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Archive for ottobre 2025

Una rivoluzione nella rivoluzione – El Común Zapatista
di Andrea Mazzocco
30 / 9 / 2025

Ci sono passaggi fondamentali nella storia dell’umanità o di una popolazione specifica che lasciano il segno, che marcano ere e cicli, che evidenziano continuità o discontinuità, dominazioni, ribellioni e altre dominazioni. Passaggi che non possono essere solo una pagina o un paragrafo nel vostro libro di storia (ovviamente dipendendo da dove vi trovate e da chi ha scritto quei manuali), ma devono trasformarsi in memoria viva, essere parte stessa del presente proprio perché per arrivare dove siamo adesso abbiamo sicuramente attraversato un “prima”.
Questo esercizio, apparentemente molto retorico e poco effettivo, ci è stato mostrato con tutta la sua forza dall’organizzazione zapatista (sia dalla sua parte politico-civile che da quella militare dell’EZLN) per comunicare al mondo le grandi trasformazioni che sta attraversando. Ci viene comunicata in varie forme e più volte con lo scorrere dei mesi per aiutarne la comprensione: comunicati, opere teatrali, conferenze frontali, dibattiti di confronto, canzoni e poesie. Questo non per dar ragione delle sue conclusioni, ma per evidenziare la ragione del proprio processo autocritico, decisionale e trasformativo. Un processo che trova radici su due questioni principali: i fallimenti del governo autonomo e la “tormenta capitalista” infine in arrivo. Il governo autonomo zapatista nella sua forma preesistente era in grado di far fronte a questi problemi? La risposta è stata un grande e collettivo “no”.
Dai problemi riscontrati nell’autonomia zapatista dunque è sorta una domanda: come ci si governava nel passato? Andando a ritroso, l’analisi parte ovviamente dalla civiltà Maya e dalla sua organizzazione. La civiltà Maya resistette all’avanzata della conquista Azteca, basata sulla dominazione e sulla creazione dell’impero. Ma la popolazione Maya al suo interno come era organizzata? Era poi così diversa da quella Azteca? Se è vero che i Maya non ebbero mai una tendenza “imperialista”, vero è anche che le sue città-stato erano governate da re, capi assoluti che potevano decidere le sorti della popolazione. In questo non è possibile scorgere differenze tra Aztechi e Maya, il loro governo era piramidale così come gli splendidi siti sacri da loro costruiti. Poi arriva una conquista a cui i Maya non sono riusciti a resistere: quella spagnola. La corona di Spagna arriva e assoggetta territori e persone. Il sistema non cambia, cambia solo chi si trova in cima alla piramide. Non riuscirà però mai a conquistare davvero tutti i territori, e men che meno chi quei territori li attraversa. Il sentimento di liberazione non si spegne e la liberazione arriva finalmente con una guerra d’indipendenza in cui il ruolo delle popolazioni originarie è stato fondamentale, ma le loro condizioni di vita non cambiano. Chi c’è ora in cima alla piramide? I diretti discendenti dei conquistadores spagnoli, una élite bianca e razzista, e ancora una volta tutto cambia per non cambiare nulla. È in questa situazione che nascono le condizioni perché la classe lavoratrice, i peones, gli sfruttati e soprattutto la popolazione indigena si ribelli e cresca la rivoluzione messicana di Emiliano Zapata e Francisco Villa. Una rivoluzione tanto radicale nelle rivendicazioni quanto tradita nei risultati: ciò che dopo vent’anni di trasformazioni uscirà dagli anni ’30 del secolo scorso sarà la dittatura del partito unico, il PRI, che governerà ininterrottamente il Paese fino al 2000. Cambiano i padroni ma non cambia la piramide. Ora il governo del Messico è in mano al partito “progressista” MORENA, ciò che viene definita la “quarta trasformazione”, ma l’evidenza del suo asservimento alle logiche capitaliste e la sua forma piramidale non sono in discussione, così come le condizioni delle classi più povere della popolazione.
