo: era impeccabile, pulito, ordinato, funzionale. La sola cosa che mancava erano le poltrone che, credo, erano state tolte proprio dal Rettore. Lì si svolgevano diversi laboratori, c’era una sala da pranzo, vegetariana purtroppo per noi carnivori e taqueros senza rimedio. C’era lavoro, lotta, vita. Il Che non era l’edificio grigio che si apriva solo per cineforum, assemblee e, molto rari, eventi culturali.

Forse, è un’ipotesi, i compagni e le compagne dell’Okupache l’avevano pulito e sistemato solo perché arrivavo io ed hanno montato una scenografia per dimostrare che fanno quello che dicono. Non credo. Crediamo che è vero che fanno quello che dicono, ma, in ogni caso, è qualcosa che potete verificare visitando il locale di questi nostri compagni e compagne dell’Okupache. Sicuramente, l’abbiamo constatato, hanno “modi” e posizioni che non condividiamo. E sicuramente ci sono altri ed altre, compagni o no, che la pensano al contrario o hanno un’immagine diametralmente opposta di quanto noi abbiamo visto. Sta bene, questa è l’Università Nazionale Autonoma del Messico. Ed ha ragione chi dice che è a questa collettività universitaria, cioè, universale, che compete discutere, analizzare, dissentire, prendere posizione, decidere. E crediamo che forse si potrebbe fare senza grida e senza facili insulti, ma anche senza minacce di sgombero né scontri. Insomma, è li da vedere. Ma non dubitate, noi staremo dalla parte dei nostri compagni e compagne, dalla parte degli aggrediti, come abbiamo fatto qui qualche giorno fa.

I partiti politici dell’alto possono dire una cosa e fare il contrario. Uno può constatare questo in qualsiasi posto dove sono al potere. Questo perché il loro criterio di congruenza è un altro. Per loro è la quantità che possono mobilitare, non importano i metodi ai quali ricorrono, in occasione di una elezione o in una mobilitazione, quello che dà loro il termometro se vanno bene o male o così così.

Noi abbiamo un altro criterio: andiamo bene se quello che diciamo coincide con quello che facciamo, che sia bene o male per gli altri.

Due persone che amiamo e rispettiamo, forse con loro dispiacere, ci domandano a che giova al movimento zapatista che Marcos denigri il movimento lopezobradorista, e perché ogni volta che compaio davanti ai media lo faccio, tra le altre cose, per insultare AMLO.

Bene, io non sto comparendo davanti ai mdia, sono ormai passati i tempi. Noi stiamo parlando ed ascoltando i nostri compagni, compagne e compagnei dell’Alta in Messico e del mondo, ed ascoltando la parola di persone che lottano e pensano in diversi angoli del pianeta.

Concedetemi un momento per spiegarvi come siamo organizzati nel nostro lavoro di CCRI-CG dell’EZLN. Vedete, qui nell’EZLN convergono diversi popoli indios: tzeltales, tzotziles, tojolabales, choles, zoques, mames e meticci.

Questi popoli hanno comunità indigene che formano zone. Ogni zona ha una struttura organizzativa, ora parallela a quella di autorità autonoma. Ed in ogni struttura di zona c’è un comando collettivo organizzativo. Quando dico “comando collettivo organizzativo” non solo dico che è un collettivo, dico anche che non è militare. Questo comando di zona è quello che chiamiamo CCRI di zona. Ed ogni zona ha il suo “modo”. I tzotziles, i tzeltales, i tojolabales, i choles, gli zoques, i mames ed i meticci hanno i loro propri problemi ed i loro “modi” di affrontarli o risolverli. L’EZLN è incaricato di essere il ponte di unione, che va e viene, tra le zone. Quando l’EZLN come tale fa qualcosa, deve avere il consenso e l’accordo di tutte le zone. Quando una zona fa qualcosa, deve comunicarlo alle altre zone, attraverso l’EZLN, affinché sappiano e vedano in che cosa possono essere di aiuto.

Oltre a questo, all’EZLN tocca rappresentare all’esterno, cioè a quelli che non sono zapatisti, tutte le zone come un insieme. Benché sia una Comandante negli Altos, Hortensia non vi parla degli Altos, per sua voce parla la voce dell’EZLN. E quello che racconta delle donne non è solo quello che succede negli Altos, ma quello che raccoglie da tutte le comunità zapatiste. La stessa cosa è quando parlo io o il Tenente Colonello Moisés o il Maggiore Zebedeo o il Maggiore David o chiunque sia del CCRI-Comando Generale.

Quindi, quando Marcos o uno qualsiasi di noi parla in pubblico come in questa occasione, lo fa come EZLN, non a titolo personale.

Noi pensiamo che ognuno deve essere responsabile di quello che dice e fa, come individuo e come collettivo. Credo che l’EZLN si sia sempre reso responsabile di quello che dice e fa, e ci mette la vita in questo. La vita individuale e la vita collettiva.

Allora, a cosa serve ad un movimento dire quello che pensa e sente? Bene, noi ci siamo ribellati in armi anche per questo, per recuperare la nostra parola, per potere dire noi stessi quello che pensiamo e sentiamo.

Che ci dicano chi dei nostri “alleati” sono persecutori, discriminatori ed assassini di indigeni. Noi sì abbiamo detto chi dei loro dirigenti e “alleati” lo sono. Chi perseguita, vessa e taglia l’acqua ai nostri compagni zapatisti di Zinacantán sono quelli della CND lopezobradorista. Chi ci aggredisce dentro e fuori del nostro territorio sono i simpatizzanti di AMLO, chiaro oltre al governo federale, statale, municipale, i mezzi di comunicazione (ora tutti), l’esercito, la polizia statale, la AFI, il CISEN, la CIA ed i loro amici.

Chi ha messo i compagni zapatisti sfollati dai Montes Azules prima in un postribolo abbandonato e poi in uno scantinato erano lopezobradoristi. Funzionari del governo del DF e membri del movimento di AMLO sono venuti in Chiapas per “operare” lo sgombero a fianco del governo che AMLO ha sostenuto. Ho detto in uno scantinato. Gli indigeni hanno sempre denunciato che i dominatori ci trattano come animali. Loro sono andati oltre, ci hanno trattato come cose, come pacchi. Nemmeno gli animali si mettono in uno scantinato. E come questi ci sono altri esempi che abbiamo molte volte denunciato.

So che può essere una via di fuga o una consolazione dire o dirsi che è una mania di Marcos e che le basi zapatiste muoiono dalla voglia di essere trasportate a qualche manifestazione di AMLO, o che ardono dal desiderio di fare proselitismo per le prossime elezioni.

Ma no. Questo è il Festival della Degna Rabbia e, come tutti e tutte, siamo venuti qui ad esprimere la nostra rabbia. Non la rabbia di Marcos, o Moisés, od Hortensia, o Zebedeo, o David. No, la rabbia delle comunità zapatiste che non sono solo aggredite dai malgoverni, ma anche da chi si dice di sinistra e progressista.

E quando parliamo esprimiamo solo la nostra rabbia. Se ascoltassero la rabbia degli altri che non sono dell’EZLN, quella che hanno coltivato anche con aggressioni e persecuzioni, forse capirebbero alcune cose.

D’altra parte, perché non si chiede ad AMLO la ragione per la quale ha preferito allearsi con persecutori ed assassini di indigeni in generale ed indigeni zapatisti in particolare?

Chi di voi è venuto qua a dirci “compagni, veniamo a bastonarvi, ma è per un progetto alternativo di Nazione, sopportate il bastone e non fate chiasso perché è per il bene della Patria. Voi aspettate mentre noi salviamo la Nazione”?

E, a cosa è servito al movimento lopezobradorista allearsi con i Nuñez, i Montreal, i Muñoz Ledo, i Sabines, gli Albores, i Kanter, gli Iruegas, gli ex funzionari indigeni di Fox, quelli che votarono contro gli Accordi di San Andrés “per dimostrare vocazione di governo”, quelli che perseguono ambulanti, giovani, lavoratori e lavoratrici del sesso, lavoratori, contadini, indigeni, quelli che, nei luoghi dove sono al governo, sgomberano, espropriano, reprimono, sfruttano, discriminano, corteggiano il potente e consegnano le ricchezze naturali allo straniero?

E a cosa è servito al movimento lopezobradorista, invece di rispondere con argomenti alle nostre critiche, calunniarci, tergiversare, mentire sfacciatamente, aggredirci verbalmente nelle nostre manifestazioni, chiuderci la stampa, modificare la sua storia?

A cosa serve al movimento lopezobradorista dire continuamente che è l’unico che sta lottando in questo paese, che è l’unico che si oppone a Calderón, che ha “i migliori scrittori ed artisti” dalla sua parte e che nessun’altra organizzazione può dire lo stesso? A cosa gli serve questa superbia di fronte agli umili ed a chi sta in basso?

A che serve al movimento lopezobradorista non guardarci né ascoltarci, né guardare né ascoltare i morti che sono di sua responsabilità?

Possono dire che questo non è AMLO. Sì lo è. Lo è sempre stato, e non lo vede chi non lo vuole vedere. Un dirigente deve essere responsabile di quello che dicono e fanno lui ed il suo movimento. E così pure i membri di un movimento.

Così come gli indigeni zapatisti si rendono responsabili di essere indigeni e di essere zapatisti e proprio per essere responsabili di questo li sgomberano, li perseguitano e li attaccano.

Qualche mese fa è venuta nelle nostre terre una carovana internazionale per dimostrare il suo appoggio alle comunità zapatiste rispetto alle incursioni militari. Come ricordo, venivano da Grecia, Italia, Francia e Stato Spagnolo, tra altri paesi del mondo. Ci siamo stupiti che non ci fosse nessun basco o basca. Probabilmente, abbiamo pensato, non si erano iscritti o non erano stati inseriti nella lista dei partecipanti. Il Teniente Coronel Insurgente Moisés, addetto della Commissione Intergalattica, andò a verificare e, in effetti, c’erano dei baschi, ma dissero, parola più parola meno, “che si erano iscritti insieme agli spagnoli per non creare problemi”. Noi dicemmo loro che non avevamo litigato con mezzo mondo per rendere pubblico il nostro riconoscimento al diritto dei baschi alla loro indipendenza, per poi finire di metterli insieme agli spagnoli “per non avere problemi”. Che abbiamo combattuto con mezzo mondo per poter dire: Gora Euzkera! Gora Euzkal Herria!

Se siamo responsabili della nostra insurrezione, se siamo responsabili della nostra parola, se per questo sfidiamo la forza del governo e dei suoi eserciti e poliziotti, se siamo responsabili dei nostri morti, non vedo perché non dovremmo essere responsabili della nostra rabbia.

Compagne e compagni:

Questa mattina con un piccolo gruppo e questo pomeriggio con tutta la delegazione abbiamo riuniti le compagne e i compagni per decidere quale deve essere il messaggio principale di questo intervento.

Qui in questi giorni a San Cristobal, e prima a Città del Messico, abbiamo ascoltato molte e belle parole. Chiaro, abbiamo sentito anche qualche assurdità.

Quasi tutti hanno fatto riferimento alla crisi mondiale e nazionale ed ai brutti tempi che si avvicinano. C’è stata sincera preoccupazione. Ma c’è stata anche allegria. Come se ognuno, ognuna, individualmente e collettivamente, sapesse che deve fare qualcosa di fronte a queste paure ed orrori. Come se non avessimo più avere paura e pena, ma queste fossero diverse. Come se avessimo preso questa paura e questa pena e le controllassimo, dandogli direzione, destinazione. Come se potessimo fare come ci hanno detto Mariana, Italia e Norma. Come se sapessimo che succederà quello che succederà.

Alcuni di coloro che sono intervenuti in questo Festival, nei loro interventi o posizioni hanno mostrato preoccupazione per chi, o come, o con che cosa guidare questo movimento. Si prospettano strutture, modi, forme, per questo grande movimento che sicuramente dovrà sollevarsi di fronte agli oscuri e perversi tempi. Come sicuramente si solleverà il popolo Palestinese di fronte al crimine che oggi si commette sulle sue terre e contro la sua gente.

