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Archive for the ‘Senza Categoria’ Category

La Jornada – Lunedì 25 luglio 2011

Liberati gli ultimi campesinos ancora in carcere dei “cinque di Bachajón”

Hermann Bellinghausen. Inviato San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 luglio. Sabato scorso sono stati rilasciati gli ultimi quattro dei “cinque di Bachajón”, campesinos aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, in carcere da oltre cinque mesi nella prigione di Playas de Catazajá, accusati dell’omicidio di un ejidatario di Agua Azul (Tumbalá) e di presunti reati in relazione alle manifestazioni di protesta svolte sul luogo la prima settimana di febbraio.

Sebbene le accuse fossero risultate false, gli indigeni sono rimasti in prigione come “ostaggi” del governo, come ha ripetutamente sostenuto il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba).

Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro, che in diverse occasioni hanno denunciato maltrattamenti da parte delle autorità del Centro di Reinserimento Sociale No. 17, si trovano già nella loro comunità. Lo scorso 7 luglio era stato rilasciato Mariano Demeza Silvano, rinchiuso nel centro di reinserimento  minorile di Villa Crisol (Berriozábal).

Bisogna ricordare che questa persecuzione contro gli indigeni è avvenuta nel contesto di un conflitto a San Sebastián Bachajón per il possesso del botteghino di ingresso degli ejidatarios alle cascate di Agua Azul, importante attrazione turistica nella selva a nord dello stato. Il botteghino, installato dagli ejidatarios, era stato attaccato da militanti del PRI e del PVEM (Fondazione Colosio), che “hanno distrutto e rubato tutto quello che hanno trovato al loro passaggio”, e si sono appropriti con violenza del sito agli inizi di febbraio, con il sostegno dell’Esercito federale e della polizia che da allora rimangono acquartierati lì.

Durante gli scontri perse la vita Marcos García Moreno, del gruppo aggressore, e furono accusati quelli dell’Altra Campagna, “quando in realtà ‘l’ideologo” era il segretario generale del Governo”, dissero questi, denunciando l’aggressione come “il prodotto delle riunioni private” tra funzionari ed ejidatarios filogovernativi.

L’arresto degli indigeni, per diversi mesi ha dato origine a decine di azioni di protesta presso Consolati ed Ambasciate del Messico in Europa, Stati Uniti, Sudafrica, Australia ed Argentina, oltre a mobilitazioni in Chiapas ed in altre parti del paese. Sulla costa del Chiapas le proteste dell’Altra Campagna sono state soffocate con nuovi arresti, anche se per pochi giorni.

Il Movimento per la Giustizia del Barrio, di New York, che ha animato e diffuso queste proteste solidali ed ha giocato un ruolo determinante nella loro organizzazione, ieri sera ha confermato la liberazione dei contadini tzeltales, ed oggi l’ha fatto il Frayba, incaricato della loro difesa legale.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna hanno dichiarato che manterranno la resistenza e opposizione ai progetti turistici privati, così come la difesa della loro terra e territorio. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/25/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 24 luglio 2011

Gli indigeni chiapanechi reclamano la liberazione dei tzeltales di Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 23 luglio. Comunità indigene del selva nord del Chiapas reclamano la liberazione immediata ed incondizionata dei quattro tzeltales di San Sebastián Bachajón rinchiusi nella prigione di Playas de Catazajá per motivi politici, che la loro difesa ha definito “ostaggi dello Stato” per aver rivendicato i propri diritti territoriali ed essersi opposti ai progetti turistici as Agua Azul.

“Sono in carcere per aver fatto sentire la propria voce per reclamare quello che spetta loro, perché costruire l’autonomia in Messico è un reato. In Chiapas il malgoverno ha implementato una nuova strategia di contrainsurgencia mascherato da progetti che generano divisioni, violenza, minacce e persecuzioni contro gli attivisti sociali che difendono la madre terra”, affermano i tzeltales di Chilón e choles di Tila. Denunciano anche le condizioni carcerarie del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez, che sta perdendo definitivamente la vista.

Il governo, accusano, “è sempre di più interessato ai suoi progetti transnazionali e reprime la società con la presenza di polizia e militari, come se fosse una zona di guerra”. Sostengono che “(…) il botteghino di ingresso di Agua Azul è strapieno di militari; sarà perché al comandante delle forze armate avanzano soldati, o perché gli interessi vanno oltre le sue ambizioni, per militarizzare le zone dove la popolazione si oppone alla prostituzione delle sue terre”.

Denunciano che “per il malgoverno è un reato difendere quello che è dei nostri antenati; stiamo subendo molte ingiustizie, intimidazioni ed espropri violenti; ci sono molte ragioni per lottare”.

Raccontano: “Ai compagni di Tila sta togliendo le terre, subiscono persecuzioni da parte del municipio e dei paramilitari di Paz y Justicia manipolati dagli alti comandi della sfera politica”; per la loro opposizione “hanno ricevuto persecuzioni ed arresti il Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa e i difensori dei diritti umani, ed ai compagni di Mitzitón che si oppongono alla costruzione di un’autostrada, hanno paramilitarizzato la comunità per generare disordini”.

Dichiarano che “per il malgoverno questa è la sua guerra occulta, non contro la delinquenza ma contro coloro che reclamano giustizia con dignità”, e che “oggi più che mai è necessario prendere misure per fermare questa guerra e ricomporre il tessuto sociale e comunitario”. In “molte comunità autonome del Chiapas che si rifiutano di prostituire le proprie terre impera la violenza e l’insicurezza per la presenza della polizia “.

La situazione non migliora nelle comunità che “giorno dopo giorno sono popolate da veicoli del governo; quando si raggiunge un centro di salute l’unica cosa che si trova è il mal di testa per ottenere le ricette, non ci sono medicine ma, questo sì, dopo l’esproprio violento del botteghino a Bachajón, al governo è venuta l’idea da costruire un’altra clinica, solo per depistare dalla sua vera intenzione: l’avanzata dei i suoi progetti transnazionali”.

A sua volta, Patishtán Gómez, il prigioniero politico più vecchio dello stato, da più di dieci anni dietro le sbarre, e la cui innocenza è stata ben documentata, ha visto aggravarsi seriamente il suo stato di salute senza ricevere adeguata assistenza medica e si trova sul punto di restare cieco per un glaucoma e complicazioni diabetiche.

Patishtán Gómez, portavoce della Voz del Amate ed aderente all’Altra Campagna, rinchiuso nella prigione di San Cristóbal, ha dichiarato in un manoscritto: “I governanti parlano molto di rispetto dei diritti umani, mentre vediamo il grande numero di persone assassinate, scomparso ed imprigionate, senza protezione alcuna da parte delle autorità. A causa di queste violazioni proseguono le nostre reclusioni ingiuste e fabbricazione di reati”.

Il suo problema si colloca in questa “cornice di ingiustizia”, a causa della quale è stato accusato dell’omicidio di alcuni poliziotti durante un’imboscata a El Bosque nel 1998, accusa che non è mai stata dimostrata. Patishtán, rispettato docente che in prigione è diventato attivo difensore dei diritti umani, scrive: “Sono affetto da glaucoma in fase terminale con conseguente cecità, per cui chiedo al presidente Felipe Calderón Hinojosa la mia liberazione incondizionata; Juan Sabines Guerrero, governatore del Chiapas, ha già riconosciuto pubblicamente la mia innocenza”, come fece lo scomparso vescovo Samuel Ruiz.

I reati a suo carico sono di competenza federale, per cui è stato escluso dalla liberazione di oltre 40 prigionieri politici, molti dei quali dell’Altra Campagna, avvenuta dopo numerosi scioperi della fame durante la presente legislatura. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/24/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 23 luglio 2011

Ad Actela denunciano persecuzioni ed il taglio dell’energia elettrica

Hermann Bellinghausen. Inviato. Acteal, Chis., 22 luglio. Presto saranno 14 anni dal massacro compiuto qui, e l’organizzazione della società civile Las Abejas denuncia almeno tre attentati recenti contro l’auto del parroco di Chenalhó, Marcelo Pérez Pérez, che potevano costargli la vita. “È evidente l’intenzione di fare del male a padre Marcelo”, sostengono i tzotziles sopravvissuti di Acteal durante una cerimonia religiosa officiata dallo stesso sacerdote, anch’egli tzotzil e “impegnato per la verità e la giustizia”.

Durante la cerimonia per ricordare i 45 caduti il 22 dicembre 1997, Las Abejas, aderenti all’Altra Campagna, hanno denunciato la persecuzione della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) a Nuevo Yibeljoj. L’ente parastatale ha tagliato la luce a 10 famiglie dell’organizzazione in resistenza. La cosa dolorosa del fatto è che la CFE ne ha approfittato per mettere contro tra loro le famiglie indigene del villaggio.

“Siamo tutti fratelli nel condividere lo sfollamento del 1997 ed i molti anni di lotta”. Si dicono dispiaciuti che i membri dell’organizzazione oggi chiamata Las Abejas AC, staccatasi da Las Abejas e dalla resistenza per negoziare col governo statale, si siano prestati per attaccarci”.

Il ruolo della CFE è chiaro: “E’ quello che fa il governo e l’ha fatto con lo sfollamento ed il massacro di Acteal, comandare agli indigeni stessi di aggredire i loro fratelli. Ripetiamo che il pagamento della luce è solo un pretesto per attaccarci e creare conflitti ‘intercomunitari’, perché anche alcuni dei membri del gruppo che si fa chiamare ‘Las Abejas AC’, di Nuovo Yibeljoj, non pagano, perché vivono alla giornata come noi, ma a loro non hanno tagliato la luce”.

Giorni dopo, la notte del 13 luglio, un membro di Las Abejas filogovernative è andato a casa di José Alfredo Jiménez Pérez (dirigente di Las Abejas originali) “insultandolo, minacciandolo e prendendosi gioco della resistenza pacifica”. Questo clima di tensione è nuovo. Come ha detto un ragazzo che ha condotto la manifestazione di denuncia prima dellaa messa, “il governo vuole far rinascere la situazione del ’97 ed ingannare per distruggere il popolo”.

Gli indigeni ripetono che la loro resistenza è pacifica, e che i loro compagni di Nuevo Yibeljoj hanno partecipato all’installazione della linea elettrica nel villaggio dove sono tornati dopo il loro esodo. “Speriamo che gli ex compagni ci rispettino e non si lascino strumentalizzare dalla CFE e dal governo, poiché abbiamo sentito voci minacciose secondo le quali ai nostri compagni non permetteranno più di ricollegarsi alla rete.

Durante la cerimonia alla quale hanno partecipato un centinaio di indigeni, con la presenza di osservatori solidali di Messico, Stati Uniti, Stato spagnolo, Italia e Svezia (seguita da due per nulla dissimulate “spie” con cappellini da baseball ed auto ufficiale), Las Abejas hanno dichiarato: “Anche se il governo vuole umiliare la nostra lotta e resistenza, e benché il governo con la sua malvagità, attraverso programmi assistenziali, tenti di rompere il tessuto sociale delle nostre comunità, non permetteremo che questo accada, perché la nostra lotta è legata al cielo e alla terra, è sorella della saggezza della natura”.

Ricordano che il prossimo 12 agosto saranno due anni che la “Corte Suprema di Ingiustizia della Nazione”, ha ordinato la scarcerazione dei paramilitari “che hanno assassinato i nostri fratelli e sorelle di Acteal”. A motivo di ciò, hanno annunciato una protesta per quel giorno “per denunciare questa grave impunità e violazione del nostro diritto di conoscere la verità come sopravvissuti e familiari di quelli massacrati”.

Durante la cerimonia senza fretta, durata diverse ore alla maniera comunitaria indigena, dove ha pure cantato il Coro di Acteal con vera vocazione canora, Las Abejas hanno dichiarato: “Mentre il governo di Juan Sabines Guerrero spende milioni di soldi del popolo per vantarsi delle sue grandi opere, come le città rurali, la realtà delle comunità del Chiapas è molto diversa da quello che ci vogliono far credere sui loro mezzi di comunicazione completamente controllati”.

Si riferiscono alle recenti aggressioni contro le comunità zapatiste dei caracoles di Oventic, La Garrucha e Morelia, ma non solo contro di esse “che da sempre sono critiche nei confronti del governo”. “Aggrediscono anche gli abitanti della città rurale Nuevo Juan de Grijalva, che per tradizione politica e religiosa sono poco critici nei riguardi del governo, e che si sono visti obbligati a protestare per le numerose mancanze e frodi presenti nella loro città rurale, e che per questo sono finiti in prigione”.

Sottolineano che “dietro la sofferenza dei nostri fratelli di Nuevo Juan de Grijalva c’è sempre la CFE, che si conferma il braccio armato del governo per i suoi piani di contrainsurgencia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/23/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 22 luglio 2011

Le comunità del Chiapas lamentano gli impegni disattesi del governo

Hermann Bellingahusen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 21 luglio. Nei giorni scorsi sono avvenuti, opuure si sono aggravati, una serie di episodi di repressione contro mobilitazioni e proteste indigene e contadine in diverse regioni della geografia chiapaneca che, nonostante le loro grandi differenze, hanno due cose in comune: sono gruppi che hanno negoziato col governo e partecipato ai suoi programmi sociali, e che ora reclamano (e vengono puniti per questo) gli inadempimenti degli impegni del governo. In altre parole, sono famiglie, comunità od organizzazioni che non sono in resistenza,ma piuttosto sono in stato di assistenza.

Si tratta di ricollocamenti concordati, alcuni consumati, che oggi naufragano. La Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (Limeddh), l’Osservatorio delle Prigioni (OPN) e Maderas del Pueblo del Sureste, presentando diversi casi che comprendono ormai un buon numero di arrestati, torturati e sfollati sia nel municipio di Ostuacán che a Frontera Comalapa, Salto de Agua, Jaltenango e Tecpatán, rilevano:

“Sono trascorsi più di tre anni dal disastro che ha cancellato la comunità Juan de Grijalva, e fino ad oggi, oltre ad offrire l’opportunità perfetta al governo di mettere in moto l’ambizioso progetto delle città rurali, più che risolvere i problemi della zona, si è creato lo scontro all’interno delle comunità colpite, la dispersione dei loro abitanti e la repressione dei movimenti sociali sorti in questo ambito, oltre a molte persone arrestate”.

Nel caso della città rurale Nuevo Juan de Grijalva, molti hanno dovuto abbandonare le proprie case perché sono inabitabili, ma non possono più tornare al loro domicilio originale nell’area conosciuta come El Tapón dopo le inondazioni del fiume Grijalva del novembre 2007, quando furono colpite decine di comunità; il governo non ha rispettato gli impegni presi con gli abitanti di La Herradura (Rómulo Calzada), ma ha già dato in concessione le loro terre ad imprese di Giappone e Stati Uniti per allevare pesce. “Chi ci restituirà quello che abbiamo perso? Il governo si era impegnato ma non ha rispettato la parola”, si lamenta il contadino Victorino González.

In questo tipo di casi si trovano alcune famiglie choles che sono stae sfollate sei volte, due dai Montes Azules, ed ora sono state sgomberare “da paramilitari”, dicono, di Las Conchitas (Salto de Agua), dove anni fa le aveva ricollocate il governo con una serie di promesse non mantenute, ed ora non hanno più nemmeno la propria case. Sono state espulse e le autorità non sono intervenute per proteggerle. Oggi sono accampate davanti alla cattedrale di San Cristóbal, sostenute dal Fronte Nazionale di Lotta per il Socialismo (FNLS), per chiedere giustizia.

Balza all’attenzione che, oltre alle proteste delle vittime, sono state represse anche mobilitazioni di appoggio da parte di organizzazioni come MOCRI-CNPA-MLN. Qualche settimana fa, a Tecpatán e Frontera Comalapa, questo appoggio è costato la prigione ad oltre 20 di loro. La metà, di Tecpatán, sono ancora in carcere ed in cattive condizioni. Alcuni sono stati torturati dai poliziotti, come Santos Saas Vázquez, di 60 anni, al quale hanno ustionato col fuoco entrambe le braccia e non ha ricevuto assistenza.

An Jaltenango, decine di famiglie da ricollocare spettano un alloggio e vivono da due anni in un accampamento di rifugiati in condizioni di insalubrità ed abbandono. La Villa Rural (variante delle città reclamizzate) Emiliano Zapata, concordata tra la OPEZ-MLN a Tecpatán ed il governo statale, e che è quasi conclusa, è abbandonata da quasi due anni perché mancano le condizioni di sicurezza, mentre i suoi potenziali abitanti vivono in condizioni insalubri. Nel frattempo la loro organizzazione si è rotta, ci sono dirigenti in prigione ed è in soseso il futuro dei quartieri Rubén Jaramillo, Genaro Vázquez, Nuevo Limoncito, Ricardo Flores Magón e Los Guayabos. Nelle loro proteste hanno occupato le sedi dell’ONU, a motivo “degli Obiettivi del Millennio”.

Tuttavia, tutti loro continuano ad aspettare che il governo “paghi il giusto”, mantenga le promesse e smetta di perseguirli penalmente. http://www.jornada.unam.mx/texto/020n1pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 21 luglio 2011

L’Altra Campagna chiede la fine delle minacce e dei saccheggi e denuncia la “crescente paramilitarizzazione” nei villaggi zapatisti

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 luglio. La minoranza filogovernativa di Jotolá, municipio di Chilón, ora sembra si sia affiliata all’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao), una novità. Le costanti aggressioni nella comunità tzeltal contro gli aderenti dell’Altra Campagna hanno  solo cambiato nome.

Visto nell’insieme dei fatti recenti nella regione, che colpiscono le comunità zapatiste, dell’Altra Campagna o perfino di altre organizzazioni, tutto indica che ci troviamo di fronte alla paramilitarizzazione (almeno di una strumentalizzazione contrainsurgente) dell’organizzazione dei coltivatori di caffè col pretesto di presunte dispute per le terre recuperate dagli zapatisti, cosa che annuncia anche l’imminenza della stagione elettorale in Chiapas.

Da parte sua, facendo eco alle nuove denunce delle giunte di buon governo (JBG) di Oventic, Morelia e La Garrucha, la Rete contro la Repressione e per la Solidarietà si è pronunciata contro fatti come quelli accaduti a Nuevo Paraíso, municipio autonomo Francisco Villa, “dove membri della Orcao hanno occupato violentemente le terre delle basi di appoggio zapatiste”. Come denunciato dalla JBG El Camino del futuro “l’azione della Orcao è dettata dai suoi legami con i tre livelli di governo”.

Non sono fatti isolati. Recentemente la JBG di Oventic ha denunciato che le basi di appoggio dell’EZLN a San Marcos Avilés (Sitalá) “vivono una situazione di forte tensione e paura per le aggressioni e le minacce della gente dei partiti e per la presenza di pattuglie di polizia”.

Questo, mentre la JBG di Morelia ha denunciato che elementi della Orcao “hanno sequestrato e torturato basi zapatiste del municipio autonomo Lucio Cabañas”.

Questo modo di “camuffare il saccheggio del territorio” da parte del governo, “utilizzando l’intervento di gruppi di stampo paramilitare o di scontro, è una strategia di contrainsurgencia elaborata da istanze governative. E’ chiaro che l’esproprio della terra è l’attuale arma che dà accesso ai loro piani economici, ma non solo, è anche il modo attraverso il quale vogliono lacerare un popolo in resistenza, annichilire la sua cultura e distruggerne l’autonomia”.

Citando la JBG di Oventic (primo luglio), la Rete avverte: “Che non pensino di fermare con le provocazioni, le minacce, le aggressioni e le persecuzioni la lotta dei popoli zapatisti per la costruzione della propria autonomia e per la liberazione nazionale. Costi quel che ci costi, succeda quel che succeda, noi andremo avanti perché è nostro diritto”.

Ricorda che tutte queste “terre sono state recuperate nel 1994 nel contesto della sollevazione dell’EZLN, e riassegnate alle famiglie originarie; né i politici corrotti ed i loro gruppi armati, né gli interessi finanziari ed i loro eserciti industriali hanno nessun diritto su di esse, la libertà in territorio zapatista non è quella del libero commercio, ma quella che costruiscono in forma comunitaria partendo dalla loro autonomia”.

L’organizzazione dell’Altra Campagna chiede la sospensione immediata delle minacce e degli espropri contro le basi zapatiste da parte dei tre livelli di governo e della Orcao.

Ma anche a Nuevo Jerusalén (Ocosingo) i coloni, questo martedì, hanno chiesto l’intervento delle autorità governative affinché “cessino le provocazioni” di elementi dellaOrcao, guidati da José Pérez Gómez e Nicolás Bautista Huet, “che hanno tentato di cacciarci dalle nostre case armati di machete, bastoni ed asce”. Precisano che delle 150 famiglie di Nuevo Jerusalén, vicino al sito archeologico di Toniná, solo 8 appartengono alla Orcao. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/21/politica/023n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 19 luglio 2011

I Consigli Autonomi Zapatisti ripristinano i cartelloni che segnalano Toniná come zona ribelle

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 18 luglio. I consigli municipali autonomi zapatisti di Francisco Gómez e San Manuel hanno ripristinato le insegne che identificano Toniná come territorio ribelle e terre recuperate dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Queste segnaletiche erano state rimosse da funzionari statali e dal presidente municipale di Ocosingo, Arturo Zúñiga Urbina, il 20 giugno scorso, alla vigilia di una visita del governatore dello stato al sito archeologico.

Con una semplice cerimonia alla quale hanno partecipato decine di basi di appoggio dell’EZLN delle comunità autonome circostanti: Javier López, San Juan la Palma, Maya Tzeltal e La Libertad, i rappresentanti autonomi questa domenica hanno ribadito che i proprietari dei poderi attigui alla piramide di Toniná sono le basi di appoggio ribelli e che i loro territori sono organizzati con la giunta di buon governo (JBG) di La Garrucha.

Prima dell’evento ufficiale che si sarebbe svolto il 21 giugno, a Toniná era arrivato Horacio Schroeder Bejarano quale inviato del governatore Juan Sabines Guerrero, insieme al sopracitato presidente municipale di Ocosingo. Volevano convincere Alfonso Cruz Espinosa e Benjamín Martínez Ruiz, basi zapatiste, a rimuovere le insegne che indicavano che si tratta di terreni autonomi. “Non le abbiamo messe noi, è stata la JBG, parlate con loro”, risposero.

Inoltre, gli zapatisti insistettero per il rispetto di un verbale di accordo firmato dallo stesso Schroeder e da altri funzionari tempo addietro, e di altri impegni presi dal governo.

Gli impegni, per il resto, riguardano solo il rispetto verso gli zapatisti, la loro legittimità ed i loro diritti (e non, come d’abitudine, promesse economiche, “aiuti” o regalie). Il sindaco Zúñiga si era impegnato a restituire una delle insegne del municipio autonomo Francisco Gómez, che si erano portati via gli impiegati municipali. Ma questo non è avvenuto.

L’azione dei consigli autonomi zapatisti avviene inoltre nel contesto di un presunto conflitto familiare, indotto dallo stesso governo statale, che ha messo Cruz Espinosa contro due sue sorelle che non risiedono nella proprietà ma se ne vogliono appropriare per consegnarlo al governo, il quale, per il resto, ha già cercato di appropriarsi di queste terre con diversi pretesti. Sono interessati a queste terre l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH), la Segreteria del Turismo e lo stesso presidente municipale di Ocosingo.

Ciò nonostante, nel 2009 le autorità governative finirono per riconoscere Cruz Espinosa proprietario legittimo.

La contabile Julissa Camacho Ramírez, direttrice del museo del sito, è stata molto attiva nell’alimentare il conflitto familiare, secondo gli zapatisti. “Ci ha sempre mancato di rispetto”, sottolineavano alcuni giorni fa.

Con questo argomento continuano a chiedere la destituzione di Camacho Ramírez, uno dei punti nell’incompiuto verbale di accordo firmato dai funzionari mesi fa.

Il sito di Toniná recentemente è balzato agli onori della cronaca quando lo scorso 6 luglio c’è stato il ritrovamento di due pezzi maya molto importanti del periodo Classico da parte dell’archeologo Juan Yadeum Ángulo e del sindaco di Ocosingo. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/19/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La PIRATA segnala la pubblicazione del nuovo opuscolo, in italiano:

“La Sesta Dichiarazione e nascita dell’Altra Campagna”

Una selezione delle parti dalla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN commentata da compagne e compagni aderenti all’Altra Campagna, in un’intervista realizzata in Chiapas. L’opuscolo ripercorre con parole semplici e colloquiali l’effetto della Sesta Dichiarazione sul movimento sociale in Messico e invita nuovamente a riflettere, in ogni latitudine, sulla costruzione di un movimento anticapitalista, dal basso e non elettorale.

I testi proposti sono una trascrizione e riedizione di questa intervista radio:
http://www.archive.org/details/StorieDistraordinarioMexico-terzaTappaLaOtraCampaa&reCache=1

LEGGI E SCARICA L’OPUSCOLO QUI:
http://www.archive.org/details/OpuscoloSestaDichiarazioneENascitaDellaltraCampagna

Questo libretto è prodotto da:
P.I.R.A.T.A. –
Piattaforma Internazionalista per la Resistenza e l’Autogestione Tessendo Autonomia

formata dai collettivi:

NOMADS (spazio pubblico autogestito XM24, Bologna),
NODO SOLIDALE (Roma e Messico),
COLLETTIVO ZAPATISTA MARISOL (Lugano).

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La Jornada – Mercoledì 13 luglio 2011

Denunciato il piano di costruire 74 multiproprietà in mezzo ai boschi

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 12 luglio. Gli abitanti della ranchería Huitepec Alcanfores, alle falde del monte Huitepec, vicino a questa città, denunciano la distruzione di un bosco e le pretese di trasformare la comunità in colonia urbana e costruire “74 multiproprietà” con il supporto dei governi municipale e statale. Di fronte al dissenso della popolazione, veicoli dell’Esercito federale e dei poliziotti statali e municipali, dal 3 luglio scorso, realizzano pattugliamenti

José Gómez Vázquez, agente ausiliare, a nome dell’assemblea comunitaria, ha dichiarato che non è stata mai chiesta agli abitanti l’autorizzazione al cambiamento d’uso del suolo. Indica come promotore del progetto Juan Manuel García Letona, nipote dell’ex governatore Manuel Velasco Suárez e cugino del senatore del PVEM Manuel Velasco Coello, aspirante alla governatura del Chiapas. Questa famiglia sancristobalense è già stata coinvolta in altri progetti che minacciano l’ambiente ormai molto deteriorato della valle di Jovel.

I contestatori di Huitepec Alcanfores denunciano l’ex agente municipale Alejandro Cabrera Cano, segretario tecnico nella presidenza municipale della perredista Cecilia Flores, come responsabile di queste azioni: “È una persona che si oppone sempre all’assemblea e si rifiuta di partecipare ai lavori della comunità”.

Cabrera Cano ostenta che “il governatore stesso gli ha consegnato la mappa urbana”, mentre l’impresario García Letona “è il diretto responsabile del disboscamento”. Gli abitanti il giorno 5 sono andati alla Procura Federale per la Protezione dell’Ambiente alla quale avevano già presentato una denuncia nel gennaio scorso, e la procura ha notificato loro che il caso “ormai era chiuso”. “Stanno proteggendo il cugino dal senatore Velasco Coello”, hanno dichiarato.

Gli abitanti sostengono che si tratta di ecocidio, perché si vuole distruggere una riserva. Nello stesso Huitepec, straordinario “monte di acqua” condiviso dai municipi di San Cristóbal de la Casas, Zinacantán e Chamula, ci sono due riserve naturali; una privata di competenza di Pronatura, ed un’altra autonoma a Huitepec Ocotal Segunda Sección, di competenza della giunta di buon governo di Oventic e gestita dale basi zapatiste dal 2007.

Huitepec è uno più dei luoghi più feriti della natura chiapaneca. E per qualcosa di peggio dello sviluppo turistico, della voracità immobiliare e dello sfruttamento delle sue risorse idriche. Esistono ormai centri abitanti ai suoi pendii, comprese alcune delle residenze più grandi e fastose di San Cristobal, ma continua ad essere un ricco insieme di boschi umidi e dimora di sette comunità tzotziles dedite all’agricoltura, sulle quali la pressione è continua affinché cedano le loro risorse.

Oltre alla crescita immobiliare, il Huitepec è minacciato dall’industria della sete. La Coca Cola ha un impianto alle sue falde, e così un’industria di imbottigliamento di acqua, ed in maniera alquanto simbolica la Pepsi Cola ha installato un grande deposito esattamente a Huitepec Alcanfores.

I pattugliamenti federali sono proseguiti. “Salgono alla ranchería senza avvisare l’agenzia municipale”, dice l’agente ausiliare: “L’Esercito deve avvisarci. Qui non ci sono armi, droga, né delinquenti. È una comunità pacifica che conserva usi e costumi e merita rispetto. Qui ci occupiamo gli uni degoli altri”. Deplora che i soldati e la polizia accorrano subito alle chiamate di Cabrera Cano, mentre alla comunità non soddisfino le loro richieste. Il funzionario Cabrera Cano sostiene che la sua famiglia “è in pericolo”, ma “noi non gli abbiamo mai mancato di rispetto; è lui ad essere in torto con la comunità”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/13/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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La Jornada – Martedì 12 luglio 2011

A causa delle insegne zapatiste è stata cancellata la visita del presidente a Toniná

Herman Bellinghausen. Inviato.Toniná, Chis., 11 luglio. Le rinnovate pressioni sulle basi di appoggio dell’EZLN nell’area di Toniná, iniziate nel febbraio scorso e denunciate in due occasioni dalla giunta di buon governo del caracol di La Garrucha (La Jornada, 26 maggio e 11 luglio) coincidono puntualmente col lancio del nuovo grande progetto turistico del governo federale: Mundo Maya 2012, annunciato dal presidente Felipe Calderón nel Museo di Antropologia il 21 giugno.

L’intenzione iniziale del governo federale era annunciare l’avvio del programma turistico nella spianata di Toniná, ma quando la squadra logistica di Los Pinos è venuta sul posto alla vigilia dell’evento ed ha visto le bandiere rosso-nere che segnalavano che questo è territorio autonomo zapatista (insegne per il resto abituali in tutte le regioni indigene, in particolare nella Selva Lacandona) ha deciso di cambiare la sede della cerimonia ed evitare che il presidente scendesse dal suo elicottero in territorio zapatista.

Domenica 20 giugno emissari del governo statale avevano rimosso le insegne, se ne sono portate via una ed hanno coperto con un “telo” un grande striscione con i volti di Emiliano Zapata, Che Guevara ed il subcomandante Marcos, che segnala che queste sono terre recuperate dall’EZLN, organizzate nel caracol de La Garrucha.

La mattina del giorno 21 è arrivato il governatore Juan Sabines Guerrero, accompagnato da un vistoso gruppo di lacandoni, e come i mandatari degli altri stati coinvolti, si è collegato via satellite con la cerimonia presidenziale a Città del Messico. Senza insegne.

L’ambizioso programma turistico ideato dalle autorità approfittando della moda mondiale della fine del mondo, secondo presunte “profezie maya”, datata per il 21 dicembre 2012, vuole attirare per i prossimi 18 mesi carrettate di turisti nazionali ed internazionali. Oltre alle infrastrutture, sono annunciati 500 eventi culturali in Campeche, Chiapas, Yucatán, Quintana Roo e Tabasco. L’allora delegato di Governo ed oggi segretario dei Trasporto, Horacio Schroeder Bejarano, ed il presidente municipale di Ocosingo, Arturo Zúñiga, si erano presentati a Toniná un giorno prima dell’annuncio presidenziale per fare pressioni su Alfonso Cruz Espinosa e Benjamín Martínez Ruiz, entrambi basi zapatiste, affinché togliessero le insegne menzionate. “Non le abbiamo messe noi, è stata la JBG, parlate con loro” aveva risposto Cruz Espinosa, citando il verbale di accordo firmato tempo addietri dallo stesso Schroeder e da altri funzionari.

Tra le richieste contenute in questo verbale che i funzionari dissero non poter rispettare in quel momento, ci sono il ritiro delle denunce formulate con prove false contro Cruz Espinosa, per le quali è aperto un procedimento giudiziario (che le autorità stesse hanno riconosciuto non avere alcun fondamento, ma senza ritirare le accuse), così come la destituzione della direttrice del museo del sito, Julieta Camacho Ramírez, “che da sempre fomenta la divisione” ed è stata molto attiva nei tentativi di strappare le terre al proprietario.

Zúñiga, di estrazione panista, e industriale “molto interessato all’affare turistico”, ha minacciato Cruz Espinosa di gravi ritorsioni se “non cambia atteggiamento”.

L’area di Toniná è sempre stata un’enclave “calda”. Qui si trova una grande base dell’Esercito, proprio di fronte alla comunità zapatista Nuevo Jerusalén. Ora, il governo sta completando la costruzione di una scuola primaria adiacente al complesso militare. Benché casi simili siano stati segnalati come inappropriati, mettere insieme scuole e quartieri militari è un basso stratagemma contrainsurgente nelle comunità indigene. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/12/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 11 luglio 2011

La JBG di La Garrucha annuncia che difenderà la zona archeologica di Toniná. Sostiene che queste terre appartengono alle basi di appoggio zapatiste

 

Hermann Bellinghausen. Toniná, Chis. 10 luglio. La giunta di buon governo (JBG) di La Garrucha ha dichiarato che difenderà le terre recuperate dall’EZLN dopo l’insurrezione del 1994, in riferimento specifico alla zona archeologica di Toniná che, per una considerevole porzione, appartiene legittimamente alle basi di appoggio zapatiste, come hanno riconosciuto nel 2009 le autorità dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) ed il governo statale, dopo averlo negato per anni.

Così, quando i visitatori arrivano a Toniná, alla periferia della città di Ocosingo, sono accolti da un grande striscione impermeabile che dichiara il “villaggio di Toniná” territorio zapatista del municipio autonomo Francisco Gómez. Benché la gestione del sito ed il suo museo siano a carico dell’INAH, il terreno circostante fino alla base della famosa piramide, è di proprietà legale di Alfonso Cruz Espinosa, ripetutamente riconosciuto dalla JBG di La Garrucha come base di appoggio zapatista da molti anni, mentre il governo ha tentato varie volte di imprigionarlo per togliergli il terreno.

Il 25 maggio scorso, la JBG denunciò una nuova persecuzione iniziata in febbraio dietro cui c’erano l’INAH ed il governo statale. Rilevava che dal 2009 il governo riconosceva che anche le terre attigue all’accampamento dell’INAH “sono di proprietà di Cruz Espinoza, il quale può disporre di esse senza contravvenire alle norme e regolamenti dell’istituto”, il quale a sua volta “dovrà rispettare i diritti del proprietario”.

In questo caso, il governo applica la stessa tattica contrainsurgente che sviluppa in altre comunità: mediante offerte e negoziazioni parallele con membri della famiglia Cruz Espinoza, torna a minacciare i diritti del legittimo proprietario che vive lì con la sua famiglia.

Ora, la JBG denuncia “energicamente” i governi federale, statale e municipale che “manipolano la signora María Socorro Espinoza Trujillo e le sue figlie Berenice e Dalia Maribel Cruz Espinoza; ‘convincendole’ a vendere la terra recuperata dalle basi dell’EZLN”.

Le autorità zapatiste della selva tzeltal avvertono: “Difenderemo la ricchezza naturale del nostro territorio, perché sappiamo che il governo vuole la terra per venderla ad un altro paese per fare grandi hotel. La JBG la difenderà perché è il patrimonio lasciato dai nostri antenati”. Il governo “offre terreni nei centri turistici ad altri paesi per fare grandi hotel, ristoranti e villaggi turistici a beneficio delle grandi multinazionali”.

Ciò nonostante, “questo patrimonio è del popolo del Messico, e non del governo che offre la terra ad altri paesi. Dunque, difenderemo la zona archeologica di Toninà e le altre ricchezze della madre natura”, sostiene la giunta zapatista.

In senso inverso, cresce la pressione governativa per lo sfruttamento turistico di siti archeologici, lagune, fiumi e tutto quello che ricade nell’ambizioso Programa Mundo Maya 2012. Con questo, l’alienazione e la privatizzazione di territori indigeni nella Selva Lacandona entrerebbe in una spirale incontenibile. Ecoturismo, geoturismo, turismo di avventura, sono il nuovo sogno milionario dei lacandoni di Nahá, Metzabok ed ovviamente Lacanjá. Sono anche un incubo per gli ejidos molto particolari come San Sebastián Bachajón (sul fiume Agua Azul) ed Emiliano Zapata (sulla Laguna di Miramar).

Non è un caso se presto la riserva dei Montes Azules sarà completamente circondata da una strada che aprirà “nuove frontiere” al saccheggio di territori indigeni a beneficio di investitori nazionali e stranieri. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/11/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 10 luglio 2011

Basi zapatiste denunciano saccheggi ed aggressioni compiuti dalla Orcao

Hermann Bellinghausen. Inviato San Cristóbal de las Casas, Chis., 9 luglio.  La giunta di buon governo (JBG) del caracol zapatista di La Garrucha ha denunciato il saccheggio di terre ed aggressioni da parte dell’Organizzazion Regionale dei Coltivatori di Caffé di Ocosingo (Orcao), contro le comunità Nuevo Paraíso e Nuevo Rosario, me municipi autonomi Francisco Villa e San Manuel, rispettivamente.

Secondo la JBG, “i malgoverni di Felipe Calderón, Juan Sabines Guerrero e del presidente municipale di Ocosingo, Arturo Zúñiga, hanno intensificato la campagna di contrainsurgencia manipolando i dirigenti della Orcao”, che a loro volta “manipolano le proprie basi per far scontrare tra loro i contadini, assegnando terre recuperate”.

Le denunce contro la Orcao quale strumento di contrainsurgencia, presentate dalla giunta zapatista El camino del futuro, nella selva tzeltal, si sommano alle denunce della JBG Arco iris de la esperanza, nel caracol di Morelia (22 e 24 giugno), che si riferiscono ad aggressioni e saccheggi nel municipio autonomo Lucio Cabañas.

A Nuevo Paraíso, un gruppo di persone dell’ejido Guadalupe Victoria, dal 3 marzo si è impossessato di terre recuperate dalle basi zapatiste, mentre un gruppo di Las Conchitas (Ocosingo) ed un altro dell’ejido Po’jcol (Chilón) “stanno seminando” nei poderi degli zapatisti. La JBG ha indagato sugli invasioni ed ha documentato che tutti sono membri della Orcao.

La JBG di La Garrucha “ha invitato i dirigenti di questa organizzazione a sgomberare pacificamente le terre recuperate”, ma si sono rifiutati di farlo. Così, per quattro mesi causarono “hanno provocato molti problemi” a Nuevo Paraíso.

Gli zapatisti elencano furti di piante di caffè, milpas, canne da zucchero, bestiame, filo di ferro ed alberi da parte di coloni di Guadalupe Victoria. Intanto, coloni di Po’jcol, “che sono sempre armati”, vendono ad un’impresa edile la ghiaia estratta illegalmente dalle terre recuperate. “Tutti questi fatti avvengono come se nulla fosse, ma la JBG aspetta una risposta da parte delle autorità della Orcao”.”

La giunta di La Garrucha accusa di queste azioni José Peñate Gómez, Osmar, Pedro López García, Marcos Hernández Morales, José Alfredo Peñate Gómez e Miguel Centeno Gutiérrez (Guadalupe Victoria), così come Adolfo Ruiz Gutiérrez, Domingo Gutiérrez Ruiz, Bersaín, Miguel e Baldemar Gutiérrez Gómez, Jerónimo, Andrés ed Eliseo Gutiérrez Pérez (Po’jcol), e Fidelino Gómez Morales, Carmelino Ruiz Guillén, Fidelino Gómez Lorenzo e Marcos Gómez Morales (Las Conchitas).

La JBG chiede che gli elementi della Orcao, “assistiti dai tre livelli di governo”, liberino le terre recuperate dopo il 1994. “Sono nostre e le difenderemo ad ogni costo”, sostiene. “Ne abbiamo abbastanza delle provocazioni”. La JGB chiede al presidente di Orcao, Antonio Juárez Cruz, “che la sua gente sgomberi la terra delle basi di appoggio di Nuevo Paraíso” e, agli invasori, che tolgano lamiere e legni “che hanno portato dalle loro terre”, e che restituiscano il legno rubato. “In caso contrario, se succederanno cose gravi, ne riterremo responsabili direttamente il governo e la dirigenza della Orcao”.

Un altro caso in cui i governi federale, statale e municipale “danno consulenza ai dirigenti di Orcao” per invadere le terre recuperate dall’EZLN, è il villaggio Nuevo Rosario, nel municipio autonomo San Manuel. Lì gli invasori “stanno abbattendo molti alberi per vendere legna ad Ocosingo”. La JBG accusa la dirigenza dei produttori di caffè filogovernativi di affittare indebitamente la terra recuperata all’allevatore Alejandro Alcázar, di San Cristóbal de las Casas.

Questo ha provocato danni alle milpe del municipio zapatista San Manuel, a causa della distruzione del recintato per fare entrare il bestiame. Sono state colpite anche otto famiglie che non appartengono a nessuna organizzazione, abitanti dello stesso Nuevo Rosario. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/10/politica/019n1pol

Comunicato della JBG di La Garrucha

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 9 luglio 2011

Campesinos denunciano la persecuzione del governo del Chiapas per una presunta invasione di terre

Hermann Bellinghausen 

Rappresentanti delle comunità associate al Fronte Popolare Campesino Lucio Cabañas, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed all’Altra Campagna nella regione selva di confine, hanno denunciato a Las Margaritas, Chiapas, che secondo informazioni della stampa statale di giovedì, contro rappresentanti dell’organizzazione avrebbero spiccato, senza motivo, mandati di cattura. “Il malgoverno manda segnali intimidatori a coloro che si organizzano e lottano per difendere il diritto alla terra e al territorio come popoli indigeni. Respingiamo le accuse contro i rappresentanti del Fronte Lucio Cabañas”, accuse mosse per un’invasione di terre con cui non abbiamo niente a che vedere. Ricordano che il 30 maggio, Matilde Hernández Álvarez, Armando Luna Álvarez, Óscar ed Ernesto López García, quest’ultimo lavoratore del programma Chiapas Solidario, si sono impossessati di una fattoria privata sul tratto stradale Las Margaritas-Comitán, al lato della fattoria Nueva Aurora, ed hanno esposto uno striscione con scritto: “Podere recuperato dall’Organizzazione Campesina Lucio Cabañas”.  I rappresentanti del Fronte denunciano che queste persone non appartengono all’organizzazione. “Sono saccheggiatori che usano il nostro nome e si sono impossessati del terreno al fine di venderlo a lotti, ingannando la gente”.  Caralampio Pérez Aguilar, Eugenio Rodríguez Hernández e Marcelino Jiménez Sántiz, a nome del Fronte Lucio Cabañas, dichiarano: “Non vogliamo avere problemi, provocazioni né scontri tra fratelli indigeni, come abbiamo detto al malgoverno il 31 maggio con nostra denuncia protocollata il 2 giugno presso il sottosegretariato di Governo della regione Meseta comiteca-tojolabal”.  Non abbiamo invaso terreni e proseguiamo decisi la lotta. Sappiamo che è il malgoverno l’attore principale del problema, perché abbiamo fatto denunce pubbliche contro questi intrusi, tuttavia, continuano a dare adito a queste persone”.

In altro ordine, “ora i cinque di Bachajón sono quattro. Con la liberazione, giovedì, del giovane tzeltal Mariano Demeza Silvano, che era recluso nel Centro di Reinserimento Sociale Villa Crisol, municipio di Berriozábal, in prigione ora ci sono ancora Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro, che recentemente hanno denunciato maltrattamenti da parte delle autorità carcerarie di Playas de Catazajá. Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, comunità alla quale appartengono i detenuti, aderenti all’Altra Campagna, affermano che la liberazione di Demeza Silvano è “il primo frutto” delle mobilitazioni e manifestazioni a suo favore realizzate in diverse parti del mondo. “Benché non in totale libertà”, chiariscono, “il governo di Juan Sabines Guerrero lo ha scarcerato dopo cinque mesi di sequestro senza colpe”. Il giovane era “prigioniero politico, perché il suo unico reato è stato alzare la voce per difendere la sua terra e la sua autonomia”. Gli ejidatarios dell’Altra Campagna di San Sebastián ribadiscono “che ci sono ancora quattro compagni ingiustamente reclusi, che il malgoverno tiene in ostaggio per i suoi interessi neoliberali”. Chiedono alla società di continuare a chiedere la loro liberazione dal Centro di Reinserimento Sociale numero 17 di Playas de Catazajá. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/09/politica/024n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 8 luglio 2011

Difensori dei diritti umani denunciano persecuzione in Chiapas. Accusano il governo di voler arrestare il direttore del Centro Digna Ochoa

HERMANN BELLINGHAUSEN

Attivisti ed avvocati per i diritti umani in Chiapas denunciano persecuzione giudiziaria e reiterate minacce di arresto. Il Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa di Tonalá, Chiapas, ha dichiarato che “lo Stato messicano, ed in particolare il governo statale, utilizzano il sistema giudiziario per perseguire, minacciare, imprigionare i difensori dei diritti umani ed i loro familiari”. Tutto questo per informare della recrudescenza delle minacce contro i difensori nell’entità, in particolare verso Nataniel Hernández Núñez, direttore del Centro.

Intanto, a San Cristóbal de las Casas, questa settimana l’attivista Concepción Avendaño Villafuerte è stata citata dalla Procura Generale della Repubblica (PGR) in relazione ad una sua protesta di qualche mese fa durante la visita in città del presidente Felipe Calderón. A questo si aggiungono le minacce e le recenti accuse contro giornalisti di Tuxtla Gutiérrez e l’arresto durato settimane dell’avvocato della comunità Juan de Grijalva, nel municipio di Ostuacán, che alla fine è stato rilasciato.

Hernández Núñez, oltre ad avere a suo carico diversi procedimenti penali da febbraio e marzo, che potrebbero essere ripresi prossimamente, agenti della Procura si sono presentati a casa dei genitori dell’avvocato per consegnare citazioni di “procedura penale”.

Bersaín Hernández Zavala e Guadalupe Núñez Salazar, noti attivisti sociali da decenni, fondatori dello storico Frente Cívico Tonalteco, sarebbero indagati per aver partecipato alle proteste che si sono svolte il 2 marzo scorso dopo la liberazione del loro figlio Nataniel, arrestato dalla Polizia Federale. Il Centro Digna Ochoa esprime la sua preoccupazione per “la costante minaccia contro la famiglia del nostro direttore che in diverse occasioni è stato arrestato con accuse risultate poi false.

Da parte sua, il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, aderente all’Altra Campagna, ha annunciato il suo “completo sostengo” all’avvocato ed ai suoi genitori. “Fanno parte del consiglio e non sono soli, sono lavoratori ed attivisti sociali ben noti in tutto lo stato, e sono vicini ai popoli ed alla gente”. Aggiunge che Bersaín è malato, “e si è aggravato a causa della persecuzione da parte dei governi federale, statale e municipale”.

Da Tapachula, sulla costa, il Centro dei Diritti Umani Fray Matías de Córdova, che inicialmente ha sostenuto la difusa di Hernández Núñez e conoce bene il suo, i casi di altri due avvocati e di diversi membri del consiglio regionale arrestati a febbraio e marzo, ha dichiarato: “Per il contesto in cui sono state sollevate le accuse contro il compagno, l’arresto, l’incarceramento ed il processo, non è stato complicato constatare che capi della polizia, un agente del Pubblico Ministero, così come la responsabile per gli affari legali della Segreteria delle Comunicazioni e Trasporti, hanno utilizzato le istituzioni incaricate di applicare la giustizia per reprimere un difensore dei diritti umani”.

Il Fray Matías de Córdova descrive inconsistenze e contraddizioni delle indagini da parte dell’agente del Pubblico Ministero, Carlos Ruperto Sánchez: testimonianze estorte sotto minaccia o tortura, accuse contraddittorie o letteralmente identiche di diversi “testimoni”. Denunciare Hernández Núñez “era l’ordine” giudiziario. Tutto, nel contesto di una protesta del Consiglio Regionale il 22 febbraio, protesta che fu repressa.

L’analisi conclude che “sono state fabbricate ‘prove’ contro Nataniel Hernández”. Il pubblico ministero “ha usato accertamenti ad hoc per incolparlo dolosamente e cerca di sostenere una farsa giudiziaria per perseguire e punire, non già un reato, bensì un difensore dei diritti umani”. Secondo il centro di Tapachula, “una giustizia che persegue gli avvocati, che si basa su prove fabbricate, ordini e accuse d’ufficio, non è giustizia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/08/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 8 luglio 2011

Disposta la scarcerazione dell’attivista di Bachajón

Elio Henríquez. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 7 luglio. Il giudice María Guadalupe Flores Rocha, competente peri il carcere minorile Villa Crisol, ha disposto la libertà condizionata per Mariano Demeza Silvano, uno dei cinque aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, arrestati agli inizi del marzo scorso con l’accusa di omicidio, danneggiamenti ed attentato alla pace pubblica, dopo uno scontro con militanti priisti per la disputa del centro turistico delle Cascate di Agua Azul.

Rappresentanti del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) hanno comunicato che il minorenne, di 17 anni, sarebbe stato scarcerato giovedì per essere assegnato al Sistema per lo Sviluppo Integrale della Famiglia (DIF) municipale di Chilón per svolgere lavori a favore della comunità. (….) http://www.jornada.unam.mx/2011/07/08/politica/020n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 luglio 2011

Denunciati abusi sui detenuti e visitatori nel carcere di Catazajá, Chiapas

Hermann Bellinghausen

Decine di familiari di detenuti nel Centro Statale di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 17, di Playas de Catazajá, Chiapas, hanno denunciato maltrattamenti ed umiliazioni sessuali da parte delle autorità della prigione. Accusano il direttore, David Montero Montero, e chiedono l’intervento del segretario della Sicurezza e Protezione del Cittadino, generale maggiore di cavalleria Rogelio Hernández de la Mata, “sulla base di quanto dispone l’articolo 8 della nostra Carta Magna”.

Prima di passare all’interno del CERSS, “durante la perquisizione ci fanno spogliare completamente, mettendoci a gambe larghe, e ci portano via il cibo che portiamo per i nostri familiari”. Si dicono indignati per l’abuso di autorità del direttore, del personale di custodia e del giudice della prigione, David Arias Jiménez.

In una lettera al segretario ribadiscono “ogni abuso di autorità viene da Montero Montero, direttore del CERSS, dove sono reclusi i nostri familiari, questo funzionario pubblico, insieme al suo personale, ci riserva trattamenti che ledono i nostri diritti umani.

“Gli abusi non sono solo su noi visitatori, ma anche sui nostri familiari rinchiusi nel CERSS di Catazajá”, aggiungono. “Il direttore ha la sfacciataggine ed il cinismo di dire di eseguire ordini superiori, e di fare quello che vogliamo, tanto a lui non importa perché dice di avere molti amici influenti”.

I querelanti spiegano al segretario della Sicurezza chiapaneco che il curriculum di Montero Montero “non è per niente bello, poiché nei centri penitenziari in cui è stato ha agito sempre con abuso di autorità e prepotenza sia con i visitatori che con i detenuti”. Contro il direttore “ci sono molte denunce presso la Commissione Statale dei Diritti Umani, così come su stampa, radio e televisione, per questo chiediamo che si dia corso ad un’indagine approfondita contro questo ed altri funzionari pubblici”. Le famiglie offese chiedono la sua destituzione, perché “non solo commette abusi di autorità, ma molesta sessualmente noi visitatori”.

Chiedono l’intervento del generale Hernández de la Mata, “poiché i nostri familiari reclusi sono molto tesi per gli abusi di questi funzionari pubblici, e vogliamo che i nostri internati stiano bene e si evitino situazioni spiacevoli”.

In questo carcere, dal 3 febbraio scorso si trovano quattro dei cinque indigeni, aderenti dell’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón. Si tratta di Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro. Si considerano “prigionieri politici”, perché è dimostrato che sono innocenti delle accuse mosse contro di loro.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, incaricato della loro difesa, li ritiene “ostaggi” del governo statale, il quale vuole obbligare la comunità ad accettare i progetti turistici imposti nella regione delle cascate di Agua Azul. Inizialmente, il numero degli arrestati era di 117, la maggioranza fu quasi subito liberarta. Da febbraio ci sono state mobilitazioni e campagne internazionali per chiedere la liberazione dei “cinque di Bachajón”, contro i quali i maltrattamenti in carcere sono stati costanti, così come ai loro familiari. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/06/politica/018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 3 luglio 2011

Aumentano le minacce contro le basi di appoggio zapatiste. Si teme un’aggressione armata

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, 2 luglio. Le basi di appoggio dell’EZLN dell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Sitalá, si trovano in una situazione allarmante. Dopo mesi di minacce, aggressioni ed espropri da parte di gruppi vincolati ai tre partiti che condividono il potere istituzionale nella regione tzeltal, c’è ora il rischio di un’aggressione armata, perché gli aggressori si sono riforniti di pistole e fucili, molte armi fornite da Ernesto López Núñez, ex poliziotto del vicino municipio di Chilón.

La giunta di buon governo (JBG) Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo, del caracol di Oventic, ha diffuso una denuncia dettagliata della situazione a San Marcos. Dall’anno scorso, segnala, i “nostri compagni vivono una situazione molto difficile a causa di persone dei diversi partiti politici e di autorità della comunità stessa”.

Le minacce di morte, le vessazioni, gli espropri di terre coltivate e gli sgomberi sono cominciati l’anno scorso, “per il fatto di aver dato avvio alla scuola autonoma nel villaggio”. Nel 2010 era stato fermato uno zapatista “ed obbligato a firmare un documento per uscire dall’organizzazione; il nostro compagno si rifiutò ma ricevette minacce e insulti”. Dissero che avrebbero preso le terre degli zapatisti.

Il 24 e 25 agosto si presero delle terre “che erano state comperate più di 10 anni fa”. Sottrassero agli zapatisti 31 ettari, in diversi posti dell’ejido stesso, con 5.850 piante di caffè, 10 ettari di milpa, fagioli, bestiame, sei cavalli e tre case”. Il 9 settembre gli zapatisti furono cacciati e dopo essere rimasti 33 giorni in montagna, il 12 ottobre tornarono. Le loro case, i loro beni e le loro coltivazioni erano stati saccheggiati e distrutti.

Il 2 gennaio, le autorità ufficiali di San Marcos volevano obbligare gli zapatisti in resistenza a pagare l’imposta sull’elettricità minacciandoli di cacciarli nuovamente. L’8 febbraio le autorità dei diversi partiti volevano fargli pagare il podere.

Il 13 febbraio, l’ex poliziotto López Núñez reclamò infondatamente come suo un terreno delle basi dell’EZLN. A partire da quella data le persone dei partiti PRI, PRD e PVEM hanno cominciato ad affittare il terreno a persone degli ejidos Tzajalá e Progreso, oltre ad 8 ettari che appartengono per diritto ejidale agli zapatisti. Il 17 febbraio le autorità ufficiali hanno cercato di pagare l’imposta del terreno “all’Agenzia del Fisco di Chilón, e lì hanno chiesto loro un documento firmato dagli zapatisti dove si diceva che questi ultimi non avrebbero pagato”. Ma i filogovernativi hanno raccolto i soldi per pagare allo scopo di appropriarsi dei terreni delle basi zapatiste”.

Il 25 febbraio gli zapatisti erano andati a lavorare nelle loro piantagioni di caffè mentre 30 dei loro aggressori si riunivano per prendere accordi”, ed il giorno seguente “sono arrivati nella piantagione di caffè, armati e minacciando la JBG ed i nostri compagni”. Inoltre hanno messo in vendita la piantagione di caffè “a 14 mila pesos per ettaro, per comprare altre armi”.

Il 6 aprile nella comunità è stato installato un accampamento civile per la pace e subito gli osservatori sono stati minacciati. Dalla fine di marzo “gli aggressori hanno lavorato gli appezzamenti dei nostri compagni ed hanno abbattuto milpas, canne da zucchero, alberi, banani, piante di caffè”. Gli osservatori hanno documentato la presenza della Polizia Federale nella comunità in ripetute occasioni “col pretesto di controllare i due gruppi”.

Il 20 aprile ci sono stati degli spari mentre proseguivano le minacce e le occupazioni di terre zapatiste. Il gruppo armato di 30 aggressori dei diversi partiti si riuniscono continuamente per programmare azioni “contro gli internazionali e dicono di non aver paura di fare il necessario per disfarsi degli osservatori”. Tutti i lavori che realizzano le basi di appoggio zapatiste sono distrutti. Il 24 aprile, Abraham Kanté López, del PRI, ha detto agli zapatisti “che li avrebbe ammazzati” se raccoglievano legna o mais nel suo terreno. Il 25 aprile, il priísta Manuel Díaz Ruiz ha occupato una milpa di 5 ettari che appartiene ad uno zapatista.

La JBG conferma che gli aggressori hanno almeno una trentina di armi di vario calibro. Il 21 maggio, “alcune donne dei partiti politici hanno accusato di furto gli osservatori quando alcuni funzionari erano venuti a distribuire le briciole del malgoverno a Yokjá e questi ultimi sono stati assaltati da un gruppo di uomini mascherati”.

Il 22 maggio i dirigenti del gruppo aggressore José Cruz Hernández, Ernesto Méndez Gutiérrez, José Guadalupe Kante Gómez, Domingo Ruiz Pérez, Alejandro Núñez Ruiz e Genaro Vázquez Gómez “si erano riuniti, tutti armati, in una bottega sulla strada”. Lorenzo Ruiz Gómez, Carlos Ruiz Gómez ed Ernesto López Núñez sono andati a casa dello zapatista Lorenzo Velasco Mendoza, “e quando sua moglie li ha visti si è messa a gridare e chiamare Lorenzo” e gli aggressori sono fuggiti. “Il loro obiettivo era violentare la compagna e catturare gli osservatori”.

Il 3 giugno è stato bruciato il terreno di Sebastián Ruiz López. “Il loro piano era far accorrere le basi di appoggio per spegnere l’incendio e da lì incominciare uno scontro”, rivela la JBG. Lo stesso giorno, 20 uomini armati “hanno bloccato la strada”. Il giorno 5 i dirigenti dei partiti “hanno steso un verbale di accordo rivolto al capo militare di Ocosingo, Fernando Martínez, per chiedere l’intervento dei soldati”, perché loro “avevano già fatto tutto quanto possibile per farla finita dei compagni, ma non ci sono riusciti”. Quel giorno, i dirigenti degli aggressori sono andati a Sitalá e San Joaquín “per cercare delle persone che sono assassini per uccidere i nostri compagni”.

Il 13 giugno sono iniziati i pattugliamenti militari sulla strada che va a Tacuba. Il giorno 18, un gruppo di basi di appoggio è stato minacciato da Lorenzo Ruiz Gómez, originario di San Marcos e da Vicente Ruiz Pérez, di Tacuba Nueva. Il 25 giugno, all’1 di notte, gli aggressori armati hanno circondato la casa di Juan Velasco Aguilar. Il giorno 30 “si è presento un gruppo di delegati del governo dello stato a parlare col commissari”, ed hanno annunciato che sarebbero tornati sabato, non si sa a che scopo”.

Né le basi di appoggio né la JBG hanno risposto in maniera violenta “né con fatti né con parole, perché noi zapatisti siamo gente ragionevole e di sani principi e non vogliamo scontrarci coi nostri stessi fratelli indigeni, ma i cattivi governanti vogliono a tutti i costi che siamo nemici e che ci uccidiamo tra noi”, sostengono le autorità autonome. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/03/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 1 luglio 2011

Gli ejidatarios di Bachajón denunciano un tentativo di esproprio ad Alan Sac jun

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 giugno. Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno lanciato l’allarme su un tentativo di esproprio ad Alan Sac jun, che fa parte dell’ejido, da parte di gruppi filogovernativi. Nello stesso tempo, la comunità tzeltal denuncia abusi e trattamenti discriminatori delle autorità carcerarie a Playas de Catazajá nei confronti dei familiari progionieri politici della comunità (conosciuti come i cinque di Bachajón, anche se uno di loro si trova in un istituto di correzione ad Ocozocuautla).

Gli ejidatarios accusano di abusi e maltrattamenti David Montero Montero e David Arias Jiménez, direttore e sindaco, rispettivamente, del Centro Statale di Reinserimento (CERS) numero 17, a Playas de Catazajá, “e gli agenti penitenziari, poiché lo scorso 26 giugno un gruppo di familiari dei detenuti sono stati obbligati a mostrare le parti intime prima di far visita ai detenuti”. Gli agenti “non hanno rispettato l’integrità dei parenti, offendendoli verbalmente e fisicamente”.

Riferendosi direttamente al nuovo segretario esecutivo del Consiglio Statale per i Diritti Umani (CEDH), Diego Cadenas Gordillo (che è stato direttore del Frayba, e come tale difensore in varie occasioni degli ejidatarios dell’Altra Campagna di San Sebastián), si domandano dov’è la lealtà che ha giurato assumendo giorni fa questo incarico: “Al suo insediamento, ha giurato lealtà per il rispetto dei diritti umani, o per servire e coprire le malefatte del malgoverno? Perché la verità è che il governo mette un prezzo al rispetto di questi diritti”.

Gli ejidatarios esigono un trattamento giusto e rispettoso verso i parenti dei detenuti, perché quando accedono alla prigione “si sentono minacciati”. Chiedono che il governo “dimostri la volontà di rispettare i diritti umani, e non spenda soldi per comprare personale per il consiglio statale, un ente in più al servizio dell’ingiustizia e maschera del governo per realizzare atti discriminatori”. Ricordiamo che già nei mesi scorsi ci fu un diverbio tra questi indigeni ed i visitatori della CEDH.

Rispetto al conflitto ad Alan Sac jun, denunciano che Manuela Jiménez Pérez è minacciata di esproprio violento di un terreno recuperato dagli ejidatario nel 2009, dopo la sua alienazione fraudolenta dell’allora consigliere di vigilanza ejidale filogovernativo, Pascual Pérez Álvaro.

Melchorio Jiménez Gómez ed altri quattro abitanti di Alan Sac jun, annesso all’ejido stesso, “minacciano Manuela Jiménez Pérez” (attualmente nella comunità di Cacateel) “con l’intenzione di sottrarle un terreno che era stato recuperato dalle mani di Pérez Álvaro”, che aveva acquisito la proprietà “con risorse ricavate dalla sua mala gestione”, e che poi “è stato recuperato dagli aderenti dell’Altra Campagna”.

Attualmente, “in complicità col commissario, inappropriatamente chiamato di ‘unità per la pace sociale’ “, i sopracitati “vogliono impadronirsi con violenza” del terreno, e li ritengono  responsabili “di ogni eventuale aggressione fisica contro la signora Manuela ed i suoi familiari, poiché ci consta che il commissario filogovernativo ha realizzato riunioni private per pianificare l’esproprio, insieme a Melchorio Jiménez Gómez”, che nel 2009, nella veste di agente ausiliare del centro Alan Sac jun, “rilascio una prova di possesso delle terre” alla signora oggi minacciata.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna avvertono: “Non permetteremo questi abusi da parte delle autorità filogovernative. Se attueranno le loro minacce, agiremo come organizzazione per appoggiare la nostra compagna”. Riterranno responsabili i filogovernativi “di quello che potrà succedere in questi giorni nelle vicinanze del terreno”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/01/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 29 giugno 2011

Il Centro Fray Bartolomé de las Casas denuncia la responsabilità dello Stato per omissione, e lancia l’allarme sul rischio di sgombero forzato nel municipio chiapaneco di Chilón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 giugno. Le minacce di espulsione e di morte contro le basi di appoggio dell’EZLN nella comunità San Marcos Avilés, municipio di Chilón, denunciate lunedì, raggiungono proporzioni allarmanti per la seconda volta in meno di un anno. Il 9 settembre 2010, le famiglie zapatiste sono state sfollate per più di un mese dagli ejidatarios affiliati ai partiti politici PRI, PRD e PVEM. Gli stessi sono responsabili delle nuove aggressioni.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) denuncia “la responsabilità dello Stato per omissione” in queste aggressioni, “poiché le autorità non hanno agito per garantire l’integrità e la sicurezza delle basi zapatiste e l’accesso alla terra”. Questo, nonostante le denunce della giunta di buon governo (JBG) di Oventik ed i molti interventi inviati dallo stesso Frayba al governo del Chiapas.

L’organismo presieduto dal vescovo Raúl Vera, chiede la sospensione delle minacce di morte, della persecuzione e dei soprusi contro le basi di appoggio dell’EZLN da parte di elementi dei partiti politici dell’ejido, così come di proteggere e garantire la loro vita e sicurezza, “nel rispetto del loro processo autonomistico che da anni stanno costruendo nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli”, sancito dalla OIL, dall’ONU e firmato dallo Stato messicano.

Le 170 persone sfollate da San Marcos Avilés lo scorso settembre, hanno fatto ritorno il 12 ottobre. In quell’occasione, la JBG di Oventik accusò il governo statale di essere responsabile di qualsiasi nuova aggressione contro i loro compagni che erano, e sono, perseguitati perché praticano l’autonomia in maniera pacifica. Bisogna ricordare che le prime aggressioni sono avvenute nell’agosto scorso, quando gli zapatisti hanno costruito una scuola del sistema educativo ribelle autonomo zapatista.

Il 9 settembre, 30 persone dell’ejido, membri dei partiti citati, capeggiati dar Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, hanno fatto irruzione violentemente, con bastoni, machete ed armi, nelle case degli zapatisti, dove hanno tentato di violentare due donne che sono riuscite a fuggire. Per non rispondere all’aggressione, le basi zapatiste si erano rifugiate in montagna. Dopo 33 giorni di sfollamento forzato, senza cibo e protezioni, hanno fatto ritorno nelle proprie case.

Il Frayba documentò allora che le abitazioni degli sfollati erano state saccheggiate di tutti i loro beni, compresi i raccolti di mais e fagioli. Le coltivazioni e piantagioni di caffè ed alberi da frutta erano stati distrutti e gli animali da cortile rubati.

Da allora, il centro ha informato “molte volte” le autorità sulla situazione in San Marcos Avilés, “al fine di sollecitare il compimento del loro obbligo di garantire l’integrità e la sicurezza degli abitanti, e cercare una soluzione al conflitto”. Ciò nonostante, dal governo “non c’è mai stata risposta”.

Il 6 aprile di quest’anno nell’ejido è stato installato un accampamento civile per la pace i cui osservatori civili sono stati minacciati, cosa senza precedenti che illustra l’escalation delle aggressioni contro le basi zapatiste.

Non sono fatti isolati. Simili situazioni di vessazione da parte di gruppi di partito avvengono di continuo nei municipi autonomi zapatisti Lucio Cabañas e Comandanta Ramona, ed in ejidos di aderenti dell’Altra Campagna, come Jotolá e San Sebastián Bachajón, tutto questo nel municipio ufficiale di Chilón. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/29/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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COMITATO PER I DIRITTI UMANI DI BASE DEL CHIAPAS DIGNA OCHOA

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. 28 giugno 2011

AZIONE URGENTE: Vessazione, persecuzione e criminalizzazione da parte del Governo del Chiapas nei confronti dei giornalisti Ángeles Mariscal ed Isain Mandujano.

Sollecitiamo lo Stato Messicano a garantire il loro diritto alla libertà di stampa e di espressione, così come alla loro vita, integrità e sicurezza personale.

Il Comitato dei Diritti Umani del Chiapas Digna Ochoa è venuto a conoscenza attraverso una lettera pubblica firmata dai giornalisti Angeles Mariscal ed Isain Mandujano, delle minacce, persecuzioni, calunnie e pedinamenti di cui sono stati oggetto da parte di diverse autorità del governo del Chiapas.

Segnaliamo che questo clima di minaccia e criminalizzazione verso l’esercizio giornalistico e la difesa dei diritti umani è una costante nei quattro anni e mezzo dell’attuale Governo del Chiapas. Questo Comitato per i Diritti Umani esprime la sua preoccupazione per l’attuale clima di persecuzione poiché circolano voci secondo le quali il governo del Chiapas, attraverso la Procura, stia eseguendo decine di indagini per emettere mandati di cattura contro giornalisti e difensori dei diritti umani in Chiapas.

Per cui chiediamo di inviare lettere ed appelli ai seguenti indirizzi di posta elettronica, per chiedere quanto segue:

Che il governo del Chiapas operi nel rispetto del diritto alla Libertà di Espressione e del Diritto all’Informazione, sanciti dagli articoli 6 e 7 della Costituzione Politica Messicana; dagli Articoli 18 e 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; dagli Articoli 18 e 19 del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici; e dall’Articolo 13 della Convenzione Interamericana sui Diritti Umani.

La sospensione immediata di ogni azione di criminalizzazione, persecuzione, minacce e pressione esercitata contro giornalisti e comunicatori in Chiapas, così come contro tutti i difensori dei diritti umani. 

Che lo stato messicano adotti le misure pertinenti per garantire la vita, l’integrità e la sicurezza personale dei giornalisti Ángeles Mariscal, Isain Mandujano e dei loro familiari ed amici.

COMITATO PER I DIRITTI UMANI DI BASE DEL CHIAPAS DIGNA OCHOA

*****************************************************************

Testo proposto:

Indirizzi a cui inviare la mail:

felipe.calderon@presidencia.gob.mx, secretario@segob.gob.mx, upddh@segob.gob.mx,juansabines@chiapas.gob.mx, correo@cndh.org.mx , secretario@segob.gob.mx, ddhh.chiapas@gmail.com, isainmandujano@gmail.com

Felipe de Jesús Calderón Hinojosa, Presidente della Repubblica

Francisco Blake Mora, Segretario di Governo

Juan José Sabines Guerrero, Governatore dello Stato del Chiapas

Raúl Plascencia Villanueva, Presidente della CNDH

Navanethem Pillay, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umania

Sr. Ambeyi Ligabo, Relatore Speciale dell’ONU della Commissione per i Diritti Umani sulla promozione e protezione del Diritto alla Libertà di Opinione e di Espressione

Margaret Sekaggya, Relatore Particolare dell’ONU sui Difensori dei Diritti Umani

Santiago A. Cantón, Segretario Esecutivo della CIDH

Souhayr Belhassen, Presidente della FIDH

Ana Hurt, Programma Regionale per l’America, Segretariato Internazionale di Amnesty International

 

Paese, ……….   Data, ……………..

Solicitamos que el Estado Mexicano garantice el derecho a la libertad de prensa y de expresión, así como de la vida, integridad y seguridad personal a los periodistas Ángeles Mariscal e Isain Mandujano.

Que el gobierno de Chiapas se conduzca bajo el respeto al derecho a la Libertad de Expresión y del Derecho a la Información, consagrados tanto en los artículos 6º y 7º de nuestra Constitución Política; en los Arts. 18º y 19º de la Declaración Universal de los Derechos Humanos; como en los Arts. 18º y 19º del Pacto Internacional de Derechos Civiles y Políticos; y en el Art. 13º de la Convención Interamericana sobre Derechos Humanos.

Cese inmediato de toda acción de criminalización, hostigamiento, amenazas y presión, ejercida contra periodistas y comunicadores  en Chiapas, así como a todos los defensores de derechos humanos.

Que el estado mexicano tome las medidas pertinentes para garantizar la vida, la integridad y seguridad personal de los periodistas Ángeles Mariscal, Isain Mandujano, así como de sus familiares y amigos.

Firma

……………

I FATTI

I citati giornalisti denunciano: “contro di noi è stata lanciata una campagna mediatica, attraverso la radio pubblica governativa, sui media stampati e online, su web, blog e social network”.

“Amici che lavorano nell’apparato di governo in Chiapas, ci hanno detto che è stato ingaggiato un gruppo di giovani esperti in sistemi informatici la cui missione è smentire ed attaccare nelle questioni politiche, l’ex governatore predecessore di Sabines, giornalisti come il sottoscritto ed organizzazioni come il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, attraverso le reti sociali di internet”. Questo gruppo di esperti è stato condotto in Chiapas “con un contratto confidenziale e sotto la minaccia di gravi conseguenze se qualcuno dei suoi membri renderà pubblico il suo lavoro”

Raccontano che recentemente “Nella notte tra sabato 18 e domenica 19, è stato aggredito Fausto Jacobo Elnecavé Luttman in un esclusivo bar della città, che non ho mai conosciuto in vita mia”.

Isaín Mandujano denuncia che “Vogliono coinvolgermi in questa aggressione lasciando intendere che sarei l’autore intellettuale, perché segnala la Procura, gli aggressori avrebbero agito a mio nome. Ritengo questo una grossolana nuova azione per spaventarmi non avendo fino ad ora nessun altro elemento per censurare il mio lavoro. Mi dissocio da qualsiasi atto violento”.

“Come ho documentato personalmente, in Chiapas si abusa del potere, della forza pubblica, si piegano i giudici e si distorcono le leggi e ritengo che non esistoao le condizioni per svolgere un giornalismo dove sia garantita la mia sicurezza e principalmente quella della mia famiglia esposta ad elevato rischio di aggressioni.”

” Il mio blog e la mia presenza nei social network disturbano i promotori della “bella immagine” del governo del Chiapas. Per cui non escludiamo che vogliano implicarci in altre denunce o false accuse. Sappiamo che in Chiapas dall’apparato pubblico si cospira contro quello che ritengono attenti contro i loro interessi.”

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La Jornada – Martedì 28 giugno 2011

Minacciate basi di appoggio dell’EZLN

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 27 giugno. Nell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Chilón, le basi di appoggio dell’EZLN sono minacciate di morte, perseguitate ed a rischio di sgombero forzato, ha comunicato questa notte il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba). Gli aggressori sono abitanti dello stesso ejido affiliati a PRI, PRD e PVEM.

Il Frayba ha allertato “sull’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza personale che subiscono le basi zapatiste di San Marcos Avilés, poiché le minacce di morte sono aumentate”, oltre all’occupazione ed esproprio di terre.

Hanno ricevuto minacce anche i membri dell’Accampamento Civile per la Pace installato nella comunità lo scorso aprile. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/28/politica/015n3pol

Link: Azione Urgente del Frayba

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 27 giugno 2011

Comunità in Chiapas si oppongono alla riforma dei Licei Interculturali

Hermann Bellinghausen. Inviato.San Cristóbal de las Casas, Chis., 26 giugno. Autorità comunitarie e comitati di genitori dei Licei Interculturali della zona Nord respingono il progetto della Segreteria della Pubblica Istruzioni (SEP) di trasformare le loro scuole in parte del sistema di Istruzione Media Superiore a Distanza (Emsad). L’imposizione di questa misura è vista dalle comunità “come una forma di discriminazione e mancanza di rispetto delle garanzie costituzionali”.

Le autorità educative dello stato, aggiungono gli indigeni, “fanno pressione sugli insegnati, sul personale amministrativo e sui genitori affinché accettino la riforma”. Le comunità non sono d’accordo, “perché è molto positivo” il lavoro svolto da questi centri di studio. “Qui si sono formati, nei passati cinque anni, un gran numero di giovani che attualmente frequentano l’università e che rivendicano la propria identità, elaborano progetti comunitari per uno sviluppo sostenibile, rispettano la loro forma di organizzazione e la percezione del mondo”.

In altre entità “i governi statali si sono fatti carico dell’operato di questi licei e ne stanno aprendo di nuovi”.

I Lice Interculturali rappresentano un’esperienza fortunata nelle comunità, principalmente tzeltales, di Chilón e Yajalón. Dal 2005 in Chiapas ci sono quattro licei interculturali: tre a Chilón (San Jerónimo Tuliljá, Nuevo Progreso e Jol Sac Hun) ed uno ad Amado Nervo, municipio di Yajalón.

Questi istituti sono amministrati dal Collegio Liceale del Chiapas ed operavano in base ad un accordo tra la SEP ed il governo statale. Ora, la SEP ha deciso di revocare l’accordo e, secondo le comunità,  “il governo del Chiapas, col pretesto che non riceve più finanziamenti federali, vuole cancellare l’opera di questi istituti e trasformarli in Emsad”.

Una quinta scuola interculturale, a Guaquitepec (Chilón), più antica e con caratteristiche più autonome, nei mesi recenti ha visto minacciata la sua sopravvivenza dai cacicchi filogovernativi e da presunti problemi agrari (La Jornada, 15 e 16 aprile).

Gli indigeni invocano l’articolo 2 della Costituzione, che stabilisce che lo Stato deve “garantire ed incrementare i livelli di scolarità, favorendo l’educazione bilingue e interculturale, l’alfabetizzazione, la conclusione dell’educazione base, la formazione e l’istruzione media superiore e superiore”, e segnalano che il Trattato 169 dell’OIL, sottoscritto dal governo messicano, “riconosce il diritto alla libera determinazione dei popoli indigeni”.

I comitati dei genitori dei Licei Interculturali chiedono al governo di Juan Sabines Guerrero “le risorse necessarie per far funzionare questi licei, e che si adeguino gli stipendi del personale docente ed amministrativo”, che ha ricevuto un trattamento salariale discriminatorio. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/27/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
27 giugno 2011
Azione Urgente No. 3
Minacce di morte, persecuzione e rischio di sgombero forzato a San Marcos Avilés
Secondo informazioni raccolte da questo Centro dei Diritti Umani (Frayba), nell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Chilón, esistono minacce di morte, persecuzione, abuso e rischio di sgombero forzato delle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) da parte di abitanti dello stesso ejido) affiliati al Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) e Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).
Di fronte a questa situazione il Frayba manifesta la sua preoccupazione per l’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza personale che subiscono le BAEZLN, abitanti dell’ejido San Marcos Avilés, poiché dette minacce di morte sono proseguite ed anzi aumentate nel corso degli ultimi giorni; inoltre l’occupazione ed esproprio di terre impedisce di lavorare nei campi e di raccoglierne i prodotti di base per la comunità e questo provoca la mancanza di cibo con conseguente gravi danni per la salute di bambini, bambine, donne, uomini, anziane ed anziani.
Per questo, le famiglie BAEZLN temono di essere nuovamente sgomberate, ragione per cui questo Centro dei Diritti Umani denuncia:

La responsabilità dello Stato per omissione poiché le autorità governative non hanno agito per garantire l’integrità ela sicurezza fisica delle BAEZLN e l’accesso alla terra nonostante i vari interventi inviati da questo Centro dei Diritti Umani;

e chiede:
• La sospensione delle minacce di morte, persecuzione e sgombero contro le BAEZLN da parte dei membri dei partiti politici dell’ejido San Marcos Avilés;
• Di proteggere e garantire la vita, l’integrità e la sicurezza personale delle BAEZLN nel rispetto del loro processo autonomistico che stanno costruendo da anni nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli, stabilito dal Trattato 169 sui popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti e dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni.

Precedenti:
IL 9 settembre 2010 questo Centro dei Diritti Umani ricevette la denuncia della Giunta di Buon Governo Corazón Céntrico de los Zapatistas Delante del Mundo, del Caracol 2 Resistencia y Rebeldía por la Humanidad con sede ad Oventic, San Andrés Sakamch´en de Los Pobres, Chiapas, in relazione alle minacce di sgombero forzato contro 170 persone, tra uomini, donne, bambini BAEZLN, dell’ejido San Marcos Avilés del municipio de Chilón, Chiapas; dopo che nel mese di agosto 2010 le BAEZLN avevano costruito la prima scuola autonoma nell’ejido per l’avvio delle attività previste dal Sistema Educativo Ribelle Autonomo Zapatista.
Quel giorno, 30 persone dell’ejido San Marcos Avilés affiliate ai partiti PRI, PRD e PVEM, guidati da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, entrarono in maniera violenta, con bastoni, machete ed armi nelle case di Basi dell’EZLN, tentando di violentare due donne che riuscirono a scappare. Per non rispondere all’aggressione, le BAEZLN abbandonarono le proprie case rifugiandosi in montagna. Dopo 33 giorni di allontanamento forzato senza cibo e senza alcuna protezione, il 12 ottobre 2010 famiglie BAEZLN, 50 donne, 47 uomini e 77 bambini; in totale 170 persone fecero ritorno in comunità.
Sulla base di quanto documentato da questo Centro dei Diritti Umani, le case degli sfollati sono state saccheggiate e derubate di tutti i loro beni, mais e fagioli; le loro coltivazioni di caffè ed alberi da frutta sono stati distrutti; sono spariti anche gli animali che ogni famiglia possedeva.
Da quando il Frayba è a conoscenza dei problemi dell’ejido San Marcos Avilés, ha informato in diverse occasioni le autorità governative della situazione, al fine di sollecitare il compimento del loro obbligo di garantire l’integrità e la sicurezza personale degli abitanti e cercare una soluzione al conflitto. Nonostante questo, non c’è stata risposta.
Tuttavia, anche quando la popolazione sfollata ha fatto ritorno nella comunità di origine, abbiamo ricevuto e documenato minacce persistenti e quotidiane nella comunità, per cui esiste il rischio di sgombero forzato. Il giorno 6 aprile 2011, nell’ejido è stato installato un Accampamento Civile per la Pace, composto da osservatori civili per dissuadere possibili azioni violente, tuttavia anche loro stessi sono oggetto di minacce.
*-*
MANDATE LA VOSTRA PROTESTA AGLI INDIRIZZI RIPORTATI IN FONDO AL TESTO CHE PROPONGO, METTENDO SEMPRE IN COPIA IL FRAYBA:

Nos unimos a la solicitación del Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas para señalar la situación de amenazas de muerte, hostigamiento, despojo y riesgo de desplazamiento forzado a Bases de Apoyo del ejercito Zapatista de Liberación Nacional (BAEZLN) por parte de habitantes del mismo ejido, afiliados al Partido Revolucionario Institucional (PRI), Partido de la Revolución Democrática (PRD) y Partido Verde Ecologista de México (PVEM) en el ejido San Marcos Avilés, municipio de Chilón, Chiapas, y exigimos:
• El cese a las amenazas de muerte, hostigamiento y despojo en contra de las BAEZLN por parte de los integrantes de los partidos políticos del ejido San Marcos Avilés;
• Proteger y garantizar la vida, la integridad y seguridad personal de las BAEZLN respetando su proceso autónomo que vienen construyendo desde años en el marco del derecho a la libre determinación de los pueblos, establecido en el Convenio (No. 169) sobre pueblos indígenas y tribales en países independientes y la Declaración de las Naciones Unidas sobre los Derechos de los Pueblos indígenas.

Inviare a:

Lic. Felipe de Jesús Calderón Hinojosa
Presidente de la República
Residencia Oficial de los Pinos
Casa Miguel Alemán
Col. San Miguel Chapultepec,
C.P. 11850, México DF
Tel: (52.55) 2789.1100 Fax: (52.55) 5277.2376 Correo: felipe.calderon@presidencia.gob.mx

Lic. José Francisco Blake Mora
Secretario de Gobernación
Bucareli 99, 1er. Piso, Col. Juárez,
Del. Cuauhtémoc,
C.P. 06600 México D.F.
Fax: (52.55) 50933414;
secretario@segob.gob.mx, contacto@segob.gob.mx

Lic. Juan José Sabines Guerrero
Gobernador Constitucional del Estado de Chiapas
Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 1er Piso
Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009
Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México
Fax: +52 961 61 88088 – + 52 961 6188056
Extensión 21120. 21122; Correo: secparticular@chiapas.gob.mx

Dr. Noé Castañón León
Secretario General de Gobierno del Estado de Chiapas
Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 2do Piso
Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009
Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México
Conmutador: + 52 (961) 61 2-90-47, 61 8-74-60
Extensión: 20003; Correo: secretario@secgobierno.chiapas.gob.mx

Lic. Raciel López Salazar
Procuraduría General de Justicia de Chiapas
Libramiento Norte Y Rosa Del Oriente, No. 2010, Col. El Bosque
C.P. 29049 Tuxtla Gutiérrez, Chiapas
Conmutador: 01 (961) 6-17-23-00. Teléfono: + 52 (961) 61 6-53-74, 61 6-53-76, 61 6-57-24,
61 6-34-50
raciel.lopez@pgje.chiapas.gob.mx

Dr. Santiago Canton
Comisión Interamericana de Derechos Humanos
1889 F Street, NW
Washington, D.C. 20006
USA
Fax 1-202-458-3992

INVIARE COPIA DELLA VOSTRA PROTESTA A:
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.
Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos,
29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548: accionurgente@frayba.org.mx

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La Jornada – Domenica 26 giugno 2011

Liberati i due indigeni basi di appoggio dell’EZLN; sono stati torturati e feriti

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 25 giugno. Torturati, feriti e crudelmente vessati, i due indigeni basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), del municipio autonome Lucio Cabañas, sono stati liberati giovedì dai loro sequestratori dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) che li trattenevano dal giorno 20. La situazione continua ad essere tesa nella regione Primero de Enero, vicina a questa città, e le basi zapatiste stanno di guardia nella sede autonoma.

La giunta di buon governo (JBG) Corazón del arco iris de la esperanza, nel caracol Torbellino de nuestras palabras, nell’ejido Morelia, ha comunicato che Alberto e Pablo, come si sono identificate le vittime, sono feriti. Il giorno 23 si sono ammalati “e non hanno mai ricevuto un trattamento umano”. Sono stati sequestrati per ottenere la loro “resa”.

Alberto presenta “un taglio da bastonata dietro la testa e continua a sanguinare per i colpi subiti, perde sangue da bocca e naso ed ha abrasioni e lividi su tutto il corpo”. E Pablo “è nelle stesse condizioni, perde sangue dalle orecchie, ha il viso tumefatto, le labbra rotte, ha perso un dente e non può parlare né camminare per i colpi subiti alle gambe”.

Il 21 giugno, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) aveva cercato di vederli nel villaggio Patria Nueva, ma i loro sequestratori l’hanno impedito. Con questi ostaggi, la Orcao pretendeva “fare pressione sulla JBG per dialogare con i suoi leader”. La giunta si domanda: “Di che cosa vogliono che parliamo? La terra è recuperata dal 1994, la stiamo coltivando da 16 anni in tutta tranquillità”.

I dirigenti della Orcao, Antonio Suárez Cruz e Cristóbal López Gómez, “El Sadam“, leader di Sibak já, “tentano di nascondere i loro reati dicendo che il terreno dove lavorano i nostri compagni sono stati concessi in amministrazione fiduciaria dal malgoverno”, un programma che risale al periodo di Roberto Albores Guillén (chiamato El Croquetas dagli zapatisti). “Ricorderete la ferocia nel suo governo per smantellare i municipi autonomi e distruggere i popoli zapatisti. Sulle ceneri create da Albores Guillén arde il fuoco che oggi divampa”.

Allora, aggiunge la JBG, “subimmo provocazioni, intimidazioni, vessazioni… affinché la nostra lotta sembrasse una lotta tra indigeni”. Ora, con la presunta “legalizzazione” governativa della terra, “sotto la farsa della legge che loro si sono inventati” vogliono far passare gli zapatisti come “provocatori”.

Gli zapatisti accusano di “riattivare la persecuzione” attraverso la Orcao, i governi federale, statale e municipale, rispettivamente, Felipe Calderón Hinojosa, Juan Sabines Guerrero ed Arturo Zúñiga Urbina (di estrazione panista), che formano “una squadra di sobillatori, incominciando dagli scagnozzi locali e regionali della Orcao chiaramente noti che obbediscono a quello che dicono gli scagnozzi più in alto, attentatori dei nostri diritti perché non condividiamo gli inganni che stanno facendo nel nostro paese”.

La mattina del giorno 23 giugno, davanti ai loro rapitori della Orcao, gli ostaggi hanno raccontato di essere stati picchiati e derubati di mais, fagioli, canna da zucchero, rotoli di filo spinato, materiali per il lavoro nei campi, coperte, zaini e la loro casa è stata bruciata”. Ciò nonostante, “il nostro compagno si è reso conto che molti che militano nella Orcao vengono ingannati”sui motivi dello scontro”. Pablo ed Alberto “di giorno erano rinchiusi nella prigione della comunità e di notte li portavano in una sala della scuola, lontano dalla comunità, sorvegliati da 30 persone. Verso le 3 del mattino ritornavano in prigione. Non hanno mai ricevuto acqua, coperte ed hanno sofferto le punture di zanzare e la fame”.

Alla fine, quelli della Orcao hanno obbligato gli ostaggi a firmare un documento sotto la minaccia di essere nuovamente picchiati; poi li hanno lasciati andare.

In altro ordine, il Comitato dei Diritti umani Oralia Morales, il Frayba ed il Movimento per la Giustizia del Barrio hanno reso nota la liberazione senza accuse, lo scorso 6 giugno, di Patricio Domínguez Vázquez, base di appoggio zapatista dell’ejido Monte Redondo, chi si trovava in carcere senza motivo a Motozintla dal 14 aprile, come aveva denunciato allora la JBG di La Realidad. Le organizzazioni civili manifestano preoccupazione per l’integrità e la sicurezza di Bersaín Palacios de León, anch’egli contadino di Monte Redondo (Frontera Comalapa) che ancora si trova in prigione. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/26/politica/019n1pol

Comunicato completo della JBG di Morelia

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 25 giugno 2011

Si propone un complesso alberghiero senza alcuna garanzia per la comunità chiapaneca dei Montes Azules

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 24 giugno. Tutto sembrava pronto per la costruzione di un complesso alberghiero nella laguna di Miramar, nei Montes Azules, e la Segreteria del Turismo (Sectur) parlava di finire l’opera questo stesso anno. Nel frattempo, la comunità Emiliano Zapata, dove verrebbe realizzata l’opera, è divisa e senza consenso. Secondo coloro che ancora si oppongono, i promotori del progetto sono le precedenti autorità ejidales che rappresentano una minoranza. Inoltre, si teme che tali autorità abbiano ricevuto “ricompense per far passare la proposta”. Per adesso, il progetto è stato sospeso per mancanza di accordo.

Secondo il progetto ufficiale, l’uso di terre e lo sfruttamento turistico della laguna di Miramar seguirà tre fasi. Per i primi dieci anni gli impresari turistici gestiranno direttamente il complesso; la Società di Ecoturismo degli Ejidatarios potrà far parte dell’amministrazione e riceverà il 10% dei guadagni (al netto delle spese dell’hotel che, secondo le ultime notizie della Sectur, non sarebbe un complesso di capanne, non più). Successivamente, gli ejidatarios potranno scegliere se gestire il complesso, “a patto che” si siano qualificati per farlo. In caso contrario, l’amministrazione del complesso rimarrà nelle mani degli stessi impresari, o di altri, per i successivi 10 anni. Nel 2031 si aprirà nuovamente la possibilità di cambiare gestione, prima dell’ultimo periodo di possesso contemplato nell’accordo, nel 2042.

Su questa proposta gli ejidatarios hanno svolto varie assemblee. Il timore principale di molti era perdere il controllo delle proprie terre, che gli impresari “si sentano padroni” e loro diventino “i loro manovali”, restando al margine dei veri guadagni. In una riunione con la Sectur, l’anno scorso, respinsero il progetto. Secondo la testimonianza degli ejidatarios, “la dott.ssa Monica (funzionaria incaricata del negoziato), prima di salire sull’elicottero che la portava sempre qui, ci disse, infastidita: ‘sta bene, se non volete essere ragionevoli, allora il progetto si farà nella comunità di Benito Juárez’ “. La funzionaria assicurò che lì gli ejidatarios avrebbero accettato la proposta, perché chiedevano progetti simili. Anche Benito Juárez, considerato “irregolare” dalla Segreteria dell’Ambiente e Risorse Naturali (Semarnat), possiede terreni nella laguna. Secondo quelli di Zapata, lì la strada progettata sarebbe più lunga.

La funzionaria diede un ultimatum e l’assemblea si riunì nuovamente. Il gruppo favorevole al progetto ottenne l’approvazione, dopo una discussione che descrivono “aspra”, per maggioranza di voti dell’assemblea (che esclude donne e giovani senza terra). Allo scadere dell’ultimatum, gli ejidatarios comunicarono telefonicamente alla Sectur l’approvazione del progetto. La funzionaria ritornò “piena di giubilo” ed all’inizio del 2011 è stato firmato l’accordo tra le autorità ejidales, Sectur ed impresari.

Semarnat ha dichiarato in documenti pubblici che la riserva dei Montes Azules è un caso di conservazione “di successo”, per la generazione di progetti di sviluppo che vincolano la popolazione locale alla preservazione dell’ambiente. Allora, si domandano gli ejidatarios, “perché ci hanno sempre bocciato la proposta delle capanne ed ora portano un macroprogetto che trasforma noi padroni di queste terre in impiegati di un’impresa che si installa nell’ejido?”.

Secondo i suoi critici, il progetto della Sectur, approvato da Semarnat, non si propone di generare meccanismi per uno sviluppo sostenibile e duraturo della popolazione, bensì obbedisce a progetti di lungo termine che assicurino il controllo imprenditoriale di spazi strategici. Il complesso che si vuole costruire non garantisce fonti di reddito “sicure e degne” per i contadini, né assicura loro il controllo sui loro territori. Invece, riproduce un modello che divide chi amministra i beni e conserva il 90% dei guadagni, e chi svolge lavori precari e si spartiscono il resto.

Non sembra neppure pesare la considerazione che le famiglie abbiano almeno uno dei propri membri come “illegale” negli Stati Uniti. Secondo il rapporto di un ricercatore dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia, che ha chiesto l’anonimato (La Jornada 22/06/11), “le enormi carenze della popolazione che si trova nelle zone a grande biodiversità sono parte degli elementi che permettono alle autorità di fare pressione sugli abitanti per far accettare posizioni subordinate nelle loro terre e nei progetti che loro stessi hanno gestito”. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/25/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 24 giugno 2011

La Semarnat ha concesso alla Sectur il permesso che per anni ha negato agli indigeni. Gli ejidatarios dei Montes Azules avevano ideato un progetto che preserva l’ambiente. Avevano costruito capanne e sentieri per guidare i visitatori; il progetto federale però è bloccato.

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ocosingo, Chis., 23 giugno. L’espansione di infrastrutture turistiche in comunità indigene ed aree naturali è sempre più attiva. Governo e investitori privati considerano prevalentemente l’aspetto funzionale dei progetti e l’attrazione di valuta, senza considerare la praticabilità stessa presso le comunità sotto questo nuovo regime economico e lavorativo, così come la contraddizione che lo sfruttamento turistico incrementa il rischio per le ricchezze naturali che, se ancora esistono, lo si deve al fatto che si trovano lontano dalle rotte turistiche.

Oggi non si parla più di ecoturismo. Il nuovo concetto è “geoturismo”. Come nei giorni scorsi spiegava la sottosegretaria della Segreteria del Turismo del Chiapas, Mónica Véjar Corona, “per sviluppare il nuovo (il geoturismo ed il turismo di avventura) dobbiamo creare strategie per distribuire e promuovere le linee di azione che sono l’integrazione di prodotti turistici, la loro commercializzazione e la professionalità degli operatori turistici”.

Si tratta, dunque, di “prodotti”. Nello stesso modo, trasformare in cameriere o parcheggiatore un contadino è “creare posti di lavoro”. Lo scorso giorno 15, la funzionerebbe definiva il geoturismo “un nuovo modo di viaggiare attraverso cui si genera un marchio territoriale”, e lo stato “conta su geografia, cultura, artigianato, gastronomia, tradizioni e stile di vita che sono i principali punti che devono unirsi per essere presenti su scala internazionale”. Ha dichiarato inoltre alla stampa locale che si sta elaborando una “mappa turistica” che sarà avallato dal National Geographic.

Un caso emblematico dei nuovi progetti del governo federale, applicati poi dal governo statale, è quello dell’ejido Emiliano Zapata (Ocosingo), ai bordi dei Montes Azules, dove il fiume Perlas si unisce allo Jataté, e la laguna di Miramar è accessibile dall’esterno della riserva della biosfera che comincia proprio lì. Nel 1999 gli ejidatarios construirono sei capanne nella sede dell’ejido, a cinque kilometri da Miramar, e fondarono la Società di Ecoturismo di Zapata Laguna Miramar, oggi con 125 soci.

La società ha un presidente, un segretario e un tesoriere; il resto dei soci si alterna nei lavori di “vigilanza” e “guide turistiche”. Accompagnano piccoli gruppi di visitatori su sentieri stabiliti. Un aspetto positivo della vigilanza permanente della laguna è che evita la distruzione e la caccia di frodo.

L’esperienza ha dimostrato che i turisti preferiscono accamparsi nella laguna. Per questo, dopo l’inaugurazione delle capanne nel 2002, gli indigeni chiesero alla Commissione per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (CDI) ed alla Segreteria dell’Ambiente (Semarnat) di poter installare altre capanne nelle vicinanze della laguna. Gli ejidatarios riferiscono che l’autorizzazione fu ripetutamente negata dalla Semarnat, “con il pretesto dell’importanza della laguna per la conservazione ambientale”. Da parte loro, gli abitanti di Zapata chiesero una strada per accedere ai propri appezzamenti e coltivazioni e per l’ingresso dei turisti attraversando il fiume Perlas. Richiesta anche questa respinta dalla Semarnat con gli stessi argomenti.