Anche per ovviare a tutto ciò, e con il chiaro riferimento della figura di Emiliano Zapata e il suo “Tierra y Libertad”, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale si alza in armi il primo gennaio 1994 dopo dieci anni di clandestinità nelle montagne del Chiapas. Quando questa organizzazione si ritrovò ad amministrare un territorio e dover formare il proprio governo civile, copiò il sistema ufficiale: vennero fondati 30 municipi autonomi, ricalcando i territori dei municipi ufficiali, a riunire le comunità insorte nei territori corrispondenti. Entra quindi a far parte dell’autogoverno indigeno il concetto di “delega”, che assumerà ancor più peso dieci anni dopo con la fondazione nel 2003 dei 5 Caracoles (a riunire un territorio con diversi municipi autonomi) ove si riuniranno le Giunte di Buon Governo. Giunte che sì, rappresentano un organo rotativo, elettivo, con pari rappresentanza di genere, di ascolto e messa in pratica delle richieste della base, ma pur sempre un organo delegato a governare che col passare degli anni ha avuto l’ovvio risultato di deresponsabilizzare le comunità. L’organizzazione zapatista, pur con principi morali differenti, ha riprodotto ancora una volta la piramide.
Attenzione, i vent’anni di attività delle Giunte di Buon Governo (2003-2023) hanno avuto anche moltissimi lati positivi, anche questi a più riprese evidenziati dall’organizzazione zapatista, ma per capire il cambio è ovvio finire per dare un peso differente alle problematiche. Gestione non trasparente (se non addirittura in alcuni casi personalistica) delle risorse economiche comuni, filtro delle informazioni, inazione o estrema lentezza nel rispondere alla richieste delle assemblee, valutazione non oggettiva dei casi di giustizia, sono solo alcuni dei casi esposti dalla cruda autocritica che è stata resa pubblica. A tutto ciò si devono sommare le minacce del contesto regionale e globale: l’aumento dell’influenza del crimine organizzato nel sud-est messicano, la crescente militarizzazione del Chiapas accompagnata (a partire dai governi MORENA) dall’imposizione di grandi opere, la fase di ristrutturazione capitalista che dopo il covid si dispiega in un contesto di guerra globale permanente e una sempre maggior irrilevanza del diritto internazionale e dei diritti umani, il genocidio a Gaza. La risposta zapatista a tutto questo è stata l’istituzione del Común. Cosa significa questo “comune”? Prima di addentrarsi nelle interpretazioni la cosa migliore è analizzare quali azioni concrete ha finora prodotto.
Per quanto riguarda il governo autonomo, el Común ha significato un cambio radicale dell’organizzazione civile: sono state abolite Giunte di Buon Governo e Municipi Autonomi. Rimangono i tre livelli amministrativi, ma solo quello comunitario rappresenta effettivamente un governo (chiamato ora Gobierno Autonomo Local, GAL). Parte di questa scelta è sicuramente ascrivibile all’analisi storica che la popolazione zapatista ha fatto: l’organo forte che ha portato la popolazione originaria a rigenerarsi nei 500 anni della conquista europea è senza dubbio l’assemblea comunitaria. A livello regionale e di zona rimangono delle assemblee di coordinamento convocate solo su questioni specifiche, in cui si possono fare proposte comuni ma che non decidono nulla: delegati e delegate tornano alla comunità per esporre le proposte, il GAL prende una posizione che viene poi riportata alla regione o alla zona. Le zone rimangono quelle in corrispondenza dei caracoles (passati da 5 a 12 nel 2019), le regioni invece sono probabilmente di più rispetto alla suddivisione precedente in Municipi Autonomi. A far da contrappeso a tutto ciò, per evitare eccessivi sbilanciamenti rispetto all’avanzamento delle comunità e soprattutto delle varie zone, assume un ruolo primario un organo già in fase di sperimentazione da alcuni anni: l’Interzona. L’interzona è un comitato politico composto dal CCRI (Comité Clandestino Revolucionario Indigena, massima espressione politica dello zapatismo sin dalla sua fondazione), e da rappresentanti delle 12 zone, in cui discutere delle problematiche delle varie zone nelle diverse aree di lavoro (governo autonomo, agroecologia, giustizia, educazione, salute, etc etc) e pensare a possibili proposte politiche da portare nelle assemblee. Anche questo organo non ha alcun potere decisionale, può solo portare proposte e funge anche da formazione politica per i delegati e le delegate delle varie zone. Per quanto riguardo quindi l’autogoverno, mettere in pratica el Común ha significato abbattere la piramide.