Come zapatisti vi dico chiaramente che siamo molto contenti che i dubbi e le domande che vi sorgono non sono più del tipo “Si può fare qualcosa?”, Succederà qualcosa?”.

Voi e noi abbiamo visto e sentito questa rabbia accumulata.

Ma a noi non preoccupa chi, o come, o con che cosa si guiderà questa rabbia. Nemmeno con che quale passo, velocità, ritmo e in compagnia di chi. Non ci preoccupa la velocità del sogno.

Abbiamo imparato a fidarci della gente, del popolo, del nostro popolo. Sappiamo che non ha bisogno di chi li guidi, che si dotano delle proprie strutture per lottare e vincere. Che prendono nelle loro mani i propri destini, e che lo fanno meglio dei governi che si impongono da fuori.

No, a noi non preoccupa la guida del movimento. Ascoltando ora il compagno Carlos González, del Congresso Nazionale Indigeno, capiamo di avere la stessa preoccupazione.

A noi preoccupa la direzione e la destinazione. Ci preoccupa il modo. Ci preoccupa che il mondo che partorisca la nostra rabbia somigli a quello che oggi subiamo.

Permettetemi di dirvelo: L’EZLN ebbe la tentazione dell’egemonia e dell’omogeneità. Non solo dopo l’insurrezione, anche prima. Ci fu la tentazione di imporre modi e identità. Che lo zapatismo fosse l’unica verità. E furono i popoli in primo luogo ad impedirlo, e poi ci insegnarono che non è così, che non si passa da lì. Che non potevamo sostituire una dominazione con un’altra e che dovevamo convincere e non vincere chi era ed è come noi, ma che non è noi. Ci insegnarono che ci sono molti mondi e che è possibile e necessario il mutuo rispetto.

E non ci riferiamo al rispetto che si esige da noi verso chi ci aggrediscono, ma verso chi ha altri modi ma lo stesso impegno per la libertà, giustizia, democrazia.

Dunque quello che vogliamo dirvi è che questa pluralità tanto simile nella rabbia, e tanto differente nel sentirla, è la direzione e la destinazione che noi vogliamo e vi proponiamo.

Perché qualcuno può fare dichiarazioni contro i partiti e le organizzazioni che, dice, vogliono egemonizzare ed omogeneizzare l’Altra Campagna, ma nel momento che si critica o si dissente da quello che fa, allora partono le grida e gli insulti.

Non tutti siamo zapatisti (cosa di cui qualche volta ci rallegriamo). Nemmeno siamo tutti comunisti, socialisti, anarchici, libertari, punk, ska, dark, o come ognuno chiami la sua differenza.

Deve esserci una parola per quello che vogliamo dirlvi. E ci sembra utile quella usata ieri dal compagno Jean Robert: “proporzionalità”.

Gli zapatisti, le zapatiste, non ci siamo preposti con la Sesta Dichiarazione di organizzare e guidare tutto il Messico, tanto meno tutto il mondo. Nella Sesta noi diciamo: qui siamo, questo siamo, questo vogliamo e così pensiamo che bisogna fare. Ed in questa riconosciamo i nostri limiti, le nostre possibilità, la nostra proporzionalità.

Nella Sesta non diciamo che tutti i popoli indios entrino nell’EZLN, né diciamo che guideremo operai, studenti, contadini, giovani, donne, altri, altre. Diciamo che ognuno ha il suo spazio, la sua storia, la sua lotta, il suo sogno, la sua proporzionalità. E diciamo di stringere un patto per lottare insieme per il tutto e per ognuno. Fare un patto tra la nostra rispettiva proporzionalità ed il paese che ne risulti, che il mondo che nasca sia formato dai sogni di tutti e di ogni diseredato.

Che quel mondo sia così variopinto che non ci siano gli incubi che assillano chi sta in basso.

Ci preoccupa che in quel mondo partorito da tanta lotta e tanta rabbia, si continui a considerare la donna con tutte le varianti del disprezzo che la società patriarcale ha imposto; che si continuino a considerare stranezze o malattie le diverse preferenze sessuali; che si continui a presumere che i giovani devono essere addomesticati, cioè, obbligati a “maturare”; che noi indigeni continuiamo ad essere disprezzati e umiliati o, nel migliore dei casi, considerati come i buoni selvaggi che bisogna civilizzare.

Ci preoccupa che quel nuovo mondo non sia un clone di quello attuale, o un transgenico o una fotocopia di quello che oggi ci inorridisce e ripudiamo. Ci preoccupa, dunque, che in quel mondo non ci sia democrazia, né giustizia, né libertà.

Allora vogliamo dirvi, chiedere, di non fare della nostra forza una debolezza. L’essere tanti e tanto differenti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina, e ci permetterà di costruire qualcosa di nuovo. Vogliamo dirvi, chiedervi, che quel nuovo sia anche differente.

Questo è il messaggio che volevamo trasmettervi. Questa è la nostra parola.

Molte grazie a tutti, a tutte e tuttie quelli che ci hanno parlato ed ascoltato e, così, ci hanno contagiato e si sono contagiati della degna rabbia.

Libertà e Giustizia per Atenco! Libertà, Giustizia e Liberazione delle Prigioniere e Prigionieri Politici! e Presentazione in vita dei desparecidos politici!

Per gli uomini, le donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 5 gennaio 2009

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Terzo Vento: un degno e arrabbiato colore della terra.

Buona notte. Cercheremo di essere brevi perché la giornata è stata lunga e perché poi la Lupita e la Toñita vi leggeranno alcuni racconti che hanno scritto proprio per voi.

Andiamo dunque:

Di specialisti e specializzazioni.

Sicuramente qualche serio storico potrà dirci del momento in cui sono apparsi gli specialisti e le specializzazioni nella società umana. E forse potrà spiegarci quale fu il primo: la specializzazione o lo specialista.

Perché, nel nostro affacciarci e stupirci del mondo, noi zapatisti abbiamo visto che molte volte qualcuno definisce la sua ignoranza o il suo limitato orizzonte, una specializzazione e si autonomina specialista. E viene lodato e rispettato e pagato bene e omaggiato.

Non lo capiamo, per noi qualcuno con conoscenze limitate è qualcuno che deve sforzarsi di imparare di più. Ma sembra che nel mondo accademico meno si sa più finanziamenti si ricevono.

Il Vecchio Antonio, in alcune di quelle mattine che ci sorprendevano camminando in montagna, rideva di questo che gli raccontavo e diceva che allora i primi dei, quelli che crearono il mondo, erano specialisti in specializzazioni.

Infine, è risaputo che i nostri ostacoli di fronte alla produzione intellettuale sono enciclopedici, cosicché ora vogliamo riferirci brevemente ad una speciale specie di specialisti: i politici professionisti.

In una prossima occasione di questo festival, domani credo, avremo l’opportunità di ascoltare, per voce del Tenente Colonnello Insurgente Moisés, qualche descrizione dell’ambito politico interno nelle comunità zapatiste.

Uno di questi ambiti politici, non l’unico, è il lavoro di governo. C’è anche, per esempio, il lavoro politico delle donne zapatiste, di cui ci parlerà la Comandante Hortensia, e molti altri.

E risulta che questi lavori non solo non ricevono compenso, e non sono nemmeno considerati una specializzazione. Cioè, chi un giorno è presidente municipale autonomo il giorno prima era nella milpa o nella piantagione di caffè, a seminare o raccogliere. Molti dei nostri governanti zapatisti non sono andanti nemmeno a scuola o non sanno parlare spagnolo, ovvero non sono specialisti di niente, tanto meno di politica.

E tuttavia i nostri municipi autonomi hanno fatto molti più progressi in salute, educazione, abitazione ed alimentazione che i municipi ufficiali che sono governati da politici professionisti, cioè, da specialisti della politica.

Infine, aspettiamo gli interventi dei miei compagni per riuscire a capirci. In questo momento voglio solo segnalare alcune delle nostre incapacità di intendere la politica dell’alto, almeno in Messico.

Per esempio, non capiamo come si decide, si accetta e si legifera che un deputato guadagni più di un muratore. Perché il muratore fa qualcosa, lavora, costruisce case, muri, edifici. E sa come fare la malta, come sistemare i mattoni.

Per esempio, questo auditorium nel quale ci troviamo. Qui ci possono stare più persone che nel Teatro della Città di qui, di San Cristóbal de Las Casas e, come mi dicono, è stato costruito, dalla sua progettazione fino alla sua realizzazione, da mani indigene. Il pavimento, i piani, le pareti, porte e finestre, tetto, impianti idraulici ed elettrici sono stati realizzati da non specialisti, oltretutto indigeni, e che sono compagni dell’Altra Campagna.

Bene, per tornare al muratore, lui sì che lavora. Ma il deputato… il deputato… bene, non so se qualcuno può dirci che cosa fa un deputato… o un senatore… o un sottosegretario.

Poco fa abbiamo sentito un sottosegretario dire che la crisi economica, che già si trascinava da anni, non era altro che un raffreddore passeggero.

Ah! Abbiamo pensato, un sottosegretario è come un dottore che diagnostica una malattia. Ma abbiamo anche pensato, perché qualcuno con un minimo di cervello pagherebbe un dottore che gli dice che ha un raffreddore che poi risulta che è polmonite e lui gli prescrive un tè caldo di foglie di limone e poi tornerà come nuovo. Ma sembra che il sottosegretario in questione guadagni bene e che c’è una legge che dice che deve guadagnare molti soldi.

Qualcuno ci dirà che i deputati e i senatori fanno le leggi e che i sottosegretari di Stato fanno piani affinché queste leggi si applichino. E sia. Quanto è costato alla Nazione, per esempio, che si facesse la controriforma indigena che annullò gli Accordi di San Andrés?

Ed alcuni mesi fa un legislatore del PRD, criticato perché aveva votato per una legge assurda ed ingiusta (come la maggioranza delle leggi in Messico) ha dichiarato in sua difesa… che non l’aveva letta!

E quando c’è stata la discussione sul petrolio nel centro nevralgico del paese (cioè, sui mezzi di comunicazione). Il governo di Calderón non ha detto che non si doveva consultare la gente perché era qualcosa che capivano solo gli specialisti? Ed il cosiddetto movimento in difesa del petrolio non agì in maniera simile quando incaricò un gruppo di specialisti di redigere la sua proposta?

Secondo noi la specializzazione è una forma di proprietà privata della conoscenza.

Quello che sa qualcosa lo valorizza complicandolo fino a farlo sembrare qualcosa di straordinario ed impossibile, qualcosa a cui possono accedere pochi, e si rifiuta di condividerlo. Ed il suo alibi è la specializzazione.

Sono come gli stregoni della conoscenza, come gli antichi sacerdoti che si specializzavano per parlare con gli dei. E si crede a tutto quello che dicono.

E questo succede nella società moderna che dice a noi indigeni che siamo noi gli arretrati, gli ignoranti, i non civilizzati.

In nostro lungo giro per il Messico del basso, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere direttamente altri popoli originari di questo continente. Dai Maya della penisola dello Yucatan fino ai Kumiai in Bassa California, dai Purépechas, Nahuas e Wixaritari della costa del Pacifico fino ai Kikapus in Coahuila.

Parte di quello che abbiamo visto sarà spiegato meglio dai nostri compagni del Congresso Nazionale Indigeno, Carlos González e Juan Chávez, quando ci accompagneranno in questo tavolo. Io voglio solo fare alcune riflessioni sul tema della conoscenza e i popoli indio.

– Nelle riunioni che precedettero l’Incontro Continentale dei Popoli Indio d’America, incontrandosi, le diverse culture dei capi indio non si contendevano la supremazia o la gerarchia. Senza apparente difficoltà riconoscevano la differenza e si stabiliva una specie di intesa o accordo all’interno del quale si rispettavano reciprocamente.

