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Secondo Vento: un degno e arrabbiato impegno.

3 gennaio 2009 di Comitato Chiapas "Maribel" Bergamo

SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO.

Secondo Vento: un degno e arrabbiato impegno.

Di regali e saluti (un po’ di storia ed isterie passate e presenti).

Prima abbiamo segnalato il trucco geografico che il Potere usa per collocare distanze inesistenti tra le sue forme di dominio, da una parte, e le resistenze che incontra, dall’altra.

Il Potere usa i calendari anche per neutralizzare i movimenti che attentano o hanno attentato alla sua essenza, alla sua esistenza o alla sua normalità.

Questo il motivo delle sue date commemorative. Con esse si fissa, si limita, si definisce e si arresta. Per ogni giorno del calendario che l’Alto ammette nella sua cronologia, avviene una presa di controllo sulla storia. In quei giorni si arrestano i movimenti, si danno per finiti in tutti i sensi. Non c’è l’Alto in questa calendarizzazione della storia, niente che renda conto dei processi e dei movimenti che dunque sono ridotti ad un giorno.

Quindi queste date si trasformano in statue. In Messico il 16 Settembre ed il 20 Novembre furono mummificati dagli inizi della lunga era priista. Ogni anno la combriccola di criminali di turno, cioè, nel governo, accorreva a monumenti e sfilate solo per assicurarsi che Miguel Hidalgo, José María Morelos, Vicente Guerrero, Francisco Villa ed Emiliano Zapata continuassero ad essere morti.

Nel calendario dell’alto non c’erano solo le sue date per esorcizzare morti scomodi, ce n’erano anche dove il controllo si corroborava, come i primi di maggio priisti in Messico.

Forse per questo, per rivendicare la sua profonda radice priista, il governo perredista di Città del Messico ha voluto ufficializzare il 2 Ottobre attraverso alcuni dei partecipanti, invecchiati nelle idee, al movimento studentesco del 1968. Come se così volessero prendere il controllo sulla gioventù capitolina degna e arrabbiata.

E sono quasi sicuro che, in ogni punto della variopinta geografia mondiale, il Potere ha eretto statue e punti di controllo nel suo calendario.

Ancora una volta dalla Grecia ci è giunta la parola per dirci che, per cercare di sbollire la rabbia in mobilitazione della gioventù, il governo ha anticipato il periodo di vacanze.

Ma il venticello liberista si è trasformato in uragano neoliberista ed è arrivata la globalizzazione. E con lei lo scricchiolare delle vecchie fondamenta delle classi politiche… e dei suoi usi e costumi.

In Messico il primo di maggio non è più stato lo stesso, cioè, un dilatato ringraziamento al-signor-presidente, da quando gli apparati di controllo sindacale si spaccarono ed i lavoratori trasformarono il corteo che doveva essere di carovane servili, in una marcia di rivendicazioni e proteste. Allora una bomba molotov esplose sui portoni del Palazzo Nazionale. L’anno nel calendario? 1984. Qualche mese dopo io avrei avuto una delle mie morti ed una delle mie nascite sulle montagne del sudest messicano.

L’intermittente sfida dei lavoratori della città, prima circoscritta alla sinistra, raggiunse allora le grandi centrali sindacali. Il grido tornò ad essere mormorio, è vero, ma è sempre latente. Un Fidel Velázquez morto molti anni prima di essere sepolto fu l’avviso per cercare nuove figure di controllo, ovvero, nuove cinghie di trasmissione affinché i disegni di quelli in alto si trasferissero dal dominante al dominato. E nacquero i neocharros, che non erano e né sono così nuovi. Se guardate un leader sindacale filogovernativo di adesso e la foto di uno di quei tempi, vi chiederete allarmati se le date non sono sbagliate.

L’apparato di controllo del Potere sui lavoratori delle campagne e delle città sembrava vivere nel ritratto di Dorian Grey (non so nemmeno se si scrive così) che, nonostante la sua decrepitezza, splendeva sempre magnifico, fresco, reale.

Ma lo specchio si ruppe e l’invecchiamento fu palese.