Il rifiuto si è ripetuto per anni. All’improvviso, a detta degli ejidatarios, nel 2010 “è arrivata la risposta”. La Sectur li informò che il progetto era fattibile, ma non con le modeste caratteristiche che loro proponevano, né che sarebbe stato gestito dagli ejidatarios. Il progetto autorizzato si riferiva alla costruzione di un grande complesso alberghiero su un’area di 40 mila metri quadrati, dati in concessione agli ejidatarios per un periodo di 30 anni, a poco più di un chilometro da Miramar, con un investimento iniziale – pubblico e privato – di 22 milioni di pesos, come si disse agli indigeni.

La Sectur offriva di creare posti di lavoro, asfaltare le strade del villaggio, realizzare la richiesta, sistemare le fognature e le case per “meglio presentarle” ai turisti e, “col tempo”, rifare la scuola primaria e la secondaria. Nello stesso tempo, annunciava che i turisti sarebbero arrivati in grandi gruppi con pacchetti “tutto compreso”.

Tuttavia, per le divisioni in seno alla comunità (più precisamente, per le posizioni contrarie), gli ejidatarios dicono di aver incontrato “complicazioni con le persone della Sectur”, ed il progetto è rimasto in sospeso, non si sa per quanto tempo. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/24/politica/020n1pol


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La Jornada – Giovedì 23 giugno 2011

Sequestrati e torturati due zapatisti ad Ocosingo

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ocosingo, Chis., 22 giugno. La giunta di buon governo (JBG) del caracol di Morelia ha denunciato aggressioni e tentativi di espulsione e esproprio contro basi di appoggio dell’EZLN da parte di membri dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao), che tengono sotto sequestro e tortura due zapatisti nell’ejido Patria Nueva.

Da anni, dice la giunta, “queste persone ripetono le loro provocazioni per problemi legati alla terra che abbiamo recuperato dopo il gennaio del 1994 e che ci vogliono togliere con la forza”.

I nuovi fatti risalgono al giorno 10 nella comunità Mártires, municipio autonomo Lucio Cabañas, quando gente della Orcao che vive nell’ejido Patwitz (Chilón) è arrivata a casa di Antonio Pérez López ad intimargli di abbandonare l’EZLN e passare alla Orcao. L’hanno interrogato – denuncia la JBG – con “tono minaccioso e dalla sua risposta negativa hanno agito secondo i loro piani”.

Hanno tagliato la piantagione di chile e la milpa di Pérez López. Hanno raccolto un ettaro di caffè dal campo collettivo. Il giorno 11 “sono continuati i danneggiamenti con la distruzione del recinto e si sono ‘presi le misure’ del terreno per per ognuno della Orcao; praticamente ci stavano dicendo che volevano espellerci”.

Il giorno 15 sono tornati “per lavorare il terreno che presumevano spettasse loro; avevano machete, zappe e pompe per fumigare ed inquinare le nostre terre”. Inoltre, hanno rubato l’acqua della famiglia che vive sul posto rimuovendo il recipiente per estrarre l’acqua dal pozzo; “di questo modo hanno avvelenato l’acqua e si sono portati via due rotoli di filo spinato”.

Il giorno 17 “hanno rimosso il recinto di filo di ferro ed i pali” trasformandoli in legna, e si è  persa una mucca. Il giorno 20, le basi zapatiste si sono organizzate “per ripristinare il recinto”. Quelli di Patwitz hanno bloccato la strada che porta a questo terreno. “I nostri compagni sono entrati passando da un’altra parte e quando quelli della Orcao l’hanno saputo sono andati sul posto dove stavamo lavorando”, aggiunge la JBG.

“Hanno cercato dei bastoni per picchiare i compagni, mentre altri si sono diretti verso la loro casa per distruggerla”. Prima di incendiarla, l’hanno saccheggiata ed hanno bruciato gli zaini di quelli che stavano lavorando lì. Due zapatisti, Pablo e Alberto, sono stati catturati e condotti a Patwitz, “li hanno fatti salire in macchina e li hanno picchiati”.

Cristóbal López Gómez (El Sadam) ed i rappresentanti locali della Orcao “hanno convocato una riunione per discutere che cosa fare della casa grande, dove si riuniscono i nostri compagni della regione Primero de Enero, e dei due catturati”. Il 21, hanno raccolto circa 125 persone di diverse comunità per portare i fermati nell’ejido Patria Nueva, vicino ad Ocosingo. Mentre li trasferivano continuavano a picchiarli. Dice la JBG che, fino ad ora, “continuano a minacciare di bruciarli vivi e di distruggere la casa dove facciamo le riunioni”.

La giunta zapatista denuncia che gli aggressori sono guidati da López Gómez (di Patria Nueva) e dai leader della Orcao di Sibak’já  e  El Sacrificio La Esperanza. “Prima non credevamo che fossero paramilitari, ora, con questi fatti, la cosa è chiara”.

La JBG denuncia anche aggressioni e furti di membri di Orcao ad Abasolo contro il nuovo villaggio zapatista di San Diego. Le autorità ribelli segnalano infine che il 20 giugno, “mentre Juan Sabines benediceva mentendo le sue opere ingannevoli nei municipi ufficiali di Sitalá, Pantelhó ed Altamirano, si è visto il buon samaritano regalare zaini a persone manipolate ed alcune banconote per tranquillizzarle”. Questi “attacchi economici ed ideologici contro i nostri popoli” sono accaduti “mentre i suoi complici della Orcao, nello stesso giorno, picchiavano i compagni per la nostra resistenza e per lavorare e difendere le nostre terre”.

Da parte sua, il dirigente della Orcao, Antonio Juárez Cruz, ha ammesso che militanti della sua organizzazione da questo lunedì trattengono due zapatisti a Patwitz, per la presunta disputa di 32 ettari. Afferna che il problema è iniziato quando circa 100 zapatisti si sono impadroniti della proprietà San Antonio Chivaljá, “acquisito dalla Orcao con una fideiussione” col governo. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/23/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 22 giugno 2011

La Segreteria del Turismo (Sectur) autorizza la costruzione di un complesso alberghiero nella riserva dei Montes Azules

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 21 giugno. Nella laguna di Miramar, nella Riserva Integrale della Biosfera Montes Azules (RIBMA), considerata dalle autorità ambientali prioritaria per la conservazione su scala nazionale, sta per iniziare la costruzione di un grande complesso alberghiero. Questo starebbe avvenendo “senza il consenso degli abitanti e senza perseguire un vero sviluppo sostenibile per gli abitanti della regione”, secondo il rapporto confidenziale di un esperto dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH), che ha chiesto l’anonimato, e che è confermato dalle testimonianze degli abitanti tzotziles e choles dell’area.

Nel 2010 funzionari federali della Segreteria del Turismo (Sectur) ed impresari hanno negoziato con i coloni dell’ejido Emiliano Zapata, le cui terre confinano con la bellissima laguna Miramar, “la concessione di quattro ettari per la costruzione di questo complesso, così come il diritto di sfruttamento turistico della laguna per i prossimi 30 anni”.

Analisti, giornalisti ed organizzazioni indigene ed ambientaliste presenti nella selva Lacandona hanno ripetutamente denunciato che le misure di ricollocamento e sgombero di popolazioni insediate nei Montes Azules successivamente al decreto che creò la “riserva della biosfera”, nel 1978, vogliono espellere gli indigeni per sfruttare la zona turisticamente e commercialmente. Questo si rivolge a località considerate “irregolari” in prossimità delle lagune Suspiro, Ocotal e Ojos Azules, principalmente 6 de Octubre e Nuevo San Pedro, a nord dei Montes Azules. Le altre comunità prese di mira sono Nuevo San Gregorio, Nuevo Salvador Allende, Benito Juárez e Ranchería Corozal.

La costruzione, a quanto pare imminente, del complesso turistico a Miramar conferma i piani governativi ed industriali per privatizzare e subordinare le comunità. Secondo il rapporto, in possesso de La Jornada, le autorità “che hanno avallato la costruzione del presente complesso e progetti simili, non vogliono coinvolgere le popolazioni locali nei benefici e nelle responsabilità della conservazione, ma, con le loro azioni di fatto, risultano corresponsabili dall’appropriazione di zone strategiche della selva Lacandona”. In questa concezione di sviluppo si iscrivono i centri di turismo ambientale nelle mani di privati e la riconversione di ampie zone alla monocoltura di palma africana e pinoli per produrre biocombustibili.

Una parte dei coloni coinvolti racconta i precedenti della costruzione del complesso alberghiero. Non stupisce che, come in tanti altri casi, risulti chiave la divisione delle comunità per disattivare qualunque resistenza. Un dato significativo è che la base militare di San Quintín si trova a poco più di un chilometro da Emiliano Zapata, ejido fondato a metà del secolo XX e che ha ottenuto il riconoscimento presidenziale nel 1969.

Così, il decreto della RIBMA, che comprende parte dell’ejido, risulta successivo. Le terre della comunità possiedono caratteristiche “relativamente adeguate” per la produzione agraria e l’ecoturismo: terre pianeggianti, acqua abbondante ed attrazioni turistiche. Vi abitano circa 850 choles e tzotziles. In questa regione, la maggioranza di indigeni tzeltal sono agricoltori “milperos” che producono per autoconsumo. L’unica produzione commerciale è quella del bestiame.

A completamento del complesso alberghiero ci sarà una strada che faciliterà l’affluenza dei turisti. In relazione agli studi di impatto ambientale e all’autorizzazione del progetto da parte della Segreteria dell’Ambiente e Risorse Naturali, la Segreteria del Turismo disse agli ejidatarios “che non dovevano preoccuparsi al riguardo”. Con loro sorpresa, riferiscono gli ejidatarios, seppero che le autorità ambientali “avevano già effettuato gli studi” per autorizzare il progetto, mentre altri loro progetti, più modesti, erano stati respinti per presunte incompatibilità ambientali. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/22/politica/025n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 21 giugno 2011

Nel corso dell’attuale amministrazione sono almeno 42 i giornalisti assassinati

Dalla Redazione. Nel corso dell’amministrazione di Felipe Calderón sono almeno 42 i giornalisti assassinati in 16 stati, 10 sono scomparsi dopo essere stati prelevati da presunti criminali e molti altri sono stati vittime di aggressioni come rappresaglia per il loro lavoro. Sulla maggioranza dei casi le autorità non hanno fatto chiarezza.

Guida la lista lo stato di Guerrero, con nove giornalisti uccisi e la sparizione di Marco Antonio López, capo informazione del periodico Novedades de Acapulco, che solo il 7 giugno scorso è stato privato illegalmente della libertà da degli sconosciuti.

Tra gli informatori assassinati figurano Jorge Ochoa, direttore dei settimanali El Oportuno e El Sol de la Costa; Juan Rodríguez, corrispondente di El Sol de Acapulco, e sua moglie María Hernández, direttrice del settimanale Nueva Línea, così come Evaristo Pacheco, di Visión Informativa.

Inoltre, Juan Martínez, del Grupo Radiorama Acapulco; Juan Hernández, editore del settimanale El Quijote de Taxco; Jean Ibarra, del giornale El Correo, di Iguala; Amado Ramírez, corrispondente di Televisa, e Misael Tamayo, direttore di El Despertar de la Costa.

Segue Chihuahua, con sei comunicatori assassinati: Luis Carlos Santiago, fotografo di El Diario de Juárez; María Isabella Cordero, incaricata delle pubbliche relazioni della Camera di Commercio; Norberto Miranda, direttore di digital Radio Visión.

Sono stati uccisi anche Ernesto Montañez, editore della rivista Enfoque; José Armando Rodríguez, di El Diario de Juárez; David García, editorialista di El Diario de Chihuahua, e Gerardo Guevara, del settimanale Siglo XXI.

Nello stato di Veracruz, con l’omicidio dell’opinionista Miguel Ángel López Velasco, del quotidiano Notiver, perpetrato ieri, sono cinque i giornalisti privati della vita ed altri quattro sono desaparecidos, anche se di questi ultimi si conosce solo il caso di Evaristo Ortega, direttore dei periodici Espacio e Diario de Misantla.

Gli altri quattro decessi si riferiscono a Hugo Barragán, collaboratore del periodico La Crónica de la Cuenca; Roberto Marcos, della rivista Testimonio; Adolfo Sánchez, corrispondente di Televisa Veracruz; Luis Méndez, conduttore della radio La Poderosa en Tuxpan, e Noel López Olguín, reporter di La Verdad del Sureste.

In Michoacán sono morti quattro giornalisti: Israel García, del periodico La Opinión de Uruapan; Miguel Ángel Villagómez, direttore del quotidiano La Noticia, di Lázaro Cárdenas; Martín Miranda, direttore di Panorama del Oriente, di Zitácuaro, e Hugo Olivera, corrispondente di La Voz de Michoacán, ad Apatzingán.

Altri tre risultano desaparecidos: Mauricio Estrada, reporter di La Opinión de Apatzingán; María Esther Aguilar, corrispondente di Cambio de Michoacán en Zamora, e Ramón Ángeles Zalpa, corrispondente di Cambio de Michoacán nella regione della meseta purépecha.

In Durango nel 2009 sono stati uccisi quattro comunicatori: Carlos Melo, corrispondente del periodico Tiempo de Durango; Eliseo Barrón, reporter di La Opinión; il cameraman Gerardo Esparza, e Bladimir Antuna, reporter del Tiempo de Durango.

In Sonora tre giornalisti sono morti per mano di presunti sicari: Pablo Aurelio Ruelas, che ha lavorato per il periodico Diario del Yaqui; Saúl Noé Martínez, del Diario de Agua Prieta, e Gustavo Alonso Acosta, del giornale Interdiario.

In Coahuila, sconosciuti hanno ucciso due giornalisti: Eliseo Barrón, reporter del periodico La Opinión Milenio, e Valentín Valdés, reporter del giornale Zócalo de Saltillo.

Dei restanti 10 omicidi, due sono stati commessi in Sinaloa: Óscar Rivera, portavoce del settore sicurezza del governo statale, e José Luis Romero, del notiziario radio Línea Directa. Due in Tabasco: Rodolfo Rincón e Alejandro Zenón. Uno in Nuevo León: Luis Emanuel Ruiz, fotografo del periodico La Prensa.

In Quintana Roo, José Velázquez, della rivista Expresiones de Tulum. In Baja California, il fotografo Gerardo Martínez, di El Sol de Tijuana.

In Tamaulipas, Carlos Guajardo, del quotidiano Expreso de Matamoros. In Jalisco, il direttore di Radio Universidad de Guadalajara a Ciudad Guzmán, José Galindo.

In Yucatán risultano desaparecidos due giornalisti. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/21/politica/010n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 21 giugno 2011

“Pericoloso” difendere i diritti umani in Messico, denuncia il Centro Digna Ochoa

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 giugno. La difesa dei diritti umani nel nostro paese oggi è “un lavoro pericoloso”, sostiene il Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa (CDHDO). “Coloro che si occupano di questioni che riguardano l’ambiente, i diritti delle donne, contadini, giornalisti, migranti e indigeni,  ricevono quotidianamente minacce all’integrità fisica e psicologica loro e delle loro famiglie”. La situazione “è in continuo peggioramento”.

Il centro che opera nella città di Tonalá, ha annunciato oggi una “campagna nazionale ed internazionale contro la persecuzione giudiziaria e la criminalizzazione di avvocati ed attivisti sociali in Messico”, che inizierà il prossimo giovedì 23. Chiede inoltre la sospensione della persecuzione contro il suo direttore, Nataniel Hernández Núñez, dovuta principalmente all’accompagnamento dell’organizzazione alle proteste del Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa, aderente all’Altra Campagna.

In Messico – aggiunge il CDHDO – “c’è la guerra”, non solo quella “disastrosa” contro il crimine organizzato, bensì una “contro la gente e le sue lotte per una vita degna; gente che non vuole più essere continuamente calpestata e trattata come merce o delinquente”. Si ripetono, dunque, le storie di ingiustizia ed impunità. “La persecuzione e la repressione sono il modo in cui il governo di qualunque livello affronta i popoli che si organizzano per difendere le proprie terre e risorse”.

Ed aggiunge: “C’è la lotta per vendere e possedere le risorse. Quello che disturba i piani del potere e del denaro sono i popoli che difendono il loro stile di vita ed il loro lavoro, che vivono e preservano risorse, terre, acqua”.

In Chiapas c’è il caso, “tra molti altri”, di Nataniel Hernández, direttore del centro che ha accompagnato “i lavori e la lotta del Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa”. E’ stato fermato in due occasioni, “una con accuse di ordine statale e la seconda per reati federali”. Ciò rivela “la strategia di persecuzione contro il compagno e la repressione contro la gente che si organizza e lotta”. Hernández Núñez affronta “più di cinque processi penali assolutamente costruiti e viziati, l’ulteriore dimostrazione che in Messico la giustizia non esiste, prevale l’impunità”.

Per dimostrare che “non è solo, come nessuno altro che a difesa del suo popolo e dei suoi diritti alza la voce e si organizza”, insieme a “compagni e compagne nel paese e nel mondo”, il centro annuncia la sua campagna nazionale ed internazionale.

Questa chiederà “la cancellazione della minaccia giuridica contro gli attivisti sociali ed i difensori comunitari dei diritti umani”, in particolare la cancellazione dei processi “del governo messicano contro il compagno Nataniel, che sono parte di una strategia per fermare il lavoro di osservazione ed accompagnamento del CDHDO”. Nello stesso tempo, si pronuncerà per il rispetto delle garanzie individuali e collettive in Messico. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/21/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 18 giugno 2011

Minacciate le basi zapatiste di San Sebastián; la procura rifiuta di riceverle

Hermann Bellinghausen

Gli aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón, Chiapas) hanno denunciato di aver ricevuto minacce di morte e intimidazioni nella comunità K’anakil, dello stesso ejido, oltre alla mancanza di assistenza, compresi gli insulti del funzionario del Pubblico Ministero del municipio.

I rappresentanti di San Sebastián affermano che il 15 giugno un gruppo di donne aderenti all’Altra Campagna si era recato a Chilón per presentare una denuncia per minacce contro Nicolás Aguilar Mejía, originario di Reforma K’anakil e membro della nota banda criminale Los Aguilares, che insieme al gruppo paramilitare Los Chinculines nel decennio scorso imperversava nella regione.

Denunciano che il funzionario del Pubblico Ministero, José Manuel Pérez Gómez, “non le ha volute ricevere. Sarà perché ancora non avevano un buco nel petto o una mazzetta, ma sono come ogni altra persona che vuole giustizia ed a cui si nega questo diritto”.

Il giorno 12 è stato fermato Aguilar Mejía accusato di abigeato. La Polizia Giudiziaria lo ha trasferito nel carcere numero 12 di Yajalón. Gli ejidatarios temono che sia rilasciato: “In precedenza abitanti delle comunità vicine non hanno voluto denunciarlo per paura di essere sequestrati, picchiati o assassinati. È conosciuto come l’ultimo membro dei Los Aguilares, sequestratori, violentatori, ladri ed assassini”.

Tuttavia, aggiungono gli indigeni dell’Altra Campagna, “Il PM non ha voluto accogliere la denuncia dei cittadini”. Ritengono responsabile l’autorità “dell’integrità fisica degli abitanti di Reforma K’anakil se il delinquente sarà liberato”. Gli abitanti della comunità “sono molto spaventati che i membri della banda criminale possano vendicarsi per l’arresto del loro leader”.

Chiedono alle autorità “le misure necessarie per applicare la legge a quel delinquente, e nel caso fosse rilasciato saranno responsabili di qualunque fatto deplorevole che possa accadere agli abitanti di Reforma K’anakil ed alle comunità vicine”.

In una seconda denuncia, gli stessi ejidatarios accusano Melchorio Pérez Moreno e Francisco Guzmán Jiménez, del consiglio di vigilanza e commissario ufficiale dell’ejido, rispettivamente, i quali “per mancanza di capacità hanno generato la violenza nelle comunità ed imprigionando degli innocenti in complicità con agenti ausiliari e del PM”. Accusano anche i funzionari del Pubblico Ministero di Bachajón, Eduardo Hernández Guzmán, ed il suo segretario “specializzato in ingiustizia indigena”.

Tutto è iniziato il 4 giugno, rivelano, “quando Jerónimo Guzmán Monterrosa (secondo), originario della comunità Ba’pus, centro Alan Sac’un, è venuto a lamentarsi all’agenzia ausiliaria di quella comunità, perché l’autorità ufficiale stava recintando un terreno con l’intenzione di espropriarlo”. Invece di punire l’aggressore “hanno arrestato chi protestava perché sarebbe stato espropriato. E’ stato quindi trasferito a Bachajon dal PM, dove forzatamente gli hanno fatto firmare un verbale e pagare una multa di 1.500 pesos, anche se è l’offeso, un’altra vittima delle autorità filogovernative”.

Aggiungono altri casi di impunità, come quello di San José Pulemal, centro Ch’ich, dello stesso San Sebastián, dove il 2 giugno quattro persone sono rimaste ferite da armi da fuoco mentre altri sono stati arrestati per lo stesso problema agrario, “con violenza, abusi e prigione, la sola cosa che sanno fare”.

I tzeltales concludono: “Riteniamo responsabili le autorità di qualunque aggressione fisica, poiché si stanno immischiando in questioni già risolte dall”Altra Campagna. Vogliamo che si faccia giustizia con questi agitatori della società. Non permetteremo altri abusi”. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/18/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PROCESO – 14 GIUGNO 2011

 Si chiede di far luce sulla morte del giornalista Matteo Dean

Homero Campa

MÉXICO, D.F. (apro).- Il giornalista Matteo Dean è morto sabato 11 in un incidente automobilistico avvenuto al casello di La Venta, sull’autostrada México Toluca.

Dean – 36 anni, collaboratore di Proceso e dell’agenzia Apro – è stato investito da un camion Kenworth – targato 0659 – mentre sulla sua motocicletta aspettava di pagare il  pedaggio, come ha riferito la polizia della capitale.

L’autista del camion che si è identificato come Jorge Alberto Martínez Espinoza, di 24 anni, ha dichiarato che il suo veicolo era senza freni.

“La sua morte è stata classificata come omicidio colposo, ma noi, suoi amici e parenti, chiediamo che si apra un’indagine per chiarire l’accaduto”, ha chiesto la moglie di Dean, Sol Patricia Rojo Borrego.

In una breve conversazione, Sol Patricia ha affermato che esistono circostanze strane sulla morte di Dean, come il fatto che il camion non ha suonato il clacson né ha lanciato segnali sul fatto che era senza freni, e non ha fatto alcun tentativo di evitare l’impatto contro Dean il cui corpo è stato trascinato per 30 metri.

Sol Patricia ha detto che fino alla notte di lunedì 13 il Pubblico Ministero non aveva raccolto la deposizione dell’autista del veicolo e mancavano i risultati della perizia per determinare la verità sul presunto difetto meccanico. Non si avevano neppure le immagini dell’incidente riprese dalla videocamera installata al casello.

Collaboratore di diversi media messicani ed europei, Dean era nato a Trieste, Italia. Era arrivato in Messico negli anni ’90 ed era impegnato con diverse organizzazioni che lottano per i diritti civili. In Messico ha incontrato la sua compagna, Sol Patricia Rojo.

Dal Messico viaggiava in diverse parti del mondo per conoscere di prima mano i temi che lo appassionavano: i movimenti civili, i fenomeni migratori, la lotta per i diritti dei lavoratori.

Ha esercitato il giornalismo con la convinzione che questo era essenziale nella ricerca della giustizia, cosa che ha sempre guidato le sue azioni.

“Ti abbiamo voluto bene perché hai fatto di questa parte del mondo la tua dimora senza rinunciare al tuo spirito planetario, alla tua vocazione di un mondo senza barriere né confini”, ha scritto il suo amico David Suárez in un commento alla notizia della sua morte pubblicata dal quotidiano La Jornada, di cui era collaboratore.

La moglie Sol Patricia ha informato che il corpo di Matteo Dean sarà trasferito in Italia. http://www.proceso.com.mx/?p=272505

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Fratello, Amico, Compagno, Addio

México D.F. La notte di sabato 11 giugno è deceduto il nostro compagno Matteo Dean in conseguenza di un incidente automobilistico. Matteo era un collaboratore attivo della nostra rivista. Da più di dieci anni Matteo viveva in Messico, dove, attraverso le sue interviste, articoli e inchieste lanciava ponti per conoscere e capire le realtà sociali dell’America Latina e d’Europa.

Il suo impegno sociale per fare di questo mondo un posto degno e libero l’ha portato a compromettersi sempre dl basso con i movimenti sociali ed uno dei suoi fronti di lotta è stato il giornalismo. Come giornalista indipendente ha collaborato con giornali e riviste come La Jornada, Proceso, Diagonal, Il Manifesto, Global Project, RaiNews24, L’Espresso. Oltre a mantenere attivo il suo stesso blog.

Con la morte di Matteo perdiamo, innanzitutto, un compagno, un fratello, “carnale” direbbe lui stesso. Da Desinformémonos ci uniamo a tutte e tutti i compagni che Matteo ha incontrato nel mondo. http://desinformemonos.org/2011/06/hermano-amigo-companero-adios/

 

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La Jornada – Giovedì 9 giugno 2011

I “prigionieri politici” della Voz del Amate denunciano furti e abusi della polizia

Hermann Bellinghausen

I “prigionieri politici” della Voz del Amate, aderenti all’Altra Campagna reclusi nel Centro Statale di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 5,a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, denunciano un operativo a sorpresa ingiustificato del gruppo chiamato Lobo, che è entrato nelle loro celle rubando oggetti e denaro.

I fatti, denunciati oggi, sono avvenuti lo scorso 25 maggio. Il gruppo di agenti specializzati ha effettuato una “perquisizione a sorpresa” ed ha sequestrato tutti gli elettrodomestici di proprietà dei reclusi. Il direttore della prigione, David Montero Moreno, ha dichiarato che gli utensili, principalmente radio e riproduttori di musica, sono stati consegnati al sottosegretario Gustavo Ferreira Jiménez che li restituirà ai proprietari a condizione che gli mostrino lo scontrino di acquisto.

“Questo è impossibile”, sostengono i detenuti, perché “molti di questi elettrodomestici sono stati comperati all’interno del carcere” da persone che ora non sono più in carcere. Oltre ad essere i legittimi proprietari degli oggetti, dichiarano, “questi ci servono per ascoltare riflessioni di crescita personale e per il nostro reinserimento”.

La Voz del Amate denuncia questi “abusi delle autorità incompetenti”, esige la restituzione dei loro oggetti e rivolge un appello al governatore Juan Sabines Guerrero affinché “dia istruzioni affinché si restituiscano televisori, registratori, riproduttori di dvd”, e tutti gli oggetti di loro appartenenza.

Esta clase de abusos y hostigamientos no son aislados: “En todos los centros penitenciarios del estado la población tiene mucho qué decir, lo cruel y triste que vivimos bajo las amenazas de los que se hacen llamar autoridades”, dicen finalmente los presos que, por lo demás, llevan varios años deman- dando su libertad, dado que sostienen que su encarcelamiento es injusto, pues son inocentes de los cargos por los cuales fueron procesados: es el caso del profesor tzotzil Alberto Patishtán Gómez, quien ha purgado condena durante más de una década por delitos que se sabe no cometió. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/09/politica/025n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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La Jornada – Mercoledì 8 giugno 2011

Il Frayba chiede la liberazione di otto campesinos in carcere in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Gli otto chiapanechi abitanti della città rurale Nuevo Juan de Grijalva (municipio deiOsatuacán) ed in carcere da marzo insieme al loro avvocato a Pichucalco, Chiapas, sono vittime di un’ingiustizia ed inoltre non hanno goduto delle garanzie processuali a cui hanno diritto, secondo il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), il quale chiede la loro immediata liberazione e la sospensione delle vessazioni della polizia contro altri loro compagni e familiari.

Il Frayba ricapitola: il 17 marzo, durante una manifestazione pacifica nell’ejidoeJuan del Grijalva sono stati catturati “in maniera arbitraria e con l’inganno” Marcelo Díaz Castellanos, Ceferino Hernández Castro, Fidencio Altunar Cabos, José Francisco López Díaz e Teodoro Sánchez Morales, da poliziotti ministeriali, la Procura del Distretto Nord, il cui responsabile è José Luis Gómez Santaella, e dall’agente del Pubblico Ministero di Ostuacán, con l’appoggio della Polizia Statale Preventiva.

I detenuti sono accusati “di associazione a delinquere, attentato alle vie di comunicazione ed opposizione alla realizzazione di un’opera pubblica”, e durante la sua deposizione erano stati assegnati degli avocati d’ufficio “che si sono limitati a firmare le carte” senza offrire assistenza né difesa adeguate. I primi cinque arrestati hanno firmato documenti di cui ignoravano il contenuto ed il 18 marzo sono stati trasferiti a Quinto Pitiquitos, a Chiapa de Corzo. Dopo 28 giorni, il 14 aprile sono stati messi a disposizione de giudice di prima istanza nel Centro Statale di Reinserimento Sociale numero 10 a Pichucalco.

Il 15 aprile, dopo aver fatto visita in prigione ai cinque campesinos, sono stati arrestati Pascacio López Álvarez ed Andrés Díaz Bouchot, così come Juan José Narváez Bautista, avvocato difensore, che si trovava sul posto per assistere i detenuti. Il 25 maggio,a Ostuacán, è stato arrestato Héctor Díaz Castellanos.

“La privazione arbitraria della libertà di queste nove persone avviene in un contesto di criminalizzazione della protesta sociale contro gli ejidatarios di Juan de Grijalva che chiedono il rispetto di un verbale di accordo firmato dal governo dello stato”, sottolinea il Frayba.

L’8 marzo, a Juan del Grijalva, abitanti di quell’ejido, della comunità Loma Bonita e degli ejidos Cuauhtémoc e Playa Larga terza sezione, che vivono nella città rurale, hanno iniziato un blocco ed una manifestazione pacifica sulla strada ejidale che conduce agli uffici del Grupo il México ed alla costruzione dei tunnel sotto il fiume Grijalva.

I manifestanti chiedevano il rispetto dei verbali di accordo firmati a luglio del 2010, nei quali il governo del Chiapas si impegnava a pagare le terre colpite dal disastro naturale del 2007, oltre che a pagare per i lavori che la Commissione Federale di Elettricità (CFE) sta realizzando sulle loro terre attraverso il Grupo México.

Le altre persone che partecipavano alla manifestazione e che oggi risiedono nella città rurale “hanno paura di essere arrestate”, sottolinea il Frayba. Si sa di alcuni che “sono fuggiti in montagna”.

Il Frayba ritiene che il governo del Chiapas eserciti “azioni di repressione contro i coloni dell’ejido”. Solo pochi mesi fa erano i preferiti dalla propaganda governativa.

Il 4 novembre 2007, a Juan del Grijalva c’è stata una grande inondazione. I sopravvissuti sono stati ricollocati nella città rurale Nuevo Juan del Grijalva ed il governo si era impegnato a pagare le loro terre. Attualmente nella zona nota come El Tapón del Grijalva, la CFE sta costruendo due opere pubbliche, una appaltata al Grupo México, una delle principali imprese transnazionali produttrici di rame. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/08/politica/023n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Lettera del Subcomandante Insurgente Marcos al Movimiento Ciudadano por la Justicia 5 de Junio

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico, Giugno 2011

“El dolor nos recuerda
Que podemos ser buenos,
Que alguien mejor nos habita,
Que corre en noble sentido el río de las lágrimas.
 
Dolor llamamos al envés de la hoja de la risa,
A la tiniebla que queda al otro lado de la estrella
Que en tu frente tenía apacible nombre
Y orientaba nuestros pasos día a día.
 
Dolor es el combustible con que arde
La llama de recuerdos que ilumina
Una noche del olvido derrotado
Por el rayo de tu risa al revolar.
 
Dolor se llama el duelo

De vivir por tu memoria.”

 Frammento di “49 Globos”.Juan Carlos Mijangos Noh.

Al: MOVIMIENTO CIUDADANO POR LA JUSTICIA 5 DE JUNIO, ai familiari dei bambini e delle bambine morti e feriti all’Asilo ABC il 5 giugno del 2009, ed a tutti coloro solidali con la loro lotta.

Hermosillo, Sonora, Messico.

Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Chiapas, Messico.

Scrivo a nome delle donne, uomini, anziani e bambini dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, per salutarvi ed esprimere il nostro rispetto ed ammirazione per la vostra degna lotta.

Non è facile tirar fuori parole dal dolore, noi lo sappiamo.

E dalla rabbia?

Dal sapere che i malgoverni ignorano di proposito il reclamo di giustizia?

Dal vedere come si manipola il calendario per simulare giustizia e per calcolare che la dimenticanza coprirà la morte? La morte assurda di 49 piccoli e le decine di feriti, bimbi senza altra colpa se non quella di essere nati in un paese dove il governo ha unito il nepotismo alla corruzione e all’impunità.

Poco o niente possiamo aggiungere a quello che le vostre degne parole hanno denunciato su quanto accaduto: la disgrazia che si abbatte su chi né l’aspettava né la meritava; l’irresponsabilità che l’ha favorita; la complicità di governi, legislatori e giudici; il continuo rimandare l’indagine approfondita. Ed i nomi e le immagini delle bambine e dei bambini, le azioni e le mobilitazioni per onorarli nel modo migliore, cioè, chiedendo la punizione dei responsabili, la giustizia per le vittime e l’adozione di misure che impediscano che la tragedia si ripeta.

Abbiamo saputo di tutto questo e di altro dalla vostra pagina internet (http://www.movimiento5dejunio.org ) e dal libro “Siamo noi i colpevoli” di Diego Enrique Osorno, che ricostruisce il rompicapo della tragedia.

La morte di una bambina, di un bambino, è sempre sproporzionata. Investe e distrugge tutto quanto le sta intorno. Ma quando questa morte è seminata e coltivata dalla negligenza e dall’irresponsabilità di governi che hanno trasformato l’inettitudine in affare, qualcosa di molto profondo scuote il cuore collettivo che in basso fa girare la pesante ruota della storia.

Dunque le domande crescono: perché? chi sono i responsabili? che cosa si fa affinché mai più si ripeta questa tragedia?

Ed è stato lil vostro impegno ciò che ci ha dato le risposte. Perché dall’alto abbiamo visto solo disprezzo, scherno, simulazioni e bugie.

La bugia è sempre un oltraggio, ma quando dal Potere si trama per nascondere a familiari ed amici, è una vergogna.

Là in alto non si sono pentiti. Non lo faranno. Invece di onorare i bimbi morti nell’unico modo che sarebbe loro permesso, cioè, attraverso la giustizia, continuano nei loro giochi di guerra dove loro vincono e tutti perdono.

Perché non è rassegnazione davanti alla morte quello che si predica da lassù. Quello che vogliono è il conformismo di fronte all’irresponsabilità che ha bruciato e ferito quelle vite.

Lontani come siamo, per calendario e geografia, non mandiamo parole di conformismo né di rassegnazione. Non solo perché né l’uno né l’altro possono far fronte alle conseguenze di questo crimine che ora compie 2 anni. Ma anche, e soprattutto, perché la vostra lotta ci suscita rispetto ed ammirazione per la vostra causa, per il vostro agire ed il vostro impegno.

Là in alto dovrebbero sapere che unisce non solo il dolore, ma anche l’esempio di lotta tenace che si muove in quel dolore.

Perché voi, uomini e donne portati dalla disgrazia in questa lotta, siete esseri straordinari che risvegliano la speranza in molti angoli del nostro paese e del pianeta.

Come sono straordinari quegli uomini e quelle donne che di nuovo, nella Carovana per la Pace con Giustizia e Dignità, ricordano a chi malgoverna, ai criminali ed al paese intero, che è una vergogna non fare niente quando la guerra si impossessa di tutto.

Da uno di questi angoli, dalle terre indigene del Chiapas, le zapatiste, gli zapatisti, vi guardiamo dal basso, sapendo che il dolore ingigantisce anche i passi se sono degni.

E queste righe che ora vi scriviamo, sono animate solo dal desiderio di dirvi una cosa:

Benedetto il sangue che ha dato la vita a queste bambine e bambini, e maledetto il sangue di chi gliel’ha tolta.

E dirvi di contare su di noi che, benché lontani e piccoli, riconosciamo la grandezza di chi sa che la giustizia si ottiene solo con la memoria e mai con la rassegnazione.

Forse un giorno verrete in queste terre. Qua troverete un cuore scuro che vi abbraccerà, orecchie attente per ascoltare, ed una storia pronta ad imparare da voi.

Perché le grandi lezioni, quelle che cambiano il cammino della storia, vengono esattamente dalle persone che, come voi e coloro che ora marciano, fanno della memoria la strada per crescere.

Con voi, e con chi ora marcia, potremo allora, insieme, voi, loro, noi, pronunciare parole dove il dolore sia una cicatrice che ci ricordi e ci impegni a che mai più si ripeta la disgrazia, e che finalmente termini il sanguinoso carnevale con cui in alto festeggiano l’impunità e la vergogna.

Mentre tutto questo accade, da qua continueremo ad ascoltarvi e ad imparare da voi.

Vale. Salute e che finalmente la giustizia avanzi in basso.

Dalle montagne del Sudeste Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Giugno 2011

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/06/06/6-de-junio-sci-marcos-carta-al-movimiento-ciudadano-por-la-justicia-5-de-junio/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 2 giugno 2011

Gli abitanti di Juan de Grijalva, in Chiapas, denunciano persecuzioni

Hermann Bellinghausen

Un gruppo di famiglie della comunità Juan de Grijalva, Chiapas, in maggioranza donne, residenti della cosiddetta “prima città rurale sostenibile del mondo”, ejido Nuevo Juan de Grijalva, municipio di Ostuacán, denunciano persecuzioni e vessazioni da parte della polizia per aver manifestato pacificamente per chiedere al governo il rispetto dei suoi impegni, molto reclamizzati mesi fa. Otto membri della comunità ed il loro avvocato si trovano in carcere dal 13 aprile scorso.

“Oggi la famosa città rurale non ha niente di sostenibile, come afferma il governatore Juan Sabines Guerrero, la cosa vera è che è stato tutto un fallimento”. Nel chiedere la liberazione dei loro famigliari e l’intervento della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), queste famiglie contadine descrivono un panorama eloquente:

“Vogliamo far sapere della nostra disperazione, la nostra impotenza, la nostra indignazione. La comunità intera è in attesa di altri gravi eventi, l’arresto di molte altre persone, tra queste donne e ragazzi minorenni. La zona sud della città rurale è sola, la maggioranza delle persone hanno dovuto rifugiarsi in posti sicuri per paura delle minacce e della persecuzione”.

Arresto con l’inganno

Nel Centro di Rieducazione Sociale (Cereso) di Pichucalco sono rinchiusi l’avvocato Juan Narváez ed i contadini Teodoro Sánchez Mórales, Marcelo Díaz Castellanos, Héctor Díaz Castellanos, Ceferino Hernández Castro, Fidencio Altunar Cobos, José Francisco López Díaz, Pascasio López Álvarez e Andrés Díaz Bouchot. “Solo per aver fatto una manifestazione affinché il governo e la Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) li ascoltassero per negoziare e pagassero per i danni provocati sulle loro terre”. Oggi sono accusati di “associazione a delinquere e sommossa”.

Questo il risultato di una “manifestazione pacifica in una degli appezzamenti dell’ejido” il 17 marzo scorso: “Mentre parte della comunità era raccolta”, raccontano, hanno fatto irruzione 200 o 300 poliziotti “tra loro anche ministeriali”. Gli agenti, “in maniera arbitraria li hanno portati via con l’inganno, con la scusa che li portavano a negoziare il pagamento delle terre e le diverse somme”. In realtà si è trattato di un arresto su ordine, denunciano le famiglie, del pubblico ministero della Procura Generale di Giustizia dello Stato del municipio di Pichucalco, José Luis Gómez Santaella, e del Pubblico Ministero di Ostuacán, Esgar Benjamín Estrada Cervantes.

Ricordano l’origine del loro nuovissimo villaggio, dopo un terribile disastro naturale, la frana di una collina. Era il novembre del 2007, “in un posto attualmente conosciuto come ‘el Tapon’, sulle rive del fiume Grijalva”, al confine con Tabasco.

Il disastro “non solo provocò l’ostruzione del fiume, ma anche la distruzione del nostro villaggio e la morte di molti nostri famigliari, e tutte le case distrutte. Oggi dicono che il loro “lutto è senza fine”.

A causa di questi eventi, “i governi federale e statale diedero risorse ed aiuti ai disastrati”, ma “solo ne momento del disastro”.

Così è stata creata “la prima città rurale sostenibile del mondo”, Nuevo Juan de Grijalva. “Si credeva di cambiare lo stile di vita degli sfollati; in questo non hanno sbagliato, è stato così, ma non per il bene di questa comunità”. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/02/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 29 maggio 2011

CDHFBC: Il governo non rispetta i diritti che ratifica a livello mondiale

Hermann Bellinghausen

“Il governo messicano non rispetta, protegge né garantisce i diritti umani che ratifica di fronte alla comunità internazionale, cosa che dimostra l’inefficienza del sistema della giustizia e la mancanza di volontà di ritrovare le vittime di questi crimini di lesa umanità”, ha dichiarato in Chiapas il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC).

Nel contesto della Settimana Internazionale del Detenuto Desaparecido, aggiunge: “Lo abbiamo constatato nei casi di sparizione forzata di persone che questo centro ha documentato”, e si unisce alla richiesta di ripresentare in vita le persone scomparse nel mondo, in America Latina, in Messico, ed in particolare in Chiapas, “dove, durante il conflitto armato interno ancora non risolto, attraverso una guerra di bassa intensità, lo Stato messicano è responsabile di gravi violazioni ai diritti umani”.

Il CDHFBC spiega che in Chiapas, “nel periodo più intenso del conflitto armato interno, la sparizione forzata di persone era una pratica comune”. Tra il 1995 e il 2001, durante il periodo presidenziale di Ernesto Zedillo, il centro documentò, solo nella zona nord dello stato, la sparizione forzata di 32 uomini e 5 donne per azioni del gruppo paramilitare Desarollo, Paz y Justicia, o Paz y Justicia, sparizioni che “rispondevano ad un piano di contrainsurgencia vigente dal 1994, con la finalità di annientare le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale ed i suoi simpatizzanti”. Allora, Paz y Justicia aggrediva la popolazione civile nei municipi di Tila, Tumbalá, Sabanilla, Yajalón e Salto de Agua. Il gruppo si distingueva per la violenza attraverso imboscate, sgomberi, sparizioni, omicidi, violenze sessuali e torture”. L’organizzazione registra anche una trentina di indigeni zapatisti desaparecidos nel gennaio del 1994 durante i combattimenti contro l’Esercito federale.

Ma la situazione è andata avanti: “Con una politica contrainsurgente simile, il 13 novembre del 2006, a Viejo Velasco, Ocosingo, la comunità subì un’imboscata da parte di civili armati dell’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (OPDDIC), accompagnati da 300 elementi di Pubblica Sicurezza”. L’attacco provocò l’uccisione di quattro persone e la sparizione di Mariano Pérez Guzmán, Miguel Moreno Montejo, Pedro Núñez Pérez e Antonio Peñate López.

La pratica della sparizione forzata, come stabilisce lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, “costituisce un crimine di lesa umanità, dato che implica una violazione multipla e continuata dei diritti umani essenziali”.

L’organizzazione civile rileva che lo Stato messicano figura tra i principali promotori della Convenzione Interamericana sulla Sparizione Forzata delle Persone, lo Statuto di Roma e la Convenzione Internazionale per la Protezione di Tutte le Persone contro le Sparizioni Forzate. “Il paradosso è che ha introdotto riserve molto chiare per quanto riguarda la giurisdizione militare”, cosa che permette “violazioni dei diritti umani perpetrate da personale militare”.

Inoltre, è stata cancellata la procura speciale per i crimini del passato e si è omesso di eseguire “investigazioni adeguate per la sparizione di Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sánchez, membri dell’Esercito Popolare Rivoluzionario”, mentre tiene nell’impunità le sparizioni di emigranti che attraversano il territorio messicano”.

Rispetto alla convenzione internazionale per la protezione contro le sparizioni, il governo messicano si è riservato il non riconoscimento della competenza del Comitato Contro la Sparizione Forzata che esamina i casi presentati dalle vittime, i loro familiari o rappresentanti. “Decisione incompatibile con la natura stessa del trattato” che conferma, secondo il CDHFBC, “la mancanza di volontà politica di intraprendere azioni reali per abbattere e sradicare questa pratica”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/29/politica/003n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Governo messicano responsabile della sparizione forzata di persone

Centro dei Diritti Umani
Fray Bartolomé de Las Casas, AC

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
27 di maggio 2011

Comunicato

Nella cornice della Settimana Internazionale del Detenuto Scomparso, questo centro dei Diritti Umani si unisce alla richiesta di rivedere vive le persone forzatamente scomparse nel mondo, nel continente latinoamericano, in Messico e in Chiapas durante il conflitto armato interno ancora non risolto dove, attraverso una guerra di bassa intensità, lo Stato messicano risulta responsabile di gravi violazioni dei diritti umani.

La pratica della sparizione forzata di persone, come stabilisce lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, costituisce un Crimine di Lesa Umanità [1], dato che implica una violazione molteplice e continuata dei diritti umani essenziali quali sono il diritto alla vita, alla libertà personale, all’integrità personale, alla sicurezza personale, ad avere personalità giuridica, protezione e garanzie giudiziarie.

In Chiapas, durante il periodo più acuto del conflitto armato interno, la sparizione forzata di persone era una pratica comune e, nel periodo che va dal 1995 al 2001, questo Centro dei Diritti Umani ha documentato nella zona Nord dello stato, la sparizione forzata di 32 uomini e cinque donne a causa dell’attività del gruppo paramilitare “Desarrollo Paz y Justicia” (Paz y Justicia), le cui azioni rispondevano ad un piano di controinsorgenza vigente dal 1994, con l’obbiettivo di eliminare le Basi d’Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e i suoi simpatizzanti.

In una politica controinsorgente, simile a quella descritta sopra, il 13 di novembre 2006, a Viejo Velasco, nel municipio di Ocosingo, Chiapas, la comunità subì un’imboscata da parte di civili armati identificati come Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (OPDDIC) scortati da 300 elementi della sicurezza pubblica, con il risultato di quattro persone assassinate e la sparizione forzata di Mariano Pérez Guzmán, Miguel Moreno Montejo, Pedro Núñez Pérez y Antonio Peñate López, anche conosciuto come Juan Peñate Montejo.

In questo scenario, è opportuno evidenziare che in ambito internazionale lo Stato messicano figura come uno dei principali promotori della Convenzione Interamericana sulla sparizione forzata di persone, dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, della Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone contro la sparizione forzata, tra i tanti strumenti internazionali in materia. Il paradosso è che ha fatto eccezioni molto evidenti per quanto concerne la giustizia militare, così che attraverso di esse continua a permettere violazioni dei diritti umani perpetrati da effettivi militari, oltre ad aver chiuso la procura speciale che investigava i crimini del passato e non aver effettuato le ricerche adeguate sulla sparizione forzata di Edmundo Reyes Amaya y Gabriel Alberto Cruz Sánchez, membri dell’Esercito Popolare Rivoluzionario, così come continua a mantenere impunite le sparizioni forzate delle persone migranti che attraversano il territorio messicano.

Rispetto alla Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate, il governo messicano ha stabilito il non riconoscimento della competenza del Comitato contro La Sparizione Forzata, istituito per ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate dalle vittime, dai loro famigliari o rappresentanti. Questa decisione è incompatibile con la natura stessa del trattato e lascia nuovamente vedere la mancanza di volontà politica di intraprendere azioni reali al fine di abbattere e sradicare la suddetta pratica.

Quello che abbiamo verificato attraverso i casi di sparizione forzata di persone documentati da questo Centro dei Diritti Umani, è che il governo messicano non rispetta, né protegge, né garantisce in ambito nazionale i diritti umani che ratifica davanti alla comunità internazionale, la qual cosa dimostra l’inefficacia del sistema giudiziario e la mancanza di volontà di trovare le vittime di questi fatti criminali di lesa umanità

Di fronte alla situazione sopra descritta chiediamo di rivedere vivi:

Amado Gómez Torres, desaparecido forzadamente el 7 de mayo de 1996, en Unión Juárez, Sabanilla.

Antonio González Méndez, desaparecido forzadamente el 19 de enero de 1999, en El Calvario, Sabanilla.

Basilio Gutiérrez López, desaparecido forzadamente el 6 de junio de 2001, en Misopá Chinal, Tila.

Braulio López Pérez, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, Tila.

Cándido Vázquez Sánchez, desaparecido forzadamente el 30 de septiembre de 1994 en El Crucero, Tila.

Carmelino Pérez Jiménez o Carmelo Pérez López, desaparecido forzadamente el 5 de junio de 1996 en Los Moyos Sabanilla.

Carmelino Vázquez Sánchez, desaparecido forzadamente entre el 12 y 17 de junio de 1996 en Patastal, Tila.

Cruzindo Álvarez Jiménez, desaparecido forzadamente el 19 de junio de 1996 en Jesús Carranza, Sabanilla.

Domingo Jiménez Sánchez, desaparecido forzadamente el 2 o 3 de septiembre de 1996 en Rancho Santa Rosa, ejido Huanal, Tila.

Domingo Ortiz Gutiérrez, desaparecido forzadamente el 25 de junio de 1996 en Panchuc Corozil, Tila.

Domingo Pérez Martínez, desaparecido forzadamente en junio o julio de 1996, zona Norte.

Emilio Martínez Pérez, desaparecido forzadamente el 10 de septiembre de 1996, en Masojá Grande, Tila.

Encarnación Pérez Pérez, desaparecido forzadamente el 12 de agosto de 1996 en Masojá Chico, Tila.

Fernando López Martínez, desaparecido forzadamente el 19 de junio de 1996 en Jesús Carranza, Sabanilla.

Florencio Gutiérrez Vázquez, desaparecido forzadamente el 3 de junio de 1996 en zona Norte.

Florentino Pérez Sánchez, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995 en el municipio Tila.

Guadalupe Hernández Jiménez, (indígena Chol) desaparecido forzadamente el 4 de junio de 1996, Los Moyos, Sabanilla.

Guadalupe Sánchez López, desaparecida forzadamente el 25 de junio de 1995 en Pachuc Corozil, Tila.

Gustavo Hernández Parcero, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, en El Crucero, Tila.

Hermelinda Pérez Torres, desaparecida forzadamente el 21 de junio de 1996, en Miguel Alemán, Tila.

Juan Ramírez Torres, desaparecido forzadamente el 4 o 5 de junio de 1996, en Miguel Alemán, Tila.

Lorenzo García García, desaparecido forzadamente el 20 de noviembre de 1994, Tzaquil, Tila.

María López Méndez, desaparecida forzadamente el 24 de marzo de 1995, Emiliano Zapata, Tumbalá.

María Rebeca Pérez Pérez, desaparecida forzadamente el 12 de agosto de 1996, Masojá Chico, Tila.

Mateo Arcos Guzmán, desaparecido forzadamente el 1 de agosto de 1997, Aguascalientes, Tila.

Mateo Jiménez López, desaparecido forzadamente el 24 de mayo de 1996, Usipá, Tila.

Mateo Méndez Jiménez, desaparecido forzadamente el 24 de mayo de 1996, Usipá, Tila.

Miguel López López, desaparecido forzadamente el 4 de septiembre de 1996, municipio Tila.

Miguel Parcero Parcero, desaparecido forzadamente el 1 de agosto de 1997, 1 de Enero de 1997.

Minerva Guadalupe Pérez Torres, desaparecida forzadamente el 20 de junio de 1996, Miguel Alemán, Tila.

Oscar Jiménez Jiménez, desaparecido forzadamente el 19 o 20 de junio de 1996 en Pachuc Corozil, Tila.

Pascual Ortiz Sánchez, desaparecido forzadamente el 25 de junio de 1995, Panchuc Corozil, Tila.

Pascual Ramírez Gómez, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, municipio Tila.

Pedro Álvaro Arcos, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, municipio Tila.

Ramón Ramírez López, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, municipio Tila.

Sebastián Vázquez Martínez, desaparecido forzadamente el 14 o 15 de agosto de 1996, municipio Tila.

Gerónimo Gómez López, desaparecido forzadamente el 20 de diciembre de 2000 en Simojovel.

José Hidalgo Pérez, desaparecido forzadamente el 10 de junio de 1999, San Cristóbal de Las Casas.

Antonio Guzmán González, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Fernando Ruiz Guzmán, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Marco Guzmán Pérez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Doroteo Ruiz Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Diego Aguilar Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Eliseo Hernández Cruz, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Eusebio Jiménez González, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juan, Ocosingo.

Santiago Pérez Méndez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juan, Ocosingo.

Marcos Pérez Córdoba, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juan, Ocosingo.

Juan Mendoza Lorenzo, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Miguel, Ocosingo.

Elíseo Sánchez Pérez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Miguel, Ocosingo.

Leonardo Méndez Sántiz, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Garrucha, Ocosingo.

Carmelo Méndez Méndez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Carmen Pataté, Ocosingo.

Javier Hernández López, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Carmen Pataté, Ocosingo.

Enrique González García, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Marcelo Pérez Jiménez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Manuel Sánchez González, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Nicolás Cortez Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Vicente López Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Javier López Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Nuevo Suchilá, Ocosingo.

Alejandro Sánchez López, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Galeana, Ocosingo.

Enrique Hernández Vázquez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Martinica, Ocosingo.

Juan N, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Ibarra, Ocosingo.

Floriberto López Pérez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Pedro López García, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Alfredo Sánchez Méndez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Santiago Ramírez Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juanito, Ocosingo.

Apolinar López López, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Francisco, Ocosingo.

Rogelio García García, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Carmen Chiquito, Ocosingo.

Silverio Gómez Alvarez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Norte de Chiapas, Ocosingo.

Bartolo Pérez Cortés, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Marcos Gómez Velasco, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Chanal, Ocosingo.

Arturo Aguilar Jiménez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Yaxkul, Ocosingo.

Francisco Gómez Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Mariano Pérez Guzmán, Miguel Moreno Montejo, Pedro Núñez Pérez y Antonio Peñate López, también conocido como Juan Peñate Montejo, desaparecidos forzadamente el 13 de noviembre de 2006 en Viejo Velasco, Ocosingo.

Edmundo Reyes Amaya y Gabriel Alberto Cruz Sánchez, desaparecidos forzadamente el 24 de mayo de 2007, Oaxaca de Juárez, Oaxaca.

Le e i migranti spariti forzatamente in territorio messicano.

[1] Convenzione Interamericana sulla sparizione forzata di persone. Disponibile qui: http://www.oas.org/juridico/spanish/Tratados/a-60.html

Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate. Disponibile qui: http://www2.ohchr.org/spanish/law/disappearance-convention.htm

Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Disponibile qui: http://www.derechos.net/doc/tpi.html

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.orghttp://www.caferebeldefc.org)

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La Jornada – Giovedì 26 maggio 2011

Gli zapatisti denunciano un tentativo di esproprio a San Antonio Toniná. La proprietà si trova nelle immediate vicinanze di un sito archeologico

HERMANN BELLINGHAUSEN

La giunta di buon governo zapatista (JBG) El camino del futuro, corrispondente al caracol di La Garrucha, Chiapas, ha allertato su un nuovo tentativo di esproprio nelle vicinanze del sito archeologico di Toniná, contro un proprietario che è base di appoggio dell’EZLN. La proprietà, denominata San Antonio Toniná, appartiene legalmente e legittimamente ad Alfonso Cruz Espinosa, del municipio autonomo Francisco Gómez. Gli zapatisti accusano l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) ed il governo statale di non rispettare un accordo firmato più di due anni fa.

A febbraio di quest’anno, Cruz Espinosa era stato citato presso il giudice di distretto di Ocosingo. Ora, il magistrato “minaccia di sgomberare il compagno ed agenti di Pubblica Sicurezza si introducono nel campo senza rispetto apponendo i timbri della INAH”. La JBG dichiara che quella terra è “dell’EZLN, non del malgoverno”.

La JBG ricorda che l’11 febbraio 2009, rappresentanti dell’INAH, il governo statale ed autorità municipali firmarono un verbale di consegna-ricevimento di San Antonio Toniná al suo proprietario legittimo, dopo un conflitto scoppiato nell’aprile 2008, quando Cruz Espinosa realizzò un laghetto nella sua proprietà – “affinché i suoi animali potessero bere” – e la INAH cercò di cacciarlo, arrestarlo e fargli pagare una multa per presunti danni sui terreni della zona archeologica. Dopo l’intervento del consiglio municipale autonomo e della JBG, il delegato dell’INAH, la segretaria di Governo del Chiapas, insieme a diversi funzionari, firmarono l’accordo menzionato, col quale il problema era apparentemente risolto.

Ora, vogliono approfittare dei familiari di Cruz Espinosa, i quali, “consigliati dal malgoverno, vogliono appropriarsi delle terre per negoziarle con il malgoverno stesso”, come denuncia la giunta zapatista. Questa dichiara che la proprietà è stata recuperata con il suo intervento, “e alla fine consegnata al compagno, legalmente e di diritto, ed esistono documenti che avallano che la terra gli appartiene”.

La nuova persecuzione contro il proprietario è iniziata a febbraio di quest’anno. A sostegno della sua argomentazione, la denuncia zapatista è accompagnata da una copia dell’accordo firmato. Lì si specifica che anche le terre attigue all’accampamento dell’INAH “sono di proprietà di Alfonso Cruz Espinosa, il quale può disporre di esse senza contravvenire alle norme e regole dell’istituto”, il quale “dovrà rispettare i diritti del proprietario”, facilitare la reinstallazione dell’energia elettrica e la fornitura di acqua nella proprietà.

Le autorità autonome dichiarano: “Noi dell’EZLN ne abbiamo abbastanza delle minacce”. Ed aggiungono: “che sia chiaro al malgoverno di Felipe Calderón che queste terre recuperate sono dell’EZLN e sono per le sue basi di appoggio”. La terra “non si cede, non si compra e non si vende; la difenderemo e non permetteremo che si continuino a vessare le basi di appoggio”.

Ritengono direttamente responsabili i tre livelli del governo di qualunque azione “che attenti all’integrità fisica del compagno e della sua famiglia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/26/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia della Comunità di Cruztón, Municipio di Venustiano Carranza, Chiapas, Messico.

23 maggio 2011

 Alla Giunta di Buon Governo della Zona Altos, con sede in Oventic, Chiapas.

Alle e agli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

Alla Zezta Internazionale.

Ai Media Alternativi.

Alle Organizzazioni per i Diritti Umani.

Compagne e compagni:

Prima di tutto mandiamo un grande saluto da parte de@ compagn@ aderenti a L’Altra Campagna della nostra comunità. Oggi vogliamo informarvi di quanto sta accadendo.

Il giorno 5 aprile 2011 alle 12:30pm circa, stavamo lavorando nella nostra proprietà, quando sono arrivate quattro persone che hanno detto di chiamarsi Mariano Pérez Pérez, Dionisio Pérez Díaz, Pedro Pablo Pérez Pérez e Domingo López López, i primi tre primi hanno detto di essere di Nuevo Amatenango e l’ultimo del Poblado Nuevo San Juan, entrambi del municipio di Teopisca, e che venivano da parte della Procura Agraria e del dirigente Felipe Gómez Díaz perché qui ci sono alcune terre abbandonate ed che inoltre ce ne sono in abbondanza. Noi abbiamo risposto che si trovavano sulle nostre terre recuperate e che qui non ce ne sono altre, e che da anni sono le nostre terre perché le hanno coltivate i nostri nonni e noi le abbiamo recuperate nel 2007 ed a giugno del 2009 il malgoverno ha risolto questo conflitto lasciando in nostro possesso i 249-39-06.574 ettari patrimonio delle nostre famiglie.

Dal 5 aprile al 16 maggio di quest’anno, girano voci che ci siano persone della comunità che si stiano unendo in gruppo per sottrarci le nostre terre e che in questo gruppo ci siano persone della nostra stessa comunità. Inoltre abbiamo saputo che il signor Valentín Jiménez González, che è stato Presidente del Commissariato Ejidale dell’Ejido San José Cerro Grande I, che con l’inganno invase la nostra proprietà e che più tardi la regolarizzò come un nuovo ejido grazie al programma Procede, e che nel giugno del 2009 ha ricevuto “un aiuto economico con la finalità di saldare la controversia sociale agraria” e questo accordo prevedeva che le terre restassero in legittimo possesso di noi, gli Aderenti all’Altra Campagna, sta organizzando le persone per tornare a sottrarci le nostre terre.

Secondo le voci che circolano, il signor Valentín ha venduto per 60 mila pesos al signor Guadalupe Cruz, i documenti del suo presunto Ejido San José Cerro Grande I, documenti che dal giugno del 2009 sono senza valore perché ha rinunciato ai propri diritti agrari vigenti in relazione ai 249-39-06.574 ettari. per risolvere il problema, nei quali si prevede che le terre restano in nostro legittimo possesso ed inoltre si impegnava a non esercitare al presente o in futuro nessuna azione, nei fatti o per vie legali, per riprendersi le nostre terre. Per questo il signor Valentín vuole ingannare la gente per ricreare il conflitto e riprendersi la “sua parte” se il nuovo gruppo riuscirà a sottrarci le nostre legittime terre. Noi abbiamo sempre denunciato che i presunti ejidatarios dello scomparso Ejido San José Cerro Grande I, creano sempre problemi ed invadono le terre per poi fare affari con la nostra madre terra.

Per questo chiediamo al malgoverno di rispettare le nostre legittime terre che ci spettano di diritto. E che la Procura Agraria smetta di fomentare le persone ad invadere e creare altri problemi. Poiché noi lavoriamo e coltiviamo le nostre legittime terre, in maniera limpida, per il sostentamento dei nostri figli.

Riteniamo responsabile il malgoverno per quello che potrebbe accadere nella nostra comunità e che inoltre ci nformi immediatamente del risultato del “Accordo Quietanza” firmato il 3 giugno 2009 e presentato al Tribunale Unitario Agrario per la sua ratifica.

È per questo che vi chiediamo, compagne e compagni Aderenti all’Altra Campagna, di tenersi al corrente della nostra situazione, perché di nuovo il malgoverno vuole creare conflitti sulle nostre legittime terre.

Distintamente,

Comunità di Cruztón, Municipio di Venusiano Carrranza, Chiapas; Messico

Viva l’EZLN! Viva l’EZLN! Viiva l’EZLN!

La terra è di chi la lavora!

La terra non si vende, si coltiva e si difende!

Viva L’Altra Campagna!

Basta con la guerra di Calderón!

Visita il nostro Blog: http://www.chiapasdenuncia.blogspot.com/
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Área de Sistematización e Incidencia / Denuncia Pública
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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 20 maggio 2011

“Dichiarazione Mondale” de personalità e ONG per chiedere la liberazione dei 5 indigeni chiapanechi. Tra i firmatari anche Chomsky, American Indian Movement e lo scrittore guatemalteco Sergio Tischler

Hermann Bellinghausen

Per la liberazione dei cinque contadini tzeltales di San Sebastián Bachajón arrestati in Chiapas si sono pronunciati l’intellettuale Noam Chomsky; l’American Indian Movement negli Stati Uniti; lo scrittore uruguaiano Raúl Zibechi ed il ricercatore Sergio Tischler in Guatemala, con una “Dichiarazione Mondiale” appoggiata da 55 organizzazioni nazionali e 33 statunitensi.

In questa si chiede “il rispetto del diritto alla libera determinazione e l’esercizio di autonomia del popolo di San Sebastián, aderente all’Altra Campagna”, come stipulato dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti di detti popoli e gli Accordi di San Andrés, tutti firmati dallo Stato messicano.

Il pronunciamento esige ” Per il rispetto del diritto all’uso e sfruttamento delle risorse naturali che come Popoli originari hanno preservato nel corso di secoli “, e la liberazione immediata di Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán, Domingo García Gómez e Mariano Demeza Silvano. Infine, chiede “il ritiro immediato dei corpi di polizia e militari che tengono sotto assedio la zona dell’Ejido di San Sebastián Bachajón, esattamente agli accessi dello stabilimento balneare di Agua Azul che oggi è gestito dai governi statale e federale”.

Sottoscrivono queste istanze Fernanda Espinosa (Ecuador), Val Thien Tlapaltic (Filippine), Nikolitsa Angelepulou (Grecia), Benjamin Fogel e Jared Sacks (Sudafrica), e centinaia di altre persone in particolare da Messico, Stati Uniti e Italia, insieme ad organizzazioni di Spagna Svizzera, Germania, Argentina, Francia, Austria, Slovenia, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito, Uruguay, Belgio e Costa Rica. Inoltre, Abahlali Base Mjondolo (Movimento drgli Abitanti delle Case di Cartone) e Studenti per la Giustizia dell’Università Rhodes, in Sudafrica, e Calcutta for Global Justice, in India. (…)

Secondo la denuncia internazionale, la regione di Agua Azul, dove si trova San Sebastián, “è diventato il chiaro esempio dove i governi statale e federale esercitano con tutta la forza dello Stato per saccheggiare il territorio dei popoli indigeni”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/20/index.php?section=politica&article=021n1pol

Testo completo della dichiarazione: https://chiapasbg.wordpress.com/2011/05/20/dichiarazione-mondiale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Dichiarazione Mondiale a Sostegno degli Idigeni Tseltales di San Sebastián Bachajón Aderenti all’Altra Campagna

In Chiapas gli investimenti nel turismo e nelle infrastrutture, nella logica di “sviluppo” governativo attraverso il progetto Centro Integralmente Planificado Palenque (CIPP) che a sua volta fa parte del progetto più ambizioso denominato Mesoamérica (già noto come il Plan Puebla Panamá), sono ormai una contesa cruciale contro la costruzione di alternative di vita dei Popoli originari in Chiapas che lottano ormai da anni per il riconoscimento della propria autonomia come popoli nella cornice della libera determinazione, e che nella pratica esercitano il loro processo autonomistico. Sono loro che storicamente conservano le risorse naturali ed il proprio territorio, in un equilibrio di relazione razionale e umana. In quella lotta per la sopravvivenza si colloca la resistenza civile delle e degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (SSB) aderenti all’Altra Campagna (LOC) nella zona di Agua Azul.

I Popoli che resistono in difesa dei loro diritti devono affrontare, da parte dei governi neoliberali, molteplici azioni con le quali si intende distruggere l’organizzazione ed il lavoro di costruzione di altri mondi possibili. Oggi, il governo del Chiapas ha arbitrariamente arrestato e tiene sotto costante vessazione e minacce, 5 ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna, tutti innocenti dei reati di cui sono accusati, sono vittime del sistema giudiziario messicano corrotto, che ubbidisce alla voce degli interessi degli investimenti nazionali ed internazionali. Questo sistema serve a reprimere e distruggere i Popolo, le organizzazioni o le persone che non concordano con gli interessi del governo neoliberale, interessi che stanno provocando stragi e la morte di chi scommette su una vita in cui i diritti umani si sviluppino e si vivano in pienezza.

L’azione di repressione più recente affrontata dagli ejidatarios è avvenuta lo scorso passato 9 aprile 2011, quando circa 800 agenti della Polizia Statale Preventiva, Polizia Federale e Militari hanno sgomberato gli ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna che ore prima avevano preso il controllo del botteghino di ingresso alle cascate, lo stesso che era stato sottratto loro il 2 febbraio con un piano messo a punto dal governo del Chiapas insieme agli ejidatarios “filogovernativi”. La regione di Agua Azul è il chiaro esempio dove i governi statale e federale esercitano tutta la forza dello Stato per lo storico saccheggio del territorio dei Popoli indigeni.

Per le innumerevoli violazioni dei diritti umani compiute contro gli ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna, collettivi, comitati, movimenti, organizzazioni sociali e società civile così ci pronunciamo:

1. Per il rispetto del diritto alla libera determinazione e all’esercizio della propria autonomia del Popolo tseltal di San Sebastián Bachajón aderente all’Altra Campagna, come stipulato nel Trattato No.169 su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti; Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e gli Accordi di San Andrés, Documento 1, 3. 1. Documento 2, II, IV (2. 3.); Documento 3.1 (c, d); Documento 1, Principio della nuova relazione 5.

2. Per il rispetto del diritto all’uso e sfruttamento delle risorse naturali che come Popoli originari hanno preservato nel corso di secoli.  Diritto sancito dal Trattato No.169, su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti art. 13.2; Dichiarazione delle Nazioni Unite su Diritti dei Popoli Indigeni e gli Accordi di San Andrés, Documento 1.4 B. 2.; Documento 1, Principio della nuova relazione 2

3. Per la liberazione immediata di: Jerónimo Guzmán Méndez, ejidatario dell’Altra Campagna; Domingo Pérez Álvaro, membro della Commissione di promozione dell’Altra Campagna; Juan Aguilar Guzmán, cassiere dell’Altra Campagna; Domingo García Gómez, membro del Comitato di Difesa dei Diritti Umani; Mariano Demeza Silvano, minorenne dell’Altra Campagna.

4. Per il ritiro immediato dei corpi di polizia e militari che tengono sotto assedio la zona dell’Ejido di San Sebastián Bachajón, esattamente agli accessi dello stabilimento balneare di Agua Azul che oggi è gestito dai governi statale e federale.

FIRME

Italia

Associazione Ya Basta! Italia

Associazione culturale “I Commedianti della Pieve”

Associazione onlus Le Case degli Angeli di Daniele

Collettivo Italia Centro America

Comitato Chiapas “Maribel” di Bergamo

 Profesor Mario Zunino, Italia
Università di Urbino, Italia
Luca Brogioni, Italia
Rete Radiè Resch, Italia
Silvana Capurso, Italia
Patrizia Capoferri, Italia
Aderiamo All’appello, Italia
Anna Pacchiani, Italia
Massimo Vecchi, Italia
Angela Bellei, Italia
Francesco Biago, Italia
Rete Radie Resch Treviso, Italia
Bruno Bartolozzi, Italia
Nedda Alberghini, Italia
Fortunato Po, Italia
Gianni Borgatti, Italia
Elena Fornaciari, Italia
Simona Tuffoli, Italia
Cinzia Mantovani, Italia
Giovannino Albanese, Italia
Francesca di Cristofaro, Italia
Iole Benelli, Italia
Wanda Banzi, Italia
Venusta Biagi, Italia
Paola Govoni, Italia
Vittorio Cavallini, Italia
Paola Vancini, Italia
Piero Zannarini, Italia
Federica Govoni, Italia
Stefano Lodi, Italia
Lara Munurati, Italia
Stefano Sandoni, Italia
Virna Calzolari, Italia

Messico

Acción Directa Autogestiva

Amig@s de Mumia de México

Asamblea Nacional de Braceros

Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer “Elisa Martínez”, A. C.

Brigada Feminista por la Autonomìa

Cauce Ciudadano A.C., Miguel Ángel Mendoza Sanchez

Ce-Acatl, A.C.

Celula Revolucionaria Independiente Almaye

Centro de Alojamiento Junax, A.C.

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A. C.

Centro de Estudios Antropológicos

Centro de Investigación y Acción de la Mujer Latinoamericana

Centro de Promoción y Educación Profesional Vasco de Quiroga, A. C.

Central de Organizaciones Campesinas y Populares Chiapas-Mexico

Colectivo Contra la Tortura y la Impunidad, A.C.

Colectivo de Estudios Críticos en Derecho-RADAR

Colectivo de Mujeres Tejiendo Resistencias
Colectivo Heroes de Acteal, Maria de Lourdes de la Parra Garcia

Colectivo la Otra Ciudad de Chihuahua

Colectivo Utopia Puebla

Colectivo Votán Zapata

Comisión de Seguimiento del Tribunal Internacional de Conciencia de los Pueblos en Movimiento, Camilo Perez Bustillo

Comisión para la Defensa de los Derechos Humanos, A. C. Ana María Vera

Comité Cerezo Mexico

Comité de Campesinos Pobres

Consejo Ciudadano Cultural para las Artes de Morelos, A. C.

Consejo Nacional Urbano y Campesino, A.C.

Cooperativa Máteru Kurhinta

Coordinadora Valle de Chalco

Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas, A. C.

Equipo Indignación A.C.

Espacio social y kultural La Karakola

Foro Lomas del Poleo

Frente Magisterial Independiente Nacional

Frente Mexicano Pro Derechos Humanos, A. C.

Frente Nacional de Organizaciones BRACEROPROA, A. C., Martha Suarez Cantu, Presidenta Binacional

Frente Popular “Ricardo Flores Magon”

jovenes en resistencia alternativa

La Otra Campaña Tlaxcala

La Otra Chilanga, Sebastián Liera

La Otra Fresnillo

La Voldora Radio 97.3 FM

Municipio Autónomo de San Juan Copala

Niñas y Niños en La Otra Campaña-DF, Nicte-Há Dzib Soto

Organización Zapatista “Educación para la Liberación de Nuestros Pueblos”

Pozol Colectivo

Radio Ñomndaa, La Palabra del Agua

Red Magisterial Popular Chiapas-Mexico

Red de Mujeres de la Tierra Unidas por un Futuro y un Mundo Mejor, A. C.

Regional Sur Poniente de La Otra Campaña-DF, Gustavo García Rojas

Sector de Trabajadores Región Centro y de la Otra Totonacapan

Union Popular Apizaquense Democratica e Independiente

Xochimilco Zapatista

Zapateando, al son de los medios abajo y a la izquierda

Stati Uniti

American Indian Movement-West

Anti-Racism Committee of the National Lawyers Guild, Garrett Wright, Co-Chair

Association of Junior Leagues International, Lyndell Brookhouse Gil

Bend-Condega Friendship Project, Tim Jeffries, Coordinator

Chelsea Tenant Action Committee, Rosa María de la Torre

Chiapas Support Committee/Comité de Apoyo a Chiapas

Coatlicue Theatre Company, Inc., Hortencia Colorado, Elvira Colorado y Shaun Colorado Finnerty

Colectivo Radio Zapatista, México/EU.

Colectivo de Radio Zapatista Sudcaliforniano

Colectivo Zapatista, Bertha Gutierrez

Eastside Café, Sirena Pellarolo

El Kilombo Intergaláctico

Frente Zapatista Sudcaliforniano

Friends of Brad Will

Harlem Tenants Council, Nellie Hester Bailey
Harlem Fightback Against War at Home & Abroad

In Solidarity With Immigrants, Jaymes Winell
Institute for Anarchist Studies, Joshua Stephens

Just Cause

Justseeds Artists’ Cooperative, Kevin Caplicki

Kolectivo de Medios

Long Island Jobs with Justice, Charlene Obernauer, Executive Director

Marin Task Force on the Americas, Dale Sorensen, Director

Mexico Solidarity Network

Misioneros de San Columbano, Pbo. Guillermo Morton

Movimiento por Justicia del Barrio

New Jewel Movement

NYCLU, Arianna Gil

Office of the Americas, Blase Bonpane, Ph.D. Director

Resist and Multiply, Claudia Aukuwilka

West Harlem Coalition, Tom DeMott

The Wild Poppies Collective

Sudafrica

Abahlali baseMjondolo (Movimiento de Habitantes de Casas de Carton)

Students for Social Justice – Universidad Rhodes

India

Kolkata for Global Justice

Francia

Colectivo Chiapas-Ariège

Comité de solidarité avec les peuples du Chiapas en lutte

Grupo Les trois passants

Svizzera

Colectivo Zapatista Marisol de Lugano

Solidaridad directa con Chiapas

Spagna

Centro de Documentación sobre Zapatismo (Cedoz)

Colectivo ¿Qué pasa en el mundo?

Confederación General del Trabajo (CGT)

Grupo IRU

Para Todos Todo de Pina de Ebro- Zaragoza

Plataforma de Solidaridad con Chiapas de Madrid

Red de Apoyo Zapatista de Madrid

Red Libertaria Apoyo Mutuo

Catalogna

Acción de los Cristianos para la Abolición de la Tortura

Associació Cultural el Raval “El Lokal”

Barrikada Zapatista en Barcelona

Grupo de Apoyo a la Zona de Costa de Barcelona

La Reus, Cultural i Solidària per la Pau

Pasi Baschi

Plataforma Vasca de Solidaridad con Chiapas

Slovenia

Colectivo Dostje!

Grecia

Colectivo ALANA (Solidaridad, Resistencia, Dignidad)

VOID NETWORK

Austria

Café del Mundo

Caracol Mundo-Eco de Latido en Solidaridad

Casa Mexico

Restaurant “Los Mexicas”

Nuova Zelanda

Wellington Zapatista Solidarity Committee

Canada

Building Bridghes Humand Rights Observers

2110 Centre for Gender Advocacy

Regno Unito

UK Solidarity Network

Inghilterra

Dorset-Chiapas Solidarity Group

Kiptik

London Mexico Solidarity Group

Reel News Videoactivist Collective

Scozia

Glasgow Chiapas Solidarity Group
Grupo Solidario Edimburgo-Chiapas
Edimburgo

Argentina

Pax Social

Red de Solidaridad con Chiapas de Vicente Lopez

Belgio

Collectif Chiapas de Liège

Germania

Gruppe B.A.S.T.A.

La Red YA-BASTA-NETZ

Uruguay

Colectivo Contraimpunidad

Costa Rica

Comité Ave Fénix

Raul Zibechi, Uruguay

Noam Chomsky, Estados Unidos

Fernanda Espinosa, Ecuador
Val Thien Tlapaltic, Filipinas
Julie Webb-Pullman, Nueva Zelanda
Benjamin Fogel, Sudafrica
Jared Sacks, Sudafrica
Nikolitsa Angelopoulou, Grecia
Patricia Rodriguez Jurado, Argentina
Elisa Amanda Mata, Argentina
Sergio Tishler, Guatemala
Violeta Pacay Zamora, Guatemala
J Montano Lozano, Canada
Brett Story, Canada
William M. Burton, Canada
Katie Earle, Canada
Martha E Sánchez, Costa Rica
Shaun Dey, Inglaterra
Fliss Premru, Inglaterra
Angie Taylor, Inglaterra
John Sinha, Inglaterra
José Mª Olaizola Albeniz, Euskadi
David E. Tavárez, Estados Unidos
Alex van Schaick, Estados Unidos
Anastasia Hardin,Estados Unidos
Christopher Beach, Estados Unidos
Terri Bennett, Estados Unidos
Guadalupe Lizárraga, Estados Unidos
Laura Waldman, Estados Unidos
Arnoldo García, Estados Unidos
Michael Kozart, Estados Unidos
Marianna Rivera, Estados Unidos
Todd Davies, Estados Unidos
David L. Wilson, Estados Unidos
Jose Plascencia, Estados Unidos
Mary Ann Tenuto, Estados Unidos
Sylvia Romo, Estados Unidos
Carolina Dutton, Estados Unidos
Michael Cucher, Estados Unidos
Cecile Lumer, Estados Unidos
Nati Carrera, Estados Unidos
Marisa Handler, Estados Unidos
Ariana Kalinic, Estados Unidos
Odin Cortes Cabrera, Estados Unidos
Molly Talcott, Estados Unidos
Jorge Herrera, Estados Unidos
T M Scruggs, Estados Unidos
Molly Reagh, Estados Unidos
Marilyn Naparst, Estados Unidos
Joanne Castronovo, Estados Unidos
Sheila Thorne, Estados Unidos
Tricia Boreta, Estados Unidos
Usha, Estados Unidos
Rudy Nevel, Estados Unidos
Cary Escovedo, Estados Unidos
Elizabeth Martinez, Estados Unidos
Luz Lee, Estados Unidos
Norma J. Harrison, Estados Unidos
Amanda Bloom, Estados Unidos
Dale Sorensen, Estados Unidos
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Christine Knight, Estados Unidos
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Dana Bellwether, Estados Unidos
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Kate Savkovich, Estados Unidos
Túlio Zille, Estados Unidos
Diana Bohn, Estados Unidos
Malú Huacuja del Toro, Estados Unidos
Denisse Andrade, Estados Unidos
George Caffentzis, Estados Unidos
Diana Warwin, Estados Unidos
Louise Seamster, Estados Unidos
Luis Lopez, Estados Unidos
Samantha Bobila, Estados Unidos
Jesse Villalobos, Estados Unidos
Barbara Larcom, Estados Unidos
Shauna Gunderson, Estados Unidos
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Katherine Feliz, Estados Unidos
Nicole Feliz, Estados Unidos
Zuinda Leon, Estados Unidos
Cathy de la Aguilera, Estados Unidos
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Charlie Perez, Estados Unidos
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Saydee Villarruel, Estados Unidos
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Yuri Rojas, Estados Unidos
Ainsley B. Story, Estados Unidos
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Birdie Gutierrez, Estados Unidos
Aleida Lomeli, Estados Unidos
Piera Segre, Estados Unidos
Grace de la Cruz, Estados Unidos
Kate Savkovich, Estados Unidos
Jill Dowling, Estados Unidos
Jennifer Sullivan, Estados Unidos
Amarela Varela, Mexico
Dorinda Moreno, Mexico
Alejandra Vargas, Mexico
Guillermo Schneider H., México
Graciela Najera Allende, Mexico 
Pedro Guzmán, Mexico
Xilonen Pérez Bautista, Mexico
Cristina Coronado Flores, Mexico
Juan Carlos Martíez Prado, Mexico
Rodrigo Gutiérrez, México.
Jorge Peláez, México
Mylai Burgos, México
Yacotzin Bravo, México
Aline Rivera, México
Liliana López, México
Lena García Feijoo, Mexico
Laura Castellanos, Mexico
Eva Luz leal Castro, Mexico
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Cuauhtemoc Padilla M., Mexico
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Julio Cesar Rincon, Mexico
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Lola de Querol Duran, Catalunya
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José L. Humanes Bautista, Estado Español

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La Jornada – Giovedì 12 maggio 2011

I “prigionieri politici” della Voz del Amate e i “prigionieri solidali” chiedono di essere scarcerati

Herman Bellinghausen

I “prigionieri politici” della Voz del Amate, aderenti all’Altra Campagna dell’EZLN, ed il gruppo di “prigionieri solidali” con loro, rinchiusi tutti nel penale numero cinque di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, chiedono di essere liberati immediatamente, perché il loro arresto è ingiustificato.

Alberto Patishtán Gómez e Rosario Díaz Gómez hanno inoltre dichiarato che “la soluzione dei molti problemi che angosciano il Messico non è aumentare le retribuzioni del personale dell’Esercito federale e poi militarizzare tutto il paese, tanto meno far sparire ed assassinare civili innocenti ed opprimere la povera gente”.

“Non vale nemmeno arrestare gente innocente”. Così facendo, il presidente Felipe Calderón “che vuole dare l’immagine di un paese stabile e di pace”, fa il contrario. “Qui si vedono solo i diritti umani violati e l’impunità in molti casi”.

Comunicano di essersi uniti come La Voz del Amate “alla marcia silenziosa convocata dall’EZLN il 7 maggio”, con un digiuno e preghiera di 12 ore, “in solidarietà con la Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, per l’omicidio dei ragazzi e della famiglia del compagno Javier Sicilia che sono Juan Sicilia Ortega, Luis Antonio Romero Jaime, Julio César Romero Jaime e Gabriel Alejo Escalera”.

Dicono “basta alla guerra di Calderón, non più sangue”, e sostengono: “Ne abbiamo abbastanza delle ingiustizie e degli arresti per reati fabbricati. Chiediamo a tutto il Messico di fermare questa guerra di morti e odi, e chiedere la liberazione di tutti i prigionieri politici del paese”.

Il professore tzotzil Alberto Patishtán, in prigione da più di dieci anni, non desiste dal chiedere la sua libertà. Il governo di Juan Sabines Guerrero ha promesso di intercedere per lui presso le autorità giudiziarie della Federazione, ma a tre anni dallo sciopero della fame con cui si ottenne la liberazione di decine di “prigionieri politici”, il suo caso non è ancora risolto.

Ora, inoltre, c’è un nuovo “prigionieri politico” zapatista, Patrizio Domínguez Vázquez, contadino base di appoggio dell’EZLN del municipio autonomo Tierra y Libertad, originario della comunità Monte Redondo, ingiustificatamente in prigione dal 12 aprile a Motozintla, dopo che la sua casa era stata bruciata da gruppi filogovernativi appoggiati dal presidente municipale di Frontera Comalapa, David Escobar.

Altri detenuti dell’Altra Campagna, i cosiddetti “5 di Bachajón”, sono dietro le sbarre dal 3 febbraio senza che le autorità chiapaneche diano segno di liberarli. Si tratta di Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán e Domingo García Gómez, nel Centro Statale di Reinserimento Sociale numero 17, a Playas de Catazajá, e Mariano Demeza Silvano nel Carcere Minorile di Villa Crisol, municipio di Berriozábal.

La loro difesa ha dimostrato che sono tenuti imprigionati come “ostaggi politici”, nonostante non siano responsabili dei reati che imputano loro. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/12/index.php?section=politica&article=018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 11 maggio 2011

Elementi dell’Ejército de Dios sparano contro basi dell’EZLN

Hermann Bellinghausen

Il popolo organizzato di Mitzitón, aderente all’Altra Campagna, ha denunciato aggressioni e spari da parte di elementi del cosiddetto Ejército de Dios durante e dopo la marcia delle basi di appoggio dell’EZLN e dell’Altra Campagna nel centro di San Cristóbal de las Casas, Chiapas,sabato scorso.

Di fronte alla massiccio mobilitazione zapatista e dell’Altra Campagna, sostengono gli indigeni, “il governo risponde subito alla nostra dimostrazione di organizzazione civile e pacifica dell’unica maniera che conosce: con la violenza, oggi per mano dei suoi paramilitari, domani con la sua polizia”.

Gli ejidatarios riferiscono che quel giorno si sono uniti alla Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, “vicino ai nostri compagni basi di appoggio zapatisti dei cinque caracoles aderenti all’Altra Campagna; 120 uomini e donne siamo andati a San Cristóbal, il resto delle famiglie sono rimaste in comunità a svolgere le loro attività quotidiane”.

Intorno alle 13 “alcune compagne stavano pascolando le pecore su terreni che confinano con la 31 Zona Militare di Rancho Nuevo”, quando hanno iniziato a sparare contro di loro. “Sono riuscite a vedere due paramilitari aggressori, ma hanno riconosciuto solo il figlio di Roberto Vicente Pérez, noto paramilitare padrone dell’autoveicolo utilizzato nell’attacco che abbiamo subito il 13 febbraio, e che grazie all’impunità e complicità del malgoverno è libero anche se ci sono molte prove dell’attacco armato ed un compagno è stato gravemente ferito”.

Passate le 19 di sabato, “stavamo rientrando dalla marcia quando abbiamo sentito quattro detonazioni”. Un’ora dopo, “i paramilitari hanno esploso altri spari”. I poliziotti appostati nella comunità “dicevano di aver riferito della situazione al loro comandante, ma a noi dicevano che erano petardi”. Due aggressori sono stati riconosciuti: Andrés Jiménez Hernández Segundo e Pascual Zainé Díaz Jiménez. Ce n’era un altro, “ma non sappiamo se ce n’erano altri”.

Alle 21, aggiungono, “Gregorio Gómez Jiménez, leader dei paramilitari dell’Ejército de Dios, col suo camioncino da casa sua percorreva la strada internazionale e la strada sterrata, come se cercasse qualcuno di noi. Ancora adesso continuano la tensione e le minacce”.

Ricordano che il 3 maggio la stampa locale ha pubblicato la dichiarazione del delegato della Segreteria di Comunicazioni e Trasporti, Ernesto Jáuregui Asomoza, che diceva che il progetto dell’autostrada San Cristóbal-Palenque “non è morto e che sarà realizzato come è stato tracciato”.

Denunciano: “Deve essere per questo e perché vedono che siamo organizzati e non siamo soli, ci vogliono provocare, torturare, reprimere ed assassinare affinché smettiamo di difendere il nostro territorio. Il malgoverno di Juan Sabines e di Felipe Calderón deve pensare che in questo modo noi siamo presi solo dalla paura e da difenderci dai paramilitari, ma non dimentichiamo i motivi della nostra lotta, i notri diritti di popoli indigeni, la difesa della nostra terra e territorio e la costruzione della nostra autonomia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/11/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 10 maggio 2011

Le donne indigene sostengono che i governi uccidono non solo con le armi, ma con la povertà e la fame

Hermann Bellinghausen

“Non è più tempo di essere vigliacchi. Quando c’è violenza nel nostro paese proviamo tristezza per la gente, la nostra famiglia e la nostra comunità, ed a volte perfino piangiamo quando sappiamo di quelle brutte notizie. Proviamo rabbia perché ci violentano e ci uccidono, ed i governi non fanno niente, invece mettono in prigione gli innocenti e non i colpevoli”.

In un comunicato rivolto alle donne del Messico ed all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionali, alcuni collettivi di donne delle comunità Aguacatenango, La Grandeza, Napité, Corostik, Coquiteel, Sulupwitz, Frontera Comalapa, Santa Rosa de Cobán, Yaluma, Chihuahua, e Bella Vista del Norte, delle regioni nord, Altos e sierra di confine, tutti nello stato del Chiapas, sostengono: “La terra è con noi”.

Ed aggiungono: “I governi non ammazzano solo con le armi, ma anche con la povertà, la fame che usano per ingannarci con progetti che ci tolgono il tempo e la fermezza, ci inculcano le loro idee, fanno sì che ci dividiamo e non ci organizziamo. Siamo indigene, contadine, attiviste e lavoratrici, coltiviamo la madre terra, la seminiamo e la curiamo, è nostra e la rispettiamo. I governi ed i grandi paesi vengono a togliercela, ma diciamo loro che la terra non si vende, è nostra madre, di lei viviamo e ci alimentiamo e lottiamo per lei”.

Elencano le loro richieste che includono in maniera significativa il diritto delle donne a possedere e coltivare la terra: “Non vogliamo che la nostra terra, né l’acqua siano privatizzate da grandi imprese come la Coca Cola. Non vogliamo più agenti chimici né transgenici perché portano malattie. Nemmeno progetti per coltivare la palma africana e pinoli, perché esauriscono la forza della terra, danneggiano la nostra salute e non ci fanno produrre più cibo per l’alimentazione, ma ci fanno produrre carburante per le auto e quindi moriremo di fame”.

Respingono le miniere, i programmi governativi quali il Programa de Certificación de Derechos Ejidales y Titulación de Solares Urbanos (Procede), il Programa de Certificación de Bienes Comunales (Procecom) ed il Fondo de Apoyo para los Núcleos Agrarios sin Regularizar (Fanar) “perché sottraggono la madre terra e dividono le nostre comunità”. Nel loro ampio ripudio, le donne indigene organizzate comprendono l’alcool e la droga nelle proprie comunità, “perché provoca violenza”.

“Vogliamo dire ai governi che è bugia che non ci sia più povertà. Non vogliamo militari, poliziotti né posti di blocco, ci controllano sempre e ci fanno violenza. Stanno vicino alle nostre comunità, ci fanno paura, è una bugia che gli eserciti aiutano il popolo, ci violentano e ci uccidono”.

Contadini e contadine “non abbiamo terra, perché i malgoverni la privatizzano, consumata da agenti chimici e monocolture, comprano a basso prezzo i nostri prodotti, il nostro cuore soffre, cerchiamo altri lavori e lasciamo la nostra terra perché i nostri figli hanno fame.”

Chiedono giustizia, non più violenza, che si riconosca il diritto delle donne alla proprietà, alla semina e alla presa di decisioni. “Che rispettino le nostre lingue e cultura e non ci discriminino”.

Dicono agli uomini e alle donne del Messico: “Non cedete, lottate per la terra ed il vostro territorio. È nostra, coltivatela, non vendetela, difendetela”. Invitano ad organizzarsi “perché solo insieme abbiamo la forza per combattere la violenza ed i malgoverni”. Infine, “ai compagni zapatisti diciamo che grazie alla loro lotta abbiamo potuto vedere la realtà in cui viviamo e per questo diciamo loro di prendere in considerazione le donne perché siamo con loro, lottiamo per la stessa cosa ed uniremo le forze”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/10/index.php?section=politica&article=013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 8 maggio 2011

Migliaia di indigeni con i passamontagna provenienti dalle cinque regioni sotto l’influenza dell’EZLN hanno percorso le strade di San Cristóbal

Speciale di Gloria Muñoz Ramírez. San Cristóbal de las Casas, Chiapas. 7 maggio. Nel più sorprendente ed assoluto silenzio, più di 15 mila basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), secondo calcoli prudenti, oggi hanno inondato le strade di questa città nella riapparizione pubblica delle comunità in ribellione e dello stato maggiore del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’EZLN dopo più di cinque anni senza manifestare fuori dal proprio territorio.

Nel discorso principale, davanti ad una piazza colma di zapatisti e di organizzazioni e collettivi dell’Altra Campagna in Chiapas, il Comandante David ha espresso con chiarezza la posizione dell’EZLN rispetto alla guerra ed alle diverse correnti: “Non si tratta di vedere chi vince tra cattolici, evangelici, mormoni, presbiteriani o di qualunque religione o non credenti. Non si tratta di vedere chi è indigeno e chi no. Non si tratta di vedere chi è più ricco o più povero. Non si tratta di chi è di sinistra, di centro o di destra. Non si tratta se sono migliori i panisti o i priisti o i perredisti o come si chiamino o se sono tutti ugualmente cattivi. Non si tratta di chi è zapatista o non lo è. Non si tratta di stare col crimine organizzato o col crimine disorganizzato che è il malgoverno. No. Si tratta che per essere quello che ognuno sceglie di essere, per credere o non credere, per scegliere un’ideologica, politica o religiosa, per discutere, concordare o essere in disaccordo, sono necessarie la pace, la libertà, la giustizia”.

Migliaia di indigeni con i passamontagna provenienti dalle cinque regioni sotto l’influenza dell’EZLN (La Realidad, La Garrucha, Morelia, Roberto Barrios e Oventic) sono arrivati in camion dalle prime ore della mattina. Con i volti coperti e con la disciplina che li caratterizza, sono partiti in fila dal Centro Indigeno di Formazione Integrale (Cideci), alla periferia di questa città, fino alla Piazza della Pace, dove sono arrivati dopo oltre quattro ore, e quando la testa del corteo è arrivata nella piazza, la strada per San Juan Chamula, il quartiere di San Ramón, il Puente Blanco e alle Diego de Mazariegos erano piene di zapatisti.

Quasi al termine del suo discorso, il Comandante David ha ripetuto per sette volte un messaggio rivolto a tutte le vittime e familiari della guerra di Calderón: “Non siete soli”, una consegna che li accompagna da oltre 17 anni e che in quest’occasione hanno espresso in un solo grido, col pugno sinistro alzato, in uno dei momenti più emozionanti della manifestazione.

Gli zapatisti hanno segnalato chiaramente che con la loro adesione alla mobilitazione nazionale, ed in particolare con la loro presenza silenziosa a San Cristóbal de las Casas, non intendono indicare strade né rispondere alla domanda su che cosa succederà. Inoltre hanno detto, “non siamo qui per parlare dei nostri dolori, delle nostre lotte, dei nostri sogni, delle nostre vite e morti… Oggi siamo qui per rappresentare decine di migliaia di indigeni zapatisti, molto più di che oggi si vedono, per dire a questo dignitoso passo silenzioso che nella sua domanda di giustizia, che nel suo lottare per la vita, che nel suo anelito di pace, che nella sua esigenza di libertà, noi li comprendiamo e li appoggiamo. Oggi siamo qui per rispondere all’appello di chi lotta per la vita, al quale il malgoverno risponde con la morte”.

Più di 30 Comandanti dell’EZLN, tra loro Tacho, Zebedeo, Bulmaro, Guglielmo, Miriam ed Ester, hanno occupato il palco davanti alla Cattedrale della Pace. Da lì, il Comandante David ha spiegato che l’appello alla marcia nazionale nasce da persone che “non ci stanno chiamando o convincendo ad abbracciare una religione, un’idea, un pensiero politico o una posizione sociale. Non ci stanno chiamando a cacciare un governo per metterne un altro. Non ci stanno diiendo che bisogna votare per uno o per un altro. Queste persone ci stanno convocando a lottare per la vita. E può esserci vita solo se ci sono libertà, giustizia e pace. Per questo questa è una lotta tra chi vuole la vita e chi vuole la morte”.

In incredibile silenzio e con migliaia di piccoli cartoncini con le parole “Non più sangue”, “Ne abbiamo abbastanza” e “Stop alla guerra di Calderón”, gli zapatisti tzotziles, tzeltales, tojolabales, choles, zoques e mames hanno sfilato con enormi striscioni con i seguenti messaggi: “fratelli e sorelle, proviamo dolore per la perdita dei vostri cari, per questa guerra crudele di Calderón” e “Viva la vita, la libertà, la giustizia e la pace”.