Invece, quando due concezioni diverse della realtà, due culture, si confrontano tra loro nelle società moderne, normalmente si pone il problema della supremazia di una sull’altra, questione che non poche volte si risolve con la violenza.

Però, si dice che i popoli indio sono i selvaggi.

– Quando il mondo ladino o meticcio si incontra con il mondo indigeno dentro il territorio di quest’ultimo, nel primo si presenta quella che noi zapatisti chiamiamo “la sindrome dell’evangelizzatore”. Non so se è retaggio dei primi conquistatori e missionari spagnoli ma, spontaneamente, il meticcio o ladino tende a prendere la posizione di colui che insegna e aiuta. Per qualche strana logica che non capiamo, si assume come evidente che la cultura ladina o meticcia è superiore, in estensione e profondità di saperi e conoscenze, a quella indigena. Se, invece, questo contatto tra culture avviene in territorio urbano, il ladino o meticcio assume una posizione o difensiva e diffidente, o di disprezzo e schifo di fronte all’indigeno. L’indigeno è l’arretrato o il curioso.

Al contrario, quando l’indigeno si imbatte o si trova di fronte ad una cultura diversa fuori del suo territorio, tende spontaneamente a tentare di capirla e di non pretende di stabilire una relazione di dominante/dominato. E quando è dentro il suo territorio l’indigeno assume una posizione di curiosa sfiducia e gelosa difesa della sua indipendenza.

“Vengo a vedere in che cosa posso essere d’aiuto”, dice normalmente il meticcio quando arriva in una comunità indigena. E può essere una sorpresa per lui che, invece di metterlo ad insegnare o dirigere o comandare, lo facciano andare per la legna, o a prendere acqua o pulire stalle. O non sarà raro che gli rispondano: “E chi ti ha detto che abbiamo bisogno che ci aiuti?”.

Può essere che ci siano casi, ma fino ad ora non sappiamo se qualcuno sia arrivato in una comunità indigena dicendo: “vengo perché mi aiutate”.

– Non poche volte abbiamo trovato in collettivi che appoggiano le comunità indigene una specie di zelo per le loro conoscenze, una costante affermazione che la proprietà del sapere che detengono è loro, di loro proprietà privata.

È noto tra le autorità autonome quanto i gruppi che manipolano tecniche e tecnologie siano restii ad insegnare, cioè, a condividere quello che sanno. Per esempio internet. Ogni volta che nei caracoles si guastano i computer, bisogna aspettare di contattare quello che ne sa, aspettare che arrivi e, quando gli si chiede di insegnare a qualcuno per non dipendere da lui, questi dica che non ha tempo o che questo è roba da “specialisti”. E non parliamo delle apparecchiature delle radio comunitarie.

A volte succede un’altra cosa.

C’è un aneddoto che mi hanno raccontato i compagni comandanti della zona tojolabal, o zona “selva di confine”:

Sembra che, tra tutte le persone di buona volontà che arrivano nelle comunità zapatiste ad aiutare, una volta arrivò un ingegnere agronomo a dare lezioni per migliorare le piantagioni di caffè. Dopo la sua lezione, l’ingegnere si recò insieme ai compagni in una piantagione di caffè per mostrare loro come si doveva fare un taglio nella pianta. L’ingegnere chiese che gli facessero spazio, “dietro la riga che devo lavorare”, tirò fuori tutta la sua attrezzatura scientifica ed incominciò a fare misurazioni per determinare l’angolo esatto di taglio del ramo. Dopo molti e complicati calcoli, determinato l’angolo di taglio, l’ingegnere tirò fuori una bella sega ed incominciò a segare con molto cura. Ci mise molto, mi raccontarono, e, contraddicendo la presunta pazienza indigena ancestrale, i compagni lo presero da parte  e gli domandarono: “Fa vedere, dove vuole tagliare esattamente?”. “Lì”, rispose il brillante ingegnere agronomo, e indicò il posto col dito. Il compagno sguainò il suo machete Acapulco Collins a doppio filo e zac!, fece un taglio impeccabile nel ramo. “Vediamo, adesso misura”, chiese quasi ordinò il compagno. L’ingegnere agronomo, con una specializzazione all’università, tirò fuori il suo strumento per misurare gli angoli. Misurò e rimisurò molte volte, ed ogni volta si grattava la testa. “Che cosa c’è?”, gli domandarono. “Bene, sì”, rispose dispiaciuto: “è esattamente il taglio necessario, nel posto giusto e nell’angolo esatto”. “E allora sup, l’ingegnere cominciò a domandarci un mucchio di cose e continuava a prendere appunti e non so quanti fogli di appunti ha riempito”.

Quindi un’esortazione a chi possiede saperi e conoscenze e sono compagni e compagne: dite no alla proprietà privata della conoscenza, dite sì alla pirateria tra compagni quali siamo.

Altri punti:

– In entrambi, indigeni ed urbani in basso e a sinistra, abbiamo trovato una civiltà umana che non abbiamo riscontrato in quelli in alto. In entrambi se uno ha bisognoso gli danno il meglio che hanno. Quelli in alto non danno o, se danno, danno quello che gli avanza.

Il senso di comunità che è palpabile nelle comunità indigene non è loro esclusiva. Appare anche in settori del basso ed è più sviluppato in chi lotta e resiste.

– La brutale e feroce avanzata della guerra neoliberista di riconquista di territori, sta operando qualcosa che non so se era nei piani dei grandi centri finanziari internazionali: si stanno congiungendo rabbie, in profondità, in estensione e in storia comune.

– Questo congiungimento di sentimenti in quello che il Ruso ha chiamato “la pancia“, non è ancora accompagnato da un congiungimento nei saperi e conoscenze. Ci possono essere dei casi ma, credetemi, nei popoli indio non ho trovato l’avarizia della conoscenza che possiedono.

Infine, non ci idealizziamo come popoli indio, non siamo perfetti e, ovviamente, non pretendiamo che tutti e tutte diventino indigeni. Abbiamo conoscenze ed abbiamo carenze. Credo che possiamo condividere gli uni per risolvere le altre, senza che nessuno di voi perda l’opportunità di diventare ricco perché qualcuno di noi si appropria del brevetto del suo sapere.

Adesso, ogni promessa è debito, ascoltiamo un racconto della Lupita e della Toñita e po io ne racconterò un altro.

Primo tocca a Lupita (…)

Ora è il turno della Toñita (…)

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 4 gennaio 2009

P.S. – Sette Racconti per Nessuno.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Quarto Vento: Una degna rabbia organizzata

INTERVENTO DEL SUBCOMANDANTE MARCOS NELLA SESIONE MATTUTINA DEL 4 GENNAIO 2009.

Buon pomeriggio.

È con noi Don Luis Villoro. Se mi permette, il compagno Luis Villoro.

La sua vicinanza ai popoli indio di questo paese non è successiva al 1994, ma lo precede in vari calendari.

Nel nostro caso, le zapatiste, gli zapatisti, il suo appoggio è stato vitale. Lo dirò chiaramente: più di uno, di una, nelle comunità indigene, è viva, vivo, e lotta grazie all’appoggio di questo uomo. E mai, mai, si insinuò che si aspettasse qualcosa in cambio del suo appoggio, cosa che invece hanno fatto altri, altre.

In lui abbiamo trovato un generoso ascolto e, da quando siamo balzati alla luce pubblica, ha tentato di capirci, ed i suoi pensieri non poche volte sono stati il combustibile del nostro passo. E non sapete quanto sia stato difficile trovare, in questi 15 anni, qualcuno che cerchi di capirci e non di giudicarci.

Con lui, come con altri, abbiamo avuto ed abbiamo divergenze e le nostre discussioni molte volte sono state aspre, come per quanto si riferisce al movimento studentesco che 10 anni fa e dalla UNAM, ci meravigliò e insegnò a noi zapatisti

Con tutte queste differenze, nel nostro cuore non c’è mai stato il minimo dubbio delle sue convinzioni e impegno da questa parte, in basso e a sinistra.

Catalogare “di destra” chi non la pensa come noi, come un orribile e vile striscione dichiarava ieri, è la manifestazione di un atteggiamento di chi vuole imporre fatta, paradossalmente, da chi dice di rivendicare un atteggiamento libertario. Forse non ne so molto, ma per quanto ci arrivo, l’anarchismo libertario non esime dal conoscere. E bisogna conoscere prima di giudicare e condannare.

È un onore, Don Luis, averla oggi dalla nostra parte, come è da 15 anni.

Il mondo che sogniamo non è un mondo con unanimità di pensiero, canche se il nostro, il pensiero zapatista, né con l’egemonia imposta che questa implica.

Salute Don Luis, volevamo solo dirle che lei ha, da lunghi calendari, un posto nel cuore scuro che ci anima.

Si suppone che dopo l’intervento di Moy, del Tenente Colonello Insurgente Moisés, io dovrei leggervi un racconto. Lo farò dopo, ora dobbiamo dire qualcosa d’altro.

Di semine e raccolti.

Forse quello che dirò non c’entra col tema centrale di questo tavolo, o forse sì.

Due giorni fa, lo stesso giorno in cui la nostra parola faceva riferimento alla violenza, Condoleeza Rice, funzionaria del governo nordamericano, dichiarava che quello che sta succedendo a Gaza è colpa dei palestinesi, per la loro natura violenta.

I fiumi sotterranei che percorrono il mondo possono cambiare geografia, ma intonano lo stesso canto.

E quello che ora sentiamo è di guerra e di dolore.

Non molto lontano da qui, in un luogo chiamato Gaza, in Palestina, in Medio Oriente, qui vicino, un esercito fortemente armato ed addestrato, quello del governo di Israele, continua la sua avanzata di morte e distruzione.

I passi seguiti fino ad ora sono quelli di una guerra militare classica di conquista: prima un bombardamento intenso e massiccio per distruggere postazioni militari “nevralgiche” (così le chiamano i manuali militari) e per “neutralizzare” le fortificazioni di resistenza; poi il ferreo controllo dell’informazione: tutto ciò che si sente e si vede “nel mondo esterno”, cioè, esterno al teatro delle operazioni, deve essere selezionato con criteri militari; ora fuoco intenso di artiglieria sulla fanteria nemica per proteggere l’avanzata delle truppe verso nuove posizioni; poi i sarà l’accerchiamento e l’assedio per indebolire la guarnizione nemica; quindi l’assalto che conquisti la posizione annichilendo il nemico, poi la “pulizia” di possibili “sacche di resistenza”.

Il manuale militare della guerra moderna, con alcune variazioni e appendici, viene seguito passo passo dalle forze militari d’invasione.

Noi non sappiamo molto di questo e, sicuramente, ci sono specialisti del cosiddetto “conflitto in Medio Oriente”, ma da questo angolo di mondo dobbiamo dire qualcosa:

Secondo le foto delle agenzie d’informazione, i punti “nevralgici” distrutti dall’aviazione del governo di  Israele sono abitazioni, capanne, edifici civili. Non abbiamo visto nessun bunker, né quartiere o aeroporto militare, o batteria di cannoni, tra quanto distrutto. Allora noi, scusate la nostra ignoranza, pensiamo che o gli artiglieri degli aerei hanno pessima mira o a Gaza non esistono tali punti militari “nevralgici”.

Non abbiamo l’onore di conoscere la Palestina, ma supponiamo che in quelle case, capanne ed edifici abitava gente, uomini, donne, bambini ed anziani, e non soldati.

Non abbiamo visto nemmeno fortificazioni di resistenza, solo macerie.

Fino ad ora abbiamo visto il vano sforzo di assedio informativo ed i diversi governi del mondo dubitare tra scaricare le responsabilità o applaudire all’invasione, ed una ONU, già inutile da tempo, tirare fuori tiepidi comunicati stampa.

Ma aspettate. Ci è vento in mente adesso che forse per il governo di Israele quegli uomini, donne, bambini ed anziani sono soldati nemici e, come tali, le capanne, case ed edifici dove abitano sono quartieri che bisogna distruggere.