Rispetto al possesso della terra, altro aspetto fondamentale dello zapatismo, mettere in pratica el Común ha significato identificare le terre recuperate nel ‘94 e negli anni successivi come terre in cui vige la “non proprietà”. Se prima erano considerate terre collettive dell’organizzazione ora sono terre comuni, di tutte e tutti, quindi includendo anche le popolazioni non zapatiste. Anche qui l’analisi storica ha giocato un ruolo fondamentale. Storicamente il popolo Maya ha sempre lavorato collettivamente la terra. Anche successivamente alla conquista spagnola, escludendo lavoratori e lavoratrici schiavizzate nelle fincas (latifondi), le comunità hanno sempre gestito in comune le risorse, poi divise equamente nei vari nuclei familiari. Non sono mai serviti diritti di proprietà e contratti. Negli anni ‘30 del novecento arriva, ovviamente molto annacquata, la riforma agraria chiesta dalla rivoluzione messicana e viene istituito l’ejido. L’ejido è terra agricola comunale assegnata in usufrutto agli ejidatorios, e gestita in comune dalla loro assemblea. Questa modalità ha permesso alle comunità indigene di continuare a gestire la terra come prima, in maniera collettiva. Il cambio arriva con il governo di Carlos Salinas de Gortari (1988-1994), non a caso il presidente in carica durante il levantamiento zapatista. Con una sua riforma, parcellizza el ejido, assegnando direttamente le parcelle di esso ai singoli ejidatarios (e non più affidando l’intero appezzamento alla gestione collettiva della loro assemblea). Non solo, se fino a quel momento vendere terra ejidale era impossibile, con la parcellizzazione veniva data la possibilità al singolo ejidatario di effettuare un cambio d’uso della sua parcella, ed effettuato quello, venderla. Da quel momento le divisioni nelle comunità si fecero evidenti, e la penetrazione del capitalismo infinitamente più facile. Perchè se gli zapatisti tennero il più possibile la terra in comune, le altre famiglie spinsero per la parcellizzazione e si impossessarono della loro parcella, che poi negli anni vendettero o la utilizzarono per aderire ai programmi sociali del governo. Da questa analisi nasce la consapevolezza che solo un possesso comune della terra può permetterci di difenderla davvero, e che le terre collettive dell’organizzazione non bastavano, perché comunque creavano un “noi” e un “loro”. Adesso nelle comunità la terra è a disposizione di chi ne ha bisogno, includendo la popolazione zapatista e non zapatista. Si coltiva in comune e il raccolto viene diviso in parti uguali fra chi ha lavorato. Per citare le parole del Subcomandante Insurgente Moiés, “Común la Vida y Común la Defensa”.
Ma el Común entrerà gradualmente in tutti gli aspetti della vita comunitaria, diventando l’obiettivo politico principale dell’organizzazione zapatista. Oltre all’autogoverno e alla gestione della terra, è già in marcia anche nei settori della salute e della giustizia. Per quanto riguarda la salute, l’esempio calzante è quello della costruzione di un nuovo ospedale alle porte del Caracol di Dolores Hidalgo, un’opera mastodontica per l’organizzazione zapatista, che la sta affrontando mettendo in pratica el Común. Dopo aver preso la decisione di iniziare i lavori, hanno consultato tutte le comunità non zapatiste della zona per esporre il loro progetto e invitarle a partecipare alla costruzione. Le comunità hanno risposto in maniera sorprendente, mandando lavoratori al cantiere a supportare gli zapatisti. Chi non ha potuto inviare mano d’opera ha cucinato per gli operai, ha ospitato chi veniva a lavorare da fuori o ha raccolto denaro per supportare i lavori. Quando l’opera sarà terminata, i macchinari comprati e il personale formato, sarà un ospedale a disposizione della popolazione intera, non un ospedale zapatista. Nella giustizia si è tornati alla tradizione indigena per cui i casi vengono affrontati solo in assemblea. Anche qui l’analisi storica risulta fondamentale per l’applicazione del Común. Se l’assemblea comunitaria non risolve il problema, non si passa più a un organo ristretto come fu la Giunta di Buon Governo, ma si passa all’assemblea di regione e infine all’assemblea di zona. Ciò è stato già messo in pratica per le indagini e la liberazione di due compagni ingiustamente accusati di omicidio dalla polizia statale questa primavera.
Molto presto si arriverà a includere il piano dell’educazione per arrivare poi a tutti i campi dell’autonomia. Non si può tracciare un piano definito perché, come tengono molto a sottolineare le basi d’appoggio zapatiste, per quello che stanno facendo non esiste un manuale d’istruzioni, e teoria e pratica possono solo avanzare insieme, mai separate. Sarà la pratica ad affinare la teoria di quello che sarà el Común da adesso agli anni a venire.
https://www.globalproject.info/it/mondi/una-rivoluzione-nella-rivoluzione-el-comun-zapatista/25437

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