Alla fine, dopo di più di 5 ore di mobilitazione, senza contare le ore impiegate per raggiungere questa città, la maestra di cerimonia ha detto: “Abbiamo detto quello che dovevamo dire. Anche se siamo stanchi, ma questa  la lotta”. E sulle traduzioni in tzotzil, tzeltal, tojolabal e chol ha detto con humor zapatista, “sappiamo che non avete capito niente, ma ci avete sopportat. Grazie per la vostra pazienza”. Poi ha salutato, “come siamo venuti, ora ce ne andiamo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/08/index.php?section=politica&article=003n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Messico, il reclamo di pace con giustizia e dignità

di Matteo Dean

Quando l’insensatezza occupa la vita pubblica,
la poesia ha la ragione.
Dunque, facciamo parlare la poesia
perché tacciano gli insensati.

Un silenzio assordante. È così che si può riassumere la lunga marcia “per la pace con giustizia e dignità” che iniziata lo scorso 5 maggio a Cuernavaca (cento chilometri a sud di Città del Messico) si è conclusa questa domenica nella piazza centrale della capitale messicana. Silenzio, spiega Javier Sicilia, premio nazionale di poesia, giornalista e padre di Juan Francisco, assassinato dai sicari del narcotraffico il 28 marzo scorso; silenzio perché “il nostro dolore è così grande e così profondo, che non vi sono più parole per nominarlo”. Il giorno dopo la straordinaria manifestazione zapatista a San Cristobal de Las Casas in Chiapas, sono Città del Messico ed almeno altre venti città le protagoniste di questa giornata convocata da Javier Sicilia. Cominciata con la partecipazione di meno di mille persone, la marcia è terminata con l’arrivo di almeno 200 mila persone nello zocalo di Città del Messico. Una moltitudine che ha compreso padri e madri, figli e parenti delle oltre 40 mila vittime che la “guerra al narcotraffico” lanciata dall’attuale amministrazione federale messicana di Felipe Calderon; ma anche migliaia tra militanti delle più diverse organizzazioni sociali messicane, giovani, studenti, artisti, migranti, indigeni e molti altri.

Una manifestazione moltitudinaria nel vero senso del termine. Poche volte vi è occasione di vedere i contadini di Atenco, assieme ai migranti della carovana migrante (che ha risalito il Messico dalla frontiera sud “riappropriandosi” del treno merci che ogni giorno trasporta centinaia di migranti privi di documenti esponendoli ad ogni genere di violenza), assieme agli studenti riuniti nell’Assemblea dei Giovani in Emergenza Nazionale, assieme agli indigeni del Municipio Autonomo di San Juan Copala, assieme ai membri della Polizia Comunitaria della Montagna di Guerrero, assieme ai genitori del Movimento 5 Giugno , assieme alle famiglie di Ciudad Juarez, assieme ai parenti delle vittime del feminicidio, assieme ad artisti ed intellettuali di diversa provenienza, assieme alle anime democratiche della Chiesa cattolica, assieme e migliaia di persone non organizzate che però oggi – domenica, quando scriviamo – in piazza ci son volute andare. Le ragioni di questa manifestazione sono molte ed articolate. Ma forse è possibile riassumerle semplicemente raccontando quel silenzio degno che ha accompagnato per oltre quattro giorni la carovana. Un silenzio che si è rotto solo nelle piazze raggiunte dalla carovana. Un silenzio che ha ceduto la parola ai padri ed alle madri delle vittime. O che, in altre occasioni, è stato rotto dall’impossibilità di contenere rabbia e dolore.

Difficile raccogliere tutte queste storie, raccontare tanto vissuto. Eppure, il movimento che oggi è sceso in piazza si è dato pure quest’obiettivo, perché troppe volte assassinati, sequestrati, scomparsi, o le centinaia di corpi che in queste settimane affiorano nelle sempre più numerose fossi comuni diventano numeri. Numeri per riempire le tabelle che il governo offre in pasto alla stampa. Ma che in realtà nascondono vite e speranza stroncate. Sarebbero 40 mila i morti sinora (dal dicembre 2006) di questa “guerra al narcotraffico”. A questa cifra, si aggiungono almeno 10 mila orfani di guerra (secondo altre fonti, questi sarebbero 30 mila), 10 mila migranti sequestrati solo lo scorso anno,  e quasi mezzo milione di sfollati, ovvero gente che è scappata dal proprio quartiere, dalla propria città, dal proprio stato, dal Messico. Numeri che fanno orrore, ma che appunto non servono a descrivere la realtà, anche se il governo si ostina a chiamarli “vittime collaterali”.

Quel che è certo – e forse possiamo permetterci di segnalare come una prima vittoria del movimento – è il fatto che finalmente il tema della violenza e, soprattutto, dell’insicurezza è stato per il momento sottratto alla destra conservatrice che detiene il potere nel paese. E non parliamo solo della destra al potere. Parliamo soprattutto dei settori benestanti di questa ed altre città, che non si fanno mai vedere, che scompaiono ogni giorno dietro gli alti muri dei loro quartieri-bunker ma che davanti i casi più tragici hanno a volte alzato la voce. Sono loro, quegli stessi settori che oggi negli anni scorsi si sono arricchiti pure chiudendo un occhio davanti agli affari del narcotraffico, che oggi accusano Javier Sicilia ed il movimento che oggi è in piazza di voler “far cadere il governo”. Forte di questo sostegno minoritario sul piano dei numeri, ma strategico sul piano del potere economico e politico, Calderon avverte i manifestanti: “Non dovete dire a noi di smettere con la violenza, ma ai delinquenti”. Rispondono i manifestanti: “Siete voi, classe politica, che avete la responsabilità di frenare la violenza”. È la classe politica messicana, “corrotta e collusa con la criminalità organizzata, che militarizza il tema della pubblica sicurezza, che ha trasformato il Messico in un campo di battaglia, che ha reso i cittadini ostaggi della violenza, che umiliate le istituzioni repubblicane”.

Ma per fortuna, il reclamo della moltitudine che oggi è scesa in piazza non si rivolge solo alla classe politica. E neanche ai narcos che insanguinano il paese con “la complicità dei tre livelli di governo”. La società civile messicana s’interroga e si domanda dove e quando si è cominciata a perdere la dignità. E la risposta se la da sola, guardandosi in faccia, dialogando e lanciando una proposta articolata in sei punti, complessi e che dimostrano il mungo sforzo di mediazione “tra più di cento organizzazioni sociali”. La proposta si traduce in un documento che il movimento chiama Patto Nazionale. Un documento che – si comprende al leggerlo – riunisce anche le diverse anime di questo movimento. La proposta chiama in causa prima la società civile stessa, convocata a restituire la memoria a quei 40 mila morti e a fare uno sforzo di pressione perché quel 98 per cento di casi ancora irrisolti siano finalmente chiariti dalle autorità competenti. Si esige poi un cambiamento di visione della “pubblica sicurezza”, ovvero che questa non riceva più un punto di vista “militare” ma piuttosto cittadino. In questo senso, quando si parla di militarizzazione della pubblica sicurezza, è importante dire che non si tratta solo dei 90 mila soldati – e marines – dispiegati nelle strade messicane, ma anche il fatto che oltre 500 militari attualmente hanno la licenza di assumere ruoli di comando all’interno delle diverse polizie locali del paese.

Su questo punto, il movimento insiste che la nuova proposta di Legge di Sicurezza Nazionale – che, tra l’altro, darebbe facoltà al presidente di imporre lo stato d’eccezione e di utilizzare l’esercito contro ogni movimento che metta in pericolo la stabilità dello Stato – non deve essere approvata così com’è stata proposta, ma deve essere oggetto di una discussione plurale. In questo senso, il movimento sta convocando ad un incontro nazionale tra tutte le esperienze di “giustizia autonoma” perché vi sia un confronto ed una proposta “dal basso”. Il Patto Nazionale propone poi di combattere a fondo la corruzione diffusa in seno ai partiti ed al sistema politico, restituendo autonomia al potere giudiziario – in Messico, esiste la figura del Procuratore Generale nominato dal presidente della repubblica – ed esige al Congresso nazionale di eliminare l’immunità parlamentare entro i prossimi sei mesi. Nel documento vi è anche l’esigenza di attaccare realmente la florida economia del narcotraffico e di stabilire politiche precise e verificabili in favore dei giovani che attualmente, in Messico, “hanno solo due prospettive di vita: entrare nelle file dell’esercito o fare il narco”. Infine. Il documento esige che si approvino le riforme necessarie che rendano “la democrazia messicana” una democrazia partecipativa, introducendo la figura delle candidature indipendenti, del referendum popolare – tuttora inesistente nel sistema politico messicano -, la revoca del mandato popolare per i governanti, tra le altre proposte. Il movimento, però, non si ferma alla proposta. Avverte il governo ed il Congresso federale: “Se non ci ascoltate, se farete di testa vostra, avremo solo un modo per obbligarvi: resistenza civile e pacifica”.

8 maggio 2011

Scarica qui il discorso completo di Javier Sicilia in formato .pdf

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PAROLE DELL’EZLN ALLA MANIFESTAZIONE DI APPOGGIO ALLA MARCIA NAZIONALEPER LA PACE

7 MAGGIO 2011

 Madri, padri, familiari ed amici delle vittime della guerra in Messico:

Compagne e compagni basi di appoggio zapatiste delle differenti zone, regioni, villaggi e municipi autonomi ribelli zapatisti:

Compagne e compagni dell’Altra Campagna ed aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona in Messico e nel mondo:

Compagne e compagni della Zezta Internazionale:

Sorelle e fratelli delle differenti organizzazioni sociali:

Sorelle e fratelli delle organizzazioni non governative e che difendono i diritti umani:

Popolo del Messico e popoli del mondo:

Sorelle e fratelli:

Compagne e compagni:

Oggi siamo qui in migliaia di uomini, donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per dire la nostra piccola parola.

Oggi siamo qui perché persone dal cuore nobile e dignità ferma ci hanno convocati a manifestare per fermare la guerra che ha riempito di tristezza, dolore e indignazione i suoli del Messico.

Perché ci siamo sentiti chiamati dal reclamo di giustizia di madri e padri di bambini e bambine che sono stati assassinati dalla pallottola e dall’arroganza e scempiaggine dei malgoverni.

Perché ci sentiamo chiamati dalla degna rabbia delle madri e dei padri dei giovani assassinati dalle bande criminali e dal cinismo governativo.

Perché ci sentiamo convocati dai familiari di morti, feriti, mutilati, scomparsi, rapiti e imprigionati senza avere colpa o reato alcuno.

E questo è quello che ci dicono le loro parole ed i loro silenzi:

Che la storia del Messico è tornata a macchiarsi di sangue innocente.

Che decine di migliaia di persone sono morte in questa guerra assurda che non porta da nessuna parte.

Che la pace e la giustizia non trovano più posto in nessun angolo del nostro paese.

Che l’unica colpa di queste vittime è essere nate o vivere in un paese mal governato da gruppi legali e illegali assetati di guerra, di morte e di distruzione.

Che questa guerra ha avuto come principale bersaglio militare esseri umani innocenti, di tutte le classi sociali, che non hanno niente a che cosa vedere né col narcotraffico né con le forze governative.

Che i malgoverni, tutti, federale, statali e municipali, hanno trasformato le strade in zone di guerra senza che chi le percorre e lavora fosse d’accordo e ci fosse modi di proteggersi.

Che i malgoverni hanno trasformato in zone di guerra le scuole e le università pubbliche e private, ed i bambini ed i giovani non vanno a lezione ma in imboscate di una o dell’altra banda.

Che i luoghi di incontro e divertimento ora sono obiettivi militari.

Che andando al lavoro si cammina con l’angoscia di non sapere che cosa succederà, di non sapere se una pallottola, dei delinquenti o del governo, verserà il sangue proprio o quello di un familiare o di un amico.

Che i malgoverni hanno creato il problema e non solo non l’hanno risolto, ma l’hanno esteso e diffuso in tutto il Messico.

Che c’è molto dolore e pena per tante morti insensate.

Stop alla guerra.

Non più sangue.

Ne abbiamo abbastanza.

Ora basta.

Le parole ed i silenzi di queste belle persone non rappresentano i malgoverni.

Non rappresentano i criminali che rubano, saccheggiano, sequestrano ed assassinano.

Non rappresentano nemmeno chi, nella classe politica, vuole guadagnarci da questa disgrazia nazionale.

I silenzi e le parole di queste persone sono quelle di gente semplice, lavoratrice, onesta.

Queste persone non vogliono un beneficio personale.

Vogliono solo giustizia e che il dolore che hanno provato e provano non arrivi al cuore di altre madri, altri padri, altri familiari, altri amici, di bambini, bambine, giovani, adulti e anziani che non fanno altro che tentare di vivere, di apprendere, di lavorare e di andare avanti con dignità.

Le parole, i silenzi e le azioni di queste belle persone chiedono qualcosa di molto semplice: una vita con pace, giustizia e dignità.

E che cosa risponde loro il governo?

I padri e le madri di alcuni bambini e bambine molto piccoli che sono morti e sono rimasti feriti in un incendio per colpa dei malgoverni, chiedono che si faccia giustizia, cioè che si puniscano i colpevoli, anche se sono vicini o amici del governo, e che quel crimine non si ripeta, affinché altri padri e madri non muoiano un po’ anche loro con la morte delle proprie figlie e dei propri figli.

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia.

I familiari e gli amici di alcuni studenti che sono stati assassinati all’interno di un’università privata chiedono che si conosca che cosa è successo e si faccia giustizia e non si ripeta il crimine di trasformare i centri di studio in campi di battaglia affinché altri familiari, amici, maestri e compagni di studio non muoiano un po’ anche loro con la morte degli studenti.

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia.

Gli abitanti di una comunità onesta e lavoratrice, creata secondo il proprio pensiero, si organizzano per costruire e difendere la pace di cui necessitano, per combattere il crimine che il governo protegge. Per questo uno dei suoi abitanti è stato sequestrato ed assassinato. I suoi familiari e compagni chiedono giustizia e che non si ripeta il crimine di uccidere il lavoro e l’onestà, affinché altri familiari e compagni non muoiano un po’ anche loro con la morte di chi lotta per la collettività.

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia.

Alcuni ragazzi, buoni studenti e buoni sportivi, si incontrano per divertirsi o escono a passeggio o per una sana conversazione, un gruppo criminale arriva sul posto e li uccide. Ed il governo li uccide un’altra volta dichiarando che quei ragazzi erano criminali aggrediti da altri criminali. Le madri ed i padri chiedono giustizia e che non si ripetano i reati di non proteggere i ragazzi ed accusarli ingiustamente di essere delinquenti, affinché altre madri e padri non muoiano un po’ anche loro nel vedere morire due volte il sangue fatto nascere per essere vivo.

Ed il governo risponde loro con dichiarazioni e promesse bugiarde, cercando di stancarli e di fargli dimenticare e di far dimenticare la loro disgrazia.

Compagni e compagne:

fratelli e sorelle:

Qualche giorno fa è iniziato in silenzio il passo di un padre che è un poeta, di alcune madri, di alcuni padri, di alcuni parenti, di alcuni fratelli, di alcuni amici, di alcuni conoscenti, di esseri umani.

Ieri erano le loro degne parole, oggi è il loro silenzio degno.

Le loro parole ed i loro silenzi dicono lo stesso: vogliamo pace e giustizia, cioè una vita degna.

Queste persone oneste chiedono, esigendo dal governo un piano che abbia come principali obiettivi la vita, la libertà, la giustizia e la pace.

Ed il governo risponde loro che proseguirà col suo piano che ha come principale obiettivo la morte e l’impunità.

Queste persone non vogliono essere governo, ma vogliono che il governo provveda e si preoccupi della vita, la libertà, la giustizia e la pace dei governati.

La loro lotta non nasce dall’interesse personale.

Nasce dal dolore di perdere qualcuno che si ama come si ama la vita.

I governi ed i suoi politici dicono che criticare o non essere d’accordo con quello che stanno facendo vuol dire essere d’accordo e favorire i criminali.

I governi dicono che l’unica strategia buona è quella che insanguina le strade ed i campi del Messico, e distrugge famiglie, comunità, il paese intero.

Ma, chi sostiene di avere dalla propria parte la legge e la forza, lo fa solo per imporre la sua ragione individuale appoggiandosi su quelle forze e quelle leggi.

E non è la ragione propria, di individuo o di gruppo, quella che deve imporsi, ma la ragione collettiva di tutta la società.

E la ragione di una società si costruisce con legittimità, con argomenti, con ragionamenti, con capacità di convocazione, con accordi.

Perché chi impone la sua ragione, solo divide e confronta. Ed è così incapace di ragione collettiva da doversi rifugiare nella legge e la forza.

Una legge che serve solo a garantire impunità a parenti e amici.

Una forza che da tempo è corrotta.

Legge e forza che servono per spogliare da un lavoro degno, per coprire inettitudini, calunniare, perseguire, imprigionare ed ammazzare chi critica e si oppone a quella ragione, a quella legge e quella forza.

Avere paura della parola della gente e vedere in ogni critica, dubbio, domanda o richiamo un tentativo di rovesciamento, è proprio di dittatori e tiranni.

Vedere in ogni dignitoso dolore una minaccia, è da malati di potere e avarizia.

E male fa il comandante che dice ai suoi soldati e poliziotti che ascoltare la gente nobile e buona è un fallimento.

Che fermare un massacro è una sconfitta.

Che correggere un errore è arrendersi.

Che pensare e cercare strade migliori per servire meglio la gente è abbandonare con vergogna una lotta.

Perché saper ascoltare con umiltà e attenzione quello che dice la gente è la virtù di un buon governo.

Perché sapere ascoltare e soddisfare quello che la gente tace è la virtù delle persone sagge e oneste.

Compagni e compagne:

fratelli e sorelle:

Oggi non siamo qui per parlare dei nostri dolori, delle nostre lotte, dei nostri sogni, delle nostre vite e morti.

Oggi non siamo qui per indicare strade, né per dire che cosa fare, né per rispondere alla domanda su che cosa succederà.

Oggi siamo qui per rappresentare decine di migliaia di indigeni zapatisti, molti più di quelli che oggi si vedono, per dire a questo dignitoso passo silenzioso:

Che nella sua domanda di giustizia…

Che nella sua lotta per la vita…

Che nel suo anelito di pace…

Che nella sua esigenza di libertà…

Noi, le zapatiste, gli zapatisti, li comprendiamo e li appoggiamo.

Oggi siamo qui per rispondere all’appello di chi lotta per la vita.

Al quale il malgoverno risponde con la morte.

Perché di questo si tratta, compagne e compagni.

Di una lotta per la vita e contro la morte.

Non si tratta di vedere chi vince tra cattolici, evangelici, mormoni, presbiteriani o di qualunque religione o non credenti.

Non si tratta di vedere chi è indigeno e chi no.

Non si tratta di vedere chi è più ricco o più povero.

Non si tratta di chi è di sinistra, di centro o di destra.

Non si tratta se sono migliori i panisti o i priisti o i perredisti o come si chiamino o se sono tutti ugualmente cattivi.

Non si tratta di chi è zapatista o non lo è.

Non si tratta di stare col crimine organizzato o col crimine disorganizzato che è il malgoverno.

No.

Si tratta che per essere quello che ognuno sceglie di essere, per credere o non credere, per scegliere un’ideologica, politica o religiosa, per discutere, concordare o essere in disaccordo, sono necessarie la pace, la libertà, la giustizia e la vita.

Compagni e compagne:

fratelli e sorelle:

Queste nobili persone non ci stanno chiamando o convincendo ad abbracciare una religione, un’idea, un pensiero politico o una posizione sociale.

Non ci stanno chiamando a cacciare un governo per metterne un altro.

Non ci stanno dicendo che bisogna votare per uno o per un altro.

Queste persone ci stanno convocando a lottare per la vita.

E può esserci vita solo se ci sono libertà, giustizia e pace.

Per questo questa è una lotta tra chi vuole la vita e chi vuole la morte.

E noi, le zapatiste, gli zapatisti, scegliamo di lottare per la vita, cioè, per la giustizia, la libertà e la pace.

Per questo…

Oggi siamo qui per dire semplicemente a queste belle persone che camminano in silenzio, che non sono soli.

Che sentiamo il dolore del loro silenzio, come prima la degna rabbia delle loro parole.

Che nel loro stop alla guerra….

Che nel loro non più sangue…

Che nel loro ne abbiamo abbastanza…

Non sono soli!

Compagni e compagne:

fratelli e sorelle:

Viva la vita, la libertà, la giustizia e la pace!

Muoia la morte!

Per tutti tutto, per noi niente!

Democrazia!

Libertà!

Giustizia!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno. Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Marcos

Mesico, 7 maggio 2011

 http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/05/07/palabras-del-ezln-en-la-movilizacion-de-apoyo-a-la-marcha-nacional-por-la-paz/

Audio del messaggio letto dal Comandante David http://desinformemonos.org/2011/05/audio-del-mensaje-del-ezln-en-voz-del-comandante-david/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

 Marcia Nazionale per la Giustizia

Gloria Muñoz Ramírez

Tutto è pronto per accogliere e marciare accanto alle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) chi si mobiliteranno oggi provenienti dalla Selva, dal Nord e dagli Alots del Chiapas fino alla città di San Cristóbal de las Casas, dovesi esprimeranno in relazione all’appello lanciato dal poeta e giornalista Javier Sicilia, nel contesto della Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità.

A Jovel cresce l’aspettativa per la riapparizione pubblica degli zapatisti per le strade. Dal febbraio scorso hanno rotto il silenzio con l’inizio di uno scambio epistolare col filosofo Luis Villoro, nel quale hanno definito la loro posizione rispetto alla cosiddetta guerra di Calderón: “Questa guerra (persa dal governo fin dal suo concepimento, non come la soluzione ad un problema di insicurezza, bensì ad un problema di legittimità contestata), sta distruggendo l’ultima risorsa che rimane ad una nazione: il tessuto sociale”, ha denunciato allora il Subcomandante Marcos, capo militare e portavoce zapatista.

Dopo oltre cinque anni gli zapatisti tornano per le strade di San Cristóbal. L’ultima volta che manifestarono in Chiapas fu durante i blocchi che realizzarono in appoggio all’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO) a metà del 2006. Mesi prima, il primo di gennaio di quell’anno, migliaia delle loro basi di appoggio e simpatizzanti riempirono la città durante l’inizio dell’Altra Campagna.

La situazione del paese è un’altra. Oggi la mobilitazione sarà per unire la loro voce (o il loro silenzio, in questo caso) alla grande protesta nazionale contro la guerra imposta da Felipe Calderón, che “ha trasformato la lotta contro il crimine organizzato in un argomento totalitario per, premeditatamente, generalizzare la paura in tutto il paese”, e che ora “affronta le voci degne ed organizzate di familiari e vittime di questa guerra”.

Gli zapatisti si mobiliteranno in silenzio per la prima volta in oltre 17 anni. E lo faranno così “contro la follia organizzata e disorganizzata che sta mietendo vite innocenti, che sono nuovamente assassinate all’essere qualificate, dalla semplicioneria governativa, come sicari o vittime collaterali”.

Per il momento, mentre la marcia nazionale partita da Cuernavaca è già alle porte di Città del Messico, in Chiapas, fin da molto presto, si concentreranno nella valle di Jovel  organizzazioni e collettivi dell’Altra Campagna, provenienti dalle comunità di Mitzitón, Cruztón e Bachajón, così come organizzazioni e singole persone di Tuxtla Gutiérrez e membri del Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa, tra altre organizzazioni che si uniscono a questa storica e silenziosa mobilitazione. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/07/index.php?section=opinion&article=014o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://www.desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 5 maggio 2011

L’EZLN e L’Altra Campagna parteciperanno alle mobilitazioni convocate dal poeta Javier Sicilia

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 4 maggio. L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e diverse organizzazioni dell’Altra Campagna nel Distretto Federale, stato di Messico, Puebla e Tlaxcala, hanno invitato gli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona a mobilitarsi i prossimi 7 e 8 maggio, insieme alla Marcia per la Pace con Giustizia e Dignità che inizia questo giovedì a Cuernavaca, Morelos.

“Non possiamo permettere che i nostri ragazzi continuino ad essere uccisi”, si sostiene nella convocazione. “Non possiamo permettere che si stabilisca lo Stato di emergenza in Messico, né che Felipe Calderón continui a seminare lutti nelle case di migliaia di messicani, di molti dei quali non sappiamo nemmeno il nome. Non possiamo permettere che si continui a distruggere il tessuto sociale di popoli, comunità, quartieri, scuole, famiglie, tutti questi obiettivi centrali di questa guerra. Non possiamo permettere che si distrugga la nazione”.

A causa del “vigliacco assassinio” di Juan Francisco Sicilia Ortega, María del Socorro Estrada Hernández, Jaime Gabriel Alejo Cadena, Álvaro Jaimes Avelar, i fratelli Julio César e Luis Antonio Romero Jaimes e Jesús Chávez Vázquez, “un’ondata di rabbia e indignazione si è sollevata contro chi si presume debba provvedere alla sicurezza della popolazione: lo Stato messicano”.

A quattro anni da quando Felipe Calderón ha dichiarato “guerra” al crimine organizzato, “il panorama che si scorge nel nostro paese è di desolazione, morte e paura”, aggiungono. “Questa guerra, fatta per ottenere la legittimità che non ha mai avuto, ha significato già 40 mila messicani morti, molti battezzati con l’infame nome di ‘effetti collaterali’. Non solo non si sono raggiunti gli obiettivi di questa guerra, ma il paesaggio che disegna è quello di un paese raso al suolo”.

Le organizzazioni convocano tutti i membri dell’Altra Campagna a trovarsi a Città del Messico, davanti all’Emiciclo a Benito Juárez, sabato 7 alle ore12. I promotori organizzeranno un incontro e poi formeranno delle brigate per distribuire volantini, quindi inviteranno ad unirsi alla marcia di domenica, dal Monumento alla Rivoluzione, “alla grande marcia che partirà dalla da Città Universitaria”.

Organizzazioni e collettivi si fanno eco dell’annuncio dello stesso EZLN, emesso nei giorni scorsi, che le sue basi di appoggio manifesteranno per le strade di San Cristobal de las Casas sabato, anche come parte della marcia nazionale convocata dal poeta Javier Sicilia.

Insieme all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, firmano anche: Unidad Obrera y Socialista; Red contra la Represión y por la Solidaridad; Red Mexicana de Trabajo Sexual; Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer “Elisa Martínez”; Colectivo Autónomo Magonista; Campaña contra la Represión Política y la Tortura Sexual. Inoltre: Derechos Humanos y Enlace Urbano de Dignidad (Puebla); Central Nacional Urbano-Campesina (Tlaxcala) e la squadra di appoggio della Commissione Sesta dell’EZLN.

Dalla città di Los Angeles, California, il Fronte Indigeno delle Organizzazioni Binazionali ed il Fronte Unito de Popoli Americani annunciano che, “in risposta all’appello dell’EZLN di mobilitarci contro la narcoviolenza in Messico, in solidarietà col movimento civile guidato da Javier Sicilia, e per denunciare il modo in cui gli emigrati sono colpiti dai signori del narco e la complicità governativa, domenica faremo una manifestazione di protesta di fronte al consolato del Messico” in questa città.

Azioni simili si svolgeranno a New York ed in altre città degli Stati Uniti; in Germania, sono confermate mobilitazioni a Berlino, Amburgo e Francoforte. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/05/index.php?section=politica&article=012n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 4 maggio 2011

Raúl Zibechi: Difendere la propria terra, è il solo crimine degli ejidatari di Bachajón arrestati

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 3 maggio. “L’unico crimine compiuto dagli ejidatari di San Sebastián Bachajón è stato voler vivere sulle proprie terre, le terre dei loro nonni, dei loro più remoti antenati, delle quali ora si vogliono appropriare le multinazionali del denaro e della morte. I cinque ejidatari in carcere dal 3 febbraio, e Patricio Domínguez Vázquez,arrestato a metà di aprile nell’ejido di Monte Redondo del municipio di Frontera Comalapa, sono vittime della classe politica che lavora per le multinazionali”.

E’ questo quanto dichiarato dall’analista politico Raúl Zibechi in un messaggio inviato da Montevideo, Uruguay, col quale si unisce alla domanda internazionale di liberare i cinque detenuti di Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, e di Domínguez Vázquez, base di appoggio zapatista del municipio autonomo Tierra y Libertad, che nei giorni scorsi è stata espressa in 33 città, solo in Francia, ed in una ventina in altri paesi.

“Oggi la guerra è per la terra, per appropriarsi della vita che accoglie e riproduce, e per questo gli indigeni e i contadini sono solo un fastidio di cui è necessario disfarsi. Da quando il capitale ha deciso che tutto è merce, non c’è più spazio né angolo del pianeta che possa sottrarsi a quest’ambizione.  “Per appropriarsi della terra, hanno scatenato quella che gli zapatisti chiamano la quarta guerra mondiale che, in America Latina, espelle milioni di persone da oltre 100 milioni di ettari di terre. I grandi progetti del settore minerario a cielo aperto, le monocolture di canna da zucchero, mais e soia per produrre benzina, e le piantagioni di alberi per fabbricare la cellulosa, stanno uccidendo la vita e la gente da sud a nord”.

In alcuni casi, segnala, “come successo a Patricio, non solo vengono imprigionati, ma danno fuoco alle loro case, perché in realtà vogliono che abbandonino la loro terra”. Questa guerra “dura da sessant’anni in Colombia”, dove ha permesso che più di quattro milioni di ettari “passassero dai contadini ai paramilitari, poiché questi si offrono come sicurezza dalle multinazionali”. Una guerra che vuole di espellere i contadini, “più di tre milioni negli ultimi 20 anni”, e sgombrare i territori per la speculazione del capitale.

“In Colombia, i territori della guerra coincidono esattamente con quelli che ambiscono le società minerarie ed i megaprogetti infrastrutturali”.

La stessa cosa succede ora nel resto del continente, aggiunge lo scrittore uruguaiano: “il governo del Brasile sta trasformando i fiumi amazzonici in fonti di energia economica per le grandi imprese”, con gigantesche dighe “alla cui costruzione lavorano 10, 15 e fino a 20 mila operai mal pagati e peggio trattati, nuovi schiavi al servizio di governi sottomessi al capitale, e quando si ribellano, come successo a Jirau (stato di Roraima) nel mese di marzo, sono accusati di essere banditi.

“Quello che più duole, e quello che più insegna, è come la classe politica che una volta ha detto di essere di sinistra, si unisce alla classe politica che è sempre stata di destra per espellere ed imprigionare contadini e indigeni, dimostrando che sono tutti uguali quando si vuole attaccare quelli che stanno in basso per fare affari per quelli che stanno in alto. Ed usano l’argomento ‘ecologico’, scuse politicamente corrette per camuffare il saccheggio.

Rivolgendosi al Movimento per la Giustizia del Barrio, di New York, “da questo angolo del continente”, Zibechi si unisce alla campagna “per la libertà dei cinque di Bachajón e per Patricio”, e sostiene che “la solidarietà e la fraternità tra i popoli non conosce frontiere, né può aspettarsi niente da chi sta in alto né dalle istituzioni. Dipendiamo solo da noi stessi”.http://www.jornada.unam.mx/2011/05/04/index.php?section=politica&article=016n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 1° Maggio 2011

Interessi economici alimentano la repressione in Chiapas, accusano gli ejidatarios di Bachajón che chiedono la liberazione dei 5 indigeni arrestati

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 30 aprile. Ribadendo la richiesta della liberazione immediata dei loro cinque compagni, rinchiusi da febbraio nella prigione di Playas de Catazajá, l’assemblea degli ejidatarios dell’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, denuncia: “Il governo ha mostrato l’altra faccia della violenza e repressione contro i nostri compagni militarizzando la zona, intimorendo la gente con la presenza dell’Esercito e della Marina come se fosse una zona di guerra, tutto questo per gli interessi che si nutrono sulle nostre risorse naturali e la grande ricchezza del nostro ejido. Grazie al patrocinio di Felipe Calderón Hinojosa e Juan Sabines Guerrero e dei loro ambiziosi alleati”. Gli indigeni denunciano anche che il governo statale “ha creato una pagina Internet per organizzare gruppi di partito e quelli di Opddic, Cenpi, Orcao, Partito Verde Ecologista e Fondazione Colosio, che si spacciano per ‘la otra civil’, mentre in realtà sono paramilitari camuffati, creati da questo malgoverno per manipolare la verità e distruggere i nostri costumi di uomini e donne degni di difendere queste terre che i nostri antenati ci hanno lasciato”. (…)

Bisogna segnalare che il governo del Chiapas, “consegnando” il botteghino di accesso alle Cascate di Agua Azul alla Commissione Nazionale per le Aree Protette, spiana la strada all’esproprio forzato di una parte del territorio indigeno di San Sebastián Bachajón, malgrado gli ejidatarios respingano la misura. Esistono voci secondo le quali a breve l’area potrebbe essere decretata area naturale protetta, a beneficio dello sfruttamento turistico delle cascate che si trovano in un altro ejido (Agua Azul) ed un altro municipio (Tumbalá). Benché la strada di quattro chilometri che attraversa San Sebastián, dall’incrocio Ocosingo-Palenque alle cascate sia costruita su terre ejidali, dalle autorità è stato presentato come presumibilmente federale, ma non lo è mai stato.

L’interesse “protezionistico” delle autorità per un territorio tradizionalmente agricolo coincide col fatto che ancora adesso, prima di avviare il progetto turistico progettato per la zona, questo accesso alle cascate possiede un alto valore economico. Solo nel periodo vacanziero che si sta per concludere, le cascate di Tumbalá hanno accolto più di 51 mila visitatori su 12 mila veicoli, in ragione di 35 pesos ognuno, secondo la tariffa fissata dal governo dopo aver strappato la stazione di pedaggio agli ejidatarios di San Sebastián nel febbraio scorso. Questi ultimi facevano pagare 10 pesos. Ed altrettanti i coloni di Agua Azul, che da molti anni è uno dei municipi indigeni più prosperi del paese e si distingue per essere fortemente filo-governativo. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/01/index.php?section=politica&article=015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Della riflessione critica, individui e collettivi

Risposta di Luis Villoro alla seconda lettera del Sup Marcos nello scambio epistolare su Etica e Politica

Aprile 2011

Salve!

Partiamo dal tema della ricostituzione del paese, della ricostruzione del tessuto sociale, preoccupazione che condividiamo e che si riflette nelle sue due prime missive così come nella convocazione di Javier Sicilia, la quale apre uno spiraglio di speranza alle grida di dolore e indignazione che percorrono oggi il nostro territorio, devastato dall’irrazionalità e dalla violenza.

Per iniziare, credo che uno dei punti da prendere un considerazione per andare oltre la mobilitazione – senza dubbio necessaria, all’inizio – sarebbe quello di elaborare una proposta molto Altra, molto nostra, che passi dalla resistenza all’azione, mirando ad una vera organizzazione. Un’organizzazione che riunisse tutti i popoli e settori sociali colpiti dal mancato rispetto dei propri diritti. Sarebbe un’organizzazione dal basso e a sinistra.

Questa proposta dovrebbe considerare il riscatto dell’etica, tanto ignorata oggi nell’agire politico; perché bisogna distinguere, naturalmente, tra etica e morale sociale. L’etica è la promulgazione di principi universali, mentre la morale sociale parla della loro realizzazione, nei fatti, in una determinata società. È quest’ultima che farebbe ricorso alla riserva morale presente nella cittadinanza, in senso generale: grandi e piccoli gruppi, individui, collettivi ed organizzazioni della sinistra indipendente.

Per questo è importante che il movimento che Sicilia con grande dignità ha suscitato in tutto il Messico, non oltrepassi i limiti della cittadinanza, che si mantenga al suo interno, cosa che implica il non permettere l’ingresso di nessun partito politico, nessun funzionario pubblico, pena la sua contaminazione. In questo senso, concordando sugli avvoltoi che lei cita, mi permetta di rifarmi ad alcune righe del mio testo “Il Potere ed il valore” in cui faccio riferimento al politico progressista che vuole usare il potere oppressivo per porvi limite prendendovi parte… Non è il crociato che lotta in campo aperto contro il male, è l’apostolo mascherato in terra di infedeli che riconosce il male del potere ma è pronto ad entrare nel ventre della balena per cambiarlo. A volte, giustifica la sua partecipazione al potere perché “si può cambiarlo solo dall’interno”. (p. 89)

Oggi è evidente che l’unico atteggiamento in grado di ottenere la trasformazione che perseguiamo è il rifiuto assoluto della situazione esistente, dire NO ad ogni forma di dominio incarnata nel potere.

Un atteggiamento distruttivo verso la dominazione che implica una posizione morale sociale, come lei segnala quando dice: “Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni o salvatori supremi, bensì non avere nessuno”.

Ora, concentriamoci sul tema di questa sua seconda missiva: la relazione individuo-collettivo, estendendola alla società stessa… prendendo in considerazione la diversità che la compone (cioè, i gruppi umani e le loro differenze sul piano economico, ideologico, culturale) nonostante l’appartenenza ad una storia comune.

L’individuo esprime i propri diritti nelle scelte personali. Ma, nell’attuale situazione del Messico, dove predomina la “partitocrazia”, l’individuo si limita a scegliere tra uno dei partiti politici esistenti, poiché nel nostro paese non è contemplata la figura del candidato civico indipendente. È indispensabile, pertanto, una riforma radicale secondo la quale ogni cittadino, col suo voto, possa esprimere la propria volontà, la propria preferenza o il rifiuto di un partito politico. Questa è la vera democrazia che darebbe luogo alla reale libertà di espressione delle persone e dei gruppi sociali al di là della “partitocrazia”. Questa sarebbe una riforma veramente necessaria.

Orbene, con l’obiettivo di costruire un cammino più includente, come disse il poeta Machado, la caratteristica comune necessaria per abbracciare questa diversità, io credo sia la seguente: una stessa morale sociale per tutti, con principi eticamente validi, cioè, universali… come quelli che lei menziona a pagina 12, come fondamentali per ogni essere umano: vita, libertà e verità.

Alla sua domanda se l’individuo possa raggiungere appieno queste aspirazioni in maniera collettiva, concordo con lei affermativamente; perché nella solitudine dell’individualismo egocentrico neoliberista non hanno senso né posto, perché il confronto o l’ambiente reale diventano inesistenti.

E tornando al nostro compito o impegno, per porre fine alla violenza, all’impunità ed alla confusione imperante; per fermare la guerra, è necessaria la collettività del “noi” solidale che ha tanto enfatizzato Carlos Lenkersdorf durante tutta la sua vita e nella sua opera.

Rispetto all’individualismo egoista sarebbe necessaria la possibilità di accettare diritti sociali, collettivi, di un “noi”. Una riforma possibile – io penso – sarebbe aprire una discussione sulla differenza tra diritti individuali come vuole la tradizione liberale, e diritti collettivi provenienti da un’altra tradizione: quella del “socialismo” o del cosiddetto “populismo”.

Un altro punto che condivido con Sicilia e lo zapatismo, è la domanda di giustizia. Poche parole più pronunciate che praticate dalla demagogia della classe politica. La democrazia è un altro esempio. E nessuna ha senso fuori dal collettivo, dalla comunità. Non si può essere democratico individualmente, con chi o rispetto a chi?

Come affermo in “Le Sfide della Società Futura” (Los Retos para la sociedad por venir, 2007): “Le teorie più in voga per fondare la giustizia, normalmente partono dall’idea di un consenso razionale tra individui uguali, che si relazionano tra loro, in termini che riproducono le caratteristiche di una democrazia ben ordinata… ma, in società come la nostra, dove la democrazia non è ancora salda, dove regna una disuguaglianza inconcepibile per paesi sviluppati… nella nostra realtà sociale dove non sono comuni i comportamenti concordati che abbiano come norma principi di giustizia che includano tutti gli individui: è palese la loro assenza. Quello che più colpisce è l’emarginazione e l’ingiustizia… cosa che ci obbliga a partire dalla percezione dell’ingiustizia reale per proiettare quello che potrebbe porvi rimedio”.

Così arriviamo al rapporto dell’ingiustizia col potere. Il potere è dominazione sul mondo che ci circonda, sia naturale che sociale, per raggiungere quanto desiderato… Ciò che sfugge alla smania di potere sono le azioni contrarie al suo perseguimento. “Se una città fosse governata da uomini perbene – notava Socrate – farebbero di tutto per scappare dal potere ,come ora si fa per ottenerlo” (Platone, La Repubblica).

Qui potremmo aprire una parentesi che ci porterebbe nell’attualità collocandoci nei principi e originalità dei postulati dello zapatismo, esperienza ancora ignorata e incompresa dalla maggioranza degli “specialisti tradizionali” della Filosofia Politica.

Il punto centrale, dunque, è il potere, incluso il concetto di contropotere che alla fine si perverte in un’ulteriore forma di potere impositivo; un anello in più nella catena ininterrotta del potere e della violenza. E, come scrivo nel libro sopra menzionato, “c’è solo una strada per fuggire da questo ingranaggio… rinunciare alla smania di potere per sé stesso. È ciò che compresero Gandhi e Luther King; è quello che hanno compreso anche gli indigeni zapatisti del Chiapas quando hanno deciso di non perseguire il potere per se stesso. Si sono ribellati nel 1994 contro le condizioni di estrema emarginazione e ingiustizia ed hanno dovuto usare le armi per farsi ascoltare, ma il loro comportamento è stato radicalmente diverso da quello dei vecchi movimenti guerriglieri. Hanno chiesto democrazia, pace con giustizia e dignità. Coscienti che la responsabile dell’ingiustizia è, in ultima analisi, la smania di potere, hanno proclamato che il loro obiettivo non era la presa del potere, bensì il risveglio dei cittadini contro il potere. Facendolo, hanno aperto una nuova via, mostrando che la volontà dei popoli organizzati va oltre le elezioni. Non è questa la strada dello zapatismo? E mi sembra che oggi, con l’appello di Sicilia, si tratta proprio di questo. Ora, da noi, come società, dipenderà la risposta: oppure l’apatia, la paralisi che accetta la barbarie o l’impegno di creare le condizioni affinché nasca una terra su cui non imperino l’ingiustizia e la violenza. http://revistarebeldia.org/revistas/numero78/05villoro.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 30 aprile 2011

A livello mondiali 63 manifestazioni in 22 Paesi per chiedere la liberazione dei 5 “prigionieri politici” di Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 29 aprile. La richiesta di liberare i cinque prigionieri politici di San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, in carcere da 85 giorni, questa settimana ha avuto ripercussioni a livello statale, nazionale ed internazionale, ignorata dai mezzi di comunicazione, ma non per questo meno diffusa.

In maniera significativa, tutti questi ambiti sono confluiti nella la convocazione alla Marcia Nazionale per la Giustizia e Contro l’Impunità – convocata dal poeta Javier Sicilia – e nell’annuncio della comandancia dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che le proprie basi di appoggio – nella prima mobilitazione pubblica degli ultimi anni – si uniranno all’Altra Campagna in tutto il paese e con la Zezta Internazionale.

A livello statale si sono espressi chiaramente Las Abejas, di Acteal; gli ejidatarios choles che difendono le loro terre nell’ejido di Tila ed il Coniglio Regionale Autonomo della Zona Costa, per chiedere, come dice quest’ultimo, “al governo repressore di Juan Sabines e Felipe Calderón la liberazione immediata ed incondizionata di Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Domingo García Gómez e Mariano Demeza Silvano”, perseguiti “perché lottano e difendono la loro terra e territorio”.

Le proteste e le mobilitazioni si sono estese rapidamente. Iniziate il 24 e concluse questo giovedì 28, hanno visto 63 manifestazioni in 22 Paesi. E’ stato commemorato anche l’anniversario dell’assassinio di Bety Cariño Trujillo e Jyri Jakkola, mentre partecipavano ad una carovana umanitaria a San Juan Copala, Oaxaca. Ma se il giorno 27 i collettivi di Parigi, Dorset o Barcellona realizzavano azioni separate davanti al consolato messicani con la richiesta di liberare i tzeltales di Bachajón, il giorno dopo convergevano in un nuovo appello per dire “stop alla guerra di Felipe Calderón”, firmato da 16 collettivi ed organizzazioni di Francia, Italia, Svizzera, Germania, Austria, Grecia e Stato Spagnolo. (…) Le organizzazioni europee chiedono la liberazione dei “prigionieri politici” di la Voz del Amate, San Sebastián Bachajón, Mitzitón e Jotolá (Chiapas), così pure di Loxichas e Xanica (Oaxaca) e Guerrero. (…). Las azioni si sono estese a Sudafrica, Nuova Zelanda, Slovenia, India e Filippine (…).

Il Movimento per la Giustizia del Barrio ha realizzato azioni a New York e divulgato un messaggio di organizzazioni egiziane a favore della liberazione dei cinque di Bachajón, in risposta ad un videomessaggio e ad una lettera di appoggio. Il nuovo messaggio include un video (www.youtube.com/watch?v=h3uIWkjKOlU). I mittenti egiziani spiegano di “aver scritto la canzone nei giorni in cui è caduto il potere e la dittatura, e raccoglie quello che dicevano i cartelli nelle piazze”.

Infine, 23 organizzazioni dell’Altra Campagna in diversi stati, hanno annunciato oggi di aver iniziato “un processo di articolazione nazionale contro il malgoverno ed il mercato, a favore della vita, la madre terra e in difesa dei beni naturali, per condividere la costruzione delle autonomie”. E che rispondendo alla convocazione di Javier Sicilia e dell’EZLN si mobiliteranno dal 5 al 8 maggio in Bassa California, Chiapas, Coahuila, Jalisco, Guanajuato, Gueriero, Nuevo León, Nayarit, Puebla e Città del Messico, per chiedere lo “stop alla violenza contro il popolo del Messico”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/30/index.php?section=politica&article=019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE 

MESSICO

“L’abitante di Los Pinos contempla un atroce crimine, 

Se ne lava le mani per un anno, 

Cambia posto ai mobili che  

Giocano a ministri e funzionari 

E si rifugia nel colpevole silenzio, 

L’ingrato, nel suo affanno di conservare 

La poltrona.

Che cosa gli daremo?

Ed il nostro bambino medico di anime prescrive: 

Un busto di dignità che gli raddrizzi la schiena, 

Gocce di verità per gli occhi, 

Pillole di onestà (ma che non se le metta in tasca), 

Iniezioni di dignità che non si compra con denaro 

Ed il riposo assoluto delle sue corrotte abitudini.

Isolatelo, la sua malattia è contagiosa”.

Juan Carlos Mijangos Noh.
(Frammento di “49 Globos”,

 in memoria dei 49 bambini e bambine morti nell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora).

AL POPOLO DEL MESSICO:

AI POPOLI DEL MONDO:

AGLI ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA

E ALL’ALTRA CAMPAGNA IN MESSICO:

AGLI ADERENTI ALLA ZEZTA INTERNAZIONALE:

SORELLE E FRATELLI:
COMPAGNE E COMPAGNI:

LA CAMPAGNA MILITARE PSICOTICA DI FELIPE CALDERÓN HINOJOSA, CHE HA TRASFORMATO LA LOTTA CONTRO IL CRIMINE IN UN ARGOMENTO TOTALITARIO PER, PREMEDITATAMENTE, GENERALIZZARE LA PAURA IN TUTTO IL PAESE, AFFRONTA ORA LE VOCI DEGNE ED ORGANIZZATE DEI FAMILIARI DELLE VITTIME DI QUESTA GUERRA.

QUESTE VOCI CHE SORGONO DAI DIVERSI ANGOLI DEL NOSTRO PAESE CI INVITANO A MOBILITARCI E MANIFESTARE PER FERMARE LA FOLLIA ORGANIZZATA E DISORGANIZZATA CHE STA MIETENDO VITE INNOCENTI, CHE VENGONO UCCISE UN’ALTRA VOLTA NELL’ESSERE DEFINITE, DALLA SEMPLICIONERIA GOVERNATIVA, SICARI O VITTIME COLLATERALI.

RISPONDENDO ALL’APPELLO CHE NASCE, TRA ALTRI, DAL DOLORE DEL COMPAGNO POETA JAVIER SICILIA, L’EZLN COMUNICA:

PRIMO – LE BASI DI APPOGGIO DELL’EZLN MARCERANNO IN SILENZIO NELLA CITTA’ DI SAN CRISTOBAL DE LAS CASA, CHIAPAS, IL GIORNO 7 MAGGIO 2011, PER SALUTARE ED APPOGGIARE LA DEGNA VOCE CHE RECLAMA GIUSTIZIA. IL CONTINGENTE ZAPATISTA PARTIRÀ, NEL POMERIGGIO, DALLA STRADA DI FRONTE AL CIDECI, A SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS, ED ANDRÀ FINO A PLAZA DE LA PAZ, DAVANTI ALLA CATTEDRALE. NELLA PIAZZA VERRA’LETTO UN MESSAGGIO DELL’EZLN E POI LE E GLI ZAPATISTI TORNERANNO NELLE PROPRIE COMUNITA’.

SECONDO. – SEGUENDO LA CONVOCAZIONE DELLA MARCIA NAZIONALE PER LA GIUSTIZIA E CONTRO L’IMPUNITA’, INVITIAMO I/LE NOSTRI@ COMPAGN@ DELL’ALTRA CAMPAGNA IN MESSICO E NEL MONDO, LE E GLI INDIVIDUI, GRUPPI. COLLETTIVI, ORGANIZZAZIONI, MOVIMENTI E POPOLI ORIGINARI ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA, PER QUANTO LORO POSSIBILE, AD UNIRSI ALLE GIUSTE RIVENDICAZIONI DI QUESTA MARCIA NAZIONALE, SIA ACCOMPAGNANDO LA MARCIA ALLA PARTENZA DALLA CITTA’ DI CUERNAVACA, MORELOS, IL GIORNO 5 MAGGIO 2011, A CITTA’ DEL MESSICO IL GIORNO 8 MAGGIO 2011, O TRA I GIORNI 5 E 8 MAGGIO 2011 NELLE PROPRIE LOCALITA’ CON MARCE SILENZIOSE CON STRISCIONI E CARTELLI, MEETING, EVENTI CULTURALI, ETC., CON LE SEGUENTI PAROLE D’ORDINE:

STOP ALLA GUERRA DI CALDERÓN!

BASTA SANGUE!

NE ABBIAMO ABBASTANZA DI…!
(ognuno completi la frase con le proprie richieste).

TERZO.- RIVOLGIAMO UN APPELLO PARTICOLARE A@ NOSTR@ COMPAGN@ DELL’ALTRA IN CHIAPAS PERCHE’ MANIFESTINO IN SILENZIO, VICINO A NOI, IL GIORNO 7 MAGGIO 2011 E CHE SI RITROVINO AL CIDECI, A SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS, A MEZZOGIORNO, PER RAGGIUNGERE DA LI’ PLAZA DE LA PAZ.

QUARTO.- INVITIAMO I/LE NOSTR@ COMPAGN@ DELLA ZEZTA INTERNAZIONALE, NELLE RISPETTIVE GEOGRAFIE E CALENDARI, AD APPOGGIARE LA RICHIESTA DI FERMARE IL BAGNO DI SANGUE CHE AVVIENE NELLE TERRE MESSICANE E SI FACCIA GIUSTIZIA PER LE VITTIME.

QUINTO.- INVITIAMO INOLTRE I POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO, RAGGRUPPATI NEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, AD APPOGGIARE QUESTA LOTTA PER PORRE FINE ALL’INCUBO DI SANGUE CHE AVVOLGE I NOSTRI SUOLI.

SESTO.- RISPONDENDO ALLA RICHIESTA DI NOMINARE LE VITTIME DI QUESTA GUERRA, NOMINIAMO LE VITTIME UCCISE DA UN GRUPPO CRIMINALE A VILLAS DE SALVÁRCAR, CIUDAD JUÁREZ, CHIHUAHUA, ALLA FINE DI GENNAIO DEL 2010, E CHE ASPETTANO GIUSTIZIA:

Marcos Piña Dávila
José Luis Piña Dávila
Rodrigo Cadena Dávila
Juan Carlos Medrano
Horacio Alberto Soto Camargo
José Luis Aguilar Camargo
Yomira Aurora Delgado
Brenda Ivonne Escamilla
José Adrian Encino Hernández
Edgar Martínez Díaz
Jesús Enríquez
Jesús Armando Segovia Ortiz
Carlos Lucio Moreno
Eduardo Becerra.
Jaime Rosales

NON SIETE SOLI!

DEMOCRAZIA!
LIBERTÀ!
GIUSTIZIA!

 Dalle montagne del Sudest Messicano.

PER IL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Aprile 2011

 http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/28/comunicado-del-ccri-cg-del-ezln-convocatoria-a-sumarse-a-la-marcha-nacional-por-la-justicia-y-contra-la-impunidad/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Lettera del Subcomandante Insurgente Marcos a Don Javier Sicilia

 ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE. MESSICO.

“E a voi, cittadini, quarantanove bambini  fanno sapere:  

Che in Messico la giustizia ha recuperato la vista,
Ma guarda solo con l’occhio destro e strabico. 
 
Che in questo paese la tal signora è monca come la Venere di Milo,
Non è bella ma è grottesca. 
 
Che in ragione dei difetti suddetti,
La bilancia che sosteneva la tizia rotola nel fango. 
 
Che i sentimenti che videro nascere la nazione messicana
Non vivono più sotto la toga di questa signora giustizia
Scritta qui con intenzionale minuscola. 
 
Per questo, messicani, questo alato squadrone vi convoca:
 
A costruire il palazzo della Giustizia con le proprie mani,
Col proprio amore e con la verità indefettibile.
 
A rompere i muri che i satrapi erigono
Per troncare i nostri occhi, cuore e bocche. 
 
A lottare fino all’ultimo respiro
Che diventi il primo di un paese
Che sia il degno paesaggio della pace che meritiamo”.
Juan Carlos Mijangos Noh
(Frammento di “49 Globos”,
 in memoria dei 49 bambini e bambine
 morti nell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora).

Per: Javier Sicilia.

Da: SupMarcos.

Fratello e compagno:

Le mando i saluti degli uomini, donne, bambini ed anziani indigeni dell’EZLN. Le compagne e compagni basi di appoggio zapatisti mi incaricano di dirle quanto segue:

In questi momenti particolarmente dolorosi per il nostro paese, ci sentiamo convocati dal clamore sintetizzato nelle sue coraggiose parole, suscitate dal dolore del vile assassinio di Juan Francisco Sicilia Ortega, Luis Antonio Romero Jaime, Julio César Romero Jaime e Gabriel Alejo Escalera, e dall’appello per la Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, che partirà il 5 maggio 2011 dalla città di Cuernavaca, Morelos, ed arriverà nello Zócalo di Città del Messico domenica 8 maggio di questo anno.

Benché sia nostro sincero desiderio marciare al suo fianco nella domanda di giustizia per le vittime di questa guerra, non ci è possibile ora raggiungere Cuernavaca o Città del Messico.

Ma, con le nostre modeste capacità, e nella cornice della giornata nazionale alla quale ci convocano, noi indigene e indigeni zapatisti marceremo in silenzio nella città di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, nell’esercizio dei nostri diritti costituzionali, il giorno 7 maggio 2011. Dopo la marcia silenziosa, diremo la nostra parola in spagnolo e nelle nostre lingue originarie, e poi torneremo nelle nostre comunità, villaggi e siti.

Nella nostra marcia silenziosa porteremo striscioni e cartelli con messaggi come: “Stop alla Guerra di Calderón”, “Non più sangue” e “Ne abbiamo abbastanza”.

Le chiediamo per favore di trasmettere queste parole ai famigliari dei 49 bambini e bambine morti ed ai 70 feriti nella tragedia dell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora; alle degne Madri di Ciudad Juárez; alle famiglie Le Baron e Reyes Salazar, di Chihuahua; ai famigliari ed amici delle vittime di questa guerra arrogante; ai difensori dei diritti umani di nazionali ed emigranti; e a tutti i promotori alla Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità.

Rispondendo al suo invito di nominare le vittime innocenti, oggi nominiamo le bambine e i bambini morti nell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora, che ancora aspettano giustizia:

María Magdalena Millán García Andrea Nicole Figueroa Emilia Fraijo Navarro Valeria Muñoz Ramos Sofía Martínez Robles Fátima Sofía Moreno Escalante Dafne Yesenia Blanco Losoya Ruth Nahomi Madrid Pacheco Denisse Alejandra Figueroa Ortiz Lucía Guadalupe Carrillo Campos Jazmín Pamela Tapia Ruiz Camila Fuentes Cervera Ana Paula Acosta Jiménez Monserrat Granados Pérez Pauleth Daniela Coronado Padilla Ariadna Aragón Valenzuela María Fernanda Miranda Hugues Yoselín Valentina Tamayo Trujillo Marian Ximena Hugues Mendoza Nayeli Estefania González Daniel Ximena Yanes Madrid Yeseli Nahomi Baceli Meza Ian Isaac Martínez Valle Santiago Corona Carranza Axel Abraham Angulo Cázares Javier Ángel Merancio Valdez Andrés Alonso García Duarte Carlos Alán Santos Martínez Martín Raymundo de la Cruz Armenta Julio César Márquez Báez Jesús Julián Valdez Rivera Santiago de Jesús Zavala Lemas Daniel Alberto Gayzueta Cabanillas Xiunelth Emmanuel Rodríguez García Aquiles Dreneth Hernández Márquez Daniel Rafael Navarro Valenzuela Juan Carlos Rodríguez Othón Germán Paúl León Vázquez Bryan Alexander Méndez García Jesús Antonio Chambert López Luis Denzel Durazo López Daré Omar Valenzuela Contreras Jonathan Jesús de los Reyes Luna Emily Guadalupe Cevallos Badilla Juan Israel Fernández Lara Jorge Sebastián Carrillo González Ximena Álvarez Cota Daniela Guadalupe Reyes Carretas Juan Carlos Rascón Holguín

Per loro chiediamo giustizia.

Perché noi sappiamo bene che nominare i morti è un modo per non abbandonarli, per non abbandonarci.

Don Javier:

Sappia che rivolgeremo anche un appello a@ nostri@ compagn@ dell’Altra in Messico e a chi sta in altri paesi affinché si uniscano alla mobilitazione che avete convocato.

Faremo il possibile per dare il nostro appoggio, nelle nostre possibilità.

Bene. Salute e non dimenticate che non siete sol@.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Aprile 2011

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/28/carta-a-don-javier-sicilia-de-subcomandante-insurgente-marcos/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 28 aprile 2011

Create due basi militari alla frontiera con il Guatemala con 1200 effettivi

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il comandante della settima Regione Militare nell’entità, Salvador Cienfuegos Zepeda, che ha imposto una nuova politica di comunicazione con la stampa locale, più “vicina”, questo martedì, in Chiapas, ha detto che la strategia fa parte di una nuova tappa di combattimento al narcotraffico, che ha mostrato di essere presente e attivo nella zona, “con tutto ciò che questo comporta”.

La base castrense a Nuevo Chiapas, Jiquipilas, sarà composta da truppe proveniente da Oaxaca, mentre quella di Chicomuselo (secondo altre voci sarà a Frontera Comalapa) potrebbe essere composta da militari già residenti in Chiapas. Il generale Cienfuegos ha rivelato di aver proposto di trasferirli dalla base militare di San Quintín, nella selva Lacandona, anche se altre fonti assicurano che il nuovo distaccamento di confine conterà su truppe attualmente impiegate a Marqués de Comillas, sul confine della selva e del fiume Usumacinta.

In maniera inusuale, il comando militare ha fornito il numero dei militari che sarebbero dispiegati nello stato (informazione che è sempre stata nebulosa e contraddittoria, quando inaccessibile). Sostiene che ci sono attualmente 14 mila effettivi, e che in anni precedenti, dopo la sollevazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), sarebbero arrivati a 40 mila. Bisogna segnalare che non si è mai registrato, né è mai stato annunciato alcun ritiro di truppe.

Non cercheranno gruppi civili armati, dicono.

Le minacce alla frontiera, aggiunge, derivano da “bande del crimine organizzato” e nega l’esistenza di “gruppi di civili armati”, o almeno, che questi siano “pericolosi”.

“Stiamo muovendo truppe per tutto lo stato, specialmente nella zona di confine. Analizziamo col governo dello stato la fattibilità di muovere più truppe permanenti verso questo lato. Ha già dato il suo assenso la Segreteria della Difesa”, segnala Cienfuegos Zepeda.

Poche settimane fa, l’agenzia antidroga degli Stati Uniti (DEA) “raccomandò” al governo messicano la militarizzazione della frontiera sud, come fatto alla frontiera nord, nonostante in questa regione i fatti violenti siano molto inferiori rispetto a quelli che accadono nell’estremo nord del paese. Sebbene esistono passaggi di droga ed armi, traffico di persone, occasionali sequestri e tracce della presenza di organizzazioni criminali su entrambi i lati della frontiera con il Guatemala, non raggiungono neppure lontanamente le proporzioni né la violenza che presentano in altre regioni.

Durante un “rogo” di droga nella sede del 20 Battaglione di Fanteria, il delegato della Procura Generale della Repubblica, Jordán Orantes, ha rivelato che i gruppi ai quali è stata confiscata la maggiore quantità di sostanze illecite sono Los Zetas ed il cartello del Golfo. Il nome del cartello di Sinaloa “è apparso in alcune indagini preliminari”, ma la sua presenza in Chiapas è meno “nota”, ha detto. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/28/index.php?section=politica&article=012n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 27 aprile 2011

Contadini di Candelaria El Alto, membri dell’Altra Campagna, denunciano l’invasione delle proprie terre da parte di elementi della OCEZ-RC

Hermann Bellinghausen

Contadini della comunità Candelaria El Alto (municipio di Venustiano Carranza) Chiapas, aderenti all’Altra Campagna, denunciano aggressioni e l’invasione delle terre da parte di elementi dell’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata-Regione Carranza (OCEZ-RC) chi contano sulla complicità delle autorità, almeno per omissione.

Il 6 aprile, circa 50 persone “armate ed incappucciate” di San José La Grandeza hanno invaso le terre di Candelaria, con il sostegno di elementi della OCEZ delle comunità El Puerto ed El Paraíso, che sono tuttora nella proprietà.

Il conflitto è in relazione con le origini stesse del villaggio: I “nostri genitori e nonni erano manovali nelle fattorie dei ricchi (Ixtapilla, Tepeyac, Hierba Santa, El Desengaño). Hanno vissuto lì molti anni lavorando duramente, maltrattati e malpagati”. Tra il 1950 ed il 1956 comprano un piccolo terreno, “unicamente per vivere”, a El Desengaño, di proprietà di Magín Orantes Zebadúa. Così è nata la comunità di Candelaria, conosciuta anche come La Pastoría.

Per anni hanno affittato la terra come peones acasillados. Magín Orantes Tovilla, erede del proprietario, vendette la terra “ai suoi lavoratori, i nostri nonni”, nel 1989. I contadini sostengono che il possesso “è legittimo e legale”, sostenuto da scritture pubbliche del 1992 e 1997, perché “a poco a poco abbiamo raccolto i soldi per pagare le pratiche in cui sono coinvolte 30 persone”.

Nel 1996, il gruppo denominato “terzo ampliamento della colonia San José la Grandeza Río Blanco” della OCEZ-RC invase queste terre. “Con violenza, armati ed incappucciati, distrussero la casa della proprietà e la cappella, ferirono un compagno e rubarono le nostre cose”. Sequestrarono diversi coloni e ripetutamente hanno ucciso le vacche, “i responsabili erano i rappresentanti di San José la Grandeza, Melitón Cansino e Mariano Ramírez, appoggiati dal leader José Manuel Hernández Martínez (El Chema), Ricardo Magdaleno Velasco ed Uberlaín Aguilar”. Le autorità municipali e statali “non sono mai intervenute” e questii fatti sono rimasti impuniti.

“Dopo anni di aggressioni e minacce, e sotto pressione, abbiamo ceduto 95 ettari per risolvere i problemi.” Nel 2004 c’è stato un verbale di accordo tra il governo di Pablo Salazar Mendiguchía, la colonia San José la Grandeza terzo ampliamento ed i comproprietari, in cui lo stato si impegnava a pagare la nostra terra, ma non l’ha mai fatto”.

Nel 2005 la OCEZ-RC “rompe gli accordi ed invade 185 ettari con le solite aggressioni e minacce per rubare i nostri beni ed ammazzare le vacche”. Le autorità municipali e statali hanno di nuovo ignorato le denunce. Di fronte al saccheggio, “le aggressioni e vivere minacciati”, i contadini proprietari di Candelaria El Alto nel 2009 hanno aderito all’Altra Campagna dell’EZLN.

A luglio del 2010 la OCEZ-RC ha catturato due contadini, provocato danni e fumigato la canna in coltura. Il 12 agosto, “i nostri compagni hanno subito un’imboscata da parte di 10 individui armati e incappucciati di San José La Grandeza”. Lo scorso 3 gennaio, 18 contadini dell’Altra Campagna sono stati aggrediti da circa 30 persone. Julio e Artemio de la Cruz sono rimasti feriti. Mentre li portavano in salvo, i contadini di Candelaria sono stati aggrediti “con armi di grosso calibro”.

Dopoo l’ultima invasione, il giorno 6, gli elementi della OCEZ “hanno incendiato le stoppie di mais, i depositi dove conserviamo il nostro legno, i pascoli e due ettari di canna da zucchero”, si sono portati via tubi di PVC e condotte e pali di legno “in presenza della Polizia Statale Preventiva”. Le denunce sono risultate infruttuose: “lo stato li sostiene ed è complice” degli invasori; “sono passate due settimane e ancora non possiamo andare a lavorare la nostra terra”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/27/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 26 aprile 2011

Incendiate le case delle donne a Pikote, denuncia la JBG. Erano centri comunitari. In Chiapas, inusitata violenza contro le basi dell’EZLN

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Corazón Céntrico de los Zapatistas delante del Mundo, dal caracol di Oventik, negli Altos del Chiapas, chiede aiuto ad organizzazioni e collettivi solidali e dell’Altra Campagna per tre donne, basi di appoggio dell’EZLN nella comunità Pikote, municipio ufficiale di Sitalá che sono state vittime di un grave incendio lo scorso 18 aprile.

Intorno alla mezzanotte, riferisce la giunta, a Pikote sono state bruciate tre abitazioni, una delle quali era la casa di cura autonoma; sono andati distrutti medicinali ed attrezzature per la somministrazione dei vaccini. Un’altra costruzione serviva da cucina, e l’altra era un piccolo negozio di generi alimentari, andato completamente distrutto. “Era l’unica fonte di sostentamento delle compagne che vivono sole, e sole cercano il modo di sopravvivere e proseguire nella nostra lotta zapatista”.

Le tre costruzioni erano di legno e lamiera. “Le compagne sono riuscite solo a salvarsi ma non hanno potuto fare nulla per salvare i propri beni.” La JBG valuta le perdite in 580.500 pesos, la maggior parte in merci del negozio.

“Noi come giunta di buon governo non abbiamo la possibilità di aiutarle economicamente né materialmente, perché non abbiamo risorse economiche, perché siamo governi autonomi e siamo in resistenza. Non dipendiamo dal malgoverno”. Per tale ragione, la giunta si rivolge alla società civile “per vedere se c’è la possibilità e la volontà di aiutarci con risorse economiche o materiali”.

Noi zapatisti, aggiunge la JBG, “sappiamo che nel nostro stato e nel nostro paese ci sono persone sincere ed oneste che comprendono le giuste cause della nostra lotta e che sono disposti ad aiutarci”. E dichiara: “Malgrado i molti ostacoli, proseguiamo nella nostra lotta e nella costruzione della nostra autonomia”. Infine, si invitano le organizzazioni che vogliono dare aiuto a recarsi negli uffici della JBG ad Oventik.

Su un altro fronte, le organizzazioni dell’Altra Campagna chiedono la liberazione immediata di Patricio Domínguez Vázquez, contadino base di appoggio dell’EZLN dell’ejido Monte Redondo, arrestato nei giorni scorsi come atto di rappresaglia del governo municipale di Frontera Comalapa e del Pubblico Ministero, sulla base di accuse prive di fondamento. Questo è già stato denunciato dalla JBG della zona selva di confine, con sede nel caracol di La Realidad.

Le organizzazioni della Rete Contro la Repressione e per la Solidarietà denunciano: “La scalata di violenza e stoltezza che i personaggi della classe politica hanno scatenato in lungo e in largo nella nostra nazione, viene applicata con inusitata forza contro i compagni chiapanechi, basi di appoggio dell’EZLN ed aderenti all’Altra Campagna. A Monte Redondo, militanti di PRD, PVEM e PAN, capeggiati dal commissario ejidale, dal Pubblico Ministero e dal presidente municipale David Escobar, hanno attaccato, incendiato, spogliato delle terre e beni gli zapatisti di questa comunità”.

Domínguez Vázquez “ha subito una violenta aggressione fisica, la distruzione e l’incendio della sua casa ed inoltre è privato della libertà in maniera assurda; si applica il vecchio concetto del priismo di gridare, ‘al ladro, al ladro’, quando sono loro stessi ad aggredire, picchiare, vessare e derubare i degni contadini basi di appoggio dell’EZLN”.

Nel chiedere che “si fermi questo orrore che la destra inserita nei tre livelli di governo ha scatenato contro il popolo di questa nazione, e l’immediata liberazione del nostro compagno rinchiuso nella prigione di Motozintla”, la Rete si pronuncia per la sospensione delle aggressioni contro le comunità e popoli zapatisti. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/26/index.php?section=politica&article=015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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In difesa di Gianni Proiettis

Elena Poniatowska

(scrittrice messicana)

E’ diventato un luogo comune affermare che essere giornalista in Messico è pericoloso, però la deportazione dell’italiano Gianni Proiettis – dopo 18 anni di lavoro ininterrotto in Chiapas – dimostra che il governo messicano elimina i suoi critici e pretende di ridurre l’esercizio del nostro lavoro a quello di scribi e lacchè.

I giornalisti critici che si occupano delle questioni del paese sono mal visti e, nella maggior parte dei casi, rifiutati e addirittura espulsi.

Fin dal 1994, molti sono stati demonizzati dal regime intimorito dalla popolarità del Movimento Zapatista di Liberazione Nazionale e del suo portavoce il subcomandante Marcos.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nel suo articolo 19, definisce il diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include quello di non essere molestato a causa delle proprie opinioni, di indagare e ricevere informazioni e opinioni, e quello di diffonderle, senza limiti di frontiere, attraverso qualsiasi mezzo di espressione. Tuttavia, in Messico questo articolo è lettera morta.

Tutte le organizzazioni dei Diritti Umani hanno condannato il trattamento verso i giornalisti nel nostro paese come uno dei peggiori del mondo. Il Messico è una delle nazioni dove è più difficile esercitare tale lavoro: sequestrati, espulsi, assassinati, ce, ovviamente, che nel caso si sia corrispondenti di guerra.

Di questi tempi, è vero, quando il perseguimento dei narcotrafficanti uccide i civili, è facile concludere che il Messico è in guerra. K.S. Karol, de L’Express de France si stupiva per l’atteggiamento delle autorità messicane verso qualsiasi possibilità di critica e della loro assurda capacità di vendetta. Accettare la critica è uno dei puntelli di un governo civilizzato ma ad oggi, i nostri governi hanno risposto con rabbia verso la minima denuncia.

Si dovrebbe ricordare il furore della Società di Geografia e Statistica contro Oscar Lewis per la sua denuncia sulla povertà nel suo libro Los hijos de Sánchez negli anni ’60 o la più recente crociata contro Carmen Aristegui, senza dimenticare Lydia Cacho, che Aveva evidenziato con sano eroismo i vincoli tra governatori e pedofili e continua a farlo a rischio della sua stessa vita.

E’ inviolabile la libertà di scrivere e di pubblicare scritti su qualunque materia. Nessuna legge, né autorità può stabilire la previa censura (…) dispone l’articolo 7 della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani.

Se il governo del Messico, invece di preoccuparsi di perseguire i giornalisti, li rispettasse e proteggesse, di ben altro tipo sarebbe la vita dei cittadini nel nostro paese. Se con la stessa efficacia con la quale si castigano i giornalisti e li si elimina, si combattesse il narcotraffico sarebbe tutta un’altra suonata ma, sembra che il governo nella sua strategia abbia altre priorità e difenda interessi inconfessabili.

Lo Stato messicano fa parte della Convenzione Americana sui Diritti Umani che proibisce la censura ed assicura la più ampia protezione al diritto alla libertà di espressione. Eppure, il corrispondente de Il Manifesto Gianni Proiettis, dopo essere stato sequestrato e minacciato di venire gettato in una gola in Chiapas, a fine 2010, due poliziotti giudiziari lo hanno fatto salire su un aereo senza altre spiegazioni ed è volato a Roma, la sua città natale.

Il 15 aprile, Gianni Proiettis si è presentato alle 10.30 del mattino negli uffici del Instituto Nacional de Migración (INM) a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, perché secondo le autorità era scaduto il suo permesso migratorio FM2. Il giorno stesso le autorità lo hanno trasferito nella capitale dello stato, Tuxtla Gutiérrez, lo hanno fatto salire su un aereo privato in direzione di Città del Messico e alle sette di sera su un aereo di linea Aeroméxico con destinazione Madrid, custodito da due agenti del INM. A Madrid lo hanno detenuto per altre 24 ore ed è arrivato a Roma il 17 aprile senza altro che i vestiti che portava indosso.

Fare visita a Gianni e a Maribel Proiettis a San Cristóbal de las Casas era un vero piacere. Vivevano in modo tranquillo e sobrio, coltivavano le verdure nell’orto e dormivano in una casetta di legno nel quartiere Cuxtitali, dove tutti lo conoscevano e gli volevano bene. Coltivavano gli ortaggi e ti offrivano un cibo sano, di origine biologico nei piatti usciti dal tornio a pedale di Maribel, che lei stessa aveva lavorato.

Tutto il vasellame era fatto da loro, beh, l’aveva disegnata Maribel ma Gianni sapeva proprio tutto della cottura dell’argilla e della durata in forno per far si che i pezzi non si rompano. Nessuna vita più semplice, più sana e senza altre pretese quella dei Proiettis.

Si erano lasciati alle spalle il meccanicismo delle metropoli e poco gli mancava di tessersi da sé anche i vestiti.

Gianni stava molto bene con il suo cappello di paglia mentre stava chinato sui carciofi e Maribel scendeva tutti i giorni alla UACh (Universidad Autónoma de Chiapas) a fare lezione e a delineare insieme ai suoi alunni progetti di sviluppo sociale per le comunità più bisognose dello stato.

Anch’egli insegnante nella stessa università, Gianni Proiettis si è laureato Magna Cum Laude all’Università La Sapienza di Roma, Italia, forse l’università più tradizionale e riconosciuta d’Italia. Diplomato dal Ministero dell’Istruzione di Francia, insegnava corsi di francese, inglese, italiano e tecniche di traduzione. Uomo del Rinascimento, era solito scrivere articoli, reportage ed interviste come quella che fece a Lula in Brasile. E’ stato il primo giornalista a intervistare il subcomandante Marcos per l’Unità, nel gennaio 1994.

Alla UACh, Proiettis insegna dal 1993. Specializzato in antropologia con un master su passato e presente dei maya, la loro storia e religione. Proiettis ha insegnato Storia della religione, Stato e società. tecniche linguistiche ed etnografiche, come anche corsi intensivi di inglese per promotori turistici di lingua tzotzil.

I suoi alunni, che in maggioranza provengono soprattutto da comunità emarginate del Chiapas e hanno accumulato gravi deficit educativi, gli volevano bene ed una di loro ha scritto a sua moglie:

Professoressa Maribel, mi unisco alla voce di tutti i miei compagni e compagne per l’ingiustizia perpetrata contro il nostro caro Gianni. Se in un dato momento c’è bisogno di voci e di cuori per manifestare, conti su di me. Mi metterò in contatto con altri compagni, Adriana.

Sezione Opinione del quotidiano messicano La Jornada 23 aprile 2011

http://www.jornada.unam.mx/2011/04/23/index.php?section=cultura&article=a06a1cul

traduzione Onda Durito. ROdU Brescia

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La Jornada – Venerdì 22 aprile 2011

http://es.rsf.org/mexico-un-periodista-italiano-fue-21-04-2011,40082.html

Protesta di Reporters Sans Frontières per la deportazione del giornalista italiano

VÍCTOR BALLINAS

L’organizzazione Reporters Sans Frontièrs (RSF) ieri ha protestato per la deportazione “in forma rapida ed arbitraria” del giornalista italiano Gianni Proiettis, collaboratore del quotidiano italiano Il Manifesto. L’organizzazione chiede al governo messicano di riesaminare la sua decisione “presa senza tenere conto delle procedire giuridiche in vigore”.

Reporters Sans Frontièrs afferma che al giornalista italiano, che risiede da 18 anni in Messico, non sarebbe stato notificato previamente l’obbligo di abbandonare il territorio, né le ragioni di questa decisione. Non sono stati rispettati il suo diritto di chiedere l’assistenza consolare del suo paese o di un avvocato e di informare i famigliari, in violazione degli accordi internazionali sulla protezione dei diritti umani, ratificati dal Messico e contenuti nella legge messicana sull’immigrazione”.

In un’intervista con questa organizzazione, Proiettis ha segnalato che al momento della sua detenzione ed espulsione dal paese “stavo rinnovando il mio permesso annuale di residenza e di lavoro, come ogni anno. Una pratica iniziata una settimana prima. Venerdì 15 aprile mi hanno convocato alle 10:30 all’ufficio di migrazione.

“Mi hanno fatto entrare in una stanza dove sono arrivati gli agenti di immigrazione e mi hanno portato all’aeroporto. Mi hanno caricato su un aereo diretto a Madrid che proseguiva per Roma. Sono sempre stato accompagnato da due agenti.”

Il giornalista e professore universitario dell’Università Autonoma del Chiapas ha aggiunto: “Non mi hanno dato nessun documento, non mi hanno detto le ragioni per le quali mi stavano deportando.” http://www.jornada.unam.mx/2011/04/22/index.php?section=politica&article=015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Nell’ambito della Campagna “5 Altri Giorni di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón”, que si svolgeranno dal 24 al 28 aprile, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas e il Movimento per la Giustizia del Barrio, L’Altra Campagna New York, abbiamo redatto la seguente dichiarazione con l’idea di raccogliere firme di sostegno. Vi chiediamo di inviare le vostre firme di appoggio, con nome e la denominazione della vostra eventuale organizzazione o collettivo e Paese, al più tardi entro il 28 aprile 2011, a questo indirizzo: movimientoporjusticiadelbarrio@yahoo.com

Dopo tale data vi trasmetteremo la dichiarazione con tutte le firme affinché tutti insieme le facciamo circolare diffusamente per chiedere la liberazione dei 5 prigionieri politici di Bachajón.

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Dichiarazione mondiale di appoggio agli indigeni tzeltales di San Sebastián Bachajón Aderenti all’Altra Campagna

In Chiapas gli investimenti per il turismo e le infrastrutture, nella logica di “sviluppo” governativo attraverso il progetto Centro Integralmente Pianificato Palenque (CIPP) che a sua volta fa parte del progetto più ambizioso denominato Mesoamérica (già noto come Plan Puebla Panama), sono una controversia cruciale contro la costruzione di alternativa di vita dei Popoli originari in Chiapas che lottano da molti anni per il riconoscimento della propria autonomia come popoli nel segno della libera determinazione, e che nella pratica esercitano il proprio processo autonomistico. Sono loro che storicamente preservano le risorse naturali ed il territorio in un equilibrio di rapporto razionale ed umano. In questa lotta di sopravvivenza si trova La resistenza civile delle e degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (SSB), aderenti a L’Altra Campagna della zona di Agua Azul, si inserisce in questa lotta per la sopravvivenza.

I Popoli che resistono in difesa dei propri diritti affrontano, da parte dei governi neoliberisti, numerose azioni che vogliono distruggere l’organizzazione ed il lavoro di costruzione di altri mondi possibili. Oggigiorno, il governo del Chiapas tiene arbitrariamente in carcere e sotto costante vessazioni e minacce, 5 ejidatarios di San Sebastián Bachajón dell’Altra Campagna, tutti innocenti dei reati di cui sono accusati, sono vittime del sistema giudiziario messicano corrotto, che obbedisce agli interessi degli investimenti nazionali ed internazionali. Questo sistema serve a reprimere e distruggere Popoli, organizzazioni o persone che non condividono gli interessi del governo neoliberista, che stanno causando stragi e morte di chi scommette su una vita in cui i diritti umani si sviluppino e si vivano in pienezza.

La repressione più recente subita dagli ejidatarios è del 9 aprile di 2011, quando circa 800 agenti della Polizia Statale Preventiva, Polizia Federale e Militari hanno sgomberato gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón che ore prima avevano ripreso il controllo del botteghino di riscossione, lo stesso che era stato sottratto loro il 2 febbraio con un piano organizzato dal governo del Chiapas insieme agli ejidatarios “filogovernativi”. La regione di Agua Azul è il chiaro esempio in cui i governi statale e federale esercitano la forza dello Stato per lo storico saccheggio del territorio dei Popoli indigeni.

Per le innumerevoli violazioni dei diritti umani commesse contro gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, i collettivi, comitati, movimenti, organizzazioni sociali e società civile così ci pronunciamo:

1. Per il rispetto del diritto alla libera determinazione e all’esercizio della propria autonomia del Popolo tzeltal di San Sebastián Bachajón aderente a L’Altra Campagna, come stabiliti nel Trattato (No.169) sui popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti; nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e dagli Accordi di San Andrés Documento 1, 3. 1. Documento 2, II, IV, 2. 3.); Documento 3.1 (c d); Documento 1, Principio della nuova relazione 5.

2. Per il rispetto del diritto all’uso e sfruttamento delle proprie risorse naturali che, come Popoli originari hanno preservato nel corso dei secoli.  I quali sono riportati nel Trattato (No.169) su popoli indigeni e tribali in paesi indipendente art. 13.2; nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni; negli Accordi di San Andrés, 1.4 B. 2.; Documento 1, Principio della nuova relazione 2.

3. Per la liberazione immediata di: Jerónimo Guzmán Méndez, ejidatario dell’Altra Campagna; Domingo Pérez Álvaro, membro della Commissione di promozione dell’Altra Campagna; Juan Aguilar Guzmán, cassiere dell’Altra Campagna; Domingo García Gómez, membro del Comitato di Difesa dei Diritti Umani; Mariano Demeza Silvano, minorenne dell’Altra Campagna.

4. Per il ritiro immediato dei corpi di polizia e militari che tengono sotto assedio la zona dell’Ejido di San Sebastián Bachajón, precisamente gli accessi allo stabilimento balneare di Agua Azul che oggi è amministrato dai governi statale e federale.–

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La Jornada – Giovedì 21 aprile 2011

Gli indigeni tzeltales non hanno autorizzato l’installazione del botteghino di ingresso unico alle Cascate di Agua Azul

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 aprile. Mentre gli ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón insistono per la liberazione dei loro cinque compagni arrestati a febbraio, il governo statale oggi ha pubblicizzato l’installazione “congiunta” del botteghino di ingresso alle cascate degli ejidos di San Sebastián Bachajón e Agua Azul. Lo ha consegnato alla Commissione Nazionale delle Aree Naturali Protette, benché la finalità annunciata sia turistica, e l’ha fatto senza l’autorizzazione dell’assemblea ejidale di San Sebastián, grazie al quale il giudice settimo di Tuxtla Gutiérrez ha negato il ricorso degli indigeni dell’Altra Campagna contro questo botteghino sulle loro terre ejidali. Sul posto c’è ora una forte presenza di polizia e militari.

Gli ejidatarios denunciano la connivenza dei rappresentanti filogovernativi di entrambe gli ejidos e le autorità municipali di Chilón con gli assalitori e presunti narcotrafficanti, due dei quali questa settimana hanno ottenuto la liberazione con facilità, nonostante fossero stati catturati in possesso di droga, armi ed oggetti rubati.

Il 2 aprile, riferiscono i querelanti, sono stati catturati “due delinquenti” addoso ai quali sono stati trovati “20 chili sembra di marijuana, 6 armi a canna lunga calibro 22, una pistola calibro 38 ed articoli rubati”. Sono stati messi a disposizione delle autorità, “e poi è apparsa la giustizia”: l’agente ausiliare Manuel Gómez Sarago, il priista Juan Deara Demeza, il coordinatore della Fondazione Colosio, Manuel Jiménez Moreno, ed il consigliere comunale del municipio di Chilón, Sebastián Ruiz Álvaro. “Questi hanno negoziato la libertà dei delinquenti Julián Jiménez Morales e Pedro Silvano. Nonostante le prove evidenti, sono liberi”.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna denunciano: “Agua Azul è sempre più militarizzata con la presenza di soldati armati, agenti federali e della polizia preventiva. Non per proteggere i turisti, ma per controllare chi difende le proprie terre”. E confidano: “Speriamo che i turisti che visitano Agua Azul sappiano quello che sta succedendo. Dietro il panorama con la presenza dei poliziotti c’è la delinquenza, in complicità con membri di partito e filogovernativi, pieni di avarizia che vogliono impadronirsi delle nostre terre per darle al governo”.

Il governo statale e federale “ha manipolato i media ed i turisti”, dicendo che “siamo delinquenti, mentre i veri ladri e delinquenti sono del governo, esperti nel fabbricare reati, come nel caso dei cinque prigionieri politici arrestati il 3 febbraio, che sono ingiustamente sequestrati da questo malgoverno”.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna descrivono, “come un esempio per la società ed il popolo in generali”, diverse azioni criminali compiute sul tratto di strada per Agua Azul da quando il sito è occupato dai corpi di polizia federali e statali, circa da tre mesi. Il 24 marzo è stato assaltato un bus di turisti, maestri pensionati “sotto il naso dei poliziotti che non sono intervenuti”. Il 31 marzo hanno rubato un veicolo e della merce.

“Non siamo assassini, siamo un’organizzazione pacifica, ed abbiamo dimostrato molte volte che la nostra arma migliore è la nostra parola di uomini e donne che chiedono giustizia, democrazia e libertà nella presa delle nostre decisioni”, sostengono.

Denunciano la nuova strategia governativa contro di loro, sostenuta da un’organizzazione fantasma “creata” dal segretario di Governo, Noé Castañón León, “prodotto delle sue riunioni private con il commissario ufficiale Francisco Guzmán Jiménez, principale negoziatore della multinazionale responsabile dell’ondata di violenza, furti ed assalti in strada”.

Intanto, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas ed il Movimento per Giustizia del Barrio di New York, annunciano una “dichiarazione mondiale di appoggio” ai tzeltales dell’Altra Campagna, nell’ambito delle cosiddette “Altre 5 Giornate di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón”, dal 24 al 28 aprile. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/21/index.php?section=politica&article=011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – mercoledì 20 aprile 2011

La JBG avverte Sabines: “ci scapperà il morto”

Gli zapatisti chiedono la liberazione dell’indigeno di Monte Redondo “accusato falsamente”

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 19 aprile. La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, della zona selva di frontiera, con sede a La Realidad, denuncia che Patricio Domínguez Vázquez, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), è stato aggredito nella sua proprietà ejidale a Monte Redondo (Frontera Comalapa) dalle autorità ejidali, accusato di falsi reati, sequestrato e consegnato all’agente del Pubblico Ministero (MP) Ángeles Daniel Zúñiga Ballinas, che ha immediatamente stabilito il suo arresto nella prigione di Motozintla. La JBG chiede la liberazione immediata del detenuto zapatista.

La giunta riferisce che martedì scorso, 12 aprile, alle ore 9, nella piantagione di caffé di Domínguez Vázquez, sono arrivate le autorità ejidali Emar Sánchez Carrillo, Hernán de León Osorio, Miguel de León, Óscar Méndez Robledo ed i poliziotti Emar Vázquez Méndez, Orbe Pérez Aguilar, Paco Vázquez ed altre persone. Il contadino zapatista “stava potando le sue piante, quando le autorità sopracitate gli hanno strappato la legna, l’hanno afferrato e portato in prigione, e l’agente municipale aveva portato Gilberto Vázquez Velásquez con la sua motosega che ha tagliato Otto alberi sul terreno di Patricio; poi hanno portato la legna nel cortile ed hanno accusato il nostro compagno di aver abbattuto gli alberi, ed hanno scattato delle foto”.

La JBG conferma i fatti. Anche che ore dopo “il commissario ha convocato una riunione con gli abitanti dell’ejido e ci sono andate solo 40 persone”, quando a Monte Redondo ci sono 600 famiglie. Il piccolo gruppo ha deciso di “bruciare la casa del compagno”. Hanno scritto un verbale ma la maggioranza dei presenti si è rifiutata di firmarlo perché “non era d’accordo”.

Domínguez Vázquez è stato imprigionato la stessa sera del giorno 12 nella presidenza municipale di Frontera Comalapa, “senza poter comunicare con la sua famiglia”, ed il 14 è stato portato nella prigione di Motozintla.

La JBG cita aggressioni e rapine precedenti contro gli zapatisti dell’ejido. Le “barbarie” che compiono le autorità di Monte Redondo sono: “furto dei beni dei nostri compagni, come caffè, matasse di filo di ferro, legna; accuse false, come gli alberi che loro stessi tagliano; minacce, come fa la dottoressa Zúñiga Ballinas, e le minacce (dei rappresentanti ejidali) di bruciare la casa e cacciare i compagni”.

Queste “provocazioni” sono appoggiate dal presidente municipale David Escobar e dai governi statale e municipale: “È una vergogna dei tre livelli di governo, insieme alle autorità ejidali corrotte e di alcune persone di Monte Redondo… che non hanno umanità, non sono capaci di capire quello che fanno”. La JBG considera tutto questo “una vera ingiustizia”.(…)

Per “molti anni”, le basi zapatiste sono state vittime di sgombero, ingiuste incarcerazioni, furti di mais, fagioli, caffè e frutta, oltre a non poter più lavorare in pace da tempo”. La JBG, che si trova nel caracol Madre de los caracoles del mar de nuestros sueños, dichiara che non tollererà più queste azioni. “Noi amiamo la terra, perché di lei viviamo, la curiamo, la lavoriamo e la difendiamo. Il governatore Juan Sabines Guerrero deve sapere che qui ci scapperà il morto, ma da parte dei filogovernativi provocatori, non dei nostri compagni zapatisti. Se Sabines non farà niente al riguardo, sarà loro complice”.

La JBG accusa delle “aggressioni e provocazioni” contro le basi di appoggio zapatiste del municipio autonomo Tierra y Libertad le autorità ejidali ed i poliziotti di Monte Redondo, tutti affiliati ai partiti Azione Nazionale, della Rivoluzione Democratica e Verde Ecologista, cos’ come il Pubblico Ministero Zúñiga Ballinas. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/20/index.php?section=politica&article=015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PROCESO – mercoledì 20 aprile 2011

In Guerrero assassinato il leader ecologista Javier Torres Cruz

Gloria Leticia Díaz

Città del Messico, 19 aprile (apro).- Il leader campesino Javier Torres Cruz, uno dei testimoni che denuncio alla Procura Generale di Giustizia del Distretto Federale il cacicco e presunto narcotrafficante Rogaciano Alba Álvarez quale responsabile intellettuale della morte dell’attivista Digna Ochoa y Plácido, è stato assassinati nella sierra del Petatlán.

Dirigente dell’Organizzazione dei Contadini Ecologisti della Sierra del Petatlán e Coyuca de Catalano (OCESP), Torres Cruz viveva nascosto dopo che nel dicembre del 2008 era stato fermato ad un posto di blocco militare dove fu bendato e picchiato e per poi essere consegnato da soldati del 19 Battaglione di Fanteria ad un gruppo di persone armata, presunti sicari al servizio di Alba Álvarez.

Torres Cruz riuscì a scappare dai suoi rapitori e denunciare i militari davanti alle commissioni dei diritti umani di Guerrero e nazionale, così come alle organizzazioni internazionali.

In un comunicato, il Comitato Contro la Tortura e l’Impunità (CCTI) e L’Ufficio per lo Sviluppo Comunitario (Tadeco) informano che lunedì 18, il leader campesino ha subito un’imboscata nella sierra del Petatlán “da parte di sicari al servizio di Rogaciano Alba Álvarez”, processato per criminalità organizzata nel carcere messicano di massima sicurezza di La Palma.

Secondo Tadeco e CCTI, il leader ecologista è stato crivellato di colpi da sicari identificati come “los Arreolas“, vicini ad Alba Álvarez, mentre si dirigeva nella comunità Puerto de la Mosca, a trovare i suoi figli. Nell’imboscata è rimasto ferito suo fratello Felipe Torres.

Torres Cruz, secondo le ONG, contava su misure cautelari dettate dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) nell’agosto del 2009, ma queste, in maniera dolosa, “non gli sono mai state garantite”. http://www.proceso.com.mx/rv/modHome/detalleExclusiva/90437

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 20 aprile 2011

La ONG Sin Fronteras denuncia che con la sua deportazione, l’Istituto di Migrazione ha violato i diritti di Proiettis

VÍCTOR BALLINAS

Con la deportazione del giornalista italiano Gianni Proiettis, chi viveva a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, ed era collaboratore del periodico Il Manifesto, “sono stati violati i suoi diritti umani da parte dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM) e delle altre autorità”, sostiene Perceo Quiroz, dell’organizzazione non governativa Sin Fronteras. Il vice-coordinatore di Sin Fronteras spiega: “siamo venuti a conoscenza indirettamente del caso, perché altre organizzazioni pro diritti umani del Chiapas e del Distretto Federale ci hanno chiesto un parere su come aiutare Proiettis, che temeva di essere deportato.

“Seguiamo due mesi questo caso, ed abbiamo fornito assistenza per promuovere la sua tutela, perché lui aveva paura, ed anche i suoi compagni temevano che lo deportassero”.

Oltre a collaborare con Il Manifesto, Proiettis è professore universitario all’Università Autonoma del Chiapas (Unach), alla Facoltà di Scienze Sociali, a San Cristóbal de las Casas.

L’Istituto di Migrazione lo ha deportato sabato scorso, dopo essere stato fermato da poliziotti federali, “ma non si sa di che cosa era accusato”, denuncia in questi giorni la moglie, Maribel Rotondo.

L’avvocato di Sin Fronteras riferisce che la deportazione di Proiettis è in stile fast track, simile a quella del professore universitario colombiano Miguel Beltrán Villegas. I due sono stati convocati nella sede dell’Istituto di Migrazione, e lì fermati. I due sono stati imbarcati su voli privati: Beltrán da Toluca in Colombia, e Proiettis dal Chiapas a Città del Messico e poi al suo paese”.

Si può ancora ricorrere alla tutela per fare in modo che “il professore torni in Messico, ma questo richiede tempo, perché è necessario che egli nomini un suo rappresentante, ma è possibile appellarsi alla tutela legale”, ha detto l’avvocato. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/20/index.php?section=politica&article=016n2pol

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La Jornada – Mercoledì 20 aprile 2011

Intervista a GIANNI PROIETTIS, PROFESSORE DI ANTROPOLOGIA DELLA UNACH

La mia espulsione, un eccesso di  paranoia del governo

http://www.jornada.unam.mx/2011/04/20/index.php?section=politica&article=017e1pol

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Gianni Proiettis, il giornalista deportato, parla da Roma

Il primo giornalista espulso dal Messico nel secolo XXI prevede di tornare in quella che da 18 anni è la sua casa

di Al Giordano
Speciale per The Narco News Bulletin

17 aprile 2011

Si è mai chiesto come si sarebbe sentito ad essere espulso dal Messico? Gianni Proiettis, il primo giornalista ad essere espulso dal regime messicano dagli anni ’90 (quando il governo dell’allora presidente, Ernesto Zedillo espulse oltre 400 giornalisti ed osservatori dei diritti umani per aver visitato il territorio ribelle zapatista in Chiapas) racconta oggi la storia della sua deportazione nel secolo XXI.


Gianni Proiettis e Mercedes Osuna in Chiapas, Messico, davanti ad un camion dell’esercito. Data della foto non conosciuta.

Contattato da Narco News domenica, a casa della sorella nella capitale italiana, Gianni – dal 1993 abitante legale di San Cristóbal de las Casas, Messico, professore all’Università Autonoma del Chiapas (UNACH) e corrispondente del giornale italiano Il Manifesto con un blog settimanale di notizie sul Messico – racconta, passo per passo, la sua inattesa traversata atlantica.

“Venerdì mattina sono andato negli uffici della migrazione di San Cristóbal per rinnovare il mio visto FM2, come faccio ogni anno. Aveva già consegnato i documenti richiesti”, comincia Gianni. “Due giorni prima, la direttrice dell’ufficio mi aveva chiamato per chiedere il mio passaporto con la scusa che ora elaborano le richieste via Internet. Suggerii di portare una fotocopia. Disse che aveva bisogno dell’originale. Così, mercoledì scorso l’ho consegnato”.