Quindi sicuramente i fuochi di artiglieria che questa mattina cadevano su Gaza erano per proteggere da quegli uomini, donne, bambini ed anziani l’avanzata della fanteria dell’esercito di Israele.

E la guarnigione nemica che vogliono indebolire con l’assedio intorno a Gaza non è altro cosa che la popolazione palestinese che vive lì. E che l’assalto cercherà di annichilire questa popolazione. E che qualsiasi uomo, donna, bambino o anziano che riesca a scappare, nascondendosi, dall’assalto prevedibilmente sanguinoso, sarà poi “cacciato” affinché la pulizia sia completa ed il comandante militare al comando dell’operazione possa riferire ai suoi superiori “missione compiuta”.

Scusate di nuovo la nostra ignoranza, forse quello che stiamo dicendo non faccia al caso. E che invece di ripudiare e condannare il crimine in corso, come indigeni e guerrieri quali siamo, dovremmo discutere come e prendendo posizione nella discussione su “sionismo” o “antisemitismo”, o che al principio erano le bombe di Hamas.

Forse il nostro pensiero è molto semplice, e ci mancano le sfumature e postille sempre necessarie nelle analisi ma, per noi, zapatiste e zapatisti, a Gaza c’è un esercito professionista che sta assassinando una popolazione indifesa.

Chi in basso e a sinistra può restare in silenzio?

Serve dire qualcosa? Le nostre grida fermano le bombe? La nostra parola, salva la vita di qualche bambino palestinese?

Noi pensiamo che sì, serve, che forse non fermeremo una bomba né la nostra parola si trasformerà in uno scudo blindato che impedisca che quella pallottola calibro 5.56 mm o 9 mm, con la sigla “IMI”, “Industria Militare Israeliana” stampata alla base della cartuccia, arrivi nel petto di una bambina o un bambino, perché forse la nostra parola riesca ad unirsi ad altre in Messico e nel mondo e forse prima si trasformi in mormorio, poi a voce alta, e quindi in un grido che si senta a Gaza.

Non sappiamo voi, ma noi zapatiste e zapatisti dell’EZLN sappiamo quanto sia importante che, in mezzo alla distruzione e alla morte, sentire parole di incoraggiamento.

Non so come spiegarlo, ma sembra che le parole da lontano forse non riescono a fermare una bomba, ma sono come se si aprisse una crepa nella nera stanza della morte e si accendesse una piccola luce.

Per il resto, succederà quello che succederà. Il governo di Israele dichiarerà di aver inferto un duro colpo al terrorismo, occulterà al suo popolo la dimensione del massacro, i grandi produttori di armi avranno ottenuto un respiro economico per affrontare la crisi e “l’opinione pubblico mondiale”, quell’ente malleabile e sempre a modo, si volterà a guardare da un’altra parte.

Ma non solo. Succederà anche che il popolo Palestinese resisterà e sopravvivrà e continuerà a lottare e continuerà ad avere la simpatia del basso per la sua causa.

E, forse, un bambino o una bambina di Gaza sopravvivranno. Forse cresceranno e, con loro, il coraggio, l’indignazione, la rabbia. Forse diventeranno soldati o miliziani di qualcuno dei gruppi che lottano in Palestina. Forse combatteranno contro Israele. Forse lo faranno sparando un un fucile. Forse immolandosi con una cintura di cartucce di dinamite legata in vita.

Ed allora, in alto, scriveranno sulla natura violenta dei palestinesi e faranno dichiarazioni di condanna di quella violenza e si tornerà a discutere su sionismo o antisemitismo.

E nessuno domanderà chi ha seminato ciò che sta raccogliendo.

Per gli uomini, donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 4 gennaio 2009

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Sesto Vento: Un’Altra Degna Rabbia.

Buona sera.

Grazie Don Eduardo Almeida per farci da moderatore. È un onore averla con noi.

Dagli inizi della nostra sollevazione, ha richiamato la nostra attenzione la simpatia e l’appoggio che ricevevamo, e che fortunatamente continuiamo a ricevere, dai quattro settori della popolazione: dagli indigeni, le donne, ragazzi e ragazze, da omosessuali, lesbiche, transgenders, transessuali, principalmente, ma non solo, lavoratori e lavoratrici del sesso.

Da allora ci siamo sforzati di trovare le ragioni o i motivi che ci davano questo privilegio.

A poco a poco abbiamo capito, non so ancora se abbiamo indovinato, che è perché abbiamo in comune questo essere “altri”, “altre”, esclusi, perseguitati, discriminati, temuti.

Come se si fosse imposta una normalità o uno standard, con le sue classificazioni e caselle, e tutto quello che non entrava in quelle classificazioni fosse posto in un archivio sempre più grande, contrassegnato dall’etichetta “altro”.

Ovviamente queste classificazioni sono anche qualificazioni, e da queste ne esce una serie di codici culturali e modelli di comportamento ai quali ci si deve conformare.

Una specie di manuale di sopravvivenza che l’essere umano non riceve in blocco, ma lo assimila a dosi, la maggior parte delle volte, brutali, nel lungo o breve tragitto della sua maturazione, cioè, del suo addomesticamento.

Fate conto di vere un opuscolo di “Che fare in caso di…?”

E così, non scritti ma evidenti ed onnipresenti, ci sarebbero opuscoli per “Che fare di fronte ad un indigeno?”, o “Che fare di fronte ad una donna?”, o “Che fare di fronte ad una ragazza o un ragazzo?”, o “Che fare di fronte ad un omosessuale, una lesbica, un transgender o un transessuale?”.

Indubbiamente non sono un progetto editoriale, ma sono così diffusi che la loro pubblicazione renderebbe milionario chiunque. La raccolta si potrebbe chiamare “Essere una persona normale” e si potrebbe acquistare a fascicoli.

Si potrebbe pensare che ognuno di questi manuali di “educazione” o “sopravvivenza nella normalità” abbia le sue specificità, e le ha. Ma hanno anche delle cose in comune:

“Diffida!”, “Disprezza!”, “Discrimina!”, “Aggredisci!”, “Deridi!” sarebbero alcune di queste cose.

E tra le loro specificità potremmo trovare:

L’opuscolo “Che fare di fronte ad un indigeno?” potrebbe indicare in dettaglio, per esempio: “guarda dall’alto in basso, in modo che quella cosa che hai davanti sappia chi comanda e sappia che non siamo tutti uguali, sorridi bonariamente, racconta barzellette sul modo di parlare o di vestire di quella cosa. Il suo valore? Vale meno di un pollo”.

E quello “Che fare di fronte ad una donna?” potrebbe riportare: “Se sei uomo guardala come quello che è, un oggetto, una prostituta con padrone o ancora senza padrone. Se sei donna, fai la stessa cosa. Considerala per le sue possibilità di utilizzo sessuale, forza  lavoro o elemento decorativo. Aggrediscila. Se è bella, toccala, prendila, falla tua, o almeno tentaci, se è necessario l’uso della forza non dubitare, usalo. Che quell’oggetto che hai sappia chi comanda e sappia che non siamo tutti uguali”.

Non bisogna temere di dirlo; questo manuale è diffuso de è praticato con entusiasmo tra gli uomini o maschi che diciamo stare in basso e a sinistra. Tacerlo, nasconderlo, non ci esime dall’essere colpevoli né esorcizza il fantasma che a volte ci rende troppo simili a chi diciamo di combattere.

E l’opuscolo “Che fare di fronte ad una ragazza o un ragazzo?” potrebbe riportare: “In primo luogo pensa di trovarti di fronte ad un delinquente vero o potenziale. Oltre a brufoli e spille, questa cosa ha la tendenza naturale al vandalismo e alla violenza. Considera anche il vantaggio che hai nei calendari, qualcosa che la cosa dovrà capire. Non preoccuparti per la sua ribellione, gli sarà passata quando il calendario, con l’aiuto della polizia, farà il suo lavoro”.

E nell’opuscolo “Che fare di fronte ad un omosessuale, una lesbica, transgender o transessuale?” si potrebbe leggere: “Pensa di stare di fronte ad un criminale malato, quindi allontanati (non è accertato che la putería non sia contagiosa), se ne hai, tieni lontani i tuoi figli. In casi estremi ricorri al tuo confessore di fiducia (nota: in mancanza di questo, un membro del PAN, o di un qualsiasi partito di destra, può servire)”.

Diciamolo: non solo di fronte alle donne, ma anche di fronte alle diverse preferenze sessuali la sinistra è profondamente maschilista.

E gli zapatisti, le zapatiste?

Forse siamo uguali o peggiori. Nel migliore dei casi ci manca ancora molto.

Ma con l’impegno di imparare e, soprattutto, con gli spazi che ci offrono questi apprendistati e con le maestre, i maestri: voi.

Nei racconti che abbiamo diffuso in questi anni, abbiamo tentato di mostrare la nostra realtà, i nostri difetti e carenze, ma anche i nostri “modi” di cercare di superare gli uni e le altre.

Di fronte alle differenze sessuali è stato più facile. Forse perché arriviamo meno addomesticati.

In uno dei percorsi dell’Altra Campagna, abbiamo incontrato i compagni e le compagne della Brigada Callejera (che ci stavano insegnando, ancora senza saperlo, da molto tempo). Avevamo domandato loro del problema della chiocciola “@”. Questa è politicamente corretta, ma include solo il maschile ed il femminile, come se fosse l’unica opzione sessuale, manca l’altro. I compagni e le compagne della Brigada Callejera ci dissero che usavano “compañeric” o “compañerotic”, non ne sono molto sicuro.

Noi abbiamo cercato il nostro modo e siamo arrivati a questo che abbiamo chiamato “compañeroa”.

Bene, il primo racconto descrive l’incontro di Elías Contreras con la Magdalena. La Magdalena era una “compañeroa“. Chi crede che lei, o lui, sia un personaggio letterario si sbaglia. La Magdalena è esistita ed era reale, collocatela nel calendario e nella geografia zapatista, come è collocabile l’avvenimento in cui salvò la vita ad Elías Contreras un indigeno zapatista che si affacciò alla città con quella capacità di stupore e quell’impegno di capire che poche persone possiedono.

Per quanto riguarda le donne siamo ancora molto indietro. Un momento fa, nel pomeriggio, abbiamo ascoltato per voce della Comandante Hortensia i progressi ottenuti dalle donne in lotta.

Lei ha mancato di dire che li hanno ottenuti nonostante la nostra decisa opposizione. Se noi uomini non parliamo molto di questo è perché sarebbe un lungo e penoso resoconto di sconfitte.

Abbiamo molti problemi. Per esempio, nei nostri quartieri le condizioni igieniche non sono ottime, ed è frequente che tra le insurgentas si verifichino malattie come le infezioni alle vie urinarie. La Capitana di Sanità Elena non mi smentirà: si combatte molto per costringere i loro compagni maschi a curarsi, perché poi le infettano di nuovo.

E non solo. Combattiamo anche per l’uso del preservativo. Le nostre compagne insurgentas normalmente sono molto giovani ed hanno problemi di salute per l’uso di anticoncezionali. La pillola e gli altri metodi fanno loro male. Siccome sono molto giovani si insistite sui loro compagni maschi perché usino il preservativo. Ma, come comprenderete, è difficile accertare che questo avvenga, e non possiamo andare in ogni casa a vedere se lo stanno usando. Io ho proposto la mia “pedagogia del machete“, e li minaccio di fargli la vasectomia con la mia abilità chirurgica.

E ci manca ancora molto per quanto riguarda il rispetto della donna. C’è un aneddoto che vi voglio raccontare:

Qualche giorno fa eravamo riuniti dicendo che sarebbe venuta la Comandante Sandinista Mónica Baltodano. Una delle comandanti ha tirato fuori la frase che dicevano le donne sandiniste che dice “non si può fare la rivoluzione senza la partecipazione delle donne”. Io, scherzando, le dissi che tiravo fuori la frase che diceva “si può fare la rivoluzione nonostante le donne”. La comandante mi ha guardato dall’alto in basso e mi ha detto: “Grr, Sup, stiamo facendo una guerra di liberazione. Se ci stiamo mettendo tanto è per colpa di quegli stronzi di uomini”.