Quindi le nuove figure di controllo nelle campagne e nelle città, i neocharros del sindacalismo operaio e le centrali contadine, scoprirono che il loro compito non era più ammortizzare… scusate se dico una brutta parola, ammortizzare la lotta di classe fungendo da cuscinetto e amministratore delle istanze operaie e contadine (in Messico il sogno impossibile della UNT e Diálogo Nacional). No, ora si trattava di impiantare le nuove strategie e tattiche del capitalismo selvaggio nelle fabbriche, nel commercio e nelle banche, e nelle campagne. Su questo processo di riorganizzazione della forza lavoro non mi addentrerò oltre, ci sono vari ed eccellenti testi nel nostro paese che rendono conto di questo.

Nelle campagne il gioiello della corona neoliberista è stato la riforma reazionaria dell’articolo 27 della Costituzione, promossa dall’oggi assiduo scrittore di un periodico progressista e sempre un criminale: Carlos Salinas de Gortari.

Benché sempre con sogni di una grandezza che abbia il suo posto memorabile nel calendario degli omaggi, Carlos Salinas de Gortari non ha smesso di essere un impiegato delle forze del capitale internazionale, un amministratore che, in primo luogo, andò al potere con una frode elettorale scandalosa (anche se non tanto, se paragonata a quanto fatto da Felipe Calderón) e poi volle imporre a suoi subalterni, cioè, a suoi governati, un paese virtuale del primo mondo.

Ed ebbe successo… fino a che, un primo gennaio di 15 anni fa un fucile indigeno di legno ruppe lo schermo del suo monitor, la sua tastiera ed il suo mouse e, a giudicare dalle incoerenze che scrive ora, rovinò anche il suo hard disk. E da questo non lo salva nemmeno Bill Gates.

Il crimine della controriforma all’articolo 27 della Costituzione perpetrato con l’avallo legislativo di molti di coloro che oggi sono “paladini” della democrazia e “difensori” del popolo nelle file lopezobradoriste, si tradusse in queste terre indigene nella causa scatenante della crescita quantitativa e qualitativa, in elementi e territorio, di quello che ora il mondo conosce come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Ma di questo abbiamo già parlato.

Le forme e i modi di Salinas de Gortari e dell’impiegato delle multinazionali, Zedillo Ponce de León, somigliavano più a quelli dell’ignorante capo ufficio d’azienda che a quelli dello zelante direttore delle vendite, cosicché il capitale decise di provarne un altro, mediocre come i suoi predecessori, ma che aveva fatto carriera nella Coca Cola, un Vicente Fox che mostrava problemi mentali già in campagna elettorale e che attentò al calendario esorcizzante priista, portando l’usuale ignoranza della storia nazionale di cui fanno sfoggio i membri del Partito Azione Nazionale, alle festività patrie.

Fu così orribile lo svolgimento del suo ruolo di titolare dell’esecutivo, che il PAN e gli amici che lo sostenevano dovettero ricorrere ad un’enorme frode elettorale per disfarsi della presidenza di una Repubblica Messicana ormai agonizzante.

Il governo di Felipe Calderón recentemente ha lanciato una campagna mediatica in cui esorta la cittadinanza a segnalare quale sia lo strumento più inutile.

Noi zapatisti abbiamo la nostra proposta: le elezioni presidenziali sono lo strumento più inutile. Oltre ad essere costose ed al fatto che tutti dobbiamo sopportare le stupidaggini che dicono e ripetono i candidati, è solo un posto in cui si decide chi si siede sulla poltrona.

Ma se il Partito Azione Nazionale esibisce come bandiera la sua ignoranza storica, il movimento lopezobradorista innalza la sua convinzione isterica. Pubblicano la sua storia e quella di chi lo sostiene (poco tempo fa, in occasione della morte di Gustavo Iruegas, presunto incaricato dell’inesistente politica estera del “governo legittimo”, è stata scritta una sua breve biografia con alcune correzioni, perché non comparisse che fu membro della rappresentanza governativa del governo di Zedillo nel sabotato dialogo con l’EZLN, durante il quale disse la frase ormai divenuta un classico tra i media governativi: “Gli zapatisti bisogna picchiarli per farli dialogare” – forse solo così, mutilando la sua storia si può evitare che i seguaci sappiano bene chi sostengono e seguono. E grazie a questa mutilazione della sua storia possono ovviare al fatto che la grande maggioranza di quelli che guidavano il suo movimento si sono arresi e continuano a lasciare prendere per le gambe, politicamente parlando, dai presunti nemici.