(Tecnicamente, per le leggi internazionali il passaporto è di proprietà del governo che lo emette, ed un altro governo non ha alcun diritto di toglierlo ad un cittadino straniero, una delle molte irregolarità di questo caso che potrebbe far tornare rapidamente Gianni in quella che da 18 anni è la sua casa)

Gianni racconta:

“Mi ha dato appuntamento per venerdì alle 10:30. L’unica cosa che dovevo ancora fare era pagare la tassa annuale. Sono arrivato puntuale all’ora che mi era stata data. Mi hanno fatto aspettare per un’ora, mentre lasciavano passare avanti gli altri nella fila. Ogni cinque minuti un agente arrivava e mi diceva `cinque minuti´. Tutto sembrava normale. Poi uno mi ha detto, `può venire nella stanza qui a destra?´ Quando sono entrato in quella stanza c’erano cinque uomini con la divisa dell’Istituto Nazionale di Migrazione. Uno di loro mi ha detto, `a partire da questo momento, lei è sotto la nostra custodia.´

“In tasca avevo un ricorso emesso da un giudice a dicembre, per impedire il mio arresto, e che Mercedes Osuna aveva ottenuto per me. Ho chiamato la direttrice dell’ufficio, ma era sparita. Non si è fatta vedere. Un ufficiale ha detto che il mio ricorso era ormai scaduto. ‘Allora ridammelo’, gli ho detto. ‘Non ti preoccupare, viaggerò con te’ mi ha risposto. A partire da quel momento non ho più riavuto il mio ricorso, né le ricevute che provavano che avevo consegnato tutti i documenti necessari per rinnovare il mio visto annuale. Mi avevano tolto le prove.

“Mi hanno caricato su un’auto con cinque agenti della migrazione. L’auto era preceduto da una pattuglia della polizia federale che a gran velocità andava all’aeroporto di Tuxtla Gutiérrez. Mi hanno scortato alla sezione del governo e velocemente su un jet privato con un pilota, un copilota, due agenti, e a me fino a Città del Messico.

“Novanta minuti dopo ero nell’aeroporto internazionale Benito Juárez di Città del Messico, ancora una volta nell’area governativa. Mi hanno offerto un filetto o pesce, ma ho detto loro `No grazie, mi avete tolto l’appetito´. Stava facendo buio. Non avevo l’orologio, quindi non posso dire che ora fosse. 

“Uno degli ufficiali della migrazione di Città del Messico mi ha detto, `Sta per essere deportato perché non ha rinnovato il visto. Le abbiamo dato un ordine di andarsene, ma lei non ha obbedito. Quindi la deportiamo´. Gli ho detto che era completamente falso. Nessuno mi ha mai dato l’ordine di uscire dal paese. Si sono completamente inventati tutto.

Eppure, il 5 aprile l’ufficio dell’Istituto Nazionale di Migrazione a San Cristóbal de las Casas aveva firmato una ricevuta di ritorno quando Gianni aveva consegnato tutti i documenti necessari per il rinnovo del suo visto. Quella ricevuta si trovava tra i documenti che gli hanno sottratto gli agenti migratori venerdì, e che non sono mai stati restituiti. Tuttavia, gli enti nazionali devono avere un registro elettronico di tutte le transazioni (i funzionari locali non hanno detto a Gianni, “ora le richieste si elaborano via internet?”). Qualcuno ha infranto la legge, e non è stato Gianni Proiettis.

“Poi mi hanno scortato su un volo di Aeroméxico per Roma via Madrid. Due agenti hanno viaggiato con me sull’aereo. Era strano. Che potevo fare? Scappare dall’aeroplano a metà del volo? Ma insistevano, ‘la portiamo a Roma.´

“Tredici ore dopo, all’Aeroporto Internazionale di Barajas, mi hanno portato in un ufficio di polizia. Ero ancora in stato di arresto dei due agenti messicani della migrazione. Mi sono reso conto dell’illegalità di tutta la questione. Come è possibile che due poliziotti messicani mi tengono in arresto in un aeroporto spagnolo quando non ho alcun carico penale né obblighi legali in Spagna o Italia, o perfino in Messico, dove l’espulsione è una procedura amministrativa?

“Ho cercato di spiegare questo alla polizia spagnola, che lì dovevo essere libero. Mi hanno detto, ‘abbiamo sempre fatto così’. Non è un’estradizione questa, ho detto loro, ma è una deportazione, il Messico non ha più autorità su me.’ Era completamente assurdo. Ero in Spagna, ma non ero libero.

“Alle 20:00 di sabato, prendiamo un volo per Roma, ancora con i due agenti messicani. Poi ci hanno fatto scendere dall’aereo. Come passeggeri, avevamo già i documenti d’imbarco. Ovviamente non avevo bagaglio. Ma in casi come questo c’è un’altra cappa di burocrazia. Gli spagnoli hanno detto, ‘non potete andarvene, dovete compilare altri moduli. Dovete aspettare fino a domani mattina’. Quindi siamo rimasti negli uffici della polizia. C’erano delle celle con le brande, ma gli agenti messicani ed io abbiamo cercato di dormire sulle panche degli uffici.

“Poi sono riuscito a convincerli a portarmi nella zona ristorante dell’aeroporto. Gli agenti messicani si sono comportati davvero da bravi ragazzi. Così abbiamo mangiato nell’area ristorante. Abbiamo cercato di dormire un po’ sulle sedie. Alle 6:30 ci hanno portato con un veicolo ai piedi dell’aereo e ci siamo imbarcati”.

Dopo un viaggio iniziato in Messico alle 10:30 di venerdì mattina, negli uffici della migrazione della sua città, Gianni Proiettis è atterrato a Roma la domenica alle 9:30, ora italiana, 40 ore dopo. Gianni ha invitato i due agenti messicani della migrazione a casa di sua sorella a prendere un caffè. (Avrebbe potuto farli ubriacare con del limoncello, portarli in un bordello, e scattare loro qualche utile foto, ma come si può vedere, Gianni è un signore.) Poco dopo se ne sono andati e Gianni ha parlato con Narco News per telefono.

“Ma, Gianni”, gli ho detto, “Ricordi che negli anni ’90, quando tutti i nostri amici e colleghi furono espulsi, avevano dato loro una lettera del governo messicano che li informava di essere stati espulsi dal suolo messicano per dieci anni? Questa lettera è preziosa. Potresti utilizzarla come primo capitolo di quello che sarebbe sicuramente un tuo best seller internazionale intitolato, “Vietato in Messico!”

“No”, mi ha risposto. “Ho firmato un documento in cui si conferma che mi hanno restituito il passaporto, e questo è tutto”.

“Al, quando torni a San Cristóbal per stare un po’ insieme?”, mi ha chiesto Gianni.

“Perché”, ha aggiunto, “è lì che mi troverai”.

http://www.narconews.com/Issue67/articulo4376.html

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La Jornada – Domenica 17 aprile 2011

L’invasione di una scuola indigena alternativa di Chilón minaccia il progetto di educazione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 16 aprile. Le scuole indigene alternative di Guaquitepec, nel municipio di Chilón, sono un riferimento a livello nazionale e internazionale come esperienze di educazione per lo sviluppo interculturale, produttivo ed umanistico, con una definita radice tzeltal. Oggi sono seriamente minacciate da presunti conflitti dentro la stessa comunità. Giovedì scorso sono stati aggrediti, e “fermati”, due maestri del liceo bilingue interculturale Bartolomé de las Casas, da un gruppo di persone che tre mesi fa avevano invaso i terreni della scuola impedendo lo svolgimento delle lezioni.

Il 17 gennaio, questo gruppo, capeggiato da Antonio Mazariegos López, Juan Gómez González, Diego Hernández González e Pedro Gómez Vázquez, noti cacicchi, ha invaso le terre ad uso agricolo della Secondaria Tecnica Bilingue Interculturale Emiliano Zapata Salazar. Secondo la denuncia degli ejidatarios, gli invasori godono del supporto dell’ex deputato perredista Carlos Bertoni Unda, dell’organizzazione Oruga e, anche solo per omissione, della sottosegretaria di Governo a Yajalón, Ana del Carmen Valdivieso Hidalgo che, a nome del titolare di Governo, Noé Castañón León, si era impegnata “ad essere coadiuvante nella soluzione del conflitto”, e né lei né il suo superiore “hanno agito realmente in questo senso” (La Jornada, 15 marzo).

Il Consiglio Tzeltal del Patronato Pro Educazione Messicano ha convocato la creazione del “Movimento sociale indigeno per l’educazione interculturale bilingue”, il quale oggi e domani terrà un incontro nella secondaria di Guaquitepec. Si propone di difendere il plesso scolastico ed il progetto educativo nel suo insieme. Gli invasori, “manovrati” dai quattro leader, da tre mesi hanno lasciato i bambini e bambine della regione “senza la possibilità di continuare ad imparare”.

Anche il consiglio scolare segnala che, “in tutto questo il tempo le autorità competenti del Chiapas hanno fatto molto poco per risolvere il problema, nonostante sia stato chiesto loro in mille modi e da diversi ambiti”.

Da parte sua, Dora Ruiz Galindo de Hagerman, tra i fondatori del progetto collettivo di educazione nel 1995, oggi ha detto: “Quello che sta succedendo non solo è ingiusto, ma investe i diritti dei popoli indigeni”. All’inizio, aggiunge, “abbiamo soddisfatto l’esigenza delle comunità di un’istruzione interculturale di 10 anni di livello medio e medio superiore”. E’ stata direttrice della scuola per sette anni. “Ora, gli studenti di allora sono laureati e dirigono il progetto”.

Il sistema, integrato da uno staff di primaria, secondaria e liceo, da tre lustri forma i figli delle famiglie della regione e rappresenta il cuore originario del popolo tzeltal. Oggi, i sui diplomati dirigono l’istituzione, vincolati ai “principales” dei propri villaggi, le organizzazioni sociali, i genitori ed una squadra di supporto pedagogico unico in Chiapas. Molti dei suoi studenti hanno completato studi universitari e sono ritornati nelle proprie comunità per crescere professionalmente.

L’invasione dei cacicchi è stata denunciata dall’Organizzazione Sociale Indigena Yip Lumaltik, dalle autorità di Maquejá, San Vicente, Pinabetal e San Antonio Bulujib ed i Principales di Guaquitepec; perfino per la Fondazione filogovernativa Colosio regionale, così come le basi zapatiste ed i dirigenti delle scuole. Il gruppo di invasori costruisce “abitazioni” su terreni ejidali destinati alla scuola, contravviene a tutti gli accordi comunitari ed ejidali, e non ha altra ragion d’essere che il clientelismo pre-elettorale e la possibile acutizzazione delle strategie contrainsurgentes nelle montagne del Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/17/index.php?section=politica&article=015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Giovanni Proiettis deve tornare in Messico

Pensatori, giornalisti e attivisti chiedono il ritorno del giornalista espulso
di Giornalisti, Intellettuali, Artisti del Messico e del Mondo
Speciale per The Narco News Bulletin
http://www.narconews.com/Issue67/articulo4378.html

17 aprile 2011

Giovanni Proiettis, stimato professore della UNACH e collaboratore del quotidiano Il Manifesto, è stato incredibilmente espulso dal Messico. L’Istituto Nazionale di Migrazione sostiene che il suo documento migratorio (FM2) era scaduto. Non è vero. Venerdì 5 aprile, Giovanni si era recato all’ufficio dell’INM di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, per rinnovare la durata e la forma dei suoi documenti migratori che scadevano il giorno 10. Martedì 12, veniva informato che c’erano problemi con la rete e che dovevano trattenere il suo passaporto. L’hanno convocato per venerdì 15 assicurandogli che tutto era in ordine. Quel giorno, Giovanni si è recato negli uffici dell’INM alle ore 10.30 del mattino con le ricevute del dovuto pagamento. Era una trappola. L’hanno fermato, portato a Tuxtla su un veicolo dell’INM e da lì a Città del Messico, con un volo privato. Alle 7 di sera l’hanno costretto a salire su un volo con destinazione Roma, via Madrid. Non ha mai avuto la possibilità di chiamare un avvocato, non ha potuto avvisare la moglie, tanto meno parlare col console italiano, situazione che configura gravi violazioni dei suoi diritti umani. Durante quasi 18 anni Giovanni Proiettis scrive della lotta dei popoli indigeni in resistenza e, più recentemente, del narcotraffico e del forum di Cancun (COP 16). Scrive per giornali stranieri senza ricevere alcun compenso. La sua espulsione fa pensare che al governo federale disturbino questi temi. Chiediamo il ritorno di Giovanni Proiettis in Messico, la sua patria d’elezione.

Distintamente,

Claudio Albertani, Guillermo Almeyra, Carlos Martínez de la Torre, Emma Cosio Villegas, Mercedes Osuna Salazar, Marisa Kramsky Espinoza, Adolfo Gilly, Al Giordano, Julio Hernández López, Clara Ferri, Sabina Longhitano, Stefano Sartorello, Paola Ortelli, Nadia Victoria Chichiarelli, Roberto Castelli, Patito Rubio, Stefania Montecucco, Sergio Toniolo, Multiforo Alicia, Narco News, Lilia Zueck, Harry Cleaver, Stephen Zunes

Per aggiungere la tua firma, manda una email a oshalcon@gmail.com  col tuo nome, Paese e nome dell’eventuale organizzazione di appartenenza.

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Espulso dal Messico il giornalista Gianni Proiettis

di Fabrizio Lorusso
gianni.jpgPuerto Escondido, Messico. Ci avevano già provato esattamente quattro mesi fa e ora ci sono riusciti. Il giornalista italiano residente nella città meridionale di San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, è stato espulso ed è stato costretto a partire per Roma con un volo da Città del Messico alle 7 pm del 15 aprile. In base all’articolo 33 della Costituzione messicana il governo, attraverso gli uffici decentrati e i funzionari dell’Istituto Nazionale della Migrazione (INM), ha la facoltà di deportare a suo piacimento (la chiamano “discrezionalità”) le persone indesiderate.
E’ una norma che fu pensata all’epoca in cui gli stranieri intervenivano pesantemente nella politica nazionale e in più occasioni (vedi invasioni statunitensi e francesi in Messico) minacciarono concretamente la sovranità e l’indipendenza del paese. Da molti anni ormai viene utilizzato come spauracchio contro i giornalisti, gli attivisti e gli stranieri in generale anche se a volte purtroppo la minaccia si concretizza più facilmente e rapidamente di quanto ci si possa immaginare.
Ieri Giovanni Proiettis, Gianni per gli amici, si è recato agli uffici della Migrazione per rinnovare il suo permesso di soggiorno (FM=Forma Migratoria) così come ha fatto negli ultimi sedici anni in cui ha risieduto legalmente in Messico svolgendo le sue attività di professore universitario, giornalista e cooperante in progetti di sviluppo comunitario in Chiapas, una delle regioni più povere e sfruttate del paese. Non è più uscito da quegli uffici se non per essere deportato nella capitale della regione, Tuxtla Gutiérrez, e poi a Città del Messico qualche ora dopo. Come sempre in questi casi sono molte le violazioni ai diritti dell’uomo perpetrate dai vari funzionari, armati e non, che intervengono nel processo di deportazione fast track. Gianni Proiettis non ha avuto la possibilità di comunicare con parenti, amici e nemmeno con l’ambasciata, ha subito vessazioni e trattamento “inumano e degradante” durante una detenzione illegale ed è stato poi rinchiuso in una cella nella zona periferica di Iztapalapa.
Nonostante un giudice di Tuxtla avesse emesso un’ordinanza (scaricabile qui) che impediva l’espulsione del giornalista e criticava le modalità in cui è stato applicato e interpretato l’articolo 33 costituzionale, non c’è stato nulla da fare perché il documento è arrivato in ritardo alle autorità che in aeroporto avevano già imbarcato Proiettis. Sua moglie ha dichiarato ai giornalisti di NarcoNews che non c’era stato nulla di anomalo negli ultimi 4 mesi, nessun segnale che preannunciasse questa decisione arbitraria e ingiustificata come sostiene anche lo stesso atto giudiziario emesso a Tuxtla in difesa dell’italiano. Già il dicembre scorso Proiettis era stato oggetto di un tentativo d’espulsione – inizialmente si disse che fu a causa della sua partecipazione al summit sul cambio climatico di Cancun – che fu sventato anche grazie alla pronta reazione della stampa e all’intervento dei media indipendenti in difesa della libertà di pensiero ed espressione.
Da anni le attività del giornalista italiano, impegnato in un progetto di eco-turismo nella cittadina di Venustiano Carranza, non sono gradite all’autorità e al governatore del PRD (Partido Revolución Democrática), Juán Sabines. Stesso discorso per i suoi articoli di denuncia sull’operato delle imprese multinazionali minerarie nella regione: in particolare, un’intervista del 23 gennaio 2010 con il padre del leader sindacale Mariano Abarca, assassinato nel novembre 2009, risultò particolarmente scomoda per la compagnia mineraria canadese Blackfire Exploration Ltd e i funzionari statali che ne difendono gli affari.
A dicembre il governo del Chiapas e l’INM dovettero ripiegare in modo rocambolesco e, dopo aver cambiato più volte i capi d’imputazione contro Proiettis, arrivando perfino a inventare accuse per spaccio di droga, porsero ufficialmente le proprie scuse per quanto era accaduto. Evidentemente si trattava di un bluff e di una tregua momentanea in attesa di una nuova rappresaglia che è arrivata puntuale allo scoccare del quarto mese. Altri dettagli interessanti sul caso dalla rivista Proceso QUI.
http://www.carmillaonline.com/archives/2011/04/003870.html

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La Jornada – Sabato 16 aprile 2011

Denunciato il giudice che aveva respinto il ricorso degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 15 aprile. Ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed avvocati del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) hanno presentato ricorso contro la costruzione del botteghino di ingresso e del “centro di assistenza per le emergenze” della Protezione Civile e della Segreteria di Pubblica Sicurezza statali, sulle terre di uso comune dell’ejido di San Sebastián.

Il ricorso, presentato il 2 marzo, era stato respinto dal giudice di distretto di Tuxtla Gutiérrez, Héctor Martín Ruiz Palma, nonostante queste opere “colpiscono terre di uso comune senza il consenso e l’autorizzazione dell’Assemblea Generale degli ejidatarios ed ejidatarias, cosa che viola il loro diritto al territorio come popolo indigeno e le leggi messicane in materia”. Per questo, la difesa aveva presentato richiesta di revisione.

Inoltre, di fronte alla “insistente dilazione” del giudice nel trasmettere la richiesta di revisione al Tribunale Collegiale, il 4 aprile il Frayba aveva presentato una querela al Consiglio della Magistratura Federale a Città del Messico contro il menzionato giudice “per la sua mancanza di imparzialità e indipendenza”, perché sembra agire su mandato delle autorità governative.

In un’ampia documentazione consegnata a La Jornada, il Frayba rileva: “Trattandosi di un grave colpo al territorio dell’ejido da parte del governatore del Chiapas e di diversi funzionari, in complicità con organi di rappresentanza ejidal di San Sebastián, si è sollecitata la sospensione immediata delle opere di costruzione, in attesa di stabilirne la costituzionalità.

Tuttavia, il giudice, in maniera parziale e contravvenendo ai trattati internazionali in materia di Diritti dei Popoli Indigeni e leggi interne, ha deciso di negare la sospensione immediata degli atti di esproprio”.

Il magistrato Ruiz Palma nella sua risposta ha detto: “Nella richiesta del querelante si cita la privazione della proprietà, possesso e sfruttamento di una superficie”  su cui, di fatto, si costruirà un botteghino di riscossione, un centro di assistenza per le emergenze ed un distaccamento permanente della polizia, in cui il giudice “rileva un evidente interesse sociale”, perché sono “un beneficio per la collettività, tanto più quando l’ultimo è per proteggere, vigilare e dare protezione alla società in generale”.

Si può dire che le comunità indigene sono militarizzate da 16 anni sulla base di simili criteri. Ed anche che, a seguito della presenza permanente di installazioni di polizia, alla fine de decennio scorso, nella stessa regione, sono nati ed hanno operato gruppi paramilitari: Paz y Justicia (originario di Tila) e Los Chinchulines (Chilón). Successivamente nella zona ha operato l’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), segnalata come paramilitare, e che ora, con diverse sigle, è stata inglobata dai partiti politici che, senza eccezione, appoggiano le azioni legali ed extralegali di esproprio a San Sebastián.

Il giudice Ruiz Palma conclude nel suo allegato “che il possibile danno” al nucleo agrario con la negazione della sospensione che i contadini chiedono, “sarebbe minore del beneficio che la collettività otterrebbe; principalmente da come si evince dalla copia dell’accordo collettivo del 13 febbraio, sottoscritto da membri degli organi di rappresentanza e diverse autorità, si rileva che l’installazione del botteghino di riscossione ed il guadagno ottenuto da questo, sarà a beneficio dell’ejido stesso e di un ejido vicino (in riferimento ad Agua Azul, Tumbalá). (…)

Di fronte al respingimento del giudice federale, il 15 marzo il Frayba ha presentato ricorso di revisione affinché si revochi la decisione e “si stabilisca in maniera immediata” la sospensione delle opere di costruzione di un botteghino ed un modulo governativi.

Il Frayba sottolinea che, in materia agraria, la Corte Suprema di Giustizia della Nazione ha stabilito un criterio di carattere vincolante per i giudici a livello federale e statale: “Quando un nucleo di popolazione promuove ricorsi contro atti che hanno o possono avere come conseguenza la privazione totale o parziale, temporale o definitiva, dei suoi beni agrari, o la sottrazione del regime giuridico ejidale, il giudice federale è obbligato… a decretare inevitabilmente la sospensione d’ufficio e immediata nel momento stesso in cui riceve il ricorso (…)”.

Quindi, “non decretando la sospensione degli atti di esproprio del governo del Chiapas e dei rappresentanti comunitari, il giudice si colloca chiaramente come pezzo chiave nella strategia di esproprio dell’ejido di San Sebastián nella logica dell’implementazione su larga scala di progetti turistici a capitale privato nazionale ed internazionale”.

Il Frayba precisa che gli atti reclamati non colpiscono l’ejido Agua Azul, ma solamente San Sebastián, “per cui, in maniera indebita, il giudice ha incluso come terzi danneggiati il citato ejido”. I termini con cui si è pronunciato “evidenziano la mancanza di indipendenza e imparzialità dell’organo giurisdizionale, poiché non sono giuridici, neanche sostentati da elementi di prova e di diritto, bensì mere valutazioni soggettive dalle quali si evince un chiaro interesse di favorire le autorità responsabili”.http://www.jornada.unam.mx/2011/04/16/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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DELLA RIFLESSIONE CRITICA, INDIVIDUI E COLLETTIVI

(Seconda Lettera a Luis Villoro nell’Interscambio Epistolare su Etica e Politica)

Aprile 2011

“Se in cielo c’è unanimità, riservatemi un posto all’inferno”

(SupMarcos. Istruzioni per la mia morte II)

I. – LA PROSA DEL TESCHIO

Don Luis:

Salute e saluti maestro. Speriamo veramente che stia meglio di salute e che la parola sia come quei rimedi casalinghi che alleviano anche se nessuno sa come.

Mentre inizio queste righe, il dolore e la rabbia di Javier Sicilia (lontano per distanza ma da sempre vicino per ideali), si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C’è d’aspettarsi e dà speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola e azione, riesca a radunare le rabbie e i dolori che si moltiplicano sui suoli messicani.

Di don Javier Sicilia ricordiamo le critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità indigene zapatiste e la sua ostinazione nel ricordare periodicamente, alla fine della sua colonna settimanale sulla rivista messicana PROCESO, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.

La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia privata che l’ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua voce accorpi, che non guidi, le ignorate voci di indignazione.

E succede anche che intorno alla sua figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della politica dell’alto, per i quali una morte vale solo se aggiunge o toglie nei loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro la rappresentatività.

Si scopre un nuovo assassinio? Allora bisogna vedere come questo impatta la puerile contabilità elettorale. Là in alto interessano le morti se possono incidere sull’agenda elettorale. Se non si possono capitalizzare nei sondaggi e nelle tendenze di voto, allora tornano nel lugubre conto dove le morti non interessano più, anche se sono decine di migliaia, perché tornano ad essere una questione individuale.

Nel momento di scriverle queste parole, ignoro i passaggi di questo dolore che convoca. Ma il suo reclamo di giustizia, e tutti quelli che si sintetizzano in questo reclamo, meritano il nostro rispetto e sostegno, anche se con il nostro essere piccoli ed i nostri grandi limiti.

Nell’andirivieni delle notizie su quell’evento, si ricorda che don Javier Sicilia è un poeta. Forse per questo la sua persistente dignità.

Nel suo stile molto particolare di guardare e spiegare il mondo, il Vecchio Antonio, quell’indigeno che è stato maestro e guida per tutti noi, diceva che c’erano persone capaci di vedere realtà che ancora non esistevano e che, siccome non esistevano nemmeno le parole per descrivere quelle realtà, allora dovevano lavorare con le parole esistenti e sistemarle in un modo strano, in parte canto e in parte profezia.

Il Vecchio Antonio parlava della poesia e di chi la fa. (Io aggiungerei di chi la traduce, perché anche le traduttrici e i traduttori della poesia che parla lingue lontane devono essere molto creatrici e creatori di poesia).

I poeti, le poetesse, vedono più lontano o vedono in altro modo? Non lo so, ma cercando qualcosa che, dal passato, parlasse del presente che ci fa male e del futuro incerto, ho trovato questo scritto di José Emilio Pacheco, che tempo fa mi mandò un mio fratello maggiore e che viene a proposito perché nessuno capisca:

Prosa del Teschio

Come il demonio dei Vangeli il mio nome è Legione. Sono te perché sei me. O sarai perché fui. Tu ed io. Noi due. Voi, gli altri, gli innumerevoli voi che si risolvono in me.

(…)Poi fui, al punto di trasformarmi in luogo comune, simbolo di saggezza. Perché la cosa più saggia è anche la più ovvia. Siccome nessuno vuole guardarlo in faccia non sarà mai superfluo ripeterlo: Non siamo cittadini di questo mondo ma passeggeri in transito per la terra prodigiosa e intollerabile. Se la carne è erba e nasce per essere tagliata, sono per il tuo corpo quello che l’albero è per la prateria: non invulnerabile, neppure durevole, ma materiale consistente o resistente. Quando tu e tutti i nati nel vuoto del tempo che ti fu dato in prestito, terminerete di rappresentare il vostro ruolo in questo dramma, questa farsa, questa tragica e buffa commedia, io rimarrò per lunghi anni: scarno disincarnato. Serena smorfia, volto segreto che ti rifiuti di guardare (togliti la maschera: in me troverai il tuo vero volto), benché lo sai intimo e tuo e che sempre ti accompagna. E porta dentro, in fugaci cellule che ogni istante muoiono a milioni, tutto ciò che sei: il tuo pensiero, la tua memoria, le tue parole, le tue ambizioni, i tuoi desideri, le tue paure, i tuoi sguardi che attraverso la luce erigono l’apparenza del mondo, il tuo allontanamento o intendimento di ciò che realmente chiamiamo realtà. Quello che ti eleva al di sopra dei tuoi dimenticati simili, gli animali, e quello che ti pone sotto di essi: il segno di Caino, l’odio verso la tua specie, la tua capacità bicefala di fare e distruggere, formica e tarlo.

(…)Perché vengo con voi ovunque. Sempre con lui, con lei, con te, aspettando senza protestare, aspettando. Degli eserciti dei miei simile si è forgiata la storia. Delle mie polveri è impastata la terra.

(…)Dunque, chi lo direbbe, io – maschera della morte – sono il più profondo dei tuoi segni di vita, la tua impronta finale, la tua ultima offerta di spazzatura al pianeta che non sta più in sé stesso per tanti morti. Sebbene perdurerò solo per breve tempo, in ogni caso molto superiore a quello che hanno concesso a te.

(…)Ogni bellezza ed ogni intelligenza giacciono in me, e mi ripudi. Mi vedi come segno della paura dei morti che si rifiutano di essere morti, o morte pura e semplice: la tua morte. Perché posso venire a galla solo col tuo naufragio. Appaio solo quando hai toccato il fondo. Ma ad una certa età mi insinuo nei solchi che mi disegnano, nei capelli che condividono il mio consunto biancore. Io, il tuo vero volto, la tua apparenza ultima, il tuo viso finale che ti rende Nessuno e diventa Legione, oggi ti offro uno specchio e ti dico: Contemplati.

(José Emilio Pacheco, “Prosa del Teschio”, da “Fine di secolo ed altre poesie”, Messico, Fondo de Cultura Económica / Secretaría de Educación Pública, Lecturas Mexicanas No. 44, 1984, pp. 114-117)

II. – LA PERTINENZA DELLA RIFLESSIONE CRITICA.

“Quando l’ipocrisia comincia ad essere di pessima

qualità, è ora di cominciare a dire la verità”

Bertold Brecht.

La guerra dell’alto prosegue, e col suo passo di distruzione si vorrebbe anche che tutti incomincino ad accettare quest’orrore quotidiano come se fosse qualcosa di naturale, qualcosa di impossibile da cambiare. Come se la confusione imperante fosse premeditata e volesse democratizzare una rassegnazione che immobilizza, che conforma, che sconfigge, che arrende.

In tempi in cui si organizza la confusione e si esercita coscientemente l’arbitrio, è necessario fare qualcosa.

E qualcosa è tentare di disorganizzare questa confusione con la riflessione critica.

Don Luis, come potrà vedere nelle missive che le allego, si sono uniti a questo scambio di riflessioni su Etica e Politica, Carlos Antonio Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano e Gustavo Esteva. Speriamo che altri pensieri si aggiungano in questo spazio.

In questa seconda nostra lettera, vorrei toccare alcuni dei punti che lei affronta nella sua risposta e che, direttamente o indirettamente, segnalano anche i nostri corrispondenti che lanciano le loro idee da Città del Messico, Oaxaca e Uruguay.

Tutti affrontano, con le proprie particolarità, cioè, nel calendario e geografia propri, questo tema della riflessione critica. Sono sicuro che nessuno di noi (lei, loro, noi) pretendiamo di stabilire verità assolute. Il nostro proposito è lanciare il sasso, le idee, nello stagno apparentemente tranquillo dell’attuale ambito teorico.

La similitudine del sasso che ho usato, va oltre la retorica della superficie momentaneamente agitata dal sasso. Si tratta di arrivare al fondo. Di non accontentarsi dell’evidente, ma di attraversare con irriverenza lo stagno immobile delle idee ed arrivare al fondo, sotto.

Nell’epoca attuale la riflessione critica è apparentemente stagnante. E dico apparentemente se ci si attiene a quello che viene presentato come riflessione teorica sui media stampati ed elettronici. E non si tratta solo del fatto che quello che è urgente abbia soppiantato ciò che è importante, in questo caso, i tempi elettorali la distruzione del tessuto sociale.

Si dice, per esempio, che l’anno che ci preoccupa, il 2011, è un anno elettorale. Bene, lo sono stati anche tutti gli anni precedenti. Inoltre, l’unica data che non è elettorale nel calendario di quelli che stanno sopra è… il giorno delle elezioni.

Ma ormai si vede che l’immediatezza difficilmente può distinguere tra quello che è accaduto ieri da quello che è successo 17 anni fa.

Salvo le “fastidiose” interruzioni dovute alle catastrofi naturali ed umane (perché i crimini quotidiani di questa guerra sono una catastrofe), i teorici dell’alto, o i pensatori dell’immediato, tornano sempre sul tema elettorale… o fanno equilibrismi per legare qualunque cosa al tema elettorale.

La teoria spazzatura, come il cibo spazzatura, non nutre, intrattiene soltanto. E di questo sembra trattarsi se ci atteniamo a quello che appare sulla stragrande maggioranza dei quotidiani e delle riviste, così come nelle pagine degli “specialisti” dei media elettronici del nostro paese.

Quando questi dispensatori di teoria spazzatura guardano in altre parti del Mondo e deducono che le mobilitazioni che abbattono i governi sono il prodotto di telefoni cellulari e reti sociali, e non di organizzazione, capacità di mobilitazione e potere di convocazione, esprimono, oltre ad un’estrema ignoranza, il desiderio inconfessato di ottenere, senza sforzo, il loro posto nella “STORIA”. “Twitta e guadagnerai i cieli” è il loro moderno credo.

E, come i “prodotti miracolosi”, questi esaltatori dell’Alzheimer teorico e politico, promuovono soluzioni facili per l’attuale caos sociale.

A nessuno accade che, come si vede nelle pubblicità, se usa la tale lozione per uomo o il tal profumo per donna, si troverà istantaneamente in Francia, ai piedi della Torre Eiffel, o nei bar della Londra di chi sta in alto.

Ma, come i prodotti miracolosi che promettono di far perdere peso senza fare esercizio fisico e astenersi dal cibo, e ci sono persone che ci credono, c’è anche chi crede che si possa avere libertà, giustizia e democrazia solo tracciando un segno su una scheda a favore della permanenza del Partito Azione Nazionale, dell’arrivo del Partito della Rivoluzione Democratica o del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale.

Quando queste persone sentenziano che esiste una sola opzione, la via elettorale o la via armata, non solo dimostra la sua mancanza d’immaginazione e di conoscenza della storia nazionale e mondiale. Ma anche, e soprattutto, torna a tessere la trappola che è servita da pretesto per l’intolleranza e l’esigenza di unanimità fascista e retrograda da parte di uno o un altro schieramento dello spettro politico.

“Brillante” analisi questa che pone l’urgenza di definizioni… rispetto alle opzioni che impongono quelli che stanno in alto.

Sulle false opzioni pone molto bene l’allerta Gustavo Esteva, nel suo testo, e credo che lanci un argomento speciale in questo scambio a distanza.

Invece di cercare di imporre i loro deboli assiomi, potrebbero scegliere di discutere, di argomentare, di tentare di convincere. Invece no. Si trattò e si tratta di imporre.

Credo sinceramente che a loro non interessi discutere sul serio. E non solo perché non hanno argomenti di peso (fino ad ora è tutto solo un elenco di buone intenzioni e ingenuità che sfiorano il patetico, dove il Partito Azione Nazionale dimostra che lo “stile Fox” non è un caso isolato, ma tutta una scuola di dirigenti in quel partito; dove il Partito Rivoluzionario Istituzionale predica l’autismo rispetto alla propria storia; dove il variopinto mondo dell’autodefinita sinistra istituzionale vuole convincere con slogan in mancanza di argomenti), ma perché non si vuole cambiare niente di fondo.

È perfino comico vedere gli equilibrismi per compiacere le masse (sì, le disprezzano ma ne hanno bisogno) e contemporaneamente corteggiare senza pudore il potere economico.

Per loro si tratta esattamente di agire nel ristretto margine di manovra delle macerie dello Stato Nazionale in Messico, per tentare di esorcizzare una crisi che, quando scoppierà, spazzerà via anche loro, cioè, la classe politica nel suo insieme. Insomma: per loro è una questione di sopravvivenza individuale.

La vocazione di informatori, delatori e gendarmi calza bene a questa spazzatura teorica che ha animato l’isteria intellettuale ed artistica, prima contro il movimento studentesco del 1999-2000 e del suo Consiglio Generale di Sciopero, e poi contro tutto quello che non accettava le direttive di questo covo di poliziotti del pensiero e dell’azione.

Si vuole stabilire una differenziazione che è piuttosto un esorcismo: ci sono loro, i perbene, cioè, i civilizzati, e ci sono gli altri, i barbari.

Nella loro esile struttura teorica ci sono, da una parte (sopra), gli individui brillanti, saggi, misurati, prudenti; e dall’altra parte (sotto) c’è la massa oscura, ignorante, disordinata e provocatoria.

Di là: i prudenti e maturi usurpatori della rappresentatività delle maggioranze.

Di qua: le minoranze violente che rappresentano solo sé stesse.

-*-

Ma supponiamo che a loro interessi discutere e convincere.

Discutiamo, per esempio, delle reali conseguenze del progetto ultradecennale di Azione Nazionale di cambiare una nota strofa dell’Inno Nazionale Messicano per mettere al suo posto “Pensa, Oh Amata Patria! il cielo una vittima collaterale in ogni figlio ti diede”, e rispetto al quale nessuno degli altri partiti ha presentato un’alternativa puntuale e decisa.

O la presunta bontà del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale ed il conseguente ritorno di tutta una cultura di corruzione e crimine che ha travolto l’insieme della classe politica messicana.

O le possibilità reali del progetto di far fare retromarcia alla ruota della storia e tornare allo Stato Benefattore, che è la proposta dell’ancor debole coalizione di opposizione.

Tutti, oltre a detestare la riflessione teorica (chiaro, quella che non sia un puerile autocompiacimento), si propongono l’impossibile: mantenere, riscattare o rigenerare le macerie di uno Stato Nazionale che ha generato e dato corpo al sistema di partiti di Stato. Quel sistema che ha trovato nel Partito Rivoluzionario Istituzionale il suo migliore specchio e rispetto al quale l’intera classe politica di quelli che stanno in alto, oggi si sforza di somigliare.

O non si sono resi conto fino a che punto sono distrutte le basi di questo Stato? Come mantenere, riscattare o rinnovare un cadavere? Ed anche così, è molto tempo che la classe politica e gli analisti che l’accompagnano si impegnano invano ad imbalsamare le rovine.

Ma si capisce, l’ignoranza non è condannabile. Chiaro, a meno che si vesta di saggezza.

Non è possibile, diciamo noi, presentare qualunque tipo di soluzione al disastro dello Stato Nazionale senza toccare il sistema responsabile di questa rovina e dell’incubo che avvolge il paese intero.

Noi diciamo che ci sono le soluzioni, ma possono nascere solo dal basso, da una proposta radicale che non aspetta un consiglio di saggi per legittimarsi, ma è già in atto, cioè, si lotta in molti angoli del nostro paese. Pertanto, non è una proposta unanime nella sua forma, nel suo modo, nel suo calendario, nella sua geografia. Ma è plurale, includente, partecipativa. Niente a che vedere con le unanimità che pretendono di essere imposte da azzurri, gialli, rossi, verdi, rosa, e le varie comparse che li accompagnano.

Ma noi, ammettiamo che possiamo sbagliarci. Che può essere, è un’ipotesi, che la distruzione perpetrata lasci ancora un margine di manovra per rifare, dall’alto, il tessuto sociale.

Ma, invece di incoraggiare un dibattito serio e profondo, ci viene chiesto di tornare a tacere e, un’altra volta, ci si esorta di nuovo ad appoggiare i nostri persecutori, chi, per esempio, copre con le sue parole o il suo silenzio persone come Juan José Sabines Guerrero, chi dal governo del Chiapas persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di lodi per le sue bugie fatte governo, chi persegue i difensori dei diritti umani sulla Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón che si rifiutano di prostituire la loro terra, chi fomenta l’azione di gruppi paramilitari contro le comunità indigene zapatiste.

Chi realmente conosce quello che si sta facendo e disfacendo in Chiapas e non ha paura, ha così ribattezzato lo slogan di Sabines: “Disfatti, non parole”. Sabines Guerrero è ciò che meglio rappresenta la putrefatta classe politica messicana: ha l’appoggio del PAN, del PRI, del PRD e del movimento di AMLO; è generoso con i media perché dicano quello che gli conviene e tacciano su quello che non gli conviene; ha un aspetto inconsistente, un’immagine pronta a polverizzarsi in qualsiasi momento; e governa come se fosse il solerte capoccia di una tenuta porfirista.

Ed ancora ci viene chiesto di “fornire contributi critici e costruttivi” ad un movimento diretto e guidato per ripetere la stessa storia di oppressione, ma con altri nomi.

Quando capiranno che esistono individui, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti, ai quali non interessa cambiare quello che sta sopra né rinnovare (cioè, riciclare) una classe politica parassita?

Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni o supremi salvatori, ma non averne nessuno.

Infine, se di qualcosa bisogna ringraziare là in alto, è che ancora una volta hanno rivelato la povertà teorica e l’evidente debolezza strategica di chi si proponeva e propone di mantenere, sostituire o riciclare quelli che stanno sopra per esorcizzare la ribellione di quelli che stanno sotto.

Credo sinceramente che una profonda riflessione critica dovrebbe cercare di allontanare lo sguardo dall’ipnotico carosello della classe politica e guardare ad altre realtà.

Che cosa hanno da perdere? In ogni caso, avranno più argomenti per auto-costituirsi come  “l’unica alternativa possibile”. Dopo tutto, le altre e gli altri sono così piccoli e (uffa!) così radicali.

Anche se a volte riescono a vedere ..…

Che l’eroico lavoro di collettivi anarchici e libertari per sottrarsi alla logica del mercato capitalista è effetto e causa di un pensiero radicale. E che il futuro scommette principalmente sul pensiero radicale. Cosicché farebbero bene a guardare con rispetto quel variopinto modo di avere identità propria: i piercing, i tatuaggi, le chiome multicolore e tutti quegli accessori che tanto gli fanno orrore.

O la lotta di organizzazioni sociali di sinistra indipendenti che scelgono di organizzare autisti, mini-micro-nano commercianti (…), invece di organizzare automobilisti, camere di commercio ed associazioni di categoria, e che possono rendere conto di cambiamenti importanti delle loro condizioni di vita. E non grazie all’assistenzialismo elettorale, ma attraverso l’organizzazione collettiva con progetti immediati, mediati e a lungo termine. Si mantengono indipendenti e così resistono.

O la leggendaria resistenza dei popoli originari. Se c’è qualcuno conosce dolore e lotta, sono loro.

O la degna rabbia delle madri e dei genitori di assassinat@, desaparecid@s, detenut@. Perché farebbero bene a ricordare che in questo paese non succede niente… fino a che le donne non decidono che succeda.

O l’indignazione quotidiana di opera@, impiegat@, contadin@, indigen@, ragazz@ di fronte al cinismo dei politici, senza distinzione di colore.

O la dura lotta delle lavoratrici e dei lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti nonostante, loro sì, avere contro una gigantesca campagna mediatica, repressione, prigione e minacce e vessazioni.

O la tenace lotta per la libertà de@ prigionier@ politic@ e la presentazione in vita dei desaparecidos.

O no? La democrazia che loro vogliono non è altro che un’amnesia amministrata a convenienza? Si seleziona cosa vedere, e così si sceglie che cosa dimenticare?

III. – L’INDIVIDUO CONTRO IL COLLETTIVO?

Nella sua missiva, Don Luis, lei tocca il tema dell’individuo e del collettivo. Una vecchia discussione di quelli che stanno sopra li contrappone, e l’hanno già usata per fare l’apologia di un sistema, il sistema capitalista, rispetto alle alternative che nascono in sua opposizione.

Collettivo, ci dicono, cancella l’individualità, la soggioga. Quindi, con un rozzo balzo teorico, si cantano le lodi del sistema dove, si ripete, qualunque individuo può diventare ciò che è, buono o cattivo, perché esiste la garanzia di libertà.

Mi rendo conto che questo concetto di “libertà” è qualcosa su cui bisognerebbe andare più a fondo, ma forse sarà in un’altra occasione, per ora torniamo all’individuo… o individua, secondo il caso o cosa.

Il sistema canta le lodi dell’individuo che sta sopra o di quello che sta sotto.

Di quello che sta sopra perché risaltando la sua individualità, buona o cattiva, efficiente o inefficiente, brillante od oscura, occulta la responsabilità di una forma di organizzazione della società. Così, abbiamo individui governanti cattivi… o più cattivi (scusate, non ne ho trovato nessuno che mi permettesse di dire “o buoni”), idem per individui di potere economico, eccetera.

Se l’individuo che sta sopra è perverso, volgare, crudele e ostinato (lo so, sembra il profilo di Felipe Calderón Hinojosa), quello che bisogna fare è eliminare questo individuo cattivo e mettere al suo posto un individuo buono. E se non ci sono individui buoni, allora il meno peggio (lo so, sembra che stia ripetendo lo slogan elettorale di 5 anni fa e che sta per essere riciclato).

Il sistema, cioè, la forma di organizzazione sociale, resta intatta. O soggetta alle variazioni permesse. Cioè, si possono fare alcuni cambiamenti, ma senza che cambi la cosa fondamentale: pochi che stanno sopra, molti che stanno sotto, e quelli che stanno sopra ci stanno a costo di quelli che stanno sotto.

Si plaude e si ammira l’individuo che sta sotto, perché la ribellione individuale non è in grado di mettere in serio pericolo il funzionamento di quella forma di organizzazione sociale. O lo si ridicolizza ed attacca, perché l’individuo è vulnerabile.

Mi permetta dunque un arbitrio retorico: diciamo che le aspirazioni fondamentali di ogni essere umano sono: vita, libertà, verità. E che forse si può parlare di una gradualità: miglior vita, più libertà, maggiore conoscenza.

È possibile che l’individuo possa raggiungere in pienezza queste aspirazioni e le sue rispettive gradualità a livello collettivo? Noi crediamo di sì. In ogni caso, siamo sicuri che non può raggiungerli senza il collettivo.

“Dove, con chi, contro che cosa?”. Queste, diciamo noi, sono le domande la cui risposta definisce il posto dell’individuo e del collettivo in una società, in un calendario ed una geografia precisi.

E non solo. Definiscono inoltre la pertinenza della riflessione critica.

Prima ho detto che queste riflessioni collettive non pretendono di arrivare alla verità in generale, ma vogliono allontanarsi dall’unanime bugia che ci vogliono imporre dall’alto.

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Solo qualche parola sul lavoro e i sacrifici che ora sembrano solo di individui solitari.

A chi critica le diverse iniziative che, ancora disseminate, nascono dal dolore sociale, bisognerebbe ricordare che, giudicando e condannando chi fa qualcosa, assolve chi non fa niente.

Perché distruggere l’arbitrio, disorganizzare la confusione, fermare la guerra, sono compiti collettivi.

IV. – COSA ACCADRÀ.

Il mondo come ora lo conosciamo sarà distrutto. Sconcertati e malconci, non potranno rispondere niente ai propri vicini quando gli domanderanno “Perché?”

Prima, ci saranno mobilitazioni spontanee, violente e fugaci. Poi un riflusso che permetterà loro di tirare un respiro di sollievo (“pfuiii! è passata!”). Ma, poi arriveranno nuove sollevazioni, ma organizzate, perché vi parteciperanno collettivi provvisti di identità.

Allora, vedranno che i ponti che hanno distrutto, credendo che fossero stati costruiti per aiutare i barbari, non solo sarà impossibile ricostruirli, ma si accorgeranno che quei ponti c’erano anche per essere aiutati.

E loro diranno che verrà un’epoca di oscurantismo, ma non sarà altro che semplice rancore, perché la luce che volevano fermare e gestire non servirà assolutamente a quei collettivi che hanno fatto luce propria, e con essa ed in essa camminano e cammineranno.

Il mondo non sarà più lo stesso mondo. Nemmeno sarà migliore. Ma si sarà dato una nuova opportunità di essere il luogo in cui sia possibile costruire la pace con lavoro e dignità, e non un continuo andare contro corrente in un incubo senza fine.

Allora, messo in poesia, in una scritta su un muro distrutto si leggeranno le parole di Bertold Brecht:

Voi, che emergerete dalla marea nella quale noi siamo annegati, ricordate quando parlate delle nostre debolezze, anche i tempi bui ai quali voi siete scampati. Abbiamo camminato, cambiando più spesso i paesi delle scarpe, attraverso le guerre di classe, disperati, quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta. Eppure sappiamo che anche l’odio verso la bassezza distorce i tratti del viso. Anche l’ira per le ingiustizie rende la voce rauca. Purtroppo, noi, che volevamo preparare il terreno per la gentilezza non potevamo essere gentili. Ma voi, quando sarà venuto il momento in cui l’uomo sarà amico dell’uomo, ricordate noi con indulgenza.

Bene Don Luis. La saluto e che non vinca di nuovo l’immobilismo.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Aprile 2011

P.S. – E per concludere questa missiva, la morte è arrivata un’altra volta col suo imprevisto passo. Felipe Toussaint Loera, un cristiano di quelli che credono nella necessità della giustizia terrena, se n’è andato un pomeriggio di questo caldo aprile. Di Felipe e di altr@ come lui abbiamo parlato in testi recenti. Egli è stato ed è parte di quella generazione di uomini e donne che sono stati dalla parte degli indigeni quando non erano ancora di moda, ed anche quando non lo erano più. Lo ricordo in una delle riunioni preparatorie dell’Altra Campagna, nel 2005, mentre ratifica il suo impegno nell’inscrivere la sua storia individuale nella storia di un collettivo che rinasce più volte. Salutiamo la sua vita, perché in vita, alle domande “dove?, con chi?, contro che cosa?” Felipe ha risposto: “in basso, con gli indigeni che lottano, contro il sistema che li sfrutta, li spoglia, li reprime e li disprezza”. Tutte le morti di sotto addolorano, ma ci sono alcune che dolgono più da vicino. Con quella di Felipe, è come se ci fosse mancato qualcosa di molto nostro.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/11/sci-marcos-de-la-reflexion-critica-individus-y-colectivs-carta-segunda-a-luis-villoro-en-el-intercambio-espistolar-sobre-etica-y-politica/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 13 aprile 2011

Marcos: Gli avvoltoi politici scrutano Sicilia per capitalizzare la sua perdita

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 12 aprile. Proseguendo lo scambio epistolare col filosofo Luis Villoro, il subcomandante Marcos, dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha diffuso oggi uno scritto nel quale riflette criticamente sulla violenza nel paese. Inizia con un riconoscimento al poeta Javier Sicilia e la lotta che sta portando avanti dopo l’omicidio di suo figlio Juan Francisco:

“Il dolore e la rabbia di Javier Sicilia (lontano pera distanza ma vicino da sempre per ideali) , si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C’è d’aspettarsi e dà speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola e azione, riesca a radunare le rabbie e dolori che si moltiplicano sui suoli messicani.

“Di don Javier Sicilia ricordiamo le sue critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità indigene zapatiste e la sua ostinazione ricordando periodicamente, terminando la sua colonna settimanale sulla rivista messicana Proceso, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.

“La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia privata che l’ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua voce accorpi, che non guidi, le voci ignorate di indignazione.

“E succede anche che intorno alla sua figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della politica dell’alto, per i quali una morte vale solo se somma o sottrae nei loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro una rappresentatività”.

In uno scritto che comprende ampi riferimenti a José Emilio Pacheco e Bertolt Brecht, Marcos annuncia a Villoro che si sono uniti allo scambio epistolare altri autori: Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano, Gustavo Esteva e Carlos Aguirre Rojas (i suoi “corrispondenti a Città del Messico, Oaxaca ed Uruguay”).

Critica inoltre il governo di Juan José Sabines Guerrero che “persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di lodi alle sue menzogne fatte governo, che persegue i difensori dei diritti umani nella Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón che si rifiutano di prostituire la loro terra, che fomenta l’azione di gruppi paramilitari contro le comunità indigene zapatiste”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

La lettera completa

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La Jornada – Mercoledì 13 aprile 2011

La dirigente del PRI, Arely Madrid, dichiara che difenderà Agua Azul “contro tutto e tutti”

Hermann  Bellinghausen. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 12 aprile. Il conflitto irrisolto a San Sebastián Bachajón (Chilón) non si deve, come hanno fatto intendere le versioni ufficiali, ad una presunta disputa per le cascate di Agua Azul, ma all’eventuale imposizione alle comunità indigene di un ambizioso progetto di costruzione di strade ed ecoturistico negli Altos e nella zona Nord dello stato.

Come parte del clima ostile contro L’Altra Campagna a San Sebastián, la deputata locale, ex segretaria di Governo e dirigente priista Arely Madrid Tovilla, lunedì ha dichiarato: “Bisogna difendere contro tutto e tutti il sito turistico di Agua Azul, e si legifererà in questo senso, se necessario”.

La presidentessa della Giunta di Coordinamento Politico del Congresso statale, ha anticipato che la legislatura locale potrebbe intervenire “quando riterrà necessario fare un accordo o presentare un’iniziativa del Congresso per preservare quegli spazi, che già da tempo (sic) sono stati dichiarati patrimonio del nostro stato e della nazione”.

La deputata ha poi detto quanto risaputo: che le cascate di Agua Azul sono un “baluardo turistico ed una delle principali bellezze naturali del Chiapas”. Sostiene che i deputati locali “conoscono perfettamente la situazione del luogo, anche se non sono autorizzati ad intervenire a meno che non venga indicato loro”. Questo, senza precisare chi “indicherebbe” di intervenire ai legislatori.

Quello che né lei né nessuno altro dice, è che non esiste nessuna contesa per lo stabilimento balneare, gestito da decenni dagli ejidatarios di Agua Azul (municipio di Tumbalá). Il posto conta su buone infrastrutture, regolare aiuti governativi ed ha sempre avuto un botteghino di riscossione all’ingresso, gestito dagli stessi ejidatarios “turistici”, come vengono formalmente definiti.

Il “conflitto” in atto nel vicino ejido di San Sebastián non ha niente a che vedere con quanto detto sopra. Per anni, centinaia di migliaia di turisti che visitano il sito anno dopo anno, lo fanno attraversando le terre di San Sebastián, ai cui abitanti fu imposta quella strada di accesso, per la quale incassano invece i vicini, beneficiari inoltre dei guadagno dallo stabilimento balneare stesso.

Quando l’ejido di San Sebastián ha aderito all’Altra Campagna, ha deciso di sviluppare pratiche autonome e si è coordinato (come altre comunità indigene dell’Altra Campagna in Chiapas) con le giunte di buon governo dell’EZLN. Uno dei suoi progetti era installare un secondo botteghino, per far pagare l’uso del suo territorio per l’accesso dei visitatori alle spettacolari cascate, perché la strada di 4 chilometri che conduce allo stabilimento balneare, che si trova sul suo territorio, serve solo per questo e per il transito della popolazione locale, che non paga nessun pedaggio.

Da allora, gli ejidatarios del PRI, o i filogovernativi (PVEM, PAN e PRD) di Agua Azul e San Sebastián, ed i governi municipali di Chilón e Tumbalá, hanno realizzato o appoggiato diverse aggressioni, non per far ritirare il nuovo botteghino, ma per appropriarsene, e non per ripartire il ricavato tra tutti gli ejidatarios, ma per concentrarlo solo in poche mani. Oggi è tutto nelle mani della segreteria statale del Fisco. Un altro spazio che è in disputato è la cava di sabbia dell’ejido, ripetutamente invasa dai filogovernativi, sempre con il sostegno della Segreteria di Governo e della polizia municipale, statale e federale.

L’Esercito Messicano ha una postazione fissa a Xanil, dentro San Sebastián, ed è in questa comunità dove si orchestrano azioni contro gli ejidatarios dell’Altra Campagna e perfino contro le basi di appoggio zapatiste della regione autonoma di San José en Rebeldía, parte del municipio zapatista Comandanta Ramona, appartenente al caracol di Morelia.

Il nocciolo della questione va molto oltre. Presso i governi federale e statale giace il progetto, fino ad ora monco, di costruire un’autostrada privata, di altura, tra San Cristóbal e Palenque, per rilanciare il turismo, e che ha ad Agua Azul, insieme alla zona archeologica di Palenque, i suoi due “gioielli”. Gli ejidatarios dell’Altra Campagna in diverse comunità della regione, come Jotolá e Mitzitón, si oppongono a queste opere che, sostengono, distruggeranno terre, sorgenti e spazi comunitari. Per questi motivi è in corso il conflitto, non per lo stabilimento balneare. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/13/index.php?section=politica&article=023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 12 aprile 2011

In Chiapas vengono minacciati di arresto coloro che aiutano i membri dell’Altra Campagna

Hermann Bellinghausen.San Cristóbal de las Casas, Chis. 11 aprile. I gruppi filogovernativi dell’ejido di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), secondo la versione degli ejidatarios dell’Altra Campagna, hanno minacciato di “catturare” i difensori dei diritti umani e le persone che danno solidarietà concreta. Sebbene gli avvocati dei cinque indigeni detenuti non hanno mai smesso di svolgere il loro lavoro, di fatto lo fanno a loro rischio. Non molto tempo fa, alcuni avvocati della costa chiapaneca sono stati arrestati nello svolgimento del loro lavoro.

Questo trattamento si estende agli osservatori civili e dell’Altra Campagna, alla stampa alternativa e commerciale, e potenzialmente agli stessi turisti che tanto si adulano ufficialmente e che accorrono in gran numero alle cascate, e tanto più ora che si avvicina il periodo vacanziero. Le minacce sono giustificate col  pretesto che questi “stranieri” sarebbero la causa del “problema”.

Minacce simili hanno sono circolate recentemente a Mitzitón, un’altra comunità dell’Altra Campagna che si oppone a progetti di strade e turistici del governo ed agli investitori privati. A Bachajón si riproduce all’interno dell’attuale occupazione poliziesca di alcune località iniziata il 2 febbraio e che si è acutizzata l’8 aprile con l’intervento di centinaia di poliziotti e militari per riprendere il controllo del botteghino di ingresso di San Sebastián – fugacemente recuperato la sera prima dagli ejidatarios dell’Altra Campagna che l’hanno costruito – alle cascate del vicino ejido di Agua Azul (Tumbalá), che ha un proprio botteghino di ingresso.

Nei diversi “conflitti” o “problemi” comunitari in corso, relazionati con le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) o dell’Altra Campagna, emerge un modello, tanto nell’ostilità e nell’aggressione dei gruppi filogovernativi verso gli autonomi, quanto nel chiaro intervento statale, sia di carattere repressivo oppure di “politica sociale”.

La strategia contrainsurgente non è nuova, semplicemente si evolve e diventa più evidente. A San Sebastián si è osservato che gli ex aderenti dell’Altra Campagna che hanno abbandonato la resistenza, godono di privilegi e protezione statale maggiori di quelli dispensati ai gruppi filogovernativi e legati ai partiti politici.

Questo spiega perché, dopo la loro defezione, nel gennaio scorso abbiano potuto occupare impunemente una fattoria nel municipio di Sitalá. Poche settimane dopo attaccarono con le armi il botteghino di riscossione dell’Altra Campagna, lo occuparono per poche ore e poi lo consegnarono al governo statale.

Col nuovo e schiacciante operativo poliziesco-militare del fine settimana per sottrarre il botteghino agli ejidatarios tzeltales, si è resa palese la connivenza tra i poliziotti e questi ex aderenti, così come dei membri del Partito Verde Ecologista del Messico, al punto che hanno fatto da guide nella notte di venerdì per entrare ad Agua Azul e per andare la mattina seguente a San Sebastián, circondarlo ed attaccare a sassate oltre mezzo migliaio di indigeni che si trovavano nella zona.

L’aggressione di sabato è arrivata da tre diversi sentieri, ma le famiglie dell’Altra Campagna sono riuscite a scappare dai loro villaggi, evitando di “cadere nella provocazione”, come hanno affermato domenica scorsa.

È noto come in certi ambienti della resistenza, come il municipio autonomo di Polhó e Las Abejas di Acteal (dell’Altra Campagna), la pressione dei programmi governativi sia forte, quasi ossessiva. Lì, come a San Andrés o El Bosque, le diserzioni sono quotate molto alte. La Jornada ha raccolto testimonianze che lo confermano.

Solo domenica, la giunta di buon governo di La Garrucha denunciava le minacce e le pressioni che ricevono le sue basi di appoggio nell’ejido di Cintalapa, i cui abitanti potrebbero essere spogliati delle terre questa stessa settimana per non aver consegnato il loro certificato elettore ai priisti, non aver chiesto né accettato gli aiuti governativi e per mandare i loro figli alle scuole autonome. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/12/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 11 aprile 2011

La JBG denuncia pressioni del governo contro le basi zapatiste di Cintalapa

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 10 de abril. La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, con sede nel caracol zapatista di La Garrucha, denuncia la volontà di spogliare delle loro terre e dei diritti ejidali le basi di appoggio zapatiste di Cintalapa (Ocosingo), nella selva Lacandona, se queste non rinunceranno alla resistenza.

Le autorità dell’ejido Cintalapa e i tre livelli di governo “stanno obbligando i nostri compagni a pagare le imposte di proprietà della terra”, dice la JBG. A metà di marzo, le autorità priiste e paniste hanno chiesto alle basi di appoggio zapatiste una copia del loro certificato elettore “per sollecitare un progetto, pagare l’imposta della terra ed ottenere il certificato agrario”.

Hanno inoltre detto loro che avrebbero dovuto obbedire alle autorità, frequentare le scuole ufficiali e pagare per le cooperazioni. Gli zapatisti non hanno accettato, “perché sono in resistenza e non ricevono niente dal malgoverno”. Inoltre, sottolinea la JBG, “hanno le proprie autorità ed educazione autonome (del municipio ribelle Ricardo Flores Magón) e si vede perché debbano essere obbligati a svolgere lavori di cui non beneficiano”.

Il 26 marzo la JBG ha mandato un comunicato all’ejido “chiarendo che le basi di appoggio dell’EZLN sono in resistenza e non pagano imposte”. Il giorno 29, le autorità priiste hanno convocato un’assemblea. Lì, “a Herlindo López Pérez e Macario Juárez Núñez, al tavolo direttivo, non piaceva” quello che dicevano gli zapatisti, “e così hanno cominciato a fare pressioni all’assemblea ed i compagni sono stati obbligati a parlare uno per volta e dire  che cosa volevano, di parlare chiaro, se volevano le loro terre oppure no, ed i compagni hanno risposto che si sarebbero opposti”.

Le autorità ejidali volevano obbligarli a firmare un verbale d’accordo “contrario all’autonomia e alla resistenza”, denuncia la JBG. “I compagni non hanno firmato, le autorità si sono arrabbiate e con parole minacciose hanno detto che li avrebbero privati dei loro diritti, che sarebbero stati spodestati dall’ejido e che avevano cinque giorni per pensarci”.

Queste sono le “provocazioni” delle autorità ejidali di Cintalapa “insieme a quei falsi malgovernanti federali, statali e municipali”, ha dichiarato la JBG. “Come basi di appoggio dell’EZLN, denunciamo energicamente la politica del malgoverno che sta generando disinformazione per confondere la gente onesta che lotta e resiste; il suo piano di contrainsurgencia è creare terrore e paura; usa le persone che si vendono per pochi soldi”.

Bisogna dire che l’ejido di Cintalapa si trova nelle vicinanze della riserva dei Montes Azules, a nord della selva Lacandona, e per molti anni è stata anche una base di operazioni dell’Esercito federale che da lì ha svolto un’intensa attività contrainsurgente che ha profondamente segnato questa comunità tzeltal e ha dato origine alla presenza, almeno occasionale, di paramilitari.

“Noi zapatisti manteniamo con fermezza la dignità e la resistenza, e difenderemo i nostri compagni nonostante il malgoverno tenti di distruggerci con inganni ed elemosine”, dichiara la JBG. “Non ci arrendiamo, non ci vendiamo né tentenniamo. Qui siamo e qui proseguiremo. Non permetteremo che questi priisti perseguitino i nostri compagni in resistenza. Difenderemo i loro diritti perché sappiamo che questo è un piano del governo. Non pagheremo le imposte di proprietà né per l’energia elettrica, non daremo niente al malgoverno perché noi non stiamo ricevendo niente”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/11/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 9 aprile 2011

Gli indigeni riprendono il controllo del botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios tzeltales aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, Chiapas, la mattina venerdì scorso hanno ripreso il controllo del botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul del loro ejido, nel luogo in cui il governo nel febbraio scorso aveva installato un “modulo di assistenza civica”, dopo che un gruppo di indigeni definiti filo-governativi si era impossessato violentemente dello stesso lo scorso 2 febbraio.

I rappresentanti dell’Altra Campagna hanno comunicato per via telefonica, e poi attraverso un comunicato, che il botteghino era stato ripreso da “uomini e donne dell’Altra Campagna ormai stanchi del processo di dialogo che il governo ha lanciato a modo suo e che attualmente tiene sotto sequestro cinque compagni detenuti a Playas de Catazajá”. (…)  Intanto, questo pomeriggio, come riferisce Indymedia Chiapas, si registrava il passaggio di pattuglie e di almeno otto camion con decine di poliziotti in tenuta antisommossa e si osservavano inusuali movimenti militari ad Ocosingo e Chilón in direzione a San Sebastián. (…)http://www.jornada.unam.mx/2011/04/09/index.php?section=politica&article=016n1pol

La Jornada – Domenica 10 aprile 2011

Poliziotti sgomberano a sassate gli indigeni chiapanechi. Hanno partecipato all’operativo agenti federali e perfino i militari. Almeno tre indigeni risultato desaparecidos

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 aprile. A sassate, e aprando almeno 15 colpi in aria, agenti di polizia federali e statali, appoggiati da truppe federali, hanno costretto a fuggire circa 600 contadini tzeltales da San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, che la mattina di ieri avevano ripreso il controllo del botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul, che gli era stata sottratta due mesi fa da gruppi di indigeni del PRI e del PVEM, i quali l’avevano poi consegnata al governo dello stato. (…)  Anche se fino ad ora non si registrano feriti né arresti, tre indigeni risultano scomparsi. Per molte ore i poliziotti hanno impedito l’ingresso dei turisti alle cascate

http://www.jornada.unam.mx/2011/04/10/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 8 aprile 2011

L’Organizzazione Mondiale Contro La Tortura chiede la garanzia dell’integrità dei 5 tzeltales

Hermann Bellinghausen

La Segreteria Internazionale dell’Organizzazione Mondiale Contro La Tortura (OMCT) di Ginevra, Svizzera, esprimeo la sua preoccupazione per i cinque contadini tzeltales detenuti in Chiapas, tra loro un minorenne, abitanti dell’ejido San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), e denuncia le deplorevoli condizioni in cui si trovano in carcere.

Segnala che i quattro adulti – Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán e Domingo García Gómez – rinchiusi nel Centro Statale di Reinserimento Sociale No. 17, nel municipio di Playas de Catazajá, “hanno denunciato vessazioni da parte del giudice”, che li ha minacciati di mandarli “in cella di punizione”.

L’OMCT sottolinea che: “Si teme che le minacce e le vessazioni si debbano alle azioni di solidarietà che si stanno svolgendo a favore dei detenuti, in particolare con la campagna ‘5 Giorni di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón’ realizzata tra il 1° ed il 5 aprile”. L’organizzazione aggiunge che i detenuti “sono obbligati a svolgere lavori umilianti perché si rifiutano di pagare la quota ‘all’autogoverno’ del centro di detenzione e per difendere il loro diritto ad un trattamento dignitoso”.

Il minorenne Mariano Demeza Silvano resta nel Centro di Internamento Minorile Villa Crisol (municipio di Berriozábal), poiché la procura di giustizia statale ha fissato una cauzione di 22 mila pesos (1.300 euro), somma che i suoi famigliari non possono pagare”.

La Segreteria Internazionale dell’OMCT condanna “ogni violazione dei diritti umani” nel caso; “in particolare la mancanza al giusto processo, il diritto alla presunzione di innocenza ed alla dovuta tutela giudiziaria” degli ejidatarios arrestati a febbraio.

Esprime inoltre preoccupazione per la sicurezza e l’integrità fisica e psicologica di queste persone, e sollecita le autorità statali e federali a garantirla. D’altra parte, sollecita le autorità a rimettere in libertà Demeza Silvano, ancora detenuto con le stesse accuse degli ejidatarios già messi in libertà. Il governo messicano deve “rispettare i suoi obblighi in virtù dei diritti fondamentali su scala internazionale e regionale”. In questo caso, lo esorta “ad operare in conformità alla Convenzione sui Diritti del Bambino”.

L’organizzazione internazionale riconosce l’esistenza di un conflitto tra gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna ed il governo del Chiapas intorno all’amministrazione e l’utilizzazione delle risorse naturali che si trovano nell’ejido di San Sebastián. Il 6 febbraio, il governo del Chiapas aveva annunciato l’inizio di un tavolo di dialogo, al quale gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna si sono rifiutati di partecipare. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/08/index.php?section=politica&article=018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 aprile 2011

Le donne chiapaneche in resistenza lanciano l’allarme sulla crescente violenza nell’entità

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il Coordinamento delle Donne in Resistenza, riunito a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, “per analizzare la situazione di violenza nelle nostre comunità”, denuncia le “gravi minacce di morte e aggressione” contro Rosa Díaz Gómez, aderente dell’Altra Campagna nella comunità Jotolá, municipio di Chilón. Minacce ancora più preoccupanti perché il 31 marzo scorso sono stati liberati sotto cauzione, da un giudice di Ocosingo, i suoi aggressori Juan Cruz Méndez, Medardo Cruz Méndez, Alfonso Cruz Cruz, Eleuterio Cruz Cruz y Melecio Cruz Guzmán”.

“La nostra compagna ha il fondato timore di essere nuovamente aggredita”. Ricordano che il 24 marzo 2010, Díaz Gómez era stata aggredita da un gruppo conosciuto come “I Cruz Méndez”. Quel giorno circondarono la sua casa e la colpirono a sassate. “Picchiavano violentemente contro la casa con i machete, hanno rotto le finestre e la serratura della porta riuscendo ad entrare distruggendo tutto quello che c’era”.

Le persone identificate come Juan, Jerónimo, Medardo e Tello “hanno puntato le armi contro Rosa ed hanno cominciato a colpirla in viso, braccia, gambe, schiena, costole, addome e stomaco, lasciandola gravemente ferita”. L’aggressione sarebbe avvenuta perché “era entrata in un’organizzazione e lottava per i suoi diritti, in particolare per la terra”. Nonostante la denuncia penale dei fatti, “non le è stato garantito l’accesso alla giustizia”.

Il coordinamento delle donne ritiene responsabile il “malgoverno” di qualsiasi cosa possa accadere a Rosa, “perché invece di cercare una soluzione al problema, amministra i fatti per trarne vantaggio e non gli importa della vita e della sicurezza delle nostre compagne” di Jotolá. Chiede che si “puniscano veramente i responsabili”, appena liberati e si garantiscano la vita e l’integrità fisica della donna tzeltal, “mettendo fine alla persecuzione”.

Pascual Sánchez Pérez, commissario ejidale di Jotolá, si è messo contro di lei per toglierle la terra, “eseguendo le intenzioni degli scarcerati che abbiamo citato prima”.

Da parte loro, i detenuti di San Sebastián Bachajón, aderenti dell’Altra Campagna, denunciano i maltrattamenti ricevuti nella prigione di Playas de Catazajá: “In primo luogo ci tengono sequestrati dal 2 febbraio per aver difeso le nostre terre”. Chiedono la loro liberazione, “perché siamo stanchi dei maltrattamenti”. Sostengono di ricevere il pasto solo una volta al giorno, “riceviamo pochissima acqua e stiamo male per il cibo cattivo e la mancanza di medicine”. Le autorità carcerarie inoltre impediscono ai loro familiari di portare il cibo ed umiliano i visitatori, “facendoli spogliare” durante le perquisizioni.

Dall’ejido di San Sebastián, la comunità chiede “stop alla repressione contro L’Altra Campagna”, il ritiro dei poliziotti installati nell’ejido ed il rispetto all’autonomia nel controllo e la preservazione delle nostre risorse naturali”. Respingono “il progetto del neoliberismo ad Agua Azul” ed esigono dal governo la liberazione dei loro cinque compagni “prigionieri politici”.

A conclusione delle giornate internazionali “5 giorni per i 5 prigionieri di Bachajón”, si sono svolte manifestazioni pubbliche a Barcellona e Bilbao; in entrambe le città sono state consegnate delle lettere ai consoli del Messico nelle quali si chiede la liberazione di Mariano Demeza Silvano, Domingo Pérez Álvaro, Domingo García Gómez, Juan Aguilar Guzmán e Jerónimo Guzmán Méndez, e di cessare la persecuzione contro le comunità dell’Altra Campagna in Chiapas.

A Parigi si sono mobilitati il Comitato di Solidarietà con i Popoli del Chiapas in Lotta, il gruppo Les Trois Passants ed il Comitato di Solidarietà con gli Indigeni delle Americhe, realizzando momenti informativi in spazi pubblici della capitale francese e con trasmissioni via radio. Analoghe manifestazioni si sono svolte a Calcutta, India, Madrid, Spagna e in diverse città britanniche. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/07/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 aprile 2011

Il Frayba smonta le accuse contro gli indigeni tzeltales arrestati

Non erano sul luogo dei fatti, afferma, e sono in prigione “per motivi politici”

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) conferma che Jerónimo Guzmán Méndez, Juan Aguilar Guzmán, Domingo Pérez Álvaro e Domingo García Gómez, campesinos tzeltales di San Sebastián Bachajón (Chiapas), aderenti all’Altra Campagna, “sono prigionieri politici, poiché secondo la documentazione raccolta, il 2 febbraio non si trovavano sul luogo dei fatti”, il giorno in cui il botteghino ejidale di accesso al sito turistico è stato assaltato da un gruppo filogovernativo, con il consenso della polizia statale e dell’Esercito federale.

Gli indigeni sono stati arrestati il giorno dopo, insieme ad altri 113 ejidatarios che sono stati rilasciati dopo pochi giorni. Durante gli interrogatori, la Procura Generale di Giustizia dello Stato non ha fornito agli indigeni interpreti esperti e sono state fatte firmare loro delle dichiarazioni senza spiegazioni delle accuse, in violazione al diritto al giusto processo e le garanzie giudiziarie”.

Il Frayba sottolinea: “I presunti testimoni contro i prigionieri politici, erano tra i partecipanti allo sgombero violento del botteghino il giorno 2. Secondo le testimonianze, erano armati”. Il gruppo era guidato da Carmen Aguilar Gómez “che, secondo i testimoni, per molti mesi si era  incontrato in diverse riunioni col segretario di Governo Noé Castañón León”.

E cita le testimonianza degli accusati che provano che non hanno mai commesso i reati imputati. Domingo Pérez Álvaro riferisce che quel giorno era ad Ocosingo per chiedere aiuti ed evitare che gli ejidatarios cadessero “nella provocazione della gente del Goyito” (dirigente filogovernativo). Lì ha incontrato Carlos Solórzano Arcea, sottosegretario di Governo, che “ha contattato il segretario di Governo avvisandolo che era con lui”.

Domingo García Gómez conferma che in quella data non era sul luogo dell’aggressione contro i suoi compagni “perché ero nella mia piantagione di caffè con mio figlio Domingo e sua moglie”. Era stato avvisato della riunione al botteghino, “ma eravamo d’accordo di finire il taglio del caffè, per questo dissi a mio figlio di non andare alla riunione”.

Juan Aguilar Guzmán sostiene che nemmeno sapeva cosa era successo “perché mi avevano incaricato di andare al caracol zapatista con la giunta di buon governo, ed era già notte quando sono tornato a casa mia”. Gerónimo Guzmán Méndez dice: “Sono uscito di casa a Kakate’el alle 6 del mattino col mio camioncino, dove ho caricato otto persone a Chilón”. Al ritorno “la strada era bloccata dai filogovernativi e per timore che danneggiassero il mio veicolo, mi sono diretto Sacj’ún”. “Sono arrivato all’incrocio di Agua Azul alle 8 di sera”.

Mariano Demeza Silvano (17 anni) è accusato degli stessi reati (attentati contro la pace e l’integrità fisica ed il patrimonio dello stato) dei 113 fermati inizialmente. Il Frayba ritiene “che sia stata data una condanna eccessiva ad un minorenne”: nemmeno lui h avuto l’assistenza di un interprete specializzato “ed è stato obbligato a firmare una dichiarazione dove gli vengono imputati reati che non ha commesso”.

Secondo la denuncia, i detenuti sono “privati arbitrariamente della libertà”. In questo modo “il governo dello stato li pressa affinché partecipino al ‘Tavolo di dialogo ed accordo del centro turistico Agua Azul’ “, e cedano così la gestione del botteghino di ingresso. Inoltre, non sono state prese in considerazione prove e testimoni a favore dei detenuti, “soggetti a persecuzione e ricatti” dei funzionari statali “che condizionano la loro libertà al ‘dialogo’ ed alla consegna del territorio”.

Nel chiedere la “liberazione immediata” dei cinque detenuti di Bachajón, il Frayba chiede “un’investigazione imparziale, immediata, seria ed esaustiva per identificare gli autori materiali dell’assassinio di Marcos García Moreno e del ferimento di Tomás Pérez Deara”. Inoltre, che cessi la persecuzione contro i popoli attraverso strategie per imporre a comunità ed organizzazioni “condizioni e progetti governativi in cambio del controllo delle loro risorse naturali”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/06/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 5 aprile 2011

Proteste degli aderenti dell’Altra Campagna nel Consolato messicano di New York

Hermann Bellinghausen

Il Movimento per la Giustizia del Barrio di New York, aderente all’Altra Campagna, lunedì ha occupato pacificamente gli uffici del consolato del Messico per chiedere al governo del Chiapas la liberazione dei “cinque di Bachajón”. Questo, come parte della campagna mondiale che dal 1° aprile scorso si sta svolgendo in diversi Paesi.

Si sono svolte manifestazioni davanti all’ambasciata del Messico a Londra ed al consolato di Montreal (Canada). Domenica scorsa la Unione Sindacale Solidale riunita a Parigi, ha chiesto la liberazione dei cinque campesinos tzeltales di San Sebastián Bachajón, Chiapas, in carcere da due mesi con l’accusa di reati che non hanno commesso. L’associazione Ya Basta! nel fine settimana ha partecipato ad una manifestazione contro la guerra in diverse città italiane ed ha posto la liberazione degli indigeni tra le istanze delle mobilitazioni.

“L’occupazione” a New York, è avvenuta dopo che gli attivisti, “come tutti gli altri messicani che devono fare la coda per entrare, abbiamo scavalcato un vero e proprio muro di guardie”, hanno raccontato successivamente. “Con striscioni e volantini e gridando slogan, abbiamo chiesto che si presentasse il Console per leggergli una lettera di denuncia della violenza e dell’ingiustizia esercitata dal malgoverno contro la comunità di Bachajón e per chiedere al governo di liberare immediatamente i cinque compagni prigionieri politici. Le guardie hanno tentato più volte di cacciarci dall’edificio, ma senza riuscirci”.

Dalla prigione di Playas de Catazajá, i detenuti aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), hanno inviato una lettera alle organizzazioni solidali nel mondo, con la richiesta di essere liberati “senza condizioni del governo”, dichiarando: “Noi siamo in lotta”.

I “prigionieri politici” Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro e Domingo García Gómez, “sequestrati in questo carcere n. 17 (Playas de Catazajá) ed un altro a Villa Crisol, Mariano Demeza Silvano”, ribadiscono la loro denuncia contro il “malgoverno federale e statale per la costruzione de botteghino di ingresso nell’ejido San Sebastián Bachajón, nel territorio degli aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, senza l’autorizzazione degli ejidatarios” (i quali, inoltre, avevano un proprio botteghino).

Dichiarano che il governo “ha voluto distruggere l’organizzazione per difesa della terra, per occupare le ricchezze naturali e la riserva delle Cascate di Agua Azul ed introdurre il progetto transnazionale Visión 2030. Viviamo per la terra, siamo gente di campagna e difendiamo le terre che ci hanno lasciato i nostri nonni”. Questo “al governo non piace” e per questo  “ci tiene sequestrati dal 3 febbraio, per non accettare il dialogo e l’accordo di consegnare nelle sue mani le risorse naturali”.

Accusati di reati “che loro stessi [il governo] hanno fabbricato”, i detenuti ricordano che “il giorno dei fatti, un gruppo del Partito Verde Ecologista del Messico è venuto sul posto a provocare e rubare, bloccando il passaggio per il sito turistico ed addossandoci la colpa”. In quei fatti ha perso la vita uno degli aggressori, in condizioni non chiare.

“Siamo d’accordo di fare giustizia in maniera trasparente, ma non che ci addossino la colpa, perché il giorno dei fatti nessuno dei cinque si trovava sul posto”, aggiungono i detenuti.

Da San Sebastián, gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna denunciano che i loro compagni, “arrestati ingiustamente, sono usati per farci pressione e firmare l’accordo dove il governo si vuole impossessare delle nostre terre”. Sottolineano che li “riempie di orgoglio e felicità” sapere che a New York li “stanno appoggiando nella lotta per la difesa delle terre e del territorio e la costruzione della nostra giusta autonomia”. D’altra parte, “ci riempie di rabbia sapere che questo malgoverno di Juan Sabines Guerrero, nonostante la violenza, non gli importa la vita di esseri umani come noi”.

Da parte sua, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, ha annunciato la nascita di un blog per “condividere le azioni di solidarietà nazionale ed internazionale con questo caso concreto: http://solidaridadchiapas.wordpress.com “.

Ci sono proteste anche in India, Sudafrica, Italia, Austria, Colombia, Filippine, Porto Rico, Francia, Svizzera, Canada, Spagna eArgentina. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/05/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 5 aprile 2011

Inizia la campagna di cinque giorni per chiedere la liberazione degli indigeni tzeltales detenuti in Chiapas

Collettivi nazionali e internazionali realizzeranno proteste in favore dei cinque campesinos

Hermann Bellinghausen

Collettivi dell’Altra Campagna, in particolare della Zezta Internazionale, hanno iniziato una serie di azioni di protesta su scala nazionale e mondiale per chiedere la liberazione dei cinque contadini tzeltales di San Sebastián Bachajón, Chiapas, detenuti da febbraio nella prigione di Playas de Catazajá.

“In diverse parti del pianeta, molta gente di buon cuore organizzerà azioni per chiedere la liberazione di questi prigionieri politici”. Per i “Cinque Giorni di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón”, dal primo al 5 aprile, si sono uniti gruppi e collettivi di Messico, India, Sudafrica, Italia, Austria, Colombia, Filippine, Porto Rico, Francia, Svizzera, Canada, Stato Spagnolo, Argentina e Stati Uniti. Solo nel Regno Unito si prevedono proteste a Londra, Manchester, Glasgow, Dorset, Edimburgo e Lancaster.

Secondo Giustizia per il Barrio di New York, queste azioni chiederanno “al presidente panista repressore Felipe Calderón Hinojosa ed al governatore perredista repressore Juan Sabines Guerrero” la liberazione di questi “prigionieri politici”.

A Jalapa, Veracruz, i collettivi Independencia, Nauatik e Zapateando hanno dichiarato che a febbraio e marzo, i governi federale e chiapaneco hanno compiuto aggressioni contro le comunità dell’Altra Campagna “con la partecipazione dell’Esercito, della polizia federali e statale, del gruppo paramilitare Ejército de Dios e di altri gruppi priisti”, “puntando i riflettori su una realtà che non è terminata col cambiamento di colore al potere: la violenza di Stato ed i prigionieri di coscienza”.

Riferiscono dello “scontro provocato da un gruppo di scontro con un saldo di un morto e diversi feriti al botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul, e l’aggressione contro gli ejidatarios di Mitzitón (3 e 13 febbraio, rispettivamente) dove ci sono stati 136 arresti, 117 di loro di San Sebastián”. A questo si sono sommati altri 19 arrestati il 22 febbraio a Pijijiapan, membri del Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa del Chiapas, e tre avvocati del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa.

Le mobilitazioni locali, nazionali ed internazionali “hanno costretto alla liberazione della maggioranza di loro, ma rimangono ancora in carcere i cinque di Bachajón che si sommano alle decine di prigionieri di coscienza che scontano ingiuste condanne nelle carceri del Chiapas”, come i membri di La Voz del Amate, i loro simpatizzanti e gli ejidatarios di Mitzitón.

I detenuti organizzati nella Voz del Amate hanno realizzato scioperi della fame “senza alcuna risposta da parte del governo, ma solo con altra repressione e campagne di stampa in cui il governatore si auto-elogia come ‘avanguardia nei diritti umani’ “. E concludono: “Questo è il vero volto della criminalizzazione degli attivisti sociali. Il governo crea ed amministra conflitti per rispettare la sua agenda di saccheggio e privatizzazione del territorio”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/02/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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TRE PUNTI DI SOSPENSIONE A DIECI ANNI DALLA MARCIA DEL COLORE DELLA TERRA
Di Ángel Luis Lara

Nonostante il moltitudinario e massivo processo che implicò la Marcia del Colore della Terra, il suo valore è più qualitativo che quantitativo. Come lo stesso movimento zapatista, la marcia ebbe la forma di un enorme e potente cumulo di paradossi. Se da una parte l’iniziativa si appellava all’ordine affinché questi riconoscesse l’autonomia e la cultura dei popoli indigeni del Messico, il suo sviluppo quotidiano attivava una moltitudinaria disoccupazione dell’ordine per tutto il paese. Al suo passaggio, la marcia rendeva visibile la dura realtà del Messico di sotto e allo stesso tempo tesseva uno spazio politico che non era più quello dell’ordine, ma una sfera pubblica non statale impossibile da riconoscere nei modelli tradizionali dei partiti e delle istituzioni, una nuova qualità di democrazia, di comunicazione, di politica, di desiderio di vita collettiva.

In questo senso, allo stesso tempo che la marcia si rivolgeva all’ordine perché questi riconoscesse i diritti dei popoli indigeni del Messico, si allontanava da esso costituendo il seme di un altro ordine possibile: che la gigantesca infrastruttura di tale mobilitazione venisse costruita con l’energia e lo sforzo della gente comune fu la prova manifesta del fatto che quella proposta di disoccupazione dell’ordine era reale ed effettiva: durante tutto il suo percorso la marcia dimostrò che il Messico di sotto poteva autogovernarsi e auto-organizzarsi senza il potere. Durante quei giorni, i popoli indigeni, non solo misero il loro scarpone sporco di fango sulla scacchiera dei potenti e si presentarono come l’altro giocatore, così come scrisse il Subcomandante Marcos, ma proposero un’altra scacchiera e un altro gioco.

Da questo punto di vista, quella moltitudinaria disoccupazione dell’ordine che fu la Marcia del Color della Terra ebbe un carattere destituente e costituente allo stesso tempo: si rivolgeva all’ordine per denudarlo e al proprio passo strappava dalla terra l’immagine di un altro mondo possibile. In realtà, con quella mobilitazione gli zapatisti non facevano altro che attualizzare la proposta di ossimoro che ci continuavano a fare da quando li conoscemmo nel 1994: la marcia ci invitava ad un esodo collettivo oltre le coordinate dell’ordine stabilito attraverso, paradossalmente, un evento che cercava l’inclusione dell’autonomia e della cultura dei popoli indigeni nello stesso ordine costituito che stava sfidando. Molto probabilmente questa contraddizione in termini può servire a definire la natura e il senso dello zapatismo fino a quella data. La Marcia del Colore della Terra è stata forse l’evento zapatista che ha condensato nel modo più bello e potente la materialità dell’altra politica possibile: il paradosso di un esercito ribelle che percorre disarmato una nazione e che, senza sparare un colpo, occupa la piazza centrale della capitale avvolto da centinaia di migliaia di uomini, donne, anziani e bambini.

Ogni politica e ogni movimento deve inevitabilmente confrontarsi con l’efficacia delle sue azioni: dalla tecnocrazia più sistemica alla sinistra più rivoluzionaria l’azione è sempre stata legata al problema dell’efficacia. Nonostante molti abbiano parlato dell’inefficacia degli zapatisti di cambiare il Messico e il Mondo, basandosi tra le altre cose sull’incapacità di portare a compimento gli Accordi di San Andrés e ottenere il riconoscimento giuridico dell’autonomia e della cultura dei popoli indigeni nel proprio paese, lo zapatismo è stata una forza enormemente efficace. Prova di questo sono l’esperienza di autogoverno che vede protagonisti i popoli indigeni zapatisti in Chiapas e la loro laboriosa articolazione di altre relazioni sociali possibili, forse l’esperienza di comunismo più duratura e moltitudinaria che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Da questo punto di vista, e per strano che possa sembrare sia agli amici che agli sconosciuti, nonostante non abbia ottenuto l’obiettivo fondamentale che si era proposto, la Marcia del Colore della Terra costituì un enorme esercizio di efficacia politica.
In primo luogo, come sempre aveva fatto lo zapatismo fino ad allora, l’iniziativa ebbe la capacità di aprire una congiuntura politica dove prima non c’era: non solo la marcia fu possibile, e con essa che un gruppo ribelle a viso coperto percorresse il Messico sano e salvo e in aperto dialogo con il paese, ma per di più riuscì ad articolare uno spazio di incontro e di espressione capace di tessere infinite connessioni su scala locale e planetaria. In secondo luogo, la Marcia del Colore della Tera ebbe la capacità di mettere a nudo l’ordine istituzionale e la classe politica messicana nel suo insieme: il fatto che i partiti avessero rigettato le domande dei popoli indigeni fu la dimostrazione, da sinistra a destra, che la possibilità reale di cambiamento sociale non ha la sua pietra di paragone né nelle istituzioni né nei partiti. In terzo luogo, la mobilitazione implicò un esercizio di azione politica di massa non identitaria e non ideologica, a partire dal rispetto più radicale e più inclusivo di tutte le differenze: la marcia fu uno spazio dei molti in quanto molti. In questo senso, la sua azione nel campo simbolico e degli immaginari ignorò i significanti, le unificazioni trascendentali, le egemonie, i cliché triti e le estetiche escludenti. Il suo carattere prevalentemente differente e di differenti si manifestò quando fu la comandante Esther e non Marcos a prendere la parola nella camera legislativa del Messico: quel gesto dimostrò fino a quale punto gli zapatisti erano qualcosa di diverso, inedito, molto altro. In quarto luogo, in quello spazio differente e di differenti che fu la marcia, gli zapatisti e i popoli indigeni furono protagonisti, come già erano stati nella costruzione degli Accordi di San Andrés, di un brillantissimo esercizio di enunciazione che metteva sul tavolo la loro incisività nel cambiare il senso del diritto costituzionale e nel perforare la matrice del liberismo politico, trasferendo il soggetto fondamentale del diritto e della cittadinanza dall’individuo alla comunità e alla collettività.

Per il contenuto delle sue rivendicazioni, paradossi, potenzialità ed efficacia, la Marcia del Colore della Terra ebbe una portata universale. Per la sua condizione differente e tra differenti dimostrò di possedere inoltre un carattere multiversale. Entrambe le caratteristiche fecero in modo che l’iniziativa incontrasse connessioni… oltre i popoli indigeni e le frontiere del Messico: la marcia costituì uno dei momenti più importanti di un ciclo vitale di lotte sociali il cui protagonista fu un movimento globale di movimenti che si articolò su scala planetaria a cominciare dalla battaglia contro l’Organizzazione Mondiale del Commercio nella città statunitense di Seattle nel novembre del 2009.

La comunità di forme, linguaggi e contenuti tra la marcia e il movimento globale collocò la mobilitazione zapatista nel punto culminante di un ciclo mondiale di lotte connesso non solo da una radicalità comune di opposizione al capitalismo, ma anche da un mettere in discussione le dinamiche tradizionali della sinistra, della rappresentanza politica e dei partiti. La portata dell’enorme potenza di quella comunità creativa, che esprimeva il desiderio collettivo di una nuova politica e di una contaminazione costituente della realtà attraverso il tessuto di nuove pratiche istituzionali, può essere misurata attraverso la reazione dei nemici. In maniera simmetrica, mentre il potere rispondeva alla Marcia del Colore della Terra con una violenta strategia di vuoto, di infamia e di intensificazione molare e molecolare della guerra in Chiapas, il movimento globale dei movimenti si scontrò contro due autentici colpi di stato su scala planetaria, uno delle destre e uno delle sinistre.

Il primo golpe, effettuato fondamentalmente dall’amministrazione Bush e dalle forze mondiali neo-conservatrici, ebbe nella strumentalizzazione degli eventi dell’11 settembre del 2001 il motore di una stretta generalizzata alle libertà e di una produzione di panico che contribuirono decisivamente ad soffocare l’energia e la forza della contestazione globale in un regime di guerra generalizzata. Il secondo golpe, simboleggiato dal chavismo e dalle élites del cosiddetto “socialismo del XXI secolo”, ha attuato un assalto in piena regola alla portata e al senso del movimento globale con una azione di restaurazione delle dinamiche tradizionali della rappresentanza e un recupero della forma Stato come vettore fondamentale della politica.

Tuttavia,  in mezzo ai due colpi di stato globali, alla ininterrotta guerra locale aperta in Chiapas e all’intensificazione del processo di scomposizione del Messico causa il narcotraffico, le comunità zapatiste non solo sono riuscite a resistere e a radicalizzare la propria sfida sociale al capitalismo e la propria esperienza politica oltre lo Stato, ma hanno anche continuato e continuano a proteggere il bene comune della politica per tutti e tutte. Da qui l’attinenza del loro significato e la validità imprescindibile, dopo dieci anni, della loro indimenticabile Marcia del Colore della Terra. Il desiderio radicale di democrazia, di giustizia e di una politica nuova e molto altra continua ad incontrare connessioni universali e a moltiplicarsi per il pianeta, dal zócalo di Città del Messico a piazza Tahrir del Cairo, alle strade di Tunisi, di Teheràn, di Tripoli, di Algeri o di Atene.
http://desinformemonos.org/2011/03/tres-puntos-suspensivos-a-diez-anos-de-la-marcha-del-color-de-la-tierra-2/

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.org – caferebeldefc.org)

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La Jornada – Mercoledì 30 marzo 2011

ONG denunciano la persecuzione giudiziaria contro gli attivisti chiapanechi

Hermann Bellinghausen

I centri dei diritti umani Digna Ochoa, Fray Matías de Córdova y Ordóñez e Fray Bartolomé de Las Casas in Chiapas hanno espresso la loro preoccupazione per la persecuzione giudiziaria contro i membri del centro Digna Ochoa. “In particolare contro il suo direttore Nataniel Hernández Núñez ed altri avvocati della stessa istituzione”. Su di loro accuse di reati federali che in realtà nascondono la persecuzione contro di loro per il fatto di svolgere il loro lavoro nelle comunità.

Di fronte alle prove che si tratta di un processo artificiale, gli organismi civili denunciano che tra le carte del procedimento legale appare la risoluzione di un giudice di Tapachula che “è la riproduzione del fascicolo depositato dall’agente del Pubblico Ministero Federale (MPF) nella città di Arriaga, il quale si basa su ‘dichiarazioni’ di poliziotti che risultano essere state sistemate per fabbricare il reato”. E precisano: “Nella causa penale ci sono dichiarazioni identiche”, perfino “con gli stessi errori di battitura”.

Le organizzazioni dei diritti umani (con sedi a Tonalá, Tapachula e San Cristóbal de las Casas) ricordano che lo scorso 15 marzo Hernández Núñez e sua sorella Jazmín si trovavano presso il tribunale di distretto di Tapachula per assistere legalmente alcuni abitanti della comunità Nicolás Bravo II (municipio di Mapastepec), chi erano stati fermati dalla Polizia Federale Ministeriale (PFM).

Hernánez era rimasto in città “per verificare il motivo” di questi arresti. Quella notte, mentre indagava sulla situazione dei detenuti nei tribunali di distretto, gli si sono avvicinati degli agenti della PFM che gli hanno detto: “Tu sei Nataniel, siamo della AFI ed abbiamo un mandato di cattura”. Hernández li informava di avere una tutela di legge, ma l’agente federale del Pubblico MinisteroGriselda Flores de Léon ha ribattuto “E’ lui, portatelo via, la tua tutela non serve”.

L’avvocato è stato portato nella Procura Generale della Repubblica di Tapachula. Gli agenti l’hanno interrogato chiedendogli se fosse “dirigente di qualche organizzazione contro il governo”, e l’hanno trasferito nel Centro Statale di Reinserimento Sociale N. 3, nella stessa città. Lì è stato informato che il suo accusatore era la Segreteria di Comunicazioni e Trasporti per i fatti accaduti il 22 febbraio a Pijijiapan. Bisogna ricordare che in quell’occasione, gli avvocati del centro Digna Ochoa furono arrestati per 10 giorni, per essere stati presenti come osservatori ad una protesta del Consiglio Regionale Autonomo della zona Costa, aderente all’Altra Campagna.

I quattro detenuti di Mapastepec sono stati liberati la mattina del giorno 16, ed qualche ora dopo anche Hernández, ma sotto cauzione e pagando una multa. Il giorno 18, il giudice della causa penale José Luis Zaya Roldán decretava un ordine di arresto contro di lui “al quale seguirà il processo in libertà su cauzione, con obbligo di firma ogni martedì presso il tribunale”. Il MPF ha aggiunto l’accusa infondata di estorsione, che è un reato comune,  “per cui c’è il rischio che l’avvocato tonalteco sia nuovamente arrestato”.

I centri dei diritti umani manifestano la loro preoccupazione “per l’utilizzo di azioni legali contro gli avvocati, con l’obiettivo di perseguirli giudiziariamente e screditare il loro lavoro”. Chiedono al governo federale di adempiere al suo obbligo “di mettere fine ad ogni tipo di aggressione od ostruzione al lavoro dei difensori dei diritti umani in Chiapas”, ed onorare i suoi obblighi sanciti nei trattati internazionali. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/30/index.php?section=politica&article=016n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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POPOCATÉPETL
La lava del Messico
a cura di Gianni Proiettis
28 marzo 2011

El amigou amerikano

Wikileaks comincia a fare le prime vittime nella diplomazia. Dopo il ritiro di Gene Cretz, ambasciatore Usa in Libia, che si dileggiava a descrivere le bionde e formose infermiere di Gheddafi, è la volta di Carlos Pascual, ambasciatore gringo – anche se nato a Cuba –a Città del Messico che ha presentato il 19 marzo le dimissioni “per motivi personali”.