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 4 gennaio 2009

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/varios/1256

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 3 gennaio 2009

http://www.jornada.unam.mx/texto/009n1pol.htm

Calderón si appoggia ad una banda di narcos per fare guerra all’altra banda, dice

Il subcomandante Marcos denuncia che il crimine organizzato guida la forza dello Stato

“Gli zapatisti, contro la violenza che si scatena quando sono gli altri quelli che ci mettono i morti”

HERMANN BELLINHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 2 gennaio. Il subcomandante Marcos questa notte ha denunciato che in Messico “il crimine organizzato è quello che dirige la forza dello Stato”, benché si dica “che si usa la forza della violenza contro la criminalità”. Assicurando che il governo di Felipe Calderón Hinojosa “è un passo avanti” a livello internazionale nell’uso della violenza, ha sostenuto che “la sua guerra contro il narcotraffico” è un “sanguinoso fallimento.

“Nel nostro addolorato Messico chi è al primo posto nell’uso ed abuso dell’abusato termine ‘violenza’ sono Felipe Calderón Hinojosa ed i mezzi di comunicazione che lo accompagnano, che sono sempre di meno”, ha detto Marcos nella sua prima apparizione al Festival Mondiale della Degna Rabbia, convocato dall’EZLN.

“Il signor Calderón, affezionato ai giochi di strategia in tempo reale, ha deciso che invece di pane e circo, al popolo bisogna dare violenza”, ora che “il circo già lo fanno i politici professionisti ed il pane è molto caro”, ha proseguito nel suo discorso in cui ha criticato anche la violenza istituzionale del governo perredista a Città del Messico, e quella globale i cui attuali paladini sono Stati Uniti ed Israele contro il popolo palestinese.

“Calderón ha deciso di appoggiarsi ad una banda di narcotrafficanti per fare la guerra all’altra banda e, violando la Costituzione ha messo l’esercito a svolgere compiti di polizia, di pubblico ministero, giudice, carceriere ed esecutore. Che stia perdendo questa guerra lo sa chiunque non sia del suo gabinetto.” E “che la morte del suo partner fu un omicidio lo sanno tutti, anche se non si scrive”, ha aggiunto.

Il capo militare zapatista ha riflettuto ampiamente sulla violenza, i suoi usi e significati secondo il potere ed i suoi affiliati, e secondo quelli che stanno in basso. “Noi zapatisti non appoggiamo il pacifismo che si solleva affinché sia l’altro a porgere l’altra guancia, né la violenza che si scatena quando sono gli altri che ci mettono i morti”.

Ha accusato il governo “di sinistra” della Città del Messico di assassinare i giovani, “adolescenti la maggioranza”, nel silenzio “di un settore dell’intellighenzia progressista”.

Ha ammesso che “sarebbe ingenuo pensare che tutto il buono” che hanno fatto gli zapatisti (“compreso il privilegio di ascoltarvi ed imparare dalle vostre lotte”, ha detto ai presenti) sia stato possibile senza considerare che l’EZLN si è fatto conoscere come esercito armato. “Ci hanno conosciuto in guerra. In guerra siamo rimasti questi 15 anni. In guerra andremo avanti fino a che questo angolo del mondo chiamato Messico faccia suo il proprio destino senza trappole, senza finzioni, senza simulazioni”.

Questa mattina, il tenente colonnello Moisés aveva dato inizio alla fase finale del festival con un appello a “circondare e chiudere il passo al capitalismo che ora vuole circondare il mondo col suo denaro”.

Affollando completamente l’auditorium principale dell’Università della Terra-Cideci ed altri tre saloni con video a circuito chiuso, oggi sono arrivate qui più di 3 mila persone. Come hanno osservato molti presenti, il clima era entusiasta. Una rabbia allegra, per così dire.

“Stiamo qui per conoscere le diverse rabbie che sentono quelli che soffrono in ogni paese, in ogni città, nei luoghi dove ognuno lavora nelle fabbriche, scuole, terra comunale, ejido, colonia”, ha detto Moisés, responsabile zapatista dell’Altra Campagna internazionale (o Intergalattica).

Riuniti per conoscere “le diverse forme di rabbia contro il capitalismo neoliberista”, oltre agli invitati che parleranno o l’hanno già fatto, al festival partecipano 228 collettivi ed organizzazioni di 22 entità federative, ed altri 57 gruppi di 25 paesi.

Il comando militare zapatista ha sottolineato: “Degna deve essere la rabbia, perché, se non è così, ci vendiamo, arrendiamo e tentenniamo. Per questo è importante ascoltarci, conoscerci. Non siamo qui per sapere chi ci guiderà nel nuovo mondo che vogliamo, ma affinchè tutti insieme andiamo verso il cambiamento che vogliamo e che ognuno farà quel che deve per cambiare quello che non va al popolo povero”.

Questa riunione non è “per dimostrare chi è il più rivoluzionario”, ha proseguito Moisés. “Voi ci avete dimostrato che la vostra lotta prosegue e proseguirà, ed in questi giorni qui,  state per ascoltare le molte esperienze”.

La delegazione ribelle presente al tavolo, insieme a rappresentanti di movimenti sociali del Messico di questo e dell’altro lato, America del Sud ed Europa, era formata dalle comandanti Miriam, Hortencia e Florencia. Ma siccome “da parte dell’EZLN è sempre ricordata la compagna comandante Ramona, questa è presente a nome della comandante Susana“, ha detto Moisés.

Inoltre c’erano i comandanti David, Zebedeo, Tacho e Guillermo, la capitana insurgente Elena, la “compañera” Everilda, le bambine Toñita e Lupita e, al lato estremo del tavolo, il subcomandante insurgente Marcos.

A questi partecipanti si sommano 90 gruppi musicali, teatrali, di danza, burattinai, cantastorie e di poesia. Nella prima tappa del festival, realizzata a Città del Messico, si è avuta una partecipazione “fluttuante” di almeno 2.500 persone ogni giorno, ha detto Moisés. A San Cristóbal de las Casas il pubblico sembra più numeroso, e meno fluttuante.

Durante il giorno hanno preso la parola rappresentanti dell’Unione Nazionale delle Organizzazioni Politiche di Sinistra Indipendente (UNOPII) e l’Unione Nazionale delle Organizzazioni Sociali (Unios). Justicia para el Barrio, con un documentario, ha presentato l’esperienza dei “due volte profughi”: in Messico e poi negli Stati Uniti.

Il Comitato di Solidarietà con i Popoli del Chiapas in Lotta, di Parigi, ha ricordato con commozione i due grandi uomini che hanno lasciato un’impronta importante nello zapatismo del Chiapas: Amado Avendaño e Andrés Aubry.

Hugo Blanco, leggendario dirigente della Confederación Campesina del Perú, ha assicurato che “tutti i popolo nati da Abya Yala (l’America profonda) sono fratelli e non più solo per una vita giusta, ma per la salvezza del genere umano”.

Hanno anche partecipato i lavoratori disoccupati di Argentina, Ya Basta Italia e la Centrale Generale dei Lavoratori dello Stato Spagnolo. La rivista Alana, Grecia, ha fatto riferimento all’attuale esplosione sociale in più di 50 città del suo paese contro “i simboli della ricchezza e la forza della polizia”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La Jornada – Sabato 3 gennaio 2009

Los de Abajo

Gloria Muñoz Ramírez

http://www.jornada.unam.mx/texto/009o1pol.htm

15 ANNI

Piccoli e con tutto contro, degni, rivolti in avanti, liberi in mezzo alla precarietà, resistendo alla persecuzione esterna ed alle mille sfide interne, innalzando i sogni di migliaia di persone in tutto il mondo, i popoli zapatisti del Chiapas compiono i loro primi 15 anni di lotta ed organizzazione, mentre, lo stesso giorno, a poca distanza, una piccola isola dei Caraibi celebra mezzo secolo di rivoluzione. Niente di più ozioso che i paragoni di due casi storici irripetibili. Valga la coincidenza della data per risaltare la grandezza di due insurrezioni che continuano ad essere, benché per diversi motivi, ispirazione e speranza per il mondo che si oppone al capitalismo.

Le strade di Santiago, a est di Cuba, si riempiono di gente di tutto il pianeta. È mezzo secolo dall’entrata vittoriosa dell’esercito ribelle nella città e, come si dirà nell’atto commemorativo, ancora tutto rischia di crollare. Il popolo cubano si aggrappa ai suoi trionfi in salute, educazione, scienza, arte e sport. Quest’anno tre uragani hanno scosso l’isola e l’austerità si avverte ad ogni angolo, ma non c’è posto per la disperazione. E tanto meno nella città si Santiago, culla del son e del rum, tomba di José Martí ed origine di tutte le battaglie indipendentiste di questo paese.

Primo gennaio 1959. Un esercito trionfa a Cuba ed i suoi dirigenti prendono le redini del cambiamento. Primo gennaio 1994. Un esercito ribelle, uno molto altro, si alza in armi nel sudest messicano, dichiara guerra all’Esercito federale ed al governo messicano ed intraprende una strada diversa. Non si pone la presa del potere, ma la presa dei mezzi di produzione e l’esercizio di fare politica in altro modo, includente, dal basso, di sinistra ed anticapitalista.

L’ispirazione del trionfo cubano incoraggia, come in tutta l’America Latina, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), benché l’insurrezione maya costruisca abbondantemente la propria strada. Si sente un affetto molto speciale nelle comunità verso il popolo di Cuba. Nella Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona c’è un messaggio chiaro degli zapatisti: “E vogliamo dire al popolo di Cuba, che resiste da molti anni sulla sua strada, che non è solo e che non siamo d’accordo col blocco che subiscono e che vedremo il modo di mandare qualcosa, magari mais, per la loro resistenza”. La promessa zapatista si realizza ed un carico di mais parte dalla selva verso il porto di Veracruz, e da lì verso l’isola dei Caraibi. Poco si sa dell’accoglienza cubana, ma hanno ricevuto questa piccola dimostrazione di solidarietà dei più poveri che, come loro, non si fermano quando si tratta di fratelli ed offrono quello che hanno e perfino quello che non hanno. Congratulazioni.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO.

Secondo Vento: un degno e arrabbiato impegno.

Di regali e saluti (un po’ di storia ed isterie passate e presenti).

Prima abbiamo segnalato il trucco geografico che il Potere usa per collocare distanze inesistenti tra le sue forme di dominio, da una parte, e le resistenze che incontra, dall’altra.

Il Potere usa i calendari anche per neutralizzare i movimenti che attentano o hanno attentato alla sua essenza, alla sua esistenza o alla sua normalità.

Questo il motivo delle sue date commemorative. Con esse si fissa, si limita, si definisce e si arresta. Per ogni giorno del calendario che l’Alto ammette nella sua cronologia, avviene una presa di controllo sulla storia. In quei giorni si arrestano i movimenti, si danno per finiti in tutti i sensi. Non c’è l’Alto in questa calendarizzazione della storia, niente che renda conto dei processi e dei movimenti che dunque sono ridotti ad un giorno.

Quindi queste date si trasformano in statue. In Messico il 16 Settembre ed il 20 Novembre furono mummificati dagli inizi della lunga era priista. Ogni anno la combriccola di criminali di turno, cioè, nel governo, accorreva a monumenti e sfilate solo per assicurarsi che Miguel Hidalgo, José María Morelos, Vicente Guerrero, Francisco Villa ed Emiliano Zapata continuassero ad essere morti.

Nel calendario dell’alto non c’erano solo le sue date per esorcizzare morti scomodi, ce n’erano anche dove il controllo si corroborava, come i primi di maggio priisti in Messico.

Forse per questo, per rivendicare la sua profonda radice priista, il governo perredista di Città del Messico ha voluto ufficializzare il 2 Ottobre attraverso alcuni dei partecipanti, invecchiati nelle idee, al movimento studentesco del 1968. Come se così volessero prendere il controllo sulla gioventù capitolina degna e arrabbiata.

