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Archive for 18 settembre 2011

La Jornada – Sabato 18 settembre 2011

La Carovana di Sicilia conclude la sua visita in Chiapas; chiede l’abolizione dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM)

Hermann Bellinghausen. Inviato. Palenque, Chis. 17 settembre. La “carovana al sud”, del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, ha concluso il suo viaggio in Chiapas con una carovana di centinaia di candele accese per il viale centrale e simpatia e generosità per gli emigranti centroamericani che entrano nel paese attraverso le frontiere di questo stato e di Tabasco con il Guatemala.

“Chiediamo l’abolizione dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM) per le sue anomalie e gli abusi contro gli emigranti”, ha dichiarato un collettivo di donne chol di Palenque.

La folta accoglienza della carovana guidata da Javier Sicilia ed un gruppo di vittime della violenza di diverse parti del paese per dove è già passata (Ciudad Juárez e Torreón a Cuernavaca e Oaxaca) è stata curata, tra altre, dall’organizzazione Xi’Nich, organismi civili come Sadec, parrocchie della zona nord e comunità ecclesiali di base. Anche di migranti (clandestini, ma qui nella piazza pubblica protetti dalla mobilitazione cittadina), originari di Honduras e Guatemala, che sono stati chiamati “fratelli” da tutti gli oratori.

Le donne di Palenque hanno denunciato che nel quartiere di Pakalná (oggi è quasi un’altra città), a meno di tre chilometri da qui, “i migranti sono alla mercé della criminalità, e le donne sono facili prede”. Chiedono che “le autorità competenti intervengano” e denunciano che gli agenti dell’INM, “chi devono proteggere i migranti”, spesso sono responsabili o negligenti davanti di fronte all’estorsione, il sequestro, le violenze e gli omicidi.

Il Comitato di Difesa della Libertà Indigena Xi’Nich si è espresso contro il narcotraffico, da molti anni presente nella regione. Ma anche, “dalle nostre comunità, denunciamo che la politica di Calderón è di morte e povertà, e di più emigrazione”. Cioè, è anche un problema degli indigeni messicani: “Non ci resta che emigrare verso i centri turistici o alla frontiera nord. Calderón ha trasformato il Messico in un luogo di guerra, non in un posto dove vivere; ha costruito la viva immagine della menzogna e della morte”.

Xi’Nich, un’organizzazione che ha quasi 20 anni, ancora prima della sollevazione zapatista, ha marciato per più di 50 giorni fino a Città del Messico per chiedere la fine della repressione e migliori condizioni di vita, ha chiesto “stop alla guerra di Calderón, salute ed educazione, non la militarizzazione, il rispetto dei fratelli migranti e non più discriminazione contro indigeni e migranti”.

Ai bordi della piazza c’erano due grandi strutture. Una, sfruttando le intricate radici di un grande albero su cui erano montate decine di candele accese, mostrava i nomi di decine di morti e desaparecidos del nord. Sull’altra, migranti honduregni ospitati nella Casa dell’Emigrante di Tenosique, Tabasco, c’erano cartoncini colorati con scritte per chiedere rispetto e pace.

“Padre Alberto”, parroco di Palenque, ha denunciato la diffusa estorsione criminale nella zona chol.

In maniera più drammatica, il frate Tomás González, di Tenosique, che vive sotto minaccia, si è riferito al Messico come un “campo minato” per i centroamericani quando attraversano le nostre frontiere. Qui, dove opera il crimine organizzato, “la loro condizione diventa un incubo”. Ha dichiarato che “le fosse clandestine non sono solo al nord, ma anche al sud”.

E riguardo all’INM, ha detto: “Siamo testimoni del fatto che i suoi agenti operano come il crimine organizzato, ed in Chiapas e Tabasco sono responsabili del fatto che il percorso dei fratelli sia tanto terribile. Li perseguono, li obbligano a nascondersi nelle paludi, li mettono in pericolo”. Inoltre, “le autorità sono responsabili dell’occultamento” in questa regione che è diventata “ingovernabile”.

A sera si è saputo che il religioso è stato fermato a Coatzacoalcos, Veracruz.

C’era anche Alejandro Solalinde, della Casa dell’Emigrante a Ixtepec (Oaxaca) che, riferendosi alle feste patrie ha affermato che “oggi siamo più che mai dipendenti”, e che senza libertà “non ci può essere democrazia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/18/politica/007n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 18 settembre 2011

Magdalena Gómez: Autonomia zapatista, la più avanzata e completa, a dispetto degli attacchi dello Stato

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 17 settembre. L’autonomia che si sta costruendo nei municipi sovrani del Chiapas è “la più avanzata e di maggior simbolismo, perché qui c’è la culla del movimento zapatista”, ha affermato la ricercatrice Magdalena Gómez.

Se non fosse per “gli attacchi dello Stato con l’inadempimento degli accordi di San Andrés – firmati il 16 febbraio 1996 -, lo zapatismo avrebbe una struttura sociale così indipendente che non possiamo nemmeno immaginare”, ha dichiarato in un’intervista la studiosa del tema.

Ritiene che questa autonomia “non ha ritorno, benché presenti contraddizioni, problemi e conflitti, molti di questi causati dalla stessa politica dello Stato di voler utilizzare gli aiuti ufficiali come via per cooptare e indebolire.

“Credo che nell’ipotesi, nell’illusione e nella speranza che nel paese le cose cambino, non significa certo che si cancelleranno le autonomie costruite in maniera integrale”.

Sostiene che l’indipendenza nelle comunità ribelli “va consolidandosi nella misura in cui resiste in mezzo alle tensioni ed aggressioni, soprattutto della politica dell’attuale governo che apparentemente presenta un progetto basato sui diritti umani e conta su un’ampia copertura delle agenzie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)”.

Gómez che è stata intervistata nei giorni scorsi in occasione della presentazione del Rapporto Annuale del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, intitolato Late la tierra en las veredas de la resistencia [La terra pulsa sui sentieri della resistenza – n.d.t.], ha dichiarato che “tra le esperienze presenti nel paese, l’autonomia zapatista continua ad essere la più completa, quella che ha giunte di buon governo, perché abbiamo quella di Guerrero che è molto importante, e benché abbia ampliato la sua azione, continua ad essere molto incentrata sulla polizia comunitaria, sull’applicazione della giustizia, ma non sulla completezza che si ha con le giunte in Chiapas”.

Segnala che l’autonomia ribelle “si è mantenuta come risposta al governo, con un costo molto alto. Insisto, gli zapatisti mantengono l’autonomia rispetto allo Stato quando questo avrebbe l’obbligo di appoggiarla e sostenerla se le cose avvenissero in termini di esercizio del diritto”.

La docente universitaria ed anche collaboratrice di La Jornada, ha sottolineato che è alto “il costo che pagano le comunità zapatiste per non accettare gli aiuti del governo ai quali hanno diritto, perché lo Stato ha l’obbligo di appoggiare e finanziare le autonomie che ha riconosciuto”.

– Questa autonomia può essere una via d’uscita alla violenza che imperversa nel paese?

– In alcune comunità la stanno utilizzando come alternativa di fronte al fallimento dello Stato. Dicono: ‘ora ci autodifendiamo, auto-organizziamo’, ma io dico: se lo Stato non serve a questo, a che cosa serve? Se non è in grado di garantire la sicurezza ed i diritti del popolo che si suppone abbia creato, a che cosa serve? Oggi abbiamo uno Stato assolutamente deviato”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/18/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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