In realtà, il ritiro di Pascual è la logica conclusione di una serie di incidenti che hanno messo a nudo l’inarrestabile interventismo statunitense a sud del Rio Bravo – iniziato con il Piano Mérida di lotta al narcotraffico e arrivato recentemente a sopravvoli di droni a sud della frontiera – così come il simmetrico servilismo del governo messicano, che è arrivato a chiedere aiuto a Washington per rendere governabile Ciudad Juárez.

La notizia che ha innescato una dinamica distruttiva nei rapporti fra Messico e Stati uniti è stata la venuta a galla dell’operazione “Fast & Furious”, una notizia che non smette di sollevare onde: negli ultimi quindici mesi le autorità statunitensi, attraverso l’Atf (Alcohol, Tobacco and Firearms, l’ufficio federale incaricato del controllo delle armi da fuoco), hanno rifornito di armi da guerra i cartelli dei narcos messicani.

La rivelazione, fatta in un programma di Cbs News lo stesso giorno (3 marzo) in cui il presidente Calderón era in visita ufficiale a Washington, ha già provocato un terremoto negli ambienti politici dei due paesi.

Non fosse stato per la morte di due agenti gringos crivellati da quelle stesse armi – il primo, Brian Terry, era un agente della Border Patrol ucciso in uno scontro a fuoco a dicembre in Arizona, l’altro, Jaime Zapata, un agente dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement) trucidato da una banda armata a metà febbraio nel corso di una missione undercover in Messico – dell’operazione Fast & Furious non se ne sarebbe saputo nulla. E’ stato uno degli agenti che vi partecipavano, il 39enne John Dodson, con una grave crisi di coscienza e ora con una gran paura di perdere il posto, a fungere da gola profonda.

Nel programma della Cbs, John Dodson ha vuotato il sacco: l’operazione Fast & Furious, che era stata approvata dal dipartimento di Giustizia, prevedeva che, contrabbandando armi all’interno del Messico e seguendone il percorso, si sarebbe arrivati agli ultimi destinatari, sgominando così intere gang di criminali. In realtà, l’Atf non aveva mai effettuato alcun arresto di rilievo – solo ora, a scandalo esploso, sono stati resi noti una ventina di arresti, ma di semplici “straw buyers”, trafficanti minori e prestanomi – e aveva finito per mettere in mano alla delinquenza organizzata un arsenale sufficiente per un piccolo esercito. Più di duemila armi di grosso calibro, dai classici kalashnikov ai famigerati Barrett 50 prediletti dai narcos, i mitragliatori con mira telescopica che sfondano le auto blindate (e, secondo un marine dimostratore in Youtube, “se ben usati, possono segare in due un uomo a duemila metri”).

Il fatto che quell’armamento cominciasse a seminare vittime fra i loro colleghi ha spinto vari agenti che partecipavano all’operazione, fra cui lo stesso Dodson, a manifestare le loro inquietudini ai propri superiori. Che, a quanto pare, li avrebbero tranquillizzati dicendo: “Ragazzi, se si vuole fare un’omelette, bisogna per forza rompere le uova”. Significa che una certa dose di illegalità è necessaria e tollerabile, se si vuole imporre la legge?

Sia come sia, gli agenti “ribelli” hanno deciso di portare alla luce quella strana operazione e hanno richiamato l’interesse dei media dediti al giornalismo investigativo – primo fra tutti www.publicintegrity.org -, della Cbs e finalmente della commissione giustizia del Senato, presieduta dal repubblicano Charles Grassley, che ha aperto subito un’inchiesta.

In questi giorni, come bombe a grappolo, si sono ascoltate ripetute smentite da vari organi del governo Usa: nessuno ne sapeva un piffero dell’operazione Fast & Furious. Né Janet Napolitano, che pure dovrebbe vegliare sulla sicurezza interna del paese, né Hillary Clinton, che comunque ne ha approfittato per lamentare la violenza a sud del Rio Bravo e chiedere un rafforzamento della frontiera Messico-Guatemala, magari con l’aiuto statunitense. Anche il procuratore generale Eric Holder ha considerato “inaccettabile” un’operazione che ha fatto entrare illegalmente un armamento letale in Messico lasciandolo nelle mani della delinquenza organizzata.

A chi resterà in mano il cerino? Ai dirigenti dell’Atf che si sono inventati l’operazione, all’ufficio del dipartimento di Giustizia che l’ha autorizzata, a qualche funzionario minore che ci ha lucrato sopra? Perché c’è anche da considerare il giro d’affari milionario che sta sotto l’operazione, tanto che non è chiaro – ma dovrebbe uscir fuori – se si tratta di un business travestito da operazione di polizia o viceversa.

Per ora, a più di tre settimane dalle rivelazioni sul caso e con due commissioni d’inchiesta ancora al lavoro nei due paesi, la palla non smette di rimbalzare. Obama, il 26 marzo, ha dichiarato che è normale che i messicani non ne sapessero niente, visto che lui stesso era stato tenuto all’oscuro dell’operazione. Ma il dipartimento di Giustizia, secondo i propri funzionari, l’aveva autorizzata “dai suoi massimi livelli”.

Quello che difficilmente si saprà, a meno di un miracolo futuro di San Wikileaks, è se queste operazioni – Fast & Furious, secondo lo stesso John Dodson, sarebbe solo la punta di un iceberg e neanche conclusa – rispondono a una strategia segreta diretta a destabilizzare il vicino del sud, lo storico “cortile posteriore”, per estendervi il controllo e aumentare le ingerenze.

Sebbene con ritmi più latini, il pandemonio è scoppiato anche in Messico, dove si sente puzza di sovranità incenerita. Davanti a un governo che dice di non saperne assolutamente niente di questo “Rápido y Furioso”, Camera e Senato stanno reclamando spiegazioni e avviando inchieste su un episodio considerato gravissimo e suscettibile di mettere in questione i rapporti fra i due paesi. Il Senato ha convocato urgentemente il ministro degli esteri Patricia Espinosa e l’ambasciatore messicano a Washington Arturo Sarukhán perché informino sull’argomento.

Le relazioni fra il Messico e gli Stati uniti, già in crisi da prima, hanno toccato fondo con l’esplosione del caso Fast & Furious, che potrebbe rivelarsi tanto dirompente come un nuovo scandalo Iran-contras. La recente visita di Calderón a Washington, che ha segnato il quinto incontro fra lui e Obama, si è centrata soprattutto sulla fallita guerra al narcotraffico, che ha aumentato l’ingovernabilità in Messico e rischia di contagiare con la crescente violenza il potente vicino del nord. Ora, le rivelazioni di Fast & Furious gettano una luce schizofrenica sulla lotta al narcotraffico imposta dall’amministrazione Obama e aprono interrogativi inquietanti.

Fast & Furious, il serial cinematografico

A Washington, fino a una settimana fa, mentre Calderón si lamentava dell’ambasciatore statunitense in Messico Carlos Pascual – che lo ha dipinto come un presidente debole e incompetente nei cablo di Wikileaks – ma lo faceva allo sportello sbagliato (in interviste ai giornali, anziché per i canali ufficiali), il governo Usa aveva riconfermato la sua fiducia incondizionata al diplomatico, che non è solo un esperto in “stati falliti”, quindi molto ben collocato sullo scacchiere, ma stava anche ottenendo succosi contratti con Pemex, l’ente petrolifero di stato, a beneficio delle compagnie statunitensi e in spregio alla Costituzione messicana.

Poi improvvisamente, lunedì scorso, ha presentato le dimissioni, riscuotendo il pieno apprezzamento di Obama e della Clinton, che lamentano il suo ritiro. Per Felipe Calderón, dicono gli opinionisti messicani, la caduta del proconsole Carlos Pascual, in carica dall’agosto 2009, è una vittoria di Pirro, che i gringos gli faranno pagare cara.

Nel gossip di Città del Messico faceva rumore la relazione dell’ambasciatore con Gaby Rojas,  figlia del capogruppo parlamentare del Pri, il dinosauro che vuole tornare al potere.

ANCHE I GRINGOS PIANGONO

Senza troppo rumore, giovedì 10 marzo nella cittadina di Columbus, in New Mexico alla fontiera con Chihuahua, agenti federali hanno arrestato il sindaco, il capo della polizia e altri 11 funzionari pubblici della località di confine accusandoli di traffico di armi e droga. Gli arresti sono frutto di un’indagine realizzata congiuntamente dalla Dea (Drug Enforcement Administration), l’Atf (Alcohol, Tobacco and Firearms Department) e l’Ice (Immigration and Customs Enforcement) e confermano i sospetti di una crescente corruzione fra i funzionari della zona di frontiera.

Secondo un portavoce del Fbi citato dall’agenzia Notimex, i narcotrafficanti hanno aumentato le ricompense agli agenti e ai funzionari per ottenerne la collaborazione. “Esiste una tremenda tentazione, per qualcuno che è meno onesto, a lavorare con i delinquenti. Chi lavora sulla frontiera può farsi vari anni di stipendio in un paio di notti.”

Due mesi fa è entrata in vigore una nuova legge che obbliga tutti gli aspiranti ad entrare in un corpo di polizia di frontiera a sottomettersi a un test con la macchina della verità.

Gli arresti di Columbus sono stati eseguiti un giorno dopo la commemorazione (non festiva) di un evento storico localmente rilevante: una scorribanda oltreconfine, con relativo saccheggio della cittadina, perpetrata da Pancho Villa e le sue truppe il 9 marzo del 1916. Curiosamente, il motivo dell’incursione era una rappresaglia contro un mercante d’armi che aveva truffato il generale Villa vendendogli munizioni inservibili.

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La Jornada – Venerdì 25 marzo 2011

Le autorità premiano con aiuti sociali chi diserta dalla resistenza zapatista

HERMANN BELLINGHAUSEN

La strategia contrainsurgente in Chiapas, ampiamente denunciata e documentata fin dal 1995, non ha cessato di svilupparsi principalmente sul piano militare ed economico. Sebbene oggi sia poco visibile, la militarizzazione attiva viene mantenuta nelle zone indigene. Le strategie economiche, frammiste a programmi istituzionali che cambiano nome, privilegi e consegna di denaro, soddisfano gli stessi fini.

La Jornada recentemente ha documentato in comunità delle varie regioni indigene, che i programmi sono più immediati e generosi verso chi abbandona la resistenza ribelle zapatista, e con priorità più bassa verso ex aderenti all’Altra Campagna. Indigeni priisti e di altre organizzazioni affini al governo degli Altos, per esempio, si lamentano che “tutto è per quelli che erano zapatisti”. Questo, mentre il governatore elargisce elogi ed espressioni di rispetto alle giunte di buon governo ed alle comunità autonome.

In questo contesto, un tribunale del Chiapas questo martedì ha giudicato innocente della sua partecipazione nel massacro di Acteal, l’indigeno Juan Pérez, dopo 13 anni di prigione. La risoluzione si basa su una sentenza della Corte Suprema di Giustizia della Nazione che nel 2009 aveva stabilito che la Procura Generale della Repubblica “falsificò le prove” per incolpare Pérez. Degli oltre 80 paramilitari che scontavano condanne fino a 35 anni per la loro partecipazione al massacro del 1997, ne restano in carcere solo 23 che potrebbero essere presto liberati.

Nello stesso tempo, tra i giornalisti circola un documento che lascia facilmente immaginare chi sia il vero autore. Anonimamente firmato da “membri di organizzazioni sociali di San Sebastián Bachajón, Mitzitón, Tila, Tumbalá, Sabanilla, Chilón, Tonalá, Mapastepec e Pijijiapan” (esattamente le comunità e le zone dove la resistenza si scontra col potere statale ed i suoi piani di investimento), non si specifica mai di che organizzazioni si tratta.

Diffuso sui media locali e scritto in una forma affine agli argomenti dei funzionari della Segreteria di Governo e dei poliziotti statali, i suoi autori dicono di essersi organizzati “da febbraio” in quella che chiamano “l’altra dell’altra civile”, in “risposta alla campagna mediatica dell’Altra Campagna EZLN (sic), che attraverso le sue reti sociali vuole screditarci ed usarci come carne da macello contro il governo e contro la comunità nazionale e internazionale, per i suoi più oscuri ed abietti scopi di terrore e morte”.

Citati nel “pronunciamento”, ma evidentemente non consultati, gli evangelici di Mitzitón (in lotta con gli ejidatarios dell’Altra Campagna per il progetto di un’autostrada privata sulle le loro terre) hanno subito appoggiato il testo alla pagina La Voz de los Mártires.

Secondo lo scritto, gli aderenti all’Altra Campagna “non sono nativi di qui, vengono da altri stati, appoggiati logisticamente da gruppi ribelli, molti di origine straniera, i cui propositi sono volti a creare la divisione tra noi a favore di gruppi guerriglieri e terroristi”. Ed avvertono che “ad ogni attacco” dell’Altra Campagna via Internet,  “ci sarà una risposta”.

Rispetto al conflitto all’entrata delle cascate di Agua Azul (Tumbalá) che attraversa il territorio dell’ejido San Sebastián Bachajón (Chilón), si sostiene senza fondamento che “gli invasori vogliono impadronirsi della zona turistica e del controllo del botteghino di riscossione”. Bisogna dire che il botteghino di riscossione a San Sebastián era stato installato dagli ejidatarios stessi che non vogliono impadronirsene, ma recuperarlo.

Gli autori del testo fanno capire falsamente che sarebbero stati loro ad essere aggrediti e che il botteghino appartiene all’ejido Agua Azul. Si descrivono anche “propensioni al dialogo” col governo, e senza smentirla, rispondono all’accusa di essere paramilitari sostenendo che “L’Altra Campagna e l’EZLN sono un gruppo militare, armato, violento, insorto, terrorista e al servizio degli interessi del crimine organizzato della regione”. Lo scritto si ostenta come ufficiale, perché conclude dicendo: “Aspettiamo la comunicazione, attraverso questo mezzo, della riunione col segretario di Governo, come da risposta dell’ufficio della Presidenza della Repubblica”. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/25/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 24 marzo 2011

Las Abejas: Los Zetas son il prodotto della contrainsurgencia in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Commemorando il massacro di Acteal A Chenalhó, Chiapas, la Società Civile Las Abejas questo martedì ha dichiarato: “Tutto il Messico ogni giorno sta vivendo dei massacri. In luoghi come Ciudad Juárez e Sinaloa, si uccidono intere famiglie, si bruciano le loro case, si minacciano i sopravvissuti ed il governo non fa niente, dice che sono i narcotrafficanti. Ma quando uccidono un agente degli Stati Uniti, in una settimana hanno già i presunti responsabili. Quando viene assassinata gente del popolo, quando ammazzano una donna proprio sulla porta del palazzo di governo, quando famiglie intere sono distrutte, il governo non fa niente”.

Ricordando l’offensivo contrainsurgente che subiscono da quattro lustri, gli indigeni sostengono che “tutto questo” ha seguito un piano di contrainsurgencia che i militari messicani “hanno appreso nelle scuole militari degli Stati Uniti, ed ora i loro cani coraggiosi che li hanno addestrati sono usciti dall’Esercito e continuano a massacrare innocenti, ma ora come il gruppo che si chiama Los Zetas”.

Da Acteal, Las Abejas dicono: “Il governo dice che quelli che muoiono sono delinquenti o gente che per caso passava da quelle parti durante le sparatorie, ma noi vediamo che molti sono morti per difendere la vita di fronte ai progetti di morte e distruzione. Vediamo che in Chiapas e in Messico c’è il massacro di gente innocente a favore della pace, ci sono persecuzioni dei leader di molte organizzazioni, carcere per coloro che chiedono giustizia, pace e dignità”.

Con questi fatti, aggiunge l’organizzazione tzotzil, “vediamo che il governo ha paura del popolo e vuole far tacere la sua voce. Uccide chi difende la vita; mentre quelli che ammazzano, quelli che organizzano guerre ed i delinquenti sono liberi o vengono liberati, come agli autori del massacro di Acteal”. Colpevoli di questi fatti e della violazione dei diritti umani sono i governanti “che non sanno amministrare la giustizia”.

Citano come esempio quelli che sono perseguiti “per difendere la vita” dei propri compagni aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón (Chilón), “che subiscono repressione, persecuzione, criminalizzazione delle loro lotte ed arresti ingiusti come conseguenza della difesa della Madre Terra”. Ciò mette in evidenza la strategia contrainsurgente del governo “ed il modo in cui si continui ad agire” per “il dominio sui popoli e sulle comunità in resistenza”.

Las Abejas di Acteal sostengono: “Non scoraggiamoci mai di commemorare i nostri padri e madri e chiedere giustizia per i nostri cari massacrati nel 1997. Non dimentichiamo questo crudele avvenimento compiuto dai paramilitari organizzati dal presidente Ernesto Zedillo, dal governatore Julio César Ruiz Ferro e dal comandante della zona militare, Mario Renán Castillo”. Il loro piano di contrainsurgencia si proietta al presente, ora con Los Zetas.

Nel loro modo caratteristico, Las Abejasi, insistono: “Anche se i governanti considerano quell’anno ormai parte della storia, noi non possiamo dimenticare. Come pacifisti diciamo che ‘la pallottola non uccide, quello che uccide è l’oblio’ ed è fondamentale per noi mantenere viva la memoria”.

Da parte sua, il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, anch’esso dell’Altra Campagna, denuncia: “In queste settimane abbiamo vissuto circondati da governi, funzionari, procuratori, poliziotti, falsi avvocati, servizi di intelligence al punto che il paesaggio non era tale se non erano presenti”. Riconosce che il Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa “ha svolto un ruolo di intermediazione”, e ciò nonostante, i suoi membri sono perseguitati dalla giustizia.

“Non abbiamo nessun impegno col governo, solo domande e richieste. Non abbiamo firmato nessun patto di governabilità, perché la governabilità c’è solo quando esiste giustizia sociale e siamo molto lontano da questa realtà. Vogliamo dire al governo che non ci sarà nessun tavolo di lavoro, dialogo o colloquio, perché non crediamo nelle sue parole piene di bugie, non ci sarà nessuno che parlerà a nome del Consiglio Autonomo, continueremo a mettere per iscritto le istanze delle comunità ed a mobilitarci se queste non saranno soddisfatte”, precisa il Consiglio. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/24/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 21 marzo 2011

L’ondata di violenza colpisce i difensori dei diritti umani nel sudest del Paese

Attivisti di Chiapas, Tabasco e Yucatán operano in condizioni estremamente ostili

Le aggressioni alle donne nella zona sono sempre più simili a quelle di Ciudad Juaréz

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 marzo. La violenza generalizzata nel paese e l’impunità diffusa acutizzano il contesto di repressione, povertà, criminalizzazione, emigrazione, esproprio territoriale ed attacchicontro chi promuove, difende ed esercita i diritti per tutti, ha dichiarato oggi la Rete Nazionale di Organismi Civili ‘Tutti i Diritti per Tutte e Tutti’, con enfasi particolare nel sudest del Messico.

A conclusione della 41a Assemblea Nazionale, i difensori si sono pronunciati sulle ostili condizioni in cui lavorano i loro colleghi in Chiapas, Tabasco e Yucatan, in una regione del paese dove le violazioni dei diritti non sono minori.

L’estesa Rete, alla quale appartengono 72 organizzazioni, constata che l’esproprio territoriale è pratica ricorrente di governi ed impresari contro chi difende le risorse naturali e si rifiuta di cedere i propri territori per gli investimenti privati (sfruttamento delle miniere, progetti turistici e stradali), perché hanno deciso di praticare l’autonomia esercitando in pienezza i loro diritti fondamentali.

Mentre questa mattina si svolgeva un nutrito corteo nel viale Juan Sabines di questa città contro il progetto governativo di trasformare i campi sportivi in grandi centri commerciali con il pretesto di creare posti di lavoro (benché non vengano accompagnati da diritti del lavoro), la Rete ha denunciato che la cancellazione degli spazi pubblici e sportivi è un’azione di governi municipali e statali che favoriscono gli interessi economici e commerciali delle imprese, e provocano la distruzione dell’ambiente.

La crescente militarizzazione, l’occupazione poliziesca e la paramilitarizzazione di comunità e città del sudest, giustificata da una presunta lotta contro la criminalità organizzata, vuole smobilitare e controllare le dinamiche dei popoli che si organizzano. Tra gli aggiustamenti strutturali si strumentalizzano i poteri Legislativo e Giudiziario per legalizzare la criminalizzazione dell’azione sociale, in particolare contro gli avvocati difensori.

La violenza sulle donne, aggiunge la Rete nella sua dichiarazione finale, è arrivato a livelli simili agli stati del nord, al punto da incoraggiare la violenza contro le donne come parte di una strategia che vuole frammentare il tessuto sociale. Inoltre, la migrazione che transita sui nostri territori non è più solo dei popoli dell’America Centrale; è delle comunità e città impoverite del sudest.

Denuncia inoltre che un forte investimento a livello mediatico presenta i governi statali “come ‘avanguardia’ nel compimento degli standard dei diritti umani”, quando in realtà è nulla la loro applicazione a causa della corruzione strutturale.

La difesa delle garanzie si traduce in azioni di denuncia, formazione, processi, azioni politiche, incidenza pubblica, accompagnamento sociale, solidarietà ed articolazione permanente; l’abbiamo imparato da chi tiene viva la memoria delle lotte e delle resistenze che i nostri popoli portano avanti giorno per giorno.

La Rete riafferma il suo impegno di proseguire vigile ed attiva di fronte alla crescente violazione dei diritti umani che la guerra ufficiale sta generalizzando contro la popolazione civile. A dispetto del crescente rischio per la loro vita ed integrità fisica, riconosciamo nei compagni avvocati difensori in Chiapas, Tabasco e Yucatan un impegno permanente nella difesa della dignità umana.

In maniera particolare trovandosi in Chiapas, i difensori hanno annunciato che seguiranno attenti i loro compagni dei centri dei diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas, dei Diritti Indigeni e Fray Matías de Córdova, il collettivo Educazione alla Pace e ai Diritti Umani, i comitati Fray Pedro Lorenzo de La Nada e Por la Defensa y Libertad Indígena, e Iniciativas para la Identidad y la Inclusión, che svolgono il loro compito in un contesto in cui le azioni di contrainsurgencia sono studiate ed attuate dallo Stato. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/21/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Marzo 2011

Alla 41 Assemblea Nazionale della Rete Nazionale di Organizzazioni Civili “Todos los Derechos para Todas y Todos.”

Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Signore e signori.

Vi mandiamo i nostri saluti. Prima di tutto vogliamo ringraziare il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas AC. per l’invito che ci hanno fatto di mandare un messaggio amico alla vostra Assemblea Nazionale.

Ho il privilegio di conoscere personalmente qualcun@ di voi, ma conosciamo la maggioranza in un modo gratificante, cioè, per l loro lavoro.

Per questo, permettetemi di usare un tono colloquiale per questo messaggio-saluto. Se non me lo permettete, basta saltare tutto quello che segue e dire solo “l’EZLN manda un saluto”. In ogni caso, ci sono sentimenti che non hanno ancora un alfabeto che permetta di esprimerli.

Se state leggendo già queste righe, significa che mi avete concesso la forma colloquiale, ergo, procedo.

_*_

Sono sicuro che la maggior parte di voi, se non tutti, sapranno ascoltare in queste righe non i pensieri del SupMarcos, bensì quelli degli uomini, donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Nello stesso modo in cui noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo saputo vedere nelle azioni di Don Samuel non solo quelle di un individuo, ma quelle di una collettività.

Ma oggi ricordiamo che, è vero, ora manca un viandante, ma la strada è lì. E sappiamo che chi la percorre collettivamente, riuscirà a trasformare il dolore in bandiera e deciderà di non dimenticare, e nemmeno di fermarsi.

Noi pensiamo che sia così perché, come nella storia di quest’assenza fisica, la sua strada ed il suo passo è la sua collaborazione, la sua ragion d’essere, la sua vita.

So che qualche idiota (solo maschi, bisogna ammetterlo) ha approfittato della scomparsa di Don Samuel per mettere l’EZLN contro la diocesi, e Don Samuel contro il SubMarcos rispetto a quello che accadde in queste terre quel Primo Gennaio 1994, per qualcuno ora dimenticato (non sono pochi quelli che, considerando i contributi democratici e sociali, saltano dal 1998 al 2006), o per vedere chi ha fatto o fa di più per i popoli originari del Chiapas e del Messico.

Con argomenti del tipo il “mio papa è più bravo”, o ostentando la potenza maschilista del “vediamo chi ce l’ha più grande” o “vediamo chi arriva più lontano” o “vediamo chi fa più schiuma”, questi personaggi hanno voluto infangare la significativa assenza di Don Samuel.

C’è stato chi ha partecipato a questo gioco per bambini idioti o per politici (che sono la stessa cosa). E così hanno rivisto la storia per coprire la loro ignoranza, o per manipolare i nostri coscienti e premeditati silenzi. Arriverà il momento in cui la nostra parola raggiungerà quegli angoli oscuri, che sono stati occupati da chi vuole vincere questa contesa senza senso.

Noi no. Noi zapatisti non contendiamo un credito che in realtà appartiene a chi da 500 anni vuole uscire da un incubo che cambia regime politico o partito al potere, ma che continua ad imporre la sua dose di sfruttamento, abuso, repressione, disprezzo.

Neppure aspiriamo o aneliamo ad una nota a piè di pagina nel pesante libro della storia contemporanea di questo angolo del mondo.

L’unico credito che ci riconosciamo è quello dei nostri errori e mancanze che, è vero, non sono pochi né lievi, ma non comprendono l’incoerenza in nessuno dei suoi ipocriti aspetti.

Chi ha fatto o fa di più per le comunità indigene di questo angolo del Messico?

Per quanto riguarda l’EZLN, noi rispondiamo che abbiamo fatto poco o niente. Invece, aggiungiamo umilmente che è molto, è tutto, quello che i popoli indios del Chiapas e del Messico hanno fatto per noi. Niente meno che darci identità, strada, direzione, destino, ragion d’essere.

E non solo a noi. Anche a molti distanti e distinti nei calendari e nelle geografie del Messico e del mondo.

Il posto che Don Samuel ha avuto ed ha tra le comunità indigene è quello che si è guadagnato nel suo cammino. Non solo lì, certo, ma ora parlo solo di quello che ho conosciuto di prima mano. E questo non dipende dalle qualità banali che, nei funesti giorni della sua scomparsa fisica, hanno condito gli interventi, articoli ed interviste di chi copre con le chiacchiere la sua mediocrità ed opportunismo.

_*_

Uno dei meriti di Don Samuel, gli dissi una volta, è che potendo scegliere se essere Onésimo Cepeda, scelse di essere Don Samuel Ruiz García.

Proprio come tutte e tutti voi potevate scegliere di essere un’altra cosa rispetto a cosa siete ora, tuttavia avete scelto di essere, nei vostri rispettivi calendari e geografie, difensori promotori dei diritti fondamentali dell’essere umano.

E scegliendo questa identità, nello stesso tempo comune e differente (comune nel suo spirito, differente nella sua storia, luogo e tempo), non avete scelto la strada più facile, la più comoda, quella con più privilegi e maggiori compensi, ma una delle più difficili, scomode, ingrate.

Perché, chi difende i diritti umani delle/dei difensori dei diritti umani?

Infine, voi potevate scegliere, per fare un esempio, se essere Diego Fernández de Cevallos (chiedo scusa per le parolacce) e trasformare la gestione perversa delle leggi in una fonte di ricchezza e potere.

O potevate scegliere di lavorare agli ordini di chi viola i diritti umani, cioè, con governi statali o federali, e nascondervi dietro il fragile alibi del “cambiare le cose dall’interno” o “attenuare le arbitrarietà dei governanti”.

Ma voi, meglio di nessun altro conoscete le mille e una forma, alibi, pretesti e giustificazioni per fare o per smettere di essere quello che ora siete (e che è quello che motiva questa Assemblea ed il nostro saluto), cioè, la vostra identità.

In sintesi: voi potevate scegliere di essere altre, di essere altri, tuttavia avete scelto di essere quello che ora vi convoca e vi riunisce

Ognuno ha la sua storia privata e personale di come è nata questa decisione, questo cammino, ed il fatto fondamentale, l’essere ora ostinati viandanti per un mondo migliore, non dipende da regali, articoli sui media, aneddoti in dibattiti o incontri, o capacità di stimare il valore umano in centimetri.

Ed il riconoscimento di questa decisione non viene solo da chi vi persegue, vi minaccia, vi calunnia, vi colpisce, vi imprigiona, vi assassina o cerca di convincervi ad arrendersi, a cedere, a vendersi. Cioè, non viene solo dai molti governi di diverso colore.

Il riconoscimento per quello che avete scelto di essere, può venire anche da chi non ha i diritti elementari o li vede calpestati da chi ha la forza perché non ha la ragione. Da chi ha trovato nei vostri progetti, nei vostri passi, l’accompagnamento nella domanda del diritto fondamentale. Il diritto di avere tutti i diritti e di esercitarli.

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A noi zapatisti hanno sempre suscitato ammirazione e rispetto le persone che, potendo scegliere di stare sopra, scelgono di stare sotto e con quelli che stanno sotto.

Notare che non sto parlando di filiazione politica o di credo ideologico, ma di una posizione, di qualche chiara e semplice risposta alle domande “dove?”, “con chi?”, “di fronte a chi?”

E notare anche che, messe così, queste domande mettono in ridicolo le domande “chi è il migliore?”, “chi fa di più?”, “chi vince?”

Forse per qualcuno di lì la cosa importante saranno le risposte alle domande competitive. Non lo mettiamo in discussione. Ognuno fa uso del suo tempo secondo le sue possibilità… ed amicizie.

Quello che voglio dire è che sono le vostre domande alle domande che danno identità, quelle che si riconoscono qua in basso. Dove, in basso, con chi, con chi lotta, contro chi, contro chi opprime.

Questo riconoscimento che viene dal basso nessuno lo può contendere, né aspetta la certificazione di chicchessia delle geografie politiche, da un estremo all’altro.

Ed a volte questo riconoscimento prende la forma di un saluto, come in questo caso in cui, attraverso le mie lettere, le comunità indigene zapatiste vi mandano un abbraccio col pretesto di questa Quarantesima Assemblea Nazionale.

_*_

Quarantuno assemblee sono molte, è vero, ma sembra che quella di quest’anno si svolga in tempi particolarmente delicati.

Delicati per la violenza diffusa su tutto il territorio nazionale, e delicati per la violazione/negazione dei diritti umani che è la conseguenza di quella violenza esercitata fondamentalmente dallo stato.

Difficilmente si potrà trovare un altro calendario in cui la violazione e negazione dei diritti umani abbraccia tutta la geografia nazionale… e dove la difesa di questi diritti sia tanto pericolosa.

Perché gli attentati ai diritti fondamentali (vita, libertà, beni, verità) ora vengono subito non solo dai settori sociali cosiddetti “vulnerabili”.

La violenza dilagante, col governo federale guidato dalla macabra brigata, non solo si estende su tutto il territorio nazionale e distrugge tutti gli ambiti della vita quotidiana. Ora  “democratizza” il suo arbitrio facendo vittime in tutti gli strati sociali.

Un oltraggio così nazionale e così attuale dovrebbe provocare una reazione di uguale estensione in identico tempismo, ma si vede che il calendario tracciato dall’alto, quello elettorale, impone altre priorità.

Anche per questo questi tempi delicati. Perché lassù vogliono prendere posizione nella falsa alternativa elettorale. Non c’è bisogno che mi dilunghi nei pericoli che, per la strada che avete intrapreso, rappresentano questi appelli all’emergenza.

Chi lavorano sul serio nella difesa dei diritti umani sa bene che i diversi simboli politici al potere si contendono con entusiasmo solo la sistematica violazione dei diritti fondamentali.

Noi confidiamo in coloro che hanno saputo ascoltare e guardare, e di conseguenza, hanno cercato di comprendere.

Perché così come per noi il loro impegno è fuor di dubbio, così lo è anche la loro intelligenza e la loro capacità di analisi.

_*_

Bene, non voglio disturbare oltre. Ho visto l’agenda preliminare della vostra Assemblea e so che avete molto da fare… e solo un pranzo in 3 giorni (cosa che chiaramente è una violazione al diritto di fare pausa).

Con l’abbraccio che vi mandiamo, va anche il nostro augurio di una buona assemblea.

Come tutte le decisioni che realmente sono importanti e che fanno la differenza, quelle che voi prenderete in questi giorni non avranno eco né conseguenze immediate, ma saranno fondamentali per la geografia ed il calendario che sceglierà la vostra identità.

Perché chi cammina sa che ogni passo conta, benché il percorso si renderà visibile solo giunti a destinazione.

Salve e che, senza che importino rischi e maldicenze, si mantenga la vostra identità.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Marzo 2011

P.S. – Mi dispiace che la mia firma, e la data che scrivo in calce, contraddica le dicerie apparse su twitter, notizie e comunicati governativi sul mio stato di salute. Benché, bisogna dirlo, la cosa dell’enfisema polmonare e del cancro abbia provocato che non mi mandano più tabacco, questa è un chiara manovra contrainsurgente. Quindi è ufficiale. Non ho quello che dicono che ho… o non ancora. Dunque non temete e mandate tabacco, ed avrò cura di coprire la scritta che recita. “Fumare è causa di cancro ed enfisema polmonare. Fumare in gravidanza aumenta il rischio di parto prematuro e di neonato sotto peso (ovvero non potrò più dire “fat is beatifull”?) ed altri rischi riproduttivi” (cioè, non potrò vincere al concorso di “vediamo chi ce l’ha più grande”? bah, io ero già in fondo alla lista). In ogni caso, mandate tabacco.

Ora sì. Vale de nuez.

Dalle montagne… cof…cof…cof…arghhh…cof…cof…puah!…

Oh,oh… cos’è questo, un pezzo di polmone o di zucca non digerita?

Il Sup, che alimenta i pettegolezzi.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 16 Marzo 2011

Invasione di un complesso scolastico in una comunità tzeltal chiapaneca

Hermann Bellinghausen

La comunità tzeltal di Guaquitepec, nel municipio di Chilón, Chiapas, è nota da 15 anni per accogliere un progetto educativo innovativo, un riferimento obbligato per le zone indigene dello stato. Ora è lo scenario della riapparizione dei vecchi cacicchi, si presume appoggiati dal governo statale come ai vecchi tempi, con il sostegno e la consulenza dell’ex deputato perredista Carlos Bertoni Unda, legato all’organizzazione Oruga, con sede ad Ocosingo, già denunciata come strumento di contrainsurgencia economica contro la resistenza indigena.

Lo scorso 17 gennaio, il plesso scolastico della secondaria interculturale Emiliano Zapata Salazar è stato invaso da milizie clientelari dell’ex deputato Bertoni, che nel 2009 è stato in carcere per frode ed oggi prepara il terreno per la prossima tornata elettorale. La proprietà invasa, ed ora distrutta, è dove si svolgono le attività comunitarie educative, artistiche e culturali dalla secondaria.

Le autorità della comunità e degli ejidos vicini, e lo stesso direttore della scuola, Mariano Méndez López, denunciano che l’amministrazione statale, “per mezzo della segretaria Generale di Governo, è intervenuta nel problema senza dare soluzione all’invasione, ed il gruppo invasore ha approfittato per rubare e distruggere il patrimonio educativo del progetto, senza che si applichi la giustizia per questi atti criminali”.

Denunciano direttamente la sottosegretaria di Governo, Ana del Carmen Valdivieso Hidalgo, con ufficio a Yajalón, ed il titolare di Governo, Noé Castañón León, “che si erano presentati come coadiuvanti nella soluzione del conflitto, ma non hanno agito realmente”. Gli indigeni da gennaio avevano informato Castañón, ed il 28 di quel mese erano stati ricevuti a Tuxtla Gutiérrez dall’assessore giuridico dell’ente, che avrebbe parlato anche con gli invasori promettendo loro 15 ettari di terra da un’altra parte. L’unica cosa certa è che “i cacicchi che guidano l’invasione stanno costruendo delle case nell’appezzamento scolastico”.

Bisogna dire che non è un centro scolastico qualunque. Fa parte di un progetto interculturale bilingue riconosciuto a livello internazionale, appoggiato dal Patronato Pro Educazione Messicana e con la partecipazione di pedagoghi nazionali di primo livello. L’esperienza, modello per i popoli indigeni dell’area è, insieme al sistema educativo zapatista, una delle alternative di istruzione più avanzate e di successo in regioni dove l’educazione ufficiale è molto carente.

“I cacicchi hanno sempre ostacolato lo sviluppo”, sostengono maestri, comuneros ed ejidatarios. “Il loro metodo è armare il gruppo per reprimere e minacciare”. Nonostante le reiterate denunce, le autorità statali e municipali hanno permesso i loro abusi.

Gli indigeni descrivono il dirigente Bertoni Unda come “un destabilizzatore sociale, che è già stato in prigione per quelle attività che perseguono il lucro” ed ora funge da “consulente” dei cacicchi filogovernativi. Riferiscono che il 20 febbraio è stato festeggiato dagli invasori: “Com’è possibile che qualcuno che si dice servitore del popolo fa di tutto per provocare divisione e scontri tra fratelli”. Dicono di ignorare gli “interessi” di Bertoni a Guaquitepec, “ma siamo convinti che non sono per il bene delle comunità, ma per approfittarsi di loro”.

Appoggiano la denuncia l’Organizzazione Sociale Indigena Yip Lumaltik, la Fondazione Colosio regionale, le autorità di Maquejá, San Vicente, Pinabetal e San Antonio Bulujib, i Principales di Guaquitepec, così come le basi zapatiste e il direttore del liceo Bartolomé de las Casas. Si dichiarano a favore di “equità, uguaglianza, giustizia, dignità ed una vera democrazia” per vivere liberamente. “Si stanno violando i nostri diritti all’educazione, allo sviluppo come popoli indigeni e a vivere in pace ed armonia”, concludono. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/16/index.php?section=politica&article=025n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Scambio Epistolare su Etica e Politica

La classe politica e la guerra

Sergio Rodríguez Lascano

Nella lettera che il Subcomandante Insurgente Marcos scrive a don Luis Villoro, dal titolo “Appunti sulla guerra”, si illustra in maniera molto dettagliata il bilancio utilizzato da Felipe Calderón per portare a termine la sua guerra contro la popolazione messicana, seguendo gli obiettivi del vicino mandante del Nord. Questo è molto importante perché, a parte tutto, una guerra deve essere analizzata nei suoi costi. Quello che mi piacerebbe sottolineare, partendo da questo punto relativo ai costi per poi passare ad altri argomenti, è il ruolo che l’insieme della classe politica messicana ha svolto in questa guerra.

Racconta chi c’era, che quando Lenin lesse su un giornale svizzero che la socialdemocrazia di Germania e Francia aveva votato i crediti di guerra che autorizzavano entrambi i governi ad avviare quella follia che si chiamava Prima Guerra Mondiale, pensò che si trattasse di un’edizione falsa di quel giornale. Da allora, è molto importante sapere come si comportano i diversi partiti politici presenti nei parlamenti quando si vota sui soldi per fare una guerra. Sebbene in Messico il presidente ogni anno elabori una proposta di bilancio, chi ne decide l’importo e le destinazioni sono i deputati e i senatori di ogni partito politico.

In Messico, negli ultimi quattro anni – e si potrebbe dire anche negli ultimi dieci anni – i bilanci sono stati votati praticamente all’unanimità, con l’eccezione di alcuni deputati la cui obiezione non riguarda il bilancio di guerra. Con questo possiamo dire che la guerra che ha deciso di lanciare Calderón ha contato sull’avallo e l’appoggio di tutta la classe politica messicana. L’unica critica che gli muove il dissidente contumace, López Obrador, si incentra unicamente sul fatto che Calderón ha sollevato un bel vespaio, e così – volente o no – cade nella logica che il governo ha tentato di imporre: che ci troviamo di fronte ad una guerra contro il crimine organizzato, in particolare, contro il narcotraffico.

Nello stesso modo in cui Felipe Calderón utilizza questa guerra come suo unico elemento di legittimazione, la screditata classe politica messicana si aggrappa a questa guerra e giura e spergiura che, accada quel che accada nel 2012, questa politica non cambierà.

Recentemente, la dichiarazione di un vecchio priista ha suscitato clamore. Sócrates Rizzo García, ex governatore di Nuevo León, ha detto: “Durante i regimi priisti, il presidente della Repubblica aveva il controllo sulle rotte del narcotraffico, cosa che impediva che ci fossero attacchi alla popolazione. In precedenza, i presidenti definivano le strade che doveva seguire il traffico di droga per non coinvolgere la società civile… In qualche modo, si era risolto il problema del transito della droga. Esisteva un controllo e c’era uno stato forte ed un presidente forte ed una Procura forte e c’era il ferreo controllo dell’esercito… Dicevano: ‘Tu passi di qui; tu di qua; ma non toccare questi posti’… “. Subito, Enrique Peña Nieto ha dichiarato che se arriverà alla presidenza, continuerà la strada intrapresa da Calderón.

Marcelo Ebrard insistentemente ha dato il suo appoggio a Calderón in questa guerra, sostenendo che sarebbe stato meschino lesinare l’appoggio. Il consenso alla guerra comprende molti altri e molte altre istituzioni. Tutti i governatori degli stati e praticamente tutti i sindaci condividono questa strategia. Per questo, governatori e sindaci di varie regioni del paese hanno respinto le dichiarazioni di Felipe Calderón, nel senso che sfuggivano dalle loro responsabilità nella lotta al crimine organizzato, e gli hanno chiesto di “precisare meglio” le sue parole, perché sembra avere un panorama incompleto di quello che accade.

Felipe Calderón in un intervista ha dichiarato che in stati, municipi ed in altri ambiti del potere pubblico si elude la corresponsabilità prevista dalla Costituzione per affrontare in forma congiunta il crimine organizzato. Ha detto che quei livelli di governo credono che “sia facile passare la palla al governo della Repubblica”. Mario Anguiano, mandatario di Colima, ha detto che in nessuna circostanza ha eluso “né sfuggiremo mai da questa responsabilità costituzionale e stiamo lavorando in funzione degli obiettivi che abbiamo definito e garantiremo la sicurezza alla popolazione”. Al di là degli sfoghi isterici di Calderón, la realtà è che tutti sono coinvolti in questa politica.

Si potrebbe dire, ed è vero, che esiste una forte corruzione tra i governatori o i presidenti municipali, ma questo non è diverso da quello che accade nell’insieme delle istituzioni federali. Così, per esempio, il Revisore dei Conti Superiore della Federazione (ASF) ha riscontrato errori amministrativi ed omissioni in una fiduciaria della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena) che, nel 2009, ha gestito risorse per 1.640 milioni di pesos “per urgenze e spese per la sicurezza nazionale”. Nella revisione delle risorse, l’ASF ha rilevato la mancanza di licitazioni negli acquisti e contratti milionari che fanno perdere risorse all’Esercito, tra altre anomalie. Per un contratto firmato con un’impresa russa per la riparazione di cinque elicotteri, la Sedena ha dovuto sborsare 10,5 milioni di pesos solo per la cancellazione dell’accordo, poiché le condizioni non erano convenienti per l’ente.

Ugualmente, si potrebbe dire che molti governatori o presidenti municipali o deputati fanno parte delle reti del crimine organizzato, ma la stessa cosa si può dire di una serie di agenti federali, membri delle forze armate o dello stesso potere esecutivo.

Mentre l’insieme della classe politica partecipa attivamente a questa guerra, i presunti obiettivi che si è posta per portarla a termine non solo sono lontani, ma lo sono più che mai. La violenza non è diminuita, ma è aumentata in maniera esponenziale. Ogni settimana si supera il record precedente di violenza. Ogni volta sono più morti, ogni volta più scomparsi, ogni volta più arrestati, ogni volta più bambini coinvolti nella guerra, da una parte e dall’altra. Per esempio, la Rete per i Diritti dell’Infanzia in Messico (Redim), formata da 67 organizzazioni civili, ha documentato che, nel 2009, la Segreteria della Difesa Nazionale ha arruolato dei minorenni nel servizio militare anticipato per lo sradicamento di coltivazioni di marijuana e papavero. Ha inoltre denunciato, sulla base di documenti ufficiali, che nella lotta dell’esercito contro il narcotraffico partecipano dei minorenni reclutati mediante il Servizio Militare Nazionale ed il Sistema Educativo Militare. Lo scorso 31 di gennaio, la Redim ha presentato il documento “Infanzia e conflitto armato in Messico”, elaborato con informazioni della stessa Sedena, nella cui Terza Relazione dei Lavori 2009 consta che, dal 25 maggio al 1 agosto di quell’anno, 314 adolescenti hanno svolto questo compito in Michoacán. Secondo la Redim, è la prima volta che “si sa” con certezza che degli adolescenti sono coinvolti in azioni di “lotta contro il narcotraffico”.

E se l’obiettivo di ridurre la violenza non si raggiunge, non lo è neppure quello di ridurre il consumo di droga. Mentre il consumo di marijuana nel paese aumenta, la distruzione di colture di questa droga ed i sequestri diminuiscono. Durante l’amministrazione del presidente Felipe Calderón, la media annuale della distruzione di coltivazioni documentata dall’esercito è inferiore a quella dei mandati di Ernesto Zedillo e Vicente Fox. Dal 1995 al 2000, secondo la relazione della Segreteria della Difesa Nazionale, ogni anno venivano distrutti 19.523 ettari di marijuana, in media; dal 2001 al 2006, la cifra è stato di 25.800; ma nell’attuale  amministrazione, dal 2007 al 2009, è crollata a 17.014 ettari l’anno.

Il consumo di droga in Messico è schizzato: il suo valore attuale sul mercato nazionale supera gli 8.780 milioni di dollari l’anno, secondo informazioni della Segreteria di Pubblica Sicurezza (SSP) federale. “In Messico è aumentata in maniera importante la dipendenza, e devo segnalare che è uno dei fattori più importanti che bisognerebbe denunciare e assistere”, ha ammesso il suo titolare, Genaro García Luna durante la sua comparizione davanti ai legislatori. “La parte più importante nel consumo è occupata dalla marijuana, con una proporzione quadruplicata negli ultimi dodici anni”.

Naturalmente, per realizzare un’analisi completa sull’argomento è impossibile non considerare che si tratta di un grande affare. Affare del quale fanno parte i grandi industriali del paese e del mondo. E fino a che questo sarà un grande affare, i capitali continueranno a fluire verso questo settore.

Come segnala il Subcomandante Insurgente Marcos nella lettera citata, in questo grande affare il capitale nordamericano guadagna su due fronti: vendendo armi alle forze incaricate della violenza dello Stato e vendendo le stesse armi ai capi della droga. Lo fa anche, ed ora si sa, dagli uffici stessi delle istituzioni incaricate di vigilare sulla vendita delle armi.

Ma l’affare non si ferma lì. Secondo Víctor Cardoso, del quotidiano La Jornada, nei quattro anni del governo di Felipe Calderón sono stati riciclati 25.991 milioni di dollari. Parlando solo di quello che si lava attraverso il sistema bancario, per non parlare della quantità di hotel, scuole, centri ricreativi, eccetera, che sono semplicemente la facciata che occulta il riciclaggio di denaro sporco.

Stando così le cose, possiamo dire che, dentro le finanze di questa guerra, è possibile incontrare il sistema bancario messicano, oggi prevalentemente in mani straniere, e dunque non si può negare che una buona parte della quantità di soldi che si trovano in questo settore viene dal narcotraffico.

Inoltre, sappiamo che ogni anno entrano in Messico 29 mila milioni di dollari dal narcotraffico. Questo spiega, in buona parte, perché il Messico nel 2009 non sia caduto in una crisi peggiore ed quello che sta dietro la ripresa tanto esaltata del 2010, in un momento in cui le esportazioni di petrolio sono minori così come l’entrata di valuta grazie alle rimesse degli emigrati. Questa cifra è superiore a tutto l’Investimento Straniero Diretto che solo l’anno scorso è stato di 16 mila milioni di dollari, e di questo affare beneficia una buona parte della classe politica messicana. Per questo, questa guerra non è realmente contro il narcotraffico, perché sarebbe come tagliare la mano che ti nutre.

Il potere corrompe dice la vecchia massima, ma il potere e il denaro corrompono due volte. Per questo il panorama nel Messico del 2011 è quello di funzionari dello Stato che scoprono le mille e una strada per accedere a quella fonte inesauribile di entrate. Nella loro opera Mil mesetas, Delleuze e Guattari dicevano: “Così come il capitale cresce in maniera costante e smisurata rispetto al capitale variabile, la guerra diventa sempre più una guerra di armamenti. La crescita della composizione organica di capitale si traduce così nella crescita della composizione organica di capitale militare”.

Con questo si è aperta un’epoca di degrado ed umiliazione. Una guerra fatta con l’ordine di combattere il crimine organizzato cerca di contendere a quest’ultimo i guadagni. Si tratta dell’azione degradata del potere che utilizza una copertura ideologica per uno scopo inconfessabile. Ma vuole anche un’altra cosa: umiliare la società, facendole pagare i costi di sangue di questa guerra, cercando di distruggere l’ambito collettivo che trova sul suo passaggio; ogni ambito sociale che riesca a calpestare. Epoca di degrado e umiliazione che tutto annuncia proseguirà dopo il 2012 mentre si sta realizzando tutto quello che i candidati avevano presentato nel 2006; compreso quello che López Obrador aveva esposto nel suo libro Proyecto alternativo de nación, in cui segnalava che era giusto utilizzare l’esercito contro i narcos, poiché si trattava di un problema di sicurezza nazionale.

Oggi, in Messico, le elite politiche ed economiche che esercitano il potere, inteso non unicamente come l’esecutivo ma come l’insieme del potere, incarnano gli obiettivi più eccessivi tanto nell’accaparramento di denaro come di capacità di comando sulla società.

Tuttavia, questo slancio, questa volontà, questa apparente sicurezza svanisce quando il suo padrone alza la voce perché gli hanno ucciso un agente doganale, invece di chiedersi, là in alto, cosa ci faceva un agente doganale degli Stati Uniti a San Luis Potosí – forse la dogana non è più sul Río Bravo?- no, immediatamente, si scopre “l’assassino”.

Gli esperti sui mezzi di comunicazione mettono in discussione la rapidità con la quale si è saputo nel vicino paese del nord dell’arma assassina e dove è stata venduta, e non mettono in discussione il fatto che, in due giorni, lo Stato messicano – lo stesso che non sa chi ha assassinato Maricela Escobedo, lo stesso incapace di trovare chi ha ucciso gli studenti dell’Istituto Tecnologico di Monterrey, lo stesso che ha quasi distrutto la famiglia Reyes – ora, in due giorni, trovi un ragazzo, si presume l’assassino del funzionario statunitense, conosciuto come el Piolín.

Il problema che sorge dall’inizio è il seguente: quale è il livello di credibilità del potere politico in Messico? Perché dovremmo credergli? Chi può dire che i 35 mila assassinati in questa guerra erano membri del crimine organizzato? Perché davanti alle telecamere appaiono con armi, pistole, granate, fucili? Lo Stato, storicamente, non si è mai premurato di mettere davanti alle telecamere qualche ragazzo, vivo o morto, circondato da un arsenale? Ci siamo già dimenticati degli anni della guerra sporca contro le organizzazioni rivoluzionarie?

Queste domande sorgono, soprattutto, quando si conoscono bene le velleità cinematografiche del genio della menzogna, García Luna, che monta operativi a beneficio dei mezzi di comunicazione.

Per questo ha ragione Julio Scherer quando, nel suo libro Historias de muerte y corrupción, dice: “Dietro ogni vittima c’è un nome, un cognome, una storia, ma arriverà il giorno della resa dei conti da parte di chi si è visto coinvolto in questa tragedia che non cessa”.

Tutto questo in piena democrazia rappresentativa

Già nel numero precedente avevamo parlato del carattere di Stato d’emergenza che sta acquisendo lo Stato messicano, che lo sta trasformando in uno Stato penale di controllo che ha perso ogni prospettiva di legittimità sociale, a partire dalla mancanza di consenso. Il dominio è diventato crudo, privo di qualsiasi copertura sociale. Per questo, per il potere tutto è guerra.

Ma la cosa peculiare è che tutto questo si svolge nella cornice del sistema di democrazia rappresentativa, con un potere legislativo e giudiziario apparentemente separati dall’esecutivo.

Dalla prospettiva di detta democrazia rappresentativa, nessuno sta presentando un progetto di nazione diversa, non diciamo socialista – che sarebbe chiedere troppo – ma semplicemente alternativo alla politica della terra bruciata che si sta portando avanti contro la società e il paese.

In ultima istanza, se qualcuno vuole un’ulteriore dimostrazione dei limiti di questo sistema rappresentativo, oggi la può trovare in quello che sta accadendo in Messico.

Hanno diviso il paese in amici e nemici. I primi si trovano nel potere politico ed economico, e i secondi sono ogni cittadino al quale si vogliono togliere tutti i diritti, ad eccezione di quello di votare per i suoi carnefici.

Questo sistema consente solo una cittadinanza sotto controllo; per questo il cumulo di leggi che vogliono criminalizzare, non diciamo la protesta sociale, ma chiunque voglia esercitare i propri diritti più elementari come quello del libero transito o quello di fare una festa con gli amici, o uscire di scuola e camminare per le strade, o essere un vero difensore dei diritti umani, o dipingere graffiti, o chiamarsi Reyes, o vivere ad Apatzingán o a Ciudad Mier o a Ciudad Juárez, o quello di non andare negli Stati Uniti, o andare ad una festa, o, perfino consumare uno stupefacente.

Gli unici che hanno diritti sono i membri della classe politica e quelli che appaiono nell’elenco della rivista Forbes.

La democrazia rappresentativa, si presume, ha come base il fatto che il potere è il risultato di un’autorizzazione concessa da tutti e da ognuno degli individui. Questo, ora è chiaro, non è così. Il potere esiste nonostante lo stato di malessere che regna nella società, ed ora governa per i mezzi di comunicazione e per sé stesso.

Prima, il potere rappresentativo esisteva in funzione dell’esistenza dei diritti dell’essere umano. Oggi, questo potere rappresentativo si è trasformato in una brutta caricatura da quando i messicani sono stati espropriati dei propri diritti.

L’obiettivo non è più semplicemente garantire la vendita della forza lavoro, ma il controllo della vita stessa (il biopotere) dei cittadini in quanto tali: di quello che fanno, con chi passeggiano, con chi vanno alle feste, con chi giocano, con chi convivono, con chi si rapportano, con chi fanno l’amore.

In questo senso, si vuole generare l’idea di unanimità, di omogeneità. Non sorprende la campagna a favore del film Presunto colpevole, prodotta e diretta dagli avvocati degli assassini di Acteal. Tutti nella classe politica si sono lanciati nella difesa della libertà di espressione, come se questa fosse in pericolo, quando è completamente inesistente per la stragrande maggioranza della società, e si perseguita un ragazzo che aveva osato presentare un ricorso, mentre non è stato interpellato sull’utilizzo della sua immagine in un documentario che non è vero che semplicemente rifletteva quello che era successo in tribunale, ma rivelava quello che il direttore e l’editore volevano.

E’ stato patetico sentire commentatori “progressisti” parlare di qualcuno che strumentalizzava quel ragazzo, perché non poteva essere che uno così ignorante, che aveva fatto solo le elementari potesse presentare un ricorso.

Con un’azione di potere sono stati eliminati i diritti civili di un giovane povero, mentre gli avvocati dei criminali vivevano i loro 15 minuti di gloria. Queste sono le cause di tutta la classe politica. Ed i morti di Acteal? Qui è meglio voltare pagina e non importunare le buone coscienze che controllano i mezzi di comunicazione. Qui abbiamo un buon esempio di quello che in altri paesi è noto come “governanza”. Si crea l’immagine che, dalla società civile, esiste un movimento per frenare gli “eccessi” dello Stato e tutti i mezzi di comunicazione si muovono in quella direzione. Lo Stato felice crea un movimento di distrazione. Alla fine, si autorizza l’esibizione del documentario che mostra che la società civile ha vinto, la libertà di espressione è garantita. Nel frattempo, la guerra rade al suolo il paese.

Si può dire lo stesso dei partiti politici, concentrati come sono nel 2012. Tutti sono fuochi artificiali: alleanze sì o no, l’arrivo di Moreira al PRI, la crisi terminale del PRD, le campagne di AMLO ed Ebrard, eccetera.

Nessuno si occupa né si preoccupa dei 35 mila morti, del fatto che il mandante del Nord inonda con armi il territorio nazionale. L’unica cosa che a loro interessa è quello che succede nella propria bottega. Mai prima nella loro storia, la classe politica e le istituzioni statali sono state così inutili come oggi.

“Se prendo uno Zeta lo uccido. Perché interrogarlo?”

Così ha dichiarato il titolare della Sicurezza della città di Torréon, il generale Carlos Viviano Villa Castro. Questa è la filosofia dei militari in questa guerra. Il problema è che con questa dichiarazione è evidente che viviamo in stato di emergenza. Il fermato non richiede un processo, neanche un interrogatorio; la sola cosa da fare è ucciderlo.

A questo si aggiunge che il generale dice che bisogna “avere le palle”. E’ comprensibile quando si ha il cervello nei genitale, e così, aggiunge: “Io diffido dei poliziotti federali perché non uccidono, arrestano soltanto”. Ma, più ancora, basta e avanza che il generale creda che si tratti di uno Zeta per ucciderlo. E questo riguarda i testimoni sotto protezione, le voci, il non fermarsi ad un posto di blocco, ecc. Ed il generale dice che tutto questo fa parte del “codice d’ onore”.

Stato penale di controllo man mano che si riduce lo Stato sociale: non si tratta più di prevenire o di aiutare, si tratta di infliggere punizioni. Tutti siamo suscettibili di punizione, di morte. La punizione come metodo pedagogico. Come insegnare? Con le pallottole.

Naturalmente, dietro c’è l’obiettiva centrale di questa guerra che come abbiamo già visto non è sconfiggere il narcotraffico, ma distruggere il tessuto sociale. Paralizzare con la paura. Governare attraverso questi strumenti.

Per i mezzi di comunicazione, questi sono i nuovi eroi nazionali, per lo meno li presentano come qualcosa di spiritoso, folcloristico. Dietro, la realtà è che questa è la nuova filosofia del potere. E qui è indispensabile ripeterlo: non è un solo uomo il portatore di questa filosofia, ma l’insieme della classe politica, per azione o per omissione, è comproprietaria di questa struttura politica che si chiama Stato penale di controllo.

L’alternativa può venire solo dal basso

Se, come abbiamo detto e dimostrato, a nessuno là in alto importa niente di questo problema, ma sono la causa dello stesso; la sola alternativa reale, più reale che mai, verrà dal basso.

Seguendo le orme dei ragazzi che a Ciudad Juárez hanno deciso di controllare la loro paura ed uscire per strada a mostrare il corpo, comprendendo qualcosa che in prima istanza è complicato capire: che è lo Stato a causare il terrore; che questo è responsabile di aver messo la società civile nella situazione in cui si trova; che non è possibile parlare di due bande, mentre uno, lo Stato, è l’unico responsabile, in teoria, nel garantire la sicurezza dei cittadini.

Seguendo le orme di coloro che, tra i popoli originari, lottano per non permettere che i propri territori si trasformino in zone militarizzate e si perdano tutti i segni d’identità delle comunità.

E, soprattutto, seguendo le orme delle comunità zapatiste che hanno dimostrato, nel momento più terribile del paese, quando sembra che tutto sia ormai terra bruciata, che si può costruire un’altra cosa: una dove i militari non hanno potuto introdurre la loro filosofia di morte; dove lo Stato e la classe politica non sono riuscite ad imporre la loro agenda. Un’altra cosa dove la violenza è esiliata e si impone solo quando i paramilitari del PRI, del PRD o del Partito Verde attaccano su ordine del governatore più popolare del quotidiano La Jornada.

Lì dove non entra la droga, lì dove ciò che avanza è l’educazione, la salute, i progetti agroecologici. Lì, dove si sta costruendo il nuovo che ci permette di avere un punto di riferimento e propaganda in tutto il paese e nel mondo.

Come è stato possibile arrivare a questo?

Una parte della società civile è stata abbagliata dai giochi elettorali. Dice si sia costituito un governo legittimo, ma sembra che a questo governo i problemi reali della società facciano un baffo, e la sola cosa che ripete, in un interminabile e noioso monologo, è che è necessario prepararsi per il 2012. E, mentre si arriva a quell’appuntamento, se ci saranno altri 16 mila morti, anche questi saranno danni collaterali per raggiungere il grande obiettivo (che, d’altra parte, è sempre più remoto).

Mentre in alto si fa questo, in basso, non senza difficoltà, si sono costruite nuove organizzazioni che, indipendentemente dalla loro dimensione, fanno quello che devono fare; ancora una volta possiamo riprendere l’esempio di Ciudad Juárez.

Il malessere di fronte all’epoca in cui viviamo, epoca di morti, desaparecidos e imprigionati; epoca piena di soldati per le strade sempre con le armi spianate; epoca di canaglie che dagli scranni parlamentari si vantano della propria inettitudine e malvagità; epoca in cui, dalle corti, inclusa quella suprema, si dà copertura legale all’estremamente illegale; questa epoca richiede che avanzino le organizzazioni sociali per frenare la mano visibile del crimine che lo Stato sta compiendo. Nuove organizzazioni che guardino le comunità zapatiste e dicano “sì, si può”. Organizzazioni sociali che impediscano che questo paese sia raso al suolo dalla politica che dall’alto ha decretato che “tutti sono miei nemici”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Intervento di Sergio Rodríguez Lascano in castigliano: http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/11rodriguez.pdf

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La Jornada – Lunedì 14 marzo 2011

Proseguono le proteste in 12 nazioni per la liberazione degli indigeni dell’Altra Campagna

Le azioni a New York, Londra, Parigi, Berlino, Buenos Aires, ed in altre città

Hermann Bellinghausen

Sono proseguite questa domenica le azioni pubbliche per chiedere la liberazione degli indigeni dell’Altra Campagna che si trovano in carcere in Chiapas, in particolare dei cinque coloni di San Sebastián Bachajón reclusi nelle prigioni di Catazajá e Berriozabal. Da lunedì 7 scorso si sono svolti meeting, mostre ed azioni di protesta davanti a consolati ed ambasciate messicane, o in piazze pubbliche in una dozzina di paesi.

A Città del Messico, New York, Londra, Edimburgo, Parigi, Berlino, Barcellona e Buenos Aires si sono visti striscioni con scritto “assassini” e “repressori” ai governi federale e chiapaneco, e si sostegno ai diritti alla terra ed al territorio delle comunità indigene zapatiste e dell’Altra Campagna. Ci sono state proteste anche in Sudafrica, Puerto Rico, Austria, Marocco, Filippine e Colombia.

Collettivi, organizzazioni ed aderenti all’Altra Campagna, membri della Rete Contro la Repressione e per la Solidarietà, hanno tenuto oggi una manifestazione sul piazzale del palazzo delle Belle Arti, come parte delle azioni per la liberazione dei cinque tzeltales di San Sebastián, così come del maestro Alberto Patishtán Gómez (tzotzil in prigione a San Cristóbal de las Casas) e Máximo Mojica Delgado (a Tecpan di Galeana, Guerrero).

Nello stesso tempo, attivisti dell’Altra Campagna in Messico chiedono al governo di Oaxaca la liberazione di Álvaro Sebastián Ramírez, “prigioniero politico e di coscienza”. Tutti loro sono aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

I collettivi della Rete sostengono che gli ejidatarios di San Sebastián “difendono il loro territorio che vogliono togliere loro perché è molto bello”, per progetti presuntamente turistici alle cascate di Agua Azul, “ma in realtà sono a beneficio degli interessi di quelli che stanno in alto e delle multinazionali”. Per questo, come i contadini choles dell’ejido di Tila, “gli vogliono togliere le terre”.

Ricordano i fatti che hanno scatenato la repressione a San Sebastián: “Coltivavano la terra e gestivano l’accesso al sito con un botteghino ed il 2 febbraio sono stati aggrediti da priisti e paramilitari, appoggiati dalle autorità municipali di Chilón. Negli scontri è morto uno degli aggressori, vittima delle armi della sua stessa gente”. Il giorno 3, quando gli ejidatarios erano in riunione “per concordare la risposta da dare al governo statale sull’offerta di iniziare un tavolo di dialogo, sono stati attaccati a tradimento da centinaia di poliziotti statali, federali e da elementi dell’Esercito”.

Furono fermati 117 ejidatarios. 107 furono presto rilasciati e gli altri restarono in carcere con  gravi accuse come omicidio aggravato. Successivamente, “grazie alle azioni in Messico ed in altri paesi”, dice la Rete, ne sono stati rilasciati cinque. Sono ancora in prigione Mariano Demeza Silvano, Domingo Pérez Álvaro, Domingo García Gómez, Juan Aguilar Guzmán e Jerónimo Guzmán Méndez.

Rispetto ai maestri Patishtán e Mojica, L’Altra Campagna inizierà attività su scala nazionale, soprattutto nelle scuole inferiori, medie e superiori, contro la loro “detenzione arbitraria ed ingiustificata” da anni.

 

Condannato per reati mai commessi

 

I collettivi vogliono “richiamare l’attenzione su un problema che sta diventando angoscioso: la continua repressione contro la società civile da parte di polizia, militari e paramilitari”.

Questo appello si rivolge ai lavoratori della scuola, genitori, piccoli commercianti, operai, contadini. “I nostri compagni devono stare in classe ad insegnare e non in prigione”.

Un altro caso è la domanda di appello per Álvaro Sebastián Ramírez, di Loxicha, condannato a 29 anni per gravi reati che non ha mai commesso. È da 13 anni in carcere, ora nel penitenziario di Santa María Ixcotel (Oaxaca).

In un’analisi sul caso, l’ex prigioniero politico Jacobo Silva Nogales ha spiegato in dettaglio e con fondamento giuridico perché Ramírez non è responsabile dei reati a lui imputato. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/14/index.php?section=politica&article=021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SULLE GUERRE

Scambio epistolare tra Luis Villoro ed il Subcomandante Marcos su Etica e Politica – Gennaio-Febbraio 2011

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Gennaio-Febbraio 2011

Per: Don Luis Villoro.
Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Dottore, La saluto.

Speriamo davvero che stia meglio in salute e che accolga queste righe non solo come uno scambio di idee, ma anche come un abbraccio affettuoso da noi tutti.

La ringraziamo per aver accettato di partecipare a questo scambio epistolare. Speriamo che da questo sorgano riflessioni che ci aiutino, qua e là, a tentare di comprendere il calendario che patisce la nostra geografia, il nostro Messico.

Mi permetta di iniziare con una specie di bozza. Si tratta di idee, frammentarie come la nostra realtà, che possono seguire una loro strada indipendente o intrecciarsi (l’immagine migliore che ho trovato per “disegnare” il nostro processo di riflessione teorica), e che sono il prodotto della nostra inquietudine per quanto sta attualmente accadendo in Messico e nel mondo.

E qui iniziano questi veloci appunti su alcuni temi, tutti loro in relazione con l’etica e la politica. O piuttosto su quello che noi riusciamo a percepire (e a patire) di loro, e sulle resistenze in generale, e la nostra resistenza in particolare. Come c’è d’aspettarsi, in questi appunti regneranno la schematicità e la riduzione, ma credo che bastino a tracciare una o molte linee di discussione, di dialogo, di riflessione critica.

E si tratta proprio di questo, che la parola vada e venga, scavalcando posti di blocco e pattugliamenti militari e di polizia, del nostro da qua fino al Suo là, anche se poi accada che la parola se ne vada da altre parti e non importa se qualcuno la raccoglie e la rilancia (è per questo che sono fatte le parole e le idee).

Sebbene il tema su cui ci siamo accordati sia Politica ed Etica, forse è necessaria qualche deviazione, o meglio, avvicinamenti da punti apparentemente distanti.

E, dato che si tratta di riflessioni teoriche, bisognerà iniziare dalla realtà, quello che gli investigatori chiamano “i fatti”.

In “Scandalo in Boemia“, di Arthur Conan Doyle, il detective Sherlock Holmes dice al suo amico, il Dottor Watson: “È un errore capitale teorizzare prima di avere dati. Senza rendersi conto, uno comincia a deformare i fatti affinché si adattino alle teorie, invece di adattare le teorie ai fatti“.

Potremmo cominciare dunque da una descrizione, affrettata e incompleta, di quello che la realtà ci presenta nella stessa forma, cioè, senza anestesia alcuna, e ricavare alcuni dati. Qualcosa come cercare di ricostruire non solo i fatti ma la forma con la quale prendiamo conoscenza di essi.

E la prima cosa che appare nella realtà del nostro calendario e geografia è una vecchia conoscenza dei popoli originari del Messico: La Guerra.

I.- LE GUERRE DELL’ALTO.

“E in principio erano le statue”.

Così potrebbe iniziare un saggio storico sulla guerra, o una riflessione filosofica sulla reale genitrice della storia moderna. Perché le statue belliche nascondono più di quanto mostrano. Erette per glorificare in pietra la memoria di vittorie militari, non fanno altro che occultare l’orrore, la distruzione e la morte di ogni guerra. E le figure in pietra di dee o angeli incoronati con l’alloro della vittoria non solo servono affinché il vincitore abbia memoria del suo successo, ma anche per forgiare la smemoratezza del vinto.

Ma, attualmente questi specchi di roccia sono in disuso. Oltre ad essere seppelliti quotidianamente dalla critica implacabile di uccelli di ogni tipo, hanno trovato nei mezzi di comunicazione di massa un avversario insuperabile.

La statua di Hussein, abbattuta a Baghdad durante l’invasione nordamericana dell’Iraq, non è stata sostituita da una di George Bush, ma dai cartelloni pubblicitari delle grandi multinazionali. Benché il volto ebete dell’allora presidente degli Stati Uniti sarebbe stato adatto a promuovere cibo spazzatura, le multinazionali hanno preferito auto-erigersi l’omaggio di un nuovo mercato conquistato. All’affare della distruzione, è seguito l’affare della ricostruzione. E, benché si susseguano le perdite tra le truppe nordamericane, la cosa importante è che il denaro vada e venga come deve essere: con fluidità e in abbondanza.

La caduta della statua di Saddam Hussein non è il simbolo della vittoria della forza militare multinazionale che invase l’Iraq. Il simbolo sta nel rialzo delle azioni delle aziende sponsor.

“Nel passato erano le statue, ora sono le borse valori”.

Potrebbe essere questa la storiografia moderna della guerra.

Ma la realtà della storia (questo caotico orrore guardato sempre meno e in maniera sempre più asettica), compromette, presenta conti, esige conseguenze, domanda. Uno sguardo onesto ed un’analisi critica potrebbero identificare i pezzi del rompicapo e dunque ascoltare, come un macabro urlo, la sentenza:

“In principio era la guerra”.

La Legittimazione della Barbarie.

Forse, in qualche momento della storia dell’umanità, l’aspetto materiale, fisico, di una guerra è stata la cosa determinante. Ma, con l’avanzare della pesante e turpe ruota della storia, questo non è bastato. Così, come le statue sono servite per il ricordo del vincitore e la smemoratezza del vinto, nelle guerre i contendenti hanno dovuto non solo sconfiggere fisicamente l’avversario, ma anche servirsi di un alibi propagandistico, cioè, di legittimità. Sconfiggerlo moralmente.

In qualche momento della storia è stata la religione a conferire questo certificato di legittimità alla dominazione guerriera (benché alcune delle ultime guerre moderne non sembrano aver progredito molto in questo senso). Ma poi è stato necessario un pensiero più elaborato e la filosofia ha rilevato il testimone.

Ricordo ora alcune sue parole: “La filosofia ha sempre avuto un rapporto ambivalente col potere sociale e politico. Da un lato, ha preso il posto della religione come giustificazione teorica della dominazione. Ogni potere costituito ha tentato di legittimarsi, prima con un credo religioso, poi con una dottrina filosofica. (…) Sembrerebbe che la forza bruta che sostiene il dominio manchi di significato per l’uomo se non si giustificasse con un fine accettabile. Il discorso filosofico, che subentra alla religione, è stato incaricato di conferirgli questo senso; è un pensiero di dominio.” (Luis Villoro. “Filosofia e Dominio”. Discorso di ingresso nel Colegio Nacional. Novembre 1978).

In effetti, nella storia moderna quest’alibi è riuscito ad essere talmente elaborato come una giustificazione filosofica o giuridica (gli esempi più patetici li ha dati l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU). Ma la cosa fondamentale era, ed è, munirsi di una giustificazione mediatica.

Se una certa filosofia (per seguire Lei, Don Luis: il “pensiero di dominio” in contrapposizione al “pensiero di liberazione”) ha sostituito la religione in questo compito di legittimazione, ora i mezzi di comunicazione di massa hanno sostituito la filosofia.

Qualcuno ricorda che la giustificazione della forza armata multinazionale per invadere l’Iraq, era che il regime di Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa? Su questo si è costruita una gigantesca impalcatura mediatica che è stata il combustibile per una guerra che non è ancora finita, almeno in termini militari. Qualcuno ricorda che non si sono mai trovate queste armi di distruzione di massa? Non importa più se è stata una bugia, se c’è stato (e c’è) orrore, distruzione e morte, perpetrati con un falso alibi.

Si racconta che, per dichiarare la vittoria militare in Iraq, George W. Bush non aspettò i rapporti che dicevano del ritrovamento e distruzione di queste armi, né la conferma che la forza multinazionale controllava ormai, se non tutto il territorio iracheno, almeno i suoi punti nodali (la forza militare nordamericana era trincerata nella cosiddetta “zona verde” e non riusciva nemmeno ad avventurarsi nei quartieri vicini – si leggano gli stupendi reportage di Robert Fisk per il giornale britannico “The Independent” -).

No, il rapporto che ricevette Washington e gli permise di dichiarare finita la guerra (che di sicuro non è ancora finita), arrivò dai consulenti delle grandi multinazionali: l’affare della distruzione può cedere il passo all’affare della ricostruzione (su questo si vedano i brillanti articoli di Naomi Klein sul settimanale statunitense “The Nation“, ed il suo libro “La Dottrina dello Shock“).

Dunque, la cosa essenziale nella guerra non è solo la forza fisica (o materiale), è anche necessaria la forza morale che, in questi casi, è fornita dai mezzi di comunicazione di massa (come prima dalla religione e dalla filosofia).

La Geografia della Guerra Moderna.

Se l’aspetto fisico lo riferiamo ad un esercito, cioè, ad un’organizzazione armata, quanto più forte è (cioè, più potere di distruzione possiede), tante più possibilità di successo ha.

Se è l’aspetto morale ad essere riferito ad un organismo armato, quanto più legittima è la causa che lo anima (cioè, quanto più potere di convocazione ha), tanto maggiori sono le possibilità di raggiungere i suoi obiettivi.

Il concetto di guerra si è allargato: si tratta non solo di distruggere il nemico nella sua capacità fisica di combattimento (soldati ed armi) per imporre la volontà propria, ma è anche possibile distruggere la sua capacità morale di combattimento, benché abbia ancora sufficiente capacità fisica.

Se le guerre si potessero mettere unicamente sul terreno militare (fisico, poiché ci riferiamo a questo), è logico aspettarsi che l’organizzazione armata con maggiore potere di distruzione imponga la sua volontà all’avversario (tale è l’obiettivo dello scontro tra forze) distruggendo la sua capacità materiale di combattimento.

Ma non è più possibile collocare nessun conflitto sul terreno puramente fisico. È sempre più complicato il terreno su cui si svolgono le guerre (piccole o grandi, regolari o irregolari, di bassa, media o alta intensità, mondiali, regionali o locali).

Dietro quella grande ed ignorata guerra mondiale (“guerra fredda”, come la chiama la storiografia moderna, noi la chiamiamo “la terza guerra mondiale”), si può trovare una sentenza storica che segnerà le guerre a venire.

La possibilità di una guerra nucleare (portata al limite dalla corsa agli armamenti che consisteva, grosso modo, in quante volte si era capaci di distruggere il mondo) offrì la possibilità di “un altro” finale di un conflitto bellico: il risultato di uno scontro armato poteva non essere l’imposizione della volontà di uno dei contendenti sull’altro, ma poteva presupporre l’annullamento delle volontà in lotta, cioè, della loro capacità materiale di combattimento. E per “annullamento” mi riferisco non solo a “incapacità di azione” (dunque un “pareggio”), ma anche (e soprattutto), alla “scomparsa”.

In effetti, i calcoli geomilitari ci dicevano che in una guerra nucleare non vi sarebbero stati vincitori né vinti. E ancora, non ci sarebbe stato nulla. La distruzione sarebbe stata così totale e irreversibile che la civiltà umana avrebbe ceduto il passo a quella degli scarafaggi

L’argomento ricorrente tra le alte sfere militari delle potenze dell’epoca era che le armi nucleari non servivano per combattere una guerra, ma per inibirla. Il concetto di “armi di contenimento” si tradusse allora nel più diplomatico “mezzi di dissuasione”.

In sintesi: la dottrina “moderna” militare si sintetizzava così: impedire che l’avversario imponga la sua volontà (o “strategia”), equivale ad imporre la propria volontà (“strategia”), cioè, spostare le grandi guerre verso le piccole o medie guerre. Non si trattava più di distruggere la capacità fisica e/o morale di combattimento del nemico, ma di evitare che la usasse in uno scontro diretto. Invece, si cercava di ridefinire i teatri di guerra (e la capacità fisica di combattimento) dall’ambito mondiale all’ambito regionale e locale. Insomma: diplomazia pacifica internazionale e guerre regionali e nazionali.

Risultato: non c’è stata guerra nucleare (almeno non ancora, sebbene la stupidità del capitale sia tanto grande quanto la sua ambizione), ma al suo posto ci sono stati innumerevoli conflitti a tutti i livelli che hanno lasciato milioni di morti, milioni di profughi di guerra, milioni di tonnellate di materiale distrutto, economie rase al suolo, nazioni distrutte, sistemi politici fatti a pezzi… e milioni di dollari di profitti.

Ma era stata data la definizione delle guerre “più moderne” o “postmoderne”: sono possibili conflitti militari che, per la loro natura, siano irrisolvibili in termini di forza fisica, cioè, nell’imporre con la forza la propria volontà all’avversario.

Potremmo supporre dunque che si iniziò una lotta parallela SUPERIORE alle guerre “convenzionali”. Una lotta per imporre una volontà sull’altra: la lotta del potente militarmente (o “fisicamente” per transitare nel microcosmo umano) per impedire che le guerre si svolgessero su terreni dove non si potevano raggiungere risultati convenzionali (del tipo “l’esercito meglio equipaggiato, addestrato ed organizzato sarà potenzialmente vittorioso sull’esercito peggio equipaggiato, addestrato ed organizzato”). Potremmo supporre, quindi, che al contrario, c’è la lotta del militarmente (o “fisicamente”) debole per fare che le guerre si svolgano su terreni dove il predominio militare non sia un fattore decisivo.

Le guerre “più moderne” o “postmoderne” non sono, quindi, quelle che mettono sul terreno le armi più sofisticate (e qui includo non solo le armi come tecnica militare, ma anche quelle considerate tali negli organigrammi militari: la fanteria, la cavalleria, i blindati, etc.), bensì quelle che sono portate su terreni dove la qualità e la quantità del potere militare non è il fattore determinante.

Con secoli di ritardo, la teoria militare di quelli che stanno in alto scopriva che sarebbero possibili conflitti nei quali un concorrente terribilmente superiore in termini militari sia incapace di imporre la sua volontà su un rivale debole.

Sì, sono possibili.

Gli esempi nella storia moderna abbondano, e quelli che adesso mi vengono in mente sono di sconfitte della più grande potenza bellica al mondo, gli Stati Uniti d’America, in Vietnam e a Playa Girón. Anche se potremmo aggiungere alcuni esempi dai calendari passati e della nostra geografia: le sconfitte dell’esercito realista spagnolo da parte delle forze insorte nel Messico di 200 anni fa.

Tuttavia, la guerra è lì con la sua questione centrale: la distruzione fisica e/o morale del rivale per imporre la propria volontà, continua ad essere il fondamento della guerra di quelli che stanno in alto.

Allora, se la forza militare (o fisica, ripeto) non solo non è rilevante ma può essere prescindibile come variabile determinante nella decisione finale, abbiamo che nel conflitto bellico entrano altre variabili o alcune di quelle presenti come secondarie passano in primo piano.

Questo non è nuovo. Il concetto di “guerra totale” (sebbene non come tale) ha precedenti ed esempi. La guerra a tutti i costi (militari, economici, politici, religiosi, ideologici, diplomatici, sociali ed anche ecologici) è sinonimo di “guerra moderna”.

Ma, manca la cosa fondamentale: la conquista di un territorio. Ovvero, questa volontà si impone sì in un calendario preciso, ma soprattutto in una geografia delimitata. Se non c’è un territorio conquistato, cioè, sotto il controllo diretto o indiretto della forza conquistatrice, non è vittoria.

Benché si possa parlare di guerre economiche (come il blocco che il governo nordamericano mantiene contro la Repubblica di Cuba) o di aspetti economici, religiosi, ideologici, razziali, ecc. di una guerra, l’obiettivo continua ad essere lo stesso. E nell’epoca attuale, la volontà che vuole imporre il capitalismo è distruggere/spopolare e ricostruire/riordinare il territorio conquistato.

Sì, ora le guerre non si accontentano di conquistare un territorio e ricevere il tributo dalla forza vinta. Nella tappa attuale del capitalismo è necessario distruggere il territorio conquistato e spopolarlo, cioè, distruggere il suo tessuto sociale. Parlo dell’annichilimento di tutto quello che dà coesione ad una società.

Ma la guerra di quelli che stanno in alto non si ferma qui. Contemporaneamente alla distruzione ed allo spopolamento, si opera la ricostruzione di questo territorio ed il riordino del suo tessuto sociale, ma ora con un’altra logica, un altro metodo, altri attori, un altro obiettivo. Insomma: le guerre impongono una nuova geografia.

Se in una guerra internazionale questo complesso processo avviene nella nazione conquistata e si opera dalla nazione assalitrice, in una guerra locale o nazionale o civile il territorio da distruggere/spopolare e ricostruire/riordinare è comune alle forze in lotta.

Cioè, la forza attaccante vittoriosa distrugge e spopola il proprio territorio.

E lo ricostruisce e riordina secondo il suo piano di conquista o riconquista.

Anche se non ha un piano… “qualcuno” opera quella ricostruzione/riordino.

Come popoli originari messicani e come EZLN possiamo dire qualcosa sulla guerra. Soprattutto se si svolge nella nostra geografia ed in questo calendario: Messico, inizi del secolo XXI…

II – LA GUERRA DEL MESSICO DELL’ALTO.

“Io darei il benvenuto a qualsiasi guerra
perché credo che a questo paese ne serva una”.
Theodore Roosevelt

Ed ora la nostra realtà nazionale è invasa dalla guerra. Una guerra che non solo non è più lontana per chi era abituato a vederla in geografie o calendari distanti, ma incomincia a governare le decisioni e le indecisioni di chi pensava che i conflitti bellici erano solo nei notiziari o nei documentari di luoghi lontani come… Iraq, Afghanistan,… Chiapas.

Ed in tutto il Messico, grazie al patrocinio di Felipe Calderón Hinojosa, non dobbiamo ricorrere alla geografia del Medio Oriente per riflettere criticamente sulla guerra. Non è più necessario risalire il calendario fino al Vietnam, Playa Girón, sempre la Palestina.

E non dico il Chiapas e la guerra contro le comunità indigene zapatiste, perché si sa che non sono più di moda (per questo il governo dello stato del Chiapas ha speso un mucchio di soldi per far sì che i media non lo collochino sull’orizzonte della guerra, ma dei “progressi” nella produzione di biodiesel, nel “buon” trattamento degli emigranti, dei “successi” in agricoltura ed altre storielle ingannevoli passate a comitati di redazione che firmano come proprie le veline governative povere di forma e contenuti).

L’irruzione della guerra nella vita quotidiana del Messico attuale non arriva da un’insurrezione, né da movimenti indipendentisti o rivoluzionari che 100 o 200 anni dopo, si contendono la riedizione nel calendario. Viene, come tutte le guerre di conquista, dall’alto, dal Potere.

Questa guerra ha in Felipe Calderón Hinojosa il suo iniziatore e promotore istituzionale (e vergognoso).

Chi si è impossessato della titolarità dell’esecutivo federale per le vie di fatto, non si è accontentato del supporto mediatico ed è dovuto ricorrere a qualcosa di più per distrarre l’attenzione ed eludere la sua evidente mancanza di legittimità: la guerra.

Quando Felipe Calderón Hinojosa ha fatto suo il proclama di Theodore Roosevelt (alcuni attribuiscono la frase a Henry Cabot Lodge): “questo paese ha bisogno di una guerra”, ha ricevuto la sfiducia timorosa degli industriali messicani, l’entusiasta approvazione degli alti comandi militari ed il caloroso plauso di chi realmente comanda: il capitale straniero.

La critica a questa catastrofe nazionale chiamata “guerra contro il crimine organizzato” dovrebbe essere completata da un’analisi approfondita dei suoi sostenitori economici. Non mi riferisco solo al vecchio assioma che in epoche di crisi e di guerra aumenta il consumo superfluo. Nemmeno solo agli incentivi che ricevono i militari (in Chiapas, gli alti comandi militari ricevevano, o ricevono, un salario extra del 130% per essere in “zona di guerra”). Bisognerebbe cercare anche tra le licenze, i fornitori ed i crediti

internazionali che non rientrano nella cosiddetta “Iniciativa Mérida”.

Se la guerra di Felipe Calderón Hinojosa (benché si sia tentato, invano, di addossarla a tutti i messicani) è un affare (e lo è), manca la risposta alla domanda per chi o quale è l’affare, e a che cifra ammonta.

Qualche stima economica.

Non è poco quello che è in gioco:

(Nota: le cifre indicate non sono esatte poiché non c’è chiarezza nei dati governativi ufficiali. Per cui, in alcuni casi si è ricorsi a quanto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Federazione completando con dati forniti da enti e organi di informazione seri).

Nei primi 4 anni della “guerra contro il crimine organizzato” (2007-2010), i principali enti governativi incaricati (Segreteria della Difesa Nazionale – cioè: Esercito e Forza Aerea -, Segreteria della Marina, Procura Generale della Repubblica e Segreteria di Pubblica Sicurezza) hanno ricevuto dal Bilancio di Spesa della Federazione una somma superiore ai 366 mila milioni di pesos (circa 23 miliardi di Euro al cambio attuale). I 4 enti governativi federali hanno ricevuto: nel 2007 più di 71 mila milioni di pesos (4.366.070.000 Euro); nel 2008 più di 80 mila milioni (4.919.520.000 Euro); nel 2009 più di 113 mila milioni (6.948.820.000 Euro) e nel 2010 sono stati più di 102 mila milioni di pesos (6.272.390.000 Euro). A questo bisogna sommare oltre 121 mila milioni di pesos (7.440.770.000 Euro al cambio attuale) che riceveranno nel 2011.

Solo la Segreteria di Pubblica Sicurezza da 13 mila milioni di pesos di finanziamenti nel 2007, è arrivata a gestire uno degli oltre 35 mila milioni di pesos previsti nel 2011 (forse perché le produzioni cinematografiche sono più costose).

Secondo il Terzo Rapporto di Governo del settembre 2009, nel mese di giugno di quell’anno, le forze armate federali contavano su 254.705 elementi (202.355 di Esercito e Aereonautica e 52.350 dell’Armata).

Nel 2009 il bilancio per la Difesa Nazionale è stato di 43 mila 623 milioni 321 mila 860 pesos (2.682.570.000 Euro), ai quali si sono aggiunti 8 mila 762 milioni 315 mila 960 pesos (538.830.000 Euro, il 25,14% in più), in totale: più di 52 mila milioni di pesos (3.197.690.000 Euro) per l’Esercito e l’Aereonautica. La Segreteria della Marina: più di 16 mila milioni di pesos (983.904.000 Euro); Pubblica Sicurezza: quasi 33 mila milioni di pesos (2.029.300.000 Euro); e Procura Generale della Repubblica: più di 12 mila milioni di pesos (737.928.000 Euro).

Bilancio totale per la “guerra contro il crimine organizzato” nel 2009: più di 113 mila milioni di pesos (6.948.820.000 Euro).

Nel 2010 un soldato semplice federale guadagnava circa 46.380 pesos l’anno (2.852 Euro); un generale di divisione 1 milione 603 mila 80 pesos l’anno (98.575 Euro), ed il Segretario della Difesa Nazionale percepiva redditi per 1.859.712 pesos (114.317 Euro).

Se la matematica non mi difetta, con il bilancio bellico totale del 2009 (113 mila milioni di pesos per i 4 enti – 6.948.820.000 Euro) si sarebbero potuti pagare i salari annui di 2 milioni e mezzo di soldati semplici; o di 70.500 generali di divisione; o di 60.700 titolari della Segreteria della Difesa Nazionale.

Ovviamente, non tutto quello che è a bilancio viene speso per stipendi e prestazioni. C’è bisogno di armi, attrezzature, munizioni… perché quelle a disposizione non servono più o sono obsolete.

“Se l’Esercito messicano entrasse in combattimento contro qualsiasi nemico interno o esterno con le sue poco più di 150 mila armi e le sue 331,3 milioni di munizioni, il suo potere di fuoco sarebbe al massimo di 12 giorni di combattimento continuo, segnalano stime dello Stato Maggiore della Difesa Nazionale (Emaden) elaborate da ognuna delle armi dell’Esercito e dell’Aereonautica. Secondo le previsioni, il fuoco di artiglieria dei cannoni da 105 millimetri, per esempio, potrebbe combattere solo per 5,5 giorni sparando in maniera continuative 15 granate per ogni arma. Le unità blindate, secondo l’analisi, hanno in dotazione 2.662 granate da 75 millimetri.

Entrando in combattimento, le truppe blindate esaurirebbero tutte le munizioni in nove giorni. In quanto all’Aereonautica, si segnala che esistono poco più di 1,7 milioni di munizioni calibro 7.62 mm impiegate sugli aerei PC-7 e PC-9, e sugli elicotteri Bell 212 e MD-530. In un conflitto, questo 1,7 milione di cartucce si esaurirebbe in cinque giorni di fuoco aereo, secondo i calcoli della Sedena. L’ente rileva che i 594 equipaggiamenti per la visione notturna ed i 3.095 GPS usati dalle Forze Speciali per combattere i cartelli della droga, “hanno già concluso la loro vita di servizio”.

Le carenze e l’usura nelle file dell’Esercito e dell’Aereonautica sono palesi e raggiungono livelli inimmaginabili praticamente in tutte le aree operative dell’istituzione. L’analisi della Difesa Nazionale segnala che le maschere per la visione notturna ed i GPS hanno tra i cinque e i 13 anni di vita, ed “hanno ormai svolto il loro compito”. Lo stesso succede per i “150 mila 392 caschi antiframmentazione” in uso tra le truppe. Il 70% ha esaurito la sua vita utile nel 2008 ed i 41 mila 160 giubbotti antiproiettile lo faranno nel 2009. (…).

In questo panorama l’Aereonautica risulta il settore più colpito dal ritardo e dalla dipendenza tecnologica dall’estero, in particolare da Stati Uniti e Israele. Secondo la Sedena, nei depositi di armi dell’Aereonautica ci sono 753 bombe da 250 a mille libbre ognuna. Gli aerei F-5 e PC-7 Pilatus usano queste armi. Le 753 esistenti potrebbero combattere aria-terra per un giorno. Le 87 mia 740 granate calibro 20 millimetri per i jet F-5 potrebbero combattere contro nemici esterni o interni per sei giorni. Infine, la Sedena rivela che i missili aria-aria per gli aerei F-5 sono solo 45 pezzi, che significa solo un giorno di fuoco aereo.” Jorge Alejandro Medellín su “El Universal”, Messico, 2 gennaio 2009.

Questo è quanto noto per il 2009, due anni dopo l’inizio della cosiddetta “guerra” del governo federale. Lasciamo da parte la domanda ovvia di come sia stato possibile che il capo supremo delle forze armate, Felipe Calderón Hinojosa, si lanciasse in una guerra (“di lungo respiro”, dice lui) senza avere le condizioni materiali minime per sostenerla, non diciamo per “vincerla”. Allora domandiamoci: Quali industrie belliche beneficeranno dell’acquisto di armi, equipaggiamenti e munizioni?

Se il principale promotore di questa guerra è l’impero delle torbide stelle e strisce (a conti fatti, in realtà gli unici complimenti ricevuti da Felipe Calderón Hinojosa sono arrivati dal governo nordamericano), non bisogna dimenticare che a nord del Río Bravo non si concedono aiuti, ma si fanno investimenti, cioè, affari.

Vittorie e sconfitte.

Gli Stati Uniti vincono con questa guerra “locale”? La risposta è: sì. Tralasciando i guadagni economici e gli investimenti monetari in armi, munizioni ed equipaggiamenti (non dimentichiamo che gli USA sono il principale fornitore di tutto questo materiale alle due bande rivali: autorità e “criminali” – la “guerra contro la criminalità organizzata” è un affare per l’industria militare nordamericana -), il risultato di questa guerra è la distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordino geopolitico a loro favore.

Questa guerra (persa dal governo in quanto concepita non come la soluzione di un problema di insicurezza, bensì di un problema di mancanza di legittimità), sta distruggendo l’ultima cosa che resta ad una Nazione: il tessuto sociale.

Quale migliore guerra per gli Stati Uniti che una che gli garantisca profitti, territorio e controllo politico e militare senza le imbarazzanti “body bags” [i sacchi neri in cui vengono messi i corpi dei soldati morti in guerra – N.d.T.] e gli invalidi di guerra che gli arrivavano dal Vietnam, prima, ed ora dall’Iraq e dall’Afghanistan?

Le rivelazioni di Wikileaks sulle opinioni dell’alto comando nordamericano circa le “deficienze” dell’apparato repressivo messicano (la sua inefficienza e la sua frequentazione con la criminalità) non sono nuove. In Messico questa è una certezza non solo tra la gente comune, ma tra le alte sfere del governo e del Potere. La barzelletta che questa è una guerra impari perché il crimine organizzato è organizzato mentre il governo messicano è disorganizzato, è una triste verità.

Questa guerra è iniziata formalmente l’11 dicembre 2006, con l’allora cosiddetta “Operazione Congiunta Michoacán”. 7 mila elementi dell’Esercito, della Marina e della Polizia Federale lanciarono un’offensiva (conosciuta come “el michoacanazo”) che, passata l’euforia mediatica di quei giorni, risultò essere un fallimento. Il comando militare era del generale Manuel García Ruiz ed il responsabile dell’operazione era Gerardo Garay Cadena della Segreteria di Pubblica Sicurezza. Dal dicembre del 2008 ad oggi, Gerardo Garay Cadena è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Tepic, Nayarit, con l’accusa di collusione con “el Chapo” Guzmán Loera.

Ad ogni passo di questa guerra, per il governo federale è sempre più difficile spiegare dove sta il nemico da sconfiggere.

Jorge Alejandro Medellín è un giornalista che collabora con diversi organi di informazione – la rivista “Contralínea”, il settimanale “Acentoveintiuno”, ed il portale di informazione “Eje Central”, tra gli altri – e si è specializzato sulle questioni del militarismo, forze armate, sicurezza nazionale e narcotraffico. Ad ottobre del 2010 ha ricevuto minacce di morte per un articolo in cui denunciava possibili legami del narcotraffico col generale Felipe de Jesús Espitia, ex comandante della V Zona Militare ed ex capo della Sezione Settima – Operazioni Contro il Narcotraffico – nel governo di Vicente Fox, e responsabile del Museo della Droga che si trova negli uffici della S-7. Il generale Espitia è stato rimosso dall’incarico di comandante della V Zona Militare per il clamoroso fallimento degli operativi ordinati da lui a Ciudad Juárez e per la risposta insufficiente data ai massacri compiuti nella città di confine.

Ma il fallimento della guerra federale contro la “criminalità organizzata”, il gioiello della corona del governo di Felipe Calderón Hinojosa, non è un dispiacere per il Potere in USA: è l’obiettivo da raggiungere.

Per quanto i mezzi di comunicazione di massa si sforzino di presentare come vittorie della legalità le scaramucce che tutti i giorni si verificano sul territorio nazionale, non riescono ad essere convincenti.

E non solo perché i mezzi di comunicazione di massa sono stati superati dalle altre forme di scambio di informazioni a disposizione della gran parte della popolazione (non solo, ma anche dalle reti sociali e dalla telefonia mobile), ma anche, e soprattutto, perché il tono della propaganda governativa è passato dal tentativo di inganno al tentativo di scherno (da “anche se non sembra stiamo vincendo”, fino alla definizione di “una minoranza ridicola”, passando per le battute da bar del funzionario di turno).