E sono quasi sicuro che, in ogni punto della variopinta geografia mondiale, il Potere ha eretto statue e punti di controllo nel suo calendario.

Ancora una volta dalla Grecia ci è giunta la parola per dirci che, per cercare di sbollire la rabbia in mobilitazione della gioventù, il governo ha anticipato il periodo di vacanze.

Ma il venticello liberista si è trasformato in uragano neoliberista ed è arrivata la globalizzazione. E con lei lo scricchiolare delle vecchie fondamenta delle classi politiche… e dei suoi usi e costumi.

In Messico il primo di maggio non è più stato lo stesso, cioè, un dilatato ringraziamento al-signor-presidente, da quando gli apparati di controllo sindacale si spaccarono ed i lavoratori trasformarono il corteo che doveva essere di carovane servili, in una marcia di rivendicazioni e proteste. Allora una bomba molotov esplose sui portoni del Palazzo Nazionale. L’anno nel calendario? 1984. Qualche mese dopo io avrei avuto una delle mie morti ed una delle mie nascite sulle montagne del sudest messicano.

L’intermittente sfida dei lavoratori della città, prima circoscritta alla sinistra, raggiunse allora le grandi centrali sindacali. Il grido tornò ad essere mormorio, è vero, ma è sempre latente. Un Fidel Velázquez morto molti anni prima di essere sepolto fu l’avviso per cercare nuove figure di controllo, ovvero, nuove cinghie di trasmissione affinché i disegni di quelli in alto si trasferissero dal dominante al dominato. E nacquero i neocharros, che non erano e né sono così nuovi. Se guardate un leader sindacale filogovernativo di adesso e la foto di uno di quei tempi, vi chiederete allarmati se le date non sono sbagliate.

L’apparato di controllo del Potere sui lavoratori delle campagne e delle città sembrava vivere nel ritratto di Dorian Grey (non so nemmeno se si scrive così) che, nonostante la sua decrepitezza, splendeva sempre magnifico, fresco, reale.

Ma lo specchio si ruppe e l’invecchiamento fu palese.

Quindi le nuove figure di controllo nelle campagne e nelle città, i neocharros del sindacalismo operaio e le centrali contadine, scoprirono che il loro compito non era più ammortizzare… scusate se dico una brutta parola, ammortizzare la lotta di classe fungendo da cuscinetto e amministratore delle istanze operaie e contadine (in Messico il sogno impossibile della UNT e Diálogo Nacional). No, ora si trattava di impiantare le nuove strategie e tattiche del capitalismo selvaggio nelle fabbriche, nel commercio e nelle banche, e nelle campagne. Su questo processo di riorganizzazione della forza lavoro non mi addentrerò oltre, ci sono vari ed eccellenti testi nel nostro paese che rendono conto di questo.

Nelle campagne il gioiello della corona neoliberista è stato la riforma reazionaria dell’articolo 27 della Costituzione, promossa dall’oggi assiduo scrittore di un periodico progressista e sempre un criminale: Carlos Salinas de Gortari.

Benché sempre con sogni di una grandezza che abbia il suo posto memorabile nel calendario degli omaggi, Carlos Salinas de Gortari non ha smesso di essere un impiegato delle forze del capitale internazionale, un amministratore che, in primo luogo, andò al potere con una frode elettorale scandalosa (anche se non tanto, se paragonata a quanto fatto da Felipe Calderón) e poi volle imporre a suoi subalterni, cioè, a suoi governati, un paese virtuale del primo mondo.

Ed ebbe successo… fino a che, un primo gennaio di 15 anni fa un fucile indigeno di legno ruppe lo schermo del suo monitor, la sua tastiera ed il suo mouse e, a giudicare dalle incoerenze che scrive ora, rovinò anche il suo hard disk. E da questo non lo salva nemmeno Bill Gates.

Il crimine della controriforma all’articolo 27 della Costituzione perpetrato con l’avallo legislativo di molti di coloro che oggi sono “paladini” della democrazia e “difensori” del popolo nelle file lopezobradoriste, si tradusse in queste terre indigene nella causa scatenante della crescita quantitativa e qualitativa, in elementi e territorio, di quello che ora il mondo conosce come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Ma di questo abbiamo già parlato.

Le forme e i modi di Salinas de Gortari e dell’impiegato delle multinazionali, Zedillo Ponce de León, somigliavano più a quelli dell’ignorante capo ufficio d’azienda che a quelli dello zelante direttore delle vendite, cosicché il capitale decise di provarne un altro, mediocre come i suoi predecessori, ma che aveva fatto carriera nella Coca Cola, un Vicente Fox che mostrava problemi mentali già in campagna elettorale e che attentò al calendario esorcizzante priista, portando l’usuale ignoranza della storia nazionale di cui fanno sfoggio i membri del Partito Azione Nazionale, alle festività patrie.

Fu così orribile lo svolgimento del suo ruolo di titolare dell’esecutivo, che il PAN e gli amici che lo sostenevano dovettero ricorrere ad un’enorme frode elettorale per disfarsi della presidenza di una Repubblica Messicana ormai agonizzante.

Il governo di Felipe Calderón recentemente ha lanciato una campagna mediatica in cui esorta la cittadinanza a segnalare quale sia lo strumento più inutile.

Noi zapatisti abbiamo la nostra proposta: le elezioni presidenziali sono lo strumento più inutile. Oltre ad essere costose ed al fatto che tutti dobbiamo sopportare le stupidaggini che dicono e ripetono i candidati, è solo un posto in cui si decide chi si siede sulla poltrona.

Ma se il Partito Azione Nazionale esibisce come bandiera la sua ignoranza storica, il movimento lopezobradorista innalza la sua convinzione isterica. Pubblicano la sua storia e quella di chi lo sostiene (poco tempo fa, in occasione della morte di Gustavo Iruegas, presunto incaricato dell’inesistente politica estera del “governo legittimo”, è stata scritta una sua breve biografia con alcune correzioni, perché non comparisse che fu membro della rappresentanza governativa del governo di Zedillo nel sabotato dialogo con l’EZLN, durante il quale disse la frase ormai divenuta un classico tra i media governativi: “Gli zapatisti bisogna picchiarli per farli dialogare” – forse solo così, mutilando la sua storia si può evitare che i seguaci sappiano bene chi sostengono e seguono. E grazie a questa mutilazione della sua storia possono ovviare al fatto che la grande maggioranza di quelli che guidavano il suo movimento si sono arresi e continuano a lasciare prendere per le gambe, politicamente parlando, dai presunti nemici.

Ci accusano di essere settari e intolleranti ma, la verità è che nessun movimento in Messico ha mostrato un tale livello di settarismo, intolleranza ed isterismo quanto quello che oggi, guidato da Andrés Manuel López Obrador, minaccia di salvare il Messico.

E l’isteria si trasforma in vera schizofrenia quando, guardandosi allo specchio, questi intellettuali dicono: “Realmente siamo gli unici a fare qualcosa per questo paese, non vediamo nessun altro”. E nelle loro manifestazioni e mobilitazioni si trovano e dicono: “Sentitemi bene, io credo che a questo movimento faccia molto bene la mia posizione. La mia sola presenza lo rende storico”. In realtà, è storico il numero di volte che questo movimento ha appioppato a quello che fa l’appellativo di “storico”.

Se questi vedovi e vedove del Palazzo Nazionale fanno tutto quello che fanno senza avere il potere federale, immaginatevi voi cosa farebbero se il personaggio fosse arrivato alla poltrona.

Infine, sia come sia, le forme, i modi, gli usi e costumi della classe politica messicana sono ormai in piena crisi. Benché continuino ad esserci specialisti per quella specialità della politica di professione. Ritorneremo su questo in seguito.

In tempi passati abbiamo visto come, con regali, il Potere di uno e dell’altro colore è riuscito ad addomesticare qualcuno di quelli che possono avere una posizione critica nei suoi confronti. Così neutralizzate (“Per dio! Come faccio a criticare chi mi ha dato questa medaglia e/o questo assegno?”) queste personalità, in altri tempi critiche del sistema e dei suoi governi, si trasformano dunque in semplici cinghie di trasmissione della verità di turno.

Prima, ottenere questo richiedeva un’ambasciata o almeno un consolato. Oggi non c’è bisogno di tanto, bastano alcuni corteggiamenti a cene e riunioni, un regalo a carico dell’erario, tagliare il nastro di qualche opera pubblica, alcune notizie giornalistiche, e zac!, ecco che abbiamo un nuovo portavoce dei due governi che attualmente subiamo in Messico.

I regali sono così seducenti per gli intellettuali che alcuni non resistono alla tentazione e, di fronte alla mancanza di ammiratori che glieli offrano, loro stessi si organizzano un omaggio, come ha fatto quell’altro cretino, presunto defraudatore dell’Università in cui lavora, che ispirato dall’alcool si prende il diritto di calunniare, criticare e dare ordini ai movimenti del Messico e del mondo, dalle comode pagine di un giornale e che per ottenere seguaci è arrivato al limite i definire “eroiche” ed “eroici” le “adelitas” e “adelitos” del movimento lopezobradorista in difesa del petrolio.

Ma le corporazioni non sono le uniche cinghie di trasmissione che si esauriscono. La mediazione e l’amministrazione non è solo economica. Lo Stato che ora agonizza ha creato anche i suoi mediatori e amministratori nell’arte e nella cultura, nella comunicazione, nella conoscenza. Primo li ha corteggiati con regali e lodi, poi li ha sedotti con premi e borse di studio, quindi li ha trasformati in suoi dipendenti affinché agissero come mediatori nei riguardi di coloro che, in questi ambiti, si rifiutavano e si rifiutano di farsi addomesticare.

Tutte le istituzioni incaricate della mediazione e della gestione sono già o entreranno in crisi. Il confine tra le bande si è talmente ristretto che bisogna scegliere per una di queste. Così abbiamo organizzazioni contadine amministratrici che ricorrono alla polizia ed ai giudici per reprimere e perseguire altri contadini senza terra; intellettuali e leader sociali che applaudono alla repressione della polizia contro i blocchi che nel DF ed in appoggio ad Atenco realizzò l’Altra Campagna nel maggio del 2006, protetti da quella stessa polizia nel presidio lopezobradorista nel D.F. in agosto-settembre dello stesso anno.

Quindi mettete al sicuro le vostre medaglie, depositate i vostri assegni e fate registrazioni video dei vostri regali, perché il mondo non è più il mondo, né il popolo è lo stesso.

Perché se non mi sbaglio, questo Festival è andato controcorrente rispetto a quei calendari. E ci sono, in questo altro percorso, altri calendari disegnati in basso.

Di questo anno 2009 c’è stato detto fino alla nausea che la globalizzazione è in crisi e che tutti ne pagheremo i costi. Succede così, in momenti di crisi il capitalismo diventa profondamente “democratico”.

Ma ci sono molte cose da festeggiare. Per esempio: i 25 anni di Botellita de Jeréz, i 10 anni dell’inizio del movimento studentesco che difese l’università pubblica e gratuita in Messico, le lezioni che impartiscono gli adolescenti di Grecia, gli insegnamenti dei disoccupati dell’Argentina, l’impegno per la giustizia delle altre e degli altri in suoli newyorkesi, la costanza ribelle nella Francia del basso, la speranza e la lotta della Bolivia indigena in quella bella lezione che ci ha fatto Óscar Oliveira, la pleiade di resistenze in America Latina dell quali ci ha dato conto don Raúl Zibechi, il salutare ed improrogabile compito di riscattare il mio Generale Sandino che rivendica la Comandante, per noi sandinista, Mónica Baltodano, i 50 anni di lezione di dignità che ci impartisce il popolo di Cuba.

Abbiamo parlato di come i regali domano ed addomesticano la critica d’opposizione e quanto sono vulnerabili a quei canti di sirena gli intellettuali ed i giornalisti.

Tuttavia, ce ne sono alcuni che resistono a questi regali con il loro ostinato essere coerenti.

