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H. Bellinghausen: Atenco.

5 luglio 2010 di Comitato Chiapas "Maribel" Bergamo

La Jornada – Lunedì 5 luglio 2010

Atenco e domani

Hermann Bellinghausen

È la vittoria di molti la liberazione degli ultimi detenuti di Atenco, sul punto di restare in gattabuia per tutta la vita (tre di loro sarebbero arrivati al il XXII° secolo in una prigione di massima sicurezza, quando narcos, sequestratori ed assassini seriali ne sarebbero già usciti). La lotta è riuscita dapprima a liberare decine di detenuti nelle carceri messicane, ed ora, in ultima istanza, hanno frustrato la vendetta del governo di Enrique Peña Nieto e del regime calderonista. Gli atenquensi non hanno ucciso nessuno, ma erano condannati a morte. Lo sforzo per impedirlo è stato enorme. Dice male del Messico che ci ha messo quattro anni per vincere questa battaglia di giustizia; a questo livello di sfacciataggine ed impunità è arrivato il sistema politico.

Dice bene, molto bene, del Messico, il fatto che per quattro anni ha resistito, senza indebolirsi, un movimento di protesta che per il mondo incarna un modello di resistenza all’ingiustizia e agli abusi del potere. Qui si sono incontrati i familiari con i gruppi e le diverse organizzazioni: indigeni, intellettuali, operai, donne senza paura, artisti, avvocati, gente di strada, ejidatarios, studenti e qualche giornalista.

Perché se andiamo ai media, vale la pena ricordare che la brutale punizione della resistenza a San Salvador Atenco e le comunità vicine fu aizzata apertamente dalle grandi televisioni e da buona parte dei giornali. Mostrano Ignacio del Valle, Felipe Álvarez, Héctor Galindo e gli altri, completamente fuori contesto e come “macheteros” violenti, chiedendone la punizione ed il governo obbedì.

Gli interessi dietro la repressione erano e continuano ad essere scandalosi. Una comunità agricola con eccellenti terre e risorse idriche le difese con intelligenza e coraggio quando il governo di panisti e priisti voleva costruire lì un grande aeroporto per la capitale. Gli atenquensi rovinarono gli affari a Fox, Montiel e soci. Riuniti nel Fronte dei Popoli in Difesa della Terra (FPDT) brandivano i machete che non hanno mai scaricato su persona alcuna. I machete di Atenco sono solo il loro punto esclamativo.

L’attacco poliziesco di maggio del 2006, guidato dal viceammiraglio Wilfrido Robledo Madrid, fu teletrasmesso in diretta (o meglio: le scene più sanguinose non furono trasmesse ed i notiziari ignorarono violazioni ed aggressioni sessuali, minacce di morte, tortura ed altre “libertà” che si presero i poliziotti federali e dello stato di México contro quegli irriducibili contadini).

L’umiliazione degli atenquensi fu pubblica. Controcorrente, riuscì ad essere pubblica anche l’indignazione di diversi settori e movimenti che hanno saputo restare uniti per tutto il tempo necessario. La liberazione dei detenuti del ’68, lotta anche questa lunga e difficile, ha richiesto meno tempo in un Messico ancora monolitico. Nelle repressioni del 2006 contro Atenco e Oaxaca, avallate da Felipe Calderón per aprirsi la strada verso Los Pinos, e per il futurista Peña Nieto, the man who would be president (“l’uomo che volle farsi presidente“, parafrasando Rudyard Kipling), è stata evidente la complicità tra governanti, poliziotti e mezzi di comunicazione: cinghie di trasmissione del potere imprenditoriale oltraggiato dalla plebaglia di Atenco nel 2002.

Il FPDT ed i suoi compagni non si sono mai dati per vinti. Come racconta Javier Hernández Alpízar, editore di Zapateando: “Le mobilitazioni furono molte: dalle iniziali chiusure di scuole e di strade promosse dall’Altra Campagna nel 2006, alcune di queste represse dal governo del Distretto Federale; la marcia con la quale L’Altra Campagna arrivò fino ad Atenco; un presidio durato anni nella prigione di Santiaguito e poi a Molino de las Flores; la formazione del Comitato Libertà e Giustizia per Atenco e il suo viaggio per 13 stati – cominciando dal Chiapas, ‘cuore della resistenza’ come disse Trinidad Ramírez – e la pressione seguita fino alla giornata internazionale di questo 29 giugno”.

E sottolinea: “il momento può essere la dimostrazione che si comincia a formare un contropotere: quello del movimento sociale”.

Abituati alla prostrazione dello stato di diritto e della vita civile nel paese, forse perdiamo di vista che le resistenze persistono nonostante le pressioni violente ed economiche che conoscono molto bene i comuneros di Atenco (anche ora il governo vuole comprare le loro terre per una manciata di milioni). La lotta, con un sostenuto appoggio internazionale, era diventata un incubo per visite presidenziali, ambasciate e consolati d’Europa e d’America.

Peña Nieto e i suoi comandanti di polizia godranno della stessa impunità di cui beneficia, fino all’ignominia, il governo di Oaxaca? In questi momenti nessuno sta vincendo là in alto. Almeno, non quelli che dicono di vincere. In mezzo alla confusione e al polverone emerge e pesa forte un pugno di uomini col sombrero che brandiscono i machete. Così come li vedete, piccoli e urlanti, hanno vinto, perché nessuno dubitava che avessero ragione. Vedendo il risultato, e quello che sta succedendo, non resta altro da dire che la lotta continua, col sorriso. http://www.jornada.unam.mx/2010/07/05/index.php?section=opinion&article=a06a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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