“La vida es el Común”
Appunti dall’incontro internazionale “Resistencia y Rebeldia” e dal trentunesimo anniversario dal Levantamiento Zapatista.
Sono stati giorni di dibattiti, festeggiamenti, musica e teatro in cui gli zapatisti hanno presentato il lavoro politico, soprattutto interno, che hanno fatto negli ultimi anni, almeno a partire dalla gira.
Hanno ribadito come sia chiaro ormai che la tempesta sarà lunga, durerà generazioni.
Il capitalismo è intrinsecamente necropolitico, il necrocene sembra non darci alternative (“paura e disperazione producono immobilità”).
Non basta sperare nella automazione (Marcos ha parlato di come la tecnologia oggi sia utile ad adattarsi allo sfruttamento) e nella redistribuzione (qualche salario migliore).
La soluzione viene dalle minoranze, da chi sta ai margini, da chi può vedere oltre.
Rispetto soprattutto alla gira europea, hanno insitito sul fatto che non bisogna pensare solo al negativo ma anche a quello che già si riesce e può fare (il costituente diremmo noi). Bisogna tornare a pensare il possibile (“l’utopia è un’arma caricata di futuro” ha detto nel suo intervento Ivan di Pallasos en Rebeldia).
Per gli zapatisti il problema non è più la vita o la morte come prima del Levantamiento (“o morimos peleando o morimos olvidados” ci hanno ricordato) ma cosa fare della propria vita.
Attingere a tradizioni pre-capitalistiche e pre-coloniali può essere un modo per pensare il fuori. O per riscoprire la propria genealogia.
Il punto politico più importante però è stato la presentazione del comune zapatista come via d’uscita dalla tempesta.
Una pratica più che una ideologia basata sul superamento parziale della proprietà privata sviluppata a partire da una serie di problemi.
Problemi interni: migrazione dalle comunità e inefficienza delle istituzioni autonome.
Problemi col mal governo: programma sembrando vita (ribattezzato “sembrando muerte”) che sta impattando sulla proprietà della terra e quindi sulla struttura sociale, oltre all’uso folkloristico dei popoli indigeni.
Problemi col crimine organizzato: espulsione dai villaggi.
Il Comune è prima di tutto una pratica fatta di lavori collettivi, gestione collettiva e decisione collettiva.
La difesa delle terre recuperate passa anche dalla lavorazione collettiva (un’inversione rispetto alla lavorazione privata di proprietà comune come è stato finora).
Hanno insistito sulla necessità di migliorare i servizi, soprattutto quelli legati alla salute.
Hanno presentato la nuova struttura dei GAL (governo autonomo locale) che parte dalle assemblee locali vs la piramide delle giunte del buon governo.
Va registrata un’importante apertura anche a chi non è zapatista nell’uso, nei lavori e nelle attività. Gli incontri sono stati trasmessi online e non è un caso.
Più in generale, si può far tesoro della critica del progressismo anche e soprattutto di sinistra e della ricerca di pratiche per rompere l’individualismo liberista.
Nella visione del futuro presentata dalle e dai giovani zapatisti tramite una rappresentazione teatrale il capitalismo non viene sconfitto (da un partito, da una ribellione) ma implode a causa di un disastro climatico-nucleare.
Costruire il comune vuol dire andare al di là di differenze ideologiche (politiche, religiose) o di razza, genere, cittadinanza ma partire da obiettivi condivisi. Non contano le identità ma le pratiche e i desideri.
Si tratta di una soluzione situata, hanno precisato, elaborata e funzionale per i popoli contadini del Chiapas, in altri luoghi e in altre strutture sociali ognuno deve sperimentare le proprie pratiche.
Un invito a tutte e tutti noi.
Maurilio Pirrone https://www.facebook.com/maurilio85