E’ qui con noi il compagno Adolfo Gilly. Ed oso chiamarlo “compagno” non perché sia dell’EZLN o dell’Altra Campagna, ma per la sua lunga storia di lotta dalla parte di quelli che stanno in basso e a sinistra.

Noi zapatisti non facciamo omaggi se non ai nostri morti e non corteggiamo con cibi, premi e medaglie, né invitiamo a tagliare nastri di inaugurazione di secondi piani.

Semplicemente noi salutiamo.

Ed oggi vogliamo salutare questo uomo.

Lo abbiamo sempre considerato un uomo di sinistra coerente, anche se qualche volta, come per Okupache, non siamo stati d’accordo con le sue analisi o posizioni.

Lo salutiamo non solo perché nei tempi in cui l’isteria intellettuale del lopezobradorismo  ci ha attaccato e calunniato, lui è riuscito a farci sapere, a modo suo, che non solo non condivideva le denigrazioni che tanto allegramente si prodigavano a lanciarci contro là in alto, ma che vedeva gli stessi pericoli sui quali noi diamo l’allarme.

Non solo perché in qualcuno dei nostri quartieri si può trovare, rotto e sciupato, come sono i libri che si leggono più volte, il suo libro “La Rivoluzione Interrotta”, la cui introduzione alla prima edizione, scritta nella prigione di Lecumberri dove era detenuto politico, finisce così: “Oggi più che mai è vera la frase di Lenin nell’ultima pagina di “Stato e Rivoluzione”, quando l’ottobre del 1917 gli impedì di completare il suo scritto: “È più bello e proficuo vivere l’esperienza della rivoluzione, che scrivere di essa”.

Inoltre, e soprattutto, lo salutiamo per la sua vita, che è un modo di dire la sua lotta.

Salute, Don Adolfo. Tutto il bene dovunque vada, e dovunque sia sappia che ha un posto nel nostro cuore, cioè, nella nostra storia. Nonostante che proprio qui, alcuni compagni dell’Altra hanno fatto quello che non abbiamo fatto noi quando, sfidando tutte le critiche e le minacce che ci piovevano addosso, li abbiamo sostenuti nell’occupazione Okupache: ci hanno mancato del rispetto che si deve tra compagni. Noi non li rinneghiamo come compagni. E nemmeno rinneghiamo Don Adolfo Gilly come nostro compagno quale è.

E salute a tutte e tutti i ribelli che questo anno innalzeranno il loro degno e arrabbiato impegno.

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 3 gennaio 2009

P.S. – Sette Racconti per Nessuno.                              http://enlacezapatista.ezln.org.mx/varios/1229#Marcos

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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EZLN esorta all’organizzazione.

La Jornada – Venerdì 2 gennaio 2009

http://www.jornada.unam.mx/2009/01/02/index.php?section=politica&article=009n1pol

Il comandante David ha tenuto il discorso centrale per i tre primi lustri di resistenza

EZLN: IL MALGOVERNO HA DEDICATO 15 ANNI A COLPIRCI, NON A DARCI GIUSTIZIA

L’EZLN ha esortato ad organizzarsi, a sopravvivere, a sostenere la speranza ed a lottare contro il nemico comune

Hermann Bellinghausen

Oventic, Chis. 1º gennaio. “Gli zapatisti, i popoli indigeni che si sono preposti di lottare per un mondo migliore e più umano, sono sempre più perseguitati e colpiti in tutti gli aspetti dai malgovernanti del nostro paese, i potenti ed i partiti politici”, ha denunciato ieri il comandante David nel discorso centrale della celebrazione per i primi tre lustri dell’insurrezione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

“Per 15 anni abbiamo subito minacce, vessazioni, persecuzioni, attacchi militari e paramilitari. Il malgoverno, i partiti politici ed i loro alleati, benché sia gente povera, non cessano i loro attacchi in molte forme allo scopo di fermare l’avanzata della nostra lotta e distruggere la nostra base rappresentata da tutti i popoli in resistenza”.

Nel caracol Resistencia y rebeldía por la humanidad, e a nome del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN, i comandanti David e Javier, che parteciparono alla presa di San Cristóbal de lasCasas il 1°gennaio del 1994, hanno letto il messaggio ribelle (in castigliano e tzotzil, rispettivamente) davanti a circa 2 mila basi di appoggio zapatiste della zona Altos, ed a centinaia di collettivi ed individui nazionali e stranieri che partecipano al primo Festival Mondiale della Degna Rabbia che continuerà a partire da questo venerdì a San Cristóbal de las Casas.

“Il malgoverno per 15 anni ha fondato, finanziato ed addestrato i gruppi paramilitari in tutti i villaggi, che hanno il compito di provocare, minacciare e dividere le nostre comunità”, hanno denunciato i comandanti tzotziles. “Per indebolire e distruggere le nostre basi sociali, il malgoverno distribuisce elemosine attraverso i suoi programmi assistenziali alle famiglie affiliate ai partiti politici, col fine di accontentare, zittire e calmare la fame della povera gente”.

Ammettendo che “purtroppo ci sono fratelli indigeni che sono caduti nelle trappole del malgoverno credendo che con questo miglioreranno le loro condizioni di vita senza lottare”, il CCRI dell’EZLN ieri sera ha sostenuto che: “Gli zapatisti non si sono ribellati  in armi per chiedere le briciole o per farsi trattare da mendicanti. Noi lottiamo per una vera democrazia, libertà e giustizia per tutti, per il bene dell’umanità e contro il neoliberismo, per un altro mondo più giusto ed umano, dove stiano tutti quelli che abitano il nostro pianeta”.

Nonostante i successi zapatisti nella costruzione di governi propri nelle comunità, le parole “centrali” della festa, dove c’è stato anche ballo, sport e canzoni, hanno espresso un dolore che non cessa né si arrende: “I malgovernanti, i potenti, quelli che si considerano signori e padroni di tutto, si impegnano a saccheggiare le ricchezze dei nostri popoli, a distruggere la natura e a distruggere l’umanità”.

Ritenendo “necessario ed urgente che tutta la gente buona ed onesta” unisca le sue parole, lotte, resistenza e degna rabbia, gli zapatisti sostengono la speranza “che un altro mondo è possibile”. Hanno invitato i loro “fratelli compagni” ad organizzarsi, unirsi “ai loro popoli” contro un “nemico comune”, e cercare la forma ed i meccanismi per “unire e globalizzare” lotte, resistenze e ribellioni.

Questo “sarà possibile solo se ci proponiamo di camminare e lottare insieme senza che importino i tempi e le distanze”. L’EZLN ha richiamato a fare “forti e grandi” la lotta, la resistenza, la degna rabbia e la ribellione. Come “popoli originari di queste terre” avvertono che proseguiranno, resistendo “con dignità e ribellione ai colpi del malgoverno”.

In questi 15 anni non solo sono stati colpiti. “Abbiamo imparato a resistere e sopravvivere”. Questo, hanno ammesso, “è stato possibile anche grazie all’appoggio ed alla solidarietà di molti fratelli e sorelle del Messico e del mondo. Con sforzo e difficoltà abbiamo tentato di fare qualche passo, ma non è ancora sufficiente a risolvere i problemi e le grandi necessità dei nostri popoli”.

Con il tono autocritico tanto radicato tra gli indigeni zapatisti del Chiapas, i comandanti hanno detto che sebbene le autorità autonome “abbiano tentato di risolvere i problemi dei nostri popoli ed alcune delle loro molte necessità, gran parte dei nostri bisogni non hanno ancora soluzione; la fame, la miseria e le malattie continuano ad aumentare giorno per giorno”.

Nonostante gli inadempimenti ed inganni del governo, gli zapatisti annunciano che andranno avanti, “perché non tradiremo il sangue dei nostri caduti”.

Prima del discorso centrale della comandancia, hanno salutato le carovane del Messico e degli altri paesi i comandanti Domingo e Florencia, rendendo “grazie alla vita e a tutti quelli che ci hanno appoggiati durante questi 15 anni di guerra”, perché così restano “in vita e sul piede di lotta”.

Con una grande bandiera nazionale alle spalle, hanno presieduto la sobria e potente cerimonia decine di autorità autonome della regione, la giunta di buon governo (JBG) Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo, ed i diversi consigli municipali autonomi degli Altos. “Questa lotta è nostra, vostra e nostra”, ha dichiarato la JBG ai presenti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO.

Primo Vento: una degna gioventù arrabbiata

Buona sera.

Sintrófisa, síntrofe, Ekseyerméni Eláda. Emís, i pió mikrí, apó aftí ti goniá tu kósmu se jeretáme.

Déksu ton sevasmó mas ke ton zavmasmó mas giaftó pu skéftese ke kánis. Apó makriá mazménume apó séna. Efjaristúme.

(Spero di non aver detto qualcosa di sconvenienza, quello che volevo dire è “Compagna, compagno, Grecia ribelle. Noi, i più piccoli, da questo angolo del mondo ti salutiamo. Ricevi il nostro rispetto ed ammirazione per quello che pensi e fai. Da lontano impariamo da te. Grazie”.)

I

Delle violenze e di altre cose.

Da molto tempo il problema dei calendari e delle geografie ha svelato e scoperto il Potere. Negli uni e nelle altre si è visto (e si vedrà) come il suo brillante ingranaggio di dominazione si blocca e scompone. Per questo motivo bisogna fare molta attenzione a maneggiare le geografie ed i calendari.

Nelle geografie può sembrare più chiaro: nel suo rozzo trucco, che questo Festival ha scoperto, la Grecia è molto lontana dal Chiapas. E nelle scuole si insegna che il Messico è separato da un oceano dalla Francia, dai Paesi Baschi, dallo Stato Spagnolo, dall’Italia. E se guardiamo una mappa, possiamo notare che New York è molto a nord del Chiapas indigeno messicano. Qualcosa che qualche ora fa è stato confutato dalle compagne e compagni della Movimento Justicia para el Barrio. E l’Argentina è molto a sud di questa terra, cosa che ha sfidato il compagno di Solano che ha appena parlato.

Ma né sopra né sotto c’è questa separazione. La brutale globalizzazione neoliberista, la IV Guerra Mondiale come la chiamiamo noi zapatisti, ha messo i luoghi più distanti in simultaneità spaziale e temporale per il flusso di ricchezze… e per la loro appropriazione.

Non più i racconti fantasiosi sui presunti eroici scopritori-conquistatori che vincevano con la spada e la croce la debolezza di chi veniva “civilizzato”. Invece delle tre caravelle, una calcolatrice ad alta velocità. Invece di Hernán Cortés, un burattino fatto governo in ogni angolo del pianeta. Invece di spade e croci, un macchinario di distruzione di massa ed una cultura che ha in comune con il “fast food” non solo la sua onnipresenza (McDonalds, come dio, c’è ovunque), ma anche la sua difficile digestione ed il suo inesistente potere nutritivo.

Questa stessa globalizzazione fa sì che le bombe dei governi israeliano e nordamericano cadano su Gaza e nello stesso tempo scuotano il mondo intero.

Con la globalizzazione il mondo intero dell’alto è alla nostra portata… per meglio dire, ai nostri occhi ed alla nostra coscienza. Le bombe che assassinano civili palestinesi sono anche un’avvertenza che bisogna imparare ed assimilare. E la scarpata a Bush in Iraq può essere riprodotta in quasi qualsiasi angolo del pianeta.

E tutto passa dal culto dell’individuale. L’entusiasmo che ha risvegliato tra i benpensanti la scarpata a Bush (che evidenzia solo la pessima mira del giornalista) è plaudire un gesto coraggioso ma inutile e ininfluente per la cosa fondamentale, come settimane dopo dimostra l’appoggio del governo di Bush al crimine che il governo israeliano perpetra in territorio palestinese… e, perdonate se deludo qualcuno che ha acceso le candele ai piedi dell’immagine di Barack Obama, che il successore di Bush appoggia.

E mentre la scarsa mira in Iraq provoca applausi, l’insurrezione in Grecia provoca preoccupazioni: “C’è il pericolo”, allertano ed esorcizzano, “che la ribellione in Grecia si estenda al resto d’Europa”.