Su quest’altra sconfitta della stampa, scritta e radio e televisiva, tornerò in un’altra missiva. Per ora, e rispetto al tema di cui adesso ci occupiamo, basta ricordare che la dichiarazione “a Tamaulipas non succede niente” lanciata dai notiziari (marcatamente di radio e televisione), è stata sbugiardata dai filmati girati dalla gente con i cellulari e le video-camere portatili e diffusi in internet.

Ma torniamo alla guerra che, secondo Felipe Calderón Hinojosa, non ha mai detto essere una guerra. Non l’ho detto, non lo è?

“Vediamo se è guerra o non è guerra: il 5 dicembre 2006 Felipe Calderón disse: “Lavoriamo per vincere la guerra alla criminalità…”. Il 20 dicembre 2007, durante una colazione con del personale navale, il signor Calderón utilizzò per quattro volte in un solo discorso il termine guerra. Disse: “La società riconosce in maniera particolare l’importante ruolo dei nostri marinai nella guerra che il mio Governo guida contro l’insicurezza…”, “La lealtà e l’efficienza delle Forze Armate sono una delle più potenti armi nella guerra che stiamo portando avanti contro essa…”, “iniziando questa guerra frontale contro la criminalità, ho avvertito che questa sarebbe stata una lotta di lungo respiro”, “…le guerre, sono proprio così…”.

Ma ce n’è ancora: il 12 settembre 2008, durante la Cerimonia di Chiusura ed Apertura dei Corsi del Sistema Educativo Militare, l’autoproclamato “Presidente del lavoro”, si è lasciato andare pronunciando fino a una mezza dozzina di volte il termine guerra contro il crimine: “Oggi il nostro paese combatte una guerra molto diversa da quella che affrontarono gli insorti nel 1810, una guerra diversa da quella che affrontarono i cadetti della Scuola Militare 161 anni fa…” “… tutti i messicani della nostra generazione hanno il dovere di dichiarare guerra ai nemici del Messico… Per questo, in questa guerra contro la criminalità”… “È imprescindibile che noi tutti ci uniamo in questo fronte comune, passiamo dalle parole ai fatti e veramente dichiariamo guerra ai nemici del Messico…” “Sono convinto che vinceremo questa guerra…” (Alberto Vieyra Gómez. Agencia Mexicana de Noticias, 27 gennaio 2011).

Contraddicendosi, sfruttando il calendario, Felipe Calderón Hinojosa non si corregge né testualmente né concettualmente. No, il fatto è che le guerre si vincono o si perdono (in questo caso, si perdono) ed il governo federale non vuole ammettere che il punto principale della sua gestione è fallito militarmente e politicamente.

Guerra senza fine? La differenza tra la realtà… e i videogiochi.

Di fronte all’innegabile fallimento della sua politica guerrafondaia, Felipe Calderón Hinojosa cambierà strategia?

La risposta è NO. E non solo perché la guerra dell’alto è un affare e, come ogni affare, si tiene in piedi finché continua a produrre profitti.

Felipe Calderón Hinojosa, il comandante in capo delle forze armate; il fervente ammiratore di José María Aznar; l’auto-denominato “figlio disubbidiente”; l’amico di Antonio Solá; il “vincitore” della presidenza per mezzo punto percentuale di voti grazie all’alchimia di Elba Esther Gordillo; quello degli atteggiamenti autoritari che sfociano in collera (“o scendete o vi mando a prendere”); quello che vuole coprire con altro sangue quello dei bambini assassinati nell’Asilo ABC, di Hermosillo, Sonora; quello che ha accompagnato la sua guerra militare con una guerra contro il lavoro degno ed il salario giusto; quello del calcolato autismo di fronte agli omicidi di Marisela Escobedo e Susana Chávez Castillo; quello che etichetta come “membri del crimine organizzato” bambini e bambine, uomini e donne morti, che sono stati e vengono assassinati perché si trovavano nel calendario e nella geografia sbagliati, e non possono nemmeno essere nominati perché nessuno ne tiene il conto, né la stampa, né le reti sociali.

Lui, Felipe Calderón Hinojosa, è anche un fan dei videogiochi di strategia militare.

Felipe Calderón Hinojosa è il “gamer“che in quattro anni ha trasformato un paese nella versione banale di The Age of Empire – il suo videogioco preferito -, (…) un amante – e cattivo stratega – della guerra” (Diego Osorno per “Milenio Diario”, 3 ottobre 2010).

È lui che ci porta a chiedere: il Messico è governato come un videogioco? (io credo di poter fare questo tipo di domande compromettenti senza il rischio che mi licenzino per mancato rispetto del “codice etico” che si regge sulla pubblicità a pagamento).

Felipe Calderón Hinojosa non si fermerà. E non solo perché le forze armate non glielo permetterebbero (gli affari sono affari), anche per l’ostinazione che ha caratterizzato la vita politica del “comandante in capo” delle forze armate messicane.

Rinfreschiamoci un po’ la memoria: A marzo 2001, quando Felipe Calderón Hinojosa era il coordinatore parlamentare dei deputati federali di Azione Nazionale, ci fu quel deplorevole episodio del Partito Azione Nazionale che negò ad una delegazione indigena del Congresso Nazionale Indigeno e dell’EZLN di utilizzare la tribuna del Congresso dell’Unione in occasione della “Marcia del colore della terra”.

Malgrado il PAN stesse dando l’immagine di un’organizzazione politica razzista ed intollerante (e lo è) volendo negare agli indigeni il diritto ad essere ascoltati, Felipe Calderón Hinojosa mantenne il rifiuto. Tutto gli diceva che era un errore assumere quella posizione, ma l’allora coordinatore dei deputati panisti non cedette (ed andò a nascondersi, insieme a Diego Fernández de Cevallos ed altri illustri panisti, in uno dei saloni privati della Camera a guardare in televisione gli indigeni che parlavano nel luogo che la classe politica riserva alle sue farse).

“Non m’importa dei costi politici”, avrebbe detto allora Felipe Calderón Hinojosa.

Ora dice la stessa cosa, benché oggi non si tratti dei costi politici che si assume un partito politico, ma dei costi umani che paga il paese intero per questa ostinazione.

Mentre concludevo questa missiva, ho trovato le dichiarazioni della segretaria della sicurezza interna degli Stati Uniti, Janet Napolitano, che speculava sulle possibili alleanze tra Al Qaeda ed i cartelli messicani della droga. Il giorno prima, il sottosegretario dell’Esercito degli Stati Uniti, Joseph Westphal, ha dichiarato che in Messico c’è una forma di insurgencia guidata dai cartelli della droga che potenzialmente potrebbero prendere il governo, cosa che implicherebbe una risposta militare statunitense. Ha aggiunto che non desiderava vedere una situazione in cui i soldati statunitensi fossero mandati a combattere un’insurrezione “alla nostra frontiera… o doverli mandare ad attraversare la frontiera” col Messico.

Nel frattempo, Felipe Calderón Hinojosa, presenziava ad un’esercitazione militare in un villaggio, a Chihuahua, e saliva su un aereo da combattimento F-5, si sedeva sul sedile del pilota e scherzava dicendo “fuori i missili”.

Dai videogiochi di strategia ai “simulatori di combattimento aereo” e “spari in prima persona”? Da Age of Empires a HAWX?

Il HAWX è un videogioco di combattimento aereo dove, in un futuro prossimo, le società militari private (“Private military company”), in molti paesi hanno sostituito gli eserciti governativi. La prima missione del videogioco consiste nel bombardare Ciudad Juárez, Chihuahua, Messico, perché le “forze ribelli” si sono impadronite della piazza e minacciano di avanzare in territorio nordamericano.

Non nel videogioco, ma in Iraq, una delle società militari private contrattate dal Dipartimento di Stato nordamericano e dalla CIA era la “Blackwater USA”, che poi ha cambiato nome in “Blackwater Worldwide”. Il suo personale ha commesso gravi abusi in Iraq, compreso l’assassinio di civili. Ora ha cambiato nome in “Xe Services LL” ed è il più grande appaltatore di sicurezza privata del Dipartimento di Stato nordamericano. Almeno il 90% dei suoi profitti provengono da contratti col governo degli Stati Uniti.

Lo stesso giorno in cui Felipe Calderón Hinojosa scherzava sull’aereo da combattimento (10 febbraio 2011), nello stato di Chihuahua una bambina di 8 anni moriva raggiunta da una pallottola vagante durante una sparatoria tra persone armate ed elementi dell’esercito.

Quando finirà questa guerra?

Quando sullo schermo del governo federale apparirà la scritta “game over” della fine del gioco, seguito dai nomi dei produttori e finanziatori della guerra?

Quando Felipe Calderón potrà dire “abbiamo vinto la guerra, abbiamo imposto la nostra volontà al nemico, abbiamo distrutto la sua capacità materiale e morale di combattere, abbiamo (ri)conquistato i territori che erano in suo potere?”

Da come è stata concepita, questa guerra non ha fine ed è persa.

Non ci sarà un vincitore messicano in queste terre (a differenza del governo, il Potere straniero ha un piano per ricostruire/riordinare il territorio) e lo sconfitto sarà l’ultimo ambito dell’agonizzante Stato Nazionale in Messico: le relazioni sociali che, dando identità comune, sono la base di una Nazione.

Ancora prima della presunta fine, il tessuto sociale sarà completamente distrutto.

Risultati: la Guerra in alto e la morte in basso.

Vediamo cosa dice il Segretario di Governo federale sulla “non guerra” di Felipe Calderón Hinojosa:

“Il 2010 è stato l’anno più violento del sessennio con 15.273 omicidi legati al crimine organizzato, il 58% in più dei 9.614 registrati nel 2009, secondo con i dati diffusi questo mercoledì dal Governo Federale. Da dicembre 2006 alla fine del 2010 sono stati registrati 34.612 crimini, dei quali 30.913 sono casi indicati come “esecuzioni”; 3.153 sono definiti “scontri” e 544 rientrano nel capitolo “omicidi-aggressioni”. Alejandro Poiré, segretario tecnico del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ha presentato il database ufficiale elaborato dagli esperti che a partire da ora mostrerà “informazioni disgregate mensili, a livello statale e municipale” sulla violenza in tutto il paese.” (Periodico “Vanguardia”, Coahuila, Messico, 13 gennaio 2011)

Domanda: Di questi 34.612 assassinati, quanti erano criminali? E gli oltre mille bambini e bambine assassinati (che il Segretario di Governo “ha dimenticato” di estrapolare dal suo conto), erano anche loro “sicari” del crimine organizzato? Quando nel governo federale si proclama che “stiamo vincendo”, a quale cartello della droga si riferiscono? Quante altre decine di migliaia fanno parte di quella “ridicola minoranza” che è il nemico da sconfiggere?

Mentre là in alto cercano inutilmente di sdrammatizzare con le statistiche i crimini che la loro guerra ha provocato, è necessario segnalare che si sta distruggendo anche il tessuto sociale in quasi tutto il territorio nazionale.

L’identità collettiva della Nazione sta per essere distrutta e soppiantata da un’altra.

Perché “l’identità collettiva non è altro che l’immagine che un popolo si crea per riconoscersi come appartenente a quel popolo. Identità collettiva sono quei tratti in cui un individuo si riconosce come appartenente ad una comunità. E la comunità accetta questo individuo come parte di essa. Questa immagine che il popolo si crea non è necessariamente la conservazione di un’immagine tradizionale ereditata, ma generalmente se la crea l’individuo che appartiene ad una cultura, per consolidare il suo passato e la sua vita attuale con i progetti che ha per questa comunità.

Dunque, l’identità non è un semplice lascito che si eredita, ma è un’immagine che si costruisce, che ogni popolo si crea, e pertanto è variabile e può cambiare secondo le circostanze storiche”. (Luis Villoro, novembre 1999, intervista con Bertold Bernreuter, Aachen, Germania).

Nell’identità collettiva di buona parte del territorio nazionale non esiste, come si vuole far credere, la contesa tra l’inno nazionale e il narco-corrido (se non si appoggia il governo allora si appoggia la criminalità, e viceversa).

No.

C’è invece l’imposizione, con la forza delle armi, della paura come immagine collettiva, dell’insicurezza e della vulnerabilità come specchi nei quali si riflette questa collettività.

Che relazioni sociali si possono mantenere o tessere se la paura è l’immagine dominante con la quale un gruppo sociale si può identificare, se il senso di comunità si rompe al grido di “si salvi chi può”?

Da questa guerra non solo ne verranno migliaia di morti… e lucrosi guadagni economici.

Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione distrutta, spopolata, irrimediabilmente spezzata.

III.- NIENTE DA FARE?

A chi trae le sue meschine somme e sottrazioni elettorali da questo conteggio mortale, ricordiamo che:

17 anni fa, il 12 gennaio 1994, una gigantesca mobilitazione cittadina (attenzione: senza capi, comandi centrali, leader o dirigenti) qui fermò la guerra. Di fronte all’orrore, la distruzione e le morti, 17 anni fa la reazione fu quasi immediata, contundente, efficace.

Ora è lo shock, l’avarizia, l’intolleranza, la meschinità che lesina appoggi e convoca all’immobilismo… e all’inefficienza.

La lodevole iniziativa di un gruppo di lavoratori della cultura (“NON PIU’ SANGUE”) è stata screditata fin dall’inizio per non “essersi piegata” ad un progetto elettorale, per non aver rispettato il mandato di aspettare il 2012.

Ora che hanno la guerra nelle loro città, per le strade, nelle proprie case, che cosa hanno fatto? Dico, oltre a “piegarsi” davanti a chi ha “il progetto migliore”.

Chiedere alla gente di aspettare il 2012? Che bisogna tornare a votare per il meno peggio, perché allora si rispetterà il voto?

Se si contano più di 34 mila morti in 4 anni, sono oltre 8 mila morti all’anno. Cioè, bisogna aspettare altri 16 mila morti per fare qualcosa?

Perché si metterà al peggio. Se gli attuali candidati alle elezioni presidenziali del 2012 (Enrique Peña Nieto e Marcelo Ebrard) governano le entità con maggior numero di cittadini, non dobbiamo aspettarci che lì aumenterà la “guerra contro la criminalità organizzata” con la sua scia di “danni collaterali”?

Che cosa faranno? Niente. Proseguiranno sulla stessa strada dell’intolleranza e della demonizzazione di quattro anni fa, quando nel 2006 tutto quello che non era a favore di López Obrador era accusato di fare gli interessi della destra. Quell@ che allora ci attaccarono e calunniarono, ora seguono la stessa strada nei confronti di altri movimenti, organizzazioni, proteste, mobilitazioni.

Perché la presunta grande organizzazione nazionale che si prepara perché alle prossime elezioni federali vinca un progetto alternativo di nazione, non fa qualcosa adesso? Dico, se pensano di poter mobilitare milioni di messicani affinché votino per qualcuno, perché non mobilitarli per fermare la guerra e il paese sopravviva? O è un calcolo meschino e vile? Che il conto dei morti e delle distruzione sottragga punti al rivale e ne aggiunga al favorito?

Oggi, in mezzo a questa guerra, il pensiero critico viene di nuovo rimandato. In primo luogo: il 2012 e le risposte alle domande sui “galletti”, nuovi o riciclati, per quel futuro che già da oggi si sta gretolando. Tutto deve essere subordinato a questo calendario ed ai suoi passaggi: prima, le elezioni locali in Guerrero, Bassa California Sud, Hidalgo, Nayarit, Coahuila, Stato del Messico.

E mentre tutto precipita, ci dicono che la cosa importante è analizzare i risultati elettorali, le tendenze, le possibilità. Invitano a resistere fino al momento di tracciare il segno sulla scheda elettorale, e poi di aspettare che tutto si sistemi e si torni ad innalzare il fragile castello di carta della classe politica messicana.

Si ricordano che si burlavano ed attaccavano chi nel 2005 invitava la gente ad organizzarsi secondo le proprie esigenze, storia, identità e aspirazioni, e non scommettere su qualcuno là in alto che risolvesse tutto?

Ci siamo sbagliati noi o loro?

Chi nelle principali città può dire di uscire di casa tranquillo se non all’alba, almeno al tramonto?

Chi fa suo quel “stiamo vincendo” del governo federale e guarda con rispetto, e non con paura, soldati, marinai e poliziotti?

Chi sono quelli che adesso si svegliano senza sapere se saranno vivi, sani o liberi al termine della giornata che comincia?

Chi non riesce ad offrire alla gente una via d’uscita, un’alternativa, che non sia aspettare le prossime elezioni?

Chi non riesce a lanciare un’iniziativa che davvero attecchisca localmente, non diciamo a livello nazionale?

Chi è rimasto solo?

Perché alla fine, chi rimarrà sarà chi resisterà; chi non si sarà venduto; chi non si sarà arreso; chi non avrà tentennato; chi avrà compreso che le soluzioni non vengono dall’alto, ma si costruiscono in basso; chi non avrà scommesso né scommette sulle illusioni che vende una classe politica vecchia che appesta come un cadavere; chi non avrà seguito il calendario di chi sta in alto né adeguato la sua geografia a quel calendario trasformando un movimento sociale in una lista di numeri di schede elettorali; chi non sarà rimasto immobile di fronte alla guerra, aspettando il nuovo spettacolo di giochi di prestigio della classe politica nel circo elettorale, ma avrà costruito un’alternativa sociale, non individuale, di libertà, giustizia, lavoro e pace.

IV.- L’ETICA E LA NOTRA ALTRA GUERRA.

Prima abbiamo detto che la guerra è inerente al capitalismo e che la lotto per la pace è anticapitalista.

Lei, Don Luis, prima ha detto anche che “la moralità sociale costituisce solo un primo livello, pre-critico, dell’etica. L’etica critica incomincia quando l’individuo si allontana dalle forme di moralità esistenti e si pone domande sulla validità delle sue regole e comportamenti. Ci si può rendere conto che la moralità sociale non obbedisce alle virtù che proclama”.

È possibile portare l’Etica nella guerra? È possibile farla irrompere nelle parate militari, tra i gradi militari, posti di blocco, operativi, combattimenti, morti? È possibile portarla a mettere in discussione la validità delle regole e dei comportamenti militari?

O l’ipotesi della sua possibilità non è altro che un esercizio di speculazione filosofica?

Forse l’inclusione di questo “altro” elemento nella guerra sarebbe possibile solo come paradosso. Includere l’etica come fattore determinante di un conflitto avrebbe come conseguenza un’ammissione radicale: il rivale sa che il risultato della sua “vittoria” sarà la sua sconfitta.

E non mi riferisco alla sconfitta come “distruzione” o “abbandono”, bensì alla negazione dell’esistenza come forza belligerante. È così, una forza fa una guerra che, se la vince, significherà la sua scomparsa come forza. E se la perde è lo stesso, ma nessuno fa una guerra per perderla (beh, Felipe Calderón Hinojosa sì).

E qui sta il paradosso della guerra zapatista: se perdiamo, vinciamo; e se vinciamo, vinciamo. La chiave sta nel fatto che la nostra è una guerra che non vuole distruggere il rivale nel senso classico.

È una guerra che vuole annullare il terreno della sua realizzazione e le risorse dei contendenti (noi compresi).

È una guerra per smettere di essere quello che ora siamo e così essere quello che dobbiamo essere.

Questo è stato possibile perché riconosciamo l’altro, l’altra, l’altro che, in altre terre del Messico e del Mondo, e senza essere uguale a noi, soffre le stesse pene, sostiene resistenze simili, che lotta per un’identità molteplice che non annulli, assoggetti, conquisti, e che anela ad un mondo senza eserciti.

17 anni fa, il 1 gennaio 1994, si è resa visibile la guerra contro i popoli originari del Messico.

Guardando la geografia nazionale su questo calendario, noi ricordiamo:

Non eravamo noi, gli zapatisti, i violenti? Non ci accusavano di voler dividere il territorio nazionale? Non si diceva che il nostro obiettivo era distruggere la pace sociale, minare le istituzioni, seminare il caos, promuovere il terrore e distruggere il benessere di una Nazione libera, indipendente e sovrana? Non si segnalava fino alla nausea che la nostra richiesta di riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni minava l’ordine sociale?

17 anni fa, il 12 gennaio 1994, una mobilitazione civile, senza definita appartenenza politica, ci chiese di tentare la strada del dialogo per ottenere le nostre richieste.

Noi abbiamo obbedito.

Più e più volte, nonostante la guerra contro di noi, abbiamo insistito con iniziative pacifiche.

Per anni abbiamo resistito ad attacchi militari, ideologici ed economici, ed ora al silenzio su quello che sta accadendo qua.

Nelle condizioni più difficili non solo non ci siamo arresi, né ci siamo venduti, né abbiamo tentennato, ma abbiamo anche costruito migliori condizioni di vita nei nostri villaggi.

Al principio di questa missiva ho detto che la guerra è una vecchia conoscenza dei popoli originari, degli indigeni messicani.

Più di 500 anni dopo, più di 200 anni dopo, più di 100 anni dopo, ed ora con questo altro movimento che reclama la sua molteplice identità comune, diciamo:

Siamo qua.

Abbiamo un’identità.

Abbiamo il senso della comunità perché non abbiamo aspettato né sospirato che le soluzioni di cui necessitiamo e che meritiamo arrivassero dall’alto.

Perché non sottomettiamo il nostro cammino a chi guarda verso l’alto.

Perché, mantenendo l’indipendenza della nostra proposta, ci relazioniamo con equità con l’altro che, come noi, non solo resiste, ma ha costruito un’identità propria che gli dà appartenenza sociale, e che ora rappresenta anche l’unica solida opportunità di sopravvivenza al disastro.

Noi siamo pochi, la nostra geografia è limitata, non siamo nessuno.

Siamo popoli originari dispersi nella geografia e nel calendario più lontani.

Noi siamo un’altra cosa.

Siamo pochi e la nostra geografia è limitata.

Ma nel nostro calendario non comanda l’insicurezza.

Noi solamente teniamo a noi stessi.

Forse è poco quello che abbiamo, ma non abbiamo paura.

Bene, Don Luis. La saluto e che la riflessione critica animi nuovi passi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Gennaio-Febbraio 2011

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/03/09/apuntes-sobre-las-guerras-carta-primera-completa-del-sci-marcos-a-don-luis-villoro-inicio-del-intercambio-epistolar-sobre-etica-y-politica-enero-febrero-de-2011/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Scambio Epistolare su Etica e Politica

 Questione di interezza

Gustavo Esteva

Marzo 2011:

Don Gustavo: Saludos. Abbiamo letto uno dei suoi ultimi scritti editi e crediamo di trovarci sulla stessa barca. Per questo vogliamo invitarla a scrivere su questo dimenticato e disdegnato (da chi sta in alto) tema dell’Etica e Politica. Un abbraccio. SupMarcos.

Interezza. a. Integrità | b. Rettitudine | c. Forza, costanza, fermezza d’animo.

Mi azzardo ad entrare in conversazione. Non voglio interferire. Ma nemmeno posso non farlo: tanto le circostanze come la lettera impongono esigenze etiche. E mi accingo a partecipare sostenuto dalle stampelle prestate da qualche amico – qualcuno vicino e immediato ed altri con la vicinanza data dai libri e dalle incarnazioni delle loro idee.

Pensare con la propria testa

Domandando provocatoriamente se pensiamo e perché ci rifiutiamo di farlo, Pietro Ameglio poco tempo fa ha mostrato il modo in cui il rumore a cui siamo continuamente sottoposti ostacola i pensieri e porta ad accettare infantilmente quello che viene affermato con autorità. Evoca Fromm quando segnala che, per ottenere questo risultato, si procede col distruggere ogni immagine strutturata del mondo, riducendola a piccoli pezzettini, ognuno separato dall’altro e sprovvisto di qualunque senso di totalità. I notiziari televisivi, mescolando notizie di massacri o ingiustizie sociali con cronache rosa o sport, illustrerebbero questo dispositivo che ci conduce ad ubbidire all’autorità, a piegarci ai suoi ordini. Per questo Pietro ci chiede di pensare, come condizione per essere liberi. E cita Canetti: “L’uomo libero è quello che ha imparato a liberare gli ordini” e non quello che, come un soldato, “è costantemente in attesa di essi”. 1

Arrivo all’argomento, anche prima di mettere le carte in tavola. Mi chiedo, con allarme e preoccupazione, perché milioni di messicani sono in attesa dell’ordine che indicherà loro cosa segnare sulla scheda elettorale l’anno prossimo… Mi domando come potremmo riflettere criticamente su quello che è davvero importante, senza cortine di fumo né fuochi d’artificio.

Pensare criticamente

Nella lettera, il sup segue don Luis per mostrare come la filosofia può prendere il posto della religione al fine di giustificare la dominazione e la barbarie, conferendo loro un fine accettabile, e come i mezzi di comunicazione di massa prendono ora il posto della filosofia in questa funzione.

Riflettendo sulla fine dell’era attuale, in una conversazione con David Cayley, Illich fa riferimento agli annunci pubblicitari che ci inondano di istruzioni e consigli che non sono più trasmessi con delle frasi, ma con icone. Le immagini sono impiegate come argomenti. “Un’icona è una cornice, scelta non da me, ma da un altro per me. Non è il caso di una frase: mediante quella libertà singolarmente bella e inerente al linguaggio che impone al mio interlocutore di aspettare pazientemente che mediti quelle parole nella mia bocca, le mie frasi possono sempre rompere la cornice che tu vuoi imporre loro. L’icona, invece, fissa subito ciò che evoca, producendo una paralisi visiva che immediatamente viene interiorizzata… La rappresentazione visiva, iconica, determina la parola al punto che non si può più pronunciare una senza evocare l’altra”. Per Illich, “la guerra del Golfo, quella guerra informatizzata che ha mostrato agli uomini la sua perfetta impotenza e contemporaneamente la sua grande assiduità dagli schermi sui quali la videro” illustra bene la condizione a cui siamo arrivati.

Illich in quell’occasione ricordava che uno dei suoi amici, il linguista tedesco Uwe Pörksen, chiamava quelle icone visiotipi, che sono forme elementari di interazione sociale che, al contrario delle parole, non permettono di formulare una frase. Nascono quando già si sono generalizzati gli “spazi virtuali” che sono apparsi negli anni settanta. “Ogni volta che vediamo un visiotipo lasciamo che la virtualità di cui è portatore ci contamini”.

Faccio questo giro perché pensare alla libertà richiede oggi di difenderci attivamente dai visiotipi che ci catturano col loro bombardamento programmato dagli specialisti e formano percezioni generali. Questo sarà sempre più difficile. Siamo in una nuova fase di programmazione. Siccome la guerra ha creato “più gente spaventata che gente insicura”, ora si cercherà di far sì che i media “modulino con rigore e intelligenza l’informazione”. Così Héctor Aguilar Camín ha spiegato il nuovo decalogo che uniformerà i criteri editoriali dei principali mezzi di comunicazione del paese. Alle 10 del mattino del 24 marzo, i 10 comandamenti dell’Accordo per la Copertura Informativa della Violenza furono presentati su una “catena nazionale volontaria” alla presenza di alti “rappresentanti” della società – lo stesso rettore della UNAM che i dirigenti del Consiglio Messicano degli Industriali, l’Unione Nazionale dei Genitori o il Comitato Centrale della Comunità Ebraica… Felipe Calderón celebrò immediatamente l’Accordo, preso per “non ignorare la violenza che quotidianamente accompagna i messicani in tutti gli ambiti della vita”. Gli sembrò “cruciale per consolidare la politica dello Stato in materia di sicurezza”. Avrebbe permesso “la gestione dell’informazione legata alla violenza”.

Cittadini allarmati, coscienti della nuova minaccia, reagirono immediatamente su twitter contro questa “gestione”: “uniformare invece di informare”; “nasce un nuovo cartello della disinformazione”; “meglio che la censura, l’autocensura”; “perché non si senta parlare di massacri prima delle elezioni”… Qualcuno decise di “spegnere la televisione e la radio”. Va bene, ma non basta scollegarsi. Per pensare con la nostra testa bisogna arrivare alla riflessione critica. “L’etica critica inizia”, scrisse Villoro, come cita il sup, “quando l’individuo si allontana dalle forme di moralità esistenti e si pone domande sulla validità delle sue regole e comportamenti. Può comprendere che la moralità sociale non rispetta le virtù che proclama”. Gli zapatisti ci convocano oggi a praticare questa etica critica.

In un momento come questo, dice Jean Robert, una dimensione etica addizionale permette di raggiungere “una nuova comprensione del nostro posto nel mondo e nella storia”. Esplorando il suo significato, Jean ricorda cosa diceva Hugo, l’amico di Illich nel secolo XII: “attraverso quello che si dice di fare, si vuole dire qualcosa che si deve fare”. Di questo si tratta, in effetti. La guerra zapatista “è una guerra per smettere di essere quello che ora siamo e così essere quello che dobbiamo essere”, sottolinea il sup, perché “vuole annullare il terreno della sua realizzazione e le possibilità dei contendenti” (zapatisti compresi), e si riconosce in altri “che anelano un mondo senza eserciti”. Se ci arrendiamo, ci fanno essere quello che non siamo. Invece di farci essere, senza senso critico, dobbiamo passare alla condizione in cui quello che facciamo è anche quello che dobbiamo fare.

La via armata

“La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza”. Queste erano le parole d’ordine del Partito Interno nel racconto allucinante di Orwell.

Tutti i giorni si ripete che la violenza di ogni tipo scatenata contro di noi non ha altro scopo che “portare tranquillità e sicurezza ai messicani”. Così ha detto Felipe Calderón celebrando l’accordo sull’uniformità, la censura e la disinformazione, che sarebbe “pieno rispetto della libertà di espressione e della libertà editoriale”.

Sì, ha detto questo.

Orwell ricorse alla sua immaginazione letteraria per avvertirci della strada che seguivano gli Stati del suo tempo – strada che sembrava invisibile benché fosse sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo trasferire il suo avvertimento nella nostra attuale situazione.

Andrés Manuel López Obrador ripete continuamente che le uniche opzioni per accedere al potere politico sono la via armata e l’esercizio elettorale. Siccome la prima sembra essere condannata dalla storia dalla maggioranza dei messicani, secondo lui non ci resta altra scelta che le elezioni. Per questo, contro ogni esperienza, dobbiamo concentrare la nostra energia su quelle del 2012; ora sì, afferma, potremo sconfiggere la mafia politica che si è impadronita del paese.

È vero che la maggioranza dei messicani respinge la violenza. Ma nella sua rappresentazione orwelliana AMLO dissimula che queste opzioni politiche sono diventate una. Felipe Calderón ha adottato la via armata. Incapace di governare con un potere politico che non ha mai avuto – come ha constatato perfino l’ambasciatore statunitense – è ricorso ad esercito e polizia per dimostrare che governava, immagine che i media si sono affrettati a rafforzare. Le elezioni fanno parte del dispositivo. Cambiare killer non modifica la caratteristica dell’arma né la sua funzione.

“Perché – rileva la lettera a don Luis – perché la presunta grande organizzazione nazionale che si prepara affinché nelle prossime elezioni federali vinca un progetto alternativo di nazione, non fa qualcosa adesso? Se pensano di poter mobilitare milioni di messicani a votare per qualcuno, perché non mobilitarli per fermare la guerra e far sì che il paese sopravviva?”.

Non cadiamo nella trappola di valutare l’entità e la qualità di questa “organizzazione nazionale”, ancora rinchiusa nelle sue beghe di cortile, che si spegneranno solo nel circo mediatico della campagna elettorale. Speculare sulle sue possibilità non sarebbe pensare liberamente. Implicherebbe attenersi agli ordini del Ministero della Verità e del Partito Interno, rifiutarsi di pensare.

Dobbiamo rendere evidente, come dice don Luis, che la moralità attuale non ha le virtù che proclama. Il paese cade a pezzi. “Si sta distruggendo il tessuto sociale su quasi tutto il territorio nazionale”. Dalla guerra attuale “non solo ne verranno migliaia di morti…. e lauti  guadagni economici. Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione distrutta, spopolata, irrimediabilmente spezzata”. È questo quello che ci sta accadendo. Dobbiamo guardarlo con chiarezza per agire di conseguenza. Queste proposte, invece, sostenendo in maniera equivoca, che non c’è altra strada che le elezioni, ci condannano alla paralisi. Vogliono alimentare illusioni statistiche per inciampare di nuovo nella stessa pietra. Ostacolano la nostra attuale lotta.

È necessario riconoscere fortemente, senza vacillare, senza paura, la condizione in cui siamo. Al margine di qualsiasi discussione teorica e storica sul valore e sul significato della democrazia rappresentativa, le elezioni oggi in Messico non costituiscono un’autentica alternativa politica. Non importa chi vincerà. Sono solo un’altra forma della via armata che prevale nel paese, quella che tiene la quinta parte dei messicani negli Stati Uniti ed esclude gli altri, abbassa le loro condizioni di vita, distrugge i loro ambienti naturali e cancella passo dopo passo le loro libertà.

Le elezioni di 2012 non farebbero largo al cambiamento per ricostruire in pace quello che rimane del paese. Esposte come unica opzione, presuntamente pacifica, non sono altro che un ingrediente in più della guerra scatenata contro di noi. Contribuiscono ad estenderla ed approfondirla. Alzano un muro, nella percezione di milioni di persone, che impedisce loro di costruire un’alternativa reale.

Alcuni, diceva Foucault, vogliono cambiare l’ideologia senza modificare le istituzioni: sostituire solamente le teste. Altri vogliono riformare le istituzioni senza cambiare l’ideologia. Quella che manca è l’incontro simultaneo tra ideologie e istituzioni. Per questo dobbiamo chiederci in che misura si impone, oggi e qui, quello che esprime con eloquenza Ali Abu Awwad, un giovane palestinese che guida un nuovo movimento nei territori occupati da Israele: “La pace stessa è la strada per la pace…e non c’è pace senza libertà”.

Il Messico non è Gaza

No, no lo è. Ma potrebbe esserlo. Esistono analogie scandalose che meritano considerazione. Non sarebbe utile riflettere su alcuni somiglianze raccapriccianti, come quella che sembra esistere tra i palestinesi in Israele ed i messicani in Arizona? O la sproporzione tra la forza militare/fisica di Israele e quella della Palestina e quella che esiste tra i corpi militari, polizia, paramilitari e parapolizie degli Stati Uniti e del Messico, da una parte, e la gente, dall’altra? E c’è qualcosa di più grave di queste analogie. La cosa più grave, là e qui, è il silenzio, l’abitudine: abituarsi a vedere con naturalezza l’insopportabile.

Molte voci esprimono, dentro lsraele, crescente preoccupazione per gli atteggiamenti che osservano nella loro società. Neppure riescono a risvegliarla gli orrori del recente libro che riporta le testimonianze dei saldati israeliani che hanno partecipato negli ultimi 10 anni all’occupazione della Palestina. “Quello che passa come normalità sotto l’occupazione”, segnala David Shulman, “è anche peggiore che negli anni di combattimento per il giogo incessante, quotidiano, disumanizzante. Chiunque leggerà questo libro vedrà il modo in cui l’occupazione si è trasformata in un sistema degradante di controllo… Ho constatato gli effetti devastanti della droga dell’abitudine… Ho visto come il male, inserito in un sistema ramificato e spesso impersonale, può scomporsi in piccole azioni quotidiane che, per molto ripugnanti che siano al principio, presto diventano routine” . 2

Non voglio mettere l’analogia al servizio del mio argomento. Forse, dopo l’Accordo, dagli schermi scompariranno gli spettacoli di violenza che sono andati aumentando. Si ridurrà la dose di droga. Forse, come hanno commentato flemmaticamente alcuni giornalisti dopo aver ascoltato il decalogo dei criteri editoriali, cambierà il linguaggio. Ora si dirà: “Due decapitati con poca violenza”. Oppure: “Gli asociali hanno smembrato gli arti della vittima che non ha sofferto”… Mi preoccupa che in qualche misura ci siamo abituati a quelle immagini di violenza. Ma mi preoccupa molto più che si sia fatta l’abitudine alla criminalizzazione dei movimenti sociali. I media si accanirono in alcuni aspetti della violenza ad Atenco o Oaxaca. Ma eludono od omettono sempre di più quella che si impiega quotidianamente in tutto il paese contro i più diversi movimenti sociali, ed in particolare quella che si è impiegata per anni in tutti i territori indigeni e contro le comunità zapatiste e che si è recentemente intensificata.

Mi preoccupa che questo silenzio non copra solamente i media ma abbracci già ampi settori sociali – perfino quelli che teoricamente difendono le cause popolari. Gli stessi che denunciano con risalto ogni gesto di Calderón o dei suoi rivali politici. Quelli che proclamano il loro impegno per la giustizia sociale o per il bene del paese e promettono di riportare quello che i neoliberali ci hanno tolto e portare molte altre benedizioni. Quelli che tracciano la loro linea rispetto alla repressione. Perché restano in silenzio davanti agli oltraggi costanti contro la gente ed i movimenti che dicono di difendere? Perché non denunciano, con lo stesso risalto, le repressioni e le aggressioni in cui incorrono i loro stessi colleghi e soci di partito e di governo? Perché ormai al potere adottano gli stessi comportamenti, incorrono nella stessa corruzione, proteggono la stessa impunità? Alla luce dell’esperienza, con quale autorità morale pretendono ora che si cancelli tutto e non si prenda in considerazione quello che è successo e continua a succedere in nome di una nuova illusione, di una semplice promessa?

Di questo passo, se invece di iniziative degne e conseguenti seguitiamo a intrattenerci con questi passatempi, non ci sarà nazione nella quale possa materializzarsi il sogno di un vago “progetto alternativo” che si continua ad alimentare.

“Vi auguro l’Egitto”, ha scritto alcuni giorni fa il palestinese Omar Barghouti. “Vi auguro la capacità di resistere, di lottare per la giustizia sociale ed economica e di ottenere la vostra vera libertà.

“Vi auguro la volontà e la capacità di uscire dalla vostra prigione camuffata con tanta cura. Nella nostra parte del mondo i muri delle prigioni sono troppo ovvi, dominanti, asfissianti. Per questo siamo ancora ribelli, preparandoci al giorno della nostra libertà. Quando raccoglieremo potere popolare sufficiente, romperemo le catene ossidate che hanno imprigionato per tutta la vita menti e corpi. Le celle della vostra prigione sono differenti. I muri sono ben nascosti, non sia mai che evochino la volontà di resistere. Non ci sono porte nelle celle della vostra prigione: potete spostarvi ‘liberamente’ senza riconoscere mai la prigione più grande nella quale siete confinati….

“Vi auguro l’Egitto per decolonizzare le vostre menti e fare a pezzi la scheda con la domanda: ‘che cosa volete?’, perché tutte le risposte che date sono sbagliate. Lì la vostra unica opzione sembra essere tra il male e il male minore.

“Vi auguro l’Egitto affinché, come i tunisini, gli egiziani, i libici, i bahreinesi, gli yemeniti, e certamente i palestinesi, possiate gridare: “No! non vogliamo scegliere la risposta meno brutta. Vogliamo un’altra opzione che non c’è nella vostra maledetta lista”. “Vi auguro l’Egitto affinché possiate collettivamente, democratica e responsabilmente ricostruire le vostre società, per restaurare le leggi affinché siano al servizio del popolo, non del capitale selvaggio e del suo esercito di banche; per farla finita col razzismo ed ogni tipo di discriminazione; per preservare ed essere in armonia con l’ambiente; per tagliare guerre e crimini di guerra e non posti di lavoro, prestazioni sociali e servizi pubblici; per abbattere il governo tiranno ed oppressore delle multinazionali, e per cacciare l’inferno dall’Afghanistan, dall’Iraq e da tutti i luoghi in cui, col pretesto di “diffondere la democrazia”, i vostri moralmente superiori crociati hanno sparso la disintegrazione sociale e culturale, la povertà abietta e la disperazione assoluta…

“La nostra oppressione e la vostra sono profondamente correlate e intrecciate… La nostra battaglia collettiva per diritti e libertà non è uno slogan, ma una lotta per la vera emancipazione e l’autodeterminazione, un’idea il cui momento è arrivato. Dopo l’Egitto toccherà a noi. È l’ora della liberazione e della giustizia per la Palestina. È ora che tutti i popoli di questo mondo, in particolare i più sfruttati ed oppressi, riaffermiamo la nostra comune umanità e recuperiamo il controllo sul nostro destino comune”.

Rese e resistenze

 

La lettera a don Luis descrive con precisione la situazione attuale in Messico e le prospettive. Voglio aggiungere un altro aspetto che permette di illustrare le risposte.

Felipe Calderón non ha saputo governare, ma può ancora distruggere e prosegue nell’azione che ha orientato le politiche ufficiali degli ultimi 30 anni: mettere il paese nelle mani del mercato, del capitale. Non c’è altra soluzione, sosteneva Salinas, che salire sulla locomotiva statunitense, anche se come camerieri. Per facilitare l’aggancio aprì al mercato la terra ejidale e comunale, e nella sua febbre privatizzatrice smantellò buona parte del settore pubblico.

Aggrappato a questa tradizione, Calderón ha messo in vendita quanto ha potuto ed ora deve consegnare la merce. Per esempio: ha ceduto in concessione quasi la decima parte del paese per 50 anni, e queste concessioni prevedono l’obbligo da parte del governo messicano di disfarsi della gente che abiti nei territori dati in concessione. Un altro affare sta nel demandarle se questo non avviene nei termini previsti. Ed i termini non si rispettano perché la gente resiste.

La resistenza incomincia di solito come lotta localizzata di un piccolo gruppo che cerca di proteggere le proprie terre e acque, ma presto incontra legami orizzontali e s’incatena a lotte simili in altre parti fino a formare ampie alleanze che si estendono in tutto il paese. Questa lotta racchiude una mutazione politica di grande trascendenza: rappresenta il passaggio dalla lotta per la terra alla difesa del territorio. Chi è riuscito ad ottenere un pezzo di terra che assicuri la sua sussistenza e mantenere il tessuto sociale comunitario, affronta in maniera organizzata la nuova sfida. Non difende più, o non solo, quel pezzo di terra. Esercita una forma di sovranità popolare in cui la difesa del suo territorio è anche la difesa della sovranità nazionale. Abbondano esempi di queste lotte specifiche che si collegano anche con alte simili, come quelle contro le dighe e contro molti megaprogetti. In tutti i casi è evidente il significato e le conseguenze della guerra descritti nella lettera a don Luis. La distruzione, a prima vista insensata, irrazionale, senza ragione, una distruzione che colpisce la natura ma ancor di più la gente che si occupa di essa e vive dei suoi frutti, acquisisce il suo senso ultimo nella ricostruzione – quando sono spariti il tessuto sociale e la sussistenza autonoma, e gli individui, uno alla volta, separati, restano esposti alla volontà del mercato, del capitale, alla schiavitù che questi impongono. “Che facciano i giardinieri in Texas o mettano su un negozietto”, diceva Fox quando gli domandavano che cosa avrebbero fatto quelli che il suo governo sgomberava. Anche quelli di Calderón se ne vanno dal paese, sono già sotto terra o sono “antisociali” – l’etichetta che le forze pubbliche appiccicano indistintamente a delinquenti e ribelli.

Oggi abbiamo bisogno della spinta che ci augura il palestinese Barghouti, quella che 17 anni fa ci permise di fermare la guerra di sterminio di Salinas ed oggi può fermare quella di Calderón e liberarci di lui. Ma non basterebbe disfarci delle classi politiche… per poi ricominciare di nuovo con la pratica elettorale, fosse anche con facce nuove. Cerchiamo un’altra trasformazione, una molto altra, più vicino e più lontano: vogliamo smantellare gli apparati politici ed economici della dominazione, invece di tentare di conquistarli con l’illusione di utilizzarli in maniera diversa; e vogliamo mantenere nelle nostre mani la transizione, per assicurare che sia l’inizio della nostra ricostruzione, non più della stessa cosa. E per quello che bisogna fare, adesso e dopo, abbiamo bisogno dell’etica critica.

Perché don Luis?

È utile domandarci perché gli zapatisti hanno deciso una corrispondenza pubblica col filosofo Luis Villoro richiamando nuovamente la nostra attenzione. Non si tratta più di estendere l’omaggio che gli resero a San Cristóbal. È che don Luis incarna, come molte poche persone, i temi che gli zapatisti considerano urgente esaminare. Esprime in pieno il rapporto tra etica e politica.

Negli anni ’90 scrisse El poder y el valor: Fundamentos de una ética política, un libro che segue e culmina la sua opera. Aveva vissuto, come filosofo, nel seno della ragione sul cui dominio ha confidato l’Occidente negli ultimi due secoli – quella che concepì “il progetto storico di rompere con la dominazione e la miseria e di raggiungere, finalmente, una società liberata e razionale, degna dell’uomo”. Invece di arrendersi al fallimento di quella ragione e la sua sequela di conformità e delusione, don Luis tentò una riflessione innovativa. “È ancora possibile – si domandò – un comportamento politico che proponga di contrastare il male? Si potrebbe rinnovare, davanti alla delusione, una riflessione etica?… È inevitabile l’opposizione tra la volontà di potere e la realizzazione del bene? Come si può articolare il potere col valore?”. Il libro risponde radicalmente a queste domande: “È un progetto di riforma del pensiero politico moderno, con la speranza di contribuire, in questa triste epoca, a scoprire i ‘mostri della ragione’ che hanno devastato il nostro secolo”.

Don Luis ha sofferto e goduto, come tanti di noi, la scossa del 1994 – quella che mosse il mondo intero, come riconoscono oggi tutti i movimenti antisistema. Da allora ha accompagnato gli zapatisti, vicino o lontano a seconda delle circostanze. Fu loro consulente nei negoziati col governo, nel 1996, e fu uno dei tre che si sedettero al tavolo principale in cui si giunse ai principali accordi. Soffrì come pochi la conclusione – che non dobbiamo dimenticare. Siamo nel 10º anniversario della Marcia del Colore della Terra, alle cui riunioni parteciparono circa 40 milioni di messicani. Migliaia di organizzazioni, a nome di milioni di persone, appoggiarono l’iniziativa di riforma costituzionale concordata con la commissione del Congresso, la Cocopa. Non ci fu una sola organizzazione, una sola, che si oppose. Ma il Congresso produsse una controriforma infame e la Corte Suprema, ovviamente, se ne lavò le mani.

Il culmine dell’opera di don Luis, in quel libro ed in altri testi, riflette la sua stessa trasformazione. Trovò ispirazione negli zapatisti e nelle comunità indios e lì scoprì l’alternativa che stava cercando. Trasformandosi, don Luis ci trasforma: la sua lucida riflessione apporta elementi centrali a quello che oggi manca. L’utopia si è fatta realtà nel presente, ci dice dal 2009; ha già posto in questo mondo, nelle comunità zapatiste. La democrazia non può stare in un luogo diverso da quello in cui sta il popolo, affermò, ed osservò “un’inversione dei rapporti di potere esistenti” e “l’abolizione di ogni dominazione dall’alto” nell’azione comunitaria che riorganizza la società dal basso, nella propria geografia, nel proprio calendario…

“Il desiderio di autenticità”, insiste don Luis, “è l’impulso a liberarsi dell’oppressione della farsa”. Della farsa, dice; la farsa. La ragione che risponde a quel desiderio scopre i veri valori, e così “assumono primato quelli che integrano la dignità insostituibile della persona: libertà, autenticità, responsabilità, uguaglianza”. E non dimentichiamo le ultime parole di quel libro eccezionale: si tratta di “compiere il proposito dell’amore: realizzare sé stesso per l’affermazione dell’altro”. Oltre ogni farsa.

Tra interminabili risse e circhi mediatici, aggrappati alle loro poltrone, le classi politiche continuano a lacerare il tessuto sociale e distruggere la natura fino a minare le basi stesse della sopravvivenza. E’ una strada senza uscita. È inutile, profondamente immorale continuare a percorrerla. Dobbiamo uscirne. E questo esige, innanzitutto, impegnarci seriamente nella riflessione, nella critica, nell’etica. Con integrità. Seguendo le orme di don Luis e la nuova convocazione degli zapatisti.

San Pablo Etla,

marzo 2011

Note:

1 Tomo della rivista Conspiratio, 2, nov.-dic. 2009, citazioni di Pietro Ameglio, Iván Illich e Jean Robert.

2 David Shulman, “Israel & Palestine: Breaking the Silence”, The New York Review of Books, LVIII-3, February 24-March 9, 2011, p.43

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Versione in castigliano http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/10esteva.pdf

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La Jornada – Giovedì 10 marzo 2011

Castañón León accusato di usare la violenza per sottrarre Agua Azul agli ejidatarios

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón aderenti all’Altra Campagna nel municipio di Chilón, in Chiapas, accusano il governo dello stato, il segretario di Governo, Noé Castañón León, ed il Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH) “dello sgombero violento dei compagni lo scorso 2 febbraio, da parte di un gruppo di priisti che lo stesso segretario di Governo ha organizzato con le autorità del municipio di Chilón”.

Sostengono che l’operazione per spogliarli dell’accesso alle cascate di Agua Azul “è stata finanziata dai tre livelli di governo, a fronte di un accordo con le autorità del municipio di Tumbalá ed i filogovernativi di San Sebastián Bachajón “per consegnare al governo il sito turistico” che ora è sotto la gestione della Segreteria delle Entrate dello stato in base “agli accordi firmati tra loro”.

Gli ejidatarios di San Sebastián sottolineano che “questo ‘accordo’ è stato fatto in un’assemblea del 3 e 5 febbraio”, convocata due giorni prima, quando “normalmente la convocazione avviene 15 giorni prima, con notifica affissa in luoghi visibili, e secondo la Legge Agraria, almeno con 8 giorni di anticipo”.

In un’inserzioni sulla stampa, la CEDH il giorno 8 marzo ha affermato che “il problema” è dovuto “alla non presenza dell’Altra Campagna” ai tavoli dei negoziati installati dal governo e che per questo “il conflitto non è stato risolto”. La commissione stessa ha accusato i membri dell’Altra Campagna, che lunedì scorso hanno bloccato la strada, di essere “armati di machete e bastoni, alterare l’ordine, commettere danni a terzi”.

Questo, replicano gli ejidatarios, quando “l’arma peggiore che portavano i manifestanti erano i loro slogan e le loro richieste”. Questa volta, “la strategia del malgoverno è un risultato vergognoso, avendo fatto ricorso ad un accordo povero di contenuti che è solo uno strumento per ingannare la gente ed impadronirsi delle nostre terre e delle sue risorse. Per questo, “purtroppo, i nostri compagni sono in carcere”.

Rispetto alla versione della CEDH, gli indigeni affermano: “È vergognoso che essendo un organismo per i diritti umani, sia stato la maschera per il malgoverno”, che vuole “nascondere la vera intenzione di spogliare con violenza, crudeltà, odio e rabbia chi difende la propria dignità, la terra, il territorio e la propria autonomia”.

Di fronte alle accuse, ejidatarios ed aderenti all’Altra Campagna, questo mercoledì a San Cristóbal de las Casas dichiarano: “Non ci arrenderemo, che sia ben chiaro al governo di Juan Sabines Guerrero, che fino a che non libererà i nostri compagni carcerati ingiustamente, continueremo a manifestare e in maniera sempre più decisa”.

Sostengono che il loro “è un territorio autonomo e non per progetti transnazionali; difenderemo le nostre terre e le risorse senza badare alle conseguenze”.

Annunciano che, come “padroni legittimi di queste terre, eredità dei nostri antenati”, sospenderanno “l’attività” che stavano svolgendo (il blocco della strada Ocosingo-Palenque), “per cercare altre alternative ed ottenere la libertà incondizionata dei nostri compagni prigionieri politici”. Avvertono che continueranno “a smascherare il malgoverno corrotto, che con il suo operato ci ha voluti intimorire”.

Concludono che “è il momento di organizzarci meglio e continuare a dimostrare realmente al governo chi siamo e perché lottiamo, ed al CEDH che siamo un’organizzazione pacifica che lotta per le proprie terre, territori e autonomia, che non si inganni”. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/10/index.php?section=politica&article=022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 6 marzo 2011

Rilasciati quattro membri dell’Altra Campagna

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 marzo. Con la rinuncia dell’azione penale da parte della Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE), da mercoledì ad oggi sono stati liberati quattro dei dieci indigeni dell’Altra Campagna fermati il 3 febbraio scorso nel centro turistico delle Cascate di Agua Azul, dopo uno scontro con ejidatarios priisti di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón che ha provocato un morto e due feriti.

Fonti ufficiose hanno detto che la notte di mercoledì è stato rilasciato Pedro García Alvarado, presuntamente non in possesso delle facoltà mentali, che era accusato di danneggiamenti ed attentato contro la pace e la collettività. Tra giovedì e sabato sono stati scarcerati Miguel Álvaro Deara, Pedro Hernández López e Miguel López Deara.

Per il minorenne di 17 anni, Mariano Demeza Silvano, uno dei sei che ancora sono in prigione, è stata stabilita una cauzione di 22 mila pesos. È probabile che nei prossimi giorni o settimane possano essere scarcerati gli altri cinque che si trovano nella prigione del municipio di Playas de Catazajá, a nord del Chiapas, hanno dichiarato le fonti consultate.

In questo contesto, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha comunicato che gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, hanno presentato un esposto contro la costruzione del botteghino di ingresso alle cascate da parte del governo statale, su mandato delle segreterie delle Infrastruttura e del Fisco, le quali il 13 febbraio hanno sottoscritto un accordo “in maniera illegale ed arbitraria, perché non è stata consultata l’assemblea”.

Ricardo Lagunes, avvocato dell’organizzazione, ha detto che la costruzione del botteghino di riscossione conteso dai due gruppi di ejidatarios, colpisce i diritti collettivi dell’ejido San Sebastián Bachajón, come comunità, come nucleo agrario e come popolo indigeno.

Aggiunge che il settimo tribunale di distretto esaminerà l’esposto presentato nei giorni scorsi affinché si sospenda immediatamente la costruzione su una superficie ad uso comune. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/06/index.php?section=politica&article=014n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 5 marzo 2011

Mobilitazioni in Stati Uniti ed altri paesi per la liberazione dei “prigionieri politici” in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, Chiapas, annunciano che nei giorni 7 e 8 marzo realizzeranno “un blocco a tempo indefinito” davanti alla sede della regione autonoma zapatista San José en Rebeldía, vicino al crocevia di Agua Azul, sulla strada Ocosingo-Palenque. “Per chiedere la liberazione dei nove compagni detenuti nel carcere di Playas de Catazajá”, ed un minorenne nel centro Villa Crisol, “autorità comunitarie, familiari dei carcerati, donne e uomini saranno in digiuno e preghiera”.

“Sappiamo molto bene che il malgoverno di Juan Sabines Guerrero ha elaborato una strategia per spogliarci delle nostre terre, usando i vari leader priisti di altri municipi”.

Denunciano “l’ondata di violenza, intimidazioni e minacce da parte di leader del Partito Verde Ecologista”, al quale appartiene l’attuale sindaco di Chilón. Questo si ostenta come “il primo presidente cristiano”, e secondo gli ejidatarios è “esperto nel convincere la gente con progetti di ecoturismo degli investitori internazionali, violentando i diritti di uomini, donne e bambini”.

Attualmente il posto è occupato da poliziotti, in “spazi privati” della comunità e senza il consenso dei proprietari. È il caso di una chiesa cattolica della comunità Sakil Ulub, che mostra “una situazione preoccupante: donne, uomini e poliziotti, l’hanno presa come un gabinetto privato, mentre gli indigeni nativi di questa comunità l’hanno conservata come un’area sacra per le preghiere”.

Aggiungono che il cosiddetto “tavolo di dialogo” che il governo ha proposto ai detenuti “per ottenere la loro liberazione”, è “solo una dimostrazione degli interventi del governo per espropriare il centro turistico rispondendo ad interessi economici, senza tenere conto di cultura, tradizione, né dell’eredità dei nostri antenati, che è la nostra madre Terra”.

Gli ejidatarios tzeltales lamentano “che il denaro del malgoverno ha reso ignoranti persone che sono indigeni, aumentando la tensione, la minaccia e l’intimidazione”.

Con la loro mobilitazione, gli ejidatarios dell’Altra Campagna insisteranno sulla liberazione immediata dei detenuti, “il rispetto della loro dignità e quella dei loro familiari” ed il ritiro della polizia da Agua Azul.

Esigono anche “la soluzione dei conflitti di Agua Azul, Mitzitón, Tila, Chicomuselo ed altre comunità, per problemi legati all’uso delle risorse naturali ed il controllo delle terre e territori, e lo stop alla violenza del sistema capitalista neoliberale patriarcale contro le donne, le loro famiglie e le comunità, ed alla violenza nelle regioni indigene, contadine e nei territori autonomi zapatisti”.

Nella città di New York per il prossimo lunedì 7 si svolgerà “La giornata mondiale per la liberazione dei prigionieri politici di San Sebastián Bachajón”, la cui eco raggiungerà molte parti dell’Europa, America Latina e Messico.

La convocazione è stata fatta dal Movimento per la Giustizia del Barrio, nell’est di Harlem, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. Sono confermate azioni in Sudafrica, Francia, Inghilterra, Scozia, Stati Uniti, Catalogna, e Germania.

La giornata internazionale culminerà martedì 8 con una commemorazione del “Giorno Internazionale in Onore delle Donne dell’Altra Campagna”. Gli organizzatori di New York – la maggior parte immigrati messicani che hanno sconfitto molte volte le imprese costruttrici multinazionali a El Barrio – condividono l’appello degli ejidatarios: “I nostri fratelli di San Sebastián sono riusciti a rompere la frontiera neoliberale che ci impongono quelli che stanno in alto, inviandoci un videomessaggio. Hanno toccato i nostri cuori. Il videomessaggio include una spiegazione della loro degna lotta, degli attacchi recenti e dell’arresto dei loro compagni”. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/05/index.php?section=politica&article=021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 4 marzo 2011

I conflitti in Chiapas, “creati e gestiti dal governo”

Il Frayba denuncia Noé Castañón León quale “autore intellettuale

Hermann Bellinghausen

In una rapporto Rapporto presentato a San Cristóbal de las Casas, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC, noto anche come Frayba) rileva che il governo del Chiapas “crea e gestisce i conflitti per il controllo del territorio”, a scapito dei diritti delle comunità indigene.

Si tratta di un’analisi documentale sulla situazione imperante e gli interessi nel marco del “conflitto armato interno, ora nella fase di disputa del territorio, poiché il Chiapas è una vena di enorme ricchezza per gli investimenti privati, promossi con i progetti turistici”. Secondo lo studio, i progetti d’investimento “vogliono sottrarre le terre alle comunità attraverso sgomberi forzati, cooptazione per la firma di ‘accordi di sviluppo’, occupazione poliziesca e militare, e criminalizzazione di attivisti e avvocati”.

In questa cornice, prosegue il Centro, i fatti successi il 2 febbraio nella zona di Agua Azul, nell’ejido San Sebastián Bachajón (Chilón), dove ha perso la vita Marcos García Moreno ed è rimasto ferito Tomás Pérez Deara, e la cattura di 117 persone, 10 delle quali restano in carcere come “prigionieri”, rappresentano “l’implementazione di una strategia calcolata dal governo dello stato, che ha generato lo scontro per poi inserirsi come mediatore e gestire il conflitto”.

Il CDHFBC assicura di essere in possesso di testimonianze che denunciano il segretario generale di Governo, Noé Castañón León, come uno dei “autori intellettuali” dell’aggressione. Sottolinea che il governo statale “ha rotto un processo di dialogo comunitario che gli attori stavano portando avanti dal 2010” affinché gli abitanti della zona amministrino e preservino le proprie risorse.

Il Rapporto include la testimonianza di una persona presente ad una delle riunioni dove si sarebbe deciso di affrontare gli ejidatarios, “creando gruppi di scontro”, e “catturare gli aderenti all’Altra Campagna” per distrarli con una lotta per la liberazione dei loro prigionieri. Lo scopo ufficiale di occupare il botteghino di ingresso ejidale è stato attuato il 2 febbraio. “Non è un conflitto comunitario”, aggiunge. Come nemmeno lo è a Mitzitón né lo fu adActeal nel 1997. Castañón León sarebbe “l’artefice del conflitto” per favorire i piani di investimento privato. Inoltre, “c’è l’interesse militare di controllare quest territorio”, che si trova vicino a comunità autonome zapatiste come San José en Rebeldía e Bolón Ajaw (che, con le nuove disposizioni amministrative, verrebbe circondata).

La situazione “è il prodotto di una guerra di logoramento che genera le condizioni per affrontare le organizzazioni della regione; ciò che è in disputa non è un botteghino di ingresso alle cascate, ma la difesa della terra e del territorio dei popolo indigeni che stanno costruendo un progetto di autonomia”. Sulla base delle informazioni raccolte (documenti, testimonianze, denunce di ejidatarios), il CDHFBC afferma che “il governo messicano non è intervenuto per prevenire il conflitto” e “ha pianificato gli eventi mediante una strategia per il controllo del territorio nell’ambito di un conflitto armato irrisolto”.

Il CDHFBC comunica di aver assunto la difesa legale degli arrestati di San Sebastián. I filogovernativi (priisti e del Partito Verde Ecologista) “hanno consegnato le terre al governo Juan Sabines Guerrero senza l’autorizzazione dell’assemblea degli ejidatarios”. Questo gruppo è utilizzato dal governo “per cacciare le comunità dell’Altra Campagna e spingere la privatizzazione delle cascate di Agua Azul”.

In questo modo si attacca il progetto di autonomia “che impedisce al governo di privatizzare la terra per progetti imprenditoriali”. Attizzare il conflitto non è cosa nuova. “La strategia è la stessa, ma più aggressiva”. Giorni fa il presidente Felipe Calderón Hinojosa ha visitato la regione ed avrebbe “dato il benestare” all’incursione della polizia.

Per il resto, è stato ignorato il fatto che nell’aggressione filogovernativa ci sono stati dei feriti dell’Altra Campagna. Questi ribadiscono che è stato il gruppo di scontro guidato da  Carmen Aguilar Gómez “che ha ucciso il proprio compagno”, e non gli arrestati che nemmeno si trovavano sul luogo dei fatti. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/04/index.php?section=politica&article=024n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Da: Cruz Negra mexico <cna.mex@gmail.com>
Giovedì 3 marzo 2011, 17:14

Intorno alle ore 22:20 abbiamo ricevuto la notizia della liberazione degli avvocati del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa. La Carovana del Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, in presidio davanti al palazzo di governo dello stato del Chiapas, si è in parte diretta verso il carcere El Amate per accogliere i compagni liberati. Aspettiamo oer domani ulteriori informazioni al riguardo.

fonte: http://radiopozol.blogspot.com/2011/03/companeros-liberados.html

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La Jornada – Martedì 2 marzo 2011

Gli arrestati di San Sebastián Bachajón denunciano di essere stati ricattati dal governo del Chiapas

Hermann Bellinghausen

Dalla prigione di Playas de Catazajá, Chiapas, i nove contadini tzeltales dell’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón dichiarano: “Ci tengono in prigione solo in cambio delle nostre terre”. Altri di loro si trovano nella prigione di Villa Crisol (municipio di Berriozábal).

Denunciano che alcuni rappresentanti del governo li hanno visitati ripetutamente nel penitenziario “proponendoci di accettare il dialogo riguardo al territorio su cui sorge il botteghino di accesso alle cascate di Agua Azul”, promettendo in cambio la loro liberazione, “ma conosciamo bene quanto siano ingannevoli le autorità, che vogliono impadronirsi delle risorse e delle terre dei nostri antenati”.

I rappresentanti governativi sostengono l’accordo con gli ejidatarios filogovernativi guidati da Francisco Guzmán Jiménez (Goyito) e Melchorio Pérez Moreno. I reclusi sostengono che “quelli del governo statale sono bugiardi, corrotti e traditori”, visto che ai dirigenti filogovernativi “vengono regalate auto nuove perché convincano la gente a consegnare i terreni che hanno ereditato dai loro genitori”. E ribadiscono: “Ci tengono rinchiusi ingiustamente. Il malgoverno sa che non abbiamo niente a che vedere con i fatti del 2 febbraio scorso”. Come si ricorderà, quel giorno perse la vita uno degli aggressori filogovernativi, vicino al botteghino degli ejidatarios dell’Altra Campagna, appena sgomberati a pistolettate.

Con una visita alla prigione di Catazajá, nove note organizzazioni civili che formano la Rete per la Pace in Chiapas, hanno appoggiato questi indigeni arrestati il 3 febbraio. La rete esprime il suo rifiuto “alla nuova ondata di violenza nello stato, ed in questo contesto di deterioramento guardiamo con preoccupazione la mancanza di volontà o capacità del governo di intervenire nei conflitti, evitando di affrontarli, oppure cercando ‘soluzioni’ a breve termine e, non riuscendoci, ricorrono alla repressione contro gruppi contrari alla sua politica”.

I recenti attacchi a San Sebastián e Mitzitón “sono un’espressione di questa conflittualità sociale, ed entrambi i conflitti sono cresciuti in violenza e polarizzazione”, ed una soluzione “dialogata e pacifica è sempre più urgente”. La rete sottolinea che, nel primo caso, “i gruppi a confronto avevano stabilito meccanismi di dialogo per costruire soluzioni che garantissero l’unità dell’ejido ed il controllo delle risorse naturali a beneficio dei suoi abitanti”. Questa via negoziata si è interrotta “con l’azione unilaterale, appoggiata dal governo dello stato, di occupare con la forza il botteghino di ingresso alle cascate, reprimere una delle parti nel conflitto e condizionare la liberazione dei detenuti all’accettazione delle condizioni imposte. Invece di privilegiare il dialogo, il governo è intervenuto con la repressione ed ha finito per gestire il conflitto prendendo il controllo della zona”.

Questo metodo “è già stato usato” dai governi di Ruiz Ferro ed Albores Guillén, nella zona Nord e negli Altos. “Il risultato di questa strategia è stato un alto numero di morti, sparizioni, migliaia di sfollati e la distruzione del tessuto sociale. Ripetere questo modo di agire è un grave errore in questi tempi di crescente violenza nel paese”, conclude la Rete per la Pace.

Da parte sua, una carovana di molte organizzazioni chiapaneches di donne, dopo aver visitato nei giorni scorsi i detenuti a Catazajá, ha dichiarato: “La guerra in Chiapas non si può nascondere con promesse né con la guerra contro il crimine organizzato. La violazione dell’autonomia delle comunità fa parte delle strategie attualmente rivolte contro la resistenza organizzata di San Sebastián, Mitzitón, Tila e Chicomuselo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/03/02/index.php?section=politica&article=021n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Nomina del direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas

2 marzo 2011

Il Consiglio Direttivo del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. (Frayba), presieduto da Mons. Raúl Vera López, O.P., dopo un processo di consultazione e riflessione ha nominato Victor Hugo López Rodríguez direttore per i prossimi tre anni. Questa nomina è effettiva a partire da oggi.

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La Jornada – Lunedì 28 Febbraio 2011

Scatena le proteste l’arresto in Chiapas degli avvocati del Centro Digna Ochoa

Hermann Bellinghausen

L’arresto in Chiapas dei tre avvocati del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa e la persecuzione al Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa ha generato numerose proteste su scale nazionale ed internazionale. Circa 25 organizzazioni dell’Altra Campagna, chiedendo la liberazione di questi “prigionieri politici”, fanno gravi denunce: “Il governo del Chiapas, guidato da Juan Sabines Guerrero, applica una politica aggressiva e repressiva mediante l’arresto di membri di organizzazioni e comunità indigene”.

Sostengono che, “mentre la strategia di persecuzione delle comunità zapatiste non si è fermata, agli inizi di questo mese, in chiara violazione dei diritti umani e di qualunque garanzia giuridica”, sono stati fermati ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón. Citano anche il recente attacco a componenti dell’Altra Campagna a Mitzitón “con la complicità delle autorità chiapaneche”.

Segnalano che, “mentre la retorica del governatore è piena di riconoscimenti per lo zapatismo, le sue azioni rafforzano la strategia contrainsurgente contro le sue comunità. Mentre nei discorsi il governatore nega la persecuzione e la repressione, oggi le prigioni si riempiono, per controllare e disarticolare chi lotta in maniera indipendente e si organizza. Mentre il governatore parla della riduzione della povertà, gli agenti operano per controllare e cooptare e contemporaneamente isolare chi in maniera degna e ribelle si rifiuta di essere controllato.

“Il vecchio priismo si è solo rivestito di giallo e rosso per governare alla maniera di sempre: con una mano il potere distribuisce soldi, con l’altra punisce chi si rifiuta di prenderli. Questa strategia di ‘governabilità’ si completa con l’amichevole alleanza col governo federale e l’Esercito”.

Questo 22 febbraio la persecuzione contro il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa si è aggravata. “La sua lotta contro il caro tariffe della luce e per l’autorganizzazione di pescatori, comunità e donne, oltre ad una forte solidarietà con le lotte chiapaneche e nazionali, rappresenta ora uno degli obiettivi di questa politica repressiva. Il Consiglio è diventato un problema per il governo chiapaneco”.

Migliaia di persone si sono unite al consiglio ed ai suoi progetti, come la tortillería autonoma per far scendere il prezzo della tortilla, i corsi sui diritti delle donne, l’auto-organizzazione contro le alte tariffe.

Il Consiglio è uscito per le strade a manifestare il suo ripudio per i continui attacchi contro le comunità zapatiste, per appoggiare la liberazione dei prigionieri politici, così come altre comunità ed organizzazioni aderenti all’Altra Campagna come loro. Per questo, “il governo sa che tenere in prigione i tre avvocati Nataniel Hernández, José María Martínez Cruz ed Eduardo Alonso Martínez Silva significa colpire il Consiglio”.

Oltre a ripudiare “la strategia di criminalizzazione della protesta sociale” del governo chiapaneco “come meccanismo di controllo politico”, la persecuzione delle comunità zapatiste e gli arresti di membri della comunità di San Sebastián Bachajón, le organizzazioni chiedono la liberazione di tutti i “prigionieri politici” arrestati questo mese.

Il pronunciamento è sottoscritto da movimenti in resistenza contro l’autoritarismo di governi perredisti, come quello del Chiapas, che impongono autostrade, miniere, dighe, superstrade o repressione in Guerrero (Consiglio di Ejidos e Comunità Contro la Diga La Parota, Polizia Comunitaria e Radio Ñonmdaa La Palabra del Agua) ed il Distretto Federale (Collettivo Autonomia dei Quartieri di Magdalena Contreras, Fronte dei Popolo dell’Anáhuac-Tláhuac e Fronte Popolare Francisco Villa-UNOPII), così coome il municipio autonomo di San Juan Copala (Oaxaca), Fronte Ampio Contro la Miniera San Xavier (San Luis Potosí) e Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (stato del Messico), tra gli altri. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/28/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Una lezione ed una speranza

Luis Villoro

Per il Subcomandante Insurgente Marcos

da Luis Villoro

Febbraio 2011

Ho accettato con piacere e interesse questo scambio di scritti. Condivido la preoccupazione per la situazione che attraversa il nostro paese ed ammiro, da tempo, quello che sta facendo il movimento zapatista.

Nel 1992, due anni prima della sollevazione zapatista, ho avuto l’opportunità di scrivere un libro dal titolo El Pensamiento Moderno. Filosofía del Renacimiento, edizioni del Fondo di Cultura Economica. Rileggendolo ora, ho trovato grandi affinità con quello che l’EZLN avrebbe detto e fatto più avanti, e questo conferma le nostre coincidenze fin dall’inizio. Quello che allora pensavo oggi è diventato ancor più pertinente ed urgente che mai: l’etica e la giustizia devono stare al centro della vita sociale. Non dobbiamo permettere che politici di tutto lo spettro ideologico le espellano da lì e le trasformino in mere frasi da discorso.

Incomincerò in primo luogo a menzionare la situazione attuale: il dominio del capitalismo mondiale. Questo controlla, con alcune eccezioni, le politiche economiche che determinano la vita delle grandi maggioranze così come i mezzi di comunicazione che vogliono giustificarle. Esprime, insomma, un pensiero di dominazione.

Si tratta, in effetti, di una guerra stabilita dal potere. Si suppone sia diretta contro il narcotraffico e contro il crimine organizzato, ma è una guerra di chi detiene il potere economico senza altro progetto che accrescere i guadagni del capitale.

Guerra dall’alto, morte in basso, come lei afferma. Si esprime in un pensiero di dominazione che potrebbe condurre effettivamente alla distruzione del tessuto sociale, essenza di ogni società.

Questa è, in sintesi, la situazione mondiale. Tuttavia, possiamo segnalare luoghi in cui si scorge l’inizio di una strada verso un mondo migliore. È questa una delle principali ragioni per cui la sua esperienza continua ad essere tanto importante. Lì, in Chiapas, a partire da antiche radici indigene, dalla cosmovisione e dai vostri particolari modi di nominare il mondo, voi avete dimostrato la possibilità di realizzazione anche di valori opposti. Mentre nel capitalismo vige l’individualismo (i sacrosanti diritti individuali) in questa alternativa sorge un altro tipo di valori: valori comunitari che rispettano la persona nella sua individualità e si realizzano in una comunità. Si manifesta così, in tutta chiarezza, “l’etica del bene comune”.

In queste piccole comunità, nel sudest messicano, esiste una nuova organizzazione politica: le cosiddette “Giunte di Buon Governo” (JBG) che cercano di realizzare valori etici differenti ed anche opposti a quelli del capitalismo. Sono valori collettivi basati sull’idea di comunità o comunanza. Di fronte all’individualismo occidentale moderno propizia la proprietà comune che prospera rispetto alla proprietà privata.

Ci dà una lezione anche in ordine giuridico: rispetto alla punizione con la prigione opta per l’assegnazione di un lavoro a beneficio della comunità per scontare la pena, a differenza della reclusione nelle nostre società.

Insomma, contro l’individualismo moderno, si potrebbe ricorrere ad un’altra tradizione precedente già esistente in Indoamerica, la tradizione comunitaria. Questo è un esempio che un altro mondo è possibile rispetto alla modernità occidentale.

Un altro esempio che segna una differenza sostanziale con l’Occidente, per quanto si riferisce ai valori, è la vostra gestione di concetti contrari come vincitore-vinto, buono-cattivo, ecc. Lo spiega molto bene il paradosso della guerra zapatista che lei, Sup Marcos, segnala alla fine del suo scritto e che mette in chiaro che l’obiettivo non è vincere distruggendo il nemico, perché, in realtà, nelle guerre non si può parlare di vincitori o vinti poiché, dal punto di vista umano, per le morti, il sangue versato e la distruzione materiale, entrambe le parti risultano perdenti.

Senza parlare dei sopravvissuti. Come lei dice: “La chiave è nel fatto che la nostra è una guerra che non vuole distruggere l’avversario nel significato classico. È una guerra che vuole annullare il terreno della sua realizzazione e le possibilità dei contendenti (noi compresi)”.

Con riferimento al tema dello Stato nazionale, la cui crisi si avvertiva già da decenni – come dico a pag.153 del mio libro qui citato – “era chiaro che i problemi planetari di allora superavano la sua capacità di risolverli e, d’altra parte, non riusciva ad affrontare le complesse domande delle diverse e particolari comunità, come la crescente attività di nazionalità, etnie, comunità e gruppi sociali che affermavano la propria identità ed esigevano il diritto della diversità dentro l’uguaglianza” (parole, quest’ultime, che mostrano un’indubbia affinità coi postulati zapatisti).

“Con ciò si annunciava un cambiamento profondo nel modo di considerare il posto dell’uomo nell’ordine sociale, che non si delineava più come risultato della volontà maggioritaria di individui uguali, bensì dalla interrelazione complessa tra comunità e gruppi eterogenei. Il potere politico sarà giustificato se sancirà, insieme all’uguaglianza, la differenza.” (Idem)

In quanto al tema tanto reiterato dei “diritti umani che condensano il diritto di ogni persona a realizzarsi pienamente, sembrano ignorare che la persona non può realizzarsi in solitudine; quindi implicano il riconoscimento dei valori specifici di ogni gruppo e comunità; implicano, per esempio, il diritto delle etnie allo sviluppo autonomo della propria cultura e dei propri stili di vita” (pag.154), esattamente il motivo che ha dato luogo alla storica marcia del colore della terra nel 2001, la cui sfortunata e vergognosa conclusione anche lei menziona nella sua missiva.

Tuttavia, gli indiscutibili progressi che abbiamo potuto vedere nelle nostre diverse visite ai Caracoles zapatisti (sedi delle JBG) dal 2003, frutto dell’esercizio della propria autonomia applicata ai campi dell’educazione, salute ed auto-governo, dimostra che un altro tipo di relazione umana è possibile dove governano la fraternità, il rispetto e la fiducia. E dove è possibile esercitare un altro tipo di democrazia più autentica: la democrazia partecipata, tanto distante da quella rappresentativa che noi conosciamo.

In quanto ai processi elettorali ed ai partiti politici, posso dire che non ho nessuna fiducia. Dato che si tratta di etica e giustizia e che è necessario incarnare i valori che ci sostengono, non posso depositare la mia speranza in chi lotta indefinitamente per i suoi piccoli pezzi di potere e tralascia ogni impegno serio di occuparsi del bene comune.

I risultati prima menzionati nella zona zapatista – ed in particolare tra la gioventù – mostrano una realtà assolutamente diversa da quello che i mezzi di comunicazione vogliono mostrarci col loro silenzio circa questo movimento che ha risvegliato un’impressionante solidarietà internazionale. Conosciamo bene la continua distorsione con cui informano e con la quale occultano la costante persecuzione rivolta contro le comunità e basi di appoggio, col fine di modellare l’opinione pubblica e cancellare la sua capacità critica.

Fortunatamente con la tecnologia moderna, sono sorte alternative che stanno cambiando questa realtà: dalle reti sociali fino alle radio comunitarie, impegnate nel portare alla luce quanto taciuto e manipolato dai media di massa, che promettono il recupero del pensiero critico che oggi sembra relegato ad un stato di eccezione.

Infine, posso dire che resta una lezione ed una speranza a chi ha avuto l’opportunità di seguire da vicino la resistenza zapatista negli ultimi 17 anni, così come la trasformazione che hanno apportato nel loro territorio a partire dalla loro autonomia per costruire comunità fraterne dove la paura, che oggi invade l’intero paese, non ha possibilità. Questo costituisce una voce di speranza in momenti come gli attuali in cui il degrado e la violenza sembrano aver offuscato il nostro panorama.

Saluti e avanti.

Luis Villoro

http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/07villoro.pdf

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Scambio epistolare su Etica e Politica

L’etica ha bisogno di un luogo altro per mettere radici e fiorire

Raúl Zibechi

Febbraio 2011:
Don Raúl: Saluti. Abbiamo letto alcuni dei tuoi ultimi scritti e pensiamo di essere in sintonia. Per questo vogliamo invitarti ad unirti e a portare il tuo contributo sul tema Etica e Politica.

Un abbraccio.

SupMarcos

Su invito del SCI Marcos, dall’Uruguay, Raúl Zibechi si unisce con questa lettera allo scambio epistolare su Etica e Politica.

Lettera all’EZLN

Marzo 2011

Per: Subcomandante Insurgente Marcos – Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Da: Raúl Zibechi.

Un abbraccio alle compagne e ai compagni zapatisti da questo angolo del continente sudamericano. E un abbraccio di cuore a quelle bambine e a quei bambini che subiscono la guerra dell’alto, quella guerra alla cui direzione vanno alternandosi conservatori e progressisti, destre e pseudo sinistre che in comune hanno la propria avversione – e timore- a tutti quelli che stanno in basso. Che solamente vengono considerati come masse passive nei loro cortei, che adesso chiamano manifestazioni, e soprattutto nel sacrosanto giorno in cui si accorre alle urne.
Man mano che il mondo, il nostro continente e i nostri differenti modi di stare in basso sono sempre più colpiti dalle molteplici guerre di quelli in alto – la guerra della fame a causa della speculazione sugli alimenti, la guerra del silenzio informativo per cancellarci, la guerra delle politiche sociali per addomesticarci, e la guerra-guerra di pallottole e cannoni per eliminare ammazzando – diventa urgente tracciare “frontiere” tra i più svariati “noi” e “loro”, anche a rischio di trovarci con qualche sorpresa sgradita.
Di fronte ad ogni salto in avanti della rivolta mondiale di quelli in basso, quando moltitudini armate di pietre si scontrano con elicotteri d’attacco e cacciabombardieri, arriva il momento di chiedersi: da quale parte? con chi? Domande a cui si può solo rispondere con il cuore e il più elementare senso di solidarietà umana, anche se tutti i giorni vediamo quelli che occupano i piedistalli in alto fare calcoli di guadagni e perdite, con mediocri motivazioni utili a spiegare qualsiasi cosa perché alcune parole, come diceva León Felipe della giustizia, valgono di meno, infinitamente meno della piscia dei cani.
Quando migliaia e i milioni di persone conquistano le strade, come fecero nel gennaio 1994 in Messico e al Río de la Plata nel dicembre 2001, non bisogna far altro che festeggiare, accompagnare, lasciare le faccende del momento e uscire con loro condividendo allegria e dolore. “E dopo?”, era la domanda che ci facevano a bruciapelo intelligenti analisti e dirigenti di sinistra. Dopo, non si può sapere. L’unica cosa che possiamo dire è: adesso, e basta.
Mentre le acque sono calme, i margini per la speculazione si allargano fino a diventare oceani di discorsi; parole e ancora parole possono essere pronunciate una dopo l’altra, una e un’altra volta, perché non sono legate a fatti, azioni, decisioni, impegni. Sono, diciamo, parole. Come quelle del politico in alto, che rispondono al capriccio e all’interesse individuale.
Ma quando le acque si increspano, quando le onde esplodono in mareggiata, niente resta al proprio posto. I tempi per il calcolo e la speculazione lasciano il passo a risposte quasi automatiche, ed è lì dove ciascuno risponde secondo i valori che ha coltivato man mano. Nelle crisi, come nei naufragi, ci sono solo vie d’uscita collettive, per il semplice fatto che l’opzione individuale non contiene tutti. Questa è la prima lezione che stanno rispolverando le ribellioni che scuotono il mondo.

Un sistema in disfacimento

Possiamo fare tutti gli sforzi intellettuali necessari a comprendere quello che sta accadendo nel mondo. Raccogliere dati, classificarli, analizzarli, rapportarli, sottoporli a verifica, e così via fino a circoscrivere alcune ipotesi su ciò che chiamiamo crisi sistemica, che assomiglia sempre più a un caos sistemico.
Come capire la crisi del sistema? Dicono che ci sono leggi economiche che mostrano tendenze e segnali inequivocabili del fatto che stiamo entrando in un periodo nel quale il capitale incontra limiti per la sua accumulazione. E ci sono altre teorie che dicono che la caduta del capitalismo è inevitabile e che il mondo unipolare, cioè il mondo basato sull’egemonia di un solo paese, gli Stati Uniti, non è più sostenibile.
Secondo alcuni, e possiamo sbagliarci, quella che chiamiamo crisi sistemica, non è né più né meno che un Ya Basta! collettivo, contundente e generalizzato di quelli in basso in tutti gli angoli del mondo. Crisi è: quando donne e giovani, bambini e bambine, contadini e operai, indigeni e studenti, non non tollerano oltre e le loro battaglie si fanno così forti che quelli in alto, i padroni del capitale, cominciano a portare i soldi in posti più sicuri. E quello che provocano è un casino gigantesco nel quale i capitalisti giocano a togliersi i soldi l’un l’altro, perché quelli in basso non si lasciano più derubare e sfruttare tanto facilmente.
Giovanni Arrighi e Beverly Silver, nel loro lavoro che abbraccia cinque secoli di storia del capitalismo, “Caos e governo del mondo“, dicono che questa crisi ha una caratteristica ben diversa da tutte quelle precedenti. Adesso la lotta di quelli in basso è così potente che da sola fa entrare in crisi il sistema. Così è successo in tutta l’America latina dal Caracazo del 1989 fino alla seconda guerra del gas in Bolivia nel 2005 e alla comune di Oaxaca nel 2006. Non sono state le “leggi oggettive” a mettere in crisi la forma di dominio, ma le persone nelle strade che hanno sconvolto il modello neoliberista.
Ciò che chiamiamo crisi sistemica sembra un uragano che ci colpisce tutti e tutte. Non c’è popolo o gruppo sociale che sia al sicuro, e molti degli strumenti che hanno saputo costruire nel corso dei secoli di resistenza sono diventati inutili. Non solo le prime organizzazioni “storiche” di quelli in basso, ma anche una parte delle più giovani, i cosiddetti movimenti sociali si sono trasformati poco a poco in obiettivi essi stessi, in gruppi guidati dalla logica della sopravvivenza. Per inerzia o per quel che sia, una parte di quanto inventato per resistere non sta servendo a resistere in questo periodo in cui tutto si scompone. Perfino il nostro mondo si sta disgregando. Per questo siamo costretti a reinventare i nostri attrezzi di resistenza e i nostri mondi.
Che dire delle teorie, le ideologie, le analisi scientifiche. Le previsioni dei “narratori” sociali e politici assomigliano a quei bollettini meteorologici dove l’unica cosa cosa che azzeccano è dire a che ora spuntano il sole e la luna e tutto il resto è incerto. I “narratori” sociali, come si addice, non si fanno carico dei propri pronostici. Non mettono il corpo insieme alle analisi.
Cosa fa un marinaio quando le mappe di navigazione si mostrano sbagliate, quando le bussole e gli orologi e i sestanti non segnano più con la precisione di un tempo? E cosa fanno i ribelli sociali quando non ci si può aspettare più niente dallo Stato e dalle istituzioni, dai partiti e dalle organizzazioni che parlano di cambiamento e rivoluzione ma in realtà stanno cercando il miglior modo di accomodarsi in questo mondo?
Possiamo confidare nell’etica come supporto e guida dei nostri movimenti, delle nostre scelte e come machete per aprire sentieri?

È possibile unire etica e politica

Gli zapatisti propongono di aprire un dibattito su etica e politica. “È possibile portare l’Etica nella guerra?”, ci chiede il Subcomandante Insurgente Marcos nella sua lettera a Luís Villoro. Possiamo allargare la domanda alla politica. Etica e politica possono andare assieme? La risposta non è così evidente.
Come sarebbe? C’è chi pensa di mettere qualche dose di etica in qualcuno dei partiti che occupano ministeri? E alla Camera dei deputati e dei senatori? Quanta? Fino a riempire quante pagine di discorsi? Quale dovrebbe essere la dosi necessaria di etica per rimuovere decenni di pratiche guidate dal calcolo meschino dei benefici quantificati in incarichi, viaggi e compensi straordinari? È evidente che là in alto l’etica è il convitato di pietra o argomento di conversazione. Sono due dimensioni che vivono in mondi diversi e che non possono dialogare né capirsi.
Una notte fredda del 1995, il comandante Tacho si rivolse alla folla nella piazza di San Andrés per spiegare quello che avevano discusso quel giorno con i rappresentanti del governo durante alcune trattative che alla fine sfociarono negli Accordi di San Andrés. “Ci hanno chiesto di spiegare cos’è la dignità”, disse, provocando un terremoto di risate. Con l’etica accade qualcosa di simile. È o non è, ma non può essere spiegata, anche se ho visto intere biblioteche di libri con la pretesa di analizzarla.
L’etica ha bisogno di un luogo altro per mettere radici e fiorire. E quel luogo è in basso e a sinistra, lì dove è nato poco a poco un altro modo di fare politica, dove la parola è intrecciata alla vita e la vita è fatta di realtà che fanno male, né grandi né piccoli, le realtà quotidiane di quelli in basso. Questa politica altra, quella che nasce nel sottosuolo per restarci, la politica che non cerca scale per arrivare in alto ma ponti per arrivare ad altri in basso, e con tutti quelli in basso cerca di costruire un mondo diverso, questa politica è etica, e solo lei può esserlo.
La barca della politica dell’alto, che è la stessa politica di quelli che vogliono arrivare in alto, vicino al timone ha un bussola enorme che punta sempre verso un nord che si chiama pragmatismo o realismo. Che è l’arte di giocare con gli elementi esistenti, con la “correlazione delle forze” (il frustino più usato delle sinistre in alto), con la reale realtà. Il pragmatico e realista misura con maggiore esattezza la congiuntura, la sventra per levarle tutto il succo possibile, per giocare con lei il gioco di sistemare le pedine degli scacchi sulla scacchiera per i propri interessi nel miglior modo possibile. (Si noti che il politico in alto non fa differenza tra politica ed economia, e utilizza gli stessi concetti in entrambi gli ambiti).
Il politico pragmatico e realista, quando si sollevano i popoli, quando contro i proiettili e i cannoni del tiranno ci mettono il corpo, non si turba per il sangue sparso. Si limita a calcolare a chi può beneficiare e a chi nuocere la caduta del tiranno e il trionfo degli insorti.
Fa i suoi calcoli, con lo stesso fervore e la stessa ripugnante indifferenza con cui conta i voti elettorali.
Rinuncia, per tanto, a creare un mondo nuovo. Che non può essere la semplice disposizione delle pedine esistenti, ma un’altra cosa, un altro gioco. Amministrare le cose che esistono, giocare con le pedine del sistema, implica l’accettare le regole del sistema e quelle regole si chiamano, in secondo luogo, elezioni. In primo, sottostare alla violenza dell’alto, quello che chiamano monopolio-della-violenza-legittima. (Gli zapatisti lo subiscono quotidianamente, è violenza tout court, e non vale la pena dilungarsi ora). La politica altra, la politica etica, rifiuta le pedine e le regole del gioco che vuole farci giocare la politica dell’alto.
Con quali pedine la politica altra prepara il gioco del nuovo mondo?
Nella politica altra, la politica dal basso e a sinistra, non ci sono pedine né gioco, a meno che metterci il corpo si chiami gioco.

Etica è metterci il corpo

Gli zapatisti dicono che il pensiero critico è stato rinviato, nuovamente, dall’urgenza dei calcoli del momento. Al suo posto guadagna spazio il marketing elettorale. Pensare criticamente non è altro che pensare contro se stessi, contro quello che siamo e facciamo; non per smettere di essere e fare, ma per crescere e avanzare. Il pensiero critico non può adeguarsi al luogo cui è arrivato, per quanto interessante esso sia.
Adesso le sinistre e gli “intellettuali Petrobras” (quelli che si fanno finanziare i libri dalle multinazionali progressiste e stampano il logo dell’azienda sulla quarta di copertina), si dedicano ad abbellire le supposte realizzazioni dei governi progressisti. Il loro “pensiero critico” è più che curioso: criticano l’imperialismo del Nord, come se al Sud non esistesse, e l'”estrema sinistra” che, dicono, lavora per le destre. Intere popolazioni sono state soggiogate da Petrobras, così avida di profitti da voler diventare la prima compagnia petrolifera del mondo (già è la seconda). Questi intellettuali parlano di pensiero critico ed emancipazione, come se non sapessero che le aziende che li finanziano sono macchiate di sangue.
Per noi il pensiero critico è sempre stato e sempre sarà autocritica. È il modo di levigare quello che siamo, di migliorarci, di farci migliori, più veri. Non siamo mai soddisfatti di quello che facciamo perché vogliamo sempre andare oltre. Non per smania di perfezionismo né di risalto. Quelli in basso hanno bisogno di quel motore che è la critica/autocritica perché non possono adeguarsi al posto che occupano in questo mondo. Non è un pensiero scientifico nel senso accademico, perché non viene convalidato da altri accademici ma dalla gente comune, quelli in basso organizzati in movimenti.
Il pensiero critico è un pensiero in transito, che non ha vocazione per ancorarsi ma per stare in movimento, non solo con i movimenti. Non è fine a se stesso, perché deve servire ai più per la loro resistenza sempre impegnata ad affrontare nuove sfide. Se no che senso ha il pensiero? Non si aggrappa alle idee che ha formulato in un determinato momento, è disposto a modificarle perché non vuole avere ragione per essere più di altri, ma con tutti.
È un pensiero a cielo aperto, nasce e cresce e sente vicino agli spazi delle resistenze. Non trova posto nelle accademie e negli uffici riscaldati/condizionati, e non dipende da bilanci. Se è vero, se è sincero e impegnato, insieme alle idee e ai ragionamenti ci mette il corpo. Non pensa e invia altri al fronte, come i generali codardi degli eserciti che spendono milioni di dollari in droni, quegli aerei senza pilota che radono al suolo villaggi evitando ogni rischio per la vita di chi attacca. Per chi fa la guerra, è un videogioco: i droni vengono manovrati sugli schermi da un altro continente, per adesso gli Stati Uniti. Per chi la subisce, è il genocidio impersonale.
Il pensiero critico, che è un pensiero etico, non può essere un videogioco dove il politico mette le idee e gli altri il corpo.
Nelle ultime pagine del romanzo di Alejo Carpentier, “Il secolo dei lumi“, Sofia si lancia nelle strade di una Madrid insorta contro le truppe di Napoleone, il 2 di maggio 1807. Esteban cerca di fermarla perché sarebbe stata morte certa: cannoni e fucili contro urla e coltelli. Entrambi uscivano sofferenti dal tradimento degli ideali della Rivoluzione Francese:
– Andiamo là!
– Non essere stupida: stanno mitragliando. Non ci farai niente con quei ferri vecchi.
– Resta se vuoi. Io vado!
– E per chi vai a combattere?
– Per quelli che si sono buttati nelle strade! Bisogna fare qualcosa.
– Cosa?
– Qualcosa!

L’etica come pensiero critico e viceversa

Per navigare a favore di corrente, per lasciarsi trasportare senza sforzo, non serve né pensiero critico né etica. Che senso possono avere la critica e l’etica se tutto consiste nel seguire la corrente? Se il sentiero è già tracciato, come dice la canzone di un amico uruguayano, e non resta che seguirlo, e in più è in discesa, la critica è un impiccio e l’etica, al massimo, un ornamento. La critica ci spinge ad uscire dal sentiero, a cercare pendenze scoscese, a entrare nel fango fino alle orecchie. L’etica non può fare compromessi con il conformismo.
Lo stesso può essere detto di quelle pratiche politiche condotte da dirigenti che concentrano tutto il sapere e il potere e che devono essere seguiti ciecamente. Chi abbia conosciuto da vicino l’esperienza di Sendero Luminoso in Perù, ha potuto constatare che la relazione tra i capi “rivoluzionari” e i militanti di base riproduceva fedelmente la relazione verticale e autoritaria tra i proprietari terrieri feudali e i loro braccianti. Lì non c’è mai stato cambiamento ma mera riproduzione di relazioni di oppressione, basate sul “partito d’avanguardia” i cui timonieri navigavano sospinti dal vento della storia.
“Nulla ha corrotto la classe operaia tedesca come l’idea che essa nuota con la corrente”, scrisse Walter Benjamin nelle “Tesi sulla Storia”. Le donne e gli indigeni, che non erano contemplati in quella Storia grande, hanno fatto il loro cammino contro corrente e per questo si sono trasformati nei soggetti delle proprie vite. Sarà che la politica elettorale è fedele erede di quella tradizione conformista in cui non serve metterci il corpo ma un foglio nell’urna ogni quattro cinque anni?
Nella frase di Benjamin il soggetto non è “essa”, la classe operaia, ma la corrente storica, così come in altre esperienze è il partito o il capo supremo. L’infallibile. Quelli che come me vengono dall’esperienza marxista/maoista ne sanno qualcosa. I soggetti non sono mai stati i contadini in carne ed ossa ma il Grande Timoniere, il Libretto Rosso (o era verde?) o la dirigenza superiore. La gente comune, quella che chiamiamo sempre massa, era quello: materiale blando modellabile dalla dirigenza e/o dalla linea corretta. Nella massa non abbiamo mai saputo vedere persone, non è mai apparso un Vecchio Antonio o una bambina di nome Patricia, uomini e donne veri con pensieri, tradizioni, identità, con le quali potessimo dialogare e dalle quali imparare. I pochi nomi propri che compaiono nei principali racconti del Grande Timoniere, sono personaggi stranieri o ben altri dirigenti dell’alto. Mai la persona comune, mai quelli in basso.
Di conseguenza, ci siamo dedicati a seguire i passi dei “grandi”, di quelli veramente importanti, dei capi storici (maschi, istruiti, abili nel maneggiare la parlata corretta). Ogni frase dei dirigenti era letta e riletta fino a cavarne un senso straordinario, ogni gesto veniva studiato, ogni fotografia scandagliata e quell’esercizio – guardare sempre verso l’alto – ci ha accorciato la capacità di vedere, ascoltare, sentire l’allegria e il dolore di quelli in basso. Di tutti quelli che non avevano un discorso pulito, che non frequentavano i luoghi e le forme del potere. Essi ed esse erano tanto invisibili per i “rivoluzionari” quanto lo erano stati per i funzionari imperiali. (Se mi inoltro in questa tradizione non è perché sia eccezionale, ma perché fa male, ferisce, e mantenerne vivo il dolore è l’unica forma che conosco per non ripeterlo).
Questa dolorosa tradizione arriva fino ai nostri giorni e assume forme molto più raffinate e cortesi, impersonali e scientifiche. Tra gli accademici: cifre e dati oggettivi che nascondono gli esseri umani dietro grafici e statistiche. Non c’è qualcosa in comune tra tutti i modi di fare e di pensare che nascondono il dolore umano?
Se è certo, come dice Benjamin, che la vita quotidiana degli oppressi è uno “stato d’eccezione” permanente, e per constatarlo basta andare in una comunità indigena o in qualsiasi quartiere povero di qualsiasi periferia urbana latinoamericana, sorge un imperativo etico. Non è più possibile pensare criticamente fuori dallo stato d’eccezione, lontano dal luogo dove viene esercitato il potere nudo della violenza fisica. Per prendere distanza, per parlare in nome di quelli in basso, sono state create le agenzie per lo sviluppo. Più in là, il pensiero critico nascerà nelle condizioni che ci vengono imposte dallo stato d’eccezione, o non sarà pensiero critico.
Diranno che così si perde il distacco necessario per poter esercitare la critica. Qui c’è una differenza fondamentale, che è inerente al modo con cui si elabora la conoscenza: da dove e in quali circostanze si parla, si pensa, si scrive. Ci sono due opzioni. O quelli in basso sono un pretesto perché altri facciano politica o elaborino tesi, oppure entrambe si sviluppano in minga, lavoro comunitario, con quelli in basso. “Non vogliamo continuare ad essere le vostre scale”, gridano gli aymara boliviani ai politici dell’alto; a quelli di destra, a quelli di sinistra e adesso anche ai politici “plurinazionali”, l’ultima fauna nata per parassitare i movimenti.
La maggiore ambizione che possiamo avere come militanti, pensatori, scrittori, quel che sia… è smettere di essere quello che siamo. Che gli altri ci superino, ci sorpassino, che diventando pensatori collettivi, scrittori collettivi, militanti che comandano obbedendo, “annullino il terreno della loro realizzazione”, come dice la lettera a don Luís Villoro. Quale gioia più grande di un pensiero che lanciato al vento arrivi a rappresentare i collettivi più disparati, i quali lo amplificherebbero, arricchirebbero e modificherebbero fino a far diventare irriconoscibile la sua origine, diventando così patrimonio di tutti e tutte!
Lascio alcune idee disordinate, scritte al calore della rabbia che provoca l’impotenza di constatare come la ribellione dei popoli cerca di essere negoziata sul mercato degli interessi geopolitici.
Salute agli indigeni del Chiapas che ci insegnano che la paura può essere vinta collettivamente.