Ci accusano di essere settari e intolleranti ma, la verità è che nessun movimento in Messico ha mostrato un tale livello di settarismo, intolleranza ed isterismo quanto quello che oggi, guidato da Andrés Manuel López Obrador, minaccia di salvare il Messico.

E l’isteria si trasforma in vera schizofrenia quando, guardandosi allo specchio, questi intellettuali dicono: “Realmente siamo gli unici a fare qualcosa per questo paese, non vediamo nessun altro”. E nelle loro manifestazioni e mobilitazioni si trovano e dicono: “Sentitemi bene, io credo che a questo movimento faccia molto bene la mia posizione. La mia sola presenza lo rende storico”. In realtà, è storico il numero di volte che questo movimento ha appioppato a quello che fa l’appellativo di “storico”.

Se questi vedovi e vedove del Palazzo Nazionale fanno tutto quello che fanno senza avere il potere federale, immaginatevi voi cosa farebbero se il personaggio fosse arrivato alla poltrona.

Infine, sia come sia, le forme, i modi, gli usi e costumi della classe politica messicana sono ormai in piena crisi. Benché continuino ad esserci specialisti per quella specialità della politica di professione. Ritorneremo su questo in seguito.

In tempi passati abbiamo visto come, con regali, il Potere di uno e dell’altro colore è riuscito ad addomesticare qualcuno di quelli che possono avere una posizione critica nei suoi confronti. Così neutralizzate (“Per dio! Come faccio a criticare chi mi ha dato questa medaglia e/o questo assegno?”) queste personalità, in altri tempi critiche del sistema e dei suoi governi, si trasformano dunque in semplici cinghie di trasmissione della verità di turno.

Prima, ottenere questo richiedeva un’ambasciata o almeno un consolato. Oggi non c’è bisogno di tanto, bastano alcuni corteggiamenti a cene e riunioni, un regalo a carico dell’erario, tagliare il nastro di qualche opera pubblica, alcune notizie giornalistiche, e zac!, ecco che abbiamo un nuovo portavoce dei due governi che attualmente subiamo in Messico.

I regali sono così seducenti per gli intellettuali che alcuni non resistono alla tentazione e, di fronte alla mancanza di ammiratori che glieli offrano, loro stessi si organizzano un omaggio, come ha fatto quell’altro cretino, presunto defraudatore dell’Università in cui lavora, che ispirato dall’alcool si prende il diritto di calunniare, criticare e dare ordini ai movimenti del Messico e del mondo, dalle comode pagine di un giornale e che per ottenere seguaci è arrivato al limite i definire “eroiche” ed “eroici” le “adelitas” e “adelitos” del movimento lopezobradorista in difesa del petrolio.

Ma le corporazioni non sono le uniche cinghie di trasmissione che si esauriscono. La mediazione e l’amministrazione non è solo economica. Lo Stato che ora agonizza ha creato anche i suoi mediatori e amministratori nell’arte e nella cultura, nella comunicazione, nella conoscenza. Primo li ha corteggiati con regali e lodi, poi li ha sedotti con premi e borse di studio, quindi li ha trasformati in suoi dipendenti affinché agissero come mediatori nei riguardi di coloro che, in questi ambiti, si rifiutavano e si rifiutano di farsi addomesticare.

Tutte le istituzioni incaricate della mediazione e della gestione sono già o entreranno in crisi. Il confine tra le bande si è talmente ristretto che bisogna scegliere per una di queste. Così abbiamo organizzazioni contadine amministratrici che ricorrono alla polizia ed ai giudici per reprimere e perseguire altri contadini senza terra; intellettuali e leader sociali che applaudono alla repressione della polizia contro i blocchi che nel DF ed in appoggio ad Atenco realizzò l’Altra Campagna nel maggio del 2006, protetti da quella stessa polizia nel presidio lopezobradorista nel D.F. in agosto-settembre dello stesso anno.

Quindi mettete al sicuro le vostre medaglie, depositate i vostri assegni e fate registrazioni video dei vostri regali, perché il mondo non è più il mondo, né il popolo è lo stesso.