Abbiamo sentito e letto quello che ci comunica la gioventù ribelle greca della sua lotta e quello che affronta. La stessa cosa di coloro che in Italia si preparano a resistere alla forza del governo. E la lotta quotidiana de@ nostr@ compagn@ nel nord del nord.

Di fronte a questo tutti là in alto tirano fuori i loro dizionari e cercano la parola “violenza” e la contrappongono a “istituzionalità”. E senza darle contesto, cioè, posizione di classe, accusano, giudicano e condannano.

E ci dicono che è violenta la gioventù greca che fa bruciare la penisola ellenica. Chiaro che si corregge, si mutila, si cancella il fatto che la polizia ha assassinato un ragazzo.

In Messico, nella geografia segnata dalla città con lo stesso nome, un governo di sinistra istituzionale ha assassinato un gruppo di giovani, adolescenti in maggioranza. Un settore dell’intellighenzia progressista ha mantenuto un silenzio complice adducendo che questo è stato per distrarre l’attenzione pubblica, sembra presa nel carnevale in cui si è trasformata la presunta difesa del petrolio. La successiva aggressione sessuale alle giovani donne nei locali della polizia si è persa nel suono delle grancasse che annunciavano una consultazione che poi è stata un fallimento. Invece, non si è condannata la violenza della polizia che, contrariamente a quanto è stato detto, non ha agito in maniera disordinata. Questa polizia da anni è addestrata a reprimere, vessare ed abusare di giovani, venditori ambulanti, lavoratori e lavoratrici sessuali, di coloni e di tutto ciò che dissenta dal governo delle piste di ghiaccio, dei mega spettacoli in stile Fujimori e delle ricette per fare i biscotti. E non bisogna dimenticare che la dottrina che anima questa polizia è stata importata a Città del Messico dall’oggi presidente “legittimo” del Messico quando era capo di governo del DF.

A Città del Messico ed in Grecia i governi assassinano giovani.

Il tandem governativo Stati Uniti-Israele segna ora a Gaza il modello da seguire: è più efficace ucciderli quando sono bambini.

Già prima, in Messico, nel presente calendario saranno ormai 10 anni, giovani studenti della UNAM crearono un movimento che fece impazzire la sinistra benpensante che, isterica come oggi, li calunniò e screditò con ferocia. Ed anche allora si disse che era un movimento violento per distrarre l’attenzione dalla grigia campagna elettorale del grigio candidato presidenziale del grigio partito della rivoluzione democratica. Ora, 10 anni dopo, bisognerebbe ricordare che la UNAM continua ad essere pubblica e gratuita grazie all’impegno di quegli uomini e donne, ragazze e ragazzi chi oggi salutiamo.

Nel nostro addolorato Messico chi è al primo posto nell’uso ed abuso dell’abusato termine ‘violenza’ sono Felipe Calderón Hinojosa ed i mezzi di comunicazione che lo accompagnano (che sono sempre meno). Il signor Calderón, appassionato di giochi elettronici di strategia in tempo reale (il suo gioco preferito, l’ha dichiarato lui, è “L’Epoca degli Imperi”), ha deciso che, al posto di pane e circo, al popolo si doveva dare sangue. Siccome il circo già lo fanno i politici di professione ed il pane è molto caro, Calderón ha deciso, appoggiando una banda di narcotrafficanti, di fare la guerra all’altra banda. Violando la Costituzione ha messo l’esercito a svolgere compiti di polizia, di pubblico ministero, giudice, carceriere ed esecutore. Che stia perdendo questa guerra lo sa chiunque non sia del suo gabinetto. E che la morte del suo partner fu un omicidio lo sanno tutti, anche se non si scrive.

E nella sua guerra, le forze del governo di Calderón hanno nel loro conto l’omicidio di persone che non c’entravano niente, di bambini e di non nati.

Con Calderón alla guida il governo del Messico è un passo avanti a quelli di Stati Uniti ed Israele: lui li uccide quando ancora stanno nel ventre materno.

Ma si è detto, ed ancora lo ripetono annunciatori ed editorialisti, che si sarebbe usata la forza dello Stato per combattere la violenza del crimine organizzato.

E ancora una volta si è visto che è il crimine organizzato a guidare la forza dello Stato.

Forse tutto questo si tratta di un intelligente stratagemma di Calderón ed il suo obiettivo è distrarre l’attenzione della gente. Occupato com’è il pubblico col sanguinoso fallimento della guerra contro il narcotraffico, può essere che non si renda conto del fallimento calderonista in politica economica.

Ma torniamo alle condanne della violenza che arrivano dall’alto.

C’è un’ingannevole trasmutazione, una falsa tautologia: dicono di condannare la violenza ma in realtà condannano l’azione.

Per loro, quelli in alto, il dissenso è un male del calendario o, quando sfida anche questo, una patologia cerebrale che si cura, secondo alcuni, con molta concentrazione mentale, mettendosi in armonia con l’universo e così tutti siamo esseri umani… o cittadini.

Per questi violenti pacifisti tutti sono esseri umani: lo è la giovane greca che alza il braccio con una molotov in mano ed il poliziotto che uccide gli Alexis che sono stati nel mondo e lo saranno; lo è il bambino palestinese che piange al funerali dei suoi fratelli morti per le bombe israeliane ed il pilota dell’aeroplano di combattimento con la stella di David sulla fusoliera; lo è il signor George W Bush ed il clandestino assassinato dalla Border Patrol in Arizona, Stati Uniti; lo è il miliardario Carlos Slim e la cameriera di un Sanborns che deve viaggiare 3 o 4 ore per andare al lavoro e se arriva tardi la licenziano; lo è il signor Calderón che si dice capo dell’Esecutivo federale messicano, ed il contadino privato della sua terra; lo è il signor López Obrador e gli indigeni assassinati in Chiapas che non ha visto né sentito; lo è il signor Peña Nieto, predatore dello Stato del Messico ed il contadino Ignacio Del Valle, del FPDT, arrestato per aver difeso i poveri; infine, lo sono gli uomini e le donne che hanno la ricchezza ed il potere, e le donne e gli uomini che non hanno nient’altro che la loro degna rabbia.

E là in alto chiedono ed esigono: “Bisogna dire no alla violenza, da qualcunque parte venga”… facendo attenzione a porre l’enfasi se la violenza viene dal basso.

Secondo loro tutti e tutte devono mettersi in armonia affinché si risolvano le loro differenze e contrapposizioni e gridino: “anche il popolo armato è sfruttato”, riferendosi a soldati e poliziotti.

La nostra posizione di zapatisti è chiara. Non appoggiamo il pacifismo che si solleva affinché sia un altro a porgere l’altra guancia, né la violenza che si scatena quando sono altri che ci mettono i morti.

Noi siamo come siamo, con tutto il bene ed il male che portiamo dietro e che è nostra responsabilità.

Ma sarebbe ingenuo pensare che tutto il buono che abbiamo fatto, compreso il privilegio di ascoltarvi ed imparare da voi, si sarebbe raggiunto senza la preparazione di un intero decennio affinché sorgesse il Primo Gennaio come sorse 15 anni fa.

Non è stato con una marcia o un documento dei qui-sotto-frmatari che ci siamo fatti conoscere. E’ stato con un esercito armato, con i combattimenti contro le forze federali, con la resistenza armata che ci siamo fatti conoscere dal mondo.

Ed i nostri compagni e compagne caduti, morti e scomparsi, lo sono stati in una guerra violenta che non è cominciata 15 anni fa, ma 500 anni fa, 200 anni fa, 100 anni fa.

Non sto facendo un’apologia della violenza, sto segnalando un fatto verificabile: in guerra ci hanno conosciuto, in guerra siamo rimasti questi 15 anni, in guerra proseguiremo fino a che questo angolo del mondo chiamato Messico faccia suo il proprio destino, senza trappole, senza finzioni, senza simulazioni.

Il Potere nella violenza ha una risorsa di dominazione, ma ce l’ha anche nell’arte e nella cultura, nella conoscenza, nell’informazione, nel sistema di giustizia, nell’educazione, nella politica istituzionale e, ovviamente, nell’economia.

Ogni lotta, ogni movimento, nelle sue particolari geografie e calendari, deve ricorrere a diverse forme di lotta. Non è l’unica e probabilmente non sarà la migliore, ma la violenza è una di queste.

È un bel gesto affrontare con i fiori le canne dei fucili, ci sono perfino fotografie che immortalano il gesto. Ma a volte è necessario fare che quei fucili cambino obiettivo e si dirigano verso l’alto.

L’accusatore e l’accusato.

Ci accusano di molte cose, è vero. E probabilmente siamo colpevoli di alcune, ma ora voglio soffermarmi su una:

Non abbiamo sparato all’orologio del tempo quel primo gennaio, né lo abbiamo trasformato in una festa nostalgica di sconfitta, come hanno fatto col 68 alcun@ di quella generazione in tutto il mondo, come hanno fatto in Messico con l’88 ed ora perfino col 2006. Su questo culto malaticcio per i calendari truccati tornerò poi.

Neppure abbiamo modificato la storia per rinominarla dicendo che siamo o fummo gli unici o i migliori, o entrambe le cose (che è ciò che fa quest’isteria di gruppo che è il movimento lopezobradorista, ma tornerò poi su questo).

C’è stato e c’è chi ci critica per non aver fatto il salto “nella realpolitik” quando i nostri buoni politici, cioè il nostro rating mediatico, offriva un buon prezzo per la nostra dignità sul mercato delle opzioni elettorali (non politiche).

Ci accusano, in concreto, di non aver ceduto alla seduzione del potere, ciò che è riuscita ad ottenere che gente molto brillante di sinistra dica e faccia cose che sarebbero una vergogna per chiunque.

Ci hanno anche accusato di “delirio” o “radicalismo” perché nella VI Dichiarazione denunciamo il sistema capitalista come la causa dei principali mali che angosciano l’umanità. Oggi non insistono più su questo, perché lo dicono perfino i portavoce del capitale finanziario di Wall Street.

Di sicuro, ora che tutto il mondo dice e ridice sulla crisi globale, bisognerebbe ricordare che già 13 anni fa, nel 1996, fu segnalata da uno scarabeo degno e rabbioso. Don Durito de La Lacandona, nella relazione più breve che ho ascoltato nella mia breve età, disse “il problema con la globalizzazione è che poi i globi esplodono”.

Ci accusano di non rintanarci nella sopravvivenza che, con sacrifici e l’appoggio di quelli in basso negli angoli del pianeta, abbiamo costruito in queste terre indie, e di non rinchiuderci in quello che le menti lucide (così si dicono) chiamano “il laboratorio zapatista” o “la comune della Lacandona”.

Ci accusano di venire fuori, sempre, per affrontare il Potere e cercare  altre, altri, voi, che lo affrontate senza false consolazioni né conformismi.

Ci accusano di essere sopravvissuti.

E non si riferiscono alla resistenza che 15 anni dopo ci permette di dire che continuiamo a lottare, non solo a vivere.

Quello che li disturba è che siamo sopravvissuti come altro riferimento della lotta, della riflessione critica, dell’etica politica.

Ci accusano, chi l’avrebbe detto, di non esserci arresi, di non esserci venduti, di non aver tentennato.

Ci accusano, insomma, di essere zapatisti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Oggi, 515 anni dopo, 200 anni dopo, 100 anni dopo, 25 anni dopo, 15 anni dopo, 5 anni dopo, 3 anni dopo, dichiariamo: siamo colpevoli.

E, dato che è il modo neozapatista, non solo lo confessiamo, ma lo celebriamo.

Non immaginavamo che questo avrebbe disturbato qualcuno che là in alto finge progressismo o si veste di una sinistra giallo scolorito o senza nemmeno colore, ma bisogna dirlo:

L’EZLN vive. Evviva l’EZLN!

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 2 gennaio 2009

P.S. – Sette Racconti per Nessuno.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/comision-sexta/1201#Marcos

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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