Raúl Zibechi
Montevideo, marzo 2011.

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.orghttp://www.caferebeldefc.org/)

.pdf dell’intervento di Zibechi in castigliano qui: http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/09zibechi.pdf

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La Jornada – Domenica 27 Febbraio 2011

Sono nel carcere di El Amate, accusati di sommossa, i tre attivisti catturati in Chiapas il 22 scorso

Svolgevano azione di osservazione per possibili violazioni dei diritti umani

Gli avvocati denunciano l’uso fazioso del sistema giudiziario a scopo di intimidazione

HERMANN BELLINGHAUSEN

I tre giovani avvocati, difensori dei diritti umani, fermati a Pijijiapan (Chiapas) lo scorso 22 febbraio, sono stati rinchiusi nel carcere di El Amate, a Cintalapa. José María Martínez Cruz ed Eduardo Alonso Martínez Silva, del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, così come Nataniel Hernández Núñez, direttore dello stesso, con sede nella città di Tonalá, sono accusati del reato di sommossa.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (CDHFBC) ha espresso la sua preoccupazione per questi arresti, eseguiti mentre gli avvocati realizzavano “attività di osservazione e documentazione di possibili violazioni dei diritti umani da parte delle autorità statali mentre si svolgeva un blocco stradale sulla strada Tonalá-Pijijiapan, nel punto conosciuto come La Pilita”. Inizialmente, la polizia federale e statale aveva fermato mezzo centinaio di manifestanti.

Al blocco, organizzato dal Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, partecipavano diverse comunità dei municipi di Mapastepec, Tonalá e Pijijiapan, nel contesto delle azioni di protesta di molte organizzazioni civili, comunità indigene e contadine per chiedere la liberazione di 10 ejidatarios tzeltales, aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, arrestati all’inizio di febbraio ed attualmente carcerati nella prigione di Playas de Catazajá.

Gli avvocati del Centro Digna Ochoa rinchiusi nel carcere di El Amate, municipio di Cintalapa, sono stati messi a disposizione del tribunale penale con procedimento 34/201. Il giudice ha ritirato le accuse di attentato contro la pace e l’integrità corporale e patrimoniale della collettività dello stato, e mantenuto solo il presunto reato di sommossa.

Il Centro Digna Ochoa da parte sua denuncia che l’arresto dei suoi compagni significa che “continua la criminalizzazione dei difensori dei diritti umani da parte del governo del Chiapas”.

La relatrice speciale sulla Situazione dei Difensori dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che i governi si servono dal sistema giudiziario come strumento di ostilità e punizione contro i difensori dei diritti umani. Secondo loro, la difesa dei diritti umani è un atto criminale, e “normalmente accusano i difensori dei diritti umani di reati contro la sicurezza dello Stato”.

Di conseguenza, il CDHFBC teme l’utilizzo di azioni legali contro i difensori “con l’obiettivo di vessarli giuridicamente e screditare il loro lavoro”. Pertanto, esige dal governo del Chiapas “che rispetti il suo obbligo di mettere fine a tutte le aggressione ed ostruzione al lavoro degli avvocati”.

Ricordiamo che a giugno del 2010, Nataniel Hernández Núñez era già stato oggetto di persecuzione giudiziaria, accusato di “attacco alle vie generali di comunicazione”, in relazione con altre proteste sulla costa chiapaneca. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/27/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 25 febbraio 2011

Arrestati membri del CARZCC e del Centro Digna Ochoa

Terza offensiva ufficiale contro L’Altra Campagna in Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN

Con una nuova operazione repressiva iniziata martedì scorso in Chiapas contro aderenti dell’Altra Campagna, oggi si troverebbero in carcere 16 membri del Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas (CARZCC). Tra gli arrestati ci sono tre avvocati del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, contadini e pescatori di almeno cinque comunità, appartenenti al Consiglio Autonomo Regionale. Dopo le sei del pomeriggio 13 di loro sono stati rilasciati, restano in prigione i giovani avvocati Nataniel Hernández, José María Martínez Cruz ed Eduardo Alonso Martínez Silva. che sarebbero stati trasferiti nel carcere di El Amate o in un domicilio coatto di Tuxtla Gutiérrez.

È la terza aggressione diretta contro L’Altra Campagna dall’inizio di febbraio, dopo il violento sgombero degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, all’entrata delle Cascate di Agua Azul (10 sono ancora in carcere con gravi accuse non provate) e l’attacco dell’Ejército de Dios a Mitzitón, con un saldo di due feriti gravi. Ora, sulla costa dello stato; lì, il CARZCC sta sostenendo una forte resistenza regionale contro gli abusi governativi.

Nel pomeriggio di oggi, il Consiglio Regionale ha sfilato nella città di Tonalá fino alla Procura di Distretto Istmo-Costa, per chiedere la liberazione degli arrestati. La manifestazione è proseguita in serata fino a bloccare per breve tempo la Panamericana.

Come riferisce lo stesso consiglio, lo scorso 22 febbraio “è stata bloccata la strada internazionale nel municipio di Pijijiapan, all’altezza di Las Pilitas, da un gruppo di 300 compagni del CARZCC che manifestavano contro le aggressioni, gli sgomberi e gli arresti avvenuti nella loro regione ed in solidarietà con i compagni di San Sebastián Bachajón e Mitzitón, con i quali condividono un sentimento di fratellanza”.

Quel giorno, verso le 16, “il blocco è stato rimosso perché a Tonalá si stava insediando un tavolo di dialogo con i rappresentanti del governo”.

Un’ora più tardi, mentre i delegati al dialogo tornavano nelle rispettive comunità, “avvenivano gli arresti da parte della PF aiutata dall’AFI, che durante il blocco, con l’aiuto di un elicottero della presunta Protezione Civile, aveva individuato i suoi obiettivi”.

Il consiglio riferisce che i fermi “sono stati indiscriminati ed hanno coinvolto perfino donne e minori, che più tardi sono stati fatti scendere dai camion a suon di spintoni e insulti”. Davanti a questi fatti, il direttore del Centro Digna Ochoa, Nataniel Hernández, insieme a Martínez Cruz e Martínez Silva, si sono presentati al blocco, “per scoprire che quelli del CARZCC erano stati circondati, impedendo loro di tornare a casa”. In quel momento gli agenti di polizia hanno fermato oltre 50 persone trasferendole su otto camion alla Procura Regionale Istmo Costa di Tonalá. Anche se durante il tragitto “lasciavano andare donne e bambini”, alla stazione di polizia sono arrivati anche due minorenni.

Ai fermati, coloni di La Central, Joaquín Amaro, El Carmen, Mapastepec e Tonalá, non sono state rispettate le garanzie legali ed il diritto di difesa, prosegue il CARZCC, “cosa che ha dato origine ad un presidio” per chiedere la loro liberazione. Diciannove di loro sono stati portati al comando di polizia, e 16 sono rimasti in custodia. Dopo ore “di attesa e mancanza di informazioni” si è saputo che gli avvocati dei diritti umani, che non sono stati rilasciati, sono stati accusati di: attacco alle vie di comunicazione, ammutinamento e cospirazione.

Si vogliono criminalizzare i difensori del centro Digna Ochoa come “massimi rappresentanti del movimento”, quando la loro funzione, segnala il consiglio, “è stato proteggere le garanzie delle comunità nel corretto esercizio delle loro funzioni, che dovrebbe essere la regola visti i tempi che corrono, poiché il governo utilizza la vecchia politica di ‘si el mensajero es malo, muerte al mensajero’” .

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada- Venerdì 18 febbraio 2011

Le donne del Chiapas sostengono gli indigeni arrestati dell’ejido di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 17 febbraio. Collettivi di donne indigene organizzate della zona nord dello stato, comprese le appartenenti agli ejidos San Sebastián e San Jerónimo Bachajón, hanno manifestato il loro appoggio ai 10 arrestati di  San Sebastián Bachajón accusati di crimini che assicurano non aver mai commesso, ed hanno rivolto un eloquente messaggio al governo statale per chiedere la loro immediata liberazione.

“Non vogliamo centri turistici sulle nostre terre”, dicono. “Non vogliamo la privatizzazione della terra e delle risorse naturali, né minacce e repressione nelle nostre comunità. Non vogliamo divisioni e scontri per colpa vostra, e neanche la vostra compassione, ma il vostro rispetto. Non potete cacciarci dalle nostre terre, le coltiviamo e le difenderemo perché ci danno da mangiare e da vivere”.

Appartenenti ai collettivi Las Gaviotas, Las Golondrinas, Las Palomas, Las Colibrí, Mujeres de Johosil, ed all’Altra Campagna e donne comuni, le donne tzeltales e choles hanno dichiarato: “Sappiamo degli incidenti del 2 febbraio tra gruppi dell’Altra Campagna e del PRI (e PVEM) per la presa del botteghino per l’ingresso alle cascate di Agua Azul, e del morto, dei molti feriti e 117 fermati, dei quali 10 ora sono in carcere nella prigione di Playas de Catazaja”.

Respingono “la grave repressione contro i nostri compagni e compagne dell’Altra Campagna, e sappiamo che l’obiettivo del governo è comprare tutti e tutte, dividerci e impadronirsi delle nostre terre, ma non lo permetteremo”.

Avvertono il governo del Chiapas che continueranno ad organizzarsi “come donne nella difesa della nostra terra e della nostra dignità”. E gli dicono: “Deve capire che noi viviamo di quello che coltiviamo e la terra è la radice di una vita degna per noi e le nostre famiglie. Vogliamo una proprietà familiare e che le autorità siano del popolo, che rispettino quello che decide il popolo e la sua maniera di organizzarsi”.

In riferimento ai problemi legati alla situazione attuale, che hanno causato la repressione contro gli ejidatarios di San Sebastián perché si oppongono ai progetti di sviluppo turistico e riconversione produttiva, le donne organizzate dicono: “Non vogliamo più l’alcolismo nella nostra comunità, perché genera violenza verso le donne; non vogliamo che il governo dia il permesso di vendere alcool nelle comunità. Esigiamo rispetto e giustizia per i nostri popoli indigeni. Che la smetta di farci firmare accordi per la privatizzazione della terra. Sappiamo che abbiamo dei diritti e li difenderemo. Che smetta di dividerci. Sappiamo che i progetti e i programmi di governo servono per dividere le nostre comunità, affinché tra noi, uomini e donne indigene ci scontriamo”.

La Jornada ha potuto osservare un’alta incidenza di alcolismo e tossicodipendenza nel centro Alan Sacum, uno dei villaggi di San Sebastián Bachajón, dove il gruppo filogovernativo tiene le famiglie sotto la paura, e nei giorni scorsi ha obbligato molte di esse a firmare i verbali che hanno permesso al governo di ottenere un “accordo” sul botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul, cosa che contravviene la volontà degli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna.

I collettivi chiedono il rispetto per le loro forme di organizzazione e decisione: “Non vogliamo che la Procura Agraria ci imponga le autorità nell’ejido. Vogliamo un commissario che rispetti la lotta per la difesa della nostra terra, perché anche i compagni dell’Altra Campagna stanno lottando per difenderla dalla privatizzazione”.

Chiedono che si garantisca il rispetto del diritto delle donne alla terra: “Che si ascolti la nostra parola nelle assemblee, perché la terra è anche nostra: l’abbiamo ereditata dai nostri nonni e nonne ed abbiamo il diritto anche di decidere riguardo ad essa, perché la coltiviamo. Che si fermi la repressione, le vessazioni e la violenza verso uomini e donne, non vogliamo più la presenza di militari e poliziotti nelle nostre comunità. Vogliamo dire al governo che come donne siamo organizzate, siamo forti e non saranno né le minacce né i progetti a fermarla”.

Hanno manifestato per la liberazione dei prigionieri di San Sebastián anche altre organizzazioni comunitarie, quali Pueblos Unidos por la Defensa de la Energía Eléctrica a Tila ed il Consejo Regional Autónomo de la Región Costa, tra gli altri. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/18/index.php?section=politica&article=024n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 17 Febbraio 2011

I genitori Jyri Jaakkola chiedono di far luce sulla sua morte e chiedono al Parlamento Europeo di vigilare

Víctor Ballinas

I genitori di Jyri Jaakkola, attivista finlandese ucciso il 27 aprile 2010 insieme all’attivista per i diritti umani Bety Cariño, quando il convoglio umanitario su cui viaggiavano è stato sulla strada per San Juan Copala, Oaxaca, hanno riferito che funzionari della Procura Generale della Repubblica (PGR) e della segreteria degli Interni e degli Esteri “si sono impegnati a completare l’indagine sull’omicidio a breve termine”.

David Peña, avvocato che si occupa di questi crimini, e il direttore di Amnesty International in Messico, Alberto Herrera, hanno espresso la speranza che l’inchiesta si concluda prima del primo anniversario della morte di Jyry e Bety Cariño, ed hanno chiesto che “questi due omicidi non restino impuniti”.

I genitori del giovane finlandese assassinato nel 2010, hanno detto in una conferenza stampa: “Martedì abbiamo incontrato i funzionari degli Affari Esteri, PGR e di governo, e siamo stati accompagnati dall’avvocato David Peña, da funzionari dell’Ambasciata di Finlandia e dell’Unione europea in Messico per conoscere lo stato delle indagini, ed abbiamo chiesto protezione per i testimoni degli omicidi e per i sopravvissuti all’agguato, perché è cruciale che vengano protetti”.

Eeve e Raimo Jaakkola hanno dichiarato che “chiederanno al Parlamento Europeo di inviare in Messico una missione di ispezione per dare continuità al caso. Ci troviamo in Messico per aggiornare il caso e presentarlo al Parlamento”.

Peña ha ricordato che “dai primi giorni dell’omicidio di Jyri e Bety Cariño, la procura di Oaxaca ha rinunciato alla facoltà di investigare mandado il caso alla PGR. Dai primi giorni di maggio del 2010 dei testimoni hanno dato forza alle indagini, ma vediamo che ci sono problemi di incapacità di indagare da parte della PGR”. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/17/index.php?section=politica&article=021n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Scambio epistolare su Etica e Politica

La guerra, la politica e l’etica

Riflessioni su una lettera

Carlos Antonio Aguirre Rojas

Febbraio 2011:

Don Carlos: Saluti. Le allego la prima lettera di uno scambio epistolare su Etica e Politica. Vogliamo invitarla ad unirsi e a portare il suo contributo su questo tema. Un abbraccio. SupMarcos.

(Ringrazio il SCI Marcos dell’invito a partecipare a questo scambio epistolare su un tema vitale come quello che tratta nella sua bella lettera a don Luis Villoro)

“E si tratta proprio di questo, che la parola vada e venga (…) e non importa se qualcuno la raccoglie e la rilancia (è per questo che sono fatte le parole e le idee)”.

(SUBCOMANDANTE INSURGENTE MARCOS, APPUNTI SULLE GUERRE, FEBBRAIO 2011)

Il contesto di uno scambio epistolare

Il testo del Subcomandante Insurgente Marcos intitolato “Appunti sulle guerre”, pensato per dare inizio ad uno scambio epistolare con Luis Villoro, ha l’esplicita pretesa di suscitare una riflessione più approfondita che ci aiuti a capire “quello che accade in Messico e nel mondo”. E lo fa, in particolare, dal singolare osservatorio dei vincoli che si stabiliscono tra la politica e l’etica, tra l’etica e la politica e, quindi, dal punto di vista di come viviamo oggi e di come assumiamo entrambe le dimensioni della realtà e anche di come da lì si generano le resistenze sociali in generale e la resistenza neozapatista in particolare.

Quindi, per dare la giusta la rilevanza a questo testo, è importante ricordare brevemente la storia che lo precede immediatamente, e da lì le circostanze in cui ora si presenta. Perché dopo il rapido ed enorme successo che ebbe l’iniziativa dell’Altra Campagna, durante il 2006 e il 2007, e come risposta all’imponente costruzione di una vasta Rete Nazionale di molteplici ribellioni che si articolarono nell’Altra Campagna, il governo di Felipe Calderón non trovò altra via d’uscita che quella di moltiplicare e aumentare in maniera considerevole l’attacco e l’aggressione alla basi d’appoggio e alle comunità indigene neozapatiste dello stato di Chiapas, perseguitandole allo stesso tempo attraverso diversi partiti politici (tra questi il PRD di Chiapas), l’azione contro-insurrezionale e ipocrita del governo statale chiapaneco, l’aumento delle truppe e delle attività militari dell’esercito federale, l’azione ogni volta più aperta e provocatoria dei gruppi paramilitari come la OPDDIC e altri simili.

Così, nel dicembre 2007, i compagni neozapatisti decisero di ritirarsi nei propri territori, per riorganizzare le basi d’appoggio e tutte le comunità neozapatiste, in maniera che fossero pronte a far fronte e rispondere, nel caso fosse necessario, a questa nuova e criminale offensiva del governo.

Con ciò, il processo già avviato della discussione e costruzione, dal basso e a sinistra, del Programma Nazionale di Lotta, che dovrà nascere dalle discussioni delle centinaia e migliaia di movimenti, collettivi, gruppi e individui che formano l’Altra Campagna, in quel momento è rimasto semi-posticipato e semi-sospeso, e si è aperto un tempo di attesa, interrotto solo per il Primer Festival de la Digna Rabia nel gennaio 2009 e durato tre anni che, speriamo, finisca ora con questa lettera e con questo sforzo di riflessione su ciò che oggi avviene nel nostro paese e in tutto il mondo.

E sebbene durante questi tre anni l’Altra Campagna abbia proseguito il suo paziente lavoro continuando a sviluppare molteplici lotte locali e regionali e continuando a tessere e alimentare quella diversa e multicolore Rete Nazionale Anticapitalista dei movimenti e delle organizzazioni che lottano in basso e a sinistra, al contrario, il lavoro sulla costruzione del Programma Nazionale di Lotta è diminuito considerevolmente o, in alcuni casi, è stato addirittura sospeso del tutto.

Perciò, è significativo che questo scambio epistolare, pensato per riflettere sulla situazione presente del Messico e del mondo, ruoti attorno alla relazione tra etica e politica. Perché, a nostro avviso, è da questa relazione che può trarre adeguatamente fondamento l’attività dell’Altra Politica rivendicata e sostenuta dall’Altra Campagna, Altra Politica che, riprendendo la costruzione del Programma Nazionale di Lotta e la riarticolazione del movimento nazionale anticapitalista dell’Altra Campagna, ricomincerà speriamo molto presto, con nuova forza ed energia, il processo interrotto poco più di tre anni fa. Per questo, crediamo, è importante pronunciarsi su questa lettera recente scritta dal Subcomandante Insurgente Marcos.

Guerra e politica nel secolo XXI

“E a questo punto, invertendo la proposizione di Clausewitz diremmo che la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi”.

(MICHEL FOUCAULT, PRIMA LEZIONE DEL CORSO AL COLLÈGE DE FRANCE, GENNAIO 1976)

Leggendo le riflessioni contenute nel testo “Appunti sulle guerre”, viene subito alla mente la tesi che postulò Michel Foucault invertendo la classica frase di Karl Clausewitz, nel libro Della Guerra, per affermare che “la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi”. Perché se alla base di tutte le società capitaliste contemporanee – per limitarci solamente ad un unico esempio – vi è una chiara e cruda guerra tra le classi principali opposte di questa società, allora una delle funzioni centrali della politica capitalista sarà precisamente quella di prolungare, occultandola e attenuandola, questa guerra costituente tra sfruttatori e sfruttati, tra oppressi ed oppressori, tra classi e gruppi egemonici e gruppi e settori subalterni di questa stessa società capitalista.

Per questo Foucault afferma che la politica è una sorta di “guerra silenziosa”, o in forma moderata, presentabile e più o meno sopportabile, della suddetta guerra o lotta di classe costituente e originaria. Tesi provocatoria e suggestiva dell’autore de Le parole e le cose, che a nostro avviso è facilmente compatibile con la concezione di Marx sulla centralità strutturale e sul carattere costituente della lotta di classe nell’epoca capitalista, e che nemmeno si allontana troppo dalla tesi sostenuta da Walter Benjamin, quando nel testo Sul concetto di storia afferma che “la tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato d’eccezione’ in cui viviamo oggi è in realtà la regola”.

Allora, se la politica capitalista è stata, per cinque secoli, questo avatar mistificatore e addolcito della guerra reale, dobbiamo chiederci perché e in quali condizioni questa politica è tornata a vestire, in tempi recenti, la sua forma originaria di guerra aperta e spietata. E la risposta a queste domande, dal nostro punto di vista, risiede in un doppio processo che, a partire dalla congiuntura iniziata con il doppio crack del 1968 e del 1973 e arrivata fino al giorno d’oggi, vive l’umanità tutta e l’intero sistema mondiale capitalista, doppio processo della crisi terminale del capitalismo mondiale, ma anche e oltre ciò, tra altri processi fondamentali sottostanti questa crisi terminale, il processo della morte stessa dell’attività umana della politica.

Così, come Marx sostiene in Miseria della filosofia, con la fine del capitalismo termina anche li lungo ciclo della storia delle società divise in classi sociali, e con esso termina anche la lotta di classe stessa come principio strutturale e organizzatore delle società umane. Ma concludendosi la lotta di classe, e scomparendo con essa le classi sociali stesse, scompaiono anche lo Stato e i partiti politici e allo stesso modo le classi politiche di qualsiasi sorta, insieme alla super struttura politica nel suo complesso. Con ciò, il “politico” si estingue per sempre, per essere di nuovo riassorbito dal sociale, sfera da cui derivò in maniera parassitaria 2 mila e 500 anni fa, e da cui finì per separarsi poco a poco.

Entrando così in questa tappa della crisi terminale del capitalismo, entriamo simultaneamente nella tappa della crisi, anch’essa ultima e definiva, della politica in quanto forma di espressione deformata e parassitaria della peculiarità del sociale, e in quanto attività umana in generale. E naturalmente, se assumiamo che il capitalismo è entrato nella sua fase terminale, ciò non significa che collasserà da solo, né che dobbiamo sederci ad aspettare il passaggio del suo cadavere, ma semmai che il nostro impegno di lotta raddoppia e diventa più complesso, poiché adesso non solo dobbiamo lottare per distruggere e seppellire il capitalismo che ancora subiamo a livello mondiale, ma anche lottare per cominciare a generare, qui ed ora, le premesse dei nuovi mondi e delle nuove relazioni sociali con cui dovremo sostituire il capitalismo di oggi in crisi.

Per ciò, questa doppia crisi terminale del capitalismo come sistema storico e della politica come forma classista separata di espressione dello stesso potere sociale, è forse quella che spiega il perché, in tempi più recenti, la politica cominci a degradarsi e perdere pezzi da tutte le parti, oscillando, a seconda delle circostanze storico-concrete di ogni paese, tra la forma cruda e spietata della guerra diretta tra classi e gruppi sociali, e la sua antica forma, sempre meno credibile e sempre più instabile, di guerra silenziosa, attenuata e fino ad un certo punto persino tollerabile e presentabile. Oscillando cioè, rapidamente e instabilmente, dalla politica cruda e guerrafondaia di Bush fino alle guerre ipocrite di Hillary Clinton e Barack Obama, o dal bellicismo ridicolo di Silvio Berlusconi o José María Aznar al bellicismo vergognoso e moderato di Romano Prodi o di José Luis Zapatero.

Oscillazione costante e caotica che nel caso del Messico diventa oltretutto singolare, da un lato per la frode gigantesca del 2006 e per la simultanea illegittimità assoluta di Felipe Calderón, e dall’altro il crescente fermento sociale di contestazione e ribellione delle classi subalterne messicane, quelle che lentamente ma costantemente hanno maturato una situazione che oggi è solo paragonabile alla vigilia del 1810 e del 1910, cioè, a una situazione di un vicino e imminente scoppio sociale di enormi proporzioni.

Così, l’attuale guerra di Felipe Calderón in realtà sono due guerre simultanee, o forse una sola, ma estesa su due fronti molto diversi tra loro. Il primo è quello della guerra contro il popolo messicano, popolo degno e ribelle, organizzato oggi nel movimento pacifico nazionale anticapitalista dell’Altra Campagna, e che si prepara con cura e attenzione all’imminente arrivo dell’anno 2010 storico, non cronologico. Anno 2010 storico in cui l’orologio messicano dovrà mettersi al passo con l’attuale orologio latinoamericano, dove i movimenti sociali degli ultimi anni pacificamente rovesciano presidenti e governi illegittimi e antipopolari, oggi ancora per dar spazio ai tiepidi governi socialdemocratici di Lula, Hugo Chávez, Evo Morales o Rafael Correa, ma molto presto, domani, per instaurare nuovi governi che realmente “comandino obbedendo” a partire dalla logica del vero autogoverno popolare.

Primo fronte della guerra di Calderón, contro tutte le classi sociali e i gruppi subalterni del Messico, che spiega il perché dell’estesa criminalizzazione della protesta sociale e la sistematica politica di diffusione della paura tra la popolazione in generale con lo scopo di inibire il crescente malcontento e l’organizzazione ogni volta maggiore dei popoli del Messico, così come si è reso evidente nelle recenti esperienze di Atenco e della APPO in Oaxaca, e in Chiapas dal 1994, ma anche dei nuovi Chiapas, Oaxaca e Atenco che proprio ora nascono in tutta la geografia messicana e che molto presto dovranno certamente irrompere sulla scena nazionale.

Però, un secondo fronte della guerra attuale di Felipe Calderón, o forse una seconda guerra, è quella che scatena verso altri settori delle classi dominanti, in un contesto dove il dominio di classe stesso comincia a sgretolarsi, arrivando così alla situazione prevista da Lenin in cui “quelli in basso non vogliono più vivere alla vecchia maniera e quelli in alto non possono più conservare e riprodurre quella maniera vecchia di dominio”. Contesto di crisi profonda dei meccanismi di potere sulle classi subalterne, nel quale, inoltre, i diversi settori o frazioni di questa classe dominante messicana si giocano apertamente il controllo dell’affare oggi più redditizio in Messico, e anche in molte altre parti del mondo, che è il business del traffico illegale di droga, nel nostro caso, dal Sudamerica verso gli Stai Uniti e l’Europa.

Poiché dietro il reale bagno di sangue in cui Calderón ha sprofondato tutto il Messico, ciò che si distende è anche la lotta per la costruzione di un possibile monopolio unico e centralizzato, come ogni monopolio, per l’espansione del traffico illegale di droga. E se nel Medio Evo, come ha ben spiegato Norbert Elías, i prìncipi lottavano tra loro all’interno di un cruento e radicale processo di selezione e affermazione del più forte su tutti, diventato poi Re, e che dal suo principato costruì l’allora emergente nuova nazione, subordinando e annettendo tutti i prìncipi e principati vicini, così, oggi i cartelli messicani della droga si combattono per provare a definire chi tra essi potrà essere all’altezza, eventualmente e nell’ipotetico caso che questa lotta possa realmente condurre a ciò, di quel monopolio esclusivo dei circuiti commerciali del narcotraffico che attraversano i territori e le acque del nostro paese.

Lotta o concorrenza “intercapitalista” tra i distinti cartelli messicani, che non si sviluppa solo a livello sociale, pratico e militare, ma anche dallo Stato, nello Stato e attraverso lo Stato dei distinti livelli, corporazioni, gruppi e sfere dell’intero apparato statale messicano. Lotta estremamente violenta, sanguinosa e spietata, vera guerra senza quartiere, secondo fronte della guerra di Felipe Calderón in terra messicana.

E se la politica attuale si trova nella sua crisi terminale, oscillando dalla forma “moderata” e “presentabile” alla forma cruda e spietata della guerra aperta e diretta, questa crisi si esprime allora a tutti i livelli e in tutti i settori che compongono la politica contemporanea permettendoci di comprendere fenomeni mondiali, presenti anche in Messico, come quelli dei governi delegittimati e totalmente separati dalle proprie popolazioni, cosa che oggi si dimostra in maniera clamorosa in tutto il mondo arabo, ma anche e sempre più in Europa e da tempo in America Latina, ecc. E questo avviene insieme allo sviluppo di quello che Immanuel Wallerstein ha chiamato un chiaro “antistatalismo diffuso”, il quale fa in modo che l’insieme delle popolazioni del pianeta non abbiano più fiducia nei rispettivi Stati e nella loro attività anomala, così come nella possibilità di ottenere da essi nuove conquiste o istanze. E tutto questo, al di là dei governi, delegittima la stessa istituzione statale in tutto il mondo.

Però, allo stesso modo e oltre questa crisi dei governi, e ad un secondo livello anche degli Stati, vi sono un disfacimento e un degrado generalizzati di tutte le classi politiche del mondo intero, cosa che in Messico diventa evidente con la vergognosa controriforma indigena del 2001 e che, ad esempio, in Argentina diede vita all’emblematico grido “Andatevene via tutti”, indirizzato precisamente a tutto l’insieme della classe politica argentina. Alla fine, e oltre la crisi di questi tre livelli, si consuma anche la crisi del potere politico stesso e, soprattutto, la messa in discussione radicale della separazione tra potere sociale e potere politico, messa in discussione che avanza per vie molteplici, e che in termini positivi ha prodotto l’inizio della rottura e del superamento di questa separazione, ad esempio, tra i tanti casi, nelle recenti esperienze delle Giunte di Buon Governo neozapatiste, negli Insediamenti dei Sem Terra e anche nei quartieri piqueteros genuinamente autonomi dell’Argentina.

Con ciò, e partendo da questa molteplice crisi dei quattro livelli della politica e del politico, si può comprendere il fatto, segnalato a suo tempo da Gramsci, che nelle condizioni attuali, l’egemonia politica delle classi dominanti traballa e il suo baricentro oscilla, in generale, dalla ricerca soprattutto del consenso all’esercizio, invece, del crudo e brutale dominio oggi.

In questo modo, tutte le classi politiche del pianeta, muovendosi verso una situazione ogni volta più vicina a quella di un “dominio senza egemonia”, come il celebre titolo del libro di Ranajit Guha, fanno in modo che anche il consenso e la fabbrica del consenso si trasformino radicalmente, diventando più fragili, più effimeri, più strumentali e molto più funzionali. Per questo, la filosofia e l’ideologia possono oggi essere sostituite dal lavoro dei mezzi di comunicazione di massa, che non hanno più il compito di creare, come era prima, consensi stabili, più o meno duraturi, validi per periodi di dieci, venti, trenta o cinquanta anni, ma semmai oggi devono solo fabbricare consensi veloci ed effimeri e addirittura, a volte, si accontentano di fabbricare il consenso passivo e momentaneo ma sufficiente delle grandi maggioranze, così che lascino passare senza gran protesta questo o quel torto, questo o quell’errore delle classi dominanti.

Si tratta allora della creazione di un “consenso” effimero o puramente funzionale, valido esclusivamente per una sola azione o, forse, per una breve congiuntura di mesi o pochi anni, come dimostrano a livello mondiale la giustificazione dell’invasione dell’Iraq o, più recentemente, la gestione della crisi di fine 2008, che vogliono farci credere essere terminata, quando appena si trova al suo vero inizio. Ma anche in Messico, come dimostrano le campagne elettorali di turno o le repressioni ad Atenco e Oaxaca nel 2006 o, attualmente, il vergognoso e spudorato favoreggiamento e occultamento della guerra ad alta intensità, del governo di Chiapas e del governo federale, contro le degne comunità indigene neozapatiste.

I limiti della guerra: la resistenza e l’etica

“Il guerriero deve esistere per il bene dell’umanità, per questo vive, per questo muore”.

(ELÍAS CONTRERAS, L’ETICA DEL GUERRIERO, 2006 CIRCA)

La guerra è senza dubbio un affare florido per i fabbricanti di armi, cioè, per il complesso industriale-militare degli Stati Uniti e anche di Inghilterra, Francia, ecc. Anche la distruzione di un paese è un buon affare per quelli che vogliono impossessarsi di quel territorio e riordinarlo a piacimento e secondo i propri interessi.

Tuttavia, al di là di questo complesso industriale-militare, la guerra non è un così buon affare per l’industria multinazionale non militare. Per questo A George Bush succede, circondato da false illusioni, Barack Obama, mentre Tony Blair viene rimpiazzato, senza illusione alcuna, da Gordon Brown. Perché il limite ultimo delle guerre, a rigor di logica capitalista, si attiva nel momento in cui le perdite cominciano a superare i profitti. E allora, quando le “sacche nere” dei propri cadaveri oltrepassano la soglia di ciò è che ancora tollerabile per la maggioranza della popolazione dello stesso stato aggressore, la guerra per il controllo di una nazione diventa difficile.

O anche quando la lotta intercapitalista per il controllo del monopolio di un affare succulento, ad esempio il traffico illegale di droga, comincia a paventare il possibile risultato del totale annientamento di tutte le parti in lotta.

Così come, quando la guerra della classe dominante contro le classi oppresse rischia di spezzare ogni equilibrio possibile e scatenare senza freno la risposta radicale e organizzata delle “moltitudini plebee”.

E anche se è ancora vero che il penultimo capitalista venderebbe la fune per impiccare l’ultimo capitalista, è anche chiaro che oggi, in Messico, un settore sempre più grande della stessa classe dominante, degli imprenditori e dei ricchi messicani, è già stanco della guerra di Felipe Calderón e considera assurda la sua strategia sanguinosa nell’affrontare le dispute intercapitaliste e interclassiste di quella stessa classe dominante nazionale, e anche la sua guerra di criminalizzazione assoluta di qualsiasi forma di protesta sociale.

D’altra parte, il limite della guerra permanente di classe e dei torti, velati o espliciti, della classe dominante verso le classi subalterne è sempre stato e continua ad esserlo oggi quello della resistenza popolare. Resistenza delle classi subalterne che, in Messico come in America latina e in tutto il mondo, cresce giorno dopo giorno come una sempre più degna rabbia mondiale, sempre più organizzata, nell’Altra Campagna come nei movimenti genuinamente antisistemici dell’America Latina e di tutto il mondo.

Per questo, di fronte alla crisi terminale della politica capitalista attuale e di fronte anche al disfacimento progressivo ed evidente della classe politica stessa in generale, la resistenza popolare contrappone e rivendica un’Altra Politica, una politica molto altra, che in fondo e a nostro avviso, non è altro che una forma storica di transizione verso la completa estinzione e scomparsa di qualsiasi politica possibile, verso la morte della politica, sia sotto forma addolcita e ancora presentabile, sia secondo la modalità guerrafondaia e spietata, e anche verso il completo riassorbimento di questa politica e delle sue funzioni legittime da parte del potere sociale e della sfera stessa del sociale in generale.

Un’Altra Politica che, naturalmente, può esistere solo se si unisce nuovamente con l’etica.

Perché la politica stessa, nel suo lungo corso secolare e millenario, dai tempi dell’antica Grecia fino ad oggi, andò poco a poco adottando un carattere di politica classista, allo stesso tempo che si separava dal sociale e si trasformava in una attività sempre più funzionale, pragmatica e strumentale. E questo processo che separa la politica dalla società divorzia in gran parte anche dai criteri sociali, dai principi etici e dalle cosmovisioni culturali più universali, così da far predominare i criteri di efficienza, i principi pragmatici e le concezioni più pratiche e strumentali.

E questi processi, che si dispiegano in tutta la storia delle società divise in classi sociali, si accentuano enormemente e raggiungono il culmine nella società capitalista. Per questo, la politica capitalista è una politica pragmatica, che pensa sia corretto scegliere tra due mali, optando per il presunto “male minore”, essendo inoltre una politica lontana dalle profondità della storia e della memoria, che vengono degradate e trasformate in semplici strumenti di legittimazione del proprio fare, impoverite a memoria e storia ufficiali, cioè, memoria glorificatrice del potere e storia dei vincitori.

Inoltre, e secondo la stessa logica, pensando che sia vero che il fine giustifica i mezzi, difendendo e affermando che è corretto dire che ciò che non è esplicitamente permesso è permesso, la politica capitalista è una politica lontana dall’etica, dalla morale e dalla vera giustizia. Politica capitalista lontana dal sociale, dalla storia e dall’etica, a cui naturalmente si contrappone l’Altra Politica, quella che rivendica apertamente la propria riconnessione e il vincolo stretto con il sociale, con la memoria e con la storia, e anche con la morale e l’etica.

Ma non con l’etica cristiana né con la morale religiosa, piuttosto con l’etica e con la morale popolari, con quello che lo storico Edward Palmer Thompson chiama precisamente “l’economia morale della moltitudine”. Un’etica popolare che è frutto del sapere popolare decantato nei millenni, sapere che, ad esempio, si manifesta nei discorsi e nelle posizioni del Vecchio Antonio e che riproduce anche i codici principali della cultura popolare, così brillantemente spiegati da Michail Bachtin, codici che stabiliscono quello che dal punto di vista delle classi subalterne è accettabile o non accettabile, ma anche ciò che è corretto e non corretto, quello che è etico e al contrario deve essere condannato eticamente.

Etica popolare la cui bussola più importante è quella del principio, a volte rivendicato da Mao Tse Tung, di “Servire il popolo”. O anche, quello che Elías Contreras teorizza per l’etica del guerriero, cioè “esistere per il bene dell’umanità”. Perché, se come stabilì Engels, l’etica e la morale sono sempre costruzioni storiche specifiche e non principi generali dalla validità atemporale, allora, in queste condizioni specifiche della crisi terminale del capitalismo e dell’attuale morte dell’attività politica, l’etica che deve alimentare L’Altra Politica è necessariamente l’etica di servire il popolo, di cercare la sua definitiva liberazione ed emancipazione, di perseguire il bene dell’umanità intera e di essere disposti per essa a vivere e anche morire.

Etica delle classi subalterne che, sulla stessa linea di servire il popolo e cercare il bene dell’umanità, deve sempre anteporre il “noi” all’”io”, superando l’egoismo possessivo del capitalismo e promuovendo, qui ed ora, la ricostruzione di nuovi vincoli comunitari e di nuove forme di comunità. Cosa che, nei fatti, comincia già a materializzarsi nelle Giunte di Buon Governo neozapatiste, in alcuni quartieri argentini di piqueteros, negli Accampamenti e Insediamenti del movimento brasiliano dei Sem Terra, o in alcune comunità indigene radicali dell’Ecuador o della Bolivia.

Morale ed etica di quelli in basso, che rinuncia alle ricompense materiali, ai benefici personali e individuali, materiali e simbolici, per sostituirli con la semplice “appagamento del dovere compiuto”, in una logica che, ancora una volta, cerca di trascendere, qui ed ora, la logica perversa del capitalismo di avere e possedere, affermando di fronte a essa la logica più profonda e duratura dell’essere. Cosa che allo stesso modo diventa realtà già ora nelle diverse esperienze dei movimenti antisistemici dell’America Latina appena sopracitati.

Etica degli oppressi, che ancora deve essere approfondita e sviluppata ampiamente, e che si esprime molto chiaramente, tanto nei sette principi dell’”Etica del Guerriero” copiati nel suo quaderno da Elías Contreras, come anche nei sette principi del Buon Governo neozapatista. Principi che, in maniera diretta, alimentano e articolano non solo l’Altra Politica neozapatista, ma anche l’importante, degna ed esemplare resistenza di quello stesso neozapatismo messicano che ventisette e diciassette anni dopo, non si arrende né si svende, ma con dignità resiste ancora e ancora combatte.

Città del Messico, 7 di marzo 2001.

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.org – http://www.caferebeldefc.org/)

.pdf dell’intervento di Aguirre Rojas in castigliano qui: http://revistarebeldia.org/revistas/numero77/08aguirre.pdf

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La Jornada – Mercoledì 16 febbraio 2011

Felipe Arizmendi: Porterà altri scontri il mancato riconoscimento degli Accordi di San Andrés

Per gli zapatisti sono vigenti, dice il vescovo a 15 anni dalla loro firma

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 15 febbraio. Gli accordi di San Andrés, firmati 15 anni fa, il 16 di febbraio 1996, non devono restare ” congelati”, ha dichiarato il vescovo Felipe Arizmendi Esquivel, che ha chiesto “a tutte le parti di aprire la loroa mente ed il loro cuore e di mettersi nei panni degli indigeni per riconoscere i diritti che spettano loro”.

In unìintervista collettiva, ha aggiunto che i trattati sono delle linee per avanzare, poiché con gli accordi internazionali che il Messico ha firmato su diritti indigeni, la Costituzione federale “ne risulta un poco azzoppata”.

Arizmendi Esquivel sostiene che conflitti come quello successo nei giorni scorsi per la disputa del botteghino alle Cascate di Agua Azul, tra ejidatarios priisti ed aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón – che ha provocato un morto, due feriti e 10 arresti – sono conseguenza dell’inadempimento degli accordi firmati dal governo federale e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) il 16 febbraio 1996.

“Per chi non è dell’EZLN, questi accordi non valgono, anche c’è chi li mette in pratica, anche giuridicamente; ma gli zapatisti li considerano validi, e questo crea confronti che possono arrivare allo spargimento di sangue che tutti deploriamo. Per questo conviene che si riprenda il tema”, afferma il gerarca cattolico.

(…)

Ha aggiunto che “non possiamo pensare che oggi siano assunti come si firmarono allora, perché alcune forze politiche non si fidano e pensano che se si approvassero così come sono questo produrrebbe una frattura nazionale, si legittimerebbero alcuni poteri che danneggerebbero la nazione, e quindi che bisogna discuterli, ma i fratelli zapatisti non hanno mai pensato di fondare un altro paese, ma di essere messicani come tutti, ma riconoscendo che gli indigeni hanno diritti molto particolari per la loro storia e cultura, e noi insistiamo affinché si riprendano quegli accordi come base per continuare nei dialoghi”.

Secondo Arizmendi Esquivel, “la cosa peggiore che può succedere è una rottura totale del dialogo, perché sappiamo che in questo caso si attiverebbero i mandati di cattura che furono sospesi durante i negoziati, ed in questo momento, ufficialmente il dialogo non è sospeso, ma in pausa, ma è per questioni puramente giuridiche; i pratica è come se non ci fosse niente”. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/16/index.php?section=politica&article=025n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 16 febbraio2011

Frayba: Sono state violate le garanzie legali dei dieci indigeni arrestati pera aver difeso le proprie terre

Molti degli accusati delle violenze a Bachajón non erano neppure sul posto quando sono avvenute

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 15 febbraio. Dopo l’arresto formale dei 10 ejidatari che difendevano il loro territorio a San Sebastián Bachajón, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) sostiene che nel procedimento “ci sono state violazioni delle garanzie legali degli arrestati, prigionieri politici perseguiti dal governo di Juan Sabines Guerrero”.

Come documentato dall’organizzazione, Jerónimo Guzmán Méndez, accusato di omicidio aggravato, e Domingo Pérez Álvaro, di tentato omicidio, così come molti degli accusati, “non si trovavano nemmeno sul luogo dei fatti” successi il 2 febbraio alle cascate di Agua Azul, dove ha perso la vita Marcos Moreno García ed è rimasto ferito Tomás Pérez Deara, entrambi del gruppo che aveva preso con le armi il botteghino dell’ejido.

Gli arrestati si dichiarano. Gli altri sono Pedro Hernández López, Miguel López Deara, Domingo García Gómez, Juan Aguilar Guzmán, Pedro López Gómez, Miguel Álvaro Deara, Pedro García Álvaro (con handicap mentale) ed il minorenne Mariano Demeza Silvano, accusati di “attentato contro la pace e l’integrità fisica del patrimonio dello stato e danneggiamenti”.

La Procura Generale di Giustizia dello Stato sostiene che almeno cinque di loro sono risultati positivi al guanto di paraffina, mentre questi negano di aver sparato ed il CDHFBC documenta la “infinità di violazioni processuali e dei diritti umani” compiute dalle autorità.

Rispondendo alla dichiarazione del governo statale che ai detenuti sono stati garantiti i diritti legali, il CDHFBC certifica, tra le altre cose, che l’avvocato d’ufficio Yolanda Álvarez Cruz – che li ha assistiti – è di lingua chol, e l’attuale avvocato, Darío Sánchez Escobar, ignora la lingua di suoi difesi (tzeltal). Inoltre, i testimoni che hanno testimoniato a favore degli arrestati “non sono stati assistiti da interpreti qualificati”, ma da poliziotti municipali in divisa, presentati come interpreti, “cosa che ha intimorito molti”.

Successivamente – aggiunge il CDHFBC – i 10 arrestati “hanno ricevuto pressioni affinché i loro familiari o autorità comunitarie, aderenti all’Altra Campagna, partecipassero ad un ‘tavolo di negoziazione’ promosso dal governatore e dal suo segretario generale di Governo, Noé Castañón León”. Le autorità hanno inscenato questo “tavolo” col piccolo gruppo di filogovernativi dell’ejido di San Sebastián (Chilón) e con i priisti del vicino Agua Azul (Tumbalá). Ad Ocosingo hanno firmato un “patto di civiltà e concertazione per la pace nel Centro Turistico Agua Azul”, escludendo i veri interessati: la maggioranza degli ejidatari di San Sebastián, dove passa la strada su cui sarebbe conteso il pedaggio turistico.

Le dichiarazioni delle persone che accusano i detenuti risultano “non chiare e confuse”. Almeno 25 dei 117 indigeni inizialmente fermati “hanno firmato dichiarazioni senza conoscerne il contenuto, dove (sembra) denunciavano i loro compagni”. Altri affermano che la loro libertà dipendeva dalla firma di quel documento, ed altri ancora, che sono stati minacciati: “Mi hanno detto che se non collaboravo mi avrebbero torturato e infilato la testa in un sacchetto di plastica”.

Gli oltre 100 uomini e donne di San Sebastián rilasciati il 4 febbraio sono stati denunciati e minacciati di venire arrestati “se non desistevano dalla lotta per la difesa del territorio e dalla loro organizzazione sociale e politica attraverso L’Altra Campagna”.

Per il CDHFBC, la cattura e le procedure contro le persone “ingiustamente” arrestate configura “uno scenario di repressione da parte delle autorità del governo dello stato, che priva arbitrariamente della libertà 10 persone per la loro azione politica e sociale a difesa dei propri diritti”.

(…)

Per questo mercoledì, collettivi ed organizzazioni dei diritti umani convocano una giornata di proteste ed azioni su scala nazionale ed internazionale per chiedere la liberazione degli ejidatari dell’Altra Campagna e la fine degli oltraggi nelle loro terre.

Tensione a Mitzitón

A Mitzitón (San Cristóbal) un’altro ejido dove gli indigeni aderenti all’Altra Campagna sono stati aggrediti recentemente da gruppi filogovernativi, il governo assicura che “è tornato l’ordine”. E nelle vicinanze del villaggio c’è una forte presenza di polizia.

I rappresentanti comunitari informano che c’è ancora tensione, perché persone del gruppo evangelico Ejército de Dios minacciano di “sequestrare” le donne per “scambiarle” con i 23 evangelici fermati dalla polizia all’alba di lunedì. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/16/index.php?section=politica&article=025n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 15 febbraio 2011

EZLN: la guerra di Calderón produrrà migliaia di morti e lauti guadagni economici

Marcos discute su chi beneficerà di questo affare e a quale cifra ammonta

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 14 febbraio. Se la guerra di Felipe Calderón Hinojosa (benché si sia cercato, invano, di addossarla a tutti i messicani) è un commercio (e lo è), manca la risposta alla domanda per chi o quale è l’affare, e a che cifra ammonta, perché non è poco quello che è in gioco, sostiene il subcomandante Marcos in uno scritto sulla guerra del Messico dell’alto, diffuso oggi.

Da questa guerra non solo ne verranno migliaia di morti e lucrosi guadagni economici. Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione irrimediabilmente distrutta, spopolata, spezzata, avverte il capo militare dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN): La nostra realtà nazionale è invasa dalla guerra, per il resto persa dal governo perché concepita non come la soluzione ad un problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità. Questa guerra ora distrugge l’ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto sociale.

L’esperienza bellica non solo non è più lontana per chi era abituato a vederla in geografie o calendari distanti, ma incomincia a governare le decisioni e le indecisioni di chi pensava che i conflitti stavano solo nei notiziari e nei documentari di luoghi lontani come Iraq, Afghanistan o Chiapas.

Scambio epistolare

Marcos sottolinea che la guerra si svolge ora in tutto il Messico. Grazie al patrocinio di Calderón Hinojosa non dobbiamo ricorrere alla geografia del Medio Oriente per riflettere criticamente sulla guerra, dice al filosofo Luis Villoro come parte di uno scambio epistolare in corso su etica e politica: Non è più necessario ripercorrere il calendario fino al Vietnam, Playa Girón, sempre la Palestina. E non cito il Chiapas e la guerra contro le comunità indigene zapatiste, perché si sa che non sono più di moda.

Per questo, aggiunge il capo zapatista, “il governo dello stato del Chiapas ha speso un mucchio di soldi per far sì che i media non lo collochino sull’orizzonte della guerra, ma dei ‘progressi’ nella produzione di biodiesel, nel ‘buon’ trattamento degli emigranti, dei ‘risultati’ in agricoltura ed altre storielle ingannevoli passate a comitati di redazione che firmano come proprie le veline governative povere di forma e contenuti”.

L’irruzione della guerra nella vita quotidiana del Messico attuale non arriva da un’insurrezione, né da movimenti indipendentisti o rivoluzionari. Secondo il subcomandante Marcos, viene, come tutte le guerre di conquista, dal Potere. E questa guerra ha in Felipe Calderón Hinojosa il suo iniziatore e promotore istituzionale (e vergognoso).

Calderón “si è impossessato della titolarità dell’esecutivo federale per le vie di fatto”, ma non si è accontentato del supporto mediatico ed è dovuto ricorrere a qualcosa di più per distrarre l’attenzione ed eludere la massiccia messa in discussione della sua legittimità: la guerra. Questo ha suscitato la sfiducia timorosa degli industriali messicani, l’entusiasta approvazione degli alti comandi militari ed il caloroso plauso di chi realmente comanda: il capitale straniero.

La critica a questa catastrofe nazionale chiamata “guerra contro il crimine organizzato”, riflette Marcos, dovrebbe essere completata da un’analisi approfondita dei suoi sostenitori economici. Non mi riferisco solo al vecchio assioma che in epoche di crisi e di guerra aumenta il consumo superfluo. Nemmeno “agli incentivi che ricevono i militari (in Chiapas, gli alti comandi militari ricevevano, o ricevono, un salario extra del 130% per essere in ‘zona di guerra’)”. Bisognerebbe cercare anche tra le licenze, i fornitori ed i crediti internazionali che non rientrano nella cosiddetta “Iniciativa Mérida”.

Ricorrendo a fonti d’inchieste giornalistiche e cifre ufficiali, il comandante ribelle rileva che nei primi quattro anni della guerra contro il crimine organizzato, gli enti governativi incaricati (Segreteria della Difesa Nazionale, Marina e Pubblica Sicurezza – SSP – e Procura Generale della Repubblica) hanno ricevuto dal Bilancio di Spesa della Federazione una somma superiore a 366 mila milioni di pesos (circa 23 miliardi di Euro al cambio attuale).

Il capo ribelle tira fuori cifre inquietanti: Nel 2010 un soldato semplice federale guadagnava circa 46.380 pesos l’anno (2.852 Euro); un generale di divisione 1 milione 603 mila 80 pesos l’anno (98.575 Euro), ed il Segretario della Difesa Nazionale percepiva redditi per 1.859.712 pesos (114.317 Euro). Con il bilancio bellico totale del 2009 (113 mila milioni di pesos per i 4 enti – 6.948.820.000 Euro) si sarebbero potuti pagare i salari annui di 2 milioni e mezzo di soldati semplici; o di 70.500 generali di divisione; o di 60.700 titolari della Segreteria della Difesa Nazionale.

Ovviamente, non tutto quello che è a bilancio viene speso per stipendi e prestazioni. C’è bisogno di armi, attrezzature, munizioni… perché quelle a disposizione non servono più o sono obsolete, aggiunge nell’analisi. “Lasciamo da parte la domanda ovvia di come è stato possibile che il capo supremo delle forze armate, Felipe Calderón Hinojosa, si lanciasse in una guerra (“di lungo respiro”, dice lui) senza avere le condizioni materiali minime per sostenerla, non diciamo per ‘vincerla’..”

Per il subcomandante zapatista, “il principale promotore di questa guerra è l’impero delle torbide stelle e strisce (a conti fatti, in realtà gli unici complimenti ricevuti da Felipe Calderón Hinojosa sono arrivati dal governo nordamericano)”. Stando così le cose, gli Stati Uniti vinceranno con questa guerra locale? La risposta è sì, sostiene.

Lasciando da parte i guadagni economici e gli investimenti monetari in armi, munizioni e equipaggiamenti, il risultato è la distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordino geopolitico che li favorisce.

Marcos lamenta che la guerra (persa dal governo perché concepita non come la soluzione ad un problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità), sta distruggendo l’ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto sociale. E questo, per il potere statunitense, è l’obiettivo da raggiungere.

Ritiene che ad ogni passo di questa guerra, per il governo federale è sempre più difficile spiegare dove stia il nemico. E questo non solo perché i mezzi di comunicazione di massa sono stati superati dalle forme di scambio di informazioni della gran parte della popolazione (non solo, ma anche dalle reti sociali e dalla telefonia mobile); ma anche e, soprattutto, perché il tono della propaganda governativa è passata dal tentativo di inganno allo scherzo. Nello stesso tempo, le “rivelazioni di Wikileaks sulle opinioni dell’alto comando statunitense circa le ‘deficienze’ dell’apparato repressivo messicano (la sua inefficienza ed il suo connubio con la criminalità) non sono nuovi”.

Fin dall’origine, questa guerra non ha una fine ed è persa, perché non ci sarà un vincitore messicano (a differenza del governo, il potere straniero ha sì un piano per per ricostruire / riordinare il territorio), e lo sconfitto sarà l’ultimo angolo dello Stato Nazionale agonizzante: le relazioni sociali che, dando identità comune, sono la base di una nazione. In conclusione, l’identità collettiva del Messico sta per essere distrutta e soppiantata da un’altra.

La versione completa di questo passaggio dello scritto Sulle Guerre si trova on-line. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/15/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 15 febbraio 2011

Paramilitari sparano contro aderenti a Mitzitón, Chiapas

Elio Henríquez. Corrispondente. Mitzitón, Chis., 14 febbraio. Elementi del cosiddetto Ejército de Dios di questa comunità di San Cristóbal de Las Casas hanno attaccato a colpi d’arma da fuoco aderenti dell’Altra Campagna ferendo l’indigeno Carmen Jiménez Heredia.

Gli ejidatari denunciano che diversi uomini “tra le 22 e le 23 di domenica hanno circondato la casa ejidale, la cappella ed il campo di pallacanestro ed hanno sparato contro gli aderenti riuniti sul posto. Ci hanno sparato per ucciderci; la sparatoria è durata 15 minuti e la polizia che si trovava a pochi metri non ha fatto niente”, ha dichiarato uno dei rappresentanti di Mitzitón che ha chiesto l’anonimato.

Ha raccontato che l’aggressione è avvenuta dopo che i membri dell’Ejército de Dios avevano fermato l’aderente Andrés Heredia Hernández, col pretesto di aver insultato un uomo del gruppo avverso, cosa assolutamente falsa.

Ha detto che dopo essere stato fermato, Heredia Hernández è stato picchiato da alcuni uomini che viaggiavano su quattro veicoli, che l’hanno caricato su uno di questi e l’hanno portato nella prigione della comunità stessa gestita dal gruppo, guidato da Francisco Gómez e suo figlio Gregorio Gómez, alleati del gruppo evangelico Alas de Águila, appartenente all’Ejército de Dios.

Come risposta, ha aggiunto, quelli dell’Altra Campagna hanno fermato Miguel Jiménez González che hanno portato nella casa ejidale. Subito, entrambi i gruppi hanno bloccato la strada Panamericana che passa per Mitzitón, a 20 chilometri da San Cristóbal. Lì, a circa 200 metri di distanza gli uni dagli altri, entrambi i gruppi reclamavano la liberazione dei rispettivi compagni.

Qualche minuto dopo sono arrivati dei funzionari del governo statale per esortarli a liberare i fermati e rimuovere il blocco. Noi abbiamo detto che se loro liberavano Andrés noi avremmo fatto lo stesso con Miguel, e così è stato, ma quando abbiamo visto il nostro compagno malmenato la gente era molto contrariata, ha raccontato il rappresentante di Mitzitón.

Ha raccontato che alle 22 si era deciso di portare al’ospedale di San Cristóbal l’indigeno colpito, affinché fosse visto da un medico, mentre si liberava la strada.

Ha dichiarato che quelli dell’Altra Campagna si trovavano nella cappella e sul campo  in attesa del parere medico, quando siamo stati attaccati dai paramilitari dell’Ejército de Dios, che hanno ferito al petto Carmen Jiménez Heredia, di 23 anni, che è stato portato all’ospedale di San Cristóbal.

Nella cappella si trovavano Pedro Raúl López, membro del Consiglio Statale dei Diritti Umani e Luis Aguilar, operatore politico del Sottosegretariato di Governo, che hanno visto sparare i paramilitari.

Il rappresentante di Mitzitón ha dichiarato che perfino un veicolo della polizia è stato colpito da due pallottole. Dopo l’aggressione sono arrivati altri poliziotti che hanno fermato 23 membri dell’Ejército de Dios consegnandoli poi al Pubblico Ministero. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/15/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 14 febbraio 2011

Maderas del Pueblo accusa la Oppdic di vessare gli ejidatari di Bachajón e chiede la fine degli aiuti governativi a questa organizzazione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 13 febbraio. L’organizzazione ambientalista Maderas del Pueblo del Sureste ha denunciato che “le azioni di vessazione e provocazione” contro gli ejidatari di San Sebastián Bachajón (Chilón), che “sono culminate con l’esproprio violento del botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul, sono state perpetrate impunemente da gruppi filogovernativi, appartenenti all’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic)”, o vincolati ad essa.

L’organizzazione civile chiede la “sospensione immediata” di ogni “appoggio e copertura” governativa agli ejidatari filogovernativi ed ai membri della Opddic, e sottolinea: “Non possiamo slegare le azioni repressive del governo statale dagli interessi nazionali e transnazionali per il possesso dei territori indigeni chiapanechi, ricchi di risorse naturali strategiche”. La loro intenzione è “privatizzarle per il lucro miliardario di impresari e politici associati”. Questo “affare” è mascherato “dall’ingannevole schema di ‘pagamento per servizi ambientali’”.

Maderas del Pueblo sostiene che, anche se negato dalle autorità, “il bottino conteso è l’acqua e la bellezza paesaggistica di questa zona”, la ragione di “queste aggressioni impuni”, adducendo “un falso ‘ecoturismo’ (in realtà un turismo elitario d’avventura)”, e sotto la copertura “legale ma illegittima” di Area Naturale Protetta.

L’analisi ricorda la Dichiarazione di Comitán, elaborata dall’ex governatore Roberto Albores Guillén e firmata nel 2006 davanti al notaio pubblico dall’allora candidato perredista Juan Sabines Guerrero, che si impegnava ad includerla nel suo piano di governo. Detta dichiarazione si pronunciava per “costruire una nuova Cancun” nel nord del Chiapas, perché il governo federale “deve impegnarsi a sviluppare nei prossimi anni un programma turistico integrale che comprenda Palenque, Agua Azul, Misol-há, Toniná, Yaxchilán, Bonampak e Playas de Catazajá”.

Nella sua analisi documentale, Maderas del Pueblo riassume che lo scorso 3 febbraio sono stati fermati “in maniera arbitraria” 117 indigeni aderenti all’Altra Campagna, e sono stati oggetto “di gravi irregolarità durante la loro cattura e durante il loro arresto, subendo minacce e maltrattamenti”. Quel giorno, mentre gli ejidatari erano riuniti per concordare una risposta da dare al governo statale “sull’offerta di un tavolo di dialogo”, un gran numero di poliziotti statali “hanno eseguito un operativo a sorpresa con il risultato dell’arresto in massa, inseguendo perfino quelli che cercavano rifugio nelle case dei vicini”.

Felícitas Treue, del Collettivo Contro la Tortura e L’Impunità (CCTI) ritiene che “sono stati violati i diritti all’integrità personale, alla presunzione di innocenza, al giusto processo, garanzie giudiziarie e protezione legale”, e denunciando la “privazione arbitraria della libertà degli ejidatari”, segnala che “tra altre irregolarità, non hanno avuto un avvocato né un interprete qualificato, e sono stati minacciati da poliziotti statali e vessati dal Pubblico Ministero”.

Il CCTI specifica che il 5 febbraio scorso la Procura Generale di Giustizia dello Stato ha liberato 107 ejidatari, ed il giorno 11 è stato decretato l’arresto per dieci di loro, e condivide la preoccupazione per gli ejidatari tzeltales con la Segreteria Internazionale dell’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura (La Jornada, 13-02-11).

Il giorno 6, il governo del Chiapas aveva annunciato un tavolo di de dialogo “tra le parti”, senza la presenzia degli ejidatari dell’Altra Campagna, che sostengono che non è stato rispettato il processo di dialogo interno in corso per la decisione comunitaria. Oltre ad essere stati “violentemente derubati del botteghino da un gruppo di ejidatari filogovernativi”, la polizia occupa le loro terre e dieci indigeni, tra loro un minorenne, sono in carcere nel Centro Statale di Reinserimento Sociale N. 17, con le accuse di omicidio aggravato, tentato omicidio, attentato contro la pace e l’integrità fisica e del patrimonio dello Stato (Istruttoria penale 39/2011) http://www.jornada.unam.mx/2011/02/14/index.php?section=politica&article=019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 14 febbraio 2011

Il Fisco amministrerà il capitale e lo consegnerà in forma equa alle comunità

Abitanti di Chilón e Tumbalá pattuiscono la gestione del botteghino d’ingresso as Agua Azul

Chilón, Chiapas., 13 febbraio. Ejidatari di San Sebastián Bachajón ed Agua Azul hanno firmato il Patto de civiltà e concertazione per la pace, col quale concordano l’installazione del botteghino unico per l’ingresso al sito turistico che sarà amministrato dalla Segreteria del Fisco che darà certezza e trasparenza alla gestione delle risorse, tutto con l’impegno che le entrate saranno suddivise in parti uguali tra i due gruppi. Al tavolo di dialogo dove è stato mostrato il verbale dell’assemblea firmato da 3 mila ejidatario di Bachajón ed Agua Azul, era presente il governatore Juan Sabines (….).  A partire da questo lunedì inizierà la costruzione del nuovo botteghino che sarà collocato al confine dei municipi di Chilón e Tumbalá e che sarà l’unico ingresso al sito turistico delle Cascate di Agua Azul. (…) L’incontro si è svolto in assenza di coloro che si proclamano dell’Altra Campagna, ai quali il governatore Juan Sabines Guerrero ha rinnovato l’invito al dialogo.  Il governatore Juan Sabines ha comunicato di aver istituito un vitalizio alla madre della persona deceduta durante gli scontri del 2 febbraio scorso. (…) http://www.jornada.unam.mx/2011/02/14/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 13 febbraio 2011

Si dichiarano innocenti gli indigeni arrestati in Chiapas per omicidio

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 12 febbraio. In contraddizione con la versione ufficiale che attribuisce loro un omicidio ed altri presunti reati, i 10 indigeni aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón, attualmente detenuti nella prigione di Playas de Catazajá, si dichiarano innocenti. In questo stesso senso si è espressa l’assemblea degli ejidatarios di San Sebastián, che giovedì 10 ha installato un presidio di denuncia al crocevia per le cascate di Agua Azul, e sostengono che “i detenuti sono ostaggi del governo dello stato per obbligarli ad accettare il dialogo”.

Secondo l’assemblea degli ejidatarios tzeltales, “quelli che avevano le armi, erano del gruppo di priisti, con Carmen Aguilar Gómez e suo figlio, ed i suoi compagni, che ci sparavano addosso, e loro dichiarano che c’è stato un morto e dei feriti dando la colpa ai compagni dell’Altra Campagna”.

Nei fatti, successi lo scorso 3 febbraio, effettivamente ha perso la vita Marcos Moreno García, del gruppo priista che il giorno prima aveva preso con la forza la cabina di riscossione di accesso alle cascate. Poco dopo erano stati “fermati” dalla polizia 117 ejidatarios dell’Altra Campagna, con un misto di minacce ed inganni. Questi negano di avere ucciso (né sparando, né in altro modo) Moreno García. E denunciano di essere stati torturati.

Dalla fine di gennaio gli ejidatari denunciano minacce del gruppo priista (minoritario e senza rappresentanza legittima), che avrebbe preso la cabina di pedaggio che l’ejido gestisce dal 2008, e che è stato già causa di conflitti e repressioni poliziesche. La minaccia si è compiuta il 2 febbraio. Il giorno seguente gli ejidatari dell’Altra Campagna hanno tentato di recuperare il posto e sono stati affrontati dagli invasori, che come in altre occasioni contavano sul sostegno di poliziotti municipali e statali.

Dal carcere n.17, a Catazajá, gli indigeni formalmente arrestati sostengono che a provocare le violenze è stato il gruppo del “secondo commissario ufficiale” Francisco Guzmán Jiménez (Goyito), “e sono stati loro a bloccare la strada”. Bisogna ricordare che questo gruppo, filogovernativo, serve da punta di lancia per il progetto turistico privato Visión 2030, che comprende lo stabilimento balneare dell’ejido Agua Azul ed i terreni di San Sebastián.

Riferiscono che il giorno 3 gli ejidatari dell’Altra Campagna si erano riuniti vicino al crocevia: “I gruppi legati ai partiti avevano abbattuto degli alberi per impedirci di passare ed andare a recuperare la cabina di riscossione. Qualche ora dopo siamo stati circondati da centinaia di poliziotti e ci hanno chiesto se volevamo discutere della cabina, ma gli ejidatari hanno risposto di no”.

I comandanti di polizia hanno deciso che “se non volevamo parlarne era meglio portarci in un ‘posto sicuro’”. Così, gli indigeni sono stati obbligati “a mettersi in fila e salire uno alla volta su due autobus, su uno sono saliti 58 ejidatarios e sull’altro 59 e, trattati come animali siamo stati portati a Palenque, nella colonia Pakalná”. Lì “quelli che non capivano lo spagnolo” sono stati torturati.

In carcere attualmente si trovano Mariano Demeza Silvano (minorenne), Domingo Pérez Álvaro, Pedro Hernández López, Miguel López Deara, Domingo García Gómez, Juan Aguilar Guzmán, Pedro García Álvaro, Jerónimo Guzmán Méndez, Pedro López Gómez e Miguel Álvaro Deara.

Questi erano stati portati alla Procura Distretto Selva per rilasciare le loro dichiarazioni, come il resto dei fermati, “e siccome hanno visto che sapevamo un po’ leggere e scrivere, i Pubblici Ministeri insistevano che mettessimo per iscritto su un foglio il nome del colpevole dei fatti successi il 2 febbraio, ed uno di noi ha detto che non lo sapevamo perché quel giorno eravamo al lavoro” (pertanto, alcuni degli inquisiti non si trovavano nemmeno sul luogo dei fatti).

Jerónimo Guzmán Méndez, “uno degli ultimi ad essere stati ascoltati”, come altri suoi compagni, non ha avuto un adeguato interprete legale e gli sono state attribuite dichiarazioni false senza possibilità di smentirle, in uno scritto che “pur di accusarlo, gli hanno dato la colpa di tutto quanto è accaduto, ed è anche scritto che non sa parlare castigliano, né scrivere”. Gli ejidatari concludono definendosi “prigionieri politici in difesa delle nostre terre”. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/13/index.php?section=politica&article=019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 7 febbraio 2011

Il Frayba accusa il governo di criminalizzare L’Altra Campagna

Elio Henríquez. Corrispondente . San Cristóbal de Las Casas, Chis., 6 febbraio. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha documentato “violazioni al giusto processo” durante il fermo dei 116 indigeni dell’Altra Campagna del municipio de Chilón, nel centro turistico delle cascate di Agua Azul, 10 dei quali sono stati arrestati la notte di sabato come presunti omicidi e rinchiusi nel Carcere di Playas de Catazajá.

In un comunicato, segnala che secondo le testimonianze degli indigeni, è falsa la versione ufficiale secondo la quale avrebbero bloccato la strada San Cristóbal-Palenque e che ci fossero 17 turisti in ostaggio.

L’organizzazione presieduta dal vescovo di Saltillo, Coahuila, Raúl Vera López, sostiene che i fermati non sono 116, come assicurato dalla Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE), bensì 117, quindi le persone liberate sabato sono 107, tra queste un minorenne.

Sostiene che le autorità statali “perseguono e criminalizzano gli ejidatarios, aderenti all’Altra Campagna, ogni volta che sono loro stessi ad essere aggrediti e derubati in maniera violenta della cabina di riscossione da parte di un gruppo numeroso di ejidatarios priisti”.

Aderenti e priisti dell’ejido San Sebastián Bachajón, Chilón, si sono scontrati il 2 febbraio scorso ad Agua Azul – a circa 150 chilometri da questa città – per il controllo della cabina di riscossione, con risultato di un morto ed almeno due feriti, militanti del PRI.

Il Frayba afferma che “il fermo delle 117 persone è avvenuto il 3 febbraio, alle 11:30 circa, quando il gruppo di ejidatarios si trovava in strada, all’altezza dell’entrata alle cascate di Agua Azul, per concordare la risposta da dare al governo statale riguardo l’offerta di dialogo e negoziazione che gli operatori politici della zona avevano presentato loro”.

Citando gli aderenti, aggiunge che erano in riunione quando “si sono avvicinati circa 300 poliziotti che hanno lanciato un lacrimogeno che è caduto in una dalle pentole di fagioli che stavano cuocendo, e poi un comandante del corpo si è avvicinato per chiedere la risposta”, che è stata negativa, nel senso di non accettare il dialogo proposto dal governo.

Segnala che “la risposta negativa degli ejidatarios era dovuta al fatto che prima avevano denunciato pubblicamente i piani del governo statale di creare uno scenario di scontro per reprimere e poi gestire il conflitto, prendendo il controllo definitivo della zona, perché ci sono interessi territoriali strategici di investimenti turistici e di esproprio contro le comunità che abitano in questo luogo”.

“Sulla base delle informazioni documentata che possiede, questo Centro conferma le violazioni al giusto processo che tutte le persone fermate hanno subito, consistenti nel non avere un avvocato o un rappresentante legale, né un traduttore, tra le altre. È chiara l’azione repressiva del governo dello stato, il quale agisce insieme alle autorità ufficiali (priiste) per segnalare e fermare in maniera arbitraria gli ejidatarios aderentiall’Altra Campagna”, conclude. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/07/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 4 Febbraio 2011

Gilberto López y Rivas

Il piano della campagna del 1994 contro l’EZLN

In tempi di rilevazioni di documenti degli ambiti del potere, recentemente mi è passato per le mani un testo importante per capire la prospettiva strategica e le azioni tattiche dei militari messicani di fronte alla storica sollevazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale iniziata il primo gennaio del 1994. Si tratta della campagna del comando generale della VII Regione Militare della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena) di stanza a Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, datato ottobre di quell’anno.

Redatto da chi ostentava il nome in codice S-3 e con il lasciapassare del comandante della VII Regione Militare e del generale segretario della Difesa Nazionale, il piano stabilisce che l’obiettivo strategico-operativo è distruggere la volontà di combattere dell’EZLN, isolarlo dalla popolazione civile, ottenendo l’appoggio di questa a beneficio delle operazioni, mentre l’obiettivo tattico è distruggere e/o disorganizzare la struttura politica militare di quell’organizzazione. In tutto il documento si usano i termini di “sovversivi”, “trasgressori della legge” e “sovvertitori dell’ordine” riferiti agli zapatisti o alla sigla E.Z.L.N. Al riguardo, in quegli anni, e nella mia qualità di membro della Commissione di Concordia e Pacificazione, ricordo le ripetute affermazioni dei militari dei ranghi superiori: “in Messico c’è solo un esercito, quello messicano!”

Dopo aver esposto i propositi centrali del piano, i dirigenti dell’alto comando stabilivano quanto segue: evitare un conflitto internazionale con il Guatemala, gestire i rapporti con i mezzi di comunicazione a beneficio delle forze armate e limitare gli effetti negativi capaci di sviluppare le organizzazioni dei diritti umani e gli organismi non governativi, nazionali ed internazionali. Per fare ciò, si devono svolgere in forma coordinata azioni tattiche, di intelligenza, psicologiche, di questioni civili, tra le altre, ed una che richiama potentemente l’attenzione di chi denunciava allora l’appoggio della Sedena ai gruppi paramilitari: l’assistenza e l’organizzazione delle forze di autodifesa. Su questo argomento, si esplicita quanto segue: “Organizzare segretamente alcuni settori della popolazione civile, tra altri, allevatori, piccoli proprietari ed individui caratterizzati da un alto senso patriottico (sic), chi saranno impiegati agli ordini e a sostegno delle nostre operazioni”. Più avanti si citano allegati di riferimento che però non sono inclusi nel documento; il contenuto di uno di questo era il seguente: “Descrive attività dell’Esercito nell’addestramento ed appoggio delle forze di autodifesa o di altre organizzazioni paramilitari, che può essere il principio fondamentale della mobilitazione per le operazioni militari e di sviluppo. Comprende inoltre la consulenza e l’aiuto che si presta ad altre dipendenze del governo ed a funzionari governativi locali, municipali, statali e federali. Nel caso non esistessero forze di autodifesa, è necessario crearle”. Infine, per chi si affannava a negare la validità della nostra denuncia alla PGR riguardo all’esistenza di gruppi paramilitari addestrati ed appoggiati dall’Esercito, il piano sostiene: “Le operazioni militari includono l’addestramento di forze locali di autodifesa, affinché partecipino ai programmi di sicurezza e sviluppo”.

La lista degli alleati degli zapatisti o dei settori da neutralizzare con mezzi diversi e le misure da prendere, secondo i militari, è significativa: “In coordinamento col governo dello stato e le altre autorità, si dovrà applicare la censura ai diversi mezzi di diffusione di massa (…) I principali mezzi ad usare (per i trasgressori) continueranno ad essere la stampa nazionale e straniera, gli organismi non governativi, organizzazioni di sinistra e religiose che propugnano la teologia della liberazione”. Per la campagna offensiva si ordina: “1. – La sospensione delle garanzie individuali nell’entità: a) sgombero forzato della popolazione sotto l’influenza zapatista verso rifugi o zone di rifugio ufficiali; b) neutralizzazione dell’organizzazione e dell’attività della Diocesi di San Cristóbal del Las Casas; c) la cattura e arresto di messicani identificati con l’E.Z.L.N; d) la cattura e l’espulsione di stranieri perniciosi; (…) g) la morte o il controllo di bestiame equino e vaccino; h) la distruzione di semine e raccolti; i) l’impiego dell’autodifesa civile…1. – la rottura delle relazioni di appoggio esistenti tra la popolazione ed i trasgressori della legge”.

Anche la visione castrense dell’EZLN come organizzazione, nell’ambiente politico e militare, richiama l’attenzione: “L’auto-denominato E.Z.L.N, come ogni organizzazione maoista (sic), è costituita da una direzione politica, dalle forze armate e dalle organizzazioni di massa”, le quali sono: “la parte fondamentale ed il più importante elemento della strategia maoista, (e) si struttura con organizzazioni reali o di facciata, nei settori: magistrale, studentesco, popolare, lavorativo, etnico, religioso, contadino ed altri. In queste organizzazioni operano i comandi, le milizie messicane e le guerriglie locali”. Per l’aspetto militare dice che l’EZLN è organizzato con un comando generale, col suo stato maggiore, opera su tre fronti: nord, centro e sud, ognuno con un reggimento ed i rispettivi battaglioni, oltre ai comandi urbani e rurali (forze speciali scelte), guerriglie locali e milizie messicane, dando numeri precisi dei membri di ognuno di essi.

Il piano di questa campagna prova che, mentre il governo messicano fingeva di avviare il dialogo con i maya zapatisti, i militari spiegavano la fallita strategia di annichilimento che Zedillo ordinava il 9 febbraio 1995. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/04/index.php?section=opinion&article=025a1pol

Al compagno Samuel Ruiz

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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121 Arresti ad Agua Azul.

La Jornada – Venerdì 4 Febbraio 2011

Sgomberato il presidio dell’Altra Campagna sulla strada Ocosingo-Palenque

121 indigeni arrestati dopo gli scontri con i priisti

Elio Henríquez

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 3 febbraio. Vicino a mezzo migliaio di poliziotti statali e federali, appoggiati da elementi dell’Esercito Messicano, hanno sgomberato centinaia di indigeni del municipio di Chilón, aderenti all’Altra Campagna, che bloccavano la strada Ocosingo-Palenque, ed hanno arrestato 121 persone, hanno comunicato fonti non ufficiali.

Gli indigeni avevano bloccato la strada in segno di protesta perché decine di priisti dello stesso municipio di Chilón mercoledì scorso avevano tolto loro il controllo della cabina di riscossione al sito turistico delle Cascate di Agua Azul, ad oltre 150 chilometri da questa città, controllo che mantenevano da due anni.

Secondo alcuni informatori, autorità statali e federali alle ore 10 di giovedì hanno trasferito per via aerea 17 turisti di Stati Uniti, Francia, Argentina e Messico, che non erano riusciti a lasciare il sito.

 

Un morto e due feriti

 

Membri dell’Altra Campagna, abitanti dell’ejido San Sebastián Bachajón, nel municipio Chilón, si erano scontrati con i priisti del luogo per il controllo della cabina di riscossione per entrare nel sito turistico; negli scontri c’è stato un morto (Marcos Moreno García), due feriti (Tomás Pérez de Ara ed un’altra persona di cui non si conosce il nome), militanti del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI).

Le autorità statali in un comunicato hanno dichiarato che l’operativo congiunto per il ritiro dei manifestanti è stato realizzato in maniera “pacifica”, e conformemente al “protocollo degli sgomberi”. Aggiungono che la Procura Generale di Giustizia del Chiapas, su mandato della Procura del Distretto Selva, ha avviato l’istruttoria numero 80/SE74-T2/2011 “per determinare i responsabili dei reati di omicidio, lesioni, danni, privazione illegale della libertà ed attacco alle vie di comunicazione”.

Sottolineano che il sito turistico è stato recuperato ed è protetto da elementi della Polizia di Pubblica Sicurezza e Protezione Civile, che la comunità di Agua Azul “è tornata alla normalità, e si mantengono le misure preventive corrispondenti, come il rafforzamento della presenza delle forze dell’ordine”.

Dichiarano che i 121 fermati sono stati portati a Palenque affinché rilascino le loro dichiarazioni al pubblico ministero e siano sottoposti alla prova del guanto di paraffina.

Il priista Francisco Guzmán, presidente del commissariato ejidale di San Sebastián, ha assicurato che, come rappresentante del gruppo, seguirà le vie legali per risolvere il conflitto, e che era programmata un’assemblea per il 18 di questo mese, allo scopo di decidere “che strada prendere, ma un gruppo di ejidatarios non ha aspettato” ed ha deciso di prendere la cabina, perché si devono riscuotere ancora 190 mila pesos di imposte.

Alla radio locale Guzmán ha detto che i suoi compagni sono tranquilli “perché hanno cacciato quelli dell’Altra Campagna; ci sono 120 arrestati che si trovano a Palenque. Le autorità sono intervenute grazie al governatore Juan Sabines Guerrero”. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/04/index.php?section=politica&article=023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Un morto e feriti in Chiapas.

La Jornada – Giovedì 3 febbraio 2011

Scontro tra indigeni in Chiapas: un morto e due feriti

Elio Henríquez

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 2 febbraio. Un morto e due feriti è il risultato dello scontro avvenuto questo pomeriggio tra indigeni aderenti all’Altra Campagna ed un gruppo priista per il controllo della cabina di riscossione all’ingresso del sito turistico delle cascate di Agua Azul, municipio di Chilón.

Una fonte ufficiosa rivela che il problema era sorto nella mattina, quando ejidatarios priisti di San Sebastián Bachajón, Chilón, avevano sgomberato in maniera “violenta” gli aderenti che da due anni tenevano sotto il loro controllo la cabina di riscossione.

Aggiunge che nel pomeriggio questi ultimi si erano organizzati per tentare di recuperare la cabina e questo ha generato lo scontro che ha lasciato diversi feriti che sono stati trasportati all’ospedale di Palenque.

Ha inoltre detto che sul posto è deceduto il priista Marcos Moreno García, di 26 anni, mentre Tomás Pérez di Ara è in gravi condizioni. Un altro indigeno, il cui nome non è stato fornito, è ferito alla testa da una pietra lanciata con una fionda, ed è ricoverato.

La fonte ha raccontato che poco dopo l’inizio degli scontri è arrivata la polizia statale per tentare di ristabilire l’ordine, ma la situazione questa notte era molto tesa.

Non è stato detto se gli aderenti hanno recuperato il controllo della cabina di Agua Azul – che si trovano a più di 150 chilometri da questa città – o se la polizia l’ha protetta.

Prima dello scontro gli aderenti dell’Altra Campagna in un comunicato avevano informato che: “noi come organizzazione non facciamo provocazioni e tanto meno insultiamo nessuno; stiamo lavorando e cercando altre alternative per proteggere le nostre risorse naturali e costruire l’autonomia interna, ma questi delinquenti (i priisti) agiscono agli ordini degli funzionari del governo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/02/03/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PROCESO – 1 Feb 2011
http://www.proceso.com.mx/rv/modHome/detalleExclusiva/87963

Militari colpiscono attivisti che protestano per la visita di Calderón alla tomba di Tatic

Isaín Mandujano

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 1 febbraio (apro).- Elementi dello Stato Maggiore Presidenziale (EMP) hanno picchiato due attivisti chiapanechi che protestavano durante la visita che questo pomeriggio ha effettuato il presidente Felipe Calderón alla tomba del vescovo emerito di San Cristóbal, Samuel Ruiz García, scomparso lo scorso lunedì 24 gennaio.

Come se non bastasse, i militari hanno anche aggredito un cittadino argentino che era intervenuto per far cessare il pestaggio contro l’attivista Concepción Avendaño Villafuerte ed il suo compagno Rusbel Lara González.

Intorno alle 17:15, protetto da uno spettacolare dispositivo di sicurezza, Calderón ha visitato la tomba di Tatic Samuel Ruiz nella cattedrale di San Cristóbal, dove ha posto una corona di fiori. Al termine dell’atto, alcuni attivisti seguaci del vescovo emerito hanno chiesto al presidente “di pregare per i 30 mia morti della sua amministrazione”.

Calderón era in visita nello stato per girare alcuni filmati promozionali sulle ricchezze naturali del paese ed ha inserito in agenda una visita alla cattedrale di San Cristóbal de Las Casas. Il sontuoso dispositivo di sicurezzaha disturbò gli abitanti del luogo e circa 40 persone che si trovavano in cattedrale.

Calderón Hinojosa è arrivato nella cattedrale di San Cristóbal, guidata da Samuel Ruiz per 40 anni e dove ora riposano i suoi resti, accompagnato dalla moglie Margarita Zavala e dal governatore del Chiapas, Juan Sabines Guerrero con la moglie, Isabel Aguilera.

I mandatari sono stati ricevuti dal vescovo della Diocesi di San Cristóbal, Felipe Arizmendi Esquivel, dal parroco della cattedrale Eugenio Figueroa, e da José Ruiz García, l’unico fratello vivente del vescovo emerito. (…)

All’interno della cattedrale c’erano circa 40 fedeli in attesa della messa delle sei del pomeriggio per la novena a Tatic, ed alcuni giornalisti ai quali è stato impedito di scattare fotografie.

All’esterno della cattedrale Concepción Avendaño Villafuerte ha gridato a Calderón “chiedi a Tatic di pregare per i 30 mila morti del tuo regime!”.

Immediatamente, elementi dello Stato Maggiore Presidenziale hanno preso Avendaño Villafuerte iniziando a picchiarla. Lei ha cercato riparo nel suo compagno, Rusbel Lara Gonzalez, che è stato anche lui picchiato ed allontanato.

Intervistata, l’attivista ha dichiarato di essersi sentita offesa dalla visita dei due personaggi politici.

Durante l’aggressione è intervenuto un turista argentino gridando che lasciassero in pace  Avendaño Villafuerte, dicendo che non avessero smetto di picchiarla, tutta la comunità internazionale sarebbe venuta a conoscenza di questa aggressione. Questo è bastato perché i militari picchiassero violentemente l’argentino che dopo essere stato sbattuto contro un muro è stato prelevato. Fino a questa notte non si ignora dove si trovi.

Avendaño ha ricordato che per Samuel Ruiz non ci sono mai state guardie del corpo che si interponevano tra lui e la sua parrocchia, ed ha criticato che fin dal suo funerale è stato evidente la volontà di sottrarre l’accesso alla tomba del vescovo ai suoi fedeli. L’attivista questo pomeriggio si è recato alla Procura Generale di Giustizia dello stato (PGJ) per presentare una denuncia penale per lesioni ed abuso d’ufficio contro gli elementi dello Stato Maggiore Presidenziale.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Sabato 29 gennaio 2011

Raúl Vera López è il nuovo presidente del Frayba

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 28 gennaio. Il consiglio direttivo del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha designato come presidente il vescovo Raúl Vera López in sostituzione del Vescovo emerito Samuel Ruiz García, morto lo scorso lunedì.

La ricchezza e l’esperienza acquisite dal centro in 22 anni di lavoro grazie alla forza che Samuel Ruiz la lasciato nel cuore di moltissime persone serviranno ora per lottare per la vita e la pace in un contesto nazionale di guerra e violenza, ha affermato Vera López.

“Vogliamo proiettare, assumere e sentirci responsabili del Messico che oggi dobbiamo costruire e contribuire alla speranza che una società nuova è possibile”, ha aggiunto il presidente entrante del Frayba, la cui nomina è stata annunciata venerdì in conferenza stampa.

Negli uffici del centro, accompagnato da Diego Cadenas Gordillo, Felipe Toussaint e da altri dirigenti, Vera López – attuale vescovo della diocesi di Saltillo, Coahuila – ha ricordato che da mesi era vicepresidente del Frayba, ma che ne era già membro come coadiutore di Ruiz García nella diocesi di San Cristóbal, dal 1995 al 1999.

Ha aggiunto che il Tatic (padre, in tzeltal) ha creato il Frayba nel 1989 per difendere i diritti dei fratelli indigeni dalla crescente repressione ufficiale, ed ora lotterà anche per sradicare la barbarie, secondo lo spirito, il lascito di speranza ed i principi pastorali di Ruiz García, che affermava che “una società giusta è possibile perché la stiamo costruendo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/01/29/index.php?section=politica&article=003n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Giornalisti aggrediti.

La Jornada – Sabato 29 gennaio 2011

Poliziotti di San Cristóbal de las Casas minacciano i giornalisti, che presentano esposti

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, 28 gennaio. Poliziotti municipali hanno aggredito e fermato alcuni giornalisti, tra questi i fotografi Víctor Camacho e Moysés Zúñiga, inviato e collaboratore, rispettivamente, di La Jornada. E’ accaduto all’alba di giovedì, mentre transitavano su un’auto privata nelle vicinanze della piazza centrale di questa città, dopo aver concluso il servizio sulle funzioni funebri del vescovo emerito Samuel Ruiz García.

Agenti agli ordini del comandante Adonai Robledo hanno sbarrato la strada mettendo davanti all’auto un Pick up Dodge, targa DA-62-622, numero PC-35, e dietro un’auto di pattuglia Nissan, modello Tiida, targa DPD 55-35, numero PC-26. Erano le 2 del mattino, a mezzo isolato dalla cattedrale, in Calle Guadalupe Victoria.

Sono stati aggrediti anche i giornalisti Carlos Herrera e Manuel de la Cruz, corrispondenti delle agenzie Efe, Ap e Afp, così come quelli dei giornali Cuarto Poder, Expreso, Mirada Sur e La Foja Coleta, tra altri media.

I giornalisti riferiscono che, senza identificarsi quali agenti, gli aggressori hanno cominciato ad interrogarli rispetto alla loro provenienza, destinazione e scopo. A queste domande i giornalisti non hanno risposto ma hanno chiesto che prima fossero informati di cosa li si accusasse.

Gli agenti accusavano i quattro giornalisti, ben conosciuti in Chiapas, di “prendersi gioco delle autorità”, minacciandoli di portarli nella base della polizia municipale, ma hanno desistito quando i fotografi hanno cominciato a scattare foto per documentare l’aggressione.

Successivamente, oltre una decina di professionisti di media statali e nazionali hanno inviato una lettera pubblica al governatore dello stato ed al sindaco di San Cristóbal, Victoria Cecilia Flores Pérez, dove esprimono: “Essendo il Messico uno dei paesi dove il lavoro dei giornalisti è considerato fra i più rischiosi per la quantità di omicidi, detenzioni e sequestri contro la categoria, non è infondato il sospetto di premeditazione nell’aggressione contro chi, in possesso dei suoi strumenti di lavoro, è stato fermato nella zona dove stava lavorando da almeno 48 ore durante un evento al quale erano presenti decine di agenti di vigilanza e sicurezza dei tre livelli di governo”.

Aggiungono che anche se i poliziotti di San Cristóbal non conoscevano i fermati, la situazione è “sempre preoccupante, poiché sono molti i cittadini che per lavoro, questioni familiari, per passatempo e turismo si muovono all’alba e sono esposti a subire quanto accaduto ai nostri compagni.

“Siamo a conoscenza della deplorevole situazione presente in diverse entità e regioni messicane dove l’insicurezza ha ristretto di fatto o perfino ufficialmente, la libertà di transito, di espressione e lavoro, ma fino a questo momento non ritenevamo che il primo isolato di questa città rientrasse in dette circostanze”, prosegue la lettera al governatore Juan Sabines Guerrero.

“Per quanto sopra, Le chiediamo di prendere posizione al riguardo e di informarci dei risultati o, in mancanza di questi, di informarci se per caso vi siano misure eccezionali, orari di coprifuoco o territori in Chiapas dove dobbiamo svolgere l’esercizio della nostra professione a nostro proprio rischio e pericolo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/01/29/index.php?section=politica&article=005n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 26 gennaio 2011

Don Samuel Ruiz riceve l’omaggio più gradito: quello degli indios

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 gennaio. È interminabile il fiume di persone che sfilano davanti al feretro del Tatic Samuel Ruiz García. In migliaia, di ogni età e condizione sociale, vogliono vederlo per l’ultima volta. È molto probabile che tutti l’abbiano conosciuto, o almeno visto di persona, e forse toccato.

Dall’alba, quando sono arrivati suoi resti nella cattedrale, buona parte della popolazione di questa città è venuta a vederlo. Si sono visti ex funzionari di diversi governi. Gente arrivata di altri stati. E molti indigeni. Prima dai municipi vicini come Zinacantán e San Juan Chamula. Poi San Andrés, Huixtán, Altamirano, Amatenango del Valle, Comitán. E poi Salto de Agua, Sabanilla, Palenque. Un fiume di gente scossa. Alcuni accarezzano il vetro che copre la bara, lo baciano o dicono qualcosa a voce bassa, nient’altro per il Tatic.

Hanno officiato le celebrazioni religiose i parroci chiave nella costruzione della chiesa indigena, che è il lascito sociale, e non solo religioso, di Ruiz García. Si sono convertiti vivendo nelle parrocchie di Simojovel (Joel Padrón), Tila (Heriberto Cruz Vera), Miguel Chanteau (Chenalhó), Gonzalo Ituarte (Ocosingo). Una generazione di preti politici: chi non incarcerato, espulso dalla Migrazione, minacciato dagli allevatori o calunniato sui media locali.

Sono stati testimoni dello straordinario processo sociale dei popoli maya chiapanechi degli ultimi 30 anni. In termini simbolici, oggi lo sono un’altra volta. Nell’atrio e nella cattedrale sono presenti membri di organizzazioni come Xi’Nich, Aric e Las Abejas, le cui lotte hanno preceduto, anticipato o accompagnato la sollevazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Una figura particolarmente significativa è Raúl Vera, vescovo di Saltillo, per alcuni anni coadiutore di Ruiz García. Come lo stesso Tatic, ha avuto la sua fulminazione sulla strada di Damasco. Quando ha conosciuto i popoli del Chiapas è sceso da cavallo, come il Saulo del passaggio biblico letto ieri sera all’arrivo del feretro nella cattedrale. Vera è il suo successore al posto del vescovo cattolico più scomodo per il potere del paese intero.

 

Viene da lontano l’omaggio degli indigeni chiapanechi al Tatic (padre, in tzeltal) che oggi convergono a migliaia nella cattedrale dedicata al santo cattolico dei viaggiatori, San Cristóbal. Viene da decenni addietro, e da tutte le regioni indie del Chiapas. Fin dall’alba sono arrivati gruppi di fedeli da Simojovel, Chenalhó, Chilón, Ocosingo, Tila, Las Margaritas, Motozintla. Dagli angoli più nascosti, a volte “l’angolo più dimenticato della patria”, come dissero gli zapatisti nel 1994.

Oggi si sono celebrate diverse messe; le più solenni a mezzogiorno e al tramonto. Organizzazioni politiche e sociali, gruppi parrocchiali, comunità tzeltales, tzotziles, choles, mam, tojolabales, “colorano” ancora una volta il passaggio di Ruiz García, che come un radioamatore si identificava come El Caminante. Nei decenni della sua presenza episcopale ha visitato la maggior parte di queste comunità. Ancora non esistevano le strade e i sentieri che hanno portato la guerra in queste terre, ma il Tatic arrivava sempre. A piedi o a dorso di mulo. Oggi sono quei popoli che arrivano qua, e domani lo seppelliranno proprio qui, nella cattedrale che occupa il centro di questa città storicamente a loro ostile.

Nel 1982 avvenne un terribile massacro di indigeni a Wolonchán (Chilón). A quell’epoca “non c’era chi contava i morti”, come disse una volta Andrés Aubry. Più di 50 vittime dimenticate. Più che ad Acteal, avvenuto nel 1997, quando la notizia fece il giro del mondo, fece tremare il governo della Repubblica ed è ancora una ferita aperta. Il Chiapas era già un altro, e don Samuel ha avuto gran merito in questo. Gli indios già contavano qualcosa. Non a caso qui risiede una delle culle della coscienza moderna dei diritti umani.