Perché se non mi sbaglio, questo Festival è andato controcorrente rispetto a quei calendari. E ci sono, in questo altro percorso, altri calendari disegnati in basso.

Di questo anno 2009 c’è stato detto fino alla nausea che la globalizzazione è in crisi e che tutti ne pagheremo i costi. Succede così, in momenti di crisi il capitalismo diventa profondamente “democratico”.

Ma ci sono molte cose da festeggiare. Per esempio: i 25 anni di Botellita de Jeréz, i 10 anni dell’inizio del movimento studentesco che difese l’università pubblica e gratuita in Messico, le lezioni che impartiscono gli adolescenti di Grecia, gli insegnamenti dei disoccupati dell’Argentina, l’impegno per la giustizia delle altre e degli altri in suoli newyorkesi, la costanza ribelle nella Francia del basso, la speranza e la lotta della Bolivia indigena in quella bella lezione che ci ha fatto Óscar Oliveira, la pleiade di resistenze in America Latina dell quali ci ha dato conto don Raúl Zibechi, il salutare ed improrogabile compito di riscattare il mio Generale Sandino che rivendica la Comandante, per noi sandinista, Mónica Baltodano, i 50 anni di lezione di dignità che ci impartisce il popolo di Cuba.

Abbiamo parlato di come i regali domano ed addomesticano la critica d’opposizione e quanto sono vulnerabili a quei canti di sirena gli intellettuali ed i giornalisti.

Tuttavia, ce ne sono alcuni che resistono a questi regali con il loro ostinato essere coerenti.

E’ qui con noi il compagno Adolfo Gilly. Ed oso chiamarlo “compagno” non perché sia dell’EZLN o dell’Altra Campagna, ma per la sua lunga storia di lotta dalla parte di quelli che stanno in basso e a sinistra.

Noi zapatisti non facciamo omaggi se non ai nostri morti e non corteggiamo con cibi, premi e medaglie, né invitiamo a tagliare nastri di inaugurazione di secondi piani.

Semplicemente noi salutiamo.

Ed oggi vogliamo salutare questo uomo.

Lo abbiamo sempre considerato un uomo di sinistra coerente, anche se qualche volta, come per Okupache, non siamo stati d’accordo con le sue analisi o posizioni.

Lo salutiamo non solo perché nei tempi in cui l’isteria intellettuale del lopezobradorismo  ci ha attaccato e calunniato, lui è riuscito a farci sapere, a modo suo, che non solo non condivideva le denigrazioni che tanto allegramente si prodigavano a lanciarci contro là in alto, ma che vedeva gli stessi pericoli sui quali noi diamo l’allarme.

Non solo perché in qualcuno dei nostri quartieri si può trovare, rotto e sciupato, come sono i libri che si leggono più volte, il suo libro “La Rivoluzione Interrotta”, la cui introduzione alla prima edizione, scritta nella prigione di Lecumberri dove era detenuto politico, finisce così: “Oggi più che mai è vera la frase di Lenin nell’ultima pagina di “Stato e Rivoluzione”, quando l’ottobre del 1917 gli impedì di completare il suo scritto: “È più bello e proficuo vivere l’esperienza della rivoluzione, che scrivere di essa”.

Inoltre, e soprattutto, lo salutiamo per la sua vita, che è un modo di dire la sua lotta.

Salute, Don Adolfo. Tutto il bene dovunque vada, e dovunque sia sappia che ha un posto nel nostro cuore, cioè, nella nostra storia. Nonostante che proprio qui, alcuni compagni dell’Altra hanno fatto quello che non abbiamo fatto noi quando, sfidando tutte le critiche e le minacce che ci piovevano addosso, li abbiamo sostenuti nell’occupazione Okupache: ci hanno mancato del rispetto che si deve tra compagni. Noi non li rinneghiamo come compagni. E nemmeno rinneghiamo Don Adolfo Gilly come nostro compagno quale è.

E salute a tutte e tutti i ribelli che questo anno innalzeranno il loro degno e arrabbiato impegno.

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 3 gennaio 2009

P.S. – Sette Racconti per Nessuno.                              http://enlacezapatista.ezln.org.mx/varios/1229#Marcos

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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