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La nuova Strada di Chamula.

28 settembre 2009 di Comitato Chiapas "Maribel" Bergamo

La Jornada – Lunedì 28 settembre 2009

La nuova Strada di Chamula

Hermann Bellinghausen

La nuova Strada di San Juan Chamula (non “a”), che aspira ad essere una strada a quattro corsie, un viale con arie di grandezza (in questo caso, quella dei cacicchi del posto) verso la una volta orgogliosa Ciudad Real nella valle di Jovel, è rivelatrice dei tempi che corrono. Il popolo chamula prende il suo nome da un insulto (come per “tarasco” o “chilango”) che è diventato segno di identità. Per il padrone coloniale, questi tzotziles delle montagne erano i muli che trasportavano merci e persone. Essendo gli immediati vicini della città creola dei cashlanes (meticci, non indigeni), furono gli schiavi, la manodopera a basso costo ed accessibile. La prima vittoria culturale dei chamula è relativa a questa condizione di inferiorità. Oggi la Ciudad Real porta il nome del vescovo cattolico Bartolomé de las Casas, l’ideologo, progressista per il suo tempo, che dimostrò alla corona spagnola che gli indios erano persone, “avevano un’anima”. Ciò nonostante, i “chamulitas” continuarono ad essere peones senza diritti, sottouomini. Gli anni e la naturale malizia insegnarono loro a trasformarsi in compari del padrone urbano. Non senza guerre, come quella del Pajarito. Il “chamula”, come definizione generale di “indio” negli Altos del Chiapas, è sempre risultato essere una minaccia per i cashlanes. Il regime post-rivoluzionario, che come tutto in Chiapas fu anomalo e patriarcale, sempre nelle mani di poche famiglie, seppe associarsi a questo ineludibile popolo. Il PRI, quello dei proprietari terrieri e degli accaparratori, lo trasformò in compare. Almeno i cacicchi…   La storia moderna di San Juan Chamula è intrisa di fondamentalismi “cattolici”, tragedie dell’intransigenza, e strumentalizzazioni politiche lubrificate con posh e Coca-Cola.  Ha reso possibili fortune personali, poteri politici o con licenze celestiali. I perseguitati evangelici del passato, oggi, fuori da Chamula, aono anche potenti, e molto chamulas. Poiché l’identità è una delle risorse di questo popolo di “uomini pipistrello”. San Juan Chamula continua ad essere territorio di povertà e disuguaglianze, di terre contese, di espulsione migratoria. I potenti, gli alleati del grande potere, sono pochi. Oggi, il capoluogo municipale è sorprendente. Risaltano come templi grandi costruzioni di tre e quattro piani, la volta di un grande mercato in costruzione, spacci di bibite e di materiali da costruzione. Lì e negli abitati ai bordi  delle strade che lo circondano verso Chenalhó, e verso Tenejapa, proliferano le case fastose dei nuovi ricchi che possiamo solo supporre, sono di colori sgargianti e con splendide finiture in ferro battuto. Il potere politico, sempre priista, il monopolio del commercio, ma legale, e diverse attività illegali (traffico di clandestini, droga o armi, per esempio) hanno favorito la nascita di una casta di ricchi. Una villa di colore giallo sgargiante, di due piani e numerose stanze, con archi, grate e parcheggio per diversi veicoli, vicina al capoluogo municipale, ostenta due grandi bandiere, una messicana ed una statunitense. La sua gratitudine avrà a che fare col dollaro, perché si sa che appartiene ad un fiorente pollero (trafficante di clandestini – N.d.T.).  È anche un popolo di saggi agricoltori, iloles (medici tradizionali – N.d.T.) e guaritori ancor più saggi, maestri, professionisti, carpentieri che forniscono mobili tutte le case di San Cristóbal, ed un’impressionante ed inspiegabile massa critica di giovani poeti nella lingua di questo popolo. Senza dubbio si tratta di un popolo di lavoratori, uomini e donne con notevoli capacità artigianali. Bisogna anche riconoscere che porta una storia di smisurata violenza interna, al di sopra della media: squadroni della morte, paramilitari, gruppi di scontro con armi di grosso calibro. È tra i chamulas “espulsi” che recluta i suoi migliori soldati l’Ejército de Dios, che si dice pacifico, di ispirazione evangelica e pratiche militariformi, e che ultimamente ha fatto molto parlare di sé. Gli investimenti governativi a Chamula sono stati abbondanti e molto spesso solo di facciata. Col pretesto del “piso firme” (campagna governativa per fornire di pavimentazione solida le case con pavimento in terra battuta – N.d.T.), mito dello sviluppo e della banca mondiale, “migliora” gli indici economici per i rapporti ufficiali ed i discorsi sul palco, in anni recenti si è generata un’inondazione di cemento, ferro e mattoni che ha trasformato in maniera orribile il paesaggio rurale chamula, senza cambiare le condizioni di miseria di decine di migliaia di contadini che ora dormono sul cemento, per la gioia delle statistiche e delle imprese di costruzione (alcune di chamulas, e la maggioranza delle città cashlanes). L’affare dello “sviluppo”. Attualmente si sta costruendo il boulevard chamula, indipendentemente dal fatto che serva, che aggraverà il collo di bottiglia per arrivare a Jovel e che, nel suo trionfale tragitto, si porterà dietro decine di case e proprietà, centinaia (forse migliaia) di alberi. Ma non viene dalla città, si dirige verso essa. Questo significa abbastanza cose. I coletos (abitanti di San Cristóbal discendenti dai conquistatori – N.d.T.) hanno di che preoccuparsi. http://www.jornada.unam.mx/2009/09/28/index.php?section=opinion&article=a12a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo )

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