Precursore in material su scala nazionale, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, o Frayba, è stato creato alla fine del 1988 dallo stesso Ruiz García, che lo ha presieduto fino a lunedì scorso. Il Frayba oggi dice: “Nella sua instancabile lotta per la difesa dei diritti umani è stato ispiratore e guida di molte organizzazioni civili e di processi sociali nella costruzione della giustizia, mediatore nei dialoghi tra l’EZLN ed il governo messicano, un grande teologo della liberazione e promotore della teologia india. E’ stato candidato al Nobel della Pace ed ha ricevuto molti riconoscimenti per il suo lavoro a difesa dei diritti umani”.

Il Frayba ribadisce il suo impegno “di camminare a fianco ed al servizio del popolo povero, escluso ed organizzato che vuole superare la situazione socioeconomica e politica in cui vive, prendendo da lui direzione e forza per contribuire al suo progetto di costruzione di una società dove le persone e comunità esercitino e godano appieno di tutti i loro diritti”.

Da parte sua, Il Fronte Nazionale di Lotta per il Socialismo in Chiapas ha dichiarato: “Non dimentichiamo le dimostrazioni di solidarietà incondizionata che ci ha offerto nelle diverse tappe di lotta e conflitti, che abbiamo affrontato come popoli indigeni e come organizzazione, contro lo Stato che non cessa di annientare ogni tentativo di organizzazione del popolo”.

Ricorda la “sua collaborazione ed appoggio incondizionato alle lotte nei diversi angoli del paese, per la liberazione dei prigionieri politici e di coscienza, contro lo sfruttamento minerario, per la presentazione in vita dei desaparecidos ed il rispetto dei diritti umani, a favore degli oppressi e sfruttati”.

Nataniel Hernández Núñez, rappresentante del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, con sede nella città costiera di Tonalá, ha dichiarato: “il Tatik Samuel ci ha lasciato in eredità la lotta e la difesa dei diritti umani, e per la giustizia. Per questo i membri di questo centro seguiranno i passi del Caminante e sorvegliante dei popoli per proseguire nel processo di pace, giustizia e rispetto dei diritti umani dei popoli in Chiapas”.

È stata notevole la partecipazione dei tre livelli di governo alle esequie di don Samuel. Luis H. Álvarez è arrivato come inviato personale del presidente Felipe Calderón. Ieri sera, il governatore Juan Sabines Guerrero ha accompagnato i resti fino all’altare della cattedrale, dopo essersi occupato del trasferimento da Città del Messico. La presidentessa municipale, Cecilia Flores, ha messo a disposizione le forze di polizia ed ha inviato una corona di fiori. Inoltre, si sono visti ex membri della Cocopa “storica” e della disciolta Conai, tutti amici del Tatic.

La stampa chiapaneca si è profusa in riconoscimenti per Ruiz García. Lo stesso ha fatto il vertice del PRI locale: Sami David, la senatrice María Elena Orantes e la ex segretaria di Governo Arely Madrid Tovilla, responsabile della politica contrainsurgente di Roberto Albores Guillén. Nemmeno per loro è un segreto che senza il Tatic sarebbe impossibile comprendere la storia moderna del Chiapas, e che la sua eredità sopravvivrà a tutti loro. http://www.jornada.unam.mx/2011/01/26/index.php?section=politica&article=003n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Al Popolo Del Messico:

Il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale esprime il suo cordoglio per la morte del Vescovo Emerito Don Samuel Ruiz García.

Nell’EZLN militano persone di diversi credi religiosi e non credenti, ma la statura umana di questo uomo (e di chi, come lui, cammina dalla parte degli oppressi, degli sfruttati, dei disprezzati) ci induce ad esprimere la nostra parola.

Anche se non sono state poche né superficiali le differenze, i disaccordi e le distanze, oggi vogliamo rimarcare l’impegno ed il percorso che non sono solo di un individuo, bensì di tutta una corrente all’interno della Chiesa Cattolica.

Don Samuel Ruiz García non si è distinto solo per un cattolicesimo praticato tra e con i diseredati, con la sua squadra ha formato anche una generazione di cristiani impegnati in questa pratica della religione cattolica. Non solo si è preoccupato per la grave situazione di miseria ed emarginazione dei popoli originari del Chiapas, ma ha anche lavorato, insieme all’eroica squadra pastorale, per migliorare quelle condizioni di vita e morte.

Quello che i governi di proposito hanno dimenticato per coltivare la morte, si è fatto memoria di vita nella diocesi da San Cristóbal de Las Casas.

 

Don Samuel Ruiz García e la sua squadra non solo si sono impegnati per raggiungere la pace con giustizia e dignità per gli indigeni del Chiapas, ma hanno inoltre rischiato e rischiano la loro vita, libertà e beni in questo cammino ostacolato dalla superbia del potere politico.

Già da molto prima della nostra sollevazione del 1994, la Diocesi di San Cristóbal ha subito la persecuzione, gli attacchi e le calunnie dell’Esercito Federale e dei governi statali di turno.

Almeno da Juan Sabines Gutiérrez (ricordato per il massacro di Wolonchan nel 1980) e passando per il Generale Absalón Castellanos Domínguez, Patrocinio González Garrido, Elmar Setzer M., Eduardo Robledo Rincón, Julio César Ruiz Ferro (uno degli autori del massacro di Acteal nel 1997) e Roberto Albores Guillén (già noto come “el croquetas“), i governatori del Chiapas hanno perseguitato chi nella diocesi di San Cristóbal si opponeva ai loro massacri ed alla gestione dello Stato come fosse una tenuta porfirista.

Dal 1994, durante il suo lavoro nella Commissione Nazionale di Intermediazione (CONAI) in compagnia delle donne e degli uomini che formavano quell’istanza di pace, Don Samuel ricevette pressioni, vessazioni e minacce, compreso attentati contro la sua vita da parte del gruppo paramilitare mal chiamato “Paz y Justicia”.

E come presidente della CONAI Don Samuel, nel febbraio del 1995, subì anche una minaccia di arresto.

Ernesto Zedillo Ponce de León, come parte di una strategia di distrazione (tale e quale come ora) per occultare la grave crisi economica nella quale lui e Carlos Salinas de Gortari avevano sprofondato il paese, riattivò la guerra contro le comunità indigene zapatiste.

Mentre lanciava una grande offensiva militare contro l’EZLN (peraltro fallita), Zedillo attaccava la Commissione Nazionale di Intermediazione.

Ossessionato dall’idea di distruggere Don Samuel, l’allora presidente del Messico, ed ora impiegato delle multinazionali, approfittò dell’alleanza che, sotto la tutela di Carlos Salinas de Gortari e Diego Fernández de Cevallos, si era stretta tra il PRI ed il PAN.

In quelle date, in una riunione con la cupola ecclesiale cattolica, l’allora Procuratore Generale della Repubblica, il panista e fanatico dello spiritismo e della stregoneria più volgare, Antonio Lozano Gracia, brandì di fronte a Don Samuel Ruiz García un documento con il mandato di cattura nei suoi confronti.

E si racconta che il procuratore laureato in Scienze Occulte fu affrontato dagli altri vescovi, tra loro Norberto Rivera, chi si alzarono in difesa del titolare della Diocesi di San Cristóbal.

L’alleanza PRI-PAN (alla quale si uniranno poi in Chiapas il PRD ed il PT) contro la Chiesa Cattolica progressista non si è fermata lì. Dai governi federale e statale si sono favoriti attacchi, calunnie ed attentati contro i membri della Diocesi.

L’Esercito Federale non è rimasto indietro. Mentre finanziava, addestrava ed equipaggiava i gruppi paramilitari, si diffondeva la tesi che la Diocesi seminava la violenza.

La tesi di allora (e che oggi è ripetuta da idioti della sinistra da scrivania) era che la Diocesi aveva formato le basi ed i quadri della direzione dell’EZLN.

Un segno dell’ampia dimostrazione di questi argomenti ridicoli si ebbe quando un generale mostrò un libro come prova del legame tra la Diocesi ed i “trasgressori della legge”.

Il titolo del libro incriminante è “Il Vangelo secondo Marco”.

Oggigiorno quegli attacchi non sono cessati.

Il Centro dei Diritti Umani “Fray Bartolomé de Las Casas” riceve continuamente minacce e persecuzioni.

Oltre ad essere stato fondato da Don Samuel Ruiz García e di essere di ispirazione cristiana, il “Frayba” ha come “aggravante” il credere nell’Integrità ed Indivisibilità dei Diritti Umani, nel rispetto della diversità culturale e nel diritto alla Libera Determinazione, nella giustizia integrale come requisito per la pace, e nello sviluppo di una cultura del dialogo, tolleranza e riconciliazione, nel rispetto della pluralità culturale e religiosa.

Niente di più fastidioso di questi principi.

E questa molestia arriva fino al Vaticano, dove si opera per dividere in due la diocesi di San Cristóbal de Las Casas, in modo da diluire l’opzione per, tra e con i poveri, nel conformismo che lava le coscienze col denaro. Approfittando del decesso di Don Samuel, si riattiva questo progetto di controllo e divisione.

Perché là in alto sanno che l’opzione per i poveri non muore con Don Samuel. Vive ed agisce in tutto quel settore dalla Chiesa Cattolica che ha deciso di essere coerente con quello che predica.

Nel frattempo, la squadra pastorale, e specialmente i diaconi, ministri e catechisti (indigeni cattolici delle comunità) subiscono le calunnie, gli insulti e gli attacchi dei neo-amanti della guerra. Il Potere rimpiange i suoi giorni di dominio e vede nel lavoro della Diocesi un ostacolo al ripristino del suo regime di forca e coltello.

La grottesca sfilata di personaggi della vita politica locale e nazionale davanti al feretro di Don Samuel non è per onorarlo, ma per verificare, con sollievo, che è morto; ed i mezzi di comunicazione locali esprimono falso cordoglio ma in realtà festeggiano.

Al di sopra di tutti gli attacchi e cospirazioni ecclesiali, Don Samuel Ruiz García e le/i cristian@ come lui, hanno avuto, hanno ed avranno un posto speciale nel cuore scuro delle comunità indigene zapatiste.

Ora che è di moda condannare tutta la Chiesa Cattolica per i crimini, gli eccessi, le commistioni ed omissioni di alcuni dei suoi prelati…

Ora che il settore che si autodefinisce “progressista” si sollazza a si fa scherno della Chiesa Cattolica tutta…

Ora che si incoraggia a vedere in ogni sacerdote un pederasta potenziale o attivo…

Ora sarebbe bene tornare a guardare in basso e trovare lì chi, come prima Don Samuel, ha sfidato e sfida il Potere.

Perché qust@ cristiani credono fermamente che la giustizia deve regnare anche in questo mondo.

E così lo vivono, e muoiono, in pensieri, parole ed opere.

Perché sebbene sia vero che nella Chiesa Cattolica ci sono i Marciales e gli Onésimos, c’erano e ci sono anche i Roncos, Ernestos, Samueles, Arturos, Raúles, Sergios, Bartolomés, Joeles, Heribertos, Raymundos, Salvadores, Santiagos, Diegos, Estelas, Victorias, e migliaia di religios@ e secolari che, stando dalla parte della giustizia e della libertà, stanno dalla parte della vita.

Nell’EZLN, cattolici e non cattolici, credenti e non credenti, oggi non solo onoriamo la memoria di Don Samuel Ruiz García.

Salutiamo anche, e soprattutto, l’impegno conseguente de@ cristian@ e credenti che in Chiapas, in Messico e nel Mondo, non si rifugiano nel silenzio complice di fronte all’ingiustizia, né restano immobili di fronte alla guerra.

Don Samuel se ne va, ma rimangono molte altre, molti altri che, in e per la fede cattolica cristiana, lottano per un mondo terreno più giusto, più libero, più democratico, cioè, per un mondo migliore.

Salute a loro, perché anche dalle loro pene nascerà il domani.

LIBERTÀ!

GIUSTIZIA!

DEMOCRAZIA!

Dalle montagne del Sudest Messicano. Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’EZLN

Tenente Colonnello Insurgente Moisés    Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 26 gennaio 2011

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 25 gennaio 2011

Senza El Caminante, forse in Chiapas ci sarebbe stato un bagno di sangue

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 24 gennaio. Guardando la bella cattedrale gialla e bianca di San Cristóbal, scolpita da mani indigene ai tempi della Colonia, non si può non pensare a Samuel Ruiz García ed al suo passaggio assolutamente storico per le terre del sudest messicano. Da mezzo secolo questa città, e tutte le terre maya e zoques del Chiapas sono segnate dai passi del Caminante (Il Viandante), come egli stesso piaceva definirsi.

Dal pomeriggio di oggi ha cominciato a congregarsi (una parola che piaceva a jTatik), una grande quantità di persone nell’atrio e nelle navate del tempio, per aspettarlo per l’ultima volta. O “per sempre”, come dice un diacono tzotzil che sistema gli addobbi floreali che continuano ad aumentare ai piedi della scalinata fino all’altare, dove tante volte Don Samuel (la gente lo chiama semplicemente così) ha officiato e parlato, un vescovo come ce ne sono pochi, ed ora senza di lui, molti meno. A mezzanotte ancora lo aspettavano.

La sua impronta è ineludibile. Quanti governi statali e federali lo spiarono, calunniarono, minacciarono, schernirono. Quanti lo temettero. “Il pretino”, lo chiamava con sdegno un segretario di Governo negli anni della peggiore offensiva paramilitare filogovernativa contro choles e tzotziles alla fine del secolo XX, con al centro il massacro di Acteal (1997). Oggi si compiono 51 anni dalla sua consacrazione a vescovo della Chiesa cattolica nell’allora diocesi del Chiapas, che poi passò a quella di Tuxtla Gutiérrez; Ruiz rimase a San Cristóbal, la diocesi che comprende gli Altos, la Selva Lacandona, la zona nord, le selve e le catene montuose di confine: la vasta regione che a metà del decennio scorso scosse la coscienza nazionale con l’insurrezione zapatista e la rivelazione al Messico e al mondo di alcuni popoli indigeni profondi, coraggiosi ed esemplari.

Il vescoso stesso dovette scoprirli, come non lo fece nessuno dai suoi predecessori, ad eccezione del frate Bartolomeo de las Casas, il suo lontano precursore e definitivo maestro. Entrambi sono venuti ad imparare l’umanesimo nella terra degli “uomini veri”. Generazioni del popolo hanno amato Samuel Ruiz. Generazioni di cacicchi politici, finqueros e governanti l’hanno odiato come il nemico che effettivamente era per loro. Il suo prolungato contatto con le comunità lo portò alla sua famosa “opzione preferenziale per i poveri”, che acquisisce corpo verso il 1974, e si definisce ampiamente negli anni ’80.

Una corona di fiori del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, fondato qui dallo stesso Ruiz nel 1989, è posata accanto ad un’altra della famiglia di Mariano Díaz Ochoa, ex sindaco priista ed ex leader dei tristemente celebri “autentici coletos” che arrivarono a prendere a sassate la curia per considerare jTatik un rosso, irrimediabilmente alleato di quegli indios che erano disprezzati ed umiliati dai coletos, che come tali sono stati sconfitti dalla storia, cioè, da quei popoli ai quali il vescovo ha consacrato la sua vita. Oggi tutti gli rendono omaggio.

Polemico con i poteri ecclesiastici e politici, vituperato senza validi argomenti dagli intellettuali criollisti e filogovernativi, ebbe il suo momento culminante dopo la sollevazione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel 1994. Risultò l’unico mediatore valido per lo Stato ed i ribelli, e corse grandi rischi. In quei mesi, le sue omelie erano conferenze stampa per centinaia di giornalisti del mondo intero che accorrevano alle sue messe nella chiesa di Santo Domingo o in questa cattedrale; era “la notizia”, ed alcuni albergavano una certa morbosità, aspettando che lo assassinassero come don Arnulfo Romero, a San Salvador.

Contro quello che era un luogo comune, non era zapatista. Neanche filogovernativo, ma aveva la legittimità per servire da ponte. Senza di lui, in Chiapas forse ci sarebbe stato un bagno di sangue. Questa cattedrale si chiama da allora “della pace”. i Suoi corridoi, il suo atrio, le sue rustiche torri sono un monumento alla pace. Pochi menzionano ora che ha anche fatto da mediatore negli anni più duri dell’intolleranza religiosa tra cattolici tradizionali e nuovi evangelici. Don Samuel, cattolico, è corso in difesa degli indigeni. Ed il suo impegno per i diritti umani è stato pari. Lo sanno anche migliaia di maya guatemaltechi accolti in Chiapas durante la guerra nel loro paese, appoggiati dal jTatik e dalle sue squadre pastorali. http://www.jornada.unam.mx/2011/01/25/index.php?section=politica&article=006n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Don Samuel Ruiz, riposa in pace.

Con profondo dolore comunichiamo che oggi, 24 gennaio, a Città del Messico, a 86 anni è scomparso Monsignor Samuel Ruiz García. Il nostro caro Jtatic ci ha trasmesso l’incorruttibile decisione di lottare per la giustizia e la costruzione della pace con dignità e perseveranza.

Jtatic Samuel Ruizè stato Vescovo Emerito della Diocesi di San Cristóbal de Las Casas e questo 25 gennaio avrebbe compiuto il 51° anniversario di ordinazione episcopale. E’ stato inoltre fondatore e Presidente di questo Centro dei Diritti Umani dal 1989.

Nella sua instancabile lotta per la difesa dei diritti umani è stato ispiratore e guida di molte organizzazioni civili e di processi sociali nella costruzione della giustizia, mediatore nei dialoghi tra l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale ed il governo messicano, un grande teologo della liberazione e promotore della teologia india. E’ stato candidato al Nobel per la Pace ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro a difesa dei diritti umani in particolare a difesa dei popoli indigeni in Chiapas.

Fedeli alla sua ispirazione, tutte e tutti noi che facciamo parte di questo Centro, ratifichiamo la nostra Missione di camminare a fianco ed al servizio del popolo povero, escluso ed organizzato che vuole superare la situazione socioeconomica e politica in cui vive, prendendo da lui direzione e forza per contribuire nel suo progetto di costruzione di una società in cui le persone e comunità esercitino e godano di tutti i loro diritti in pienezza.

Il suo corpo sarà trasferito nel pomeriggio di oggi, lunedì 24 gennaio, nella città di San Cristóbal de Las Casas per essere vegliato nella Cattedrale di questa città che inizierà  alle ore 19:00 e proseguirà per tutta la notte. Le esequie si svolgeranno mercoledì 26 gennaio alle ore 12.00 nella cattedrale.

Ringraziamo anticipatamente per la vostra presenza alle diverse celebrazioni, potete portare una candela per accompagnare in questo percorso  jTatic Samuel.

26 gennaio, ore 12:00 – La cerimonia funebre sarà coperta dai seguenti media:

http://komanilel.blogspot.com/

http://chiapas.indymedia.org/

http://kuxaelan.blogspot.com/

http://acteal.blogspot.com/

http://chiapasdenuncia.blogspot.com/

http://frecuencialibre991.blogspot.com/

stream audio http://giss.tv:8000/komanilel.mp3

stream video http://www.livestream.com/komanilel

 

Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Código Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548
Fax +52 (967) 6783551
frayba@frayba.org.mxwww.frayba.org.mx

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La Jornada – Venerdì 14 gennaio 2011

L’ejido di Bachajón si dissocia dall’invasione

Hermann Bellinghausen

Le autorità ejidali di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón, Chiapas), aderenti all’Altra Campagna si sono dissociati dall’occupazione violenta del rancho El Vergel, avvenuta il 31 dicembre scorso nel vicino municipio di Sitalá. Accusano dei fatti Carmen Aguilar Gómez ed i suoi figli, che mentendo si sono presentati come aderenti all’Altra Campagna.

Aguilar Gómez, originaria della comunità Chewal Nazareth (Chilón), “ha occupato” El Vergel, di proprietà di Alicia Victoria Díaz, accompagnata da individui armati. Gli indigeni tzeltales aderenti all’Altra Campagna sostengono di “non aver niente a che vedere con questo conflitto, poiché questa persona non appartiene più a questa organizzazione” dall’aprile scorso. Gli ejidatari rivelano che era stata espulsa “per diversi reati”.

Inoltre, assicurano che il delegato di governo a Chilón “ha qualcosa a che fare in tutto questo, poiché nei giorni precedenti le persone denunciate si erano incontrate con Noé Castañón León (segretario di Governo dello stato), insieme ad altri rappresentanti del malgoverno”.

Secondo gli indigeni, “gli stessi funzionari pubblici sono coinvolti in questo abuso”. Se il governo “realmente vuole applicare la legge contro questa delinquente, che chieda al delegato di governo a Chilón dove ha archiviato tutte le denunce controi Carmen Aguilar e suo figlio, i quali hanno cercato di sporcare l’immagine dell’organizzazione dicendo di esserne membri, cosa che non è vera”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 9 gennaio 2010

L’Altra Campagna indaga ed arresta i rapinatori

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 8 gennaio. Le autorità ejidali di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, aderenti all’Altra Campagna, hanno informato dell’arresto in fragrante di un rapinatore a Xanil, sulla Strada che conduce ad Agua Azul, nel municipio di Tumbalá.

Lo scorso 3 gennaio le autorità ejidali erano state informate che al chilometro 87 sulla strada Ocosingo-Palenque, quattro individui “stavano assaltando i passeggeri di un’auto e qualche minuto dopo autorità dell’Altra Campagna si sono assunte il compito di indagare sul luogo dei fatti”.

Sul posto è stato bloccato uno dei rapinatori, Miguel Demeza Silvano, di 16 anni, originario del villaggio Maquin Chab. I fatti sono avvenuti alle 21:30 del giorno stesso. Il giorno 4, prosegue la comunicazione degli ejidatarios tzeltales, si è proceduto a metterlo a disposizione delle autorità della procura della zona Selva Palenque.

Comunicano inoltre che, come autorità dell’organizzazione, stanno lavorando intensamente per identificare i colpevoli degli assalti che si sono verificati di frequente su quel tratto di strada, e metterli a disposizione delle autorità (ufficiali) affinché applichino la legge come dev’essere.

Ricordano lo scorso 12 dicembre ci fu un altro assalto nella zona e giorni i colpevoli furono arrestati. Uno di loro risultò essere membro del commissariato ufficiale che, tuttavia, riceve il costante supporto del governo municipale di Chilón. Così, funzionari filogovernativi stanno intervenendo per liberare i veri delinquenti, poiché dicono che uno di loro è un’autorità e membro dirigente del suo commissariato.

Gli ejidatari dell’Altra Campagna dicono di sperare che l’arresto dei criminali non sia un affare lucroso per i diversi enti di governo. Questi, aggiungono “stanno sporcando l’immagine dell’Altra Campagna” con accuse false. Che sia ben chiaro che i membri della nostra organizzazione non sono quelli che rubano. Quelli che delinquono sono i membri del Partito Verde Ecologista del Messico (filogovernativo ed alleato del Partito Rivoluzionario Istituzionale) e membri del commissariato ufficiale.

Infine, rivolgendosi ai turisti nazionali e stranieri che numero in questo periodo visitano l’area, dicono: Stiamo lavorando per dare sicurezza a tutti quelli che visitano le cascate di Agua Azul. http://www.jornada.unam.mx/2011/01/09/index.php?section=politica&article=015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Offensiva antizapatista.

Los de Abajo

Offensiva antizapatista

Gloria Muñoz Ramírez

Il prossimo 12 gennaio si compiono 17 anni dalla storica marcia di cui fu protagonista la società civile per chiedere il cessate il fuoco dell’Esercito federale contro le comunità indigene zapatiste che in Chiapas si erano ribellate quella prima alba del 1994. Una marcia per la pace che inondò lo zócalo della capitale ed obbligò l’allora presidente Carlos Salinas de Gortari a decretare la sospensione delle ostilità. L’EZLN fece la sua parte e da allora ha mantenuto il suo impegno di continuare la lotta per la via pacifica. Non così il governo ed i suoi complici.

Il 12 gennaio diventò il simbolo della partecipazione collettiva e della solidarietà tra popoli. Lo zapatismo è l’unico movimento in Messico che può vantarsi di avere costruito e mantenuto un movimento globale che condivide la sua causa e ha saputo rispondere in molte occasioni alle offensive dei diversi governi. E questo momento non è l’eccezione.

Di fronte alla campagna iniziata lo scorso 1° gennaio con la pubblicazione di un comunicato scritto da un’ipotetico membro dell’EZLN che ha rivendicato a questo movimento la paternità del sequestro di Diego Fernández de Cevallos, l’indignazione è esplosa in molte parti del mondo. Negli oltre tre lustri di vita pubblica dell’EZLN non è mai stata messa in dubbio la sua legittimità e tanto meno la sua etica, e così praticamente nessuno ha creduto all’autenticità del comunicato. Ma non è questo il problema, bensì le intenzioni della sua divulgazione che non sono altro che l’incremento alle ostilità contro i popoli in resistenza.

Intellettuali, sindacati, organizzazioni e collettivi di Messico, Argentina, Brasile, Uruguay, Colombia, Ecuador, Venezuela, Canada, Stati Uniti, Stato Spagnolo, Italia, Austria, Grecia, Francia, Svizzera, Olanda, Germania e Slovenia, tra altri, hanno diffuso una dichiarazione in cui respingono le notizie diffuse non solo contro l’EZLN, ma anche contro il movimento sociale e pacifico che unisce le organizzazioni e gli individui che formano L’Altra Campagna.

Quello che si vuole fare, avvertono nella dichiarazione collettiva, “è un nuovo attacco, con la speranza che questa volta siano creduti e che serva per facilitare una nuova scalata di aggressioni contro le comunità zapatiste, e nel contempo criminalizzare e reprimere ogni tipo di protesta, lotta sociale ed anticonformismo con le cattive ed impuni pratiche del governo messicano, le sue istituzioni e sbirri”.

E concludono: “… possono essere sicuri che non sono soli. Faremo particolare attenzione a quello che potrà accadere nei prossimi giorni e settimane”. (L’indirizzo di posta elettronica per inviare firme di appoggio all’EZLN è: contacto@cedoz.org). http://www.jornada.unam.mx/2011/01/08/index.php?section=politica&article=014o1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 3 gennaio 2011

Nuova escalation repressiva contro il movimento, afferma la Cocopa

ENRIQUE MÉNDEZ

La Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), del Congresso dell’Unione, “respinge decisamente qualunque tentativo di voler vincolare l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) col sequestro di Diego Fernández di Cevallos” ed ha chiesto al governo di Felipe Calderón un’indagine esaustiva sull’origine delle voci che, sostiene, vogliono scatenare una nuova campagna di diffamazione contro questo movimento.

Il presidente della commissione – formata da deputati e senatori – il petista José Narro Céspedes, ha contestato le notizie diffuse riguardo agli zapatisti che sarebbero coinvolti nel sequestro dell’ex candidato presidenziale del PAN. “Tutto indica che si tratta di documenti che vogliono essere l’inizio di una scalata repressiva contro l’EZLN”, ha dichiarato.

In un comunicato emesso ieri, il deputato petista ha affermato che nei fatti “L’EZLN ha dimostrato la sua volontà di trovare una soluzione al conflitto, per la via politica, ed ha fatto la sua parte”.

Narro Céspedes ha ricordato che dopo la riforma in materia di diritti e cultura indigena, dove si è lasciata fuori la sostanza degli Accordi di San Andrés Larráinzar, l’EZLN “decise di promuovere un innovativo processo di organizzazione e lavoro comunitario” con le giunte di buon governo… che sono un esempio di quello che può fare il popolo organizzato ed i cui risultati sono migliori di quelli che conosciamo nella politica tradizionale”.

Il titolare della Cocopa affermò che persiste la tentazione di isolare lo zapatismo e di distruggerlo attraverso il suo esaurimento, l’usura del suo discorso e la fine del suo impatto.

Ha ricordato che quasi un anno fa, come ora, “senza nessuna fonte di informazione seria”, gli zapatisti erano stati accusati di ricevere finanziamenti da ETA. (…)

http://www.jornada.unam.mx/2011/01/03/index.php?section=politica&article=011n2pol

(Traduzione “Maribel”-  Bergamo)

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Falsa notizia 1.

La Jornada – Lunedì 3 gennaio 2011

L’EZLN e L’Altra Campagna si dissociano dal sequestro di Fernández de Cevallos

L’autore della notizia ha avuto i suoi 15 minuti di notorietà, affermano gli indigeni zapatisti

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 2 gennaio. Enlace Zapatista, pagina web ufficiale dell’Esercito Zapatista di Liberazione (EZLN) e dell’Altra Campagna, ha smentito le notizie giornalistiche che vincolano queste organizzazioni al sequestro dell’ex senatore del PAN Diego Fernández de Cevallos. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/01/02/se-desmiente-vinculacion-de-el-ezln-y-la-otra-campana-con-cualquier-secuestro/

Il documento, firmato da Javier Elorriaga e Sergio Rodríguez Lascano, editori di Enlace Zapatista, si riferisce al lancio dell’agenzia Efe, ripreso alla lettera da alcuni media, e ribadisce che L’Altra Campagna è un movimento politico, civile e pacifico. “Così è stato dalla sua fondazione e così si è mosso ed agito in questi anni. Non ricorre pertanto a sequestri per ottenere risorse né per fare propaganda politica”.

Il comunicato prosegue: “è a tutti noto che l’EZLN, e la sua storia e pratica da 27 anni dalla sua nascita fino ad oggi lo dimostrano, non compie sequestri, questo va contro i suoi principi”. Quindi, “l’EZLN non ha sviluppato né la struttura organizzativa né l’infrastruttura materiale per questo tipo di azioni”. Si ricorda che da 17 anni, quando gli zapatisti “hanno dichiarato il cessate il fuoco offensivo per dare un’opportunità alla costruzione della pace giusta e degna, rispettano la parola data, non così lo Stato messicano che li ha aggrediti militarmente, politicamente ed economica, dal primo gennaio del ’94 fino ai nostri giorni”.

Il 1° di gennaio “è circolata una notizia su alcuni giornali nazionali e stranieri, a partire dall’agenzia di stampa spagnola Efe, secondo la quale un componente delle forze ribelli dell’EZLN”, con un comunicato attribuiva il sequestro di Diego Fernández de Cevallos all’EZLN”. Nella “confusa nota” si accusano anche diversi collettivi dell’Altra Campagna “di essere complici di detto sequestro, …….. ”

In realtà, alcuni editorialisti, legati alle forze di sicurezza federali ed al governo del Chiapas hanno suggerito dietro addietro questa ipotesi che inaspettatamente ha preso forza nell’Anno Nuovo, senza ulteriore fondamento.

Elorriaga e Rodríguez Lascano riferiscono che il “comunicato” apocrifo è arrivato completo anche all’indirizzo di Enlace Zapatista, “tale e quale è arrivato ai media che ne hanno parlato dando la notizia”. E sottolineano: “Basterebbe con che lo pubblicassero integralmente perché qualsiasi lettore capisse che è impossibile che abbia origine dall’EZLN. È incoerente in tutto il suo contenuto ed è chiaro che chi lo ha scritto cerca solo protagonismo e vuole generare confusione e servire gli interessi dal potere”.

Esprimono la preoccupazione che “le comunità indigene zapatiste soffriranno una nuova scalata di aggressioni come risultato di questo tipo di trovate opportuniste e poliziesche”. Questo è “il vero pericolo”, concludono ed invitano a vigilare “di fronte a questa nuova provocazione contro i compagni zapatisti”. E ribadiscono che “né l’EZLN né L’Altra Campagna compiono sequestri”.

“Se qualcuno nutre simpatie o ritiene politicamente corretto praticare il sequestro, non ha posto nell’Altra Cmpagna. Il ‘guerriero Balam’, come si definisce chi ha inviato il comunicato ha avuto i suoi 15 minuti di fama, alcuni media hanno ripreso dei frammenti del suo scritto e sbattuti in prima pagina. Godeteveli. Nel frattempo, le comunità indigene zapatiste subiranno una nuova escalation di aggressioni come risultato di questo tipo di trovate opportuniste e poliziesche.

“Questo è il vero pericolo, restiamo vigili di fronte a questa nuova provocazione contro i compagni zapatisti”, conclude il comunicato. http://www.jornada.unam.mx/2011/01/03/index.php?section=politica&article=011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 2 gennaio 2011

Los de Abajo

Gloria Muñoz Ramírez

Diciassette anni dalla sollevazione in Chiapas

In silenzio e con il lavoro accumulato per la costruzione dell’autonomia, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) arriva al 17° anniversario della sollevazione che scosse il mondo intero. Quale altro movimento in Messico può, dopo tanti anni, andare a testa alta e senza vergogna per non aver mai tradito? Quale altro movimento è stato tanto duramente attaccato politicamente e militarmente per più di tre lustri e si mantiene vivo, coerente e degno?

Come ogni anno, molto inchiostro viene fatto scorrere per fare domande allo zapatismo, applaudirlo o, come ogni anno, darlo per morto. Intellettuali e giornalisti che si adattano al governo di turno riempiono pagine di giornali per dare sepoltura ad un movimento che, piaccia o no, è l’unico che può rivolgersi al Messico con la certezza che, benché non sempre si condividano le sue posizioni, è rimasto coerente e continua a guardare in basso e a sinistra.

Sotto o lontano dai riflettori e dopo 17 anni di costruzione interna e verso l’esterno, l’EZLN e la sua colonna vertebrale (le basi di appoggio appartenenti ai popoli che lo formano) non solo sono sopravvissuti a quattro presidenti che hanno cercato di annichilirli, ma hanno presentato al mondo la certezza che un altro mondo è possibile e che, nel sudest messicano, quest’altro mondo esiste già, nonostante la guerra di sterminio che si perpetua contro di loro.

La formazione dei suoi governi autonomi, nei quali si creano nuove relazioni comunitarie e la politica è luogo di incontro e convivenza dal basso, resta un riferimento e, benché non lo propongano, un esempio di organizzazione. Hanno ripetuto fino alla stanchezza che la loro esperienza è inimitabile, perché avviene in un tempo e spazio determinati ma, così come l’hanno spiegato, non si tratta di ripetere o copiare, bensì di sapere che ci sono alternative e che le risposte, quali che siano, non verranno mai dall’alto.

Nel gennaio del 1994 il mondo intero tornò a guardare il Messico diversamente. Non era per la prima Miss Universo messicana o per la celebrazione del Pentapichichi, né per il Trattato di Libero Commercio e l’ingresso nel primo mondo del Messico salinista. L’insurrezione degli indigeni maya mostrò un popolo fino a quel momento invisibile ed a partire da quel giorno molti cambiamenti sarebbero arrivati. Il Messico non è più lo stesso, anche se ora si nega allo zapatismo il suo ruolo decisivo nelle riforme che ebbero luogo.

La guerra iniziata in Chiapas il primo gennaio 1994 continua fino ai nostri giorni… e così le sue cause. L’EZLN ed i suoi popoli sono vivi, non si sono arresi e continuano ad essere una speranza. L’unica, per molti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 31 dicembre 2010

Le domande non sono state soddisfatte, denunciano le comunità in resistenza dal 1994

Dopo 17 anni dalla comparsa sulla scena dell’EZLN, il governo continua a sostenere una guerra occulta

Nonostante la strategia contrainsurgente, gli indigeni hanno sviluppato un’autonomia pacifica

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 dicembre. L’insurrezione armata dell’Esercito di Liberazione Nazionale (EZLN) compie 17 anni senza che, a giudizio delle comunità indigene in resistenza dal gennaio del 1994, le sue richieste siano state soddisfatte da quattro successivi governi federali e sei amministrazioni statali. Nonostante questo, ed una prolungata strategia contrainsurgente, le comunità e regioni ribelli portano avanti una significativa esperienza di autonomia pacifica, chiaramente nazionale, che è risultata efficace anche a difesa della sovranità territoriale messicana in tempi in cui questa non brilla.

Arrivarono nei quartieri periferici di questa città la notte del 31 dicembre 1993. Chi li vide apparire moltiplicandosi nell’ombra ne contò dapprima centinaia. Verso mezzanotte erano già migliaia, armati e in divisa. Si concentrarono nell’anello periferico, vicino al viale Juan Sabines Gutiérrez, dopo aver occupato la piazza di San Ramón ed il Puente Blanco, accesso alla città provenendo dagli Altos.

Dall’altro estremo, all’uscita per Comitán, il quartiere di San Diego ed Avenida Insurgentes, altre truppe indigene avanzavano verso il centro. Nel corso dell’alba, i nuovi insorti presero il palazzo municipale, la piazza centrale e, di fatto, la città. La stessa cosa succedeva a Ocosingo, Las Margaritas, Altamirano e Huixtán.

A quell’ora era ormai sovvertito in maniera irreversibile tutto il territorio indigeno del Chiapas, ancora ignoto alla maggioranza dei messicani, compreso il governo del presidente Carlos Salinas de Gortari e dei governatori Patrocinio González Blanco Garrido ed Elmar Setzer. I popoli maya dl Chiapas iniziarono una guerra di liberazione tuttora in corso. Il grido di “Ya Basta!” che la mattina seguente attraversò il mondo è una pietra miliare nella storia moderna del Messico.

Da allora, il movimento indigeno zapatista è un attore chiave nella lotta politica del paese. Sebbene i ribelli decretarono una tregua, dopo 12 giorni di combattimento nel gennaio del 1994, la guerra non è finita. Non sono state soddisfatte le domande che diedero origine alla sollevazione, riconosciute come legittime dai governi di Salinas de Gortari, Ernesto Zedillo e Vicente Fox. Inoltre, i governi successivi hanno sviluppato un’incessante guerra irregolare, “di bassa intensità”, contro le comunità organizzate con l’EZLN, suoi simpatizzanti, ed oggi anche gli aderenti all’Altra Campagna.

In un contesto nazionale di diffusa militarizzazione e combattimenti irregolari, frequentemente oscuri, ci si dimentica che le montagne del Chiapas continuano ad essere la regione più militarizzata del paese, e quella che sembra una “pace relativa” è in realtà una guerra occulta. Con le armi come appoggio (numerose truppe federali occupano decine di comunità sul suolo indigeno), il governo sta portando avanti una sofisticata guerra economica, sociale (a volte mascherata come “religiosa”) e psicologica.

Durante questo periodo le comunità ribelli non solo hanno resistito e sono sopravvissute, ma si sono percettibilmente trasformate. Nel dicembre del 1994 stabilirono circa 40 municipi autonomi, dando inizio alla ribellione autonomista più lunga ed efficace dell’era moderna nel mondo. Tre lustri dopo, lo zapatismo ha cinque giunte di buon governo che, in mezzo ad una guerra contrainsurgente contro di loro, rappresentano un fattore ineludibile di governabilità e legalità, letteralmente a dispetto delle politiche governative.

Gli zapatisti non solo hanno applicato una riforma agraria ugualitaria che ha elevato i livelli di vita, dignità e libertà di migliaia di contadini indigeni, ma attraverso autentiche “scuole” di governo (inteso come servizio), le giunte dei cinque Caracoles, dove operano dal 2003, hanno costruito sistemi alternativi di educazione, salute, giustizia, produzione e commercializzazione di prodotti agricoli. Inoltre, sono tre lustri di relazioni solidali e politiche con lotte ed organizzazioni del resto del paese, America ed Europa.

Nel 2010, attivi ed in lotta sulle montagne del sudest, gli zapatisti hanno mantenuto un pertinace silenzio, occasionalmente rotto per denunciare aggressioni paramilitari, poliziesche e militari quando queste raggiungono livelli intollerabili, cosa che non toglie che succedano costantemente. http://www.jornada.unam.mx/2010/12/31/index.php?section=politica&article=011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 30 dicembre 2010

Commercianti indigeni di San Cristóbal denunciano manovre per cacciarli

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 29 dicembre. Commercianti indigeni del mercato tradizionale di questa città, aderenti all’Altra Campagna, denunciano la pretesa da parte del governo municipale di cacciarli dal mercato. Ci sono voci secondo le quali si vuole costruire un self-service Soriana, catena di supermercati che si è diffusa in Chiapas in questi ultimi anni.

Da 40 anni il mercato José Castillo Tielemans è “per noi il centro di lavoro, quello che svolgiamo ogni giorno, da dove arrivano i soldi per il nostro cibo”. Il mercato è un riferimento sancristobalense perfino per il turismo, in una zona ampiamente occupata da commercianti e produttori agricoli tzotziles e tzeltales degli Altos.

Un anno fa il sindaco priista ed impresario edile Mariano Díaz Ochoa ed il governo statale hanno iniziato la costruzione di un nuovo mercato nella zona nord della città, vicino all’uscita per San Juan Chamula dove il governo statale ha costruito una nuova stazione di autobus. Entrambe le opere, di grandi dimensioni, non hanno vie di comunicazione adeguate e si trovano in zone altamente popolate da indigeni e con scarse infrastrutture urbane. Già prima della loro inaugurazione, la zona era sull’orlo del collasso stradale. Soprattutto se si aggiunge la completa mancanza di manutenzione delle strade di San Cristóbal a cui si sommano i gravi problemi ambientali. (…)

I locatari e venditori aderenti all’Altra Campagna, che non sono gli unici che si oppongono al trasferimento, dichiarano: “Non si sa esattamente che succederà al mercato José Castillo Tielemans. Alcuni dicono che la municipalità ha venduto il terreno all’impresa Soriana, ed altri che faranno un parco turistico. Noi non vogliamo né l’impresa né il parco. Neanche il mercato della zona nord, perché è un altro posto ed un altro lavoro”.

Secondo informazioni giornalistiche, il governo municipale vuole cacciare a forza i commercianti. “I funzionari dicono che non abbiamo il diritto di parlare perché non siamo cittadini di San Cristóbal, ma questo non è vero. Inoltre, come dice la Costituzione Politica, tutti abbiamo il diritto di manifestare e difendiamo il nostro posto di lavoro, perché è la nostra vita”. Ed annunciano che si opporranno allo sgombero. (..)

Bisogna segnalare che l’anno prossimo entrerà in carica il nuovo governo municipale, e Díaz Ochoa consegnerà il comune a Cecilia Flores, vincitrice per il Partito della Rivoluzione Democratica delle recenti elezioni locali. Essendo il mercato nord un progetto del governo statale, è probabile che i piani per sgomberare il vecchio mercato proseguano. Questo era un progetto delle amministrazioni passate che avevano costruito il mercato popolare del sud con la stessa intenzione, ma gli indigeni si erano opposti, come oggi si oppongono almeno 600 commercianti tradizionali. http://www.jornada.unam.mx/2010/12/30/index.php?section=politica&article=013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia da Mitzitón.

Il popolo organizzato di Mitzitón denuncia attacco paramilitare
26 dicembre 2010
Alla Commissione Sesta
Alle Giunte di Buon Governo
Al Congresso Nazionale Indigeno
Alla Sesta Internazionale
A tutti gli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona
Ai Centri dei Diritti Umani Non Governativi
Ai media liberi e indipendenti

Prima di tutto, un saluto da uomini, donne, bambine, bambini ed anziani del popolo organizzato di Mitzitón aderente all’Altra Campagna. In questi giorni che sono di festa in molti luoghi, il nostro cuore è forte ma nello stesso tempo non viviamo tranquilli a causa dei paramilitari. Questa volta, come abbiamo fatto altre volte, scriviamo per denunciare gli attacchi che stiamo subendo dai paramilitari dell’Ejército de Dios “Alas de Águila”.

Lo scorso 23 dicembre, alle 18:30 circa, quattro nostri compagni sono stati aggrediti mentre si recavano alla casa ejidale. A pochi metri dal luogo sono stati raggiunti da un gruppo di circa 20 paramilitari, siccome era buio non è stato possibile riconoscerli tutti, ma alcuni sono stati visti bene, ed erano Miguel Díaz Gómez, Luis Rey Pérez Heredia, Carmen Gómez Gómez, Feliciano Jiménez Heredia, Roberto Jiménez Heredia, Victor Heredia Jiménez, Tomás Díaz Gómez e Julio Hernández Gómez.

Questi paramilitari hanno cominciato a picchiare i nostri compagni e tre di loro, dibattendosi e lottando, sono riusciti a scappare, e sono Manuel de la Cruz Vicente, Julio de la Cruz Vicente, Lucio de la Cruz Vicente, I compagni erano feriti e con la testa rotta perché sono stati picchiati con pugni e bastoni e pietre. Il compagno Domingo de la Cruz Vicente non è riuscito a scappare e l’hanno portato a casa di Francisco Gómez Díaz e Gregorio Gómez Jimémez, dove i paramilitari hanno costruito una prigione per rinchiuderci tutti. È una stanza di metro e mezzo dove l’hanno cosparso di benzina, gli hanno orinato addosso, l’hanno denudato e picchiato ancora per un’ora. Questo compagno, ferito gravemente, è stato trattato come non si tratta nemmeno una bestia, e così conciato l’hanno messo su un furgone e scaricato vicino alla casa ejidale.

 

Verso le 20:30 si sono messi a sparare vicino al nostro cartellone di Aderenti all’Altra Campagna, si sono sentiti molti spari, forse di due interi caricatori. Verso le 23:00 i quattro compagni aggrediti erano ormai a casa loro quando sono arrivati un’altra volta i paramilitari che volevano farli uscire per ucciderli. Sono arrivate due auto a fari spenti. Ci sono due entrate per la sua casa e Quando i compagni hanno visto le auto con i fari spenti sono usciti da una porta sul retro e si sono nascosti per ascoltare cosa dicevano i paramilitari. Dal loro nascondiglio hanno visto i paramilitari Roberto e Feliciano sparare a 300 metri dalla casa.

Poi, all’alba, circa alle ore 2, hanno di nuovo sparato alla casa di Gregorio. Da quella notte, e quasi tutte le notti, sparano vicino alle case dei nostri compagni, tra i quali il compagno Pedro Díaz Gómez.

Dov’è la giustizia, la punizione per chi viola i diritti di cui tanto si vanta il malgoverno dello Stato e Federale? Abbiamo molte denunce pubbliche sufficienti affinché si indaghi, abbiamo portato prove e presentato denunce alle autorità di aggressioni, disboscamento clandestino ed ogni tipo di reato che i paramilitari commettono contro noi, ma non fa niente, né rispetta la sua parola, perché la sua parola non vale niente, per questo vengono qui i suoi rappresentanti e firmano accordi e poi si comportano come non fosse successo niente.

 

Il malgoverno dice che è problema religioso, ancora una volta vogliamo che sia ben chiaro che noi rispettiamo il credo di ognuno e non permetteremo che si continuino a commettere delitti nella nostra comunità e si continui ad utilizzare L’Ejército de Dios “Alas de Águila” per attaccarci e fermare la nostra lotta e la nostra organizzazione ed il cammino verso l’autonomia ed i diritti che abbiamo come popolo indigeno.

 

Questa domenica 26 dicembre ci siamo riuniti in assemblea generale dove si è deciso di esigere il rispetto dell’accordo firmato con i funzionari del malgoverno in data 5 luglio di questo anno, perché fino ad ora non c’è stato il ricollocamento dei paramilitari; in quel documenti il governo chiese un mese di tempo per negoziare con quelli dell’Ejército de Dios ma fino ad ora non hanno fatto niente.

Il popolo ha deciso ed è ormai stanco di tante torture e minacce. Vediamo i paramilitari  sentirsi sempre di più forti e per questo continuano a picchiare e sparare cercando di provocarci. Se succederà qualcosa nel nostro villaggio, i responsabili diretti saranno Juan Sabines Guerrero e Felipe Calderón Hinojosa, perché danno impunità a delinquenti paramilitari e non mantengono quanto promesso e ratificato al popolo di Mitzitón.

Distintamente.
Pueblo Organizado de Mitzitón, Adherente a La Otra Campaña.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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13 anni da Acteal

La Jornada – Venerdì 24 dicembre 2010

A 13 anni dal massacro di decine di tzotziles, l’organizzazione aspetta ancora giustizia

Massacri come quello di Acteal ora accadono “tutti i giorni”, denunciano Las Abejas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, 23 dicembre. In occasione di un altro anniversario del massacro di Acteal (“un’operazione contrainsurgente, un crimine di Stato”), l’organizzazione Las Abejas ha dichiarato che “oggi sembra che tutto il Messico sia caduto nelle mani dei signori di Xibalbá, che impongono la loro legge di paura ed oscurità: 30 mila morti dalla violenza assassina nel periodo di mandato di Calderón”. I massacri “avvengono tutti i giorni, non ci sono più reazioni di denuncia nazionale ed internazionale come dopo il 22 dicembre del 1997”. Il governo disse allora che il massacro fu per “conflitti intercomunitari”. Oggi, che i massacri quotidiani “sono il risultato della sua guerra contro il crimine organizzato”.

I tzotziles di Chenalhó rilevano che per 13 anni hanno denunciato costantemente gli autori materiali ed intellettuali del massacro e l’impunità di cui godono. Mese dopo mese, in 156 occasioni, Las Abejas hanno chiesto giustizia: “Abbiamo detto che non vogliamo vendetta. E allora ci chiedono perché continuiamo a denunciare, se abbiamo ormai perdonato. Noi rispondiamo che non vogliamo che si ripeta un altro Acteal, che rinunciamo alla vendetta ma non alla verità né alla giustizia”.

I signori del Xibalbá “non vogliono che vediamo quello che succede, ma noi, come i gemelli Jujnapú e Ixbalanqué, sappiamo come accendere un ocote affinché le tenebre dell’inframondo non ci accechino”. In mezzo a tante migliaia di cadaveri, aggiungono, “scopriamo i corpi di uomini e donne di cui il governo vuole disfarsi; difensori dei diritti umani, comunicatori, giornalisti indipendenti, leader sociali”.

Il “malgoverno”, sostengono, “ha voluto distruggere Las Abejas, e quando ha creduto di averci indeboliti, ha aperto le porte della prigione ai suoi complici paramilitari e tenta di introdurre i suoi megaprogetti” a Chenalhó.

“I paramilitari escono liberi con regali e premi. La giustizia messicana ha deciso di lasciare liberi senza nessun ostacolo coloro che hanno fatto del male ai nostri fratelli e sorelle. Non sappiamo che cosa potrebbe succedere ai testimoni ed ai sopravvissuti, perché i paramilitari sono tornati e tengono nascoste le loro armi”. Riferiscono che alcuni giorni fa, a La Esperanza, una delle comunità in cui sono tornati i paramilitari, si sono uditi spari.

Las Abejas dicono che “il megaprogetto che il malgoverno ha cercato di introdurre” a San Pedro Chenalhó sono le città rurali. Grazie alle denuncie, “gli abitanti di San Pedro Chenalhó di tutti i partiti si sono ribellati, perfino i priisti”, ed il governo “si è incagliato nelle sue stesse contraddizioni”. Dapprima ha negato il progetto. “Poi, il presidente municipale ha ammesso che c’era, mentre il governo statale continuava a negarlo”.

Alla fine, gli agenti municipali filo-governativi hanno inviato una lettera alla fine di novembre al governatore Juan Sabines Guerrero sollecitando la cancellazione totale di questa proposta, “poiché rompe con i nostri usi, costumi e tradizioni”. Inoltre, così “non si combatte la povertà né l’emarginazione”.

Nonostante i tentativi del governo “di indebolire e distruggere Las Abejas”, l’organizzazione si ritiene rafforzata. “La nostra voce viene ascoltata da altre organizzazioni, anche se non l’ammettono”. E concludono: “Smettere di lottare è tradire il sangue versato ad Acteal dai nostri 45 fratelli e sorelle, è ingannare noi stessi. Altri volevano che perdessimo la speranza, ma non l’abbiamo persa perché sappiamo che la nostra lotta, come l’azione di seminare mais, presto o tardi darà i suoi frutti”. Un annuncio di questi frutti, affermano, è il recente accoglimento del caso dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH)”.

A differenza della “Corte Suprema dei ricchi e criminali”, la relazione preliminare della CIDH “conferma il valore delle testimonianze dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti al massacro”. http://www.jornada.unam.mx/2010/12/24/index.php?section=politica&article=013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 21 dicembre 2010

Il Centro Frayba denuncia aggressioni contro i suoi collaboratori

Persistono le minacce ai difensori dei diritti umani in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 dicembre. Si accumulano òe denunce di minacce, effrazioni e persecuzioni contro i difensori de diritti umani che lavorano nelle regioni indigene del Chiapas.

Ora, mentre il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) denuncia aggressioni contro i suoi collaboratori, in maniera quasi simultanea coloni choles del municipio di Tumbalá informano che l’attivista Claudia Díaz Moreno ha ricevuto minacce ed è stata oggetto di persecuzione da parte della polizia su ordine della delegata della segreteria di Governo, Ana del Carmen Valdivieso, e della presidentessa municipale Mercedes Guadalupe Solís Sánchez, “appartenenti al PAN ed a Paz y Justicia”, specificano.

Il CDHFBC ha reso noto che Julio César Pérez Ruiz, del comitato degli ex prigionieri politici Voces Inocentes ed il medico José Alejandro Meza, della Rete del Personale Medico e di Salute Mentale per l’Assistenza ai Sopravvissuti alla Tortura, collaboratori esterni del Frayba, “sono stati oggetto di sorveglianza e persecuzione in diverse occasioni qui in città”.

Pérez Ruiz, che “compie visite nelle prigioni per documentare la situazione delle persone private della libertà”, è stato seguito e fotografato ostentatamente per le strade ed in “altri luoghi”, come la facoltà di diritto, dove studia.

Da parte sua, Meza ha subito effrazioni nella sua macchina ed in casa sua. Lo scorso 7 dicembre ha trovato la sua auto aperta con un messaggio minatorio rivolto a lui. Alle due e mezza del mattino del giorno 10 ha ricevuto una chiamata: “Ciao dottore, hai una bella casa, ma si vede che non ci sei mai perché le tue piante hanno sete ed è molto in disordine, con tutti quei libri sul tavolo”, poi sono partiti gli insulti.

Tornando a casa, Meza (che forma promotori di salute a Mitzitón ed Acteal) sul suo letto ha trovato “documenti e relazioni relative alla sua attività di difensore ed alle sue collaborazioni mediche con il Frayba; dal suo computer sono state sottratte cartelle cliniche e perizie di sopravvissuti alla tortura”. Gli intrusi non hanno preso alcun oggetto di valore.

Il CDHFBC sottolinea che questi nuovi avvenimenti avvengono nel contesto di recenti minacce di morte all’attivista Margarita Martínez, di Comitán, ed a componenti del centro stesso.

Intanto, il Comitato dei Diritti Umani di Base Digna Ochoa, della zona Nord, ha trasmesso le testimonianza dei coloni del quartiere La Independencia (Tumbalá) riguardo alle “pressioni” del sindaco Solís Sánchez per far passare un canale di scolo nel loro territorio fino all’impianto di trattamento. Gli indigeni dichiarano che l’impianto è stato studiato con una capacità limitata ai bisogni del quartiere. “La gente non è d’accordo perché non è mai stato contemplato in questo modo”.

Il 16 de dicembre, la delegata di governo e l’ingegner Francisco Zavaleta, dell’impresa costruttrice del canale di scolo nei quartieri Deportiva e Calzada Villa Nueva, “hanno mandato a chiamare il giudice rurale di La Independencia, Francisco Velasco Álvaro”; con lui è arrivata Rosa Claudia Díaz Moreno. C’erano più di 30 persone di altri quartieri, agenti municipali e statali con armi a canna lunga ed un veicolo con poliziotti del ministero.

La delegata Valdivieso voleva obbligare il giudice rurale a firmare l’autorizzazione senza consultare i suoi rappresentati; ma il giudice si è rifiutato. Díaz Moreno ha accusato la funzionaria di “violare i diritti della gente”, e questa ha ordinato di fotografarla e “prendere le sue generalità”. Il Comitato “Digna Ochoa” si dice preoccupato e chiede al governo del Chiapas la sospensione di persecuzioni e minacce. http://www.jornada.unam.mx/2010/12/21/index.php?section=politica&article=018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia ejido Bachajón.

La Jornada – Sabato 18 dicembre 2010

Aderenti zapatisti denunciano i commissari ejidali di Bachajón, Chiapas, di essere i responsabili delle rapine sulla strada Ocosingo-Palenque

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, 17 dicembre. Le autorità dell’ejido San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona Chiapas, nel municipio di Chilón, denunciano i membri del commissariato ejidale di realizzare assalti e rapine sulla strada Ocosingo-Palenque con la protezione del governo.

Lo scorso 12 dicembre, alle ore 19, un gruppo di incappucciati armati ha realizzato un assalto al chilometro 99 della strada. Secondo gli ejidatarios tzeltales, “autorità della Polizia Preventiva li hanno colti sul fatto”. Erano “persone non identificate che bloccavano la strada con dei tronchi”.

Agenti della Polizia Stradale si sarebbero scontrati con i delinquenti chi sono fuggiti, “senza riuscire a stabilire quanti fossero”. E’ stato rinvenuta una carabina calibro 22 persa dagli assalitori durante la fuga. Tuttavia, “la polizia non li ha inseguiti”.

Qualche ora dopo, proseguono gli ejidatarios, “autorità dell’Altra Campagna sono venute a conoscenza dei fatti”. Nello scontro con la polizia, uno degli assalitore è rimasto ferito. Alle 6 del giorno seguente, nella comunità vicina si è svolta un’assemblea. Poi, “abitanti delle comunità vicine ed i membri dell’organizzazione si sono assunti  il compito di investigare e seguire le tracce di sangue lasciate dagli assalitori che portavano alle case della famiglia Morales Álvarez”

Le organizzazioni insieme agli “abitanti che non fanno parte dell’organizzazione nella comunità” chiedono agli enti preposti di governo “di far luce sui fatti, poiché non è la prima volta che si verificano assalti in diversi tratti stradali”. Bisogna ricordare che il governo statale aveva tentato di criminalizzare gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón dell’Altra Campagna, accusandoli senza fondamento di queste rapine.

“Questi assalitori fanno parte del commissariato e sono figli del dirigente del movimento filogovernativo”, affermano ora gli ejidatarios. Ed avvertono: “Se le autorità di governo non assumeranno una posizione al riguardo, l’organizzazione indagherà su questi fatti e riterrà responsabili i diversi enti di governo”. http://www.jornada.unam.mx/2010/12/18/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 17 Dicembre 2010

Gianni Proiettis denuncia che il suo fermo è un “attentato contro la libertà di stampa”

Fermato in Chiapas per “confusione” un giornalista di origine italiana, già rilasciato

La Polizia statale aveva accusato il docente universitario anche di possesso di marijuana

Elio Henríquez. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 16 dicembre. Gianni Proiettis, collaboratore del quotidiano italiano Il Manifesto e professore universitario dell’Università Autonoma del Chiapas (Unach), la mattina di oggi è stato fermato da poliziotti statali con l’accusa di possesso di marijuana, ma nove ore dopo è stato liberato dicendo che si è trattato di “confusione”.

Il giornalista di origine italiana ha dichiarato che il suo fermo rappresenta un “attentato contro la libertà”, perché è sicuro di essere stato fermato per aver scritto alcuni articoli critici contro le autorità federali.

Intervistato per telefono dopo essere stato liberato, poco prima delle ore 22, Proiettis ha raccontato che intorno alle 11.30 era uscito di casa nel quartiere di Cuxtitali “per comprare delle sigarette e mi hanno afferrato tre civili con le pistole; mi hanno caricato su un’auto senza dirmi che erano poliziotti statali; l’ho saputo dopo”.

Ha aggiunto che i poliziotti non l’hanno nemmeno informato di cosa fosse accusato e l’hanno portato nella sezione antidroga con sede a Tuxtla Gutiérrez, dove è rimasto isolate per diverse ore.

Ha raccontato che un’ora prima di essere liberato gli hanno detto che era accusato “di avere uno spinello (sic) di marijuana, cosa non vera. Mi hanno fatto questa accusa falsa. E’ stato solo in Procura che ho saputo di cosa mi accusavano di avere una piccola bustina, che se anche fosse stata mia era assurdo, ma non era neppure mia”.

Dal 1993 Proiettis insegna antropologia alla Facoltà di Scienze Sociali della Unach, con sede in questa città, e dal 1994 quando insorse pubblicamente l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, collabora con Il Manifesto.

“Vedo la mia detenzione come un attentato alla libertà di stampa. Sicuramente quello che ho scritto non è piaciuto a qualche politico. Credo che sia questa la ragione di fondo del mio fermo, non vedo altra ragione”, ha aggiunto.

Ricorda che nei suoi recenti articoli ha trattato il tema del narcotraffico in Messico, cosa che irrita “particolarmente il governo federale”, e recentemente ha coperto il forum sui cambiamenti climatici di Cancun, Quintana Roo.

Sostiene che i poliziotti non lo hanno picchiato né maltrattato, “ma al momento di entrare nel veicolo mi hanno minacciato con una pistola e mi hanno infilato un cappuccio in testa, ma nient’altro di particolare”.

E’ stato liberato intorno alle 21.30, dopo che Mónica Mendoza Domínguez, segretaria particolare del vice-procuratore generale di Giustizia dello stato, Jorge Culebro Damas, gli ha detto che si era trattato di una “confusione” e gli ha offerto le proprie scuse.

A Città del Messico, l’Istituto Nazionale di Migrazione ha confermato che “non ha citato né ha fermato” Gianni Proiettis.

Ha detto di non avere informazioni e che, eventualmente, questa responsabilità sarebbe delle procure statale e Generale della Repubblica, perché fino alla notte di questo giovedì la Migrazione non aveva partecipato a nessun operativo.

Con informazioni di Fabiola Martínez

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)



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SIPAZ accompagna il Frayba.

SIPAZ

2 dicembre 2010

Ai membri della coalizione internazionale di SIPAZ

Agli organismi dei diritti umani nazionali ed internazionali

Ai mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali

All’opinione pubblica

Avviso di accompagnamento internazionale al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas da parte del Servizio Internazionale per la Pace

Con la presente, il Servizio Internazionale per la Pace (SIPAZ), ONG internazionale con quasi 15 anni di esperienza di lavoro in favore della pace in Chiapas, informa dell’accompagnamento fisico che offre eccezionalmente al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (CDHFBC) per le recenti minacce di morte che ha ricevuto ed in maniera più generale, per il contesto di rischio in cui sta operando.

Fatti

Il 24 novembre 2010, a San Cristóbal e Las Casas, Margarita Martínez Martínez è stata molestata e minacciata di morte da due sconosciuti, aggressione che SIPAZ ha denunciato nella sua Azione Urgente del 26 novembre di 2010 esprimendo la sua forte preoccupazione per la vita, la sicurezza e l’integrità di Margarita Martínez e della sua famiglia. Lo stesso giorno, gli aggressori di Margarita Martínez l’hanno usata come intermediaria affinché trasmettesse minacce di morte, verbali e scritte, all’equipe del CDHFBC. (…).

Contesto

Come SIPAZ, riteniamo che il contesto socio-politico attuale in Chiapas rappresenti un alto livello di rischio per i difensori dei diritti umani causa la criminalizzazione crescente di questo lavoro dal 2009, così come per l’impunità che prevale nell’investigazione di casi di persecuzione o aggressioni contro di loro.

Precedenti

Per quanto sopra, vogliamo ricordare che le minacce di morte ricevute dal CDHBFC il 24 novembre non sono un fatto isolato ma solo l’ultimo incidente di una serie di vessazioni contro questo Centro di fronte alle quali la reazione dello Stato è risultata insufficiente. Dalla metà del 2009, l’equipe del CDHFBC è stata vittima di campagne mediatiche di discredito, atti di diffamazione, pedinamenti, minacce e perfino un’aggressione fisica ad uno dei suoi membri.

Accompagnamento di SIPAZ

Come Servizio Internazionale per la Pace, la nostra missione consiste nell’accompagnare e proteggere il lavoro di attori locali pro pace ed i diritti umani per promuovere la costruzione di una pace positiva in Chiapas. Stimiamo il lavoro del CDHFBC in difesa dei diritti umani e dei diritti dei popoli e ribadiamo la nostra forte preoccupazione per la vita, la sicurezza e l’integrità fisica e psicologica dei suoi membri.

Pertanto, come SIPAZ, oltre all’azione urgente emessa il giorno 26 novembre 2010, alla diffusione dell’informazione sul caso ed agli appuntamenti relativi a livello nazionale ed internazionale, abbiamo deciso di accompagnare il CDHFBC con visite giornaliere ai suoi uffici per l tempo che riterremo utile in funzione delle necessità e delle risposte, tanto della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) che dello Stato messicano.

Bisogna ricordare che: La Dichiarazione dei Difensori dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, dice che: “Lo Stato garantirà la protezione da parte delle autorità competenti di ogni persona, individualmente o collettivamente, di fronte ad ogni violenza, minaccia, rappresaglia, discriminazione, negazione di diritti, pressione o qualunque altra azione arbitraria risultante dell’esercizio legittimo dei diritti”.

Ai membri della coalizione internazionale di SIPAZ, agli organismi dei diritti umani nazionali ed internazionali, ai mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali, all’opinione pubblica, chiediamo di vigilare su quello che potrebbe succedere all’equipe del CDHFBC e che sollecitino misure per proteggere il lavoro, la vita, la sicurezza, l’integrità, e le famiglie di tutt@ i suoi componenti.

Distintamente,

Servizio Internazionale per la Pace (SIPAZ)

http://sipaz.wordpress.com/
http://www.sipaz.org/

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La Jornada – Domenica 28 novembre 2010

MINACCIATA DI MORTE UN’ATTIVISTA IN CHIAPAS

La scorta scompare durante i fatti

Hermann Bellinhausen

L’attivista per i diritti umani Margarita Martínez Martínez è stata nuovamente minacciata di morte lo scorso mercoledì 24 a San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Le minacce si intendono al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC).

Mentre Martínez Martínez, membro di Enlace y Comunicación, con sede a Comitán, usciva da un incontro con funzionari dell’ufficio in Messico dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, è stata minacciata da due sconosciuti a bordo un veicolo Ranger, bianco, senza targa. Secondo la sua testimonianza, uno degli uomini le si è avvicinato di modo intimidatoria dicendo: “Cammina e non fare stronzate e ascoltami bene”. Poi le ha indicato di dirigersi verso la chiesa di San Cristobalito, dove l’aspettavano gli stessi individui che poi “l’hanno mandata” al cimitero comunale.

“Vai a trovare i tuoi morti perché molto presto starai con loro”, le ha detto lo stesso uomo consegnandole un foglio con scritto: “Porta questo al Frayba e di a Diego (Cadenas, il direttore) che sappiamo che lavora con gruppi sovversivi e che conosciamo bene quelli del Frayba e li elimineremo uno per uno perché sono solo degli stronzi che vogliono destabilizzare lo stato e giustificano le loro spese con la scusa che sono a beneficio dei più bisognosi”.

L’individuo le ha consegnato un messaggio fatto con ritagli di giornale: “Diego la vita della tua famiglia è nelle tue mani. Sarà colpa tua”.

Javier Hernández Valencia, rappresentante in Messico dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha condannato in maniera energica l’aggressione: “È allarmante che sia successo nonostante ci fosse la scorta della polizia, dopo che Margarita si era incontrata con noi, a due giorni dall’aver visto i delegati di Acción de Cristianos para la Abolición de la Tortura (ACAT), e quasi nel preciso momento in cui l’ufficio, insieme alla CNDH ed alla CIDH rendevamo pubblica la nostra preoccupazione per la situazione critica che affrontano i difensori dei diritti umani in Messico”.

Bisogna ricordare che a causa delle precedenti aggressioni, Margarita Martínez e la sua famiglia godono di misure di protezione richieste dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) per questo hanno una scorta della polizia. Al momento dei fatti la guardia del corpo è inspiegabilmente “sparita”. Gli agenti assegnati a Margarita ed alla sua famiglia non hanno rispettato le misure di protezione”, dice il CDHFBC. La notte prima, “stranamente si è interrotta l’energia elettrica a casa di Margarita, e le telecamere di sicurezza non hanno funzionato”.

Il Centro Fray Bartolomé, rappresentante legale di Margarita e della sua famiglia, lamenta la “negligenza” governativa, poiché “lo stato del Chiapas non rispetta le misure di protezione imposte dalla CIDH”.

La famiglia Ordaz Martínez subì la perquisizione della propria casa da parte della polizia a Comitán, l’8 novembre 2009, ed oltre ad aver denunciato gli agenti ministeriali e municipali, accusarono José Luis Gómez Santaella, l’allora responsabile del distretto Confine-Sierra.

La Procura Generale di Giustizia dello Stato del Chiapas il 20 novembre scorso ha emesso azione penale (istruttoria AP0004/FEPONGDDH-M1/2009) contro funzionari pubblici per diversi reati penali in relazione con l’aggressione.

Il 25 febbraio scorso Margarita era stata sequestrata, picchiata e minacciata di morte “se non avesse ritirato la denuncia”. Per questo dal 3 marzo 2010 le sono state concesse misure cautelari. http://www.jornada.unam.mx/2010/11/28/index.php?section=politica&article=025n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)



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Ancora minacce.

CENTRO DEI DIRITTI UMANI FRAY BARTOLOME DE LAS CASAS

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas
24 novembre 2010

Nota informativa/URGENTE

A rischio la vita e l’integrità dei difensori dei Diritti Umani in Chiapas, Margarita Martínez e componenti del Frayba

Oggi, 24 novembre 2010, questo Centro dei Diritti Umani è venuto a conoscenza di due fatti avvenuti nella città di San Cristóbal de Las Casas, che mettono a rischio la vita e l’integrità dell’avvocatessa Margarita Guadalupe Martínez Martínez e di membri del Frayba.

Sostanzialmente Margarita Martínez riferisce quanto segue: “oggi, dopo avere sostenuto un’intervista con un funzionario dell’Ufficio in Messico dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, mi sono diretta in un bar nella zona centro di questa città per prendere qualcosa; uscendo dal caffè ho cercato la persona che mi è stata assegnata di scorta (Margarita è sottoposta a misure precauzionali raccomandate dalla CIDH) ma non c’era, quindi ho percorso un isolato e lì sono stata bloccata da due persone, una a bordo di un’auto Ranger bianca senza targa e l’altra a piedi, quest’ultima mi ha intimato di proseguire per altri due isolati dove avrei incontrato una persona che mi avrebbe dato indicazioni”.

Margarita prosegue: “Ho proseguito fino al luogo, perché mi avevano minacciato di morte se non l’avessi fatto, e giunta a destinazione una persona mi ha consegnato un foglio, con lettere ritagliate da un giornale, che dice: “Diego en tus/ manos esta la vida / de esta familia / enfrentarás cargos / Avvocati del cazzo”. Poi mi ha detto di portarlo al Frayba che sono dei pezzi di merda che vogliono destabilizzare lo Stato, secondo loro spendono soldi per i più deboli a favore della giustizia, giustizia un cazzo”.

Dopo altre minacce ai membri del Frayba, le hanno intimato di percorrere un paio di isolati e prendere un taxi per andare al cimitero municipale “per parlare con i tuoi morti che presto incontrerai”, e riprendere un taxi per andare al mercato “senza fare stronzate altrimenti sei morta”.

Margarita è stata seguita dall’auto che controllava che facesse il percorso indicato, e una volta in centro città, a causa del traffico, perdere di vista i suoi aggressori e riesce a raggiungere questo Centro dei Diritti Umani.

Il poliziotto responsabile della sua sicurezza, ha dichiarato di non essersi mai allontanto dal bar dove si trovava Margarita, e sostiene di aver sempre controllato le porte del locale e che non ha visto uscire Margarita.

Contesto e precedenti

Ieri, stranamente in casa di Margarita si è interrotta la corrente elettrica e le telecamere di sicurezza non hanno funzionato.

Margarita Martínez e la sua famiglia sono sottoposte a misure cautelari dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, per questo contano su misure di sicurezza di polizia da parte del governo dello Stato del Chiapas.

Comunicación Social
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Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CNI: Dichiarazione di Vícam.

La Jornada – Martedì 23 novembre 2010

Il Congresso Nazionale Indigeno respinge il processo di appropriazione di fiumi e lagune

Il Pronunciamiento de Vícam rivendica il diritto all’autodeterminazione

Il progetto di un acquedotto in Sonora rappresenta lo sterminio della tribù yaqui

Hermann Bellinghausen. Inviato. Vícam, Sonora, 22 novembre. “Esprimiamo il nostro diritto storico alla libera determinazione come popoli, nazioni e tribù originari, nel rispetto delle diverse forme che per l’esercizio di questo diritto decidano i nostri popoli, secondo la loro origine, storia ed aspirazioni”, dichiara il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) nel suo Pronunciamiento de Vícam, letto ieri sera da Tomás Rojas Valencia, rappresentante della tribù yaqui anfitrione dell’evento, a conclusione del Forum Nazionale “in difesa dell’acqua, della terra e dell’autonomia dei popoli originari” che si è svolto qui

Rispetto al centenario dell’inizio della Rivoluzione, il CNI dichiara nettamente: “Quella lotta storica, così come le gesta precedenti, sono costate molto sangue ai nostri popoli e poco o niente abbiamo ottenuto in cambio del sacrificio fatto dai nostri nonni per costruire e liberare la patria di tutti i messicani, perché le successive Costituzioni del 1824, 1857 e 1917 nemmeno riconoscono la nostra esistenza”.

Il CNI enfatizza la sua opposizione al crescente esproprio e appropriazione privata di acqua, fiumi, ruscelli, sorgenti, acque profonde, ruscelli, lagune, estuari, coste, mari, spiagge “e tutto ciò che compone i territori dei nostri popoli”, così come la costruzione di acquedotti e dighe per accaparrare e vendere l’acqua. Si oppongono “nettamente” al fatto che la risorsa, “fondamento della vita”, cada nelle mani di interessi privati, così come alle leggi, regolamenti e politiche “tendenti” alla privatizzazione dell’acqua.

In questione, il CNI si unisce alla protesta delle tribù yaqui contro la costruzione di un acquedotto per bonificare la diga El Novillo “da parte dei governi federale, statale e dell’impresario Carlos Slim”. L’opera vuole portare “la quasi la totalità delle acque del fiume Yaqui al municipio di Hermosillo per favorire gli interessi immobiliari, turistici ed agroindustriali del capitale”.

L’esecuzione di questo progetto spoglierebbe delle sue acque, senza consultazione previa, la tribù yaqui, “annullando la sua autonomia ed il suo diritto storico sul bacino del fiume, provocando la distruzione del suo territorio e lo sterminio definitivo della tribù, e la compromissione profonda dell’equilibrio ecologico nel sud di Sonora e la rovina degli agricoltori della Valle dello Yaqui”.

I delegati indigeni riuniti questo fine settimana, respingono “la repressione governativa e paramilitare scatenata contro i nostri popoli”. In particolare, i triqui di Oaxaca; le comunità, caracoles e giunte di buon governo zapatiste del Chiapas; la comunità nahua di Santa María Ostula, Michoacán, e la comunità tzotzil di Mitzitón, Chiapas.

San Juan Copala, ed in generale il doloroso conflitto tra le organizzazioni triqui, sono stati molto presenti nel forum. Il CNI afferma: “Ci opponiamo allo sgombero forzato di chi forma il municipio autonomo di San Juan Copala ed alla militarizzazione della regione triqui”.

Di conseguenza, esorta “donne, uomini, bambini, bambine ed anziani che compongono il popolo triqui a ricostruire la propria unità, senza distinguo di organizzazioni e senza l’intromissione degli interessi esterni che provocano il conflitto”.

Il CNI invita a sostenere l’autonomia dei popoli “difendendo la terra, il territorio, le montagne, le acque, gli esseri spirituali e naturali, così come la propria cultura e rafforzando i nostri governi, assemblee, autorità tradizionali ed agrarie, sotto il principio del comandare ubbidendo”. http://www.jornada.unam.mx/2010/11/23/index.php?section=politica&article=019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Gloria Muñoz Ramírez: Riassunto.

Los de Abajo – 20 novembre 2010

Riassunto

Gloria Muñoz Ramírez

Novembre. Il 16, Saramago, premio Nobel per la Letteratura 1998, avrebbe compiuto 88 anni e Lisbona si è riempita delle sue parole. La biblioteca del Palazzo delle Galveias, la stessa nella quale il giovane José scoprì la letteratura ed i suoi misteri, gli rende tributo mettendo il suo nome ad una sala, mentre Fernando Gómez Aguilera presenta l’ultimo libro dello scrittore lusitano: un compendio delle sue dichiarazioni di principio rilasciate in diverse interviste. Nessuno dimentica che nella sua visita in Chiapas nel 1998, poco dopo il massacro di Acteal, dichiarò che in quello stato meridionale “solo per chi non vuole vedere né capire le cose, si nasconde il fatto che l’Esercito ed i paramilitari sono un’unica cosa”, frase che oggi si potrebbe ripetere senza ambiguità alcuna.

Novembre. Un 17 di 27 ani fa l’EZLN nacque sulle montagne dal sudest messicano. I suoi popoli arrivano a questa data assediati dall’Esercito e dai paramilitari che, come direbbe José, sono la stessa cosa. L’autonomia, tuttavia, non si ferma. Queste comunità sono forse l’unica esperienza autonomista che prosegue ancora oggi avendo contro tutto e tutti. Mentre in altre regioni la difesa del territorio è la priorità ed il lavoro organizzativo ritarda a causa all’assedio, qui il processo è irreversibile e continua ad essere la pietra miliare di una lotta sempre in costruzione.

Novembre. L’8, Il Marocco distrugge l’accampamento El Aaiún, nel Sahara occupato, e reprime la popolazione. Ci sono decine di morti, torturati e scomparsi. Attualmente la tensione continua, sotto il controllo delle forze di sicurezza marocchine. Un anno prima, sempre in novembre, Saramago scrive all’attivista saharaui Aminatu Haidar: “Se il potere del Marocco finisce per piegare i saharauis, questo paese, ammirevole per altre cose, avrà ottenuto la più triste vittoria, una vittoria senza onore, ottenuta sulla vita ed i sogni di tanta gente che voleva vivere in pace nella sua terra e con i suoi vicini per fare del continente, tutti insieme, un luogo più abitabile”. Alla morte del Nobel, Haidar scrisse: “La perdita di Saramago non è un fatto che riguarda solo una cerchia ristretta di persone, ma è un evento universale che, in qualche modo, ha colpito il pianeta”.

Novembre. Il 20, 100 anni dall’inizio della Rivoluzione Messicana. Qualcuno di quelli che stanno in alto ha qualcosa da festeggiare? Lontano dal potere, e insieme ai popoli indigeni del paese, questo fine settimana la tribù yaqui di Vicam, Sonora, celebra il primo Forum in Difesa dell’Acqua, sotto il principio che “la terra, il vento, l’acqua e il fuoco, elementi della nostra origine, non si vendono e si difendono con la vita”.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Minacce a Bachajón.

La Jornada – Giovedì 18 novembre 2010

Ejidatarios di Bachajón, Chiapas, denunciano la recrudescenza delle aggressioni della Opddic

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón, Chiapas), aderenti all’Altra Campagna, denunciano lna crescente strategia “di calunnie, ingiustizie e provocazioni delle autorità del malgoverno da cinque mesi”, così come la recrudescenza di aggressioni e vessazioni da parte di membri dell’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), considerata paramilitare dagli stessi ejidatarios.

Quelli della Opddic, gruppo filo-governativo, “vogliono disintegrare la società e l’organizzazione minacciando di impossessarsi della cabina di riscossione e del banco di ghiaia”, recuperato recentemente dagli ejidatarios stessi. “Ora sorgono nuove minacce con lo stesso interesse del neoliberismo e dei progetti transnazionali”. Di fronte a ciò, la società civile “si sta organizzando sempre di più per resistere e difendere le risorse naturali dei nostri ejidos”.

I contadini tzeltales, insediati vicino allo stabilimento balneare di Agua Azul, segnalano che il commissario ejidale filogovernativo “non è riuscito a guadagnarsi la fiducia della gente né ha idea della politica che sta facendo”. Ritengono responsabile di ciò il delegato di Governo a Chilón, Ledín Méndez; la deputata Yari del Carmen Gebrardt Garduza, e gli indigeni Carmen Aguilar Gómez e suo figlio, congiuntamente a Francisco Guzmán Jiménez. “Tutte queste persone si sono incontrate a Chilón, Ocosingo ed in altre parti con i dirigenti della Opddic, sembra per sottrarre la cabina di riscossione ed il banco di ghiaia”.

Gli ejidatarios assicurano che “questi ambiziosi si sono guadagnati la fiducia del segretario di Governo, Noé Castañón”, che li ha ricevuti lo scorso 8 novembre, “a braccia aperte ed un menù speciale, idei e progetti transnazionali e come distruggere la nostra organizzazione”. Sostengono che “è chiaro l’interesse di scatenare un conflitto in diverse comunità dell’ejido organizzando gruppi paramilitari per intimorire la società”.

Gli ejidatarios avvertono: “Difenderemo le nostre risorse naturali fino alle ultime conseguenze, dimostreremo al governo che non siamo soli. Di qualsiasi aggressione ai nostri compagni riteniamo responsabili direttamente il governo di Juan Sabines Guerrero, il delegato di Governo, la deputata Gebrardt Garduza (con sede ia Palenque) e la dirigenza della Opddic”.

Annunciano che a partire da questa data “non ci sarà dialogo né alcun avvicinamento con nessuna autorità ufficiale, poiché non negoziamo né facciamo accordi col malgoverno, perché è chiaro il suo interesse nel toglierci le nostre terre ed impadronirsi delle nostre risorse”. http://www.jornada.unam.mx/2010/11/18/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Altra Campagna a convegno.

La Jornada – Domenica 14 novembre 2010

Zapatisti: Il paese è in grave pericolo a causa del sistema capitalista

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Salvador Atenco, Méx., 13 novembre. Durante l’Incontro Nazionale di Organizzazioni e Lotte dell’Altra Campagna, “i ribelli che sono qui e lottano per la dignità e contro il sistema capitalista ed il malgoverno dei partiti politici si riuniscono per dare voce alla loro presenza, la loro rabbia, la loro lotta ed i loro sogni”, dichiarano nel loro pronunciamento le organizzazioni convocanti, il Movimento per la Giustizia del Barrio dell’Altra New York ed il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT).

Inoltre hanno affermato che “qui non ci sono tutti quelli che fanno parte dell’Altra Campagna. Sappiamo che le proposte e le risoluzioni di questo incontro non rappresentano la voce di tutti. Pensiamo che quello che uscirà da qui sarà un ulteriore contributo alla costruzione, dal basso e a sinistra, dell’Altra Campagna”.

Sostengono che oggi, il paese ed il mondo “sono in grave pericolo a causa del sistema capitalista e dei suoi servi del malgoverno che in Messico è composto dai partiti politici PRI, PAN e PRD”. I padroni del potere e del denaro hanno deciso di devastare il poco che ci rimane a qualsiasi costo e non permettono a nessuno di intromettersi nei loro piani di distruzione e morte che loro chiamano progresso e modernità; hanno scatenato una guerra contro i nostri popoli per spogliarci del nostro territorio e delle risorse naturali”.

Molta gente, aggiungono, “è stata cacciata dalle proprie comunità o ha dovuto emigrare in un altro paese per la repressione o l’estrema povertà nelle nostre comunità”. Quelli che sono andati negli Stati Uniti “si scontrano con razzismo, sfruttamento, emarginazione quotidiana ed un’altra forma di sgombero nei loro quartieri e comunità”. L’Altra Campagna, dicono, “è l’unica speranza che abbiamo noi popolo”.

Si è poi svolta un’attività di testimonianza in cui i presenti hanno raccontato la loro esperienza di lotta, e successivamente un forum aperto sulle politiche di emarginazione contro donne, popoli indigeni, lesbiche, omosessuali e transessuali.

Durante l’inaugurazione di venerdì, Trinidad Ramírez, del FPDT, aveva detto agli aderenti dell’Altra Campagna accorsi in questa comunità ed agli stessi abitanti di Atenco: “Non perdoniamo quello che ha fatto il governo al nostro popolo, ed organizzarci è un modo per dire che non perdoniamo”.

Ciò nonostante, ha segnalato, “ai nostri bambini non possiamo inculcare l’odio, ma certamente che sappiano chi è che reprime”. Questo è il senso della ribellione atenquense. “Dobbiamo trovare il modo di andare avanti, con le nostre differenze, unirci come popolo messicano. Siano dell’Altra Campagna, del FPDT; dobbiamo unirci tutti e cercare alternative per risolvere i nostri problemi”.

Alla presenza di gruppi indigeni dello stato del Messico, Oaxaca e del Distretto Federale, l’incontro ha incentrato i suoi lavori sulla discussione riguardo la costruzione delle autonomie, così come sulla repressione ed il paramilitarismo dello Stato messicano. Si è discusso del piano nazionale di lotta degli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, dell’EZLN e della lotta per la liberazione dei prigionieri politici.

Ha sottolineato la presenza delle donne triquis del municipio autonomo di San Juan Copala che hanno subito una serie di aggressioni mortali e l’attacco contro la loro esperienza autonomista. “Il nostro municipio deve esistere, non importa dove”, hanno detto. A loro volta, i comuneros otomíes di Santa Cruz Ayotuxco (Huixquilucan, stato del Messico) hanno raccontato la loro resistenza contro l’ostilità del governo di Enrique Peña Nieto per spogliarli delle loro terre ed imporre l’autostrada Naucalpan-Toluca, nonostante la sospensione riconosciuta ai comuneros da un giudice federale.

I dibattiti che si concluderanno domenica, si incentrano sull’educazione autonoma, la difesa dell’acqua e la sovranità alimentare, ed i movimenti di difesa degli operai e dei lavoratori. http://www.jornada.unam.mx/2010/11/14/index.php?section=politica&article=010n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Torturati due zapatisti.

La Jornada – Domenica 7 novembre 2010

Dopo l’aggressione li hanno consegnati alla polizia, denunciano gli aderenti all’Altra Campagna

Paramilitari sequestrano e torturano due zapatisti a San Cristóbal de las Casas

Hermann Bellinghausen

Circa 50 elementi del gruppo evangelico Ejército de Dios hanno sequestrato, torturato e “consegnato” alla polizia due ejidatarios dell’Altra Campagna, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, nell’ejido Mitzitón, municipio San Cristóbal de las Casas, Chiapas.

Hanno inoltre aggredito i loro famigliari e minacciato di violentare le donne. Due giorni dopo, i contadini tzotziles sono stati obbligati a pagare una cauzione senza alcuna spiegazione. I torturatori non hanno ricevuto nessuna sanzione, piuttosto sembravano “lavorare” insieme alla polizia dello stato del Chiapas.

L’aggressione è avvenuta la notte del 2 novembre scorso, quando persone identificate come appartenenti all’Ejército de Dios hanno aggredito Pedro Díaz Gómez mentre stava rincasando. I paramilitari “l’hanno colpito” e Luis Rey Pérez Heredia “l’ha afferrato per il collo e voleva ucciderlo”. Díaz Gómez riusciva a scappare. I suoi aggressori l’hanno raggiunto a casa sua ed hanno sfondato, l’hanno trascinato fuori ed hanno continuato a picchiarlo, così come hanno fatto con sua moglie María de Lourdes Jiménez ed un’altra donna. Hanno portato Díaz Gómez nella casa del “dirigente paramilitare Gregorio Gómez Jiménez, dove lo hanno legato e torturato”.

Salvador Hernández Jiménez, vedendo cosa stava succedendo al suo compagno, è accorso a difenderlo. “Hanno picchiato che lui e lo hanno portato nella casa del dirigente paramilitare. Lì hanno continuato a picchiare i compagni e rovesciato addosso secchiate d’acqua. A Pedro hanno maciullato le dita con un bastone”.

Verso le 22 si è presentata Mitzitón la Polizia Statale Preventiva. “Senza rispettare le autorità della comunità, si sono recati direttamente nella casa di Gómez Jiménez e di Francisco Gómez Díaz, dove erano sequestrati i due compagni e se li sono portati via. Sappiamo che la polizia settoriale è complice dei paramilitari e per questo hanno portato via solo i nostri compagni”, denunciano.

Chiesta la cauzione

L’autorità ejidale si è rivolta alla procura indigena che li ha informati che i contadini erano stati trasferiti a Tuxtla Gutiérrez, senza spiegarne la ragione. L’agente della comunità ha potuto contattare telefonicamente i detenuti all’alba del giorno 3: “Pedro mi ha detto di essere ferito, di avere una costola rotta e le dita tagliate. Mi ha raccontato che gli hanno fatto mettere le mani su una superficie e gli hanno garrotato le mani, che aveva le ossa fratturate”.

Alle 13:30 dello stesso giorno una commissione di ejidatarios e l’agente municipale si sono recati presso la Procura Generale dello Stato. Il giorno 4 i due “detenuti” sono stati rilasciati dopo il pagamento di 12.357 pesos di cauzione.

Nella sua testimonianza la moglie di Pedro riferisce: “Quelli dell’Ejército de Dios sono arrivati sparando in aria Mi hanno spintonato per farsi largo ed hanno preso a calci mio figlio Ramón. Hanno sbattuto mio marito su un furgone e sono andati via. Erano a viso scoperto, per questo sappiamo chi sono. Io gridavo e domandava ‘perché ci fate questo se siamo vicini’, e mi dicevano ‘tu taci donna zapatista, voi siete amici degli zapatisti’. Poi siamo andati tutti nella casa ejidale. Sono arrivati i poliziotti che hanno detto che  andavano a riprendere Pedro”.

Secondo gli altri famigliari della vittima, quelli dell’Ejército de Dios hanno scavalcato lo steccato della casa, “sparato due colpi” e minacciato di violentare le donne. Tra gli aggressori sono stati riconosciuti: Celestino Pérez Hernández, David Hernández Hernández, Miguel Jiménez Jiménez, Carmen Gómez Gómez, Julio Gómez Hernández, Ciro Hernández Díaz, Agustín Pérez Díaz, Agustín Gómez Gómez, Julio Hernández Hernández, Juan Pérez Gómez, Pedro Hernández Hernández, Andrés Jiménez Hernández (secondo), Domingo Jiménez Gómez e Jesús Jiménez Heredia. Viaggiavano su tre auto e dicevano: “Vogliamo il sangue”. http://www.jornada.unam.mx/2010/11/07/index.php?section=politica&article=011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Violenza a Chilón.

La Jornada – Venerdì 5 novembre 2010

Ejidatarios denunciano tortura e detenzione illegale di un contadino tzeltal di Chilón

Hermann Bellinghausen

Ejidatarios di San Sebastián Bachajón (Chilón, Chiapas) hanno denunciato la cattura illegale, la tortura e l’attuale “fermo” nella struttura di Pitquitos, a Chiapa de Corzo, di Miguel Demeza Jiménez, aderente all’Altra Campagna, “privato della sua libertà senza alcun mandato di cattura e con accuse fabbricate per poterlo processare, in violazione dei diritti umani”.

Demeza Jiménez, contadino tzeltal “che a stento parla in spagnolo”, secondo gli ejidatarios, è originario di Lamalt’zac, annesso dell’ejido San Sebastián Bachajón. E’ stato fermato lo scorso 7 ottobre, mentre, “dopo il suo lavoro di muratore andava verso Ocosingo per comperare dei materiali di lavoro; con violenza è stato prelevato da un gruppo di federali, sembra AFI, che lo hanno torturato obbligandolo a confessare di appartenere all’organizzazione EZLN o di conoscerne il capo”. Dopo questi maltrattamenti, “violandolo i diritti fisici e mentali, è stato trasferito negli uffici dell’Agenzia Statale di Investigazioni, nella città di Tuxtla Gutiérrez”.

Gli indigeni, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, accusano il governo statale di Juan Sabines Guerrero della “detenzione arbitraria” del loro compagno. “E’ lampante che l’ingiustizia non è solo una parola, ma fatti concreti per questo malgoverno corrotto, mentre i veri delinquenti sono loro. Per questa ragione riteniamo responsabile il governo statale della salute e integrità del nostro compagno fermato. Noi, come organizzazioni, confermiamo che non è un delinquente come il governo lo sta obbligando a dire; è assolutamente innocente di ogni reato che gli stanno fabbricando. Esigiamo la sua liberazione immediata e incondizionata”.

La vessazione di gruppi filogovernativi è ricorrente contro le diverse comunità dell’Altra Campagna nel municipio di Chilón. Ora, gli ejidarios di San Sebastián denunciano anche funzionari e circa 60 contadini priisti armati con carabine e machete che “hanno fatto irruzione nel rancho Virgen de Dolores, dove da otto mesi vivono 36 compagni appartenenti all’Altra Campagna”.

Gli aggressori guidati da Manuel Vázquez Ruiz, della comunità Chapa Puyil, e dal delegato di governo a Chilón, Ledín Méndez, “sono arrivati incappucciati, con abiti scuri per non essere riconosciuti”. Questo gruppo “ha interrotto la tranquillità dei nostri compagni”, denunciano gli ejidatarios per dissociarsi  “da qualsiasi aggressione”, ed esprimono timore per “l’integrità di bambini e donne”.

Il delegato di governo, aggiungono, “è sempre intervenuto per intimorire e con l’intento di distruggere l’organizzazione dell’Altra Campagna e sta organizzando un gruppo di priisti che intimorisce i compagni sparando proiettili calibro 22”. http://www.jornada.unam.mx/2010/11/05/index.php?section=politica&article=022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Nuova aggressione.

La Jornada – Martedì 26 ottobre 2010

Denunciata nuova aggressione con armi da fuoco contro basi di appoggio zapatisti

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Corazón del arcoiris de la esperanza, di Morelia, Chiapas, ha denunciato un’aggressione a colpi d’arma da fuoco contro basi di appoggio zapatiste nello stabilimento balneare El Salvador, municipio autonomo Comandanta Ramona, vicino all’ejido Agua Clara (Salto de Agua). Uno degli aggressori è stato catturato, è Manuel Pérez Gómez, latitante per la giustizia autonoma accusato di precedenti aggressioni ed assalti sulla strada Ocosingo-Palenque.

I fatti sono avvenuti venerdì 22, mentre alcuni contadini zapatisti stavano svolgendo lavori di pulizia. Due persone li hanno insultati e poi “hanno brandito i machete e minacciato i compagni di morte”, dice la JBG. Gli aggrediti hanno affrontato il sopraccitato Pérez Gómez e Manuel Gómez Vázquez, e “hanno deciso di catturarli”.

Il secondo è riuscito a fuggire e da distanza ha sparato “più di 50 colpi calibro”22”. Dopo la cattura, “il pericoloso delinquente” Pérez Gómez è stato portato “in un luogo sicuro per affrontare la giustizia autonoma”. Non è la prima volta che commettono reati. “Molte volte aggrediscono la popolazione e minacciano la tranquillità dei nostri compagni”. Il 17 agosto, a circa 300 metri dal crocevia di Agua Clara, “hanno assaltato un autobus derubando i passeggeri”, ed il 20 agosto hanno assaltato un bus di turisti nello stesso tratto di strada.

Secondo la JBG, “questi delinquenti sono assistiti dall’ex militare Carlos Jiménez López, originario dell’ejido Alan Sac Jun (Chilón)”. L’ex militare, prosegue la denuncia, “vive attualmente nella capitale Tuxtla Gutiérrez, nel colonia Satélite”. Gli zapatisti riferiscono di averlo visto ad Agua Clara “parlare con i due delinquenti e a bordo di diverse auto”.

La JBG afferma di tenere sotto custodia Pérez Gómez, originario di Flor de Cacao (municipio Benemérito de las Américas). Ricorda che il 17 aprile 2009 co fu un operativo ad Agua Azul, “quando il governo di Juan Sabines Guerrero mandò 800 elementi della forza pubblica per reprimere i compagni aderenti all’Altra Campagna che esercitavano il loro diritto di manifestazione”, accusando i contadini tzeltales di essere i colpevoli degli assalti in strada, mentre “i veri colpevoli hanno goduto della libertà”.

Il 18 aprile 2009 la polizia fermò Miguel Vásquez Moreno, basi di appoggio zapatiste e sei aderenti dell’Altra Campagna. Li rinchiuse nella prigione di El Amate ma furono rilasciati per mancanza di prove. La JBG comunica che a maggio dell’anno scorso questi stessi aggressori sono stati catturati dalla giustizia autonoma, “ma mentre stavano scontando la pena per i reati commessi, sono riusciti a fuggire”.

Queste aggressioni contro le basi di appoggio e la popolazione in generale “sono sostenute dalle autorità ufficiali”.

Il comunicato aggiunge: “Si vede chiaramente che i tre livelli del malgoverno non fanno niente davanti a questi eventi che intimoriscono la popolazione. I governi bugiardi ingannano dicendo che combatteranno la delinquenza organizzata ma è proprio il contrario; loro coprono, proteggono ed organizzano ex militari, compreso giovani nelle comunità col fine di distruggere le nostre radici e seminare l’incertezza nella nostra organizzazione di popoli indigeni”.

Comunicato completo della JBG

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2010/10/25/la-junta-de-buen-gobierno-de-morelia-denuncia-nuevas-agresiones-a-bases-de-apoyo-mientras-el-malgobierno-protege-a-delincuentes/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+EnlaceZapatista+%28Enlace+Zapatista%29&utm_content=Yahoo!+Mail

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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